lavoro - Gruppo di Ricerca Geriatrica

Transcript

lavoro - Gruppo di Ricerca Geriatrica
INDICE
FENOMENO BADANTI
Una soluzione sempre più diffusa
Un mondo sconosciuto
IL LAVORO IN ÉQUIPE
Potenzialità, indicazioni e risultati
Modello OASIS per l’assistenza
La sperimentazione di Atlanta
INCONTINENZA URINARIA
Valutazioni utili alla comprensione
Caratteristiche, impatto e test
LAVORO IN ÉQUIPE
Il modello organizzativo PLST
INTEGRAZIONE POSSIBILE
L’operatore nell’équipe assistenziale
IL LAVORO IN ÉQUIPE
Il modello organizzativo ECSIP
ALLEANZA ANTI-DEMENZA
L’importanza del patto terapeutico con la famiglia
INDICE
> AIOCC
FENOMENO BADANTI
Una soluzione sempre più diffusa
Avere una badante che si prende cura
dei nostri anziani è una realtà oramai
ampliamente diffusa. Queste donne, per
lo più provenienti dai paesi dell’Est, sono
apparse nelle nostre case, insinuandosi
senza clamore nel tradizionale rapporto
tra famiglie e servizi tanto che se fino a
qualche anno fa la Casa di Riposo rappresentava la soluzione cui ricorrere in
situazioni di salute precaria e necessità
di aiuto nello svolgere tutte le attività
necessarie a svolgere una vita autonoma
(camminare, mangiare, vestirsi…), oggi
il primo pensiero delle famiglie è quello di
provare a risolvere la situazione rivolgendosi all’assistenza fornita da una
badante. La soluzione “badante” non è
solo più economica, ma consente di
mantenere l’anziano a casa, tra i ricordi
e le cose care di una vita e sedare i sensi di colpa che inevitabilmente accompagnano la scelta di ricorrere alla Casa
di Riposo. Non v’è dubbio, infatti, che sebbene le nostre strutture siano nella quasi
totalità dei casi luoghi piacevoli, dove
ogni tentativo è fatto per accogliere l’anziano e la sua famiglia e fare sentire entrambe a proprio agio, i retaggi del passato, quando le si chiamava ospizi e ad
esse si rivolgevano i poveri, i soli, riaffiorano e alimentano vissuti negativi. Come operatori spesso ci troviamo ad
Un mondo sconosciuto
> di PATRIZIA FARINA *
L‘ASSISTENZA domiciliare e l’aiuto
domestico agli anziani da parte dei privati
sta assumendo una dimensione sempre
più rilevante e sono soprattutto gli stranieri
ad alimentare l’offerta di questi servizi. Le
ragioni di questo aumento sono da ricercare principalmente in alcuni caratteri
specifici della società italiana e, fra questi,
ha assunto un ruolo di rilievo l’invecchiamento della popolazione, inteso sia in
senso biologico-individuale, sia in quello
demografico-collettivo, quest’ultimo determinato perlopiù dalla drastica riduzione
delle nascite. La speranza di vita alla
nascita in Italia è raddoppiata fra l’inizio
del secolo scorso ed oggi raggiungendo
i 77 anni per gli uomini e 83 per le donne.
Il rilevante spostamento dell’età alla morte
è accompagnata da un aumento dell’incidenza della disabilità determinata soprattutto dalle malattie croniche e degenerative tipiche delle età anziane. Basti
osservare che nel 1999 una sessantacinquenne poteva sperare ancora in 20
46
GEN 07 ASSISTENZA ANZIANI
anni di vita, 4 in più dei coetanei, ma gli
anni privi di disabilità erano 15 contro i
quasi 14 degli uomini. Fra il 1990 e il 2000
si è registrato un guadagno di un anno e
mezzo di vita a 65 anni per uomini e
donne, ma considerando la vita in buona
salute tale guadagno si riduce a un anno
per le donne e a due per gli uomini (Blangiardo, 2002).
Questo processo ha determinato un’elevata domanda di cura cui il sistema dei
servizi provvede marginalmente e che
non è più assicurato - nel contesto familiare - dallo scambio generazionale per la
scarsa conciliabilità di ruoli lavorativi e di
cura tradizionalmente ad appannaggio
femminile. Tutto ciò peraltro è avvenuto
mentre si stavano realizzando in altri
paesi condizioni politiche e sociali che
hanno favorito l’immigrazione straniera.
Il crollo del regime sovietico, e più in generale la polarizzazione della ricchezza
a favore del mondo economicamente
sviluppato, ha favorito l’emigrazione di un
interagire con una badante che fa da
tramite tra i servizi in cui lavoriamo (assistenza domiciliare, centro diurno, ospedale, casa di riposo) l’anziano e la sua
famiglia. Ma chi sono queste donne, da
dove provengono, cosa le ha spinte a venire in Italia per occuparsi dei nostri anziani?
Patrizia Farina, Docente di demografia
presso la Facoltà di Scienze Statistiche,
Università degli studi Milano Bicocca ha
svolto un indagine da cui ha desunto un
sintetico profilo delle badanti riportato
nell’articolo seguente. (Ermellina Zanetti, Associazione Italiana Operatori
Cure Continuative)
crescente numero di individui attratti dalle
opportunità di lavoro e dalla convenienza
derivante dai differenziali salariali. Fra
queste popolazioni si annoverano anche
quelle “specializzate” nella cura degli
italiani anziani, capaci cioè di soddisfare
una domanda crescente di assistenza
dentro le mura domestiche e quindi di
risolvere la tensione generata dalla
mancanza di soluzioni accettabili oltre il
ricovero.
Nello specifico caso italiano queste mansioni sono svolte principalmente dalle
donne Est europee, dalle latino americane e dalle asiatiche. Sfruttando l’indagine 2004 dell’Osservatorio regionale
sulla presenza straniera e l’archivio dei
dati individuali dei regolarizzati in Lombardia dalla legge Bossi-Fini è possibile
fornire qualche informazione sui profili
insediativi in Lombardia della popolazione
che si prende cura degli anziani oltre ad
alcune caratteristiche delle relazioni fra
questa e la popolazione lombarda anziana1.
La popolazione
che si prende cura
L’assistenza domiciliare è al secondo
AIOCC <
emigrazione anche per
l’incompatibilità di
questo con il tipo di lavoro esercitato. Le moti95,0%
vazioni a emigrare di
questo gruppo sono es(%)
28,1
senzialmente da ricon12,1
durre ad un investimen9,5
to che si realizza al pae9,3
9
se di origine: l’acquisto o
7,8
l’ampliamento della ca17,3
sa, il matrimonio dei figli,
anni
il sostegno economico
39
agli studi hanno progetti
32
migratori che non pre(%)
vedono il radicamento
24,1
sul territorio lombardo.
48,6
27,2
La temporaneità della
80,0%
loro presenza e la missione che si prefiggono
67,1%
- ottenere il massimo
vantaggio economico
nel minor tempo possi80,0%
bile - le rende i soggetti
44,2%
ideali per la cura degli
anziani non autosufficienti. Esse non sosten91,9%
gono spese per il vitto e
69,4%
l’alloggio massimizzando il guadagno. Per con68,0%
tro vivono in condizioni
800,00
di disagio sia per la scarsa possibilità di avere
8,7%
relazioni con i connazionali e per il contatto quasi esclusivo con la persona che curano,
generalmente anziana e malata. Esse,
inoltre, per le stesse ragioni si adattano
ad esercitare questo lavoro pur avendo
titoli di studio elevati - la proporzione di
laureate è del 16% - cosicché il tasso di
disoccupazione fra questo collettivo è
solo del 6,7%, la metà di quello medio
straniero regionale. L’accesso al mondo
del lavoro è favorito dalle conoscenze e
ciò si spiega anche con il fatto che
almeno fino alla sanatoria Bossi-Fini una
quota consistente di queste donne era
irregolarmente presente e quindi
impossibilitata ad accedere al lavoro
attraverso canali formali. Al proposito si
osserva che il 44% di queste donne ha
utilizzato sanatoria cosicché il permesso
di soggiorno è un titolo attualmente in
possesso dell’80% di queste 3 .
TABELLA 1 > IL PROFILO DELLA POPOLAZIONE
CHE SI PRENDE CURA DEGLI ANZIANI
CARATTERISTICHE STRUTTURALI
Genere (femminile)
Cittadinanze prevalenti:
Ucraina
Filippine
Romania
Perù
Ecuador
Moldavia
Altre Est Europa
Età media:
Donne
Uomini
Stato civile:
Celibe/nubile
Coniugata/o
Separata/divorziata
Genitore di almeno un figlio
Istruzione superiore o laurea
STATUS GIURIDICO
Permesso o carta di soggiorno
Utilizzo sanatoria
DIMENSIONE LAVORATIVA
Permesso per lavoro dipendente
Occupato regolare
Abitazione sul luogo di lavoro
Reddito medio (euro)
Esperienze di lavoro internazionale
posto nella graduatoria dei lavori svolti
dalla popolazione straniera presente in
Lombardia (6,6%) preceduta solo dal lavoro operaio non specializzato (12,6%)2.
Tale attività è esercitata soprattutto da
stranieri provenienti dall’Europa dell’Est
e in misura minore dall’Asia e dall’America Latina. Questo collettivo ha un’età
media relativamente elevata (tabella 1) se
si considera che l’insieme degli immigrati presenti non supera i 31-32 anni.
Esso, inoltre, è composto soprattutto da
donne (95%) inserite in una rete comunitaria di aiuto circoscritto soprattutto
all’ambito lavorativo. Il 27% di questi
soggetti appartiene a famiglie spezzate
da divorzio o da separazione e l’80% ha
avuto esperienze di maternità o paternità,
ma il modello insediativo prevalente non
prevede il ricongiungimento dei figli in
L’appartenenza al gruppo irregolare oltre
a condizionare i legami con il proprio
paese - è impossibile tornare a casa modifica anche le credenziali lavorative.
Ad esempio, le donne di origine polacca
usano la regolarità della presenza come
credenziale competitiva rispetto ad altre
nazionalità, prime fra tutte quella ucraina
e moldava4.
A completamento del profilo di questa
popolazione va sottolineato il fatto che per
molte donne l’Italia è il primo paese di
emigrazione per lavoro. Solo l’8,7% infatti,
è stato per almeno sei mesi in un altro
paese e quando questo è successo le
destinazioni sono state europee per le
donne est europee; medio orientali per le
poche filippine; spagnole e portoghesi per
le latino americane.
I legami
con la popolazione accudita
Il sostegno agli anziani può essere distinto nella cura della persona e della casa, due tipologie che si differenziano per
competenza e tempo richiesto, ma difficilmente separabili perché la prima spesso implica anche la seconda, tuttavia,
l’archivio dei dati della sanatoria compie
questa distinzione5.
Un primo carattere rilevante dei legami fra
domanda e offerta di servizi si osserva
nella correlazione che esiste tra l’età del
datore di lavoro e il numero di assistenti
alla persona e i domestici, con i primi che
si concentrano nell’età 80-90 anni (44%),
mentre i secondi sono più equamente
distribuiti in tutte le età del datore di
lavoro (tabella 2).
La più debole correlazione fra età e lavoro
domestico si riconferma guardando
all’indice di specializzazione assistenziale
(ISA) che indica la prevalenza del lavoro
domestico solo nelle prime due classi di
età, tale correlazione si inverte invece
nelle classi di età più avanzate, in particolare nella classe degli ultranovantacinquenni dove si ha un rapporto ISA pari a
176. (tabella 2). Come si può ben comprendere questo risultato è determinato
dal fatto che con il raggiungimento delle
età più anziane insorgono difficoltà che
rendono auspicabile un aiuto globale,non
circoscritto alle cure domestiche. Le donne assistite gravate da maggiore disabiGEN 07 ASSISTENZA ANZIANI
47
> AIOCC
TABELLA 2 ASSISTENZA E AIUTO DOMESTICO PER ETÀ DEL DATORE DI LAVORO
Età del datore di lavoro Assistenza alla
persona
Aiuto domestico
Totale
ISA*
N.
%
N.
%
65-69
1.162
10,9
1.771
19,1
2.933
66
70-74
1.153
10,9
1.508
16,3
2.661
76
75-79
1.817
17,1
1.669
18,0
3.486
109
80-84
2.278
21,4
1.734
18,7
4.012
131
85-89
2.400
22,6
1.487
16,1
3.887
161
90-94
1.480
13,9
899
9,7
2.379
165
95+
335
3,2
190
2,1
525
176
Totale
10.625
100,0
9.258
100,0
19.883
100,0
*ISA= indice di specializzazione assistenziale:
(N. assistenti alla persona/N. occupati nell’aiuto domestico) *100
TABELLA 3 ASSISTENZA E AIUTO DOMESTICO PER ETÀ E GENERE
DEL DATORE DI LAVORO
Assistenza
Aiuto domestico
ISA
Uomini
Donne
Uomini
Donne
Uomini
Donne
65-69
693
523
973
798
66
66
70-74
485
668
750
758
65
88
75-79
682
1.135
684
985
100
115
80-84
672
1.606
631
1.103
106
146
85-89
674
1.726
457
1.030
147
168
90-94
353
1.127
241
658
146
171
95+
69
266
43
147
160
181
Totale
3.574
7.051
3.779
5.479
95
129
lità, sono più numerose degli uomini
soprattutto nelle fasce di popolazione
più anziane e quindi per loro il ricorso alle
cure è più intenso.
Non è escluso tuttavia che la minore
eterogeneità fra cura e assistenza domestica rivolta agli uomini sia anche il frutto
del fatto che essi frequentemente sono
accuditi dalle mogli più longeve e che,
laddove in coppia, siano i firmatari del
contratto di lavoro (tabella 3). L’indice di
specializzazione assistenziale per genere
mostra lo stesso andamento crescente a
favore dell’assistenza alla persona rispetto all’aiuto domestico, ma si accentua
in relazione all’età e al sesso femminile
(tabella 3).
Un altro aspetto interessante si rileva
guardando le singole nazionalità di pro48
GEN 07 ASSISTENZA ANZIANI
venienza delle lavoratrici straniere.
Considerando solo le provenienze principali si osservano età molto differenziate:
sono più giovani le donne africane ed
asiatiche rispetto alle moldave ed ucraine
(tabella 4).
La maggior parte di queste ultime sono
occupate nell’assistenza alla persona,
le americane sono equamente distribuite
tra la cura della persona e e l’aiuto domestico mentre le asiatiche e le africane
sono prevalentemente dedite all’aiuto
domestico (tabella 4).
La prevalenza di uomini tra i lavoratori
stranieri addetti all’assistenza e aiuto
domestico è mediamente pari al 14%,
con una maggiore presenza di uomini tra
coloro che provengono dall’Asia (86%) e
che sono principalmente dedicati all’aiuto
domestico, mentre solo il 5% di uomini
proveniente dall’Europa maggiormente è
impiegato nell’assistenza diretta alla
persona.
La specializzazione di genere all’interno
del collettivo che si offre per questi lavori
sembra essere accompagnata anche da
una specializzazione di genere fra i datori
di lavoro (tabella 5).
L’incrocio di questo carattere, infatti sembrerebbe indicare che gli uomini si fanno
curare prevalentemente dalle donne, ma
non si sottraggono alla cura da parte
degli uomini.
Le donne italiane, invece, sembrano opporsi all’assistenza prestata dagli uomini
stranieri (solo il 5.7% delle donne si fa assistere da lavoratori di sesso maschile) e
ciò è dovuto probabilmente al fatto che le
mansioni di cura prevedono anche azioni
che le donne non gradiscono siano fatte
dagli uomini come ad esempio la cura del
corpo.
A conferma della sensibilità di questo
carattere basta valutare che per l’aiuto
domestico la proporzione di uomini triplica
(13,1%) rispetto all’assistenza (5,7%)
mentre fra gli uomini aumenta solo di
circa un terzo (20,2% per aiuto domestico
contro il 14,1% per assistenza).
In definitiva, il profilo emergente dall’archivio delle regolarizzazioni e dall’indagine lombarda conferma, e allo stesso
tempo rivela, alcuni caratteri delle popolazioni che appartengono a questo
mondo poco conosciuto perché sommerso e isolato nelle case. In particolare
si confermano alcune specificità di chi fa
assistenza, ma anche in senso alle relazioni che intercorrono fra “datori di lavoro”
anomali e lavoratrici e lavoratori che soddisfano una domanda intensa di cura
mentre perseguono silenziosamente, ma
in modo determinato, i loro progetti migratori.
* Docente di demografia presso la Facoltà di
Scienze Statistiche, Università degli studi
Milano Bicocca
NOTE
1
L’indagine campionaria è svolta nell’ambito
dell’Osservatorio Regionale per
l’integrazione e la multietnicità promosso
NURSING <
TABELLA 4 SETTORE LAVORATIVO PER CITTADINANZA DEL LAVORATORE
CON DATORE DI LAVORO ANZIANO
Cittadinanza
Assistenza Aiuto domestico Totale ISA Età media Rapporto di
mascolinità*
Europa
6.336
4.397
10.733 144
40,9
5
Ucraina
4.068
2.341
6.409
174
42,3
3
Romania
810
843
1.653
96
33,7
10
813
582
1.395
140
38,8
6
277
457
734
61
30,6
39
380
1.227
1.607
31
32,9
86
232
883
1.115
26
33,0
72
di cui
Moldavia
Africa
Asia
di cui
di cui
Filippine
America
di cui 3.631
3.176
6.807
114
33,9
15
Ecuador
2.022
1.613
3.635
125
34,1
14
Perù
1.019
878
1.897
116
33,4
21
Totale
10.019
9.257
19.881 115
37,0
14
*Numero di uomini per 100 donne
TABELLA 5 GENERE DEI LAVORATORI E DEI DATORI DI LAVORO NEL SOSTEGNO
ALLA FAMIGLIA (%)
Genere Datore di lavoro
Lavoratori addetti all’assistenza
Uomini
Donne
14,1
5,7
85,9
94,3
Totale
100,0
100,0
Lavoratori addetti aiuto domestico
Uomini
Donne
20,2
13,1
79,8
86,9
100,0
100,0
Totale
dalla Regione Lombardia e dalla
Fondazione Ismu. Fin dal 2001 essa è
condotta annualmente su un campione di
8000 stranieri ultraquattordicenni e
provenienti dai paesi poveri ed è
rappresentativa a livello regionale e
provinciale. La metodologia di
campionamento e gli esiti della quarta
indagine sono pubblicati in un volume a
cura di G. Blangiardo, 2005. L’archivio dei
regolarizzati, invece, proviene dal Ministero
del Lavoro e le informazioni ivi contenute
sono individuali, anonime e riferite solo agli
stranieri che hanno inoltrato domanda di
regolarizzazione per lavoro di assistenza o
aiuto domestico. Confrontati dai dati
aggregati periodicamente pubblicati da
diverse Agenzie e relativi agli stranieri già in
regola è plausibile supporre che non vi
siano rilevanti differenze nelle
caratteristiche strutturali fra questo subuniverso e quello totale ben più numeroso.
L’archivio offre anche una serie di
informazioni relative al contratto di lavoro
che tuttavia non sono utilizzate perchè
soggette a dichiarazioni non realmente
verificabili come i dati anagrafici e quindi
scarsamente affidabili non solo per la
generalizzazione persino fra gli stessi
regolarizzati.
2
D’altronde il 47% delle domande di
regolarizzazione - pari a 329.604 pratiche riguardavano lavoratrici e lavoratori nel
sostegno familiare.
3
Va detto che i dati del 2004 segnalano una
ripresa consistente dell’irregolarità che fra
le nazionalità più coinvolte nella cura degli
anziani nel 2004 è cresciuta raggiungendo
valori fra il 20-27% contro il 12-17%
dell’anno precedente.
4
Le donne di origine polacca godono oggi
del privilegio entrare nel nostro paese
senza visto, ma anche in passato esse
erano perlopiù regolari organizzando turnover con altre connazionali.
Questo non era possibile con i dati
dell’Osservatorio che indicano il tipo di
lavoro, ma non per chi è svolto. Un ulteriore
elemento di cautela è costituito dal fatto
non è quantificabile la numerosità di datori
di lavoro non riferibili, nei casi più gravi,
all’assistito.
Bibliografia
Blangiardo G. Rapporto biennale al
Parlamento sulla condizione
dell’anziano, 2000-2001
Blangiardo G., 2002. Sulle determinanti
delle differenze fra uomini e donne si
veda A. Nobile, 2003
Blangiardo G. (a cura di) La presenza
straniera in Lombardia. La quarta
indagine regionale , Regione Lombardia
- Fondazione Ismu, 2005. Il volume è
reperibile anche sul sito della
Fondazione Ismu (www.ismu.org)
Costa G. Anziani non autosufficienti in
famiglia in G.A. Micheli, C. Ranci (a cura
di) Equilibri fragili, Guerini e Associati,
Milano, 2003, pp. 275-308
Filaferro G. Anziani: che mondo sarebbe
senza stranieri? La domanda e l’offerta
di cura in Lombardia, Tesi di laurea,
Facoltà di Scienze Statistiche Università
Milano - Bicocca, Relatrice P. Farina,
A.A. 2003-2004
Nobile A. Supermortalità maschile fra
biologia e cultura: l’esperienza dei paesi
sviluppati in A. Pinnelli, F. Racioppi, R.
Rettaroli (a cura di) Genere e
demografia, il Mulino, Bologna, 2003, pp
485-518
Rizzi E. Anziani soli in G.A. Micheli, C.
Ranci (a cura di) Equilibri fragili, Guerini
e Associati, Milano, 2003, pp. 249-274
Zucchetti E.(a cura di) La
regolarizzazione degli stranieri. Nuovi
attori del mercato del lavoro italiano, F.
Angeli, Milano, 2004
Riassunto da: Patrizia Farina, Stranieri e
anziani: un profilo sintetico della
popolazione che si prende cura degli
anziani in Lombardia I luoghi della cura
2005;(3):19-23.
GEN 07 ASSISTENZA ANZIANI
49
INDICE
AIOCC <
IL LAVORO IN ÉQUIPE
Potenzialità, indicazioni e risultati
IN QUESTO NUOVO ANNO VORREI DEDICARE ALCUNI INSERTI CURATI DALLA NOSTRA ASSOCIAZIONE AL LAVORO IN ÉQUIPE IN AMBITO GERIATRICO, CON L’OBIETTIVO DI VALUTARNE POTENZIALITÀ, INDICAZIONI E RISULTATI. FACENDO
RIFERIMENTO ALLA LETTERATURA E ALLE ESPERIENZE PIÙ SIGNIFICATIVE.
> Ermellina Zanetti
Il lavoro in équipe rappresenta lo strumento ottimale di lavoro in tutte le situazioni caratterizzate da elevata complessità clinica (instabilità, fragilità, elevato
rischio di disabilità) e organizzativa (è
richiesta continuità di cura, gli interventi
richiedono sinergia di competenze e approccio multidimensionale).La sua efficienza si può misurare attraverso risultati
di OUTPUT.
• Riduzione della durata della degenza.
• Aumento del numero delle prestazioni.
• Continuità assistenziale.
La sua efficacia si può valutare attraverso
indicatori di OUTCOME clinici e assistenziali.
• Riduzione degli errori
e degli eventi avversi.
• Riduzione delle Infezioni ospedaliere.
• Riduzione degli errori nella
somministrazione di farmaci.
• Minor incidenza e gravità del delirium.
• Riduzione delle lesioni da pressione.
• Decorso post operatorio più celere
e con minori complicanze.
La sua implementazione necessita di
alcuni requisiti organizzativi volti a massimizzare e supportare la circolarità delle
informazioni e richiede la condivisione di
modelli operativi.
In questo primo intervento dedicato al lavoro in équipe è presentato un interessante modello organizzativo per il lavoro
in équipe utilizzato in ambito ospedaliero.
(Ermellina Zanetti Presidente Associazione Italiana
Operatori Cure Continuative)
MODELLO OASIS PER L’ASSISTENZA
LA SPERIMENTAZIONE DI ATLANTA
> di ERMELLINA ZANETTI *
Il modello
Questo modello si propone di reingenierizzare l’assistenza infermieristica per
gli anziani in ospedale a partire dalla
considerazione che se l’assistenza ai
pazienti anziani acuti non è pianificata
tenendo in considerazione le loro necessità funzionali e l’eventuale deficit cognitivo, aumenta il rischio di complicanze
acquisite durante l’ospedalizzazione e
la perdita di funzione, con conseguente
aumento dei giorni di degenza, dei costi,
della necessità di istituzionalizzazione e
di mortalità (Inouye, 1993). Principali
obiettivi del modello OASIS sono l’ottimizzazione dell’assistenza ai pazienti anziani
con problemi medici acuti e gli outcome
considerati sono: riduzione della degenza
e delle riammissioni a 30 giorni, riduzione
dell’incidenza di cadute e di complicanze
iatrogene.
Particolarità del modello è che la sua
applicazione non richiede la creazione di
un’unità operativa, ma di una équipe di
assistenza che all’interno del dipartimento
medico adotti protocolli di valutazione e
intervento per tutti i ricoverati che presentano le seguenti caratteristiche: età
superiore a 70 anni, necessità di ricovero
la cui durata si prevede superiore alle 48
ore, ammissione per patologia medica.
Sono esclusi i soggetti ricoverati in condizioni terminali e coloro che provengono
da una casa di riposo.
L’équipe di assistenza è coordinato da un
infermiere con specializzazione in geriatria e coordinamento (nell’attuale assetto
formativo italiano potrebbe essere paragonato a un infermiere con laurea di priFEB 07 ASSISTENZA ANZIANI
41
> AIOCC
mo livello e master di primo livello in
coordinamento e geriatria o a un infermiere con laurea di secondo livello e
master di primo livello in geriatria) ed è
composto da nutrizionista, terapista occupazionale, assistente sociale, fisioterapista, logopedista, ministro del culto e
volontari. E’ prevista anche la figura di un
case manager per la valutazione al follow-up dopo la dimissione. La Tabella 1
descrive le competenze di ciascun componente del team. L’ammissione al modello è stabilita dal medico dell’unità operativa in cui il paziente, in possesso dei requisiti descritti, è ricoverato. L’infermiere
coordinatore entro 24 ore dall’ammissione valuta il paziente utilizzando un
protocollo standardizzato (Tabella 2),
definisce gli obiettivi assistenziali e stabilisce la necessità di intervento da parte
degli altri componenti del team, che agiscono in autonomia, utilizzando protocolli
standardizzati, nel rispetto degli obiettivi
definiti dall’infermiere coordinatore. Il
medico è costantemente informato dall’infermiere coordinatore e segue il processo
assistenziale sulla cartella assistenziale.
Ogni giorno è previsto un momento di incontro tra i componenti del team. L’attività
infermieristica all’interno delle unità in
cui sono accolti gli anziani ammessi al
modello è coordinata dalla stesso infermiere che valuta anche l’eventuale necessità di implementazione di protocolli
per specifiche attività assistenziali.
Il modello prevede l’intervento di volontari
coordinati dai componenti del team assistenziale.
La presenza e l’attività dei volontari é
prevista al mattino per supportare gli
infermieri nella mobilizzazione dei pazienti
e durante i pasti. Il logopedista individua
i pazienti non disfasici che possono
essere aiutati nell’alimentazione da volontari e il fisioterapista seleziona i pazienti che possono essere affiancati nei
trasferimenti e nella deambulazione. I
volontari sono inoltre di supporto al terapista occupazionale per realizzare il programma di interventi previsti per i pazienti
con disturbi del comportamento. I volontari sono addestrati dal massoterapista
all’utilizzo del massaggio della mano o
della schiena nei soggetti che manifestano agitazione e ansia.
42
FEB 07 ASSISTENZA ANZIANI
TABELLA 1 > COMPONENTI E COMPETENZE DEL TEAM ASSISTENZIALE
PREVISTI DAL MODELLO OASIS
Infermiera con specializzazione in geriatria e coordinamento
Verifica i criteri di ammissione e provvede all’applicazione del protocollo di assessment ai
pazienti ammessi
Definisce gli obiettivi generali e pianifica l’intervento assistenziale
Attiva e coordina l’intervento degli altri componenti del team
Forma e supporta lo staff infermieristico se necessario, collabora con il medico per
ottimizzare gli interventi
Raccoglie, analizza e riporta i dati sui documenti clinici
Nutrizionista
Interviene per indicazioni in pazienti con basso livello di albumina o pre-albumina o perdita
involontaria di peso
Da indicazioni sull’utilizzo di integratori alimentari e alimentazione entrale
Monitorizza l’intake alimentare quotidiano nei soggetti malnutriti o a rischio di malnutrizione
Volontari
Aiutano i pazienti che necessitano nell’alimentazione e nella deambulazione
Provvedono a garantire presenza e compagnia
Intervengono in altre attività (interventi occupazionali, massaggio) su indicazione dei
professionisti del team
Terapista occupazionale
Identifica le attività occupazionali appropriate
Promuove programmi di mobilizzazione e riattivazione
Assistente sociale
Programma la dimissione protetta
Fisioterapista e logopedista
Valutano e intervengono secondo necessità
Coordinano i volontari rispettivamente per la deambulazione assistita e il supporto
all’alimentazione
Cappellano
Provvede alle necessità spirituali dei pazienti
Case manager
Provvede al follow-up dopo la dimissione
Tradotto e adattato da: Tucker D, Bechtel G, Quartana C, Badger N, Werner D, Ford I, Connelly L. The OASIS Program: Redesigning Hospital Care for Older Adults. Geriatric Nursing
2006; 2 (27): 112-117.
Sperimentazione del modello
e risultati
Il modello OASIS è stato sperimentato
presso il Piedemont Hospital, un ospedale di comunità no profit di oltre 500 posti
letto in Atlanta. L’ospedale è definito
“amico degli anziani” poiché ha caratteristiche strutturali e organizzative che
facilitano l’orientamento e la sicurezza.
L’adozione del modello non ha richiesto
alcuna modifica strutturale. I componenti
del team sono stati selezionati tra il personale del dipartimento medico e dei
servizi ad esso afferenti in relazione al
loro interesse e alla loro documentata
esperienza nell’assistere soggetti anziani.
Lo studio pilota, durato 6 mesi, ha coinvolto 141 soggetti con un’età media di 82
anni. Il 77% era rappresentato da donne.
I risultati ottenuti dall’applicazione del
modello in relazione agli outcome attesi
sono stati confrontati con un gruppo di
controllo dalle caratteristiche simili
(Tabella 3).
Le diagnosi di ammissione nei due gruppi
sono sovrapponibili e comprendono i seguenti DRGs: setticemia, infezione delle
vie urinarie, patologie renali, patologie
cardiache, bronchite, broncopneumopatia
cronica ostruttiva, infezioni e neoplasie
delle vie respiratorie e stroke.
Durante la sperimentazione del modello
non si sono verificati né incidenti né complicanze iatrogene (polmonite, lesioni da
decubito, delirium, infezione delle vie urinarie e trombosi). Non si è osservato un
significativo declino delle abilità funzionali
rispetto all’ammissione: questo dato è
di dubbia interpretazione poiché, come
suggerito da altri autori (Covinksy et al,
2000; Covinsky et al, 2003; Lindenberger
et al, 2003), è di maggior significato clinico confrontare le abilità funzionali alla
dimissione con quelle precedenti all’even-
AIOCC <
to acuto. Interessante, ai fini dell’efficacia
del modello, è la percentuale di pazienti
ritornati a casa (non erano ammessi al
modello coloro che provenivano da una
casa di riposo) che è pari al 95%.
L’incidenza di cadute, 3,8 ogni 1000 giorni/letto, è sovrapponibile a quella osservata nell’intero ospedale (4 cadute ogni
1000 giorni/letto). La durata della degenza è di 1,22 giorni inferiore rispetto a
quella del gruppo di controllo, le riammissioni a 30 giorni sono essenzialmente
simili nei due gruppi (5,9% nel gruppo di
intervento e 6,6% nel gruppo di controllo),
mentre i costi sono inferiori del 33% nel
gruppo di intervento rispetto al gruppo di
controllo. Lo studio prevedeva anche la
valutazione della soddisfazione dei medici, dei pazienti e dei loro famigliari:
unanime la valutazione positiva del modello da parte dei medici. Il 90% dei pazienti e dei familiari si dichiara soddisfatto
dell’assistenza e il 100% dichiara che
consiglierà ad altri il ricovero presso la
struttura. Il modello OASIS è inoltre stato
posto a confronto con altri due modelli già
diffusi: l’Hospital Helder Life Program
(HELP) e l’Acute Care for Elders units
(ACE). Il modello HELP prevede l’utilizzo
di volontari, ma a tutt’oggi non vi sono studi che ne dimostrino l’efficacia. Il modello
delle ACE units prevede un’area di degenza dedicata e un approccio interdisciplinare e si è dimostrato efficace nel promuovere miglioramenti nello stato funzionale, ridurre l’istituzionalizzazione e promuovere la soddisfazione. Utilizzando il
modello ACE unit si è ottenuta una riduzione della degenza di 0,9 giorni e del 9%
dei costi (Palmer, 2003; Covinsky, 1998).
Secondo gli autori il vantaggio del modello OASIS rispetto alle ACE units risiede nella non necessità di uno spazio dedicato e di un team modulare il cui intervento è articolato in relazione agli obiettivi
dei singoli pazienti (Turcker et al, 2006).
Tuttavia una serie di considerazioni sulla
necessità di formare tutti gli infermieri
del dipartimento medico all’utilizzo del
modello OASIS hanno indotto gli autori
ad individuare un’unità di 20 posti letto
(non esclusivi, ma preferenzialmente utilizzati da pazienti ammissibili al modello)
in cui poter sistematicamente applicare il
modello e organizzare stage di apprendimento.
TABELLA 2 > PROTOCOLLO DI ASSESSMENT PREVISTO DAL MODELLO OASIS
DOMINIO
TEST
OPERATORE RESPONSABILE
Cognitività
Mini Mental Status di Folstein
infermiera coordinatrice
Mobilità
Get up and go di Tinetti
infermiera coordinatrice
Affettività
Yesavage Depression Screen
infermiera coordinatrice
Vista
Titolo e frase del giornale
infermiera coordinatrice
Udito
Whisper test
infermiera coordinatrice
Ortostasi
Pressione arteriosa e frequenza
cardiaca in ortostatismo
infermiera
Tradotto da: Tucker D, Bechtel G, Quartana C, Badger N, Werner D, Ford I, Connelly L. The
OASIS Program: Redesigning Hospital Care for Older Adults. Geriatric Nursing 2006; 2 (27):
112-117
* Gruppo di Ricerca Geriatrica,
Brescia e AIOCC
Bibliografia
- Covinksy KE, Palmer RM, Counsell
SR, Pine ZM, Walter LC, Chren MM.
Functional status before hospitalization
in acutely ill older adults: validity and
clinical importance of retrospective
reports. J Am Geriatr Soc
2000;48(2):164-169.
- Covinsky KE, Palmer RM, Fortinsky
RH, Counsell SR, Stewart AL, Kresevic
D, Burant CJ, Landefeld CS. Loss of
Independence in Activities of Daily
Living in Older Adults Hospitalized with
Medical Illnesses: Increased
Vulnerability with Age. J Am Geriatr Soc
2003;51(4):451-458.
- Covinsky KE, Palmer RM, Kresevic
DM, et al. Improving functional
outcomes in older patients: lessons from
an acute care for elders unit. J Quality
Improvement 1998;24:63-76.
- Inouye SK, Wagner DR, Acampora D,
et al. A controlled trial of a nursingcentered intervention in hospitalized
elderly medical patients: the Yale
Geriatric Care Program. JAGS
1993;41:1353-60.
- Lindenberger EC, Landefeld CS,
Sands LP, Counsell SR, Fortinsky RH,
Palmer RM, Kresevic DM, Covinsky KE.
Unsteadiness reported by older
hospitalized patients predicts functional
decline. J Am Geriatr Soc 2003;
51(5):621-6.
- Palmer RM, Counsell SR, Landefeld
SC. Acute care for elders units: practical
considerations for optimizing health
outcomes. Dis Manage Health
Outcomes 2003; 11:507-17.
TABELLA 3 > MODELLO OASIS: ETÀ, GIORNI DI DEGENZA E COSTI NEL GRUPPO DI INTERVENTO E NEL GRUPPO DI CONTROLLO
GRUPPO DI INTERVENTO
Età
Degenza
Costi totali della
degenza
GRUPPO DI CONTROLLO
range
media
DS
range
media
DS
70-98aa
82aa
4,97 gg
12,74
2,24
70-102aa
81,2aa
6,19 gg
7,0
2,19
$6162.47
$2507.76
$9184.81
$5815.19
FEB 07 ASSISTENZA ANZIANI
43
INDICE
AIOCC <
INCONTINENZA URINARIA
Valutazioni utili alla comprensione
L’INCONTINENZA URINARIA È UN PROBLEMA DIFFUSO TRA GLI ANZIANI E SPESSO
L’UNICA PREOCCUPAZIONE, SIA DA PARTE DI CHI NE SOFFRE SIA DA PARTE DI NOI
OPERATORI, È ARGINARE LE PERDITE, SENZA INVESTIGARE PER COMPRENDERE
SE VI SIA LA POSSIBILITÀ DI INTERVENTI VOLTI A RIDURRE GLI EPISODI DI INCONTINENZA. NELL’ARTICOLO CHE SEGUE DI CINZIA BERTELLI SONO PROPOSTE LE
CONOSCENZE NECESSARIE AD INQUADRARE IL PROBLEMA ED È PRESENTATO
UNO STRUMENTO PER VALUTARE L’IMPATTO DELL’INCONTINENZA SULLE ATTIVITÀ
DELLA VITA QUOTIDIANA.
> Ermellina Zanetti
(Ermellina Zanetti - Presidente Associazione Italiana Operatori Cure Continuative)
CARATTERISTICHE, IMPATTO E TEST
> di CINZIA BERTELLI *
Introduzione
Si definisce incontinenza urinaria l’incapacità di posticipare volontariamente la
minzione con conseguente perdita di urina in tempi e luoghi inadeguati. L’ incontinenza urinaria è una classica sindrome
geriatrica; si stima che negli Stati Uniti ne
siano affette circa 13 milioni di persone,
molti di questi soggetti hanno più di 65
anni. Il 50% degli anziani residenti a
domicilio e la metà degli anziani istituzionalizzati sono incontinenti, il 25-30% di
questi vengono dimessi dagli ospedali
con l’incontinenza come conseguenza di
una malattia acuta, mentre il 10-15%
degli uomini e il 20-35% delle donne
denunciano episodi di incontinenza al
medico di base (Barry, Weiss, 1998). I
dati sono sottostimati perché gli episodi
di incontinenza vengono denunciati con
ritrosia sia per imbarazzo che per la comune credenza che sia un problema legato all’età e che non possa essere trattato con successo.
Proprio a causa dei suoi numeri l’incontinenza urinaria ha un importante impatto
medico, psico-sociale ed economico.
Dal punto di vista medico è frequentemente associata a dermatiti, ulcere da
decubito, infezioni urinarie, insufficienza
renale con conseguente aumento della
mortalità. Le implicazioni sociali sono:
perdita dell’autostima; depressione;
modifica del comportamento sociale (riduzione delle visite ai familiari, in chiesa,
dell’esercizio fisico); disturbi sessuali;
nei casi più gravi dipendenza dai caregiver; l’incontinenza è il fattore chiave
nella decisione di ricovero in casa di
riposo.
L’incontinenza urinaria è totale quando
c’è il completo svuotamento della vescica
o parziale, caratterizzata da stillicidio di
urina senza svuotamento completo. Inoltre è utile distinguere due tipi di incontinenza.
• Incontinenza acuta o transitoria con
insorgenza improvvisa, associata a cause
ben definite che si risolve quando viene
rimossa la condizione che l’ha generata.
Cause di incontinenza transitoria possono
essere: infezioni alle vie urinarie; vaginiti;
fecalomi; alcuni farmaci come diuretici,
antidepressivi, antipsicotici, ipnotici/sedativi, antiparkinson e tutti i farmaci con azione anticolinergica; sostanze come la
caffeina e l’alcol.
• Incontinenza stabile o persistente che
può essere ad insorgenza improvvisa o
graduale senza una causa precipitante
nota e aumenta di gravità con il passare
del tempo. Le cause sono multiple ed
interferenti fra loro e possono essere di
origine urologia, ginecologica, neurologica, funzionale, iatrogena, ambientale.
Alcune condizioni che possono portare a
incontinenza stabile possono essere:
malattia di Parkinson; demenza; ictus e
patologie cerebrovascolari; encefaliti;
diabete; neoplasie alla vescica.
Esiste anche una classificazione funzionale dell’incontinenza urinaria stabile e
persistente che fa riferimento alla deficienza di uno dei tre meccanismi che
stanno alla base della minzione.
• Incontinenza da urgenza fa riferimento
alla iperattività o irritabilità della vescica.
È un problema comune che aumenta in
frequenza e gravità con l’aumentare
dell’età e delle disfunzioni cognitive. È
causata da: infiammazioni della vescica
da calcolosi, neoplasie, infezioni; da condizioni neurologiche come ictus, Parkinson, demenze; disordini metabolici come
l’ipossemia; farmaci ipnotici/sedativi.
• Incontinenza da stress fa riferimento
MAR APR 07 ASSISTENZA ANZIANI
39
> AIOCC
alle perdita della funzione dello sfintere
uretrale ed è associata ad un aumento
della pressione endoaddominale come
nel caso di tosse o di risate. È più frequente nelle donne ed è causata da:
lassità del pavimento pelvico; prolasso
vescicole; condizioni congenite; interventi
chirurgici; trattamenti radianti.
• Incontinenza da sovrariempimento o
iperaflusso fa riferimento alla distensione
della vescica causata da ritenzione di
urina sopra la sua capacità. È causata da:
farmaci che rilassano il muscolo detrusore (anticolinergici, Ca antagonisti);
anormalità della funzionalità vescicale
(neuropatia diabetica, lesioni da radiazioni, neoplasie); ostruzioni delle vie urinarie (ipertrofia prostatica, fecalomi,
stenosi ).
• Incontinenza funzionale fa riferimento
all’incapacità di raggiungere in tempo i
servizi igienici a causa di compromessa
mobilità; compromessa cognitività; ostacoli ambientali; combinazione di queste
cause (Jirovec, Templin,2000).
L’invecchiamento non è causa sufficiente
di incontinenza urinaria, ma con l’invecchiamento si verificano alcune modificazioni che riducono le riserve funzionali
del soggetto e ne aumentano la fragilità
per cui un anziano anche sano se sottoposto a stress endogeno o esogeno più
difficilmente manterrà la continenza.
L’invecchiamento si associa a: un declino
della capacità vescicole; un aumento del
volume residuo; più frequenti contrazioni
vescicale involontarie; una riduzione della
funzionalità uretrale nelle donne (Zanetti,1998).
La valutazione dell’incontinenza
nell’anziano
A causa delle importanti implicazioni
mediche, sociali ed economiche si intuisce il ruolo fondamentale della valutazione dell’incontinenza urinaria soprattutto nella popolazione anziana che è
quella più colpita.
La moderna geriatria assegna una posizione centrale alla valutazione multidimensionale nell’assessment dell’incon40
MAR APR 07 ASSISTENZA ANZIANI
tinenza partendo dal presupposto che
non è un normale disturbo dell’invecchiamento, ma un problema che trattato può
essere risolto.
L’approccio valutativo di primo livello ha
la funzione di: confermare la presenza di
incontinenza urinaria; individuarne le
condizioni precipitanti ed escludere i
fattori potenzialmente correggibili e
reversibili (Casale, 2001); in presenza di
incontinenza stabile, individuarne la forma
e le cause; individuare il miglior trattamento possibile; monitorare per periodi di
tempo stabiliti l’efficacia del trattamento.
Essendo l’incontinenza urinaria una sindrome fortemente associata ad altre
condizioni l’approccio multidimensionale
prevede la valutazione non solo specifica,
ma anche la valutazione funzionale (grado di autonomia nelle ADL), la valutazione cognitiva e la valutazione della comorbilità e della severità della condizione
clinica.
La valutazione dell’incontinenza urinaria
si fonda su: l’anamnesi patologica e
farmacologia (per identificare la presenza
di patologie acute o croniche); esame
delle urine (per escludere infezioni alle vie
urinarie, glicosuria diabetica o altre patologie); esame fisico che comprende l’ispezione ginecologica e rettale ( per escludere vaginiti e fecalomi); la valutazione
del PSA ( per escludere patologie prostatiche); test e scale di valutazione
dell’incontinenza urinaria.
* Gruppo di Ricerca Geriatrica - Brescia
BIBLIOGRAFIA
G. Casale, A. Guaita, A. Pisani Ceretti,
R. Sandri, M. Trabucchi. Linee operative di consenso in Rsa. Ed. FrancoAngeli, Milano 2001.
E. Zanetti. Le schede di valutazione
dell’incontinenza urinaria. (in) E. Zanetti. Gli strumenti di valutazione in geriatra. Lauri Edizioni, Milano 1998.
D. Barry, M.D. Weiss. Diagnostic evaluation of urinary incontinence in geriatric patients, American Family Physician, Giugno 1998.
M.J. Borrie, M. Bawden, M. Speechley,
M. Kloseck:. Interventions led by nurse
continence advisers in the management of urinary incontinence: a randomized controlled trial. CMAY 20021;166
(10):1267-1273.
Joanna Briggs Institute. Urinary incontinence evaluation. 2002 Febbraio.
www.joannabriggs.edu.au visitato il
20/04/06
Joanna Briggs Institute: Continence
Charts, Agosto 2001. www.joannabriggs.edu.au visitato il 20/04/06
K. L. Burgio, P. S. Goode, J. L. Locher,
M. G. Umlauf, D. L. Roth, H. E. Richter,
R. E. Varner, L. K. Lloyd. Behavioral
Training With and Without Biofeedback
in the Treatment of Urge Incontinence
in Older Women: A Randomized Controlled Trial. J. Am Med Soc November
13, 2002; 288(18):2243-2247
B.J. McDowell, S. Engberg, S. Sereika,
N. Donovan, M.J. Jubeck, E. Weber, R.
Engberg: Effectiveness of behavioural
therapy to treat incontinence in homebound older adults, JAGS, 1999.
M. Marmoll Jorevec, T. Templin. Predicting success using individualized scheduled toileting for memory-impaired elders at home.
Res Nurs Health. 2001 Feb;24(1):1-8.
V. C. Crooks, J. F. Schnelle, J.P. Ouslander, M.P. McNees: Use of the minimum data set to rate incontinence severity. J Am Geriatr Soc. 1995
Dec;43(12):1363-9.
Urinary Incontinence Guideline Panel:
Urinary Incontinence in Adults: Acute
and Chronic Management Clinical
Practice Guideline Number 2 (1996 Update) AHCPR Publication No. 96-0682:
March 1996
SH. Smoger, TL. Felice, GH. Kloecker.
Urinary incontinence among male veterans receiving care in primary care clinics. Ann Intern Med 2000; vol. 132:
pp. 547--551
AIOCC <
INCONTINENCE IMPACT QUESTIONNAIRE (IIQ-7)
Shumaker SA, Wyman JF, Uebersax JS,
McClish D, Fantl JA. Health-related
quality of life measures for women with
urinary incontinence: the Incontinence
Impact Questionnaire and the Urogenital
Distress Inventory. Continence Program
in Women (CPW) Research Group. Qual
Life Res 1994; 3:291-306.
ne originale (Shumaker SA, 1994), a
valutare nelle donne l’impatto dell’incontinenza urinaria sulle Adl (Activity of Daily
Living) e sulle emozioni della persona. La
versione originale è composta da 26
domande che esplorano 3 ambiti: le attività quotidiane, la sfera sociale, la percezione di sé.
Descrizione
L’incontinence Impact Questionnaire (IIQ)
è un questionario finalizzato, nella versio-
Presuppone che ci sia già stata diagnosi
di incontinenza. Successivamente si è
sviluppata una forma “breve” (IIQ-7) del
INCONTINENCE IMPACT QUESTIONNAIRE – SHORT FORM IIQ-7
NOME_____________________________________ DATA _______________
Punteggio totale =________
Mai
Meno della La metà Più della Quasi
metà del
del tempo metà del sempre
tempo
tempo
Il mese scorso l’incontinenza urinaria 0
e/o il prolasso pelvico hanno
influenzato la sua capacità a compiere
le attività casalinghe (cucinare, fare il
bucato, fare le pulizie…)?
1
2
3
4
Il mese scorso l’incontinenza urinaria
e/o il prolasso pelvico hanno
influenzato la sua attività fisica come
passeggiare, nuotare o altre attività?
0
1
2
3
4
Il mese scorso l’incontinenza urinaria
e/o il prolasso pelvico hanno
influenzato le sue attività sociali
(concerti, cinema…)?
0
1
2
3
4
Il mese scorso l’incontinenza urinaria
e/o il prolasso pelvico hanno
influenzato la sua capacità di
compiere viaggi in macchina di circa
30 minuti lontano da casa?
0
1
2
3
4
Il mese scorso l’incontinenza urinaria
e/o il prolasso pelvico hanno
influenzato la sua partecipazione ad
attività sociali fuori casa?
0
1
2
3
4
Il mese scorso l’incontinenza urinaria
e/o il prolasso pelvico hanno
influenzato la sua sfera emozionale
(nervosismo, depressione…)?
0
1
2
3
4
Il mese scorso quante volte
0
l’incontinenza urinaria e/o il prolasso
pelvico l’hanno fatta sentire frustrata?
1
2
3
4
questionario validando gli items scelti
tra quelli proposti nella versione originale.
Tuttavia sia la forma “breve” sia quella
integrale sono da applicare solo a soggetti con diagnosi di incontinenza urinaria nota. Recentemente (Katherine N.
Moore, Louise Jensen, 2000) la versione
“breve” è stata validata anche per gli
uomini.
Il gruppo di maschi studiato era incontinente in seguito a prostatectomia radicale.
Gli autori, benché riconoscano la validità
del test, affermano che sono necessari
altri studi per validare il questionario in un
campione più consistente di maschi con
incontinenza sottoposti ad altri interventi
chirurgici.
In questo contesto si presenta la forma
breve tradotta dall’Incontinence Research
Foundation. Può essere applicato solo a
soggetti cognitivamente integri e in ambito domiciliare. Le domande sono riferite
alla situazione vissuta dal soggetto nel
mese precedente.
Popolazione
Soggetti anziani senza deficit cognitivi
che vivono al domicilio.
Modalità di somministrazione
Esaminatore: il test è semplice da somministrare e può essere presentato da
qualsiasi operatore.
Durata: pochi minuti.
Punteggio: il punteggio va da 0 (nessun impatto dell’incontinenza sulle attività
di vita) a 28 (massimo disturbo arrecato
dall’incontinenza alle attività di vita del
soggetto).
Applicazioni
Clinica: valutazione della severità dei
sintomi correlati all’incontinenza, valutazione dell’efficacia dell’intervento nel
tempo.
Ricerca: indagini di popolazione selezionata (ambulatori, day hospital) utilizzando al forma breve.
Limiti
Il suo utilizzo è successivo alla diagnosi
di incontinenza.
MAR APR 07 ASSISTENZA ANZIANI
41
INDICE
AIOCC <
LAVORO IN ÉQUIPE
Il modello organizzativo PLST
> di ERMELLINA ZANETTI *
SECONDO DEI TRE APPUNTAMENTI DEDICATI QUEST’ANNO AL LAVORO IN ÉQUIPE
IN AMBITO GERIATRICO (IL PRIMO È STATO PUBBLICATO SUL NUMERO DI FEBBRAIO). L’ARTICOLO CHE SEGUE PROPONE UN ULTERIORE MODELLO DI INTERVENTO MULTIDISCIPLINARE UTILIZZATO, IN PARTICOLARE, NEI SERVIZI CHE
ACCOLGONO SOGGETTI AFFETTI DA DEMENZA.
> Ermellina Zanetti
SPESSO i rilevanti disturbi del comportamento che accompagnano la demenza
e la sensazione di impotenza che talvolta
pervade gli operatori inducono atteggiamenti di difesa e protezione (richiesta di
sedazione, contenzione fisica). L’adozione di questo modello, oltre a rappresentare un intervento attivo e di risposta positiva ai bisogni dei soggetti affetti da demenza si è dimostrata efficace nel ridurre la frequenza e la gravità dei disturbi
comportamentali e nel ridurre lo stress
negli operatori e nei familiari. La sua conoscenza è dunque opportuna e la sua
adozione raccomandata!
conseguenza del progressivo deterioramento cognitivo, affettivo e funzionale
che caratterizza la malattia, la difficoltà
a ricevere, interpretare e rispondere agli
stimoli ambientali,. Il modello, in accordo
con altri studi (Gerdner et al, 2002), riconosce 6 principali gruppi di agenti stressanti negativi che possono indurre nei
soggetti affetti da demenza disturbi del
comportamento:
1. affaticamento,
2. cambiamenti (nella routine, nell’ ambiente, dei cargiver),
3. richieste che eccedono le capacità
del soggetto,
4. multipli e sovrapposti o contrapposti
stimoli,
5. risposte affettive alle percezioni di
perdita (compresa la rabbia),
6. stimoli fisici, quali il dolore e i trattamenti
medici invasivi o percepiti come tali.
Con il progredire della malattia si modifica
la capacità del soggetto di reagire agli
stimoli diminuendo la sua capacità di coping e aumentando la comparsa di comportamenti distruttivi anche in risposta ad
agenti stressanti di minore intensità (Hall
e Buckwalter,1987; Gerdner et al,2002).
Il modello
Il modello PLST, ampiamente sperimentato a partire dagli anni ‘80 in tutti i setting
di cura (ospedale, casa di riposo, domicilio) e da cargiver formali e informali
(Smith et al, 2004), parte dal presupposto
che molti dei disturbi comportamentali
manifestati dai soggetti affetti da demenza altro non sono che la risposta allo
stress prodotto da una negativa interazione con l’ambiente. Il modello fornisce
una serie di elementi atti a valutare e riconoscere gli elementi/eventi stressanti
per evitare che gli stessi accadano o
che il soggetto affetto da demenza sia
loro esposto.
Obiettivi perseguiti dal modello sono il
miglioramento della qualità di vita dei
pazienti e il miglioramento del livello dell’assistenza infermieristica a loro fornita.
Il modello riconosce come una diretta
MAG GIU 07 ASSISTENZA ANZIANI
49
> AIOCC
La valutazione clinica ha rilevato che
molte persone affette da demenza sperimentano minori livelli di stress durante
la mattinata e, senza un opportuno intervento, eventi stressanti si possono accumulare durante la giornata fino a superare
la soglia di tolleranza, diversa da individuo
a individuo e modulata dalla gravità della
malattia, con comparsa di disturbi del
comportamento (Hall e Buckwalter, 1987;
Gerdner et al, 2002).
Tre cluster di disturbi del comportamento
sono stati osservati nei soggetti affetti da
demenza: cognitivi, affettivi e conativi
(Ballinger et al, 1982) e altrettante sono
le tipologie di fluttuazione progressiva
del comportamento rilevate: comportamento osservato alla baseline, comportamento ansioso e comportamento disfunzionale.
Il modello PLST propone di utilizzare il
comportamento come un “barometro”
per determinare la tolleranza del paziente
allo stimolo stressante: se si manifesta
un comportamento ansioso (perdita del
contatto oculare, tentativo di allontanarsi)
TABELLA 1 - PIANO DI ASSISTENZA SECONDO I PRINCIPI
DEL PROGRESSIVELY LOWERED STRESSTHRESHOLD
Ridurre gli stimoli stressanti ambientali
• Evitare stimoli eccessivi e confusi
• Evitare di far soggiornare il paziente in spazi indefiniti
• Mantenere costante il team assistenziale
Compensare le funzioni perse
• Valutare le abilità residue
• Assicurare interventi appropriati nei tempi e nei modi
• Non eccedere con richieste di prestazioni
• Incoraggiare il paziente con rinforzi positivi
Promuovere atteggiamenti propositivi e positivi
• Sottolineare i successi del paziente
• Assicurare la comunicazione paziente-operatore
• Usare il contatto fisico per rassicurare
• Facilitare il paziente nell’utilizzo delle abilità sociali residue
• Ricreare situazioni piacevoli per il paziente
• Non utilizzare atteggiamenti punitivi
Tenere conto della minore tolleranza alla fatica e della diminuita riserva di energia
• Creare situazioni piacevoli
• Alternare attività e riposo
• Valutare, in presenza di aumento dell’ansia, eventuali problemi associati (eccessiva stimolazione,
dolore, sofferenza)
• Fare un elenco personalizzato delle cause di comportamento disfunzionale e degli interventi
rivelatisi utili da utilizzare in successivi episodi; condividerli con lo staff e la famiglia.
Incoraggiare il caregiver a prendersi cura di se stesso
• Pianificare nel tempo ricoveri di sollievo
• Fornire indicazioni per le procedure per esenzioni, assistenza legale e finanziaria (se
necessario)
• Attivare l’assistenza domiciliare (se e quando necessaria)
• Offrire consulenza sui problemi intercorrenti
Tradotto e adattato da: Smith M, Gerdner LA, Hall GR, Buckwalter KC. History, Development,
and Future of the Progressively Lowered Stress Threshold: A Conceptual Model for Dementia
Care Journal of the American Geriatrics Society 2004; 52 (10): 1755-60
50
MAG GIU 07 ASSISTENZA ANZIANI
è opportuno intervenire con attività alternative o allontanando lo stimolo mal tollerato la cui ricomparsa dovrà essere, se
possibile, evitata.
Il modello propone sei principi da rispettare nell’attività assistenziale al fine di
contenere lo stress:
1. Massimizzare le abilità residue e sostenere in modo protesico quelle perse.
2. Assicurare un incondizionato atteggiamento positivo.
3. Utilizzare l’ansia per misurare il livello
di stress collegato alle attività proposte.
4. Insegnare ai caregiver ad osservare e
ascoltare il paziente.
5. Modificare l’ambiente per compensare
le perdite e aumentare la sicurezza.
6. Provvedere adeguati livelli di formazione, supporto, assistenza e risoluzione
dei problemi. Il modello prevede una
serie articolata di interventi per ridurre gli
stimoli stressanti ambientali e individuali,
riassunti nella tabella 1.
Sperimentazione del modello
e risultati
Il modello PLST è stato applicato in numerosi setting residenziali e non, e gli studi condotti ne hanno dimostrato l’efficacia
nel ridurre la frequenza e la gravità dei
disturbi comportamentali e nel ridurre lo
stress nei cargiver formali e informali
(Hall et al, 1986; Swanson et al,1993;
Swanson et al, 1994; Mobily et al,1992;
Maas et al, 1994; Kelley, et al, 2000;
Buckwalter et al,1997; Maaset al, 2001).
Studi condotti nelle Special Care Units
(unità di cura residenziali specializzate nel
trattamento dei soggetti affetti da demenza con rilevanti disturbi del comportamento) hanno rilevato accanto alla riduzione dei disturbi del comportamento,
un aumento delle attività riabilitative e
ricreative e delle interazioni positive tra i
pazienti e tra i pazienti e lo staff e i familiari. Si è anche osservata una riduzione
dello stress nell’equipé di cura. I familiari,
per i quali il modello prevede un ruolo di
cura anche dopo l’istituzionalizzazione,
manifestano comportamenti maggiormente collaborativi con lo staff (Mobily et
al,1992; Maas et al, 1994; Kelley, et al,
2000; Buckwalter et al,1997; Maaset al,
2001). Il National Institute of Nursing
Research ha promosso uno studio multi-
AIOCC <
TABELLA 2-APPLICAZIONE DEL PROGRESSIVELY LOWERED STRESSTHRESHOLD
IN UN REPARTO PER ACUTI
Valutare il paziente all’ammissione
• Osservare il comportamento e ottenere dai caregiver informazioni sul comportamento abituale
e sulle abitudini in relazione alla soddisfazione dei bisogni di base
• Valutare la presenza di sintomi fisici quali dolore, fame, sete
Prevenire danni iatrogeni
• Valutare la necessità di applicare dispositivi quali catetere, linee intravenose, sondino
nasogastrico: se indispensabile prevedere, in accordo con la famiglia, l’eventualità di intensificare
l’assistenza
• Evitare l’utilizzo della contenzione fisica
• In relazione alla gravità della patologia acuta, alla necessita dell’utilizzo di dispositivi, alle abilità
funzionali conservate definire il piano di assistenza (vd tab 4) e condividerlo con lo staff
Collaborare con la famiglia
• Presentare alla famiglia il piano di assistenza e concordare la loro possibilità di collaborazione
• Istruire i familiari ad affrontare situazioni nuove causate dalla patologia acuta in atto
• Concordare la dimissione
Adattato da: McCloskey RM. Caring for patients with dementia in an acute care environment.Geriatr
Nurs. 2004 May-Jun;25(3):139-44. Review
centrico caso controllo che ha valutato
l’efficacia del modello nella formazione
alle abilità di cura e di presa in carico dei
cargiver di soggetti affetti da demenza
(Gerdner,1996).
L’applicazione del modello in un setting
per pazienti acuti trova la sua ragione
nell’elevata esposizione ad agenti stressanti ambientali che si associano allo
stress legato al ricovero e alla patologia
acuta in atto. In particolare molti sono gli
stimoli ambientali che possono indurre
ansia nei soggetti affetti da demenza accolti in una divisione ospedaliera: il ripetuto suono del telefono o dei campanelli
di chiamata, l’utilizzo dell’interfono per le
comunicazioni tra lo staff, il via vai di
parenti e operatori, l’alternarsi di operatori che si occupano dello stesso paziente.
La routine ospedaliera prevede inoltre
nella stessa giornata repentini cambiamenti con periodi di forte stimolazione e
periodi di inattività. Il modello PLST fornisce agli infermieri un rifermento per attuare nei confronti dei soggetti affetti da demenza interventi volti a minimizzare gli
stimoli ambientali negativi e a ottimizzare
gli interventi assistenziali come riassunto
in Tabella 2 (McCloskey,2004).
* Presidente AIOCC Gruppo di Ricerca Geriatrica, Brescia
Bibliografia
Ballinger BR, Reid AH, Heather BB.
Cluster analysis of symptoms in elderly
demented patients Br J Psychiatry.
1982 Mar;140:257-62.
Buckwalter KC, Maas M, Reed D.
Assessing family and staff caregiver
outcomes in Alzheimer's disease
research. Alzheimer Dis Assoc Disord
1997;11: 105–116
Gerdner L, Buckwalter K, Reed D.
Impact of a psychoeducational
intervention on caregiver response to
behavioral problems. Nurs Res
2002;51:363-74.
Gerdner, L.A.; Hall, G.R.; Buckwalter,
K.C. Caregiver training for people with
Alzheimer's based on a stress
threshold model. Image-The Journal of
Nursing Scholarship. Fall 1996; vol.
28(3), pp. 241-246.
Hall G, Buckwalter K. Progressively
Lowered Stress Threshold: a
conceptual model for care of adults
with Alzheimer’s disease. Arch
Psychiatr Nurs 1987;81:399-406.
Hall G, Kirschling MV, Todd
S.Sheltered freedom--an Alzheimer's
unit in an ICF.Geriatr Nurs. 1986 MayJun;7(3):132-7
Kelley, L.S., Specht, J.K. & Maas, M.L.
Family involvement in care: a researchbased protocol for person with
dementia or other chronic illnesses
Journal of Gerontological Nursing
2000; 26(2), 13-21
Maas M, Buckwalter KC, Swanson E et
al. The caring partnership: Staff and
families of persons institutionalized
with Alzheimer's disease. Am J Alzh
Care & Rel Dis & Research 9(6):21-30,
1994
Maas, M. L ., Reed, D., Specht, J. P.,
Swanson, E., Tripp-Reimer, T.,
Buckwalter, K. C., Schutte, D., &
Kelley, L. S. (2001). Family
involvement in care: Negotiated familystaff partnerships in special care units
for persons with dementia. In S. G.
Funk, E. M. Tornquist, J. Leeman, M.
S. Miles, & J. S. Harrell (Eds.), Key
aspects of preventing an managing
chronic illness (pp. 330-345). New
York: Springer Publishing.
McCloskey RM. Caring for patients
with dementia in an acute care
environment.Geriatr Nurs. 2004 MayJun;25(3):139-44. Review
Mobily PR, Maas ML, Buckwalter KC,
Kelley LS Staff stress on an
Alzheimer's unit. J Psychosoc Nurs
Ment Health Serv. 1992
Sep;30(9):25-31.
Smith M, Gerdner LA, Hall GR,
Buckwalter KC. History, Development,
and Future of the Progressively
Lowered Stress Threshold: A
Conceptual Model for Dementia Care
Journal of the American Geriatrics
Society 2004; 52 (10): 1755-60
Swanson EA, Maas ML, Buckwalter
KC. Alzheimer's residents' cognitive
and functional measures: special and
traditional care unit comparison. Clin
Nurs Res. 1994 Feb;3(1):27-41
Swanson EA, Maas ML, Buckwalter
KC. Catastrophic reactions and other
behaviors of Alzheimer's residents:
special unit compared with traditional
units. Arch Psychiatr Nurs. 1993
Oct;7(5):292-9.
MAG GIU 07 ASSISTENZA ANZIANI
51
INDICE
> AIOCC
INTEGRAZIONE POSSIBILE
L’operatore nell’équipe assistenziale
> di GIUSEPPINA GAVAZZI *
A SEI ANNI DALL’INTRODUZIONE DELL’OPERATORE SOCIO SANITARIO PERMANGONO ANCORA MOLTE PERPLESSITÀ RISPETTO ALLE ATTRIBUZIONI E AL RAPPORTO CON LE ALTRE FIGURE PROFESSIONALI. RIPORTIAMO L’ESTRATTO DI UNA TESI
SULL’ARGOMENTO CHE DOCUMENTA, ATTRAVERSO UNA RICERCA CONDOTTA IN
ALCUNE CASE DI RIPOSO, LA DIFFICILE INTEGRAZIONE E DELINEA ALCUNE POSSIBILI SOLUZIONI (ERMELLINA ZANETTI, PRESIDENTE AIOCC).
INTRODUZIONE
L’ultimo decennio per la professione infermieristica è stato caratterizzato da
grandi innovazioni e grandi conquiste
culturali e normative sia nell’ambito della
formazione che dell’esercizio professionale. L’infermiere, mantenendo la completa responsabilità di tutte le fasi del
processo di assistenza infermieristica si
può avvalere, ove necessario, nella realizzazione degli interventi assistenziali
degli operatori di supporto, così come
prevede il D.M. 739/94. L’attribuzione di
attività assistenziali agli operatori di supporto dovrebbe consentire, attraverso
una previa valutazione qualitativa dell’organizzazione ed un’analisi delle attività
assistenziali, di “sollevare” gli infermieri da
attività improprie e da attività ad elevata
standardizzazione e, di conseguenza,
dovrebbe assicurare un’ottimizzazione
dei tempi infermieristici ed un miglioramento della qualità assistenziale. In questo particolare contesto si è inserita l’istituzione della figura dell’OSS che dovrebbe
essere considerata una risorsa in grado
di consentire la valorizzazione delle funzioni infermieristiche, alla luce dell’evoluzione culturale e professionale di questi
ultimi anni.
Obiettivi dello studio
L’indagine realizzata nelle RSA dell’ASL
di Milano e provincia aveva come obiettivo quello di conoscere principalmente le
modalità di inserimento dell’OSS nell’equipe assistenziale delle RSA, gli strumenti utilizzati per l’integrazione professionale, la definizione delle attività ed
34
LUG 07 ASSISTENZA ANZIANI
eventuali cambiamenti organizzativi riguardanti l’assistenza infermieristica in
seguito all’inserimento dell’OSS.
Le ipotesi su cui si è fondata l’indagine sono le seguenti:
• l’integrazione dell’OSS nelle equipe
assistenziali delle RSA viene realizzata
senza tenere in considerazione i presupposti organizzativi e culturali che la letteratura propone per un inserimento efficace ed efficiente di tale figura;
• l’inserimento dell’OSS nelle RSA risponde più all’esigenza di colmare la carenza
infermieristica che alla necessità di migliorare la qualità assistenziale.
Materiale e metodi
L’indagine è stata condotta attraverso la
“tecnica della domanda” ovvero un’intervista, guidata da un questionario strutturato, ai coordinatori infermieristici delle
RSA campione. La costruzione del questionario è stata realizzata sulla base
della normativa vigente e di un quadro
teorico di riferimento rappresentato dalla
letteratura inerente l’inserimento dell’OSS
nelle equipe assistenziali. Il questionario
è stato suddiviso in tre parti:
1. identificazione dell’organico (personale
infermieristico e di supporto) e rilevazione
delle presenze giornaliere in rapporto al
numero di posti letto;
2. modalità di inserimento e di integrazione dell’OSS nell’equipe assistenziale;
3. identificazione delle attività che l’OSS
svolge in autonomia e/o in collaborazione
con gli infermieri.
Il campione è stato costituito dalle RSA
accreditate di Milano che, al momento
della conduzione della ricerca, includevano nel loro organico OSS inquadrati
contrattualmente e che quindi già svolgevano le funzioni previste dal relativo profilo. Su 32 RSA dell’ASL di Milano (luglio
2005) 3 RSA non avevano ancora inserito
la figura dell’OSS nell’organico e, solo 9
RSA si sono rese disponibili alla realizzazione dell’indagine. In una RSA milanese
è stato effettuato il pretest, al fine di tarare
il questionario stesso prima di un’effettiva
somministrazione al campione in esame.
Per raggiungere il livello di rappresentatività (10 RSA), ritenuto necessario per
verificare le ipotesi formulate, è stata inclusa nell’indagine una RSA dell’ASL
provincia di Milano 1. In realtà il campione
definitivo risultava costituito da 11 RSA in
quanto una struttura dell’ASL di Milano ha
dato successivamente la propria disponibilità a partecipare all’indagine.
Pertanto l’indagine è stata realizzata in 11
RSA, anche se sono state effettuate
complessivamente 15 interviste ai rispettivi coordinatori che gestivano variabilmente uno o più nuclei operativi della medesima RSA. I risultati dell’indagine si
riferiscono generalmente a un totale di 15
strutture/nuclei RSA corrispondenti alle 15
interviste.
Risultati dello studio
Identificazione dell’organico e rilevazione
delle presenze giornaliere in rapporto al
numero di posti letto.
L’analisi ha evidenziato che, in circa metà
delle RSA indagate, gli infermieri svolgono la propria attività lavorativa soprattutto
in qualità di libero professionista e/o dipendente di cooperativa. Tale dato conferma quanto sostenuto in letteratura,
ossia che le RSA non sono considerate
dagli infermieri un luogo di elezione in cui
svolgere la propria attività lavorativa.
I coordinatori infermieristici sono presenti
cinque giorni alla settimana e svolgono
prevalentemente attività di gestione e di
AIOCC <
organizzazione dell’assistenza, gestendo
sia più nuclei contemporaneamente (max
126 posti letto) che piccoli nuclei (max 30
posti letto). Generalmente intervengono
nell’attività assistenziale in mancanza di
infermieri. In una RSA non è presente il
coordinatore infermieristico, per cui la
gestione degli infermieri è affidata alla
direzione del personale, mentre la gestione degli aspetti assistenziali e del personale di supporto (ASA e OSS) è affidata
ad un coordinatore OSS.
In sette strutture/nuclei (7/15) è presente
la figura del referente assistenziale. Tale
funzione è attribuita prevalentemente
agli OSS (34,4%), ma anche agli ASA
(13,3%) e consta delle seguenti attività:
• supervisione del lavoro degli ASA;
• gestione della documentazione assistenziale in uso nel nucleo;
• gestione delle informazioni assistenziali
per le riunioni d’equipe finalizzate alla
stesura e alla discussione del piano assistenziale individualizzato (PAI).
In due strutture (2/15) l’OSS ricopre il ruolo di coordinatore dei servizi assistenziali
che, oltre alle attività appena descritte
(svolte dal referente assistenziale), gestisce il personale di supporto (OSS/ASA)
e la relativa turnistica. Tali coordinatori
non sono inseriti nell’organico ASA/OSS,
sebbene svolgano attività di assistenza
diretta in caso si necessità.
Solo tre RSA (3/11), inserite in strutture
polifunzionali (RSA, riabilitazione, centro
diurno, hospice ecc.), dispongono di un
responsabile infermieristico (non necessariamente dirigente) che gestisce il personale infermieristico e le figure di supporto. Nelle restanti otto RSA (8/11) la gestione del personale e del nucleo è completamente affidata ai coordinatori infermieristici, in base alle direttive della direzione del personale rispetto agli aspetti
amministrativi e gestionali e della direzione sanitaria per gli aspetti sanitari.
Modalità di inserimento e di integrazione dell’OSS nell’équipe assistenziale.
La maggioranza del campione (8/15) ha
inserito nell’équipe assistenziale OSS la
cui formazione prevedeva la partecipazione a 1000 ore di corso, reclutati esternamente ed inseriti nei nuclei come per-
sonale di nuova acquisizione. In particolare, il 20% delle strutture ha inserito
solo OSS con formazione di 1000 ore, il
33,3% ha inserito in organico contemporaneamente sia OSS di 1000 ore sia
OSS riqualificati, ovvero operatori ASA
che già lavoravano nei nuclei, mentre il
46,7% ha inserito solo OSS riqualificati.
L’inserimento dell’OSS ha determinato
una revisione degli standard di personale
nel 26,7% delle strutture, nelle quali
peraltro sono stati reclutati solo OSS
con formazione di 1000 ore che sono stati
inseriti nell’organico degli infermieri. Nelle
restanti strutture (73,3%) è stata effettuata
una revisione “qualitativa” ma non “quantitativa” dell’organico, in quanto gli OSS
(prevalentemente riqualificati) sono stati
inseriti o mantenuti nel gruppo ASA (di cui
facevano parte precedentemente) già
previsto nel nucleo con modifiche variabili
del programma di lavoro.
Nella maggior parte delle strutture (10/15)
sono state organizzate delle riunioni
“informative” con il personale del nucleo;
gli argomenti maggiormente trattati in
tali incontri, effettuati prevalentemente
prima dell’inserimento, sono stati la conoscenza del profilo dell’OSS e la revisione
dei programmi di lavoro di tutte le figure
professionali, compreso l’infermiere.
Solo in due strutture (2/15), in cui sono
stati inseriti solo ASA riqualificati, l’inserimento dell’OSS è stato guidato da una
procedura formale (accoglimento, tutorato, obiettivi). Nelle restanti strutture il
coordinatore infermieristico ha avuto un
ruolo fondamentale nell’inserimento
dell’OSS; infatti, fermo restando le indicazioni generali della direzione riguardanti
gli standard di personale, il coordinatore
ha organizzato autonomamente l’inserimento dell’OSS predisponendo l’accoglimento, l’affiancamento e/o le mansioni/piani di lavoro dell’OSS, senza però
definire obiettivi specifici.
Per gli OSS di nuova acquisizione la valutazione ha rappresentato un momento
formalizzato, supportato anche da una
modulistica ad hoc, mentre per gli OSS
riqualificati la valutazione ha avuto una
connotazione più informale senza alcun
vincolo per la formulazione di un giudizio
di idoneità all’esercizio professionale, in
quanto non richiesto dalle norme contrat-
tuali.
Sono state elaborate diverse tipologie
di documenti per facilitare l’integrazione
dell’OSS nell’equipe assistenziale: il programma di lavoro è risultato il documento
maggiormente utilizzato (46,7%), seguito
dalle procedure/protocolli (26,7%) ed infine dalla job description (20%). Nonostante la letteratura segnali l’utilizzo di tutti
gli strumenti precedentemente descritti,
avendo ciascuno finalità differenti, solo
una struttura (6,7%) ha previsto l’elaborazione e quindi l’utilizzo contemporaneo di
tali documenti.
Per quanto concerne la documentazione
infermieristica, pur essendo presente in
tutte le strutture un PAI per ciascun ospite,
così come prevede la normativa regionale riguardante l’accreditamento, solo
quattro strutture (26,6%) hanno dichiarato
di utilizzare una cartella infermieristica/piano assistenziale orientata da un
modello concettuale di riferimento dell’assistenza infermieristica. Da una successiva analisi dei dati si evince che lo strumento maggiormente utilizzato dall’infermiere per documentare l’attività quotidiana rimane la consegna o scheda infermieristica (80%), in cui sono segnalati
i problemi quotidiani di tutti gli ospiti e/o
le indicazioni relative alle procedure diagnostiche-terapeutiche. Solo in alcuni
casi tali schede sono personalizzate per
ciascun ospite.
In circa la metà delle strutture (46,7%) gli
OSS utilizzano unicamente la scheda/consegna infermieristica per registrare
le attività svolte durante il turno. Nel
33,3% delle strutture l’OSS utilizza la
consegna giornaliera del personale di
supporto (ASA, OSS), in cui sono segnalati i problemi/bisogni assistenziali di tutti
gli ospiti, nonché diverse schede di registrazione dell’assistenza (alvo, bagni
quotidiani, alimentazione, mobilizzazione,
bilanci idrici, pesi mensili). Nelle restanti
strutture (20%) l’OSS utilizza, insieme alle
altre figure professionali, la consegna
integrata personalizzata o l’agenda multiprofessionale. Da tali dati si evince che la
maggior parte delle informazioni assistenziali, riguardanti i bisogni degli ospiti,
è gestita dal personale di supporto ed,
infatti, la consegna infermieristica descrive unicamente situazioni problematiche
LUG 07 ASSISTENZA ANZIANI
35
> AIOCC
e/o indicazioni relative alle procedure
diagnostiche e terapeutiche, come definito precedentemente. Nella maggioranza delle strutture (53,3%) l’inserimento di
tale operatore ha creato, nel nucleo operativo, momenti conflittuali tra gli operatori.
I conflitti maggiori sono sorti tra gli ASA e
gli OSS in quanto a questi ultimi sono
state attribuite attività di supervisione
sugli ASA, funzione in parte non formalizzata. Nel 60% delle strutture l’attribuzione di alcune attività all’OSS ha consentito
di liberare dei tempi e degli spazi per le
prestazioni infermieristiche, mentre nelle
restanti strutture (40%) gli OSS hanno
mantenuto prevalentemente attività di
assistenza diretta ed aiuto domestico
alberghiero. In particolare, l’assegnazione
delle attività agli OSS ha permesso agli
infermieri di recuperare del tempo per dedicarsi maggiormente alle attività quotidiane come la terapia, il “giro visita medica”, le medicazioni e la rilevazione dei
parametri clinici. Solo in una struttura il
36
LUG 07 ASSISTENZA ANZIANI
tempo recuperato è stato impiegato per
la pianificazione assistenziale e in un’altra
per la valutazione delle abilità funzionali
degli ospiti, per la pianificazione assistenziale ed il coordinamento del PAI.
Identificazione delle attività che
l’OSS svolge in autonomia e/o in
collaborazione con gli infermieri).
La terza parte del questionario era volta
ad indagare le attività svolte dalle varie
figure professionali all’interno dei nuclei
operativi, con l’obiettivo di individuare la
tipologia e il peso delle attività affidate agli
operatori di supporto, in particolar modo
agli OSS, sia in autonomia che in collaborazione con l’infermiere, come prevede la
normativa regionale. L’analisi di questa
terza parte ha permesso quindi di indagare due aspetti fondamentali:
• quante volte ciascuna attività indagata
è svolta da ogni singolo operatore, sul
totale delle risposte date;
• in che misura l’infermiere ha attribuito
alcune attività agli operatori di supporto
(∆ Inf. - delta %).
L’assistenza diretta, in situazioni di stabilità clinica dell’ospite è affidata nel 84,8%
dei casi agli operatori di supporto. In situazioni di instabilità clinica, presupposto
ritenuto fondamentale nel processo di
“non” attribuzione delle attività agli operatori di supporto, l’infermiere non è sempre presente, ma la gestione della situazione è a carico degli ASA e degli OSS,
in una percentuale equivalente.
Un dato rilevante riguarda la gestione
della sacca di raccolta della diuresi sia
con sistema chiuso sia aperto (cambio
della sacca di raccolta), che rimane quasi
completamente affidata (86,2%) sia agli
OSS che agli ASA, in una percentuale
equivalente.
E’ interessante notare che l’OSS nell’esecuzione del clisma fleet, senza l’utilizzo
della sonda rettale, agisce prevalentemente in completa autonomia (57,1%).
Le attività di rilevazione dei parametri
clinici (PA, FC, TC, DTX, SO2), così
come l’applicazione di alcune procedure
terapeutiche (aerosol terapia, supposte,
gocce auricolari/oftalmiche, farmaci transdermici), sono state affidate agli OSS
nella maggioranza dei casi, con una percentuale di attribuzione superiore al 50%.
L’OSS in tali attività agisce prevalentemente in completa autonomia. Anche
gli ASA, sebbene in pochi casi, intervengono nella rilevazione dei parametri clinici
e nell’applicazione di alcune procedure
terapeutiche. La preparazione della terapia orale è quasi completamente affidata
agli infermieri (83,3%); non vi è quindi una
competenza esclusiva in quanto tale attività è anche assegnata agli OSS, ma in
collaborazione con gli stessi infermieri
(16,7%). L’aiuto nell’assunzione della terapia orale è stato affidato prevalentemente agli OSS che agiscono principalmente in autonomia, ma anche agli ASA
nel 54,5% dei casi.
L’esecuzione di semplici medicazioni (lesioni da decubito 1° stadio, escoriazioni,
ecc.) è stata attribuita agli operatori di
supporto (ASA e OSS) in più della metà
dei casi (53,6%).
Per quanto riguarda l’area igienico-sanitaria, la maggior parte delle attività è affidata agli operatori di supporto, ovvero so-
AIOCC <
prattutto all’OSS. La pulizia e la disinfezione dei carrelli (terapia, medicazioni
e urgenze) è effettuata dagli operatori di
supporto (rispettivamente nel 53,8%,
47,8% e 40,9% dei casi).
La raccolta dei dati assistenziali e la
realizzazione dei piani di assistenza, attività caratterizzanti lo specifico infermieristico, sono svolte dall’infermiere rispettivamente solo nel 33.3% e nel 40% dei
casi. Entrambe le attività sono state attribuite non solo agli OSS, ma anche agli
ASA in una percentuale pari rispettivamente al 66,7% e al 60,0% dei casi.
Nella maggioranza del campione gli OSS
svolgono le stesse attività affidate agli
ASA (assistenza diretta ed aiuto domestico alberghiero) ma, in mancanza degli
infermieri, soprattutto durante il turno pomeridiano in cui si riduce numericamente
la presenza infermieristica e l’infermiere
svolge la propria attività lavorativa su
più piani posti verticalmente, gli OSS si
occupano anche di attività prettamente
sanitarie, compresa la distribuzione della
terapia orale preparata precedentemente
dall’infermiere. Generalmente nelle RSA,
il momento della preparazione non coincide con l’assunzione della terapia stessa
proprio perché tutta la terapia è preparata
da un unico infermiere, prevalentemente
nel turno della mattina, per le 24 ore
successive.
Considerazioni e conclusioni
Dai risultati dell’indagine è possibile affermare che le ipotesi formulate all’inizio
della ricerca sono state confermate.
L’OSS è stato inserito nell’equipe assistenziale delle RSA tenendo scarsamente in considerazione i presupposti
culturali ed organizzativi descritti dalla
letteratura, presupposti considerati fondamentali per un inserimento efficace ed
efficiente di tale figura. Sebbene siano
stati effettuati degli incontri informativi e
siano stati elaborati dei documenti per facilitare l’integrazione dell’OSS nelle équipe assistenziali, non è possibile affermare
che l’inserimento dell’OSS sia avvenuto
sulla base di un progetto ad hoc. Inoltre,
nonostante solo quattro RSA abbiano
affermato di aver inserito l’OSS in sostituzione di un infermiere, all’OSS, nella
maggior parte delle strutture, sono state
affidate attività che prima dell’inserimento
erano affidate agli infermieri (rilevazioni
parametri, semplici medicazioni, aiuto
assunzione terapia orale…).
Due sono le problematiche maggiori
emerse durante l’analisi dei dati:
1) l’OSS è impiegato per attività di cui non
si fa cenno nel relativo profilo regionale
(es. “collabora nell’attività del personale
infermieristico che garantisce la corretta
applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche, anche attraverso l’utilizzo di apparecchiature medicali di
semplice uso” VS > rilevazione parametri
clinici; “collabora alla somministrazione
della terapia: farmaci per via enterale supposte, clismafleet - e tramite aerosol,
farmaci transdermici, gocce oftalmiche ed
auricolari” VS > preparazione e somministrazione terapia orale). Ciò dipende,
molto probabilmente, da un’erronea interpretazione della norma che lascia effettivamente aperti diversi spunti di riflessione. Basti pensare al termine di “collaborazione” con il personale preposto che
lascia aperto un profondo dibattito: “in
presenza o solo su indicazione del personale preposto?”.
2) L’OSS è il responsabile dell’assistenza
diretta e del PAI degli ospiti nei nuclei
RSA.
L’OSS diventa quindi una figura centrale
in RSA occupandosi sia di assistenza
diretta sia di prestazioni sanitarie di varia
natura, mentre gli infermieri si occupano
prevalentemente delle procedure diagnostiche-terapeutiche.
L’OSS quindi non è inserito nell’equipe
assistenziale con l’intento di migliorare la
qualità dell’assistenza, ma “sgravare” gli
infermieri da attività ritenute non fondamentali (sia dalla direzione delle strutture
che dagli stessi infermieri) che, in realtà,
rappresentano lo specifico infermieristico
come la pianificazione assistenziale.
Le difficoltà incontrate durante l’indagine
sono state numerose e soprattutto legate:
• alla mancanza, all’interno delle strutture,
di una figura dirigenziale infermieristica
che coordini il personale sanitario e assistenziale (ed infatti la maggiore disponibilità la si è avuta dalle tre RSA che avevano un servizio infermieristico);
• alla diversità dell’organizzazione delle
RSA; infatti, come citato precedente-
mente, il target considerato per la raccolta
dei dati è stato disomogeneo. Ad esempio, i coordinatori infermieristici (intervistati) avevano responsabilità differenti: in
alcune RSA il coordinatore gestiva più
nuclei (anche cinque nuclei contemporaneamente), mentre in altre si occupava di
un solo nucleo composto da massimo 30
posti letto.
Tale indagine ha messo però in risalto il
ruolo fondamentale dei coordinatori infermieristici nell’inserimento dell’OSS nell’equipe assistenziale in RSA in quanto, in
mancanza di un servizio infermieristico,
la gestione diretta del personale (infermieri e operatori di supporto) e degli aspetti organizzativi dei nuclei è completamente affidata a loro. Sicuramente la
mancanza di un supporto e di un confronto con figure dirigenziali infermieristiche
ha portato i coordinatori a fare scelte a
volte non sostenute da un progetto concettuale.
Le RSA diventano quindi un luogo da presidiare da un punto di vista infermieristico,
dato l’aumento dei bisogni della persona
anziana sia per numero che per complessità, così come rilevano anche i dati
ISTAT. Gli infermieri in RSA dovrebbero
rivestire un ruolo fondamentale nella formulazione di un piano di assistenza infermieristico individualizzato orientato alla
risoluzione dei molteplici e complessi
bisogni dell’anziano fragile.
Il prossimo passo che potrebbe aiutare a
definire l’importanza ed il ruolo specifico
che l’infermiere riveste in RSA è la verifica
a distanza dei risultati in termini di qualità
delle prestazioni (valutazione di alcuni
indicatori assistenziali come il tasso di
cadute, lesioni da decubito, contenzione
ecc.) e di soddisfazione degli utenti, in
seguito all’inserimento dell’OSS, così
come prevede anche la letteratura in
merito a tale argomento.
* Piccolo Cottolengo don Orione, Milano
L’articolo è tratto dal lavoro di tesi svolto
dall’autrice a conclusione del Master in
Management Infermieristico per le funzioni di coordinamento (a.a. 2004/2005).
Relatore Anna Castaldo.
LUG 07 ASSISTENZA ANZIANI
37
INDICE
> AIOCC
LAVORO IN ÉQUIPE
Il modello organizzativo ECSIP
> di ERMELLINA ZANETTI *
PROSEGUE IN QUESTO NUMERO DI ASSISTENZA ANZIANI LA TRATTAZIONE DEI MODELLI ORGANIZZATIVI, SPERIMENTATI E DISCUSSI IN LETTERATURA, UTILI ALLO
SVILUPPO DEL LAVORO IN ÉQUIPE, CHE SI RENDE NECESSARIO NELLE SITUAZIONI
DI MAGGIORE COMPLESSITÀ. IL MODELLO PROPOSTO, INDIRIZZATO A CORRETTAMENTE INTERVENIRE NEI SOGGETTI DEMENTI CON RILEVANTI DISTURBI DEL
COMPORTAMENTO, È PARTICOLARMENTE INTERESSANTE POICHÉ PUÒ ESSERE
ADOTTATO ANCHE DAI FAMILIARI, OLTRE CHE DAGLI OPERATORI. PUÒ DUNQUE
RAPPRESENTARE, OLTRE CHE UN OTTIMO STRUMENTO DI LAVORO, ANCHE UN INCENTIVO ALLA COLLABORAZIONE CON LE FAMIGLIE CUI SEMPRE VA RICONOSCIUTO UN INSOSTITUIBILE, SEPPUR FATICOSO, COMPITO DI CURA.
IL PROTOCOLLO ECSIP applicato in
divisioni mediche e chirurgiche si propone di ridurre il disconfort, la perdita di
abilità funzionali, la durata della degenza
nei soggetti anziani confusi e/o dementi
ospedalizzati.
Il protocollo, inoltre, è proposto come
metodo per la formazione degli studenti
infermieri affinchè aumenti la loro soddisfazione e il loro interesse per l’assistenza agli anziani.
> Ermellina Zanetti
TABELLA 1 - SPERIMENTAZIONE DELL’ELDER CARE SUPPORTIVE
INTERVENTION PROTOCOLL: LIVELLI DI VALUTAZIONE
LIVELLO 1: entro 24 ore dall’ammissione
Valutazione delle funzioni cognitive: Functional Activities Questionnaire (FAQ)
Valutazione della presenza e gravità del delirium: NEECHAM Confusion Scale
Valutazione delle preferenze e abitudini nella soddisfazione dei bisogni di base: intervista (anche
telefonica ai familiari o agli infermieri della casa di riposo)
LIVELLO 2: entro 48-72 ore dall’ammissione
Al protocollo sono ammessi i soggetti
con età uguale o superiore a 74 anni (64
anni se provenienti da una casa di riposo) con diagnosi di disturbo cognitivo o
demenza, presenza documentata di dipendenza funzionale e presenza all’ammissione di delirium o di elevato rischio
di svilupparlo.
Il protocollo ECSIP si compone di tre
gruppi di interventi finalizzati all’assesment (Client profile), alla personalizzazione dell’assistenza (Individualized
care protocol) e al sostegno dei caregiver (Elder Guide).
Il protocollo prevede che entro 24 ore
dall’ammissione l’infermiere valuti il paziente rispetto alle usuali modalità di
soddisfazione dei bisogni di base, le
preferenze rispetto al cibo e alle attività,
la storia personale e a particolarità nell’e30
OTT 07 ASSISTENZA ANZIANI
Valutazione della presenza e gravità del delirium: NEECHAM Confusion Scale
Valutazione delle abilità funzionali: Indice di Katz
Valutazione del Disconfort: Discomfort Screen – Dementia Alzheimer’s Type (DS-DAT)
Valutazione del coinvolgimento dei familiari nell’assistenza: ore di presenza/die
LIVELLO 3: 24 ore prima della dimissione
Valutazione della presenza e gravità del delirium: NEECHAM Confusion Scale
Valutazione delle abilità funzionali: Indice di Katz
Valutazione del Disconfort: Discomfort Screen - Dementia Alzheimer’s Type (DS-DAT)
Valutazione del coinvolgimento dei familiari nell’assistenza: ore di presenza/die
Durata della degenza
Tradotto e modificato da: Miller, J., Campbell, J., Moore, K., & Schofield, A. Elder Care Supportive
Interventions Protocol: Reducing Discomfort in Confused, Hospitalized Older Adults. Journal of
Gerontological Nursing, 2004, 30(8): 10-18.
AIOCC <
TABELLA 2: IDENTIFICAZIONE DI DEFICIT COGNITIVO ALL’AMMISSIONE
Possibile demenza (FAQ)
(n=66)
Delirium (NEECHAM)
(n=53)
n
%
n
%
Nessuna diagnosi di deficit cognitivo, ma
presenza di deficit all’ammissione
13
20
12
23
Diagnosi medica di demenza o di deficit
cognitivo
21
32
21
40
Nessuna diagnosi di demenza o deficit
cognitivo e assenza di sintomi/segni rilevati
dallo staff
32
48
20
37
sprimere disagio. Le informazioni, (oltre
al paziente sono fonte di informazioni i
cargiver o le infermiere della casa di riposo contattate telefonicamente) sono
utilizzate per la definizione del protocollo
di assistenza individuale che prevede
due gruppi di interventi (Miller, 1996): il
primo finalizzato alla prevenzione del
disconfort promuovendo attività in accordo alle abitudini e preferenze del paziente; il secondo finalizzato a prevenire
possibili situazioni di disagio attraverso
il controllo dei fattori ambientali, la comunicazione e la prevenzione o il trattamento di sintomi fisici quali il dolore, la
sete, la stipsi. I caregiver sono considerati membri a tutti gli effetti del team di
cura e la Elder Guide individua tre ambiti
di intervento rivolti ai familiari: la valutazione delle abilità di cura della famiglia,
la spiegazione dei principali interventi
assistenziali adottati in ospedale, le
modalità di sostegno economico per
facilitare la presenza dei familiari in
ospedale (es: buoni pasto e parcheggio
gratuiti). Molte delle informazioni rivolte
ai familiari sono riassunte in un agile
testo a loro rivolto e intitolato: “Grazie per
essere presenti”.
Sperimentazione del protocollo
e risultati
Il protocollo ECSIP è stato sperimentato
31
OTT 07 ASSISTENZA ANZIANI
31
> AIOCC
Aspetti in evidenza
1
Il delirium è una condizione frequente nei pazienti anziani ricoverati nei reparti
medici o chirurgici.
2
Il discomfort, che include ansia e dolore, è sperimentato ad alti livelli da molti
tra gli anziani ospedalizzati e può essere ridotto attraverso interventi preventivi
e atti a promuovere comfort.
3
Gli studenti infermieri e i familiari possono essere importanti risorse per
aumentare il comfort nei soggetti confusi durante l’ospedalizzazione.
presso le divisioni di medicina e ortopedia di un ospedale universitario attraverso uno studio analitico di coorte.
Lo studio è stato preceduto da un intervento formativo rivolto agli staff infermieristici delle due divisioni.
L’implementazione del protocollo ha
reso possibile evidenziare e risolvere
eventuali aspetti nell’organizzazione
che avrebbero potuto ostacolarne l’utilizzo. Gli studenti infermieri, inoltre, hanno affiancato gli staff per tutta la durata
dello studio, al fine di supportare gli
infermieri nella personalizzazione del
protocollo di assistenza, affiancare ed
educare i familiari, oltre che nella rilevazione dei dati utili ai fini della ricerca.
Lo studio prevedeva tre step di valutazione: entro 24 ore dall’ammissione; da
48 a 72 ore dall’ammissione e 24 ore
prima della dimissione (Vedi Tabella 1).
Durante i 4 mesi di durata dello studio
sono risultati eleggibili 181 pazienti; di
questi hanno partecipato allo studio 38
soggetti per il gruppo di controllo e 43
per il gruppo sperimentale, ma solo 20
pazienti per il gruppo di controllo e 32
per il gruppo sperimentale hanno completato lo studio con la valutazione a 24
ore dalla dimissione.
Non vi erano significative differenze nei
due gruppi per quanto riguarda il sesso,
l’età, la provenienza all’ammissione e la
diagnosi di deficit cognitivo. Il 71% dei
pazienti è rappresentato da donne con
un’età media di 82 anni (range 67-101
anni); il 45% dei pazienti provengono dal
loro domicilio, il 14,9% dal domicilio dei
32
OTT 07 ASSISTENZA ANZIANI
figli o di un familiare e il 39,4% da una
casa di riposo.
Per la valutazione delle funzioni cognitive lo studio prevedeva l’utilizzo del
Functional Activities Questionnaire
(FAQ) che indaga l’abilità di portare a
termine 10 attività complesse. Il FAQ è
raccomandato per lo screening della
presenza o assenza di demenza. Il
70,7% dei soggetti ammessi allo studio
aveva un punteggio al FAQ maggiore di
8 compatibile con diagnosi di demenza
possibile.
La presenza e la gravità del delirium è
stata investigata utilizzando la NEECHAM
Confusion Scale, una scala osservazionale a 9 item (Neelon et al, 1996): il
53% dei partecipanti avevano all’ammissione un punteggio alla NEECHAM inferiore a 20 che indica una confusione severa. L’applicazione del protocollo e la
successiva valutazione degli outcome
attesi ha evidenziato una significativa
riduzione del delirium e una marginale
riduzione della disabilità nel gruppo di
intervento. Non si è osservata alcuna
differenza nella durata della degenza nei
due gruppi (5,23 giorni di degenza
media).
Il disconfort, valutato utilizzando una
griglia osservazionale a 6 item (DSDAT modificato) da applicarsi a 105
situazioni di evidente disagio (venipuntura, cateterismo vescicale, medicazioni)
e a 132 situazioni di possibile disagio
(Hurley et al,1992; Miller et al,1996),
diminuisce nei pazienti del gruppo di
intervento ricoverati in medicina e aumenta, sia nel gruppo di intervento, sia
nel gruppo di controllo, in quelli ricoverati
in ortopedia, forse per effetto dei postumi
dell’intervento, dell’immobilità e del dolore conseguenti.
L’utilizzo del protocollo ha reso possibile
un reale ed effettivo coinvolgimento dei
familiari nella cura dei pazienti: i familiari
erano infatti presenti per oltre la metà del
tempo in cui erano presenti anche gli
studenti infermieri cui erano affidate le
cure di base e l’affiancamento dei familiari. Gli studenti coinvolti nello studio
hanno dimostrato un maggior interesse
e attitudine a lavorare, una volta concluso il corso di studio, in reparti geriatrici.
* Gruppo di Ricerca Geriatrica, Brescia
e AIOCC
Bibliografia
Hurley, A., Volicer, B., Hanrahan, P.,
Houde, S., & Volicer, L. (1992).
Assessment of discomfort in advanced
Alzheimer patients. Research in
Nursing and Health,1992; 15: 369-377.
Miller, J. A clinical study to reduce
confusion in hospitalized, older adults.
Medical-Surgical Nursing, 1996;5: 436444
Miller, J., Campbell, J., Moore, K., &
Schofield, A. Elder Care Supportive
Interventions Protocol: Reducing
Discomfort in Confused, Hospitalized
Older Adults. Journal of Gerontological
Nursing, 2004, 30(8): 10-18.
Miller, J., Moore, K., Schofield, A., &
Ng’andu, N.. A study of discomfort and
confusion among elderly surgical
patients. Orthopedic Nursing 1996;
15(6):27-34.
Neelon, V., Champagne, M., Carlson,
J., & Funk, S. (1996). The NEECHAM
Confusion Scale: Construction,
validation, and clinical testing. Nursing
Research, 1996; 45:324-330.
INDICE
AIOCC <
ALLEANZA ANTI-DEMENZA
L’importanza del patto terapeutico con la famiglia
> di SILVIA VITALI *
NELL’APPROCCIO PROTESICO LE PERSONE CHE RUOTANO INTORNO ALLA
PERSONA CON DEMENZA, SIANO ESSE FAMIGLIARI, AMICI, VOLONTARI O
PROFESSIONISTI DELLA CURA OPERANTI A VARI LIVELLI, COSTITUISCONO UNO
DEGLI ELEMENTI CARDINE DELLA “PROTESI” IN RAPPORTO DIALETTICO CON LE
ALTRE DUE COMPONENTI, VALE A DIRE CON LO SPAZIO FISICO E CON I
PROGRAMMI/ATTIVITÀ. SI RITIENE INOLTRE CHE IL PROCESSO DI CURA DELLA
PERSONA CON DEMENZA, SIA AL DOMICILIO CHE IN AMBITO ISTITUZIONALE, SI
SVOLGA ALL’INTERNO DI UN TRIANGOLO SOCIALE DI CURA COMPRENDENTE IL
MALATO, I CAREGIVER INFORMALI E QUELLI FORMALI.
IN QUESTA logica la famiglia viene
considerata come parte essenziale e il
lavoro dei professionisti è volto alla ricerca
del benessere del malato, ma anche di
chi del malato si occupa ed è quindi finalizzato a sostenere il famigliare e in generale i caregiver informali lungo tutto il decorso della malattia. Al tempo stesso la famiglia è considerata come risorsa, sia in
quanto depositaria di quel sapere biografico individuale che può aiutare a meglio comprendere la soggettività del malato, sia in quanto parte direttamente
coinvolta nel processo di cura e d’assistenza.
Nel lungo percorso della malattia la vita
famigliare viene di fatto trasformata dalla
malattia stessa: i famigliari assumono,
talvolta gradatamente, talvolta bruscamente, sempre con modalità variabili, il
ruolo di caregiver e abbandonano più o
meno volentieri i ruoli precedenti. Il coinvolgimento oggettivo e soggettivo che
un famigliare sperimenta nel corso
dell’assistenza al proprio caro muta nell’arco dell’intero periodo d’accudimento:
dall’acquisizione del ruolo, al suo riconoscimento, all’abbandono del ruolo stesso.
Studi longitudinali evidenziano differenze
individuali nell’adattamento al ruolo di
caregiver: mentre alcuni caregiver riferiscono continui e crescenti livelli di carico
assistenziale e di stress, altri sembrano
in grado di adattarsi ai cambiamenti
associati alla progressione della malattia.
Anche il malato risente di queste trasformazioni, sperimenta vissuti di perdita
di ruolo e di privazione di senso che aggravano l’esperienza frustrante determinata dal danno cognitivo. Per il famigliare
la comunicazione della diagnosi, sebbene
venga fatta con ottemperanza ai criteri
della comunicazione delle cattive notizie,
rappresenta spesso un dolore intollerabile, tanto da portare ad un’iniziale
negazione a cui fa seguito, in un arco di
tempo non lungo, un vissuto di rabbia
diffusa che non sempre il famigliare riesce
a gestire non solo nel breve, ma anche
nel lungo periodo. Una rabbia non gestita
aggravata dalla mancanza d’informazioni
circa l’evoluzione della malattia, genera
frustrazione, impotenza e senso di colpa;
impedisce al famigliare di chiedere aiuto
e lo porta a scivolare inevitabilmente
verso reazioni depressive, verso il burn
out, con il rischio di abusi e maltrattamenti
nei confronti del malato.
La comprensione di queste dinamiche, la
creazione di momenti in cui il famigliare
venga guidato in una introspezione
positiva nella quale non manchi lo spazio
al riconoscimento del dolore e alla sua
partecipazione, l’analisi dei problemi
concreti e la pianificazione costruttiva
NOV DIC 07 ASSISTENZA ANZIANI
45
> AIOCC
delle soluzioni, la costante informazione
sull’evoluzione della malattia, rappresentano il vero sostegno al famigliare
nel percorso di accettazione della malattia
e del ruolo di caregiver.
La famiglia e il ricovero in residenza: riflessione sui risultati di
una ricerca condotta nel “Nucleo
Alzheimer”
Il momento dell’istituzionalizzazione, sia
transitoria che definitiva, della persona
con demenza, anche quando si collochi
come parte integrante di un percorso di
cura consapevole, non rappresenta sempre per il famigliare una soluzione che
ponga fine ai suoi doveri assistenziali e
risolva la fatica e l’angoscia che l’occuparsi del proprio congiunto ha comportato fino a quel momento. Le informazioni emerse in un’analisi condotta presso
i Nuclei Alzheimer dell’Istituto Golgi rappresentano lo spunto per alcune riflessioni.
Coniugi e figli. I caregiver sono in questo
studio risultati distinguibili in coniugi e
figli. I primi, di età media più alta, assistevano pazienti in media più giovani di loro
46
NOV DIC 07 ASSISTENZA ANZIANI
di 8-10 anni; erano prevalentemente pensionati, coabitavano con il malato, avevano minore scolarità, meno frequentemente dei figli avevano altre persone da
assistere, ricevevano aiuto prevalentemente da parenti, al contrario dei figli
che venivano aiutati in prevalenza da
assistenti privati e immigrati.
I livelli di stress e i suoi correlati. Nell’analisi di questo gruppo di famigliari sono
emerse correlazioni significative tra livelli
di stress ed alcune variabili, quali:
• essere di sesso femminile (p<.005);
• avere un grado di parentela stretto
(coniuge) (p<.001);
• assistere malati con età inferiore di
esordio della malattia (p<.01);
• avere minor scolarità (p<.001);
• avere una vicinanza abitativa o coabitare (p<.001).
Lo stress si correlava positivamente
anche con il punteggio dell’NPI (Neuropsychiatric Inventory, una scala di misurazione dei sintomi psichiatrici e comportamentali), p<.001, tale correlazione si
manteneva anche quando l’RSS (Relative’s Stress Scale: una scala di misurazione soggettiva dello stress dei
famigliari) veniva suddivisa in
“area psicologica”, “area delle
abitudini di vita”, “area dei sentimenti negativi”.
Stress e relazione di aiuto. Coloro che dichiaravano di non aver
bisogno di aiuto alla dimissione
e/o non prevedevano dei mutamenti del proprio quotidiano alla
dimissione del loro congiunto avevano livelli di stress maggiormente elevati (p<0.05).
Al momento della dimissione,
per altro ritenuto opportuno dalla
gran parte dei caregiver (78%),
la maggior parte di essi (78%)
giudicava migliorato il proprio
congiunto, mentre solo il 5% lo
giudicava peggiorato; nella quasi
totalità dei casi (80%), veniva
espresso rispetto alle modalità di
cura, una corrispondenza tra le
aspettative e il risultato. La maggioranza dei famigliari (65,2%),
pur con difficoltà, pensava di
essere in grado di affrontare i
problemi posti dall’assistenza del malato,
ma non esigua (30%) era la quota di
coloro che esprimevano scarsa fiducia
riguardo alla possibilità di farcela: si
trattava per la maggior parte (66.7%) di
coniugi. La maggior parte dei caregiver
aveva programmato un aiuto successivo
al ritorno al domicilio, ma non era scarsa,
specie fra i coniugi, la quota di chi, pur
avendone bisogno, non aveva attivato
aiuti. Quasi due terzi di chi rispondeva
(73.2%) prevedeva mutamenti nel proprio
quotidiano: il mutamento principale riguardava la riorganizzazione famigliare per i
figli e l’aiuto esterno per i coniugi.
Stress e genere. Si confermano quindi
alcuni dati già noti in letteratura quale la
relazione tra stress e genere femminile e
quella tra stress e vicinanza nella relazione.
Riflessioni. Anche per quel che riguarda
i “primary objective stressors” si confermava la correlazione positiva tra disturbi
del comportamento e livelli di stress ed
emergeva come i disturbi comportamentali fossero in grado di influenzare il benessere psicologico del famigliare, di
condizionarne le abitudini di vita e di
produrre sentimenti negativi. Non stupisce quindi che costituissero il motivo
principale alla base della richiesta di
ricovero, seguiti dal peso della dipendenza nelle attività del quotidiano che
appariva come il motivo più frequentemente associato. I livelli di stress aumentavano quanto più precoce era l’età
d’esordio della malattia, come a indicare
la difficoltà da parte del famigliare ad
entrare precocemente nel ruolo di caregiver, forse in un momento della vita in cui
questa possibilità neppure era presa in
considerazione. Questo aspetto si lega
anche alla questione relativa alle modalità
d’assunzione del ruolo di caregiver che
sembrano condizionare gli outcome del
processo stesso di caregiving. Il dato
relativo alla difficoltà che, proprio i
caregiver più stressati mostravano nel
chiedere aiuto, forse pure in rapporto a
tratti di personalità più nevrotici (che
condizionano negativamente le modalità
di assunzione del ruolo), rimanda anche
al dibattito sul tipo d’aiuto da offrire ai
famigliari. La letteratura sembra fornire
una certa evidenza circa l’opportunità di
AIOCC <
dare aiuti molto finalizzati, ad esempio
tesi ad alleviare i problemi connessi alla
dipendenza nel quotidiano; questo tipo di
sostegno parrebbe infatti ritardare il
ricorso all’istituzionalizzazione. Le variabili
individuate come fonte di stress per coniugi e figli erano distribuite diversamente:
il cambio delle abitudini pesava maggiormente per il coniuge; l’impegno di tempo,
l’assistenza di altre persone e la mancanza di servizi risultava di maggior peso
per i figli.
Volontari
Diversamente dal famigliare, il volontario
sceglie di occuparsi della persona con
demenza, questa libertà di scelta porta
con sé numerosi risvolti positivi che ben
giustificano la definizione di God Sends
(doni di Dio) contenuta nel Gentle Care.
I volontari hanno voglia di conoscere e di
imparare, desiderano la nuova esperienza, sperano di portarla a termine con
successo, sono mossi da un ideale di
dedizione, dalla speranza di essere utili,
sono orientati a risolvere i problemi,
hanno bisogno di stringere nuove relazioni. Come doni non vanno quindi sprecati e sciupati, le strutture hanno la possibilità e il dovere di rispondere a questo
desiderio multiforme offrendo una guida
creativa e competente al volontario.
I volontari svolgono un ruolo diverso dal
personale professionale, non lo sostituiscono e al tempo stesso costituiscono un
ponte tra la struttura e la comunità presso
la quale possono farsi portavoce di esigenze che viceversa non arriverebbero
mai al mondo esterno. Il coinvolgimento
dei volontari nell’assistenza richiede
quindi una pianificazione attenta e sensibile. E’ perciò possibile orientarsi
seguendo un percorso a fasi:
• La fase di reclutamento. Riguarda tutto
lo staff delle strutture ed è utile che tutti si
impegnino nella ricerca di candidati adatti.
Questi verranno poi valutati da un responsabile perché si possano meglio
conoscere non solo le motivazioni più
forti, ma anche le attitudini e le abilità
specifiche. Nell’ambito del Gentle Care
queste ultime sono considerate preziose
perché possono essere “sfruttate” nella
costruzione dei programmi e delle attività
proposte ai malati. Così un “pollice verde”
rappresenta il volontario ideale per il
giardinaggio, un pianista dilettante il volontario ideale per un lavoro di reminiscenze, un professore in pensione il
volontario ideale per un circolo di lettura
e così via. Al termine del reclutamento,
volontario e responsabile concorderanno
un programma condiviso e un tempo di
verifica delle difficoltà e dei risultati.
• La fase della formazione. Analogamente al famigliare, il volontario deve conoscere la malattia, comprenderne l’impatto
sul malato, essere al corrente delle migliori strategie di comunicazione, ma deve anche conoscere l’organizzazione
che lo staff si è data nel prendersi cura del
malato, comprenderne la filosofia, conoscerne i punti di forza e i punti di debolezza.
• La fase del sostegno. Affinchè il volontario non rimanga un elemento avulso dal
gruppo di lavoro è necessario accoglierlo,
orientarlo, sostenerlo fino a quando questi
non si senta in grado di lavorare da solo.
Tale compito può essere affidato ad un
coordinatore con funzioni di vera e propria
guida, tuttavia è necessario che tutto lo
staff sostenga il volontario, ne riconosca
il valore e lo dimostri. Un feed back regolare, aperto e onesto è utile al volontario
come a tutti coloro che operano all’interno
di un gruppo, di un’organizzazione.
Il volontario ha bisogno di essere riconosciuto per l’apporto e il contributo che
offre. Il riconoscimento migliore è quello
di essere considerato nei fatti, membro a
tutti gli effetti dell’equipe di lavoro.
Conclusione
L’analisi dei bisogni e dei problemi che
nell’approccio protesico rappresenta la
base su cui costruire e sviluppare il progetto di cura, prende quindi in considerazione i punti di vista dei diversi attori del
triangolo sociale descritto. Quanto emerge da questa fase analitica, si configura come frutto di una mediazione tra
bisogni da essi espressi, bisogni peraltro
non sempre confluenti, talora propriamente divergenti e fonte di dilemmi etici.
La mediazione tra bisogni complessi
rappresenta il presupposto da cui si dipana la concretizzazione del concetto
di alleanza terapeutica tra operatori
professionali e famigliari, che tende alla
condivisione teorica e pratica degli obiettivi di cura attraverso lo scambio reciproco
dei saperi, l’assunzione di responsabilità
specifiche e condivise, il riconoscimento
e il rispetto reciproco dell’impegno profuso e dei rispettivi valori di riferimento.
* Istituto Geriatrico C.Golgi, Abbiategrasso
BIBLIOGRAFIA
Annerstedt L., Elmsthal S., Ingvad B., Samuelsson S.M. “Family caregiving in dementia-an analysis of the caregiving burden and the breakingpoint, when homecare becomes inadequate“. Scand J Public
Health 2000; 28,1: 23-31.
Burns R., Nichols L.O., Martingale-Adams
J., Graney MJ., Lummus A., “Primary care
interventions for dementia caregivers:2year outcomes from the REACH study”.
Gerontologist 2003; 43,(4): 547-55.
Greene G.C., Smith R., Gardiner M.,Timbury G.L. “Measuring behavioural disturbances of elderly demented patients in the
community and ist effects on relatives: a
factor analytic study”. Age Ageing 1982;
11: 121-6.
Guaita A., Lionello V., Vitali S.F., Rossi s.,
Andreoni G. “Benessere e stress percepito dallo staff dei Nuclei Alzheimer”. G Gerontol 2004; 52(S-5): 46.
Jones M. “Gentle Care. Un modello positivo di assistenza per l’Alzheimer”. Edizione
Italiana a cura di Luisa Bartorelli. Carrocci
editore, 2005.
Miller B., Townsend A., Carpenter E.,
Montgomery R.V.J., Stull D., Young R.
”Social support and Caregiver Distress: A
Replication Analysis”. J Gerontol Social
Sci 2001; 56B,4: S249-256.
Mittelman M.S., Roth D.L., Haley W., Zarit
S.H.” Effects of a Caregiver Intervention
on Negative Caregiver Appraisals of Behaviour Problems in Patients With Alzheimer’s Disease: Results of a Randomized
Trial”. J Gerontol Psychol Sci 2004; 59B,1:
P27-34.
Tornatore J.B., Grant L.A., “Family caregiver satisfaction with the nursing home after placement of a relative with dementia”.
J Gerontol B Psychol Sci Soc 2004; 59,2:
S80-8.
Zarit SH., Whillach C.J. “Institutional placement: phases of the transition”. The Gerontologist 1992; 32: 665-72.
NOV DIC 07 ASSISTENZA ANZIANI
47