Heinrich Heine tra sansimonismo e hegelismo

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Heinrich Heine tra sansimonismo e hegelismo
Heinrich Heine
tra sansimonismo e hegelismo
di Paola Ferruta
Nel corso del  pubblicazioni e convegni hanno cercato di definire i
contorni della biografia intellettuale e politica di Heine in occasione del
bicentenario della nascita. Si è trattato di ricostruire il percorso travagliato
di un’esistenza volta alla partecipazione politica attiva, sublimata o a
volte distaccata, rimettendo in discussione letture precedentemente
avanzate.
In Germania durante il Vormärz il poeta fu allontanato dalla vita
politica fisicamente attraverso l’esilio, moralmente attraverso la censura.
Ciò non ha favorito la costituzione di una Intellektuellenschicht a lui «affine per elezione», il cui processo di formazione ha avuto inizio a partire
dalla prima guerra mondiale per completarsi solo dopo la seconda. La
scissione tra intelletto e potere caratterizzante la società tedesca, unita
all’ostilità nei confronti degli intellettuali e della loro ingerenza nella
sfera politica, hanno reso ancor più problematico il rapporto con Heine,
il quale «si rifiutava di sacrificare la specificità dell’apparenza estetica
alla prassi politica» ma al tempo stesso rispondeva con sarcasmo ai suoi
detrattori che miravano ad esiliarlo “sul Parnaso” per discreditare il suo
attivismo politico.
Alla ricezione limitata alla Natur- e Liebeslyrik o alla valutazione negativa dell’opera di Heine durante il Keiserreich e la Adenauerzeit, estrema
nell’era del nazionalsocialismo, è seguita una “congiuntura” all’inizio
“democratica e antifascista” della DDR come all’epoca del movimento
studentesco e della coalizione liberalsocialista nella BDR; negli anni Settanta questo impulso ha dato luogo a nuove prospettive e metodologie di
ricerca concentrandosi su temi politici e filosofici. Tale fioritura di studi ha
implicato dibattiti stimolanti ma anche critiche da parte dei rappresentanti
della “nuova sinistra” rispetto all’uso strumentale e “affermativo” dello
scrittore da parte di germanisti e politici nella Germania orientale. Negli
anni Ottanta, dopo più di un decennio di ricerche esaustive, in coincidenza con il «cambiamento intellettuale e morale» del governo Kohl si
Dimensioni e problemi della ricerca storica, n. /
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è verificato un calo di interesse. Il silenzio seguito alle celebrazioni del
bicentenario potrebbe essere una spia di allarme riguardo alla situazione
attuale, ma bisogna attendere i risultati delle future analisi statistiche
svolte sul grande pubblico per valutare se Heine mantiene il “carattere
esoterico” che aveva perduto temporaneamente nella DDR e se sarà possibile un approccio differenziato e interdisciplinare nell’analisi del “plurale” rappresentato dalla complessa personalità del poeta. Per rendere
ragione del significato storico delle riflessioni politiche heiniane occorre
infatti evitare giudizi affrettati e univoci su un personaggio che elude
il confronto su un piano esclusivamente reale e rigidamente definito.
Benché non costituiscano un pensiero sistematico, queste riflessioni sono
di ampio respiro: egli si confronta con la realtà europea nel suo insieme
e con quella dei singoli paesi ed il suo sguardo di poeta, «storico con lo
sguardo volto al futuro», rivela notevole acutezza. Heine «non ha mai
visto nulla attraverso la lente di un’ideologia – anche se sempre tutto come
attraverso le lenti di un telescopio, più lontano e più distinto» e proprio
per questo può essere considerato uno dei più perspicaci interpreti degli
avvenimenti politici del suo tempo.
Gli studiosi definiscono concordemente il credo heiniano nella
monarchia come il tentativo di sfuggire agli aspetti più deteriori della
realtà del mondo a lui contemporaneo, sempre più cupo e illiberale: «Per
combattere reazione e repubblicanesimo, Heine era un convinto diffusore
della monarchia». Senza di essa l’esistenza sarebbe stata squallida e grigia; la monarchia offriva, secondo una visione che oggi appare poetica e
sentimentale, la possibilità di salvaguardare l’eredità del passato. I repubblicani miravano ad abolirla solo perché non riuscivano a vedere in essa
qualcosa di immediato, alcuna evidente utilità: questi «sobri baccanti della
ragione» valutavano tutto in termini di funzionalità. «Nicht als Höfling
war Heine monarchist», invece, «proprio come il suo nemico Metternich,
per paura», credeva infatti che la monarchia fosse «l’ultima garanzia»
della società. Nella cultura politica del primo Ottocento l’ideale della
monarchia costituzionale era largamente condiviso. Lorenz von Stein,
che si tende a collocare sulla destra dello spettro politico, ne esalta il
valore proprio come Heine, definito più volte hegeliano di sinistra. Boldt
invita a riflettere su questo punto, considerando le classificazioni spesso
fuorvianti e richiamandosi a Hermann Lübbe, che nella sua analisi della
filosofia politica in Germania, ha approfondito lo studio della destra
hegeliana, la quale prospettava una monarchia costituzionale in grado
di porre rimedio agli squilibri sociali. Anche Eduard Gans, un amico del
periodo della giovinezza berlinese, si professa, allo stesso modo di Heine,
monarchico. L’obiezione di Boldt è interessante: «Che cosa rende tale la
differenza tra Heine, Gans e gli hegeliani di destra?». Benché sia nota la
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HEINRICH HEINE TRA SANSIMONISMO E HEGELISMO
partecipazione del poeta di Düsseldorf al Verein für Kultur und Wissenschaft des Judentums negli anni Venti a Berlino, in cui i temi della filosofia
hegeliana erano largamente diffusi e della quale facevano parte anche gli
amici Eduard Gans e Moses Moser, il confronto ideologico tra Heine e
gli hegeliani di destra è stato assai raramente preso in considerazione
dagli studiosi. Eppure si tratta di un aspetto significativo. L’esempio più
evidente di questa affinità è il paragone tra filosofia tedesca e rivoluzione
politica in Francia, peraltro già accennato da Hegel.
Ciò che distingue gli hegeliani di destra dagli altri autori è il ricorso
alla weltgeschichtliche Mission dello Stato prussiano, il Vernunftstaat per
antonomasia, che avrebbe concretato sul piano storico le speculazioni
rivoluzionarie della filosofia idealistica. Il giudizio sulla rivoluzione francese e sugli aneliti rivoluzionari in genere costituisce un primo elemento
discriminante tra gli hegeliani più vicini alla tradizione, il loro maestro
e Heine. Questi, al contrario di Hegel, non si dimostrò particolarmente
costernato dall’esecuzione di Luigi XVI e dal Terrore. «Criticò l’uso della
ghigliottina, nella quale vide però una morte veloce e indolore, migliore
delle torture subite dai roturiers e dai vilains prima della rivoluzione». Il
tema della rivoluzione viene trattato esaurientemente da Heine e rimane
centrale nelle sue riflessioni per tutta la vita.
Hegel e i suoi discepoli avevano senz’altro in mente una monarchia
costituzionale e la intendevano come necessità filosofica. Rosenkranz ammette che uno Stato senza tradizione storica come quello prussiano deve
trovare i propri principi nello spirito, e quindi nella filosofia. Anche Gans
afferma che «lo Stato prussiano non può essere altro se non intelligente»,
e la sua istituzione più rappresentativa, coerentemente, è l’università di
Berlino. Nonostante ciò, «lo Stato autoritario non venne mai messo in
questione da Hegel e dai suoi seguaci». Ci si contentava «dello Stato di
diritto e di cultura sotto il tetto dello Stato autoritario».
Nel complesso, il pensiero politico degli hegeliani di destra ha un
fondamento filosofico e le riflessioni sul concetto di Stato del maestro sono
un punto di riferimento costante, anche se questa dipendenza diminuisce
progressivamente partendo da Erdmann per arrivare a Gans. Nel caso
di Heine, l’attenzione rivolta all’aspetto costituzionale della monarchia
rivela una tendenza democratica volta ad arginare l’assolutismo, mentre
gli hegeliani di destra pongono maggiormente l’accento sul principio
monarchico. Non è ad ogni modo l’aspetto costituzionale, sul quale il
poeta ritorna più volte, ad allontanarlo da Hinrichs o da Gans, ma il
rifiuto di riconoscere l’attuazione dell’ideale nelle monarchie realmente
esistenti. Il realismo heiniano evita le contraddizioni degli hegeliani di
destra, che non riescono ad armonizzare la prassi politica con la teoria.
«Particolarmente nella diversa chiave di lettura delle guerre di liberazi-

PAOLA FERRUTA
one da Napoleone si esprimono queste differenze». Per Heine queste
ultime mostrano in nuce i loro presupposti reazionari. Il poeta aveva visto
(insieme ad Hegel) in Napoleone il figlio della rivoluzione francese e lo
aveva criticato nel momento in cui ne aveva tradito gli ideali. Su questo
punto va sottolineata l’affinità fra Heine e Hermann Hinrichs, i quali
vedono nel momento storico delle guerre di liberazione la prima vittoria
concreta dell’ideologia tedesca, la prima volta in cui la filosofia tedesca
diviene effettivamente pratica. Hinrichs ne stimava particolarmente il
volkstümliches Element, «l’implicazione fichtiana»: malgrado riconosca
a Napoleone (e alla rivoluzione francese, con il «suo mandato nella storia
mondiale») il merito di avere creato la «possibilità di uno Stato di diritto
e di pensiero in una forma costituzionale», la mancanza dell’elemento di
“carattere popolare” aveva fatto sì che questa “possibilità” rimanesse allo
stato potenziale e che si dovesse arrivare alle guerre di liberazione per
completare il processo all’insegna di una peculiarità “popolare” e tedesca
a un tempo. Per Heine le cose stanno diversamente. Le guerre di liberazione avevano spazzato via quanto di positivo la rivoluzione francese aveva
portato con sé, “l’autodeterminazione” dei popoli era stata manipolata e
si era abusato del pathos nazionale nell’interesse della reazione. Nel suo
pensiero, secondo Hengst, la battaglia per l’unità nazionale, der Kampf für
das Vaterland, passa in second’ordine rispetto alla libertà sociale a causa
del suo pronunciato liberalismo. Lübbe dà una chiara definizione della
differenza fondamentale che intercorre tra Heine e Hinrichs:
Ma […] diversamente […] da Heine, il quale si aspettava un’armonizzazione della
prassi tedesca con la propria filosofia solo nel futuro, Hinrichs credeva di poter
interpretare l’insorgere delle guerre di liberazione già come una manifestazione
politica pratica dei principi della filosofia tedesca.
A tutto ciò va aggiunta la nota ostilità di Heine nei confronti dello Stato
prussiano, e alla luce di questa vanno interpretate le sue considerazioni
sul periodo napoleonico e le guerre di liberazione in Germania. La definizione hegeliana che vedeva il popolo in quanto Stato rappresentare il
potere assoluto sulla terra segna il confine tra la visione del filosofo e la
diversa analisi heiniana, che dà maggiore importanza alla diversificazione
delle classi sociali e al bisogno di emancipazione da parte di alcune di
esse. Hegel sacrifica «l’uomo al cittadino». Il filosofo e il poeta intendono
diversamente il concetto di sintesi e lo mettono in relazione ad aspirazioni
politiche contrastanti. Per entrambi l’emancipazione non può realizzarsi
per mezzo della semplice, astratta negazione di valori. Hegel accetta la
funzione della rivoluzione francese vista come presupposto di una visione
dello Stato che accetta il principio della libertà e ne fa un momento
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HEINRICH HEINE TRA SANSIMONISMO E HEGELISMO
costitutivo di «tutti i futuri ordinamenti giuridici e politici durevoli e
produttivi»; allo stessso tempo, però, essa si dimostra incapace «di portare
costituzioni accettabili». Per Hegel e i suoi seguaci essa e la sua riuscita
sono delegate allo Stato, che nel caso specifico è quello prussiano; Heine
invece con la categoria di sintesi intende prima di tutto una emancipazione
individuale. Ciò rafforzerebbe il suo legame intellettuale con la tradizione
“umanistica” dell’illuminismo, che in Germania non trovava adeguato
canale di espressione nel campo delle teorie politiche.
Il confronto con gli hegeliani di destra, nel caso di Heine, interagisce
in certo senso con il rapporto con il sansimonismo e con la critica heiniana
alla religione. Il concetto stesso di sintesi subisce l’influenza della terminologia sansimoniana. Per il poeta la religione rappresentava la libera
messa in atto della democrazia, l’aspetto politico e sociale del messaggio
cristiano; il concetto di religione comprende «le sfere dello spirituale e
dell’umano allo stesso tempo come innalzamento del naturale». In modo
analogo gli hegeliani di destra protestavano contro l’atteggiamento spiritualista e razionalista dello stesso idealismo. Egli, però, si trovava da sempre
oltre la moderata critica alla religione dell’idealismo e da questo punto
di vista può essere considerato un hegeliano di sinistra, avvicinandosi a
Michelet nel trattare il problema religioso, rispetto al quale dimostrava
comunque più vigile attenzione ai movimenti sociali e maggior sensibilità
politica all’importanza della rivoluzione di luglio in Francia.
Heine si riteneva probabilmente intorno agli anni Trenta un sostenitore di determinate idee politiche e quindi coinvolto dall’attività dei
partiti; non si annoverava tra gli imparziali “grandi uomini”. Costoro
comprendono lo Zeitgeist nella sua pienezza e rimangono al di fuori
della scena politica pur seguendone attentamente le vicende. Il poeta di
Düsseldorf può essere definito un aristocratico della cultura: attendeva
in Germania la salvezza da parte di una sorta di aristocrazia intellettuale,
un’élite di spiriti scelti che avrebbe dovuto prendere e gestire il potere.
Questo attivismo avvicina il poeta agli hegeliani di sinistra. Nonostante le
riserve espresse da Miss Butler (autrice di un’analisi del sansimonismo
in Germania ed in particolare dei rapporti di Heine con questo), le sue
opinioni filosofiche dei primi anni sembrano avvicinarlo ad Hegel piuttosto che ai sansimoniani. In particolare Heine diverge nettamente dai
sansimoniani restando fedele all’idea della rivoluzione come strumento di
progresso sociale. Il nesso tra hegelismo e sansimonismo nella biografia
heiniana pare indissolubile, come osserva Jean Pierre Lefebvre:
A questo hegelismo bisogna ricollegare anche la sua simpatia per la filosofia di
Saint-Simon verso la fine degli anni Venti e all’inizio degli anni Trenta. Nel sansimonismo Heine vedeva una possibilità di avverare politicamente l’hegelismo,
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PAOLA FERRUTA
in questo ritorno all’antica sensualità, nella riabilitazione della materia, l’unica
via verso la Aufhebung della ascesi cristiana.
La speranza del poeta di vedere attuata una rivoluzione con esito moderato si attenuò ogni giorno di più. Il crescente scontento nei confronti
della monarchia di luglio francese logorò il mito dell’istituzione monarchica. Se da una parte la prospettiva della rivoluzione divenne sempre
meno allettante, dall’altra egli ne constatò la fatale necessità, ritenendola
una giusta punizione per l’umanità che non aveva saputo comprendere
la sua “nuova dottrina”. Essa rappresentava ciò che Paolo Chiarini ha
definito una sorta di «riduzione antropologica» della dottrina sansimoniana. Il gioco di Heine con il fantasma dell’orrore rivoluzionario è,
secondo Chiarini, un godimento quasi macabro, in cui si manifesta una
caratteristica Schadenfreude. Furono proprio l’osservazione quotidiana
della politica francese, il sempre più concreto avanzare del conservatorismo in Germania all’inizio degli anni Trenta (il decreto del Bundestag
del  giugno  imponeva forti limitazioni alla libertà di espressione
e una lettera di Genz all’editore Cotta biasimava l’estremismo di Heine
negli articoli sulla Francia), a indurre il poeta a considerare il costituzionalismo parlamentare affetto da troppe carenze strutturali: la monarchia
non poteva più costituire un ideale politico valido e l’alternativa più
soddisfacente sembrava il sistema del cesarismo, in cui il sovrano guida
l’esecutivo con piena responsabilità.
Heine rimase un democratico per tutta la vita: questa convinzione può
convivere assieme ad idee divergenti, contraddittorie soltanto ai nostri
occhi, ma compatibili ai loro albori, quando si trovavano in un unico
crogiolo. Giorgio Tonelli definisce il cesarismo heiniano la «transazione»
di assolutismo e democrazia, del principio di uguaglianza ed aristocrazia,
uguaglianza e ineguaglianza, autorità e libertà. Basterebbe seguire le
orme di «Macaulay, dei Rohmer e di Treitschke» fino ad oggi per riaccostare i termini apparentemente antitetici di un discorso su libertà e
autorità, progresso e conservazione, «in quanto la storia si è incaricata
di dimostrare esaurientemente che tanto il parlamentarismo bipartitico
(monarchia o repubblica parlamentare) quanto il cesarismo (bonapartismo, Volkskönigstum) sono rami del medesimo albero». Le pagine di
Momigliano sul cesarismo servono principalmente da ammonimento, un
invito a non scordare che, in fondo, il concetto di cesarismo appartiene
solo ed esclusivamente al diciannovesimo secolo ed è difficile rapportarlo
all’antichità classica. In ogni caso l’idealizzazione heiniana tendeva ad
arricchire questo concetto, ispirandosi, tra l’altro, al mito di epoche assai lontane. Heine non è stato certo l’unico ad interessarsi ad esso: basti
ricordare Max Weber, Hans Kelsen, Carl Schmitt, che hanno tentato di
risolvere il problema della democrazia sotto l’aspetto del Führertums.
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HEINRICH HEINE TRA SANSIMONISMO E HEGELISMO
Heine definì il cesarismo di Napoleone «nuovo» e seppe darne un quadro
che ne elogia l’ideale socialista-meritocratico:
Sotto un certo riguardo Napoleone fu un imperatore sansimoniano; destinato
egli stesso al comando in virtù della sua superiorità intellettuale, favorì soltanto
il dominio delle capacità ed ebbe di mira il benessere fisico e morale “delle classi
più povere e più numerose”.
Le immagini dell’uomo «grande e giusto» che incorrono frequenti
negli scritti di Heine, paiono indicare una preferenza per il cesarismo
democratico progressista e prefigurare l’avvento al potere di Luigi Napoleone, esprimendo la predilezione per il «culto della personalità» tanto
in voga in quel periodo. Iggers ha escluso una vera e propria vicinanza
ideologica con i sansimoniani perché il “liberale” Heine era fin troppo
estraneo all’autoritarismo totalitario del socialismo nascente (secondo
Iggers «prefascista») e a una visione opprimente della religione come
quella proposta dalla «nuova Chiesa». Eppure «nel contesto del culto
napoleonico di Heine non è in alcun modo sorprendente il suo flirt con
i sansimoniani e le loro idee». Non bisogna dimenticare, però, che il
poeta di Düsseldorf pagò in termini di conflitti politici e sociali le sue
idee politiche, e l’amore per Napoleone lo fece cadere in disgrazia proprio presso i teutomani, i nazionalisti estremisti, forse i veri cultori di un
titanismo pericolosamente irrazionale. Heine, che non si rassegnava alla
delusione procurata dall’evoluzione negativa subita dal governo di Luigi
Filippo, condivise con i sansimoniani le speranze cesaristiche nei confronti del giovane duca di Orléans, disilluse dalla sua morte prematura.
A questo punto della biografia heiniana la lotta per l’eguaglianza contro
i privilegi pare sostituire ogni altro interesse politico. Perfino la riforma
delle istituzioni governative passa in secondo piano. L’assolutismo come la
democrazia sono ritenuti, come è stato brevemente illustrato, compatibili
con la sovranità popolare. È in questo contesto che la figura di Napoleone
assurge a rappresentare il prototipo dell’“imperatore sansimoniano”, il
cui esercito è espressione di una gerarchia basata sulle capacità individuali. Heine aveva saputo comprendere il profondo legame del popolo
francese con il bonapartismo, un ideale cui il poeta tedesco restò fedele
fino alla fine dei suoi giorni. Il mito del Volkskaiser aveva continuato ad
esprimere in una certa misura gli ideali della rivoluzione, aveva saputo
disciogliere le barriere dell’assolutismo per avvicinarsi alle masse che lo
avevano riconosciuto e amato. In una lettera a Laube del  luglio ,
Heine ripeté che il benessere delle masse era più importante della forma
di governo: mano a mano divenne più consapevole della rilevanza dei
problemi economici mentre diminuiva il suo interesse per le questioni
meramente politiche. Nell’introduzione all’edizione francese dei Reise-

PAOLA FERRUTA
bilder (), scrisse che la politica andava concepita in termini di classe,
e che il motto del  era obsoleto. Anche secondo Sengle, l’uguaglianza
sociale è per Heine il criterio decisivo; di fronte ad esso l’uguaglianza
giuridica formale auspicata dalla repubblica liberale passa nettamente in
secondo piano. La sua sfiducia nei confronti del repubblicanesimo si
intreccia nel corso degli anni Trenta alla delusione per il tradimento della
borghesia, di cui mette in discussione il ruolo privilegiato. Con il passare
del tempo l’interesse sociale caratteristico delle opere presansimoniane
divenne centrale nel pensiero di Heine. L’incontro con gli hegeliani di
sinistra ed altri personaggi a lui più affini contribuì a fargli vedere la
realtà politica in termini di interessi di classe e di forze economiche, a
fargli presagire la rivoluzione comunista del proletariato affamato che
minacciava di cancellare ogni tradizione culturale. Solo “idee sociali”
e riforme significative potevano fermare la catastrofe. In questa attenzione alla dimensione sociale Heine si accorda con le considerazioni di
Lorenz von Stein. Questi riconobbe in Saint-Simon il primo che riuscì a
comprendere che la forma di governo è secondaria rispetto alla primaria
importanza dell’ordinamento sociale. Fu anche il primo a concepire
l’industria come fondamento della società ed a parlare della necessità di
liberarla dai parassiti sociali.
Anche se le opere heiniane dell’inizio degli anni Trenta possono
sembrare superficialmente sansimoniane (Die romantische Schule e Zur
Geschichte der Religion und Philosophie in Deutschland), secondo Iggers rientrano essenzialmente nella tradizione liberale dell’Illuminismo,
criticata dai sansimoniani come un sintomo dell’età critica. Nonostante
le critiche di Enfantin, capo carismatico della setta, Heine ribadì in una
lettera a Laube il ruolo secondario della politica e la sua visione etica e
sociale della religione, ricordando di essere stato definito dallo stesso
Enfantin Kirchenvater der Deutschen. Il “Globe”, la rivista parigina
edita dai sansimoniani e conosciuta anche nei salotti berlinesi, scrisse
che Heine era l’intellettuale tedesco che aveva meglio di tutti gli altri
saputo comprendere il sansimonismo. Anche in una lettera a Varnhagen
del maggio , Heine confidò all’amico di interessarsi “propriamente
solo per le idee religiose” dei sansimoniani, mentre “la parte politica”
della dottrina, la teoria riguardante la proprietà, verrà in futuro “meglio
elaborata da mani più capaci”.
Iggers tiene a puntualizzare che la “Giovane Germania” ed Heine
fecero riferimento soprattutto a concetti religiosi ed estetici sansimoniani (rispetto ai Giovani hegeliani l’interazione è meno complessa) e solo
occasionalmente alle dottrine politiche da cui derivavano, fondate su
premesse inaccettabili per gli autori tedeschi. Costoro interpretavano
in modo diverso e con spirito ben più liberale l’estetica e la religione di

HEINRICH HEINE TRA SANSIMONISMO E HEGELISMO
quella che aveva voluto soprattutto essere un’ideologia politica.
Heine non volle comprendere come le convinzioni sansimoniane
potessero conciliarsi con la partecipazione ad imprese capitalistiche e il
suo risentimento per gli esponenti del movimento, che erano diventati
rispettabili borghesi milionari (Heine se la prese anche con i Pereire che
gli rifiutarono un prestito), lo portarono ad eliminare la dedica ad Enfantin
nella seconda edizione di De l’Allemagne nel .
Negli anni Quaranta l’uso della terminologia sansimoniana tende a
rarefarsi. Il conflitto tra spiritualismo e sensualismo venne sostituito da
quello tra due tipi di personalità: Nazareni ed Elleni. Questa interna lacerazione, o meglio, questa antitesi tra diversi caratteri e scelte altrettanto
diverse, si trova anche nell’opera di Büchner. Tale “polarità ideologica”
lasciava trasparire dai protagonisti del suo dramma Dantons Tod la contrapposizione tra “l’edonista Danton” ed il “messia della virtú” Robespierre. Cazzaniga osserva in proposito che nell’opera di Heine il ricorso
all’opposizione Nazareni/Elleni potrebbe essere derivato da Enfantin (tesi
di Mehring) e che linguaggio e concezioni del poeta tradiscono influssi
eterogenei: i Nazareni romani, la letteratura radicale del Settecento, la
letteratura libertina e massonica. «Questo gioco di allusioni rimanda ad
un filone di letture heiniane su cui finora l’attenzione è stata debole».
La portata dell’influenza del credo sansimoniano su Heine è assai
controversa: i critici sembrano dividersi di fronte alle possibili ascendenze
hegeliane o sansimoniane, anche se spesso non in modo preciso. Se si
esaminano concretamente le occasioni di scambio e di contatto, queste
si limitano ad incontri pubblici, soirées, alla nota dedica ad Enfantin
dell’edizione francese di De l’Allemagne, ad un paio di articoli apparsi
sul “Globe”. I riferimenti alla “setta” sansimoniana non sono necessariamente accompagnati da un particolare pathos ed il poeta sembra ignorare
le logoranti lotte intestine che si svolgevano nel gruppo.
L’ideologia dei sansimoniani all’inizio degli anni Trenta non coincideva
con quella del maestro, pur traendone l’ispirazione fondamentale. Infatti
Saint-Simon non elaborò mai un sistema vero e proprio, mentre i suoi seguaci prospettavano una società in cui doveva realizzarsi l’organizzazione
sistematica di tutte le attività umane, rette da un’autorità centralizzata
e gerarchica. Essa si sarebbe servita di un sistema bancario ugualmente
centralizzato che avrebbe cooperato con un sistema di istruzione pubblica atto ad educare dogmaticamente le masse a raggiungere le mete
della società. Ogni cittadino avrebbe trovato il suo posto nella gerarchia
sociale in base al suo personale talento. La figura del salariato sarebbe
scomparsa, lo status giuridico di proprietà avrebbe subito:
Il sansimonismo, mentre si apprestava ad abolire lo sfruttamento dell’uomo

PAOLA FERRUTA
sull’uomo, delineò un potenziale strumento per il più sistematico dispotismo
dell’uomo sull’uomo.
Il pensiero controrivoluzionario cattolico giocò un ruolo rilevante nella
formazione dottrinale della nuova Chiesa, così come il pensiero illuminista. Nelle visioni della “setta” erano presenti elementi antirazionalistici e
antilibertari, non riconducibili agli scritti di Saint-Simon. L’intero processo storico veniva a configurarsi come una linea di sviluppo progressivo
scandito dalla successione di periodi organici e critici, che avrebbero
portato il genere umano all’“associazione universale”: l’associazione di
tutti gli uomini sull’intera superficie della terra in tutti gli ambiti della loro
reciproca interazione. Il valore della religione rimane centrale in questo
grande affresco dove l’intera sfera politica finisce quasi per assumere un
aspetto religioso, la finale associazione unitaria rappresenterà un tutto in
cui ogni cosa sarà parte di Dio e dove tutti gli uomini uniti da un legame
universale saranno rappresentati dalla nuova Chiesa. Questa ricerca di
armonia universale trovava modo di esprimersi anche attraverso le istanze
emancipatorie concernenti la sfera sessuale, in cui si concretava la crisi
delle convenzioni e dei rapporti sociali dell’epoca.
Heine fu notevolmente impressionato dalla forza d’impatto del movimento. Pare che la lettura ad Amburgo dell’opera di Bazard, pervenutagli
tra le mani in circostanze tuttora non chiarite, contribuì a fargli prendere
la decisione definitiva di partire per la Francia. La lettura della Doctrine
saint-simonienne risale alla fine di gennaio del  e può essere considerata il fattore determinante che spinse il poeta a mutare atteggiamento
quanto al possibile abbandono della Germania. Essa offriva un balsamo
psicologico al suo amor proprio ferito, in un momento in cui la possibilità
di assicurarsi una posizione sociale e professionale in patria era sfumata
ma l’alternativa dell’espatrio appariva ancora in una luce sgradevole. Il
ruolo dell’artista veniva ampiamente riconosciuto nell’esposizione della
dottrina. Infatti, dopo appena tre mesi, Heine passò ad esprimersi entusiasticamente, a parlare di heilige Gefühl e di neue Religion.
Affinità e differenze di Heine rispetto ad Hegel o al sansimonismo
risultano particolarmente evidenti considerando l’atteggiamento di questi
ultimi nei confronti dell’ideologia critica dell’Illuminismo. Enfantin, ad
esempio, criticò la forma espressiva del Persiflage e la frivolezza in genere,
vedendo addirittura nel ricorso di Heine a Spinoza una componente
deprecabile di quell’ideologia, un fermento filosofico rivoluzionario.
Lukács osserva che non bisogna attenersi esclusivamente ai testi heiniani
dove si fa esplicita menzione di Hegel.
L’intera concezione della storia (il modo di vedere i Greci e il Cristianesimo, il

HEINRICH HEINE TRA SANSIMONISMO E HEGELISMO
significato storico del Rinascimento, della Riforma, della rivoluzione francese,
Napoleone) e l’intera teoria dell’arte heiniana (antagonismo tra antichità e modernità, concezione del Romanticismo) si sono definite attraverso Hegel.
Nel caso di Heine il tentativo di superare l’aderenza alla tradizione illuministica che si manifesta nella polemica contro clero e nobiltà passa
attraverso il confronto con l’idealismo in uno sforzo di tener conto delle
mutate condizioni storiche della Restaurazione rispetto a quelle della
Francia prerivoluzionaria. Un punto di contatto con Hegel consiste nella
volontà di risanare la frattura tra Illuminismo e Restaurazione. Per Heine
la necessità di un ritorno a Spinoza non nasce solo dal riconoscimento
dell’esemplare unione tra filosofia e politica nelle sue opere – come per
gli hegeliani di sinistra che dovevano servirsene per fondare la Philosophie
der Tat – il ricorso del poeta a questo filosofo deriva invece dalla singolare
compresenza nel suo pensiero di aufklärerische Ideologiekritik, panteismo
(non materialismo) ed edonismo. Lo spinozismo è importante per la sua
capacità di arrivare a chiedere cambiamenti sociali e nuove istituzioni a
favore «della classe più povera e più numerosa». Heine concorda anche
con le interpretazioni di Hegel e Feuerbach che scagionano il panteismo
spinoziano dall’accusa di ateismo. Feuerbach, rifiutando il concetto idealistico di sensualità come semplice recettività, si avvicina più di tutti gli
altri hegeliani di sinistra all’idea heiniana del sensualismo come polemica
contro ogni genere di pensiero senza presupposti empirici, che non tiene
conto della imprescindibile esperienza nel mondo. Naturalmente quello
che Hengst definisce il «materialismo antropologico» di Feuerbach non
coincide con il concetto di sensualismo proprio di Heine; questo riferimento consente, però, di accostare la Zeitkritik heiniana alla tradizione
filosofica tedesca più che a Saint-Simon e alla sua scuola. Heine si serve
di questa tradizione per condannare il deismo come «negatore dei sensi»
(negazione, questa, che appare all’origine dell’estremo malessere della
società occidentale a lui contemporanea) e proclamare un programma
di «riabilitazione della materia».
L’essersi avvicinato al socialismo utopistico francese, la “conversione”
all’“emancipazione della carne” di Saint-Simon e Enfantin, rese più aderente
alla sensualità della sua poesia la comprensione del mondo teorica.
La religione naturale dei Germani, il “sensualismo” della rivolta dei contadini e degli anabattisti di Münster, la rivoluzione “di pensiero” di Kant
e Fichte gettavano luce su una parte della storia tedesca niente affatto
estranea alla realtà rivoluzionaria francese. Heine è destinato a rimanere
sospeso ai limiti di un pensiero che si può definire, allo stesso tempo,
prehegeliano e posthegeliano, anticipando la sorte della Philosophie der
Tat degli anni Quaranta.
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PAOLA FERRUTA
La sua Weltanschauung è una sintesi particolare [si parla degli anni Trenta]
di Hegel, Goethe e Saint-Simon, la cui tendenza principale è diretta, a dire il
vero, contro il carattere di fuga dal mondo reale propria di tutte le religioni,
ma che porta in sé tratti religiosi; forse questa ideologia ha in lui cominciato a
radicalizzarsi attorno al , sotto l’influsso di Feuerbach e Marx, nella forma
di un aperto ateismo; essa non può comunque essere definita materialistica in
senso stretto.
L’asse religiosità-ateismo si ripresenta nella Aufklärung tedesca a proposito della tensione dialettica tra radicalismo e teologia, analoga a quella
riscontrata da Löwith nella sua analisi del messianismo marxiano. Anche
Reinhart Koselleck riconduce una corrente del linguaggio politico della
Aufklärung alla sua origine religiosa, poiché esso rimane essenzialmente
«impregnato di teologia», considerazione che aiuta a comprendere «la
radicalità della Spätaufklärung tedesca dei Giovani Hegeliani». Ciò
non toglie che il significato e l’importanza della conoscenza delle teorie
sansimoniane da parte di Heine non sia stato sempre riconosciuto, pur
avendo cominciato ad emergere dopo la notevole ricerca di E. M. Butler.
L’ormai classica biografia di Adolf Strodtmann volle giustificare, più di
cento anni fa, l’attrazione per la Francia con gli aneliti rivoluzionari del
poeta, risvegliati dai moti del luglio parigino, senza prendere in considerazione l’influsso esercitato da movimenti intellettuali contemporanei a
Heine. Da allora la critica anche più recente ha continuato a sottovalutare
l’importanza del pensiero protosocialista e il ruolo fondamentale svolto
nella vita di Heine, non avendo forse presente il significato della dottrina sansimoniana, completamente nuova per quell’epoca. Sternberger
segue il percorso tracciato dalla Aufhebung der Sunde che, partendo
dalle intuizioni di Fourier, poi sviluppate da Enfantin, riprese da Heine,
porterà alla Umwertung aller Werte di cui parla Nietzsche culminando
nell’analisi della personalità umana di Sigmund Freud.
La volontà di «farsi prete» espressa da Heine nella prefazione ai
Reisebilder (datata  maggio ) era ciò che aveva impressionato
favorevolmente Enfantin, indispettito dalle opinioni politico-religiose
espresse dal poeta in De l’Allemagne. Egli la interpretò (cogliendo
acutamente un’effettiva trasformazione nella Weltanschauung heiniana),
come un segno di uno sviluppo o di uno spostamento da posizioni liberal-rivoluzionarie verso un punto di vista vicino ai sansimoniani, anche
se nato dalla revisione del cosiddetto Priesterbegriff. Se il compito della
figura del Priester fosse stato solo di risanare la Zerrissenheit dell’uomo
moderno e ricondurlo all’armonia di una condizione di libertà senza
anarchia e di stabilità senza egoismo, al superamento del «dualismo
morale», all’emancipazione sessuale, Heine potrebbe essere considerato

HEINRICH HEINE TRA SANSIMONISMO E HEGELISMO
un sostenitore di questa idea. Ma l’esperienza vissuta nella capitale francese, a contatto con la realtà dei movimenti culturali che in seno ad essa
prendevano vita e si trasformavano, dovette mutare anche il rapporto
che Heine aveva inizialmente instaurato con i rappresentanti del pensiero sansimoniano ed il suo modo di porsi nei confronti dei suoi ultimi
sviluppi. In un discorso con Heinrich Laube del maggio , Heine si
espresse in modo chiaro: «Il fatto è che […] la gente non aveva alcun
gusto: le arti stavano per loro solo sullo sfondo, noi poeti saremmo andati
a picco nel loro Stato».
Dolf Sternberger ipotizza un’evoluzione in senso restrittivo per
quanto riguarda il ruolo dell’artista nella società, maturato in seno al
movimento sansimoniano: nel Deuxième Année dell’Exposition l’artista
venne ridotto ad essere «la parola del prete». Non è certo che Heine
abbia letto il secondo volume dell’Exposition, ma senza dubbio questa
concezione della funzione ancillare dell’arte rispetto alla religione sarebbe
stata incompatibile con il suo modo di concepire il ruolo dell’artista
nella società. Wolfgang Preisendanz ha dedicato un lungo articolo al
tema dell’importanza della Autotelie e della Autonomie dell’arte nelle
concezioni estetiche heiniane, che in nessun modo possono essere accomunate a quelle di un Sozialpoet . Questa precisazione non esclude la
possibilità di considerare Heine uno dei primi engagierten Dichter della
storia letteraria europea.
Hegelismo e sansimonismo tendono ad essere separati come due
mondi a sé stanti, alternative che si escludono a vicenda. In realtà il
rapporto fra di loro non può essere enunciato in termini puramente
concettuali, ma implica un intreccio complesso di relazioni personali e
letture reciproche. Nel necrologio per la morte del filosofo nel , Gans
afferma che i sansimoniani «conobbero, studiarono, utilizzarono» Hegel.
Un discepolo di Saint-Simon, Gustave d’Eichthal (che entrò più tardi
in rapporto con Bazard, il principale redattore della “dottrina”) venne
ricevuto dal filosofo nel , proprio quando venivano tenute le lezioni
sulla filosofia del diritto che contenevano quegli attacchi al capitalismo e
al liberismo che costituiscono il trait d’union fra la teoria sociale hegeliana
e il sansimonismo. A quell’epoca alcuni autori, in modi diversi, attribuivano ad Hegel un contributo allo sviluppo delle dottrine sansimoniane. Si
trattava di Schelling, Pierre Leroux (tanto stimato da Heine) e Rosenkranz. Tra i discepoli del filosofo berlinese, Gans, Carové, Rosenkranz ed
altri approfondirono la conoscenza del movimento francese. Domenico
Losurdo sottolinea non solo un’analogia tra Hegel e Saint-Simon, ma
anche l’influenza diretta delle letture sansimoniane nel corso delle lezioni
sulla filosofia del diritto, dove il Catechisme des industriels viene preso
esplicitamente come termine di riferimento per un’autentica requisitoria

PAOLA FERRUTA
a carico dell’Inghilterra.
Anche negli Englische Fragmente di Heine () l’Inghilterra mostra il suo volto di “macchinario senz’anima: un paese in cui il dominio
borghese si è innestato su quello feudale senza soluzione di continuità”. La
critica all’“egoismo” inglese ricorda espressamente i sansimoniani. Infatti
«un unico filo conduttore sembra collegare il giudizio sull’Inghilterra di
Saint-Simon, Hegel, Heine [che riconduce] agli ambienti della “sinistra”
europea».
Esistono prove di una possibile lettura dei Frammenti inglesi da
parte del filosofo berlinese: notevole importanza ha anche la conoscenza
personale fra Heine e il maestro, maturata frequentando entrambi il noto
salotto di Rahel Varnhagen von Ense. Ciò dovette senz’altro influenzare
la mentalità dello studente, ancora in formazione. Certo è che «Heine
non è mai stato un hegeliano senza alcuna remora»; se, da una parte,
Heine rifiuta di accettare in blocco le idee del filosofo, dall’altra non
perviene ad un autentico superamento delle posizioni idealistiche. Benché
la modificazione della filosofia hegeliana porti all’attesa di una prossima
rivoluzione, altre concezioni del filosofo rimangono centrali nella visione
del poeta, legata “sentimentalmente” all’istituzione monarchica. L’influsso
delle lezioni berlinesi resterà molto forte per tutta la vita.
Come nel caso di Hinrichs e Gans, il rapporto con l’istituzione monarchica si rivela nuovamente emblematico per distinguere la posizione di
Heine da quella del giovane Marx. Ciò che li divide è l’istintivo bisogno
di Heine di conservare questa istituzione legata alla persona singola, per
Marx giustificata solo dall’arbitrio. La critica della filosofia del diritto
hegeliana era rivolta infatti allo Stato impersonato dal monarca. Jean
Pierre Lefebvre sostiene che l’ammirazione di Heine per la monarchia
costituzionale si rifà
in parte alla concezione dello stato hegeliana, ma anche al mito sempre vivo della
rivoluzione del , della quale vedeva la vittoria definitiva nella rivoluzione
di luglio, non intesa come salita al potere della borghesia trionfante, ma come
attuazione dell’idea di rivoluzione.
Ugo Rubini vede in questa sorta di attaccamento alla figura del sovrano
la testimonianza di alcuni tratti dell’ottimismo tipicamente russoiano,
che altri smentirebbero o metterebbero in dubbio a causa del legame
osservato più volte tra Rousseau e l’estremismo giacobino, assolutamente
inviso al nostro poeta. Malgrado ciò, gli influssi di questo pensatore sui
radicali e rivoluzionari interessati ai problemi dell’arte si fanno sentire,
come dovette osservare lo stesso Engels nel suo Anti-Duhring del , in
cui si meravigliava di come Rousseau avesse per certi aspetti anticipato
Marx, benché il pensatore ginevrino ritenesse inevitabile una rivoluzione

HEINRICH HEINE TRA SANSIMONISMO E HEGELISMO
causata dagli antagonismi di classe pur senza auspicarla, preferendo i
modi di una lenta evoluzione, consentiti da una riacquisita padronanza
del destino da parte dell’uomo, nel quale nutriva fiducia.
Heine coglie senza troppe difficoltà il «tratto giacobino nel socialismo
europeo» e comprende come il comunismo francese durante la monarchia
di luglio sia Kind des Republikanismus, individuando un atteggiamento
ascetico-egualitario che da Rousseau, passando attraverso Robespierre,
arriva ai repubblicani alla Börne, per poi confluire nel grande amalgama
del comunismo nascente. Come il «serio, rousseauiano Saint-Just odiò
lo spiritoso, fanfarone Desmoulins», così «il casto, incorruttibile (era la
reincarnazione di Rousseau) Robespierre detestò il sensuale, corrotto
Danton»; Heine in questo modo continua ad opporre il «Rousseauischen
Rigorismus» alla «Voltairesche légèreté». La sua simpatia per il più tipico
esponente dell’età dei lumi lo tiene saldamente ancorato a quell’epoca,
troppo distante per altri pensatori nati dopo di lui, ad esempio lo stesso
Marx. Anche il giovane Marx, appena giunto a Parigi, non può fare a
meno di constatare l’impostazione babouvista del comunismo francese
e, come Heine, ne critica aspramente la rozzezza.
Höhn sottolinea quanto intensamente il poeta si fosse interessato
all’hegelismo di sinistra nel corso degli anni Quaranta (nella sua biblioteca si trovavano libri di Feuerbach, Hegel, Rosenkranz). L’influsso della
sinistra hegeliana su Heine lascia tracce evidenti nel biennio - ed
ha a che fare principalmente con l’immagine del maestro, lo Hegelbild.
Ciò emerge nei Briefe über Deutschland, frammenti frutto di riflessioni
successive al viaggio ad Amburgo del , pubblicati soltanto nel .
La messa a punto di questo nuovo ritratto del maestro è vicina agli scritti
di Bauer, che negavano l’interpretazione panteistica della Identitätslehre
hegeliana in Strauss e intendevano dare agli insegnamenti del maestro
una valenza schiettamente ateista, leggendo l’intera filosofia hegeliana
come istigazione alla rivolta. Partendo dai presupposti tracciati da David
McLellan, Reeves individua la strada verso il futuro in una nota della
dissertazione del  del giovane Marx, nella quale egli menziona il
problema dello Hegel “esoterico”, nascosto dietro la facciata “essoterica”.
Il ritratto di Hegel come rivoluzionario nascosto è contenuto infatti nel
testo pubblicato da Bauer nel novembre del , Die Posaune des jungsten
Gerichts über Hegel den Atheisten und Antichristen, sebbene Auguste
Cornu abbia indicato in Heine la fonte di ispirazione per il Doktorklub.
Già nel  il nostro autore aveva saputo individuare i germi rivoluzionari
insiti nell’idealismo tedesco, profetando, come in altre occasioni, il futuro
rivolgimento politico in Germania. Nel primo frammento, infatti, Heine
stesso ricorda di essere stato il primo a dare un’interpretazione in senso
rivoluzionario della filosofia hegeliana.

PAOLA FERRUTA
In alcuni passi di Heine si possono riscontrare interessanti analogie
con il testo di Marx pubblicato a Parigi nel marzo  sui DeutschFranzösische Jahrbucher (sui quali apparve la satira politica heiniana più
spregiudicata), Einleitung zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie.
Secondo il poeta:
La distruzione della fede nel cielo ha un’importanza non semplicemente morale,
ma anche politica: le masse non sopportano più con pazienza cristiana la loro
miseria terrena, vogliono invece la felicità su questa terra.
Questa considerazione può essere messa a confronto con la rivendicazione
espressa da Marx negli Annali di un wirckliches Glück e la critica des
illusorischen Glücks del popolo. Ciò che il poeta non ha espresso nella
satira poetica del Wintermärchen del  viene certamente a galla nei
Briefe über Deutschland:
Ma non soltanto i razionalisti protestanti, perfino i deisti in Germania hanno
risentito i colpi della filosofia quando essa ha diretto tutte le sue catapulte contro
il concetto di Dio, come appunto ho mostrato nel mio libro De l’Allemagne.
Inoltre, a proposito di Hegel:
Solo più tardi compresi tali frasi. Così come solo più tardi compresi perché nella
filosofia della storia aveva affermato che il cristianesimo era già un progresso, in
quanto insegnava un dio che era morto, mentre gli dei pagani non avevano nulla
a che fare con la morte. Quale progresso dunque, quando il dio non sarà esistito
affatto! […] Il comunismo è quindi una conseguenza naturale di tale mutata
concezione del mondo, e infatti si va diffondendo in tutta la Germania. Ed è
un fenomeno altrettanto naturale che i proletari nella loro lotta contro l’ordine
vigente abbiano come guide gli spiriti più progrediti, i filosofi della grande scuola;
sono costoro che, passando dalla dottrina all’azione, fine ultimo di ogni pensare,
formulano il programma. Che cosa dice questo programma? Da molto tempo io
l’ho sognato ed espresso con le parole: “Noi non vogliamo essere né sanculotti,
né borghesi frugali, né presidenti a buon mercato: noi fondiamo una democrazia
di dei ugualmente splendidi, ugualmente sacri, ugualmente beati”.
È proprio in questo periodo, intanto, che Marx si esprime favorevolmente
nei confronti del comunismo. Marx non aderì al comunismo prima della
pubblicazione dei Deutsch-französische Jahrbücher. Secondo McLellan,
un terminus ante quem è costituito dai Manoscritti economico-filosofici,
redatti nell’estate del ; da quel momento in poi il passo è compiuto
e lo si può verificare leggendo il carteggio tra Marx ed Engels.
Jean Pierre Lefebvre aggiunge che in questo periodo Marx si accosta alla lettura di «Say, Smith, Ricardo, James Mill ecc. Questa terza
fonte del marxismo, di cui parla Lenin, rimase estranea ad Heine».
La diversità che allontanerà Marx da Heine sarà prettamente filosofica:

HEINRICH HEINE TRA SANSIMONISMO E HEGELISMO
«questi non intese la portata antihegeliana della critica alla predicazione
speculativa» come «non intese il valore né le implicazioni filosofiche del
“rovesciamento” – come allora si diceva – della dialettica hegeliana»,
benché avesse analizzato profondamente
le implicazioni politiche (necessità di passare dalla dottrina all’azione) ed ateistiche della posizione di hegelismo radicale (che tale per lui rimaneva la posizione
di Feuerbach e dei comunisti) del -, e partecipasse dell’avversione di Marx
(ecco un altro chiaro elemento d’influenza culturale di questi sul poeta) per i
fanatici monaci dell’ateismo […] come, ad esempio San Bruno Bauer.
Harich, ad esempio, si esprime in modo deciso, quasi dogmatico;
Heine rimase per lui fermo al punto che divide i Giovani hegeliani dal
socialismo scientifico e non assimilò il contenuto della “svolta” criticorivoluzionaria che ebbe luogo in Marx nel  a Parigi quasi davanti ai
suoi occhi. L’interpretazione restrittiva delle convinzioni politico-economiche dell’artista fornita da Harich e da Lukács viene però criticata
da Krüger.
Il problema dell’adesione al comunismo (o perlomeno il fascino che
l’idea comunista rivestì per Heine in quegli anni) è analizzato da Leo
Kreutzer in un saggio fondamentale per questo aspetto della posizione
politica heiniana; il suo interesse viene a coincidere con la rottura che il
partito nascente aveva saputo attuare rispetto alla tradizione di tipo russoiano (questo accostamento era già stato evidenziato da Emmerich),
che comportava un incontro tra la «grande scuola filosofica» hegeliana
e il movimento del proletariato. Kreutzer tiene a distinguere rapporti
con il comunismo e rapporti con Marx, i quali furono profondi e quasi
sempre cordiali. Dolf Oehler si è spinto ancora più avanti, ironizzando
sulla cecità generale della critica heiniana, incapace di comprendere il
gioco retorico del poeta nello schermirsi di fronte ai comunisti, in realtà
stimati. È stato il primo a notare che per Heine ciò che poteva essere
«qualitativamente nuovo» all’interno del comunismo è concepito come
un fenomeno «quasi esclusivamente tedesco», malgrado Lämke ritorni
al concetto di Vermittlung, di matrice hegeliana, mediazione tra filosofia
tedesca e francese, tra terra e cielo, tra «intelligenza borghese» e proletariato, attraverso la quale è possibile pervenire alla rivoluzione sociale
auspicata da Heine, affinché «il verbo diventi carne».
Negli ultimi anni l’attenzione degli studiosi non si è fermata sulla
questione con il medesimo interesse; in generale l’ipotesi della diffidenza
di natura estetica del poeta ha avuto più sostenitori.
Il contributo degli studi francesi all’analisi dei movimenti rivoluzionari consente un maggiore approfondimento del rapporto di Heine con
il comunismo dell’epoca, soffermandosi sulla loro autocritica interna a

PAOLA FERRUTA
partire dal -, basata sul rifiuto della «rozzezza iconoclasta» e sulla
consapevolezza dell’importanza dell’uguaglianza sociale. Le riflessioni
heiniane si sviluppano sulla scia delle istanze democratico-rivoluzionarie
neobabouviste, prolungamento ideale del riavvicinamento in atto tra le
correnti babouviste e robespierriste.
Nigel Reeves ha riassunto i principali punti di contatto tra Heine,
Marx e gli hegeliani di sinistra, che a volte coincidono con quelli individuati da altri nel confronto con gli hegeliani più moderati. Un’idea
chiave è sottesa alle considerazioni sulle rivoluzioni politiche: il pensiero
sempre precede l’azione, portandola già in nuce dentro di sé. Questo
presupposto viene continuamente riproposto negli scritti heiniani, nel
modo più suggestivo nella Fiaba Invernale del . «Il pensiero precede
l’atto come il fulmine il tuono».
Heine crede che il vero fine al quale la filosofia deve tendere sia la
realizzazione pratica. Anche e soprattutto per questo ammira Lutero:
«Era infatti un mistico sognante e un uomo pratico al contempo. I suoi
pensieri non avevano solo ali, ma anche mani; parlava e agiva».
Heine accusa spesso la Chiesa cattolica di avere separato il mondo
pratico da quello spirituale; i primi Cristiani sbagliarono a porre l’accento
sullo spirito, inteso come essenza del Cristianesimo, una overemphasis,
come afferma Nigel Reeves, sulla Idee che non può arrivare ad una earthly
fruition, con implicazioni catastrofiche. Sia la filosofia che la religione
dovrebbero riuscire a concretarsi nella Praxis.
Questo ci riporta ad un’idea comune a Marx e ai Giovani hegeliani.
Nel  alla base della Einleitung zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie c’è la convinzione che la mente sia la forza portante nelle
vicende umane: Marx continua ad essere un hegeliano di sinistra, come
al momento della pubblicazione dell’articolo Der Kommunismus und die
Augsburger Allgemeine Zeitung (ottobre ). Più tardi Marx negherà
la grande importanza ora ascritta alle idee. La critica alla religione
formulata da Heine precede di qualche anno quella degli altri hegeliani
di sinistra: grande importanza assume l’immagine della cristianità intera
vista come massa di oppiomani, nel saggio del  su Ludwig Börne:
Per uomini ai quali la terra non offre più nulla fu inventato il cielo […]. Miracolo di questa invenzione! Miracolo di una religione che versa nel calice amaro
dell’umanità sofferente alcune dolci, soporifere gocce, oppio della mente, alcune
gocce d’amore, speranza, fede!
Sternberger ritiene possibile che questa immagine sia legata ad alcune
reminiscenze delle lezioni sulla filosofia della storia tenute da Hegel cui
Heine assistette nel , quando cioè il grande filosofo descrisse l’intera
vita spirituale degli Indiani come fuga in un mondo irreale, che d’altra

HEINRICH HEINE TRA SANSIMONISMO E HEGELISMO
parte consentiva la sopravvivenza del rigido sistema delle caste e del
dispotismo arbitrario. Egli paragonò queste fantasie a quelle di un uomo
insoddisfatto che farebbe uso di oppio per dimenticare la sua situazione
sgradevole. Ancora più noto è lo slogan di Marx pubblicato a Parigi nel
 sugli annali di Ruge e contenuto nella Introduzione alla critica della
filosofia del diritto hegeliana.
Nigel Reeves, riportando di nuovo una metafora di Bauer, osserva
che «David McLellan ha trovato in Bruno Bauer la fonte della celebre immagine marxiana della religione come oppio insieme ad altre immagini e
frasi», obiettando che «Hess aveva già usato l’immagine dell’oppio in uno
scritto apparso l’anno precedente». Marx non condannava la religione
come “oppio dei popoli” in tutte le epoche. In modo analogo, ma con
una diversa struttura argomentativa, anche Heine, in Zur Geschichte der
Religion und Philosophie in Deutschland aveva diviso in periodi la storia
della Chiesa: in alcuni il credere si era rivelato un fatto utile e positivo,
in altri, invece, era diventato un fatto esclusivamente esteriore, di cui
alcuni si servivano a danno di altri. La critica alla religione era comunque
diffusa allora negli ambienti di sinistra e non si discostava dalla critica
al dispotismo. Lo spinozismo panteista, cui il poeta fece ricorso in Zur
Geschichte der Religion und Philosophie in Deutschland per puntellare il
suo vecchio credo nell’uomo come potenziale divinità, può essere accostato alla fede di Marx nell’umanesimo. L’interpretazione storicistica
di Feuerbach operata da Marx lasciava che il paradiso scendesse sulla
terra a visitarlo «come un dio fra gli uomini». Se Shakespeare e Balzac
poterono divenire i suoi idoli «perché avevano unito consapevolezza della
dinamica della storia rispetto all’uomo ad elevati livelli estetici», il Faust
di Goethe dovette sembrargli ancora più “umano”.
Heinz Hengst evidenzia l’affinità fra il «perfetto umanesimo» che
Marx aveva davanti agli occhi come definitiva emancipazione dell’umanità,
ed il sensualismo heiniano, due concetti vicini nell’astrazione. Il «nuovo
umanesimo» sul quale lui stesso aveva insistito, provocò una mutazione
del modo di accostarsi al marxismo e fino alla fine degli anni Trenta una
delle chiavi di lettura del pensiero di Marx fu di carattere umanitario ed
etico, benché negli anni Sessanta e Settanta si siano levate voci ostili nei
confronti di questo genere di interpretazione.
Lefebvre insiste a scorgere nella collaborazione con Marx l’acme della
lirica heiniana, proprio in quanto Heine cercava di concretare la riconciliazione della vita con l’idea attraverso la poesia, raggiungendo in questo
periodo una sintesi efficace tra il ruolo di pubblicista e polemista e quello
di poeta. Heine condivideva con Marx l’attesa di un totale capovolgimento dei rapporti sociali esistenti attraverso la rivoluzione futura, che
avrebbe sferrato un attacco contro la Eigentumsidee. Quando egli colse
la contraddizione insita nel carattere della rivoluzione del  in Francia,

PAOLA FERRUTA
che la riconduceva inequivocabilmente al passato della rivoluzione di
luglio, lasciando intatto il dominio della borghesia, una nuova delusione
dovette sommarsi a quella precedente. La questione sociale, eternamente
irrisolta, sembrava passare in secondo piano rispetto alla problematica
politica della forma di governo: essa era effettivamente mutata con
l’avvento della repubblica, mentre i problemi sociali non venivano affrontati. Heine, prostrato dalla malattia e sconvolto dagli orrori delle ripetute
violenze, espresse il suo disgusto di fronte al «grande bagno di sangue»
della rivoluzione del . I dubbi del poeta, la crisi della Weltanschauung
che aveva dato origine al suo modo di interpretare gli eventi storici si
aggiunsero alla più immediata delusione politica. Tale disillusione parve
portarlo a credere che fosse la casualità a reggere il concatenarsi degli
eventi; molti critici hanno segnalato uno sviluppo anti-hegeliano del suo
pensiero. In fondo Heine si era distaccato da una interpretazione della
storia «vicina all’idea di provvidenza, fondata interamente su principi di
ragione», esaltando intorno al  il valore del presente e della vita in sé
e per sé, non intesi come scopo né mezzo. L’affermazione del primato
del presente, fondamento della concezione hegeliana del tempo storico
e la difesa del Notrecht vengono rielaborate: per Heine il diritto di vivere
si trova posto al centro di un discorso politico, riportando le riflessioni
sulla filosofia della storia nell’ambito concreto del “diritto alla vita” e
dell’uguaglianza così come era stata intesa nel  .
Dalla sua critica non conseguiva altro se non che la storia è sempre, in ogni suo
atto, rivoluzione (e perciò, insieme, conservazione); ma a lui, invece, premeva
gridare la necessità della rivoluzione nel senso empirico di questa parola, come
un Luglio  da ripetere in Germania o una Rivoluzione francese da estendere
a taluni rapporti economici.
Va aggiunto che l’accento posto sul vitalismo sembra avvicinare il nostro
autore a Schopenhauer, il quale è stato già considerato un rappresentante
della cultura tedesca vicino ad Heine.
Per smentire l’impressione di Absage an Hegel bisogna esaminare
la valutazione del caos imperante, che affonda le radici nella filosofia
hegeliana. La pazzia di un dio divenuto ubriaco, la herrschende Unvernunft, viene criticata in nome della ragione, i criteri di giudizio restano
hegeliani. Michael Werner, sostenendo questa ipotesi, aggiunge che il
deismo heiniano degli ultimi anni non implica l’abiura dell’hegelismo.
La dialettica tra caso e ragione, centrale per quanto riguarda gli avvenimenti rivoluzionari, non concepisce progresso senza regresso, costituendo
il Fortschrittsbegriff heiniano fondamentalmente una contraddizione:
la ragione divina di Hegel convive con l’irrazionalità dionisiaca, il folle
Traumgebilde di un “dio ebbro”. Heine confidò a Kalisch il  gennaio

HEINRICH HEINE TRA SANSIMONISMO E HEGELISMO
 la sua conversione religiosa, riconducibile al giugno del , quando
«la morte con la sua falce impietosa stroncò la gioventù parigina». È nota
la sua frase: «In tali momenti il panteismo non può bastare. La miseria
dell’umanità è troppo grande. Si deve credere».
Se, come afferma nelle Confessioni (pubblicate nel  e concepite
poco prima), gli hegeliani gli avevano concesso di «condurre i loro porci al
pascolo», si erano poi rivelati essere dei Lumpen, dei mascalzoni. Eppure
Heine deve ammettere di avere contribuito all’avvento della rivoluzione
«intesa come conseguenza di quello sviluppo ideologico cui egli stesso
aveva dato il proprio apporto (in quanto hegeliano ateo)». Proprio nelle
Confessioni  Heine confermò che era stata l’insania dei fatti sanguinosi
del  a riportarlo a Dio; dopo la discussa abiura dell’hegelismo e il
riconoscimento di un principio deistico volto a spiegare e a reggere il
mondo, il modo heiniano di concepire la storia (essenzialmente hegeliano)
contraddice certo quello precedente il  ma ne conserva numerosi
aspetti. Da allora, per risolvere questa antinomia, Heine presenta i suoi
aneliti religiosi come qualcosa di strettamente personale, una sorta di
«rivoluzione di febbraio nelle mie opinioni religiose e nei pensieri».
Il poeta manifesta l’intenzione di scindere l’ambito religioso-personale
da quello politico-storico, tentando artificiosamente di prescindere dal
loro influsso reciproco. La complessità di questo processo è evidente se
si pensa all’«interpretazione di Hegel personale, panteista» degli anni
precedenti.
Il motivo della Trennung e della Zerrissenheit era destinato ad avere
un certo successo presso i critici; si è infatti parlato di una lacerazione
interiore di Heine a proposito della «Trennung del principio della sofferenza e del principio della lotta nell’utopia rivoluzionaria». Werner
osserva che la rottura con gli hegeliani rappresenta un modo per non
sentire più il peso della responsabilità storica degli avvenimenti di febbraio, senza dover perciò rinunciare a una critica audace e acuta dei
fatti; la distinzione tra religione e politica gli consente di mantenere vivi
i presupposti politico-democratici della sua visione delle cose.
Dopo il , l’idea del capovolgimento del “vecchio mondo” viene
unita in modo più “materialista” alla grosse Suppenfrage, la scissione tra
religiosità personale e giudizio storico porta paradossalmente ad un
modo di concepire la storia spogliato dall’idealismo, che non riesce più
a «sovrapporre alle “terribili conseguenze” della “dottrina” comunista la
concezione di una umanità divinizzata». Walter Grab conferma come
in questo periodo «non si possa assolutamente parlare di una svolta
nelle concezioni politiche heiniane», nel senso di un totale distacco dagli
ideali del passato. Dello stesso parere si mostra Jean Pierre Lefebvre,
riconoscendo i persistenti riflessi della filosofia hegeliana anche nelle

PAOLA FERRUTA
Confessioni, l’opera dove il poeta sembra ritrattare pubblicamente il
suo passato e che ha indotto gli studiosi a confrontarsi con il problema
dell’eredità dell’hegelismo. Proprio nelle Confessioni Heine accenna
infatti, tra il serio ed il faceto, alle conseguenze mefistofeliche e irreligiose della filosofia hegeliana, lasciando trasparire ciò che doveva averlo
maggiomente colpito riguardo alle potenzialità di quella dottrina. «Ben
presto fui costretto a convenire», scrisse allora il vecchio poeta parlando
del comunismo «che a tutte queste cose da senza Dio la filosofia hegeliana
aveva dato il più spaventevole impulso».
Il discusso commiato dall’hegelismo nelle Confessioni viene spiegato
da Sternberger proprio in virtú della particolare simbiosi tra il sansimonismo e lo stesso hegelismo: die Synthese der Hegelschen Doktrin che
avrebbe dovuto lusingare la superbia dell’artista lascia trasparire un linguaggio definitivamente sansimoniano: definire la filosofia hegeliana una
«dottrina» e poi una «sintesi» riporta il testo nell’ambito della sensuale
pretenziosità delle dottrine sansimoniane che sembrava scomparsa dalla
memoria di Heine. Secondo Sternberger, il poeta cela intenzionalmente
il “lessico” della Salle Taitbout: «nel momento in cui sembra rinnegare
Hegel, il grande Hegel, egli evita in realtà di prendere pubblicamente
commiato dai sansimoniani». L’aver dato particolare importanza alla
Absage nei confronti di Hegel nelle Confessioni avvicina Sternberger agli
interpreti più conservatori di Heine, che tendono a sorvolare o a minimizzare questo aspetto della filosofia politica del poeta.
La rivoluzione del  fallì a causa della mediocrità dei suoi protagonisti, che il poeta seppe ridicolizzare con i suoi versi acuminati: gli
auserlesene Geister di sansimoniana memoria erano ormai dispersi nelle
nebbie del passato. Per garantire la vittoria della borghesia repubblicana
occorsero più di tremila morti e quindicimila feriti tra i cittadini ed un
migliaio nell’esercito. La nuova maggioranza venne poi sorprendentemente smentita il  dicembre , quando, come è noto, gli elettori
scelsero di votare a favore di Luigi Napoleone, che divenne presidente.
Benché Heine avesse saputo riconoscere questa fatale tendenza insita nel
destino storico del popolo francese e vi si fosse in parte identificato, il suo
ideale “imperatore sansimoniano” era ben diverso dalle personalità a cui
gli eventi più recenti avevano affidato un ruolo di primo piano.
Il bonapartismo del poeta costituisce «una parte integrante – e non
semplicemente strumentale – del suo socialismo»: in un’intervista
rilasciata ad un giornalista inglese, John Crockford, nel  Heine riassunse le opinioni politiche degli ultimi anni della sua vita, esprimendo la
«fedeltà» a Napoleone, il «suo» imperatore «del popolo, per il popolo»,
da sempre e per sempre atteso.

HEINRICH HEINE TRA SANSIMONISMO E HEGELISMO
Note
. Tra le manifestazioni tenutesi in occasione del bicentenario della nascita si ricordano
le attività dell’Heinrich Heine Istitut di Düsseldorf, diretto da Joseph A. Kruse, curatore
dell’Heine Jahrbuch e della collana Heine Studien; l’Internationales Heine Symposium a
Bonn nel maggio ; il XVIII Simposio internazionale di studi italo-tedeschi Heinrich
Heine (-) nel II centenario della nascita a Merano nel dicembre ; I Colloques
internationaux d’Aix-en Provence et de Montpellier (- dicembre ) che contiene un
contributo di Michael Werner sulla ricezione di Heine in Francia, non esente da strumentalizzazioni nazionalistiche e politiche; il numero / della “Revue germanique
internationale”, diretta da Michel Espagne e Jacques Le Rider, interamente dedicato alla
concezione della storia di Heine.
. J. Habermas, Heinrich Heine und die Rolle des Intellektuellen in Deutschland, in
Eine Art Schadensabwicklung. Kleine politische Schriften VI, Frankfurt , pp. -.
. Habermas, Heinrich Heine, cit., p. , sottolinea “l’errore” della Fetischisierung
des Geistes e della Funktionalisierung der Macht.
. B. Gutleben, Die deutsch-deutsche Heine-Forschung, Frankfurt .
. H. Arendt, Schlemil, il principe del mondo di sogno, in Il futuro alle spalle, a cura
di L. Ritter Santini, Bologna .
. Th. W. Adorno, La ferita Heine, in Note per la letteratura -, Torino ,
pp. -.
. R. Robertson, Heine, London , p. .
. L. Marcuse, Die Tragödie des bürgerlichen Revolutionäre, München .
. L. von Stein, Geschichte der sozialen Bewegung in Frankreich von  bis auf unsere
Tage,  voll., , rist. an. Hildesheim , in particolare vol. , p.  (“Königstum der
sozialen Reform”).
. H. Boldt, Heine in Zusammenhang der politischen Ideen seiner Zeit, in Heinrich
Heine im Spannungsfeld von Literatur und Wissenschaft, .
. H. Lübbe, Politische Philosophie in Deutschland, Basel-Stuttgart , p. .
. Boldt, Heine in Zusammenhang, cit., p. .
. «Una vaga anticipazione del celebre parallelo può forse essere rinvenuta in una
lettera del filosofo a Schelling del  aprile », M. Duichin, Kant e Robespierre: la
ricezione di un paradigma heiniano nella cultura italiana fra Ottocento e Novecento, in La
tradizione kantiana in Italia, Messina .
. Robertson, Heine, cit., p. .
. H. Holborn, Die deutsche Idealismus in sozialgeschichtlicher Beleuchtung, in
“Historische Zeitschrift”, vol. , p. .
. H. Hengst, Idee und Ideologieverdacht. Revolutionäre Implikationen des deutschen
Idealismus im Kontext der zeitkritischen Prosa Heinrich Heines, München , p. .
. Ivi, p. .
. H. F. W. Hinrichs, Politische Vorlesungen in öffentlichen Vorträgen an der Universität zu Halle dargestellt, vol. I, Schwetschke, Halle , p. VIII.
. Lübbe, Politische Philosophie, cit., p. .
. J. Ritter, Hegel und die französische Revolution, Frankfurt , p. .
. Hengst, Idee und Ideologieverdacht, cit., p. .
. E. M. Butler, The saint-simonian religion in Germany, Cambridge .
. J. P. Lefebvre, Marx und Heine, Weimar .
. P. Chiarini, Alle origini dell’intellettuale moderno. Saggio su Heine, Roma .
. G. Tonelli, Heinrich Heine politische Philosophie, Hildesheim .
. I. Cervelli, Cesarismo e Cavourismo. A proposito di H. von Sybel, A. de Tocqueville
e Max Weber, in “La Cultura”, X, , pp. -.
. A. Momigliano, Per un riesame della storia dell’idea di cesarismo, in Secondo
contributo alla storia degli studi classici, Roma .

PAOLA FERRUTA
. Boldt, Heine in Zusammenhang, cit., p. , con riferimenti a Hermann Wagener,
Wilhelm Roscher, Friedrich Engels, contenuti del supplemento aggiuntivo n.  del Francia, München , Der Bonapartismus. Historisches Phänomen und politischer Mythos.
Altri riferimenti in D. Groh, Cäsarismus, Napoleonismus, Bonapartismus, Führer, Chef,
Imperialismus, in O. Brunner, W. Conze, R. Kosellek (hrsg.), Geschichtliche Grundbegriffe.
Historisches Lexikon zur politisch-sozialen Sprache in Deutschland, vol. , Stuttgart ,
pp. -.
. H. Heine, Rendiconto Parigino, a cura di P. Chiarini, Roma , p. .
. G. Iggers, Heine and the Saint-Simonian: a re-examination, in Comparative Literature, vol. X, n.  (), pp. -.
. F. Sengle, Biedermeierzeit. Die Dichter, Stuttgart , p. .
. Ivi, p. .
. Eduard Krüger critica lo scetticismo comune a Lukács e Harich nei confronti delle
concezioni filosofiche e politico-economiche di Heine. Cfr. E. Krüger, Heine und Hegel.
Dichtung, Philosophie und Politik bei Heinrich Heine, Kronberg/Ts , p. .
. L. von Stein, Geschichte der sozialen, cit., p. .
. Iggers, Heine and the Saint-Simonian, cit., p. .
. F. Hirth, Heine-Briefe, Mainz , ,  (n. ).
. “Globe”, Jan. , .
. Werke und Briefe , , .
. «He used saint-Simonian religious concepts as weapons against the entrenched
traditional German religiosity, which he considered a main obstacle to political revolution.
But his political aim still was to establisch a german democracy rather than a centralized,
authoritarian hierarchy of the capable» (Iggers, Heine and the Saint-Simonian, cit., pp.
-).
. J. Hermand, Mehr als ein Liberaler, Frankfurt , p. .
. G. M. Cazzaniga, La crisi come elemento costitutivo della modernità in Heine e
Marx, in Metamorfosi del moderno, Firenze , p. .
. G. Iggers, The Cult of Authority, the Political Philosophy of the Saint-Simonian, A
Chapter in the Intellectual History of Totalitarianism, The Hague , p. .
. La ricezione sansimoniana dell’opera di Spinoza non può essere riassunta da questa
citazione isolata. Cfr. Oeuvres de Saint-Simon et d’Enfantin, Dentu, Paris -II.
. J. P. Lefebvre, Der gute Trommler, Hamburg, .
. Il considerare Heine “uomo del suo tempo” è alla base della critica di Habermas
ad Adorno, che tende invece a valutare il suo radicalismo sulla scia della tradizione illuministica. Cfr. Habermas, Heinrich Heine, cit., p. .
. La critica di Baudelaire al sentimentalisme matérialiste di Heine è degna di nota;
egli si riferiva probabilmente al sostegno economico che il poeta accettò dal governo
francese. Cfr. D. Ohler, Heine, Baudelaire, Nietzsche, in Studi italo-tedeschi, Merano ,
p. .
. Non va inoltre dimenticato l’influsso del misticismo ebraico, le letture giovanili
dello Zohar, aspetto su cui la critica si è soffermata recentemente. Cfr. M. Ponzi, Heine
e l’Ebraismo, in M. Ponzi (a cura di), Tradizione ebraica e cultura di lingua tedesca, Assisi
1995, pp. -, e M. Werner, Heinrich Heine. Über die Interdependenz von jüdischer,
deutscher und europäischer Identität in seinem Werk, in W. Grab, J. Schoeps (hrsg.), Juden
im Vormärz und in der Revolution von 1848, Stuttgart-Bonn , pp. -.
. P. Chiarini (a cura di), Zur Geschichte der Religion und Philosophie in Deutschland,
II, Roma .
. W. Harich, Heinrich Heine und das Schulgeheimniss der deutsche Philosophie, in
Sinn und Form,  Jahr., .
. Ivi, p. .
. K. Löwith, Weltgeschichte und Heilsgeschehen, Stuttgart .
. R. Koselleck, Einleitung. Zur anthropologischen und semantischen Struktur der

HEINRICH HEINE TRA SANSIMONISMO E HEGELISMO
Bildung, in Bildungsbürgertum im . Jahrhundert, vol. II, Bildungsgüter und Bildungswisssen, Stuttgart , p. .
. Butler, The saint-simonian religion, cit.
. A. Strodtmann, Heinrich Heines Leben und Werke,  voll., Berlin .
. Einseignement del .., Oeuvres de Saint-Simon et d’Enfantin, cit., , .
. D. Sternberger, Heirich Heine und die Abschaffung der Sünde, Hamburg .
. H. H. Houben, Gespräche mit Heine, Hamburg , n. , p. .
. Oeuvres de Saint-Simon et Enfantin, cit., , .
. W. Preisendanz, Heine, Saint-Simonismus und Kunstautonomie, München .
. M. Windfuhr, Zum Verhältnis von Dichtung und Politik bei Heinrich Heine,
in Heine Jahrbuch, Düsseldorf ; P. Chiarini, Alle origini dell’intellettuale moderno,
Roma .
. D. Losurdo, Tra Hegel e Bismarck, Roma .
. Ivi, p. .
. Harich, Heinrich Heine und das Schulgeheimniss, cit., p. .
. J. P. Lefebvre, Marx und Heine, Weimar .
. U. Rubini, Heine a Parigi, -, Bari .
. H. Heine, Ludwig Börne. Un memoriale, Bari , a cura di Paolo Chiarini;
Rendiconto parigino, a cura di P. Chiarini, Roma .
. N. Reeves, Heine and the young Marx, Oxford ; D. McLellan, The Young
Hegelians and Karl Marx, London .
. Briefe aus Deutschland, traduzione tratta da F. Mende, La scienza della libertà,
Roma , pp. -.
. G. Höhn, Heine. Handbuch. Zeit, Person, Werk, Stuttgart .
. H. Heine, Briefe über Deutschland, trad. it. in Mende, La scienza della libertà,
cit., p. .
. McLellan, The Young Hegelians, cit.
. Lefebvre, Marx und Heine, cit.
. E. Rambaldi, Le origini della sinistra hegeliana. Heine, Strauss, Feuerbach, Bauer,
Firenze .
. Harich, Heinrich Heine und das Schulgeheimniss, cit.
. E. Krüger, Heine und Hegel, Kronberg .
. L. Kreutzer, Heine und der Kommunismus, Göttingen .
. K. Emmerich, Heinrich Heines politisches Testament in deutscher Sprache, in
“Weimarer Beiträge”, , .
. D. Oehler, Heines Genauigkeit. Und zwei komplementäre Stereotypen über das
Wesen der proletarischen Massen, in “Diskussion Deutsch”, , .
. O. Lämke, Heine, Lutèce et le communisme. Une nouvelle conception de l’histoire
après ?, in “Revue germanique internationale”, , .
. W. Schieder, Heinrich Heine und der Kommunismus, in Heinrich Heine -,
Düsseldorf .
. Cfr. J. Grandjonc, Communisme/Kommunismus/Communism: Origine et dévelopment international de la terminologie communautaire prémarxiste des utopistes aux
néo-babouvistes -, t. I, Historique, Trier ; J. M. Schiappa, Gracchus Babeuf,
avec les Égaux, Paris .
. «Hegel and its hidden revolutionary content; the interpretation of German
philosophy since Kant as an intellectual equivalent to the French Revolution; the belief
that ideas shape the world and that the philosophical revolution would bring in its train a
German political and social revolution; the view that a philosophy is not valuable in itself
but in ist effect on reality, in Praxis; the claim that Christianity was allied to despotism and
the source of men’s inner self-division; the declaration that an age of subjectivism was in
the ascendant» (Reeves, Heine and the young Marx, cit., p. ).
. In Wahre ed. Ernst Elster, vol. IV, Leipzig -, p. .

PAOLA FERRUTA
. Riferimenti all’importanza della pratica ed alla sua correlazione con la teoria sono
presenti anche nella fitta corrispondenza di Enfantin con gli aderenti al gruppo sansimoniano. Cfr. Archives, t. I, FE (Fonds Enfantin de la Bibliothèque de l’Arsenal), , f. .
. «Asserting that his concern was not with concepts but with the understanding of
social and economic conditions», Reeves, Heine and the young Marx, cit.; cfr. Die heilige
Familie (), Marx/Engels Werke (MEW), Berlin  e in particolare, Die deutsche ideologie (), MEW, vol. , p. .
. Heine, Briefe über Deutschland, cit.
. Sternberger, Heirich Heine, cit.
. «Die Religion ist der Seufzer der bedrängten Kreatur, das Gemüt einer herzlosen
Welt, wie sie der Geist geistloser Zustände ist. Sie ist das Opium des Volkes», MEW, I,
.
. Reeves, Heine and the young Marx, cit.
. Riconducibile all’Almansor del .
. G. L. Mosse, La cultura dell’Europa occidentale, Milano .
. Hengst, Idee und Ideologieverdacht, cit., p. .
. M. Foucault, L’archéologie du savoir, Paris .
. Lefebvre, Marx und Heine, cit.
. H. Heine, Concezioni diverse della storia, trad. it. di B. Croce, in “La Critica”,
vol. , , pp. -.
. Egli si riferisce esplicitamente a Saint-Just anche se il discorso del  dicembre
 di Robespierre è simile al testo di Heine in modo evidente. «Quel est le premier de
ces droits? Celui d’exister», Robespierre, Écrits, Paris , p. .
. B. Croce, Uno scritto di Enrico Heine sulla teoria della storia, in Conversazioni
Critiche, .
. Si tratta di due passi di Nietzsche: «[…] denn in gleicher Weise wie Schopenhauer
jetzt schon mehr in Frankreich geliebt und gelesen wird als in Deutschland, ist auch der
Cultus Heinrich Heines nach Paris übersiedeld», in F. Nietzsche, Kritische Gesamtausgabe,
Nachgelassene Fragmente Herbst  - Herbst , , vol. , a cura di G. Colli e M. Montinari, Berlin , pp. -. Anche nella Götzen-Dämmerung Heine, Schopenhauer, Hegel e
Goethe sono considerati i rappresentanti del passato della cultura tedesca ormai incapace
di rigenerarsi; Nietzsche, Die Götzen-Dämmerung, cit., , vol. , Berlin , p. .
. M. Werner, Heine und die franzosische Revolution von , in W. Gössmann, J.
A. Kruse (hrsg.), Der späte Heine -, Hamburg .
. M. Werner, Begegnungen mit Heine, vol. II, Hamburg , p. .
. Ivi, p. .
. In K. Briegleb ed., vol. VI, I, München -, p. .
. Lettera di Heine a Laube del  gennaio .
. O. Lämke, Heines Begriff der Geschichte, Stuttgart , p. .
. K. Briegleb, General Marx – Hund Heine, Trier .
. Anche secondo Höhn Heine muore perdendo le illusioni, «mais il meurt en
dialecticien». La disillusione rispetto al suo avvenire personale non fa cessare la speranza
reiterata dalle possibilità della Storia. Cfr. G. Höhn, “Les salons disent le faux, les tombeaux
disent le vrai”. Heine, penseur de l’histoire, in “Revue germanique internationale”, , ,
pp. -.
. Il punto di convergenza o di passaggio tra storia universale e destino personale è
il poeta stesso, la sua maniera di comunicare recupera la perduta unità a partire da questa
tensione tra «storie universali multiple» e visione del tempo propria della visione poetica.
Cfr. M. Werner, Réflexion et révolution. Notes sur le travail de l’histoire dans l’oeuvre de
Heine, in “Revue germanique internationale”, , , pp. -.
. Ivi, p. .
. W. Grab, Heine und die deutsche Revolution von , in Gössmann, Kruse
(hrsg.), Der spate Heine, cit., p. .

HEINRICH HEINE TRA SANSIMONISMO E HEGELISMO
. J.P. Lefebvre, Der gute Trommler, Hamburg .
. Sternberger, Heirich Heine, cit.
. B. Gutleben, Die deutsch-deutsche Heine-Forschung, Hamburg , p. .
. V. Hansen, Johannes der Taufer. Heines bedingter Bonapartismus, in Gössmann,
Kruse (hrsg.), Der späte Heine, cit., p. .
. «I have expanded into self-deification with that prince of cloud-embracers, Hegel
[…] but I have never swerved from my faith in the Emperor. I have never ceased to doubt
of his advent – My Emperor –, the ruler of the people for the people». In M. Werner,
Begegnungen mit Heine, Hamburg , vol. II, p. .

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