lavoro - Gruppo di Ricerca Geriatrica
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INDICE FENOMENO BADANTI Una soluzione sempre più diffusa Un mondo sconosciuto IL LAVORO IN ÉQUIPE Potenzialità, indicazioni e risultati Modello OASIS per l’assistenza La sperimentazione di Atlanta INCONTINENZA URINARIA Valutazioni utili alla comprensione Caratteristiche, impatto e test LAVORO IN ÉQUIPE Il modello organizzativo PLST INTEGRAZIONE POSSIBILE L’operatore nell’équipe assistenziale IL LAVORO IN ÉQUIPE Il modello organizzativo ECSIP ALLEANZA ANTI-DEMENZA L’importanza del patto terapeutico con la famiglia INDICE > AIOCC FENOMENO BADANTI Una soluzione sempre più diffusa Avere una badante che si prende cura dei nostri anziani è una realtà oramai ampliamente diffusa. Queste donne, per lo più provenienti dai paesi dell’Est, sono apparse nelle nostre case, insinuandosi senza clamore nel tradizionale rapporto tra famiglie e servizi tanto che se fino a qualche anno fa la Casa di Riposo rappresentava la soluzione cui ricorrere in situazioni di salute precaria e necessità di aiuto nello svolgere tutte le attività necessarie a svolgere una vita autonoma (camminare, mangiare, vestirsi…), oggi il primo pensiero delle famiglie è quello di provare a risolvere la situazione rivolgendosi all’assistenza fornita da una badante. La soluzione “badante” non è solo più economica, ma consente di mantenere l’anziano a casa, tra i ricordi e le cose care di una vita e sedare i sensi di colpa che inevitabilmente accompagnano la scelta di ricorrere alla Casa di Riposo. Non v’è dubbio, infatti, che sebbene le nostre strutture siano nella quasi totalità dei casi luoghi piacevoli, dove ogni tentativo è fatto per accogliere l’anziano e la sua famiglia e fare sentire entrambe a proprio agio, i retaggi del passato, quando le si chiamava ospizi e ad esse si rivolgevano i poveri, i soli, riaffiorano e alimentano vissuti negativi. Come operatori spesso ci troviamo ad Un mondo sconosciuto > di PATRIZIA FARINA * L‘ASSISTENZA domiciliare e l’aiuto domestico agli anziani da parte dei privati sta assumendo una dimensione sempre più rilevante e sono soprattutto gli stranieri ad alimentare l’offerta di questi servizi. Le ragioni di questo aumento sono da ricercare principalmente in alcuni caratteri specifici della società italiana e, fra questi, ha assunto un ruolo di rilievo l’invecchiamento della popolazione, inteso sia in senso biologico-individuale, sia in quello demografico-collettivo, quest’ultimo determinato perlopiù dalla drastica riduzione delle nascite. La speranza di vita alla nascita in Italia è raddoppiata fra l’inizio del secolo scorso ed oggi raggiungendo i 77 anni per gli uomini e 83 per le donne. Il rilevante spostamento dell’età alla morte è accompagnata da un aumento dell’incidenza della disabilità determinata soprattutto dalle malattie croniche e degenerative tipiche delle età anziane. Basti osservare che nel 1999 una sessantacinquenne poteva sperare ancora in 20 46 GEN 07 ASSISTENZA ANZIANI anni di vita, 4 in più dei coetanei, ma gli anni privi di disabilità erano 15 contro i quasi 14 degli uomini. Fra il 1990 e il 2000 si è registrato un guadagno di un anno e mezzo di vita a 65 anni per uomini e donne, ma considerando la vita in buona salute tale guadagno si riduce a un anno per le donne e a due per gli uomini (Blangiardo, 2002). Questo processo ha determinato un’elevata domanda di cura cui il sistema dei servizi provvede marginalmente e che non è più assicurato - nel contesto familiare - dallo scambio generazionale per la scarsa conciliabilità di ruoli lavorativi e di cura tradizionalmente ad appannaggio femminile. Tutto ciò peraltro è avvenuto mentre si stavano realizzando in altri paesi condizioni politiche e sociali che hanno favorito l’immigrazione straniera. Il crollo del regime sovietico, e più in generale la polarizzazione della ricchezza a favore del mondo economicamente sviluppato, ha favorito l’emigrazione di un interagire con una badante che fa da tramite tra i servizi in cui lavoriamo (assistenza domiciliare, centro diurno, ospedale, casa di riposo) l’anziano e la sua famiglia. Ma chi sono queste donne, da dove provengono, cosa le ha spinte a venire in Italia per occuparsi dei nostri anziani? Patrizia Farina, Docente di demografia presso la Facoltà di Scienze Statistiche, Università degli studi Milano Bicocca ha svolto un indagine da cui ha desunto un sintetico profilo delle badanti riportato nell’articolo seguente. (Ermellina Zanetti, Associazione Italiana Operatori Cure Continuative) crescente numero di individui attratti dalle opportunità di lavoro e dalla convenienza derivante dai differenziali salariali. Fra queste popolazioni si annoverano anche quelle “specializzate” nella cura degli italiani anziani, capaci cioè di soddisfare una domanda crescente di assistenza dentro le mura domestiche e quindi di risolvere la tensione generata dalla mancanza di soluzioni accettabili oltre il ricovero. Nello specifico caso italiano queste mansioni sono svolte principalmente dalle donne Est europee, dalle latino americane e dalle asiatiche. Sfruttando l’indagine 2004 dell’Osservatorio regionale sulla presenza straniera e l’archivio dei dati individuali dei regolarizzati in Lombardia dalla legge Bossi-Fini è possibile fornire qualche informazione sui profili insediativi in Lombardia della popolazione che si prende cura degli anziani oltre ad alcune caratteristiche delle relazioni fra questa e la popolazione lombarda anziana1. La popolazione che si prende cura L’assistenza domiciliare è al secondo AIOCC < emigrazione anche per l’incompatibilità di questo con il tipo di lavoro esercitato. Le moti95,0% vazioni a emigrare di questo gruppo sono es(%) 28,1 senzialmente da ricon12,1 durre ad un investimen9,5 to che si realizza al pae9,3 9 se di origine: l’acquisto o 7,8 l’ampliamento della ca17,3 sa, il matrimonio dei figli, anni il sostegno economico 39 agli studi hanno progetti 32 migratori che non pre(%) vedono il radicamento 24,1 sul territorio lombardo. 48,6 27,2 La temporaneità della 80,0% loro presenza e la missione che si prefiggono 67,1% - ottenere il massimo vantaggio economico nel minor tempo possi80,0% bile - le rende i soggetti 44,2% ideali per la cura degli anziani non autosufficienti. Esse non sosten91,9% gono spese per il vitto e 69,4% l’alloggio massimizzando il guadagno. Per con68,0% tro vivono in condizioni 800,00 di disagio sia per la scarsa possibilità di avere 8,7% relazioni con i connazionali e per il contatto quasi esclusivo con la persona che curano, generalmente anziana e malata. Esse, inoltre, per le stesse ragioni si adattano ad esercitare questo lavoro pur avendo titoli di studio elevati - la proporzione di laureate è del 16% - cosicché il tasso di disoccupazione fra questo collettivo è solo del 6,7%, la metà di quello medio straniero regionale. L’accesso al mondo del lavoro è favorito dalle conoscenze e ciò si spiega anche con il fatto che almeno fino alla sanatoria Bossi-Fini una quota consistente di queste donne era irregolarmente presente e quindi impossibilitata ad accedere al lavoro attraverso canali formali. Al proposito si osserva che il 44% di queste donne ha utilizzato sanatoria cosicché il permesso di soggiorno è un titolo attualmente in possesso dell’80% di queste 3 . TABELLA 1 > IL PROFILO DELLA POPOLAZIONE CHE SI PRENDE CURA DEGLI ANZIANI CARATTERISTICHE STRUTTURALI Genere (femminile) Cittadinanze prevalenti: Ucraina Filippine Romania Perù Ecuador Moldavia Altre Est Europa Età media: Donne Uomini Stato civile: Celibe/nubile Coniugata/o Separata/divorziata Genitore di almeno un figlio Istruzione superiore o laurea STATUS GIURIDICO Permesso o carta di soggiorno Utilizzo sanatoria DIMENSIONE LAVORATIVA Permesso per lavoro dipendente Occupato regolare Abitazione sul luogo di lavoro Reddito medio (euro) Esperienze di lavoro internazionale posto nella graduatoria dei lavori svolti dalla popolazione straniera presente in Lombardia (6,6%) preceduta solo dal lavoro operaio non specializzato (12,6%)2. Tale attività è esercitata soprattutto da stranieri provenienti dall’Europa dell’Est e in misura minore dall’Asia e dall’America Latina. Questo collettivo ha un’età media relativamente elevata (tabella 1) se si considera che l’insieme degli immigrati presenti non supera i 31-32 anni. Esso, inoltre, è composto soprattutto da donne (95%) inserite in una rete comunitaria di aiuto circoscritto soprattutto all’ambito lavorativo. Il 27% di questi soggetti appartiene a famiglie spezzate da divorzio o da separazione e l’80% ha avuto esperienze di maternità o paternità, ma il modello insediativo prevalente non prevede il ricongiungimento dei figli in L’appartenenza al gruppo irregolare oltre a condizionare i legami con il proprio paese - è impossibile tornare a casa modifica anche le credenziali lavorative. Ad esempio, le donne di origine polacca usano la regolarità della presenza come credenziale competitiva rispetto ad altre nazionalità, prime fra tutte quella ucraina e moldava4. A completamento del profilo di questa popolazione va sottolineato il fatto che per molte donne l’Italia è il primo paese di emigrazione per lavoro. Solo l’8,7% infatti, è stato per almeno sei mesi in un altro paese e quando questo è successo le destinazioni sono state europee per le donne est europee; medio orientali per le poche filippine; spagnole e portoghesi per le latino americane. I legami con la popolazione accudita Il sostegno agli anziani può essere distinto nella cura della persona e della casa, due tipologie che si differenziano per competenza e tempo richiesto, ma difficilmente separabili perché la prima spesso implica anche la seconda, tuttavia, l’archivio dei dati della sanatoria compie questa distinzione5. Un primo carattere rilevante dei legami fra domanda e offerta di servizi si osserva nella correlazione che esiste tra l’età del datore di lavoro e il numero di assistenti alla persona e i domestici, con i primi che si concentrano nell’età 80-90 anni (44%), mentre i secondi sono più equamente distribuiti in tutte le età del datore di lavoro (tabella 2). La più debole correlazione fra età e lavoro domestico si riconferma guardando all’indice di specializzazione assistenziale (ISA) che indica la prevalenza del lavoro domestico solo nelle prime due classi di età, tale correlazione si inverte invece nelle classi di età più avanzate, in particolare nella classe degli ultranovantacinquenni dove si ha un rapporto ISA pari a 176. (tabella 2). Come si può ben comprendere questo risultato è determinato dal fatto che con il raggiungimento delle età più anziane insorgono difficoltà che rendono auspicabile un aiuto globale,non circoscritto alle cure domestiche. Le donne assistite gravate da maggiore disabiGEN 07 ASSISTENZA ANZIANI 47 > AIOCC TABELLA 2 ASSISTENZA E AIUTO DOMESTICO PER ETÀ DEL DATORE DI LAVORO Età del datore di lavoro Assistenza alla persona Aiuto domestico Totale ISA* N. % N. % 65-69 1.162 10,9 1.771 19,1 2.933 66 70-74 1.153 10,9 1.508 16,3 2.661 76 75-79 1.817 17,1 1.669 18,0 3.486 109 80-84 2.278 21,4 1.734 18,7 4.012 131 85-89 2.400 22,6 1.487 16,1 3.887 161 90-94 1.480 13,9 899 9,7 2.379 165 95+ 335 3,2 190 2,1 525 176 Totale 10.625 100,0 9.258 100,0 19.883 100,0 *ISA= indice di specializzazione assistenziale: (N. assistenti alla persona/N. occupati nell’aiuto domestico) *100 TABELLA 3 ASSISTENZA E AIUTO DOMESTICO PER ETÀ E GENERE DEL DATORE DI LAVORO Assistenza Aiuto domestico ISA Uomini Donne Uomini Donne Uomini Donne 65-69 693 523 973 798 66 66 70-74 485 668 750 758 65 88 75-79 682 1.135 684 985 100 115 80-84 672 1.606 631 1.103 106 146 85-89 674 1.726 457 1.030 147 168 90-94 353 1.127 241 658 146 171 95+ 69 266 43 147 160 181 Totale 3.574 7.051 3.779 5.479 95 129 lità, sono più numerose degli uomini soprattutto nelle fasce di popolazione più anziane e quindi per loro il ricorso alle cure è più intenso. Non è escluso tuttavia che la minore eterogeneità fra cura e assistenza domestica rivolta agli uomini sia anche il frutto del fatto che essi frequentemente sono accuditi dalle mogli più longeve e che, laddove in coppia, siano i firmatari del contratto di lavoro (tabella 3). L’indice di specializzazione assistenziale per genere mostra lo stesso andamento crescente a favore dell’assistenza alla persona rispetto all’aiuto domestico, ma si accentua in relazione all’età e al sesso femminile (tabella 3). Un altro aspetto interessante si rileva guardando le singole nazionalità di pro48 GEN 07 ASSISTENZA ANZIANI venienza delle lavoratrici straniere. Considerando solo le provenienze principali si osservano età molto differenziate: sono più giovani le donne africane ed asiatiche rispetto alle moldave ed ucraine (tabella 4). La maggior parte di queste ultime sono occupate nell’assistenza alla persona, le americane sono equamente distribuite tra la cura della persona e e l’aiuto domestico mentre le asiatiche e le africane sono prevalentemente dedite all’aiuto domestico (tabella 4). La prevalenza di uomini tra i lavoratori stranieri addetti all’assistenza e aiuto domestico è mediamente pari al 14%, con una maggiore presenza di uomini tra coloro che provengono dall’Asia (86%) e che sono principalmente dedicati all’aiuto domestico, mentre solo il 5% di uomini proveniente dall’Europa maggiormente è impiegato nell’assistenza diretta alla persona. La specializzazione di genere all’interno del collettivo che si offre per questi lavori sembra essere accompagnata anche da una specializzazione di genere fra i datori di lavoro (tabella 5). L’incrocio di questo carattere, infatti sembrerebbe indicare che gli uomini si fanno curare prevalentemente dalle donne, ma non si sottraggono alla cura da parte degli uomini. Le donne italiane, invece, sembrano opporsi all’assistenza prestata dagli uomini stranieri (solo il 5.7% delle donne si fa assistere da lavoratori di sesso maschile) e ciò è dovuto probabilmente al fatto che le mansioni di cura prevedono anche azioni che le donne non gradiscono siano fatte dagli uomini come ad esempio la cura del corpo. A conferma della sensibilità di questo carattere basta valutare che per l’aiuto domestico la proporzione di uomini triplica (13,1%) rispetto all’assistenza (5,7%) mentre fra gli uomini aumenta solo di circa un terzo (20,2% per aiuto domestico contro il 14,1% per assistenza). In definitiva, il profilo emergente dall’archivio delle regolarizzazioni e dall’indagine lombarda conferma, e allo stesso tempo rivela, alcuni caratteri delle popolazioni che appartengono a questo mondo poco conosciuto perché sommerso e isolato nelle case. In particolare si confermano alcune specificità di chi fa assistenza, ma anche in senso alle relazioni che intercorrono fra “datori di lavoro” anomali e lavoratrici e lavoratori che soddisfano una domanda intensa di cura mentre perseguono silenziosamente, ma in modo determinato, i loro progetti migratori. * Docente di demografia presso la Facoltà di Scienze Statistiche, Università degli studi Milano Bicocca NOTE 1 L’indagine campionaria è svolta nell’ambito dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità promosso NURSING < TABELLA 4 SETTORE LAVORATIVO PER CITTADINANZA DEL LAVORATORE CON DATORE DI LAVORO ANZIANO Cittadinanza Assistenza Aiuto domestico Totale ISA Età media Rapporto di mascolinità* Europa 6.336 4.397 10.733 144 40,9 5 Ucraina 4.068 2.341 6.409 174 42,3 3 Romania 810 843 1.653 96 33,7 10 813 582 1.395 140 38,8 6 277 457 734 61 30,6 39 380 1.227 1.607 31 32,9 86 232 883 1.115 26 33,0 72 di cui Moldavia Africa Asia di cui di cui Filippine America di cui 3.631 3.176 6.807 114 33,9 15 Ecuador 2.022 1.613 3.635 125 34,1 14 Perù 1.019 878 1.897 116 33,4 21 Totale 10.019 9.257 19.881 115 37,0 14 *Numero di uomini per 100 donne TABELLA 5 GENERE DEI LAVORATORI E DEI DATORI DI LAVORO NEL SOSTEGNO ALLA FAMIGLIA (%) Genere Datore di lavoro Lavoratori addetti all’assistenza Uomini Donne 14,1 5,7 85,9 94,3 Totale 100,0 100,0 Lavoratori addetti aiuto domestico Uomini Donne 20,2 13,1 79,8 86,9 100,0 100,0 Totale dalla Regione Lombardia e dalla Fondazione Ismu. Fin dal 2001 essa è condotta annualmente su un campione di 8000 stranieri ultraquattordicenni e provenienti dai paesi poveri ed è rappresentativa a livello regionale e provinciale. La metodologia di campionamento e gli esiti della quarta indagine sono pubblicati in un volume a cura di G. Blangiardo, 2005. L’archivio dei regolarizzati, invece, proviene dal Ministero del Lavoro e le informazioni ivi contenute sono individuali, anonime e riferite solo agli stranieri che hanno inoltrato domanda di regolarizzazione per lavoro di assistenza o aiuto domestico. Confrontati dai dati aggregati periodicamente pubblicati da diverse Agenzie e relativi agli stranieri già in regola è plausibile supporre che non vi siano rilevanti differenze nelle caratteristiche strutturali fra questo subuniverso e quello totale ben più numeroso. L’archivio offre anche una serie di informazioni relative al contratto di lavoro che tuttavia non sono utilizzate perchè soggette a dichiarazioni non realmente verificabili come i dati anagrafici e quindi scarsamente affidabili non solo per la generalizzazione persino fra gli stessi regolarizzati. 2 D’altronde il 47% delle domande di regolarizzazione - pari a 329.604 pratiche riguardavano lavoratrici e lavoratori nel sostegno familiare. 3 Va detto che i dati del 2004 segnalano una ripresa consistente dell’irregolarità che fra le nazionalità più coinvolte nella cura degli anziani nel 2004 è cresciuta raggiungendo valori fra il 20-27% contro il 12-17% dell’anno precedente. 4 Le donne di origine polacca godono oggi del privilegio entrare nel nostro paese senza visto, ma anche in passato esse erano perlopiù regolari organizzando turnover con altre connazionali. Questo non era possibile con i dati dell’Osservatorio che indicano il tipo di lavoro, ma non per chi è svolto. Un ulteriore elemento di cautela è costituito dal fatto non è quantificabile la numerosità di datori di lavoro non riferibili, nei casi più gravi, all’assistito. Bibliografia Blangiardo G. Rapporto biennale al Parlamento sulla condizione dell’anziano, 2000-2001 Blangiardo G., 2002. Sulle determinanti delle differenze fra uomini e donne si veda A. Nobile, 2003 Blangiardo G. (a cura di) La presenza straniera in Lombardia. La quarta indagine regionale , Regione Lombardia - Fondazione Ismu, 2005. Il volume è reperibile anche sul sito della Fondazione Ismu (www.ismu.org) Costa G. Anziani non autosufficienti in famiglia in G.A. Micheli, C. Ranci (a cura di) Equilibri fragili, Guerini e Associati, Milano, 2003, pp. 275-308 Filaferro G. Anziani: che mondo sarebbe senza stranieri? La domanda e l’offerta di cura in Lombardia, Tesi di laurea, Facoltà di Scienze Statistiche Università Milano - Bicocca, Relatrice P. Farina, A.A. 2003-2004 Nobile A. Supermortalità maschile fra biologia e cultura: l’esperienza dei paesi sviluppati in A. Pinnelli, F. Racioppi, R. Rettaroli (a cura di) Genere e demografia, il Mulino, Bologna, 2003, pp 485-518 Rizzi E. Anziani soli in G.A. Micheli, C. Ranci (a cura di) Equilibri fragili, Guerini e Associati, Milano, 2003, pp. 249-274 Zucchetti E.(a cura di) La regolarizzazione degli stranieri. Nuovi attori del mercato del lavoro italiano, F. Angeli, Milano, 2004 Riassunto da: Patrizia Farina, Stranieri e anziani: un profilo sintetico della popolazione che si prende cura degli anziani in Lombardia I luoghi della cura 2005;(3):19-23. GEN 07 ASSISTENZA ANZIANI 49 INDICE AIOCC < IL LAVORO IN ÉQUIPE Potenzialità, indicazioni e risultati IN QUESTO NUOVO ANNO VORREI DEDICARE ALCUNI INSERTI CURATI DALLA NOSTRA ASSOCIAZIONE AL LAVORO IN ÉQUIPE IN AMBITO GERIATRICO, CON L’OBIETTIVO DI VALUTARNE POTENZIALITÀ, INDICAZIONI E RISULTATI. FACENDO RIFERIMENTO ALLA LETTERATURA E ALLE ESPERIENZE PIÙ SIGNIFICATIVE. > Ermellina Zanetti Il lavoro in équipe rappresenta lo strumento ottimale di lavoro in tutte le situazioni caratterizzate da elevata complessità clinica (instabilità, fragilità, elevato rischio di disabilità) e organizzativa (è richiesta continuità di cura, gli interventi richiedono sinergia di competenze e approccio multidimensionale).La sua efficienza si può misurare attraverso risultati di OUTPUT. • Riduzione della durata della degenza. • Aumento del numero delle prestazioni. • Continuità assistenziale. La sua efficacia si può valutare attraverso indicatori di OUTCOME clinici e assistenziali. • Riduzione degli errori e degli eventi avversi. • Riduzione delle Infezioni ospedaliere. • Riduzione degli errori nella somministrazione di farmaci. • Minor incidenza e gravità del delirium. • Riduzione delle lesioni da pressione. • Decorso post operatorio più celere e con minori complicanze. La sua implementazione necessita di alcuni requisiti organizzativi volti a massimizzare e supportare la circolarità delle informazioni e richiede la condivisione di modelli operativi. In questo primo intervento dedicato al lavoro in équipe è presentato un interessante modello organizzativo per il lavoro in équipe utilizzato in ambito ospedaliero. (Ermellina Zanetti Presidente Associazione Italiana Operatori Cure Continuative) MODELLO OASIS PER L’ASSISTENZA LA SPERIMENTAZIONE DI ATLANTA > di ERMELLINA ZANETTI * Il modello Questo modello si propone di reingenierizzare l’assistenza infermieristica per gli anziani in ospedale a partire dalla considerazione che se l’assistenza ai pazienti anziani acuti non è pianificata tenendo in considerazione le loro necessità funzionali e l’eventuale deficit cognitivo, aumenta il rischio di complicanze acquisite durante l’ospedalizzazione e la perdita di funzione, con conseguente aumento dei giorni di degenza, dei costi, della necessità di istituzionalizzazione e di mortalità (Inouye, 1993). Principali obiettivi del modello OASIS sono l’ottimizzazione dell’assistenza ai pazienti anziani con problemi medici acuti e gli outcome considerati sono: riduzione della degenza e delle riammissioni a 30 giorni, riduzione dell’incidenza di cadute e di complicanze iatrogene. Particolarità del modello è che la sua applicazione non richiede la creazione di un’unità operativa, ma di una équipe di assistenza che all’interno del dipartimento medico adotti protocolli di valutazione e intervento per tutti i ricoverati che presentano le seguenti caratteristiche: età superiore a 70 anni, necessità di ricovero la cui durata si prevede superiore alle 48 ore, ammissione per patologia medica. Sono esclusi i soggetti ricoverati in condizioni terminali e coloro che provengono da una casa di riposo. L’équipe di assistenza è coordinato da un infermiere con specializzazione in geriatria e coordinamento (nell’attuale assetto formativo italiano potrebbe essere paragonato a un infermiere con laurea di priFEB 07 ASSISTENZA ANZIANI 41 > AIOCC mo livello e master di primo livello in coordinamento e geriatria o a un infermiere con laurea di secondo livello e master di primo livello in geriatria) ed è composto da nutrizionista, terapista occupazionale, assistente sociale, fisioterapista, logopedista, ministro del culto e volontari. E’ prevista anche la figura di un case manager per la valutazione al follow-up dopo la dimissione. La Tabella 1 descrive le competenze di ciascun componente del team. L’ammissione al modello è stabilita dal medico dell’unità operativa in cui il paziente, in possesso dei requisiti descritti, è ricoverato. L’infermiere coordinatore entro 24 ore dall’ammissione valuta il paziente utilizzando un protocollo standardizzato (Tabella 2), definisce gli obiettivi assistenziali e stabilisce la necessità di intervento da parte degli altri componenti del team, che agiscono in autonomia, utilizzando protocolli standardizzati, nel rispetto degli obiettivi definiti dall’infermiere coordinatore. Il medico è costantemente informato dall’infermiere coordinatore e segue il processo assistenziale sulla cartella assistenziale. Ogni giorno è previsto un momento di incontro tra i componenti del team. L’attività infermieristica all’interno delle unità in cui sono accolti gli anziani ammessi al modello è coordinata dalla stesso infermiere che valuta anche l’eventuale necessità di implementazione di protocolli per specifiche attività assistenziali. Il modello prevede l’intervento di volontari coordinati dai componenti del team assistenziale. La presenza e l’attività dei volontari é prevista al mattino per supportare gli infermieri nella mobilizzazione dei pazienti e durante i pasti. Il logopedista individua i pazienti non disfasici che possono essere aiutati nell’alimentazione da volontari e il fisioterapista seleziona i pazienti che possono essere affiancati nei trasferimenti e nella deambulazione. I volontari sono inoltre di supporto al terapista occupazionale per realizzare il programma di interventi previsti per i pazienti con disturbi del comportamento. I volontari sono addestrati dal massoterapista all’utilizzo del massaggio della mano o della schiena nei soggetti che manifestano agitazione e ansia. 42 FEB 07 ASSISTENZA ANZIANI TABELLA 1 > COMPONENTI E COMPETENZE DEL TEAM ASSISTENZIALE PREVISTI DAL MODELLO OASIS Infermiera con specializzazione in geriatria e coordinamento Verifica i criteri di ammissione e provvede all’applicazione del protocollo di assessment ai pazienti ammessi Definisce gli obiettivi generali e pianifica l’intervento assistenziale Attiva e coordina l’intervento degli altri componenti del team Forma e supporta lo staff infermieristico se necessario, collabora con il medico per ottimizzare gli interventi Raccoglie, analizza e riporta i dati sui documenti clinici Nutrizionista Interviene per indicazioni in pazienti con basso livello di albumina o pre-albumina o perdita involontaria di peso Da indicazioni sull’utilizzo di integratori alimentari e alimentazione entrale Monitorizza l’intake alimentare quotidiano nei soggetti malnutriti o a rischio di malnutrizione Volontari Aiutano i pazienti che necessitano nell’alimentazione e nella deambulazione Provvedono a garantire presenza e compagnia Intervengono in altre attività (interventi occupazionali, massaggio) su indicazione dei professionisti del team Terapista occupazionale Identifica le attività occupazionali appropriate Promuove programmi di mobilizzazione e riattivazione Assistente sociale Programma la dimissione protetta Fisioterapista e logopedista Valutano e intervengono secondo necessità Coordinano i volontari rispettivamente per la deambulazione assistita e il supporto all’alimentazione Cappellano Provvede alle necessità spirituali dei pazienti Case manager Provvede al follow-up dopo la dimissione Tradotto e adattato da: Tucker D, Bechtel G, Quartana C, Badger N, Werner D, Ford I, Connelly L. The OASIS Program: Redesigning Hospital Care for Older Adults. Geriatric Nursing 2006; 2 (27): 112-117. Sperimentazione del modello e risultati Il modello OASIS è stato sperimentato presso il Piedemont Hospital, un ospedale di comunità no profit di oltre 500 posti letto in Atlanta. L’ospedale è definito “amico degli anziani” poiché ha caratteristiche strutturali e organizzative che facilitano l’orientamento e la sicurezza. L’adozione del modello non ha richiesto alcuna modifica strutturale. I componenti del team sono stati selezionati tra il personale del dipartimento medico e dei servizi ad esso afferenti in relazione al loro interesse e alla loro documentata esperienza nell’assistere soggetti anziani. Lo studio pilota, durato 6 mesi, ha coinvolto 141 soggetti con un’età media di 82 anni. Il 77% era rappresentato da donne. I risultati ottenuti dall’applicazione del modello in relazione agli outcome attesi sono stati confrontati con un gruppo di controllo dalle caratteristiche simili (Tabella 3). Le diagnosi di ammissione nei due gruppi sono sovrapponibili e comprendono i seguenti DRGs: setticemia, infezione delle vie urinarie, patologie renali, patologie cardiache, bronchite, broncopneumopatia cronica ostruttiva, infezioni e neoplasie delle vie respiratorie e stroke. Durante la sperimentazione del modello non si sono verificati né incidenti né complicanze iatrogene (polmonite, lesioni da decubito, delirium, infezione delle vie urinarie e trombosi). Non si è osservato un significativo declino delle abilità funzionali rispetto all’ammissione: questo dato è di dubbia interpretazione poiché, come suggerito da altri autori (Covinksy et al, 2000; Covinsky et al, 2003; Lindenberger et al, 2003), è di maggior significato clinico confrontare le abilità funzionali alla dimissione con quelle precedenti all’even- AIOCC < to acuto. Interessante, ai fini dell’efficacia del modello, è la percentuale di pazienti ritornati a casa (non erano ammessi al modello coloro che provenivano da una casa di riposo) che è pari al 95%. L’incidenza di cadute, 3,8 ogni 1000 giorni/letto, è sovrapponibile a quella osservata nell’intero ospedale (4 cadute ogni 1000 giorni/letto). La durata della degenza è di 1,22 giorni inferiore rispetto a quella del gruppo di controllo, le riammissioni a 30 giorni sono essenzialmente simili nei due gruppi (5,9% nel gruppo di intervento e 6,6% nel gruppo di controllo), mentre i costi sono inferiori del 33% nel gruppo di intervento rispetto al gruppo di controllo. Lo studio prevedeva anche la valutazione della soddisfazione dei medici, dei pazienti e dei loro famigliari: unanime la valutazione positiva del modello da parte dei medici. Il 90% dei pazienti e dei familiari si dichiara soddisfatto dell’assistenza e il 100% dichiara che consiglierà ad altri il ricovero presso la struttura. Il modello OASIS è inoltre stato posto a confronto con altri due modelli già diffusi: l’Hospital Helder Life Program (HELP) e l’Acute Care for Elders units (ACE). Il modello HELP prevede l’utilizzo di volontari, ma a tutt’oggi non vi sono studi che ne dimostrino l’efficacia. Il modello delle ACE units prevede un’area di degenza dedicata e un approccio interdisciplinare e si è dimostrato efficace nel promuovere miglioramenti nello stato funzionale, ridurre l’istituzionalizzazione e promuovere la soddisfazione. Utilizzando il modello ACE unit si è ottenuta una riduzione della degenza di 0,9 giorni e del 9% dei costi (Palmer, 2003; Covinsky, 1998). Secondo gli autori il vantaggio del modello OASIS rispetto alle ACE units risiede nella non necessità di uno spazio dedicato e di un team modulare il cui intervento è articolato in relazione agli obiettivi dei singoli pazienti (Turcker et al, 2006). Tuttavia una serie di considerazioni sulla necessità di formare tutti gli infermieri del dipartimento medico all’utilizzo del modello OASIS hanno indotto gli autori ad individuare un’unità di 20 posti letto (non esclusivi, ma preferenzialmente utilizzati da pazienti ammissibili al modello) in cui poter sistematicamente applicare il modello e organizzare stage di apprendimento. TABELLA 2 > PROTOCOLLO DI ASSESSMENT PREVISTO DAL MODELLO OASIS DOMINIO TEST OPERATORE RESPONSABILE Cognitività Mini Mental Status di Folstein infermiera coordinatrice Mobilità Get up and go di Tinetti infermiera coordinatrice Affettività Yesavage Depression Screen infermiera coordinatrice Vista Titolo e frase del giornale infermiera coordinatrice Udito Whisper test infermiera coordinatrice Ortostasi Pressione arteriosa e frequenza cardiaca in ortostatismo infermiera Tradotto da: Tucker D, Bechtel G, Quartana C, Badger N, Werner D, Ford I, Connelly L. The OASIS Program: Redesigning Hospital Care for Older Adults. Geriatric Nursing 2006; 2 (27): 112-117 * Gruppo di Ricerca Geriatrica, Brescia e AIOCC Bibliografia - Covinksy KE, Palmer RM, Counsell SR, Pine ZM, Walter LC, Chren MM. Functional status before hospitalization in acutely ill older adults: validity and clinical importance of retrospective reports. J Am Geriatr Soc 2000;48(2):164-169. - Covinsky KE, Palmer RM, Fortinsky RH, Counsell SR, Stewart AL, Kresevic D, Burant CJ, Landefeld CS. Loss of Independence in Activities of Daily Living in Older Adults Hospitalized with Medical Illnesses: Increased Vulnerability with Age. J Am Geriatr Soc 2003;51(4):451-458. - Covinsky KE, Palmer RM, Kresevic DM, et al. Improving functional outcomes in older patients: lessons from an acute care for elders unit. J Quality Improvement 1998;24:63-76. - Inouye SK, Wagner DR, Acampora D, et al. A controlled trial of a nursingcentered intervention in hospitalized elderly medical patients: the Yale Geriatric Care Program. JAGS 1993;41:1353-60. - Lindenberger EC, Landefeld CS, Sands LP, Counsell SR, Fortinsky RH, Palmer RM, Kresevic DM, Covinsky KE. Unsteadiness reported by older hospitalized patients predicts functional decline. J Am Geriatr Soc 2003; 51(5):621-6. - Palmer RM, Counsell SR, Landefeld SC. Acute care for elders units: practical considerations for optimizing health outcomes. Dis Manage Health Outcomes 2003; 11:507-17. TABELLA 3 > MODELLO OASIS: ETÀ, GIORNI DI DEGENZA E COSTI NEL GRUPPO DI INTERVENTO E NEL GRUPPO DI CONTROLLO GRUPPO DI INTERVENTO Età Degenza Costi totali della degenza GRUPPO DI CONTROLLO range media DS range media DS 70-98aa 82aa 4,97 gg 12,74 2,24 70-102aa 81,2aa 6,19 gg 7,0 2,19 $6162.47 $2507.76 $9184.81 $5815.19 FEB 07 ASSISTENZA ANZIANI 43 INDICE AIOCC < INCONTINENZA URINARIA Valutazioni utili alla comprensione L’INCONTINENZA URINARIA È UN PROBLEMA DIFFUSO TRA GLI ANZIANI E SPESSO L’UNICA PREOCCUPAZIONE, SIA DA PARTE DI CHI NE SOFFRE SIA DA PARTE DI NOI OPERATORI, È ARGINARE LE PERDITE, SENZA INVESTIGARE PER COMPRENDERE SE VI SIA LA POSSIBILITÀ DI INTERVENTI VOLTI A RIDURRE GLI EPISODI DI INCONTINENZA. NELL’ARTICOLO CHE SEGUE DI CINZIA BERTELLI SONO PROPOSTE LE CONOSCENZE NECESSARIE AD INQUADRARE IL PROBLEMA ED È PRESENTATO UNO STRUMENTO PER VALUTARE L’IMPATTO DELL’INCONTINENZA SULLE ATTIVITÀ DELLA VITA QUOTIDIANA. > Ermellina Zanetti (Ermellina Zanetti - Presidente Associazione Italiana Operatori Cure Continuative) CARATTERISTICHE, IMPATTO E TEST > di CINZIA BERTELLI * Introduzione Si definisce incontinenza urinaria l’incapacità di posticipare volontariamente la minzione con conseguente perdita di urina in tempi e luoghi inadeguati. L’ incontinenza urinaria è una classica sindrome geriatrica; si stima che negli Stati Uniti ne siano affette circa 13 milioni di persone, molti di questi soggetti hanno più di 65 anni. Il 50% degli anziani residenti a domicilio e la metà degli anziani istituzionalizzati sono incontinenti, il 25-30% di questi vengono dimessi dagli ospedali con l’incontinenza come conseguenza di una malattia acuta, mentre il 10-15% degli uomini e il 20-35% delle donne denunciano episodi di incontinenza al medico di base (Barry, Weiss, 1998). I dati sono sottostimati perché gli episodi di incontinenza vengono denunciati con ritrosia sia per imbarazzo che per la comune credenza che sia un problema legato all’età e che non possa essere trattato con successo. Proprio a causa dei suoi numeri l’incontinenza urinaria ha un importante impatto medico, psico-sociale ed economico. Dal punto di vista medico è frequentemente associata a dermatiti, ulcere da decubito, infezioni urinarie, insufficienza renale con conseguente aumento della mortalità. Le implicazioni sociali sono: perdita dell’autostima; depressione; modifica del comportamento sociale (riduzione delle visite ai familiari, in chiesa, dell’esercizio fisico); disturbi sessuali; nei casi più gravi dipendenza dai caregiver; l’incontinenza è il fattore chiave nella decisione di ricovero in casa di riposo. L’incontinenza urinaria è totale quando c’è il completo svuotamento della vescica o parziale, caratterizzata da stillicidio di urina senza svuotamento completo. Inoltre è utile distinguere due tipi di incontinenza. • Incontinenza acuta o transitoria con insorgenza improvvisa, associata a cause ben definite che si risolve quando viene rimossa la condizione che l’ha generata. Cause di incontinenza transitoria possono essere: infezioni alle vie urinarie; vaginiti; fecalomi; alcuni farmaci come diuretici, antidepressivi, antipsicotici, ipnotici/sedativi, antiparkinson e tutti i farmaci con azione anticolinergica; sostanze come la caffeina e l’alcol. • Incontinenza stabile o persistente che può essere ad insorgenza improvvisa o graduale senza una causa precipitante nota e aumenta di gravità con il passare del tempo. Le cause sono multiple ed interferenti fra loro e possono essere di origine urologia, ginecologica, neurologica, funzionale, iatrogena, ambientale. Alcune condizioni che possono portare a incontinenza stabile possono essere: malattia di Parkinson; demenza; ictus e patologie cerebrovascolari; encefaliti; diabete; neoplasie alla vescica. Esiste anche una classificazione funzionale dell’incontinenza urinaria stabile e persistente che fa riferimento alla deficienza di uno dei tre meccanismi che stanno alla base della minzione. • Incontinenza da urgenza fa riferimento alla iperattività o irritabilità della vescica. È un problema comune che aumenta in frequenza e gravità con l’aumentare dell’età e delle disfunzioni cognitive. È causata da: infiammazioni della vescica da calcolosi, neoplasie, infezioni; da condizioni neurologiche come ictus, Parkinson, demenze; disordini metabolici come l’ipossemia; farmaci ipnotici/sedativi. • Incontinenza da stress fa riferimento MAR APR 07 ASSISTENZA ANZIANI 39 > AIOCC alle perdita della funzione dello sfintere uretrale ed è associata ad un aumento della pressione endoaddominale come nel caso di tosse o di risate. È più frequente nelle donne ed è causata da: lassità del pavimento pelvico; prolasso vescicole; condizioni congenite; interventi chirurgici; trattamenti radianti. • Incontinenza da sovrariempimento o iperaflusso fa riferimento alla distensione della vescica causata da ritenzione di urina sopra la sua capacità. È causata da: farmaci che rilassano il muscolo detrusore (anticolinergici, Ca antagonisti); anormalità della funzionalità vescicale (neuropatia diabetica, lesioni da radiazioni, neoplasie); ostruzioni delle vie urinarie (ipertrofia prostatica, fecalomi, stenosi ). • Incontinenza funzionale fa riferimento all’incapacità di raggiungere in tempo i servizi igienici a causa di compromessa mobilità; compromessa cognitività; ostacoli ambientali; combinazione di queste cause (Jirovec, Templin,2000). L’invecchiamento non è causa sufficiente di incontinenza urinaria, ma con l’invecchiamento si verificano alcune modificazioni che riducono le riserve funzionali del soggetto e ne aumentano la fragilità per cui un anziano anche sano se sottoposto a stress endogeno o esogeno più difficilmente manterrà la continenza. L’invecchiamento si associa a: un declino della capacità vescicole; un aumento del volume residuo; più frequenti contrazioni vescicale involontarie; una riduzione della funzionalità uretrale nelle donne (Zanetti,1998). La valutazione dell’incontinenza nell’anziano A causa delle importanti implicazioni mediche, sociali ed economiche si intuisce il ruolo fondamentale della valutazione dell’incontinenza urinaria soprattutto nella popolazione anziana che è quella più colpita. La moderna geriatria assegna una posizione centrale alla valutazione multidimensionale nell’assessment dell’incon40 MAR APR 07 ASSISTENZA ANZIANI tinenza partendo dal presupposto che non è un normale disturbo dell’invecchiamento, ma un problema che trattato può essere risolto. L’approccio valutativo di primo livello ha la funzione di: confermare la presenza di incontinenza urinaria; individuarne le condizioni precipitanti ed escludere i fattori potenzialmente correggibili e reversibili (Casale, 2001); in presenza di incontinenza stabile, individuarne la forma e le cause; individuare il miglior trattamento possibile; monitorare per periodi di tempo stabiliti l’efficacia del trattamento. Essendo l’incontinenza urinaria una sindrome fortemente associata ad altre condizioni l’approccio multidimensionale prevede la valutazione non solo specifica, ma anche la valutazione funzionale (grado di autonomia nelle ADL), la valutazione cognitiva e la valutazione della comorbilità e della severità della condizione clinica. La valutazione dell’incontinenza urinaria si fonda su: l’anamnesi patologica e farmacologia (per identificare la presenza di patologie acute o croniche); esame delle urine (per escludere infezioni alle vie urinarie, glicosuria diabetica o altre patologie); esame fisico che comprende l’ispezione ginecologica e rettale ( per escludere vaginiti e fecalomi); la valutazione del PSA ( per escludere patologie prostatiche); test e scale di valutazione dell’incontinenza urinaria. * Gruppo di Ricerca Geriatrica - Brescia BIBLIOGRAFIA G. Casale, A. Guaita, A. Pisani Ceretti, R. Sandri, M. Trabucchi. Linee operative di consenso in Rsa. Ed. FrancoAngeli, Milano 2001. E. Zanetti. Le schede di valutazione dell’incontinenza urinaria. (in) E. Zanetti. Gli strumenti di valutazione in geriatra. Lauri Edizioni, Milano 1998. D. Barry, M.D. Weiss. Diagnostic evaluation of urinary incontinence in geriatric patients, American Family Physician, Giugno 1998. M.J. Borrie, M. Bawden, M. Speechley, M. Kloseck:. Interventions led by nurse continence advisers in the management of urinary incontinence: a randomized controlled trial. CMAY 20021;166 (10):1267-1273. Joanna Briggs Institute. Urinary incontinence evaluation. 2002 Febbraio. www.joannabriggs.edu.au visitato il 20/04/06 Joanna Briggs Institute: Continence Charts, Agosto 2001. www.joannabriggs.edu.au visitato il 20/04/06 K. L. Burgio, P. S. Goode, J. L. Locher, M. G. Umlauf, D. L. Roth, H. E. Richter, R. E. Varner, L. K. Lloyd. Behavioral Training With and Without Biofeedback in the Treatment of Urge Incontinence in Older Women: A Randomized Controlled Trial. J. 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Ann Intern Med 2000; vol. 132: pp. 547--551 AIOCC < INCONTINENCE IMPACT QUESTIONNAIRE (IIQ-7) Shumaker SA, Wyman JF, Uebersax JS, McClish D, Fantl JA. Health-related quality of life measures for women with urinary incontinence: the Incontinence Impact Questionnaire and the Urogenital Distress Inventory. Continence Program in Women (CPW) Research Group. Qual Life Res 1994; 3:291-306. ne originale (Shumaker SA, 1994), a valutare nelle donne l’impatto dell’incontinenza urinaria sulle Adl (Activity of Daily Living) e sulle emozioni della persona. La versione originale è composta da 26 domande che esplorano 3 ambiti: le attività quotidiane, la sfera sociale, la percezione di sé. Descrizione L’incontinence Impact Questionnaire (IIQ) è un questionario finalizzato, nella versio- Presuppone che ci sia già stata diagnosi di incontinenza. Successivamente si è sviluppata una forma “breve” (IIQ-7) del INCONTINENCE IMPACT QUESTIONNAIRE – SHORT FORM IIQ-7 NOME_____________________________________ DATA _______________ Punteggio totale =________ Mai Meno della La metà Più della Quasi metà del del tempo metà del sempre tempo tempo Il mese scorso l’incontinenza urinaria 0 e/o il prolasso pelvico hanno influenzato la sua capacità a compiere le attività casalinghe (cucinare, fare il bucato, fare le pulizie…)? 1 2 3 4 Il mese scorso l’incontinenza urinaria e/o il prolasso pelvico hanno influenzato la sua attività fisica come passeggiare, nuotare o altre attività? 0 1 2 3 4 Il mese scorso l’incontinenza urinaria e/o il prolasso pelvico hanno influenzato le sue attività sociali (concerti, cinema…)? 0 1 2 3 4 Il mese scorso l’incontinenza urinaria e/o il prolasso pelvico hanno influenzato la sua capacità di compiere viaggi in macchina di circa 30 minuti lontano da casa? 0 1 2 3 4 Il mese scorso l’incontinenza urinaria e/o il prolasso pelvico hanno influenzato la sua partecipazione ad attività sociali fuori casa? 0 1 2 3 4 Il mese scorso l’incontinenza urinaria e/o il prolasso pelvico hanno influenzato la sua sfera emozionale (nervosismo, depressione…)? 0 1 2 3 4 Il mese scorso quante volte 0 l’incontinenza urinaria e/o il prolasso pelvico l’hanno fatta sentire frustrata? 1 2 3 4 questionario validando gli items scelti tra quelli proposti nella versione originale. Tuttavia sia la forma “breve” sia quella integrale sono da applicare solo a soggetti con diagnosi di incontinenza urinaria nota. Recentemente (Katherine N. Moore, Louise Jensen, 2000) la versione “breve” è stata validata anche per gli uomini. Il gruppo di maschi studiato era incontinente in seguito a prostatectomia radicale. Gli autori, benché riconoscano la validità del test, affermano che sono necessari altri studi per validare il questionario in un campione più consistente di maschi con incontinenza sottoposti ad altri interventi chirurgici. In questo contesto si presenta la forma breve tradotta dall’Incontinence Research Foundation. Può essere applicato solo a soggetti cognitivamente integri e in ambito domiciliare. Le domande sono riferite alla situazione vissuta dal soggetto nel mese precedente. Popolazione Soggetti anziani senza deficit cognitivi che vivono al domicilio. Modalità di somministrazione Esaminatore: il test è semplice da somministrare e può essere presentato da qualsiasi operatore. Durata: pochi minuti. Punteggio: il punteggio va da 0 (nessun impatto dell’incontinenza sulle attività di vita) a 28 (massimo disturbo arrecato dall’incontinenza alle attività di vita del soggetto). Applicazioni Clinica: valutazione della severità dei sintomi correlati all’incontinenza, valutazione dell’efficacia dell’intervento nel tempo. Ricerca: indagini di popolazione selezionata (ambulatori, day hospital) utilizzando al forma breve. Limiti Il suo utilizzo è successivo alla diagnosi di incontinenza. MAR APR 07 ASSISTENZA ANZIANI 41 INDICE AIOCC < LAVORO IN ÉQUIPE Il modello organizzativo PLST > di ERMELLINA ZANETTI * SECONDO DEI TRE APPUNTAMENTI DEDICATI QUEST’ANNO AL LAVORO IN ÉQUIPE IN AMBITO GERIATRICO (IL PRIMO È STATO PUBBLICATO SUL NUMERO DI FEBBRAIO). L’ARTICOLO CHE SEGUE PROPONE UN ULTERIORE MODELLO DI INTERVENTO MULTIDISCIPLINARE UTILIZZATO, IN PARTICOLARE, NEI SERVIZI CHE ACCOLGONO SOGGETTI AFFETTI DA DEMENZA. > Ermellina Zanetti SPESSO i rilevanti disturbi del comportamento che accompagnano la demenza e la sensazione di impotenza che talvolta pervade gli operatori inducono atteggiamenti di difesa e protezione (richiesta di sedazione, contenzione fisica). L’adozione di questo modello, oltre a rappresentare un intervento attivo e di risposta positiva ai bisogni dei soggetti affetti da demenza si è dimostrata efficace nel ridurre la frequenza e la gravità dei disturbi comportamentali e nel ridurre lo stress negli operatori e nei familiari. La sua conoscenza è dunque opportuna e la sua adozione raccomandata! conseguenza del progressivo deterioramento cognitivo, affettivo e funzionale che caratterizza la malattia, la difficoltà a ricevere, interpretare e rispondere agli stimoli ambientali,. Il modello, in accordo con altri studi (Gerdner et al, 2002), riconosce 6 principali gruppi di agenti stressanti negativi che possono indurre nei soggetti affetti da demenza disturbi del comportamento: 1. affaticamento, 2. cambiamenti (nella routine, nell’ ambiente, dei cargiver), 3. richieste che eccedono le capacità del soggetto, 4. multipli e sovrapposti o contrapposti stimoli, 5. risposte affettive alle percezioni di perdita (compresa la rabbia), 6. stimoli fisici, quali il dolore e i trattamenti medici invasivi o percepiti come tali. Con il progredire della malattia si modifica la capacità del soggetto di reagire agli stimoli diminuendo la sua capacità di coping e aumentando la comparsa di comportamenti distruttivi anche in risposta ad agenti stressanti di minore intensità (Hall e Buckwalter,1987; Gerdner et al,2002). Il modello Il modello PLST, ampiamente sperimentato a partire dagli anni ‘80 in tutti i setting di cura (ospedale, casa di riposo, domicilio) e da cargiver formali e informali (Smith et al, 2004), parte dal presupposto che molti dei disturbi comportamentali manifestati dai soggetti affetti da demenza altro non sono che la risposta allo stress prodotto da una negativa interazione con l’ambiente. Il modello fornisce una serie di elementi atti a valutare e riconoscere gli elementi/eventi stressanti per evitare che gli stessi accadano o che il soggetto affetto da demenza sia loro esposto. Obiettivi perseguiti dal modello sono il miglioramento della qualità di vita dei pazienti e il miglioramento del livello dell’assistenza infermieristica a loro fornita. Il modello riconosce come una diretta MAG GIU 07 ASSISTENZA ANZIANI 49 > AIOCC La valutazione clinica ha rilevato che molte persone affette da demenza sperimentano minori livelli di stress durante la mattinata e, senza un opportuno intervento, eventi stressanti si possono accumulare durante la giornata fino a superare la soglia di tolleranza, diversa da individuo a individuo e modulata dalla gravità della malattia, con comparsa di disturbi del comportamento (Hall e Buckwalter, 1987; Gerdner et al, 2002). Tre cluster di disturbi del comportamento sono stati osservati nei soggetti affetti da demenza: cognitivi, affettivi e conativi (Ballinger et al, 1982) e altrettante sono le tipologie di fluttuazione progressiva del comportamento rilevate: comportamento osservato alla baseline, comportamento ansioso e comportamento disfunzionale. Il modello PLST propone di utilizzare il comportamento come un “barometro” per determinare la tolleranza del paziente allo stimolo stressante: se si manifesta un comportamento ansioso (perdita del contatto oculare, tentativo di allontanarsi) TABELLA 1 - PIANO DI ASSISTENZA SECONDO I PRINCIPI DEL PROGRESSIVELY LOWERED STRESSTHRESHOLD Ridurre gli stimoli stressanti ambientali • Evitare stimoli eccessivi e confusi • Evitare di far soggiornare il paziente in spazi indefiniti • Mantenere costante il team assistenziale Compensare le funzioni perse • Valutare le abilità residue • Assicurare interventi appropriati nei tempi e nei modi • Non eccedere con richieste di prestazioni • Incoraggiare il paziente con rinforzi positivi Promuovere atteggiamenti propositivi e positivi • Sottolineare i successi del paziente • Assicurare la comunicazione paziente-operatore • Usare il contatto fisico per rassicurare • Facilitare il paziente nell’utilizzo delle abilità sociali residue • Ricreare situazioni piacevoli per il paziente • Non utilizzare atteggiamenti punitivi Tenere conto della minore tolleranza alla fatica e della diminuita riserva di energia • Creare situazioni piacevoli • Alternare attività e riposo • Valutare, in presenza di aumento dell’ansia, eventuali problemi associati (eccessiva stimolazione, dolore, sofferenza) • Fare un elenco personalizzato delle cause di comportamento disfunzionale e degli interventi rivelatisi utili da utilizzare in successivi episodi; condividerli con lo staff e la famiglia. Incoraggiare il caregiver a prendersi cura di se stesso • Pianificare nel tempo ricoveri di sollievo • Fornire indicazioni per le procedure per esenzioni, assistenza legale e finanziaria (se necessario) • Attivare l’assistenza domiciliare (se e quando necessaria) • Offrire consulenza sui problemi intercorrenti Tradotto e adattato da: Smith M, Gerdner LA, Hall GR, Buckwalter KC. History, Development, and Future of the Progressively Lowered Stress Threshold: A Conceptual Model for Dementia Care Journal of the American Geriatrics Society 2004; 52 (10): 1755-60 50 MAG GIU 07 ASSISTENZA ANZIANI è opportuno intervenire con attività alternative o allontanando lo stimolo mal tollerato la cui ricomparsa dovrà essere, se possibile, evitata. Il modello propone sei principi da rispettare nell’attività assistenziale al fine di contenere lo stress: 1. Massimizzare le abilità residue e sostenere in modo protesico quelle perse. 2. Assicurare un incondizionato atteggiamento positivo. 3. Utilizzare l’ansia per misurare il livello di stress collegato alle attività proposte. 4. Insegnare ai caregiver ad osservare e ascoltare il paziente. 5. Modificare l’ambiente per compensare le perdite e aumentare la sicurezza. 6. Provvedere adeguati livelli di formazione, supporto, assistenza e risoluzione dei problemi. Il modello prevede una serie articolata di interventi per ridurre gli stimoli stressanti ambientali e individuali, riassunti nella tabella 1. Sperimentazione del modello e risultati Il modello PLST è stato applicato in numerosi setting residenziali e non, e gli studi condotti ne hanno dimostrato l’efficacia nel ridurre la frequenza e la gravità dei disturbi comportamentali e nel ridurre lo stress nei cargiver formali e informali (Hall et al, 1986; Swanson et al,1993; Swanson et al, 1994; Mobily et al,1992; Maas et al, 1994; Kelley, et al, 2000; Buckwalter et al,1997; Maaset al, 2001). Studi condotti nelle Special Care Units (unità di cura residenziali specializzate nel trattamento dei soggetti affetti da demenza con rilevanti disturbi del comportamento) hanno rilevato accanto alla riduzione dei disturbi del comportamento, un aumento delle attività riabilitative e ricreative e delle interazioni positive tra i pazienti e tra i pazienti e lo staff e i familiari. Si è anche osservata una riduzione dello stress nell’equipé di cura. I familiari, per i quali il modello prevede un ruolo di cura anche dopo l’istituzionalizzazione, manifestano comportamenti maggiormente collaborativi con lo staff (Mobily et al,1992; Maas et al, 1994; Kelley, et al, 2000; Buckwalter et al,1997; Maaset al, 2001). Il National Institute of Nursing Research ha promosso uno studio multi- AIOCC < TABELLA 2-APPLICAZIONE DEL PROGRESSIVELY LOWERED STRESSTHRESHOLD IN UN REPARTO PER ACUTI Valutare il paziente all’ammissione • Osservare il comportamento e ottenere dai caregiver informazioni sul comportamento abituale e sulle abitudini in relazione alla soddisfazione dei bisogni di base • Valutare la presenza di sintomi fisici quali dolore, fame, sete Prevenire danni iatrogeni • Valutare la necessità di applicare dispositivi quali catetere, linee intravenose, sondino nasogastrico: se indispensabile prevedere, in accordo con la famiglia, l’eventualità di intensificare l’assistenza • Evitare l’utilizzo della contenzione fisica • In relazione alla gravità della patologia acuta, alla necessita dell’utilizzo di dispositivi, alle abilità funzionali conservate definire il piano di assistenza (vd tab 4) e condividerlo con lo staff Collaborare con la famiglia • Presentare alla famiglia il piano di assistenza e concordare la loro possibilità di collaborazione • Istruire i familiari ad affrontare situazioni nuove causate dalla patologia acuta in atto • Concordare la dimissione Adattato da: McCloskey RM. Caring for patients with dementia in an acute care environment.Geriatr Nurs. 2004 May-Jun;25(3):139-44. Review centrico caso controllo che ha valutato l’efficacia del modello nella formazione alle abilità di cura e di presa in carico dei cargiver di soggetti affetti da demenza (Gerdner,1996). L’applicazione del modello in un setting per pazienti acuti trova la sua ragione nell’elevata esposizione ad agenti stressanti ambientali che si associano allo stress legato al ricovero e alla patologia acuta in atto. In particolare molti sono gli stimoli ambientali che possono indurre ansia nei soggetti affetti da demenza accolti in una divisione ospedaliera: il ripetuto suono del telefono o dei campanelli di chiamata, l’utilizzo dell’interfono per le comunicazioni tra lo staff, il via vai di parenti e operatori, l’alternarsi di operatori che si occupano dello stesso paziente. La routine ospedaliera prevede inoltre nella stessa giornata repentini cambiamenti con periodi di forte stimolazione e periodi di inattività. Il modello PLST fornisce agli infermieri un rifermento per attuare nei confronti dei soggetti affetti da demenza interventi volti a minimizzare gli stimoli ambientali negativi e a ottimizzare gli interventi assistenziali come riassunto in Tabella 2 (McCloskey,2004). * Presidente AIOCC Gruppo di Ricerca Geriatrica, Brescia Bibliografia Ballinger BR, Reid AH, Heather BB. Cluster analysis of symptoms in elderly demented patients Br J Psychiatry. 1982 Mar;140:257-62. Buckwalter KC, Maas M, Reed D. Assessing family and staff caregiver outcomes in Alzheimer's disease research. Alzheimer Dis Assoc Disord 1997;11: 105–116 Gerdner L, Buckwalter K, Reed D. Impact of a psychoeducational intervention on caregiver response to behavioral problems. Nurs Res 2002;51:363-74. Gerdner, L.A.; Hall, G.R.; Buckwalter, K.C. 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Catastrophic reactions and other behaviors of Alzheimer's residents: special unit compared with traditional units. Arch Psychiatr Nurs. 1993 Oct;7(5):292-9. MAG GIU 07 ASSISTENZA ANZIANI 51 INDICE > AIOCC INTEGRAZIONE POSSIBILE L’operatore nell’équipe assistenziale > di GIUSEPPINA GAVAZZI * A SEI ANNI DALL’INTRODUZIONE DELL’OPERATORE SOCIO SANITARIO PERMANGONO ANCORA MOLTE PERPLESSITÀ RISPETTO ALLE ATTRIBUZIONI E AL RAPPORTO CON LE ALTRE FIGURE PROFESSIONALI. RIPORTIAMO L’ESTRATTO DI UNA TESI SULL’ARGOMENTO CHE DOCUMENTA, ATTRAVERSO UNA RICERCA CONDOTTA IN ALCUNE CASE DI RIPOSO, LA DIFFICILE INTEGRAZIONE E DELINEA ALCUNE POSSIBILI SOLUZIONI (ERMELLINA ZANETTI, PRESIDENTE AIOCC). INTRODUZIONE L’ultimo decennio per la professione infermieristica è stato caratterizzato da grandi innovazioni e grandi conquiste culturali e normative sia nell’ambito della formazione che dell’esercizio professionale. L’infermiere, mantenendo la completa responsabilità di tutte le fasi del processo di assistenza infermieristica si può avvalere, ove necessario, nella realizzazione degli interventi assistenziali degli operatori di supporto, così come prevede il D.M. 739/94. L’attribuzione di attività assistenziali agli operatori di supporto dovrebbe consentire, attraverso una previa valutazione qualitativa dell’organizzazione ed un’analisi delle attività assistenziali, di “sollevare” gli infermieri da attività improprie e da attività ad elevata standardizzazione e, di conseguenza, dovrebbe assicurare un’ottimizzazione dei tempi infermieristici ed un miglioramento della qualità assistenziale. In questo particolare contesto si è inserita l’istituzione della figura dell’OSS che dovrebbe essere considerata una risorsa in grado di consentire la valorizzazione delle funzioni infermieristiche, alla luce dell’evoluzione culturale e professionale di questi ultimi anni. Obiettivi dello studio L’indagine realizzata nelle RSA dell’ASL di Milano e provincia aveva come obiettivo quello di conoscere principalmente le modalità di inserimento dell’OSS nell’equipe assistenziale delle RSA, gli strumenti utilizzati per l’integrazione professionale, la definizione delle attività ed 34 LUG 07 ASSISTENZA ANZIANI eventuali cambiamenti organizzativi riguardanti l’assistenza infermieristica in seguito all’inserimento dell’OSS. Le ipotesi su cui si è fondata l’indagine sono le seguenti: • l’integrazione dell’OSS nelle equipe assistenziali delle RSA viene realizzata senza tenere in considerazione i presupposti organizzativi e culturali che la letteratura propone per un inserimento efficace ed efficiente di tale figura; • l’inserimento dell’OSS nelle RSA risponde più all’esigenza di colmare la carenza infermieristica che alla necessità di migliorare la qualità assistenziale. Materiale e metodi L’indagine è stata condotta attraverso la “tecnica della domanda” ovvero un’intervista, guidata da un questionario strutturato, ai coordinatori infermieristici delle RSA campione. La costruzione del questionario è stata realizzata sulla base della normativa vigente e di un quadro teorico di riferimento rappresentato dalla letteratura inerente l’inserimento dell’OSS nelle equipe assistenziali. Il questionario è stato suddiviso in tre parti: 1. identificazione dell’organico (personale infermieristico e di supporto) e rilevazione delle presenze giornaliere in rapporto al numero di posti letto; 2. modalità di inserimento e di integrazione dell’OSS nell’equipe assistenziale; 3. identificazione delle attività che l’OSS svolge in autonomia e/o in collaborazione con gli infermieri. Il campione è stato costituito dalle RSA accreditate di Milano che, al momento della conduzione della ricerca, includevano nel loro organico OSS inquadrati contrattualmente e che quindi già svolgevano le funzioni previste dal relativo profilo. Su 32 RSA dell’ASL di Milano (luglio 2005) 3 RSA non avevano ancora inserito la figura dell’OSS nell’organico e, solo 9 RSA si sono rese disponibili alla realizzazione dell’indagine. In una RSA milanese è stato effettuato il pretest, al fine di tarare il questionario stesso prima di un’effettiva somministrazione al campione in esame. Per raggiungere il livello di rappresentatività (10 RSA), ritenuto necessario per verificare le ipotesi formulate, è stata inclusa nell’indagine una RSA dell’ASL provincia di Milano 1. In realtà il campione definitivo risultava costituito da 11 RSA in quanto una struttura dell’ASL di Milano ha dato successivamente la propria disponibilità a partecipare all’indagine. Pertanto l’indagine è stata realizzata in 11 RSA, anche se sono state effettuate complessivamente 15 interviste ai rispettivi coordinatori che gestivano variabilmente uno o più nuclei operativi della medesima RSA. I risultati dell’indagine si riferiscono generalmente a un totale di 15 strutture/nuclei RSA corrispondenti alle 15 interviste. Risultati dello studio Identificazione dell’organico e rilevazione delle presenze giornaliere in rapporto al numero di posti letto. L’analisi ha evidenziato che, in circa metà delle RSA indagate, gli infermieri svolgono la propria attività lavorativa soprattutto in qualità di libero professionista e/o dipendente di cooperativa. Tale dato conferma quanto sostenuto in letteratura, ossia che le RSA non sono considerate dagli infermieri un luogo di elezione in cui svolgere la propria attività lavorativa. I coordinatori infermieristici sono presenti cinque giorni alla settimana e svolgono prevalentemente attività di gestione e di AIOCC < organizzazione dell’assistenza, gestendo sia più nuclei contemporaneamente (max 126 posti letto) che piccoli nuclei (max 30 posti letto). Generalmente intervengono nell’attività assistenziale in mancanza di infermieri. In una RSA non è presente il coordinatore infermieristico, per cui la gestione degli infermieri è affidata alla direzione del personale, mentre la gestione degli aspetti assistenziali e del personale di supporto (ASA e OSS) è affidata ad un coordinatore OSS. In sette strutture/nuclei (7/15) è presente la figura del referente assistenziale. Tale funzione è attribuita prevalentemente agli OSS (34,4%), ma anche agli ASA (13,3%) e consta delle seguenti attività: • supervisione del lavoro degli ASA; • gestione della documentazione assistenziale in uso nel nucleo; • gestione delle informazioni assistenziali per le riunioni d’equipe finalizzate alla stesura e alla discussione del piano assistenziale individualizzato (PAI). In due strutture (2/15) l’OSS ricopre il ruolo di coordinatore dei servizi assistenziali che, oltre alle attività appena descritte (svolte dal referente assistenziale), gestisce il personale di supporto (OSS/ASA) e la relativa turnistica. Tali coordinatori non sono inseriti nell’organico ASA/OSS, sebbene svolgano attività di assistenza diretta in caso si necessità. Solo tre RSA (3/11), inserite in strutture polifunzionali (RSA, riabilitazione, centro diurno, hospice ecc.), dispongono di un responsabile infermieristico (non necessariamente dirigente) che gestisce il personale infermieristico e le figure di supporto. Nelle restanti otto RSA (8/11) la gestione del personale e del nucleo è completamente affidata ai coordinatori infermieristici, in base alle direttive della direzione del personale rispetto agli aspetti amministrativi e gestionali e della direzione sanitaria per gli aspetti sanitari. Modalità di inserimento e di integrazione dell’OSS nell’équipe assistenziale. La maggioranza del campione (8/15) ha inserito nell’équipe assistenziale OSS la cui formazione prevedeva la partecipazione a 1000 ore di corso, reclutati esternamente ed inseriti nei nuclei come per- sonale di nuova acquisizione. In particolare, il 20% delle strutture ha inserito solo OSS con formazione di 1000 ore, il 33,3% ha inserito in organico contemporaneamente sia OSS di 1000 ore sia OSS riqualificati, ovvero operatori ASA che già lavoravano nei nuclei, mentre il 46,7% ha inserito solo OSS riqualificati. L’inserimento dell’OSS ha determinato una revisione degli standard di personale nel 26,7% delle strutture, nelle quali peraltro sono stati reclutati solo OSS con formazione di 1000 ore che sono stati inseriti nell’organico degli infermieri. Nelle restanti strutture (73,3%) è stata effettuata una revisione “qualitativa” ma non “quantitativa” dell’organico, in quanto gli OSS (prevalentemente riqualificati) sono stati inseriti o mantenuti nel gruppo ASA (di cui facevano parte precedentemente) già previsto nel nucleo con modifiche variabili del programma di lavoro. Nella maggior parte delle strutture (10/15) sono state organizzate delle riunioni “informative” con il personale del nucleo; gli argomenti maggiormente trattati in tali incontri, effettuati prevalentemente prima dell’inserimento, sono stati la conoscenza del profilo dell’OSS e la revisione dei programmi di lavoro di tutte le figure professionali, compreso l’infermiere. Solo in due strutture (2/15), in cui sono stati inseriti solo ASA riqualificati, l’inserimento dell’OSS è stato guidato da una procedura formale (accoglimento, tutorato, obiettivi). Nelle restanti strutture il coordinatore infermieristico ha avuto un ruolo fondamentale nell’inserimento dell’OSS; infatti, fermo restando le indicazioni generali della direzione riguardanti gli standard di personale, il coordinatore ha organizzato autonomamente l’inserimento dell’OSS predisponendo l’accoglimento, l’affiancamento e/o le mansioni/piani di lavoro dell’OSS, senza però definire obiettivi specifici. Per gli OSS di nuova acquisizione la valutazione ha rappresentato un momento formalizzato, supportato anche da una modulistica ad hoc, mentre per gli OSS riqualificati la valutazione ha avuto una connotazione più informale senza alcun vincolo per la formulazione di un giudizio di idoneità all’esercizio professionale, in quanto non richiesto dalle norme contrat- tuali. Sono state elaborate diverse tipologie di documenti per facilitare l’integrazione dell’OSS nell’equipe assistenziale: il programma di lavoro è risultato il documento maggiormente utilizzato (46,7%), seguito dalle procedure/protocolli (26,7%) ed infine dalla job description (20%). Nonostante la letteratura segnali l’utilizzo di tutti gli strumenti precedentemente descritti, avendo ciascuno finalità differenti, solo una struttura (6,7%) ha previsto l’elaborazione e quindi l’utilizzo contemporaneo di tali documenti. Per quanto concerne la documentazione infermieristica, pur essendo presente in tutte le strutture un PAI per ciascun ospite, così come prevede la normativa regionale riguardante l’accreditamento, solo quattro strutture (26,6%) hanno dichiarato di utilizzare una cartella infermieristica/piano assistenziale orientata da un modello concettuale di riferimento dell’assistenza infermieristica. Da una successiva analisi dei dati si evince che lo strumento maggiormente utilizzato dall’infermiere per documentare l’attività quotidiana rimane la consegna o scheda infermieristica (80%), in cui sono segnalati i problemi quotidiani di tutti gli ospiti e/o le indicazioni relative alle procedure diagnostiche-terapeutiche. Solo in alcuni casi tali schede sono personalizzate per ciascun ospite. In circa la metà delle strutture (46,7%) gli OSS utilizzano unicamente la scheda/consegna infermieristica per registrare le attività svolte durante il turno. Nel 33,3% delle strutture l’OSS utilizza la consegna giornaliera del personale di supporto (ASA, OSS), in cui sono segnalati i problemi/bisogni assistenziali di tutti gli ospiti, nonché diverse schede di registrazione dell’assistenza (alvo, bagni quotidiani, alimentazione, mobilizzazione, bilanci idrici, pesi mensili). Nelle restanti strutture (20%) l’OSS utilizza, insieme alle altre figure professionali, la consegna integrata personalizzata o l’agenda multiprofessionale. Da tali dati si evince che la maggior parte delle informazioni assistenziali, riguardanti i bisogni degli ospiti, è gestita dal personale di supporto ed, infatti, la consegna infermieristica descrive unicamente situazioni problematiche LUG 07 ASSISTENZA ANZIANI 35 > AIOCC e/o indicazioni relative alle procedure diagnostiche e terapeutiche, come definito precedentemente. Nella maggioranza delle strutture (53,3%) l’inserimento di tale operatore ha creato, nel nucleo operativo, momenti conflittuali tra gli operatori. I conflitti maggiori sono sorti tra gli ASA e gli OSS in quanto a questi ultimi sono state attribuite attività di supervisione sugli ASA, funzione in parte non formalizzata. Nel 60% delle strutture l’attribuzione di alcune attività all’OSS ha consentito di liberare dei tempi e degli spazi per le prestazioni infermieristiche, mentre nelle restanti strutture (40%) gli OSS hanno mantenuto prevalentemente attività di assistenza diretta ed aiuto domestico alberghiero. In particolare, l’assegnazione delle attività agli OSS ha permesso agli infermieri di recuperare del tempo per dedicarsi maggiormente alle attività quotidiane come la terapia, il “giro visita medica”, le medicazioni e la rilevazione dei parametri clinici. Solo in una struttura il 36 LUG 07 ASSISTENZA ANZIANI tempo recuperato è stato impiegato per la pianificazione assistenziale e in un’altra per la valutazione delle abilità funzionali degli ospiti, per la pianificazione assistenziale ed il coordinamento del PAI. Identificazione delle attività che l’OSS svolge in autonomia e/o in collaborazione con gli infermieri). La terza parte del questionario era volta ad indagare le attività svolte dalle varie figure professionali all’interno dei nuclei operativi, con l’obiettivo di individuare la tipologia e il peso delle attività affidate agli operatori di supporto, in particolar modo agli OSS, sia in autonomia che in collaborazione con l’infermiere, come prevede la normativa regionale. L’analisi di questa terza parte ha permesso quindi di indagare due aspetti fondamentali: • quante volte ciascuna attività indagata è svolta da ogni singolo operatore, sul totale delle risposte date; • in che misura l’infermiere ha attribuito alcune attività agli operatori di supporto (∆ Inf. - delta %). L’assistenza diretta, in situazioni di stabilità clinica dell’ospite è affidata nel 84,8% dei casi agli operatori di supporto. In situazioni di instabilità clinica, presupposto ritenuto fondamentale nel processo di “non” attribuzione delle attività agli operatori di supporto, l’infermiere non è sempre presente, ma la gestione della situazione è a carico degli ASA e degli OSS, in una percentuale equivalente. Un dato rilevante riguarda la gestione della sacca di raccolta della diuresi sia con sistema chiuso sia aperto (cambio della sacca di raccolta), che rimane quasi completamente affidata (86,2%) sia agli OSS che agli ASA, in una percentuale equivalente. E’ interessante notare che l’OSS nell’esecuzione del clisma fleet, senza l’utilizzo della sonda rettale, agisce prevalentemente in completa autonomia (57,1%). Le attività di rilevazione dei parametri clinici (PA, FC, TC, DTX, SO2), così come l’applicazione di alcune procedure terapeutiche (aerosol terapia, supposte, gocce auricolari/oftalmiche, farmaci transdermici), sono state affidate agli OSS nella maggioranza dei casi, con una percentuale di attribuzione superiore al 50%. L’OSS in tali attività agisce prevalentemente in completa autonomia. Anche gli ASA, sebbene in pochi casi, intervengono nella rilevazione dei parametri clinici e nell’applicazione di alcune procedure terapeutiche. La preparazione della terapia orale è quasi completamente affidata agli infermieri (83,3%); non vi è quindi una competenza esclusiva in quanto tale attività è anche assegnata agli OSS, ma in collaborazione con gli stessi infermieri (16,7%). L’aiuto nell’assunzione della terapia orale è stato affidato prevalentemente agli OSS che agiscono principalmente in autonomia, ma anche agli ASA nel 54,5% dei casi. L’esecuzione di semplici medicazioni (lesioni da decubito 1° stadio, escoriazioni, ecc.) è stata attribuita agli operatori di supporto (ASA e OSS) in più della metà dei casi (53,6%). Per quanto riguarda l’area igienico-sanitaria, la maggior parte delle attività è affidata agli operatori di supporto, ovvero so- AIOCC < prattutto all’OSS. La pulizia e la disinfezione dei carrelli (terapia, medicazioni e urgenze) è effettuata dagli operatori di supporto (rispettivamente nel 53,8%, 47,8% e 40,9% dei casi). La raccolta dei dati assistenziali e la realizzazione dei piani di assistenza, attività caratterizzanti lo specifico infermieristico, sono svolte dall’infermiere rispettivamente solo nel 33.3% e nel 40% dei casi. Entrambe le attività sono state attribuite non solo agli OSS, ma anche agli ASA in una percentuale pari rispettivamente al 66,7% e al 60,0% dei casi. Nella maggioranza del campione gli OSS svolgono le stesse attività affidate agli ASA (assistenza diretta ed aiuto domestico alberghiero) ma, in mancanza degli infermieri, soprattutto durante il turno pomeridiano in cui si riduce numericamente la presenza infermieristica e l’infermiere svolge la propria attività lavorativa su più piani posti verticalmente, gli OSS si occupano anche di attività prettamente sanitarie, compresa la distribuzione della terapia orale preparata precedentemente dall’infermiere. Generalmente nelle RSA, il momento della preparazione non coincide con l’assunzione della terapia stessa proprio perché tutta la terapia è preparata da un unico infermiere, prevalentemente nel turno della mattina, per le 24 ore successive. Considerazioni e conclusioni Dai risultati dell’indagine è possibile affermare che le ipotesi formulate all’inizio della ricerca sono state confermate. L’OSS è stato inserito nell’equipe assistenziale delle RSA tenendo scarsamente in considerazione i presupposti culturali ed organizzativi descritti dalla letteratura, presupposti considerati fondamentali per un inserimento efficace ed efficiente di tale figura. Sebbene siano stati effettuati degli incontri informativi e siano stati elaborati dei documenti per facilitare l’integrazione dell’OSS nelle équipe assistenziali, non è possibile affermare che l’inserimento dell’OSS sia avvenuto sulla base di un progetto ad hoc. Inoltre, nonostante solo quattro RSA abbiano affermato di aver inserito l’OSS in sostituzione di un infermiere, all’OSS, nella maggior parte delle strutture, sono state affidate attività che prima dell’inserimento erano affidate agli infermieri (rilevazioni parametri, semplici medicazioni, aiuto assunzione terapia orale…). Due sono le problematiche maggiori emerse durante l’analisi dei dati: 1) l’OSS è impiegato per attività di cui non si fa cenno nel relativo profilo regionale (es. “collabora nell’attività del personale infermieristico che garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche, anche attraverso l’utilizzo di apparecchiature medicali di semplice uso” VS > rilevazione parametri clinici; “collabora alla somministrazione della terapia: farmaci per via enterale supposte, clismafleet - e tramite aerosol, farmaci transdermici, gocce oftalmiche ed auricolari” VS > preparazione e somministrazione terapia orale). Ciò dipende, molto probabilmente, da un’erronea interpretazione della norma che lascia effettivamente aperti diversi spunti di riflessione. Basti pensare al termine di “collaborazione” con il personale preposto che lascia aperto un profondo dibattito: “in presenza o solo su indicazione del personale preposto?”. 2) L’OSS è il responsabile dell’assistenza diretta e del PAI degli ospiti nei nuclei RSA. L’OSS diventa quindi una figura centrale in RSA occupandosi sia di assistenza diretta sia di prestazioni sanitarie di varia natura, mentre gli infermieri si occupano prevalentemente delle procedure diagnostiche-terapeutiche. L’OSS quindi non è inserito nell’equipe assistenziale con l’intento di migliorare la qualità dell’assistenza, ma “sgravare” gli infermieri da attività ritenute non fondamentali (sia dalla direzione delle strutture che dagli stessi infermieri) che, in realtà, rappresentano lo specifico infermieristico come la pianificazione assistenziale. Le difficoltà incontrate durante l’indagine sono state numerose e soprattutto legate: • alla mancanza, all’interno delle strutture, di una figura dirigenziale infermieristica che coordini il personale sanitario e assistenziale (ed infatti la maggiore disponibilità la si è avuta dalle tre RSA che avevano un servizio infermieristico); • alla diversità dell’organizzazione delle RSA; infatti, come citato precedente- mente, il target considerato per la raccolta dei dati è stato disomogeneo. Ad esempio, i coordinatori infermieristici (intervistati) avevano responsabilità differenti: in alcune RSA il coordinatore gestiva più nuclei (anche cinque nuclei contemporaneamente), mentre in altre si occupava di un solo nucleo composto da massimo 30 posti letto. Tale indagine ha messo però in risalto il ruolo fondamentale dei coordinatori infermieristici nell’inserimento dell’OSS nell’equipe assistenziale in RSA in quanto, in mancanza di un servizio infermieristico, la gestione diretta del personale (infermieri e operatori di supporto) e degli aspetti organizzativi dei nuclei è completamente affidata a loro. Sicuramente la mancanza di un supporto e di un confronto con figure dirigenziali infermieristiche ha portato i coordinatori a fare scelte a volte non sostenute da un progetto concettuale. Le RSA diventano quindi un luogo da presidiare da un punto di vista infermieristico, dato l’aumento dei bisogni della persona anziana sia per numero che per complessità, così come rilevano anche i dati ISTAT. Gli infermieri in RSA dovrebbero rivestire un ruolo fondamentale nella formulazione di un piano di assistenza infermieristico individualizzato orientato alla risoluzione dei molteplici e complessi bisogni dell’anziano fragile. Il prossimo passo che potrebbe aiutare a definire l’importanza ed il ruolo specifico che l’infermiere riveste in RSA è la verifica a distanza dei risultati in termini di qualità delle prestazioni (valutazione di alcuni indicatori assistenziali come il tasso di cadute, lesioni da decubito, contenzione ecc.) e di soddisfazione degli utenti, in seguito all’inserimento dell’OSS, così come prevede anche la letteratura in merito a tale argomento. * Piccolo Cottolengo don Orione, Milano L’articolo è tratto dal lavoro di tesi svolto dall’autrice a conclusione del Master in Management Infermieristico per le funzioni di coordinamento (a.a. 2004/2005). Relatore Anna Castaldo. LUG 07 ASSISTENZA ANZIANI 37 INDICE > AIOCC LAVORO IN ÉQUIPE Il modello organizzativo ECSIP > di ERMELLINA ZANETTI * PROSEGUE IN QUESTO NUMERO DI ASSISTENZA ANZIANI LA TRATTAZIONE DEI MODELLI ORGANIZZATIVI, SPERIMENTATI E DISCUSSI IN LETTERATURA, UTILI ALLO SVILUPPO DEL LAVORO IN ÉQUIPE, CHE SI RENDE NECESSARIO NELLE SITUAZIONI DI MAGGIORE COMPLESSITÀ. IL MODELLO PROPOSTO, INDIRIZZATO A CORRETTAMENTE INTERVENIRE NEI SOGGETTI DEMENTI CON RILEVANTI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO, È PARTICOLARMENTE INTERESSANTE POICHÉ PUÒ ESSERE ADOTTATO ANCHE DAI FAMILIARI, OLTRE CHE DAGLI OPERATORI. PUÒ DUNQUE RAPPRESENTARE, OLTRE CHE UN OTTIMO STRUMENTO DI LAVORO, ANCHE UN INCENTIVO ALLA COLLABORAZIONE CON LE FAMIGLIE CUI SEMPRE VA RICONOSCIUTO UN INSOSTITUIBILE, SEPPUR FATICOSO, COMPITO DI CURA. IL PROTOCOLLO ECSIP applicato in divisioni mediche e chirurgiche si propone di ridurre il disconfort, la perdita di abilità funzionali, la durata della degenza nei soggetti anziani confusi e/o dementi ospedalizzati. Il protocollo, inoltre, è proposto come metodo per la formazione degli studenti infermieri affinchè aumenti la loro soddisfazione e il loro interesse per l’assistenza agli anziani. > Ermellina Zanetti TABELLA 1 - SPERIMENTAZIONE DELL’ELDER CARE SUPPORTIVE INTERVENTION PROTOCOLL: LIVELLI DI VALUTAZIONE LIVELLO 1: entro 24 ore dall’ammissione Valutazione delle funzioni cognitive: Functional Activities Questionnaire (FAQ) Valutazione della presenza e gravità del delirium: NEECHAM Confusion Scale Valutazione delle preferenze e abitudini nella soddisfazione dei bisogni di base: intervista (anche telefonica ai familiari o agli infermieri della casa di riposo) LIVELLO 2: entro 48-72 ore dall’ammissione Al protocollo sono ammessi i soggetti con età uguale o superiore a 74 anni (64 anni se provenienti da una casa di riposo) con diagnosi di disturbo cognitivo o demenza, presenza documentata di dipendenza funzionale e presenza all’ammissione di delirium o di elevato rischio di svilupparlo. Il protocollo ECSIP si compone di tre gruppi di interventi finalizzati all’assesment (Client profile), alla personalizzazione dell’assistenza (Individualized care protocol) e al sostegno dei caregiver (Elder Guide). Il protocollo prevede che entro 24 ore dall’ammissione l’infermiere valuti il paziente rispetto alle usuali modalità di soddisfazione dei bisogni di base, le preferenze rispetto al cibo e alle attività, la storia personale e a particolarità nell’e30 OTT 07 ASSISTENZA ANZIANI Valutazione della presenza e gravità del delirium: NEECHAM Confusion Scale Valutazione delle abilità funzionali: Indice di Katz Valutazione del Disconfort: Discomfort Screen – Dementia Alzheimer’s Type (DS-DAT) Valutazione del coinvolgimento dei familiari nell’assistenza: ore di presenza/die LIVELLO 3: 24 ore prima della dimissione Valutazione della presenza e gravità del delirium: NEECHAM Confusion Scale Valutazione delle abilità funzionali: Indice di Katz Valutazione del Disconfort: Discomfort Screen - Dementia Alzheimer’s Type (DS-DAT) Valutazione del coinvolgimento dei familiari nell’assistenza: ore di presenza/die Durata della degenza Tradotto e modificato da: Miller, J., Campbell, J., Moore, K., & Schofield, A. Elder Care Supportive Interventions Protocol: Reducing Discomfort in Confused, Hospitalized Older Adults. Journal of Gerontological Nursing, 2004, 30(8): 10-18. AIOCC < TABELLA 2: IDENTIFICAZIONE DI DEFICIT COGNITIVO ALL’AMMISSIONE Possibile demenza (FAQ) (n=66) Delirium (NEECHAM) (n=53) n % n % Nessuna diagnosi di deficit cognitivo, ma presenza di deficit all’ammissione 13 20 12 23 Diagnosi medica di demenza o di deficit cognitivo 21 32 21 40 Nessuna diagnosi di demenza o deficit cognitivo e assenza di sintomi/segni rilevati dallo staff 32 48 20 37 sprimere disagio. Le informazioni, (oltre al paziente sono fonte di informazioni i cargiver o le infermiere della casa di riposo contattate telefonicamente) sono utilizzate per la definizione del protocollo di assistenza individuale che prevede due gruppi di interventi (Miller, 1996): il primo finalizzato alla prevenzione del disconfort promuovendo attività in accordo alle abitudini e preferenze del paziente; il secondo finalizzato a prevenire possibili situazioni di disagio attraverso il controllo dei fattori ambientali, la comunicazione e la prevenzione o il trattamento di sintomi fisici quali il dolore, la sete, la stipsi. I caregiver sono considerati membri a tutti gli effetti del team di cura e la Elder Guide individua tre ambiti di intervento rivolti ai familiari: la valutazione delle abilità di cura della famiglia, la spiegazione dei principali interventi assistenziali adottati in ospedale, le modalità di sostegno economico per facilitare la presenza dei familiari in ospedale (es: buoni pasto e parcheggio gratuiti). Molte delle informazioni rivolte ai familiari sono riassunte in un agile testo a loro rivolto e intitolato: “Grazie per essere presenti”. Sperimentazione del protocollo e risultati Il protocollo ECSIP è stato sperimentato 31 OTT 07 ASSISTENZA ANZIANI 31 > AIOCC Aspetti in evidenza 1 Il delirium è una condizione frequente nei pazienti anziani ricoverati nei reparti medici o chirurgici. 2 Il discomfort, che include ansia e dolore, è sperimentato ad alti livelli da molti tra gli anziani ospedalizzati e può essere ridotto attraverso interventi preventivi e atti a promuovere comfort. 3 Gli studenti infermieri e i familiari possono essere importanti risorse per aumentare il comfort nei soggetti confusi durante l’ospedalizzazione. presso le divisioni di medicina e ortopedia di un ospedale universitario attraverso uno studio analitico di coorte. Lo studio è stato preceduto da un intervento formativo rivolto agli staff infermieristici delle due divisioni. L’implementazione del protocollo ha reso possibile evidenziare e risolvere eventuali aspetti nell’organizzazione che avrebbero potuto ostacolarne l’utilizzo. Gli studenti infermieri, inoltre, hanno affiancato gli staff per tutta la durata dello studio, al fine di supportare gli infermieri nella personalizzazione del protocollo di assistenza, affiancare ed educare i familiari, oltre che nella rilevazione dei dati utili ai fini della ricerca. Lo studio prevedeva tre step di valutazione: entro 24 ore dall’ammissione; da 48 a 72 ore dall’ammissione e 24 ore prima della dimissione (Vedi Tabella 1). Durante i 4 mesi di durata dello studio sono risultati eleggibili 181 pazienti; di questi hanno partecipato allo studio 38 soggetti per il gruppo di controllo e 43 per il gruppo sperimentale, ma solo 20 pazienti per il gruppo di controllo e 32 per il gruppo sperimentale hanno completato lo studio con la valutazione a 24 ore dalla dimissione. Non vi erano significative differenze nei due gruppi per quanto riguarda il sesso, l’età, la provenienza all’ammissione e la diagnosi di deficit cognitivo. Il 71% dei pazienti è rappresentato da donne con un’età media di 82 anni (range 67-101 anni); il 45% dei pazienti provengono dal loro domicilio, il 14,9% dal domicilio dei 32 OTT 07 ASSISTENZA ANZIANI figli o di un familiare e il 39,4% da una casa di riposo. Per la valutazione delle funzioni cognitive lo studio prevedeva l’utilizzo del Functional Activities Questionnaire (FAQ) che indaga l’abilità di portare a termine 10 attività complesse. Il FAQ è raccomandato per lo screening della presenza o assenza di demenza. Il 70,7% dei soggetti ammessi allo studio aveva un punteggio al FAQ maggiore di 8 compatibile con diagnosi di demenza possibile. La presenza e la gravità del delirium è stata investigata utilizzando la NEECHAM Confusion Scale, una scala osservazionale a 9 item (Neelon et al, 1996): il 53% dei partecipanti avevano all’ammissione un punteggio alla NEECHAM inferiore a 20 che indica una confusione severa. L’applicazione del protocollo e la successiva valutazione degli outcome attesi ha evidenziato una significativa riduzione del delirium e una marginale riduzione della disabilità nel gruppo di intervento. Non si è osservata alcuna differenza nella durata della degenza nei due gruppi (5,23 giorni di degenza media). Il disconfort, valutato utilizzando una griglia osservazionale a 6 item (DSDAT modificato) da applicarsi a 105 situazioni di evidente disagio (venipuntura, cateterismo vescicale, medicazioni) e a 132 situazioni di possibile disagio (Hurley et al,1992; Miller et al,1996), diminuisce nei pazienti del gruppo di intervento ricoverati in medicina e aumenta, sia nel gruppo di intervento, sia nel gruppo di controllo, in quelli ricoverati in ortopedia, forse per effetto dei postumi dell’intervento, dell’immobilità e del dolore conseguenti. L’utilizzo del protocollo ha reso possibile un reale ed effettivo coinvolgimento dei familiari nella cura dei pazienti: i familiari erano infatti presenti per oltre la metà del tempo in cui erano presenti anche gli studenti infermieri cui erano affidate le cure di base e l’affiancamento dei familiari. Gli studenti coinvolti nello studio hanno dimostrato un maggior interesse e attitudine a lavorare, una volta concluso il corso di studio, in reparti geriatrici. * Gruppo di Ricerca Geriatrica, Brescia e AIOCC Bibliografia Hurley, A., Volicer, B., Hanrahan, P., Houde, S., & Volicer, L. (1992). Assessment of discomfort in advanced Alzheimer patients. Research in Nursing and Health,1992; 15: 369-377. Miller, J. A clinical study to reduce confusion in hospitalized, older adults. Medical-Surgical Nursing, 1996;5: 436444 Miller, J., Campbell, J., Moore, K., & Schofield, A. Elder Care Supportive Interventions Protocol: Reducing Discomfort in Confused, Hospitalized Older Adults. Journal of Gerontological Nursing, 2004, 30(8): 10-18. Miller, J., Moore, K., Schofield, A., & Ng’andu, N.. A study of discomfort and confusion among elderly surgical patients. Orthopedic Nursing 1996; 15(6):27-34. Neelon, V., Champagne, M., Carlson, J., & Funk, S. (1996). The NEECHAM Confusion Scale: Construction, validation, and clinical testing. Nursing Research, 1996; 45:324-330. INDICE AIOCC < ALLEANZA ANTI-DEMENZA L’importanza del patto terapeutico con la famiglia > di SILVIA VITALI * NELL’APPROCCIO PROTESICO LE PERSONE CHE RUOTANO INTORNO ALLA PERSONA CON DEMENZA, SIANO ESSE FAMIGLIARI, AMICI, VOLONTARI O PROFESSIONISTI DELLA CURA OPERANTI A VARI LIVELLI, COSTITUISCONO UNO DEGLI ELEMENTI CARDINE DELLA “PROTESI” IN RAPPORTO DIALETTICO CON LE ALTRE DUE COMPONENTI, VALE A DIRE CON LO SPAZIO FISICO E CON I PROGRAMMI/ATTIVITÀ. SI RITIENE INOLTRE CHE IL PROCESSO DI CURA DELLA PERSONA CON DEMENZA, SIA AL DOMICILIO CHE IN AMBITO ISTITUZIONALE, SI SVOLGA ALL’INTERNO DI UN TRIANGOLO SOCIALE DI CURA COMPRENDENTE IL MALATO, I CAREGIVER INFORMALI E QUELLI FORMALI. IN QUESTA logica la famiglia viene considerata come parte essenziale e il lavoro dei professionisti è volto alla ricerca del benessere del malato, ma anche di chi del malato si occupa ed è quindi finalizzato a sostenere il famigliare e in generale i caregiver informali lungo tutto il decorso della malattia. Al tempo stesso la famiglia è considerata come risorsa, sia in quanto depositaria di quel sapere biografico individuale che può aiutare a meglio comprendere la soggettività del malato, sia in quanto parte direttamente coinvolta nel processo di cura e d’assistenza. Nel lungo percorso della malattia la vita famigliare viene di fatto trasformata dalla malattia stessa: i famigliari assumono, talvolta gradatamente, talvolta bruscamente, sempre con modalità variabili, il ruolo di caregiver e abbandonano più o meno volentieri i ruoli precedenti. Il coinvolgimento oggettivo e soggettivo che un famigliare sperimenta nel corso dell’assistenza al proprio caro muta nell’arco dell’intero periodo d’accudimento: dall’acquisizione del ruolo, al suo riconoscimento, all’abbandono del ruolo stesso. Studi longitudinali evidenziano differenze individuali nell’adattamento al ruolo di caregiver: mentre alcuni caregiver riferiscono continui e crescenti livelli di carico assistenziale e di stress, altri sembrano in grado di adattarsi ai cambiamenti associati alla progressione della malattia. Anche il malato risente di queste trasformazioni, sperimenta vissuti di perdita di ruolo e di privazione di senso che aggravano l’esperienza frustrante determinata dal danno cognitivo. Per il famigliare la comunicazione della diagnosi, sebbene venga fatta con ottemperanza ai criteri della comunicazione delle cattive notizie, rappresenta spesso un dolore intollerabile, tanto da portare ad un’iniziale negazione a cui fa seguito, in un arco di tempo non lungo, un vissuto di rabbia diffusa che non sempre il famigliare riesce a gestire non solo nel breve, ma anche nel lungo periodo. Una rabbia non gestita aggravata dalla mancanza d’informazioni circa l’evoluzione della malattia, genera frustrazione, impotenza e senso di colpa; impedisce al famigliare di chiedere aiuto e lo porta a scivolare inevitabilmente verso reazioni depressive, verso il burn out, con il rischio di abusi e maltrattamenti nei confronti del malato. La comprensione di queste dinamiche, la creazione di momenti in cui il famigliare venga guidato in una introspezione positiva nella quale non manchi lo spazio al riconoscimento del dolore e alla sua partecipazione, l’analisi dei problemi concreti e la pianificazione costruttiva NOV DIC 07 ASSISTENZA ANZIANI 45 > AIOCC delle soluzioni, la costante informazione sull’evoluzione della malattia, rappresentano il vero sostegno al famigliare nel percorso di accettazione della malattia e del ruolo di caregiver. La famiglia e il ricovero in residenza: riflessione sui risultati di una ricerca condotta nel “Nucleo Alzheimer” Il momento dell’istituzionalizzazione, sia transitoria che definitiva, della persona con demenza, anche quando si collochi come parte integrante di un percorso di cura consapevole, non rappresenta sempre per il famigliare una soluzione che ponga fine ai suoi doveri assistenziali e risolva la fatica e l’angoscia che l’occuparsi del proprio congiunto ha comportato fino a quel momento. Le informazioni emerse in un’analisi condotta presso i Nuclei Alzheimer dell’Istituto Golgi rappresentano lo spunto per alcune riflessioni. Coniugi e figli. I caregiver sono in questo studio risultati distinguibili in coniugi e figli. I primi, di età media più alta, assistevano pazienti in media più giovani di loro 46 NOV DIC 07 ASSISTENZA ANZIANI di 8-10 anni; erano prevalentemente pensionati, coabitavano con il malato, avevano minore scolarità, meno frequentemente dei figli avevano altre persone da assistere, ricevevano aiuto prevalentemente da parenti, al contrario dei figli che venivano aiutati in prevalenza da assistenti privati e immigrati. I livelli di stress e i suoi correlati. Nell’analisi di questo gruppo di famigliari sono emerse correlazioni significative tra livelli di stress ed alcune variabili, quali: • essere di sesso femminile (p<.005); • avere un grado di parentela stretto (coniuge) (p<.001); • assistere malati con età inferiore di esordio della malattia (p<.01); • avere minor scolarità (p<.001); • avere una vicinanza abitativa o coabitare (p<.001). Lo stress si correlava positivamente anche con il punteggio dell’NPI (Neuropsychiatric Inventory, una scala di misurazione dei sintomi psichiatrici e comportamentali), p<.001, tale correlazione si manteneva anche quando l’RSS (Relative’s Stress Scale: una scala di misurazione soggettiva dello stress dei famigliari) veniva suddivisa in “area psicologica”, “area delle abitudini di vita”, “area dei sentimenti negativi”. Stress e relazione di aiuto. Coloro che dichiaravano di non aver bisogno di aiuto alla dimissione e/o non prevedevano dei mutamenti del proprio quotidiano alla dimissione del loro congiunto avevano livelli di stress maggiormente elevati (p<0.05). Al momento della dimissione, per altro ritenuto opportuno dalla gran parte dei caregiver (78%), la maggior parte di essi (78%) giudicava migliorato il proprio congiunto, mentre solo il 5% lo giudicava peggiorato; nella quasi totalità dei casi (80%), veniva espresso rispetto alle modalità di cura, una corrispondenza tra le aspettative e il risultato. La maggioranza dei famigliari (65,2%), pur con difficoltà, pensava di essere in grado di affrontare i problemi posti dall’assistenza del malato, ma non esigua (30%) era la quota di coloro che esprimevano scarsa fiducia riguardo alla possibilità di farcela: si trattava per la maggior parte (66.7%) di coniugi. La maggior parte dei caregiver aveva programmato un aiuto successivo al ritorno al domicilio, ma non era scarsa, specie fra i coniugi, la quota di chi, pur avendone bisogno, non aveva attivato aiuti. Quasi due terzi di chi rispondeva (73.2%) prevedeva mutamenti nel proprio quotidiano: il mutamento principale riguardava la riorganizzazione famigliare per i figli e l’aiuto esterno per i coniugi. Stress e genere. Si confermano quindi alcuni dati già noti in letteratura quale la relazione tra stress e genere femminile e quella tra stress e vicinanza nella relazione. Riflessioni. Anche per quel che riguarda i “primary objective stressors” si confermava la correlazione positiva tra disturbi del comportamento e livelli di stress ed emergeva come i disturbi comportamentali fossero in grado di influenzare il benessere psicologico del famigliare, di condizionarne le abitudini di vita e di produrre sentimenti negativi. Non stupisce quindi che costituissero il motivo principale alla base della richiesta di ricovero, seguiti dal peso della dipendenza nelle attività del quotidiano che appariva come il motivo più frequentemente associato. I livelli di stress aumentavano quanto più precoce era l’età d’esordio della malattia, come a indicare la difficoltà da parte del famigliare ad entrare precocemente nel ruolo di caregiver, forse in un momento della vita in cui questa possibilità neppure era presa in considerazione. Questo aspetto si lega anche alla questione relativa alle modalità d’assunzione del ruolo di caregiver che sembrano condizionare gli outcome del processo stesso di caregiving. Il dato relativo alla difficoltà che, proprio i caregiver più stressati mostravano nel chiedere aiuto, forse pure in rapporto a tratti di personalità più nevrotici (che condizionano negativamente le modalità di assunzione del ruolo), rimanda anche al dibattito sul tipo d’aiuto da offrire ai famigliari. La letteratura sembra fornire una certa evidenza circa l’opportunità di AIOCC < dare aiuti molto finalizzati, ad esempio tesi ad alleviare i problemi connessi alla dipendenza nel quotidiano; questo tipo di sostegno parrebbe infatti ritardare il ricorso all’istituzionalizzazione. Le variabili individuate come fonte di stress per coniugi e figli erano distribuite diversamente: il cambio delle abitudini pesava maggiormente per il coniuge; l’impegno di tempo, l’assistenza di altre persone e la mancanza di servizi risultava di maggior peso per i figli. Volontari Diversamente dal famigliare, il volontario sceglie di occuparsi della persona con demenza, questa libertà di scelta porta con sé numerosi risvolti positivi che ben giustificano la definizione di God Sends (doni di Dio) contenuta nel Gentle Care. I volontari hanno voglia di conoscere e di imparare, desiderano la nuova esperienza, sperano di portarla a termine con successo, sono mossi da un ideale di dedizione, dalla speranza di essere utili, sono orientati a risolvere i problemi, hanno bisogno di stringere nuove relazioni. Come doni non vanno quindi sprecati e sciupati, le strutture hanno la possibilità e il dovere di rispondere a questo desiderio multiforme offrendo una guida creativa e competente al volontario. I volontari svolgono un ruolo diverso dal personale professionale, non lo sostituiscono e al tempo stesso costituiscono un ponte tra la struttura e la comunità presso la quale possono farsi portavoce di esigenze che viceversa non arriverebbero mai al mondo esterno. Il coinvolgimento dei volontari nell’assistenza richiede quindi una pianificazione attenta e sensibile. E’ perciò possibile orientarsi seguendo un percorso a fasi: • La fase di reclutamento. Riguarda tutto lo staff delle strutture ed è utile che tutti si impegnino nella ricerca di candidati adatti. Questi verranno poi valutati da un responsabile perché si possano meglio conoscere non solo le motivazioni più forti, ma anche le attitudini e le abilità specifiche. Nell’ambito del Gentle Care queste ultime sono considerate preziose perché possono essere “sfruttate” nella costruzione dei programmi e delle attività proposte ai malati. Così un “pollice verde” rappresenta il volontario ideale per il giardinaggio, un pianista dilettante il volontario ideale per un lavoro di reminiscenze, un professore in pensione il volontario ideale per un circolo di lettura e così via. Al termine del reclutamento, volontario e responsabile concorderanno un programma condiviso e un tempo di verifica delle difficoltà e dei risultati. • La fase della formazione. Analogamente al famigliare, il volontario deve conoscere la malattia, comprenderne l’impatto sul malato, essere al corrente delle migliori strategie di comunicazione, ma deve anche conoscere l’organizzazione che lo staff si è data nel prendersi cura del malato, comprenderne la filosofia, conoscerne i punti di forza e i punti di debolezza. • La fase del sostegno. Affinchè il volontario non rimanga un elemento avulso dal gruppo di lavoro è necessario accoglierlo, orientarlo, sostenerlo fino a quando questi non si senta in grado di lavorare da solo. Tale compito può essere affidato ad un coordinatore con funzioni di vera e propria guida, tuttavia è necessario che tutto lo staff sostenga il volontario, ne riconosca il valore e lo dimostri. Un feed back regolare, aperto e onesto è utile al volontario come a tutti coloro che operano all’interno di un gruppo, di un’organizzazione. Il volontario ha bisogno di essere riconosciuto per l’apporto e il contributo che offre. Il riconoscimento migliore è quello di essere considerato nei fatti, membro a tutti gli effetti dell’equipe di lavoro. Conclusione L’analisi dei bisogni e dei problemi che nell’approccio protesico rappresenta la base su cui costruire e sviluppare il progetto di cura, prende quindi in considerazione i punti di vista dei diversi attori del triangolo sociale descritto. Quanto emerge da questa fase analitica, si configura come frutto di una mediazione tra bisogni da essi espressi, bisogni peraltro non sempre confluenti, talora propriamente divergenti e fonte di dilemmi etici. La mediazione tra bisogni complessi rappresenta il presupposto da cui si dipana la concretizzazione del concetto di alleanza terapeutica tra operatori professionali e famigliari, che tende alla condivisione teorica e pratica degli obiettivi di cura attraverso lo scambio reciproco dei saperi, l’assunzione di responsabilità specifiche e condivise, il riconoscimento e il rispetto reciproco dell’impegno profuso e dei rispettivi valori di riferimento. * Istituto Geriatrico C.Golgi, Abbiategrasso BIBLIOGRAFIA Annerstedt L., Elmsthal S., Ingvad B., Samuelsson S.M. “Family caregiving in dementia-an analysis of the caregiving burden and the breakingpoint, when homecare becomes inadequate“. Scand J Public Health 2000; 28,1: 23-31. Burns R., Nichols L.O., Martingale-Adams J., Graney MJ., Lummus A., “Primary care interventions for dementia caregivers:2year outcomes from the REACH study”. Gerontologist 2003; 43,(4): 547-55. 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