Il giorno della civetta
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Il giorno della civetta
LAROS DI GINO CAUDAI PRESENTA SEBASTIANO SOMMA IN di LEONARDO SCIASCIA adattamento di GAETANO AROnICA con GAETANO ARONICA MORGANA FORCELLA ROBERTO NEGRI ALESSIO CARUSO MAURIZIO NICOLOSI MASSIMO CIMAGLIA FABRIZIO CATALANO LUCA MARIANELLI con la partecipazione di ORSO MARIA GUERRINI regia di FABRIZIO CATALANO Antonia Petrocelli e Gilda CERULLO Luca marianelli Luci UGO GOVERNALI fonica ROBERTO MICCINILLI Foto di scena Giuseppe sole Amministrazione Adriana Merigioli e Angelo Pesce Antonia Petrocelli GIOVANNI D’AQUILA SARTA ALESSANDRA MATERA macchinista francesco manzari Uff. stampa carola Assumma Scene Costumi DIRETTORE DI SCENA CONSULENZA MUSICALE Il giorno della civetta – intenzioni di regia di Fabrizio Catalano Un paese di poche migliaia di abitanti, nell’entroterra siciliano. Un freddo mattino d’inverno. La luce d’un pallido sole riflessa sull’asfalto bagnato. Una piazza. Un autobus – il motore già acceso – che s’appresta a partire. Gli ultimi passeggeri s’affrettano a salire, mentre gli altri aspettano fiduciosi la partenza dell’autobus, dietro i finestrini appannati. Un uomo, vestito di scuro, s’avvicina, di corsa. Posa il piede sinistro sul predellino dell’autobus, sta per rivolgersi all’autista. All’improvviso, un bagliore, seguito da un rumore sordo: l’uomo rimane quasi sospeso, per qualche istante, prima di afflosciarsi sull’asfalto. Morto. “Il giorno della civetta” racconta la storia dell’inchiesta condotta, a partire da questo omicidio, da un capitano dei carabinieri appena arrivato in Sicilia, dalla lontana Parma, all’inizio degli anni ’60. Il capitano Bellodi è un uomo onesto ed intelligente, pronto ad affrontare qualunque difficoltà, pur di far bene il proprio dovere. Davanti a lui, c’è adesso un cammino lungo, faticoso, irto di ostacoli. In fondo a questo percorso, c’è la verità; ma la verità, spesso, in Sicilia, ha troppe facce. La Sicilia di questo spettacolo è poco convenzionale. L’azione si svolge principalmente in una piccola caserma dei carabinieri, in una cittadina dell’entroterra. Umido, freddo, freddissimo, durante l’inverno. Negli anni ’60, la sera, le famiglie si riuniscono attorno al braciere, in cerca d’un po’ di calore, prima d’andare a letto, dove, avvolti in lenzuola e coperte bagnaticce, uomini, donne, bambini, si addormenteranno ascoltando l’ululato dei cani randagi, per essere infine svegliati dallo stridio delle ruote d’un carretto, sulle strade lastricate di porfido. Un’isola silenziosa, dura, che a Bellodi sembra incomprensibile, a tratti ostile. È la Sicilia dei grandi spazi, dove gli uomini e le menti si perdono. Paesaggi immoti, rischiarati da una luce senz’aria, incorniciati dentro una finestra priva d’infissi od un muro scrostato. Atmosfere che fanno della Sicilia un luogo metafisico, un avamposto in cui l’Europa, l’Africa e l’Oriente s’incontrano, ma il cui orizzonte è perennemente vuoto. Nella riduzione teatrale de “Il giorno della civetta” che intendiamo mettere in scena, l’azione si svolge in una Sicilia trasfigurata, territorio dell’anima prima ancora che elemento geografico. “Il più grande peccato della Sicilia è stato ed è sempre quello di non credere nelle idee. Ora, siccome questa sfiducia nelle idee, anzi, questa mancanza di idee, si proietta su tutto il mondo, la Sicilia ne è diventata la metafora”. Ne “Il giorno della civetta”, Salvatore Colasberna, unico impresario onesto della provincia, viene minacciato, ricattato ed infine ucciso, perché non ha voluto piegarsi ai voleri della mafia, perché s’è rifiutato d’uniformarsi ai comportamenti dei suoi rivali, perché costruiva le case con il cemento piuttosto che con sabbia e sterco. Chi comanda non può permettere che non si rispettino le regole, anche se queste nascono dal sopruso e dall’ingiustizia. Oggi, guardandoci intorno, leggendo i giornali, viaggiando, possiamo, in tutta sincerità, dire che soltanto in Sicilia i soprusi e le ingiustizie vengono imposti con la violenza? Ed in Italia, in Europa, nel mondo, non vige forse la legge del più forte? Chi tocca gli interessi dei potenti, che quasi mai coincidono con quelli del comune cittadino, muore. Chi ha il potere, ne abusa. In pochi protestano, in pochi si oppongono. Per queste ragioni, in questo spettacolo, dovremo curarci di rifuggire ogni rassicurante stereotipo: è comodo avere dei cattivi con un accento pronunciato, con la voce roca ed un sigaro cubano tra i denti, ma i mafiosi che ne “Il giorno della civetta” violentano la giustizia non potrebbero essere faccendieri, rappresentanti del clero, industriali, ministri e perfino presidenti dei giorni nostri? Superfluo precisare che Bellodi, alla fine, perderà la sua battaglia. Dopo essere arrivato ad arrestare tutti i veri colpevoli, su, fino al vertice della piramide mafiosa, fino a don Mariano, anello di congiunzione con il principale partito di governo, il capitano sarà premiato con una licenza ed una promozione, e trasferito; e così anche il maresciallo, d’origine siciliana, che lo aveva coraggiosamente seguito nell’inchiesta; mentre i mafiosi verranno scagionati dalla testimonianza di persone insospettabili, mentre la responsabilità morale del delitto cadrà su Rosa, moglie dell’uomo che aveva riconosciuto l’assassino e poi misteriosamente scomparso, colpevole soltanto d’essere bella, ma ingiustamente accusata d’avere una relazione con Colasberna. Anche Rosa andrà via, come Bellodi, come il maresciallo. Chi sta dalla parte della giustizia, deve ritirarsi. Ancora una volta. Ma non sarà sempre così. Il giorno della civetta – progetto e drammaturgia di Gaetano Aronica Il progetto di uno spettacolo tratto da “Il giorno della civetta” nasce da un grande amore per l’opera di Leonardo Sciascia, autore tra i più affascinanti e “scomodi” del Novecento. Dico scomodi perché ritengo ci sia una volontà di non voler comprendere, quando non addirittura di rimuovere alcune illuminanti personalità della nostra cultura recente, che con le loro intuizioni, con la carica erosiva delle loro idee, metterebbero in crisi oggi come ieri, più di ieri, meccanismi consolidati, gerarchie intoccabili, privilegi acquisiti e vissuti nella comune coscienza come diritti; insomma quel delicato equilibrio fra i poteri che si preferisce preservare nei recinti di un conformismo rassicurante, anche là dove voci apparentemente difformi servono invece per rafforzarli. Ci sono autori che invece fanno paura: sto pensando a Sciascia e a Pasolini, a quelle voci cioè che non è possibile “usare”, perché nelle loro pagine spesso non prive di ironia, talvolta feroce, emerge un atteggiamento irriverente, un continuo sospetto, a volte, non poche, una lucida, preoccupante veggenza. Perché Sciascia e Pasolini? Due scrittori così diversi, due mondi separati, la Sicilia, “letteraria e civile” di Sciascia, le borgate violente, colorate al “petrolio” di Pasolini. Forse perché due “eretici”, come l’Abate Vella e l’Avvocato Di Blasi, protagonisti d’un altro romanzo di Sciascia, “Il consiglio d’Egitto”, alla fine devono pur incontrarsi; e se si guardano negli occhi, non possono non riconoscersi, non riconoscere l’uno nell’altro, alla base delle loro passioni, delle loro solitudini, una comune diffidenza. In un’intervista pubblicata da Einaudi qualche anno fa, Sciascia stesso dà una risposta tanto esaustiva quanto criptica: “Ero d’accordo con Pasolini… anche quando aveva torto”. Ma torniamo al “Giorno della civetta”, alle pagine che ho letto e riletto per scoprirvi le cose che Leonardo Sciascia scriveva. Ciò che mi colpisce, aldilà della narrazione sempre avvincente, del complesso gioco di rapporti, nel contesto di una Sicilia dove il “non detto” diventa più importante di ciò che si dice, è una grande, superiore, talvolta impenetrabile intelligenza. Ho come l’impressione che Sciascia, attraverso un gusto per la scrittura di voltairiana memoria, si diverta a scoprire e poi nascondere senza essere mai volutamente esplicito, in un gioco di ombre e di luci che sembrano suggerire al lettore uno sforzo di intelligenza, continuamente suscitando dubbi, invitando a scavare nella memoria (passata e futura), collegare, rivedere, inserire in un quadro di rapporti che va al di là della forma e investe cose, persone, fatti, che sembrano scritti “domani”. Per questo ritengo che “Il giorno della civetta” debba essere messo in scena. Credo che ci sia bisogno di parlare di giustizia, ci sia bisogno di un’ostinata ricerca della verità, anche là dove questa verità inevitabilmente sfugge, ci sia bisogno di un capitano Bellodi, del suo volersi “rompere la testa” contro un muro che a quaranta anni di distanza è ancora solido e ben protetto. In una parola, citando il Maestro, ci sia bisogno di “idee”. Del resto, considero “Il giorno della civetta” un romanzo di inquietante attualità. Gli interrogativi che Sciascia poneva nel 1961 rimangono ancora aperti, le zone d’ombra non ancora chiarite. Ci sono, sotto ogni parola, dietro ogni frase, strati e strati che forse, non sempre sono riuscito a capire. “Cose e non parole” diceva Sciascia; ma quali cose, quali parole? Ho dovuto muovermi con cautela. I rapporti fra i personaggi, sotto un’apparente leggerezza, sono intricati e complessi e spesso si ha l’impressione che non si venga a capo di niente. Sciascia stesso negava la possibilità di un “giallo” siciliano. Il “giallo” presuppone che ci sia una verità da scoprire; in Sicilia la verità non esiste o viene sbeffeggiata, quando addirittura non coincide con la pazzia. E siamo a Pirandello, alle tante “verità”, ognuna valida quanto un’altra. Sciascia e Pirandello; il Pirandello riletto da Giovanni Macchia nella “Stanza della tortura”, dove il personaggio entra in scena e si mette volontariamente sotto accusa. Attraverso le parole, che non riesce a trattenere, si nega e si rivela, ora confessando, ora occultando, come se non avesse scelta: la stanza della tortura è l’unico posto dove può vivere. Il capitano e il maresciallo non escono mai dalla “stanza”, anche loro sequestrati. Arrivano gli altri personaggi: da soli, insieme, uno dopo l’altro litigano, si smentiscono, tutti hanno l’urgenza di dire, anche quando non dicono. Come personaggi usciti dal “Così è, se vi pare” di Pirandello, accettano di sottoporsi all’interrogatorio, quando addirittura non lo suscitano. L’ambientazione dovrebbe andare aldilà del realismo. A tratti surreale, brevissimi tratti, soprattutto nella parte superiore della scena, la zona “metafisica”, ma il più delle volte iperrealista, dentro la “stanza della tortura”, con oggetti e colori fuori dal tempo, ma essenziali, simbolici. Per dare quest’impressione, la scena tridimensionale, vera e la recitazione immediata dovrebbero essere inserite in un clima da pietra lavica, scuro, con poche forti macchie di colore. Perché così immagino la Sicilia. Sciascia : uomo della sua terra, uomo del nostro tem po di Gino Caudai Una delle più belle immagini di LS è quella che lo ritrae con i suoi nipoti nella campagna di Racalmuto. Lì è nato e lì, idealmente, è voluto rimanere, sempre. Perché lì ha attinto a quei valori che non lo hanno mai abbandonato ma che anzi si sono sempre più consolidati. Da quella terra ha capito che doveva muovere per dare il suo contributo di devozione per la giustizia, di equità e di rispetto per il cittadino, anche il più umile, valori che aveva maturato tra i banchi dei suoi bambini di scuola elementare e che non ha mai cessato di riproporre in ogni circostanza della sua vita di uomo e di scrittore. Valori che si possono riassumere in uno solo: fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te, che significa, in sostanza, non fare ai tuoi simili quello che non vorresti fosse fatto a te. Questo principio LS non ha mai dimenticato e non è stato mai oggetto di baratto con qualsiasi altra, per quanto allettante, lusinga. Né potere, né danari hanno mai potuto , neanche minimamente, scalfire questo baluardo ; e quando il potere ha cercato di risucchiarlo dentro il suo vortice LS si è immediatamente allontanato da esso così come quando, in varie circostanze, gli veniva fatto balenare il luccichio del danaro, rispondeva che la sua anima non era in vendita. Perché egli intendeva il potere e la cosa pubblica non come mezzi per interessi personalistici ma come servizio per il bene comune: e questo spirito di servizio per il bene comune LS, molto spesso, non lo ha riscontrato, nel Potere, come denuncia nei suoi scritti. Talmente convinto e solido nei suoi principi che , in una delle ultime lettere ai suoi familiari, dice di non affannarsi a difendere la sua memoria dai suoi detrattori poiché era convinto che chi avesse provato a criticarlo in modo strumentale si sarebbe visto ricadere su di sé le critiche che gli aveva mosso contro. Con questo suo comportamento ha lasciato, come i grandi del ‘900, la sua “traccia madreperlacea”. Il suo “piccolo testamento” che lo ha condotto verso quella che lo stesso LS definisce la sua piccola immortalità che lo vedeva paladino di un’umanità più giusta e per questo più armonica. Questo è lo spirito di questa produzione teatrale, questa vorrebbe essere la finalità dello spettacolo “Il giorno della civetta”. Non sarà vero che il Capitano Bellodi risulterà sconfitto, e con lui lo Stato; o meglio la sua sarà una sconfitta momentanea perché nell’animo di tutti gli spettatori sarà chiaro da quale parte è collocata la giustizia ed il bene e altrettanto chiaramente dove sia l’ingiustizia , la corruzione ed il male. Sarà, quella di Bellodi, un’altra battaglia perduta; altri Bellodi ne perderanno altre di battaglie ma LS ci ha dato la speranza che, alla fine, la guerra sarà vinta dalla parte giusta. Domenica 25 Luglio 2010 «Il giorno della civetta» nel segno della speranza Sergio Sciacca Taormina. Quando, sessanta anni fa, Leonardo Sciascia scriveva "Il giorno della civetta", la cui versione cinematografica immediatamente gli dette la notorietà internazionale, le nozioni correnti sul fenomeno mafioso erano imbevute di folklorismo, ingrediente quasi romantico di un Far West europeo da lasciare agli studiosi di cose locali. La stessa parola mafia veniva usata con molta circospezione, raramente in ambito politico. Poi fu tutta un'altra cosa. I libri di grande impegno civile del Maestro di Regalpetra crearono un indotto letterario di mafiologia che non si è più esaurito. Fabrizio Catalano Sciascia, il nipote del grande scrittore, fedele alle memorie domestiche del nonno, ne ha presentato venerdì il capolavoro, conservandone il titolo, che è sempre "Il giorno della civetta", ma modificandone radicalmente l'intendimento, proprio nel senso più profondamente sciasciano. La trama, si intende, è la medesima, che da accorto regista Fabrizio Catalano ha immerso in una atmosfera da torrido Deep South (alla Tennessee Williams per intenderci), con una bipartizione spaziale (scena di Antonia Petrocelli) che gli consente di intrecciare la storia e il suo commento. La prima parte scorre sulla notoria vicenda dell'omicidio Colasberna e delle indagini del capitano Bellodi. Ma la discoverta del vero Sciascia avviene nella seconda parte, dove la connessione tra delinquenti, uomini d'onore e onorevoli ministri viene scandita in modo esemplare, e dove (qui è il vero Sciascia senior accortamente focalizzato dallo iunior) la tragedia non si conclude con il fallimento della legge e del coraggio, ma con la promessa di una ripresa che coinvolge non solo il capitano di attente e raffinate letture, ma anche il maresciallo (interpretato da Roberto Negri) dalle incerte conoscenze letterarie ma dalla spiccata sensibilità pratica. E' la sua conversione alla speranza che colpisce e che costituisce la scena esemplare di questo lavoro. Il popolo dunque intende, senza bisogno delle logomachie retoriche dei fini pensatori. La conclusione è che il male si può superare smettendola di organizzare congressi e diffondendo fiction (teatrali o filmate) che additino le grandi risorse che il popolo possiede per debellare la mala pianta; da qui può partire il rinnovamento della società e della sua morale. Anzi è già partito considerato l'entusiasmo degli spettatori di TaoArte. Le interpretazioni di Sebastiano Somma (nel ruolo del capitano), di Orso Maria Guerrini (in quello del mafioso), di Morgana Forcella (la avvenente vedova) sono perfettamente calibrate sulle idee di regia, senza esagerare i toni e senza inutili sentimentalismi. E la stessa dose di efficace realismo si trova negli altri artisti della compagnia di cui la locandina della Fondazione Sciascia che, insieme all'ATDC, ha prodotto il lavoro, non ha voluto distinguere i ruoli forse per sottolineare la omogeneità dell'impegno senza i personalismi cari allo show business e che così registriamo anche qui: Gaetano Aronica, Alessio Caruso, Maurizio Nicolosi, Paolo Gattini e Luca Marianelli. 25/07/2010 IL GIORNO DELLA CIVETTA La recensione di Francesco Principato Questa civetta vola alto La commedia Il giorno della civetta approda al teatro Regina Margherita di Racalmuto, nella città natale di Leonardo Sciascia, l’autore del romanzo che decretò la nascita di un caso letterario internazionale e l’inizio dell’ascesa di un intellettuale a quel tempo scomodo ma da allora ad oggi, e sicuramente anche per il futuro, amato e rispettato, ancorché discusso. Grande attesa quindi e richieste al botteghino superiori ai posti disponibili. A rimediare ci ha pensato il produttore Gino Caudai che ha concesso una replica straordinaria, straordinaria anche perché l’incasso della rappresentazione fuori programma, in accordo con tutto il cast, è stato devoluto in beneficenza alla famiglie povere della città di Sciascia. Diciamo subito che la riduzione teatrale di Gaetano Aronica, diretta da Fabrizio Catalano, ha riscosso un successo senza precedenti (e per precedenti intendiamo anche i passati allestimenti). Gli applausi commossi tributati alla fine dello spettacolo hanno richiamato il cast sulla scena per svariati minuti e fra il pubblico c’era chi tentava di nascondere una lacrima. Perché dalla platea si è compreso il rovello logico dell’impostazione illuministica del capitano Bellodi che come 'quel cretino del professor Laurana' cerca la verità ma soprattutto cerca di comprendere. Di comprendere la Sicilia e i siciliani ma soprattutto cerca di capire i sentimenti delle persone: la tragedia nei termini di Parrineddu, per il suo essere al contempo siciliano e confidente dei carabinieri, che per poter effettuare la sua spiata ha bisogno delle minacce dei militi, della violenza costrittiva e infine il sopraggiungere della sentenza di morte; lo strazio della vedovanza di Rosa Nicolosi e del suo scendere a patti con i carnefici del marito; la filosofia fatalista del’assassino Zicchinetta con la quale costui si autoassolve da ogni nefandezza; la probità del maresciallo Di Natale, dalla camminata forzatamente marziale, che non rinuncia e non può rinunciare ad essere carabiniere e persona, persecutore e coabitante dei perseguiti, duro ma con la speranza di poter essere qualche volta remissivo. Il capitano cerca di comprendere anche il piccolo mafioso Pizzuco e il mammasantissima don Masino, perfino l’onorevole Livigni, politico senza scrupoli. L’incalzante progressione degli accadimenti scenici, la recitazione ispirata e sicura degli attori ha creato un pathos palpabile fra un pubblico sempre attento. Merito della regia, merito di un cast che oltre ad annoverare un Sebastiano Somma ispirato fino al coinvolgimento nel ruolo del capitano Bellodi, di un Orso Maria Guerrini molto verosimile e autoritario nel ruolo del mafioso pezzo da novanta, di un Gaetano Aronica veramente tagliente nel ruolo dell’equivoco politico, comprende una Morgana Forcella commovente nel ruolo di Rosa Nicolosi, la straordinaria interpretazione di Parrineddu da parte di Maurizio Nicolosi e i bravissimi Roberto Negri e Massimo Cimaglia, oltre che del regista stesso Fabrizio Catalano, in scena nel doppio ruolo dell’autista del pullman e dell’alto ufficiale dei carabinieri. Insomma, un cast che si è rivelato una catena solidissima e priva di anelli deboli. Il lavoro di adattamento scenico fatto da Gaetano Aronica è stato molto apprezzabile. L’autore-attore agrigentino ha smontato il romanzo pezzo per pezzo e l’ha rimontato in una processione nella caserma dei carabinieri, vero e proprio confessionale delle grettezza siculo-mafiosa. E’ qui che incontriamo esecutori e mandanti dell’assassinio di Colasberna, imprenditore onesto e per questo insopportabile, insopportabile per tutta la società che lo circonda. Il testo teatrale mantiene il ritmo e le aspettative del giallo atipico, come è sempre negli scritti del caro maestro di Racalmuto. Con dialoghi serrati e l’incalzante susseguirsi delle scene, Aronica riesce a rimanere fedele alla penna di Leonardo Sciascia ‘tradendo’ lo scrittore solo per il seme di speranza che questo adattamento teatrale ci regala: il maestro di Regalpetra era convinto (o forse l’ha semplicemente enunciato) che per i siciliani non esistesse convinzione che le idee potessero cambiare la società, ligi al proverbio siculo ‘munnu ha stato e munnu è’. Aronica lancia un segnale di speranza: che qualcosa possa cambiare. E sicuramente la sua fiducia nasce dal fatto che qualcosa concretamente sta cambiando, dopo quaranta anni. Il dramma si chiude con una registrazione originale di Leonardo Sciascia che ci ammonisce dell’italianizzazione della Sicilia e della mafia, della globalizzazione del fenomeno e soprattutto della mancanza di idee, definendo la Sicilia come metafora del mondo. E purtroppo… anche in questo Sciascia è stato vate. Stasera la civetta ha volato alto sopra ogni miseria umana e non solo quella mafiosa. Visto il 17/12/2010 a Racalmuto (AG) Teatro: Regina Margherita Voto: La Sicilia misteriosa, vendicativa, bellissima, di L. Sciascia in palcoscenico a Tagliacozzo Dopo l’anteprima nazionale avvenuta lo scorso 23 luglio in Sicilia, a Taormina, la sera del 9 agosto al 26° Festival Internazionale di Mezza Estate di Tagliacozzo, in provincia de L’Aquila, è approdato lo spettacolo di Leonardo Sciascia, Il Giorno della Civetta, nella versione teatrale di Gaetano Aronica, qui anche interprete, per la regia di Fabrizio Catalano. L’allestimento, prodotto da ATDC di Gino Caudai, Fondazione Sciascia e Teatro di Racalmuto vede come protagonisti Orso Maria Guerrini, nel ruolo di “Don Mariano” e Sebastiano Somma nei panni del Capitano Bellodi. Il Giorno della Civetta ci trasporta in un paese di poche migliaia di abitanti nell’entroterra siciliano, in un freddo mattino d’inverno, mentre un pallido sole si riflette sull’asfalto bagnato della piazza. All’improvviso un colpo di pistola, un omicidio. Sciascia racconta la storia dell’inchiesta condotta, a partire da questo delitto maturato all’improvviso come un fulmine a ciel sereno, da un capitano dei carabinieri, Bellodi, appena arrivato dalla Sicilia dalla nordica Parma. Sciascia ha scritto questo romanzo negli anni Sessanta, esattamente nel 1961, ma qui, nella versione teatrale, l’azione si trasfigura e la Sicilia dei misteri diventa anche una terra dell’anima. Il testo da cui è tratta l’opera è il primo romanzo del grande scrittore Sciascia, che si è battuto fino all’ultimo perché la sua amatissima terra potesse riscattarsi da quello che appare come un destino scontato, da cui non se ne può venire fuori, che in realtà si chiama mafia. Oltre al capitano Bellodi, che incarna la speranza nelle nuove generazioni, l’altra figura positiva è incarnata dall’unica donna presente nella storia, la signora Nicolosi, qui interpretata da Morgana Forcella, la sposa che si reca coraggiosamente dai carabinieri a denunciare la scomparsa del marito e per questo è ricattata. Il resto è splendido e ben più coraggioso di quanto possa sembrare: nessuna parola è superflua, il grido di dolore è percepibile: solo credendo nella possibilità di riscatto, uscendo dal fatalismo che uccide la speranza, potrà esserci un futuro diverso. L’onestà e la bellezza del lavoro assumono un valore altissimo di testimonianza, di sprone al cambiamento e di fiducia nel nuovo. La riduzione teatrale di Gaetano Aronica, che ha adattato il testo teatrale dal romanzo, è improntata al giallo nel giallo e scava il sentire dell’autore, la cui presenza è viva nel finale, attraverso un brano inciso su nastro. La chiave di lettura è molto più complessa di quanto possa apparire: il vissuto dei personaggi in un modo di concepire la Sicilia che spesso non riesce ad uscire dagli stessi schemi che la soffocano; il bisogno di sperare nel futuro per sé e per i propri figli; l’enorme divario che separa il coraggio dalla paura; la sensazione di non poter uscire da scelte obbligate. Ogni risvolto ne nasconde subito un altro ed è complicato per chi vive in contesti diversi comprendere fino in fondo il dramma insito in questa realtà. Molto bravi tutti gli attori, a cominciare dai due protagonisti, Orso Maria Guerrini e Sebastiano Somma, una volta tanto non legato a quei personaggi a cui eravamo stati abituati a vederlo in varie fiction televisive. E poi lo stesso Gaetano Aronica, Morgana Forcella, l’unica donna presente in un cast tutto al maschile, Roberto Negri, Alessio Caruso, Maurizio Nicolosi, Paolo Gattini e Luca Marianelli. La messa in scena è dignitosa, rigorosa, elegante, innovativa; la recitazione su due piani è prodigiosa. La regia di Fabrizio Catalano è riuscita, visto che ha saputo ben guidare tutti gli attori. Giancarlo Leone Fiumi d'applausi per "Il giorno della civetta" Grande successo per lo spettacolo portato in scena da Sebastiano Somma e Orso Maria Guerrini 22/01/2011 Grande successo per lo spettacolo tratto dal celebre romanzo di Leonardo Sciascia, “Il giorno della civetta”, in replica al Rossini mercoledì 19 e giovedì 20 gennaio. La compagnia, diretta dal nipote dello scrittore, Fabrizio Catalano Sciascia, si compone di un cast di professionisti, tra i quali spiccano i nomi di Sebastiano Somma, nei panni del virtuoso capitano Bellodi, e Orso Maria Guerrini, uno spietato Don Mariano. La storia ha inizio con l’omicidio di Salvatore Colasberna e l’inchiesta condotta da Bellodi, brillante carabiniere venuto dal nord: onesto, diligente, colto, pronto ad affrontare qualsiasi difficoltà pur di scoprire la verità, può contare solo sull’aiuto del coraggioso maresciallo Di Natale. Una verità che spesso, come afferma Don Mariano, in Sicilia è nel fondo del pozzo e chi la trova non vede più né il sole né la luna. La realtà dell’isola appare assurda, incomprensibile, ostile a Bellodi, ma proprio per questo misteriosa e affascinante, tanto da attrarlo inesorabilmente e fargli esprimere la volontà di tornare anche dopo il trasferimento, unico risultato conseguito al termine della faccenda. La Sicilia, terra in cui stato, politica e mafia sembrano essere la stessa cosa, è metafora dell’Italia – diversi i rimandi all’attuale situazione politica – ma anche dell’ingiustizia universale. “Che cos’è normale? Che cos’è la verità? Che cos’è il potere?” chiede l’onorevole, abile maestro della parola, al capitano. Questioni che, a quanto pare, non trovano risposta: tutto è relativo, la verità non esiste, o meglio, è conosciuta da tutti, ma chi prova ad annunciarla è da considerarsi un folle. Dialoghi e atmosfere essenziali, voci rauche, pregne di saperi nascosti e inconfessabili, si alternano in una scenografia a tre dimensioni: una spoglia caserma di carabinieri in primo piano, sullo sfondo una stanza separata da un telo trasparente, dove si susseguono ombre, interrogatori e sparatorie, e una sorta di passaggio sovrastante dove i principali malfattori spiegano le loro cupe logiche. Alla fine le vere parole di Sciascia, come sorrette dalle sagome nere degli attori, sentenziano: “Il più grande peccato della Sicilia è stato ed è sempre quello di non credere nelle idee. È questo che ha impedito alla Sicilia di andare avanti, il credere che il mondo non potrà mai essere diverso da come è stato. Ora, siccome questa sfiducia nelle idee, anzi questa mancanza di idee si proietta su tutto il mondo, in questo senso, per me, ne è la metafora”. Foto Mario Di Giuseppe esso al Verdi di Sassari per ll giorno della civetta http://www.cultnews.it/successo_al_verdi_di_sassari_per_ll_g... cultnews Successo al Verdi di Sassari per ll giorno della civetta La Sicilia di Sciascia metafora del mondo di oggi Cerca nel sito "La speranza è la cosa più difficile, capitano Bellodi”. Il rassegnato congedo della giovane vedova che saluta l'onesto carabiniere, promosso ad altri incarichi, lontano da dove era giusto che rimanesse, è l’iconografia del pensiero di Sciascia sulla sua Sicilia. Un luogo metafisico, il cui orizzonte è perennemente vuoto, privo di alcuna idea o speranza di benessere. Nell’allestimento teatrale di Gaetano Aronica, Il giorno della civetta, andato in scena al teatro Verdi nel doppio appuntamento del 21 e 22 febbraio scorsi per la rassegna invernale di prosa, rende uno spettacolo alto e colto. La regia di Fabrizio Catalano (nipote del giornalista scrittore di Racalmuto) allarga la prospettiva dall'ambientazione originaria, presentando la Sicilia come metafora del mondo globalizzato, dove mafia e sopraffazione sono i cardini di un sistema irrinunciabile. La lunga scia di sangue inaugura la vicenda con l'omicidio di Salvatore Colasberna, unico impresario onesto del territorio, reo di costruire con il cemento anziché le miscele di sabbia e sterco. L'evento tragico produce una serie di ulteriori assassinii. Le indagini e i protagonisti si alternano nella locale caserma dei carabinier in un campionario completo di figure umane, tragicamente immutabili rispetto agli originari geni autoctoni. Rosa (bravissima Morgana Forcella), e giovane moglie del primo ucciso, sarà al pari di Bellodi (Sebastiano Somma) la vittima sacrificale, pronta a coprire calunnie e soprusi. Per lasciare impuniti i più alti e intoccabili livelli del malaffare. Dal potente politico di turno, l'onorevole Livigni (lo sceneggiatore Gaetano Aronica) al capo mandamento locale Mariano Arena (il grande Orso Maria Guerrini). Sino ai manovali del crimine Parrineddo e Zicchinetta, con l'originalissimo maresciallo dell'arma, Pasquale Di Natale interpretati superbamente da Maurizio Nicolosi, Roberto Negri e Massimo Cimaglia. Lo spettacolo si chiude con le parole di Sciascia che non suonano come un invito alla speranza per un rapido riscatto morale della società e della politica attuali. Un cast di nove attori legati da grande coesione e spirito comune anche fuori la ribalta. E' proprio calda e mediterranea l'accoglienza che chi scrive riceve nel foyer del Verdi dal gruppo di attori. Gaetano Aronica si sofferma nei risvolti del lungo tour nazionale, che vedrà impegnata la compagnia Laros, di Gino Caudai, sino a tutto il 2013. Maurizio Nicolosi ricorda con soddisfazione le belle trasferte in casa: la scorsa estate il pienone di Taormina. Sebastiano Somma racconta dei suoi prossimi impegni che lo riporteranno ancora sul piccolo schermo. Non è improbabile una nuova serie della fortunata fiction Un caso di coscienza, il “legal-drama” italiano dell'amatissimo avvocato Rocco Tasca. E' già pronto per una distribuzione cinematografica Il mercante di stoffe. In questa pura storia d'amore ambientata in Marocco, Somma avvicina con la forza dei sentimenti, le distanti culture di Islam e Occidente. Il film che approderà anche sui canali Rai è diretto dal giovane Antonio Baiocco, alla sua terza regia. L'attore napoletano esprime infine un parere sull'operato di alcuni suoi noti colleghi nel Parlamento italiano: “Come tutti i lavori - afferma Somma - anche il nostro deve essere fatto bene e valorizzato nelle sedi opportune. In questo momento in Italia c'è necessità di salvaguardare la Cultura. Non significa chiedere soldi per tutte le produzioni e continuare negli sprechi del passato. E' importante invece favorire la formazione dei giovani e dare un impulso allo sviluppo economico del settore. Se il prossimo aumento del biglietto al cinema (un euro in più deciso nel milleproroghe, ndr) andasse nella direzione di favorire indotti e rientri, allora potrebbe essere ben accetto.” Luigi Coppola sopra nelle foto diLuigi Coppola, alcuni momenti della pièce "Il giorno della civetta" andata in scena lo scorso 22 febbraio al Teatro Verdi di Sassari Apri le previsioni meteo per la tua località 24/02/11 17.15 Bordighera.net ‐ Il Portale di Bordighera Eccellente successo per "Il giorno della Civetta" con grandi interpretazioni Una eccellente rappresentazione teatrale con un cast di validissimi professionisti e due grandi figure del panorama teatrale italiano che hanno confermato appieno tutta la loro popolarità, derivante da una splendida bravura. E' il risultato della rappresentazione di ieri sera, sabato 5 febbraio, al Teatro del Palazzo del Parco con "Il giorno della Civetta", dal romanzo di Leonardo Sciascia, con protagonisti Sebastiano Somma e Orso Maria Guerrini. Ennesimo successo stagionale, con il pieno di pubblico, della stagione teatrale organizzata dall'Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Bordighera e la direzione artistica di Europa Spettacoli di Franco Di Cagno, che ha fatto centro anche in questa occasione. Un plauso al regista Fabrizio Catalano e a Gaetano Aronica (che ha interpretato l'onorevole) per l’adattamento teatrale. Come detto grandissime interpretazioni di Sebastiano Somma nella parte del Capitano Bellodi e di Orso Maria Guerrini nella parte di Don Mariano, ma bravissimi tutti, con una menzione particolare per Morgana Forcella, nella difficile parte di Rosa. Al termine dello spettacolo disppnibilità e gentilezza per fotografie e autografi da parte di tutti i protagonisti. Prossimo appuntamento per sabato 12 febbraio 2011, sempre al Teatro del Palazzo del Parco, alle ore 21,15 con "La Bisbetica domata" di William Shakespeare con Vanessa Gravina ed Edoardo Siravo e la regia di Armando Pugliese. Pier Rossi 6 febbraio 2011 Bimestrale di informazione cittadina a cura dell’Associazione "la Piazza" Prosa vincente al Rossini “Il giorno della civetta”, non solo eccellente prosa per restituire al teatro Rossini dignità e rispetto, ma anche metafora di una realtà, quella della Sicilia degli anni ʼ60, che Sciascia descrive con amarezza e profonda ironia, ostaggio di unʼinesplicabile distorsione temporale che la rende quanto mai attuale e “universale”. Ritrovarsi in teatro così come nella vita, “spettatori” di drammi, ingiustizie, prepotenze, di ricerca di consenso a tutti i costi, anche attraverso false persecuzioni, scoprire che ben poco cambia se non si ha il coraggio di “credere nelle idee”, nel cambiamento, disegna una ragnatela di frastagliate incrinature sullo schermo delle fragili certezze dietro cui, spesso inconsapevolmente, ci si barrica per difendersi da realtà inaccettabili. Attraverso le efferatezze che graffiano e scheggiano la coscienza, si insinua la disarmante consapevolezza di essere anche “attori” e talvolta “protagonisti” di tanto esecrabili realtà, nel momento in cui si delega ad un passivo, sgomento silenzio, la regia del contesto sociale e politico in cui si vive, soffocando ogni rigurgito di sana indignazione. La scenografia essenziale è articolata su tre diversi spazi. Il primo è quello vissuto dal capitano Bellodi, partigiano emiliano innamorato della Sicilia, dei suoi colori, dei suoi profumi, della sua gente di cui vorrebbe riscattare lo status di omertosa sudditanza, interpretato dallʼottimo Sebastiano Somma, perfetto nei ruoli in cui si esalta la legalità. Uno spazio minimale condiviso con il maresciallo Di Natale Pasquale, ovvero Roberto Negri, pugliese d.o.c. perfettamente a suo agio nella parte dellʼintendente dotato di “cuore”, travolgente simpatia e convincente “siciliano”. Intenerisce il suo comprensivo ascolto, il silente conforto offerto al suo superiore, il suo sincero dispiacere nel vederlo tornare a Parma. Il secondo spazio è un gioco dʼombre cinesi, un “fuori campo” molto suggestivo ed animato, esterno ma mai marginale. Il terzo spazio, una balconata in ferro, vede Rosetta Nicolosi (Morgana Forcella) regina incontrastata della scena. Intensa, vera, appassionata, coraggiosa… ha perso suo marito ma non la dignità e la speranza. In lei Bellodi ritrova il calore della Sicilia onesta, di chi non scende a compromessi, qualcuno in cui credere e per cui lottare. Molto bravo Parrinieddu, (Maurizio Nicolosi), nella postura e nellʼespressione il travaglio di chi è sconfitto dal destino e sa di rischiar la vita. In un ultimo, estremo, inatteso atto di coraggio, scrive su un tovagliolino il nome dei mandanti ed incrimina don Mariano Arena, lʼeccezionale Orso Maria Guerrini. In poche, essenziali battute il senso dellʼintera storia, la filosofia di vita di una scelta sbagliata, difesa strenuamente, costi quel che costi, il rispetto dovuto al nemico. “Anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo”, confesserà Don Mariano a Bellodi con voce roca, dopo aver schernito “ominicchi, piglianiculo e quaquaraquà”. “Il mio personaggio - dichiara Guerrini - è un manovratore, collega i politici ai suoi interessi, controlla il territorio, pensa solo ed esclusivamente a sé. Questo spettacolo emoziona e fa riflettere tanto da esser compreso e decodificato anche da un pubblico trasversale.” Vibrante Pizzuco (Alessio Caruso), nel suo continuo lisciarsi i capelli, nel protendersi virilmente con le mani in tasca, essenza della sicilianità. Iracondo ed impulsivo Zicchinetta (Massimo Cimaglia), protagonista del tafferuglio conclusosi a pistolettate che ha gettato nel panico il povero maresciallo. Emblematico Gaetano Aronica cui si deve lʼadattamento teatrale della rappresentazione - prodotta dalla compagnia Laros e sostenuta dal Teatro Pubblico Pugliese - nelle vesti di un luciferino politico, un onorevole spesso in ombra, pronto a rimuovere dalla scacchiera personaggi scomodi. Nessuno scrupolo, tutto è sacrificabile pur di non perdere il potere. Lui e Fabrizio Catalano Sciascia, regista ed “autista” omertoso di autobus, sono gli unici due veri siciliani in scena. Fabrizio non ha incertezze nel definire “profetici” gli scritti del celebre nonno. “I tutori della giustizia rappresentano le forze sane della società, perennemente bloccate da chi vuol sentirsi al di sopra di tutti – afferma con convinzione - e questo accadeva ieri ed accade oggi.” Dietro le quinte Cartisia Josephine Somma, piccolo raggio di sole armato di colori e pennarelli, gioca, disegna, rincorre papà Sebastiano e mamma Morgana, mostra con orgoglio le sue opere e attende con impazienza che i suoi genitori, firmati gli autografi e scattate le ultime foto, tornino a dedicarle la dovuta attenzione. Dalila Bellacicco Il regista Fabrizio Catalano Sciascia racconta 22 02 2011 "Il giorno della civetta” scritto da Leonardo Sciascia nel 1961 è un giallo insolito, profondamente laico e anticipatore; ha parlato di mafia, quando nessuno lo aveva mai fatto, a viso scoperto ed attirando su di se lo scetticismo e le ire di molti. Dall’uscita del romanzo ad oggi, in Sicilia, sono morti moltissimi uomini i quali hanno percorso la strada più impraticabile, dimostrando il loro rispetto per le istituzioni. “Povera la patria che costringe i suoi figli a farsi eroi per difendere la legalità”: le parole di Sciascia risuonano impietose verso la sua Sicilia che diviene Italia e mondo intero mentre la sua voce ci intima, da una vecchia registrazione diffusa dal palco, che avere sfiducia nelle idee equivale a credere che l’uomo non potrà mai cambiare. “Il giorno della civetta” è uno spettacolo di inquietante attualità poiché gli interrogativi che Sciascia si poneva rimangono ancora aperti e numerose zone d’ombra non ancora chiarite. Il palcoscenico diviene teatro di forte contrapposizione tra chi vede la mafia e chi la nega, contrapposizione di «uomini e non», anzi, per dirla con le parole di Don Mariano Arena, capo-mafia e mandante dell’omicidio intorno al quale si snoda tutta la vicenda - interpretato da Orso Maria Guerrini- di «uomini e mezz'uomini, di ominicchi, piglianculo e quaquaraquà». Forte è anche la contrapposizione tra Sud e Nord, dal quale proviene il Capitano Bellodi, che ha le fattezze di Sebastiano Somma. Portato in scena al Teatro Centrale di Carbonia il 20 e 21 febbraio dalla LAROS di Gino Caudai, lo spettacolo ha sapore quasi amaro, quanto il romanzo dal quale è stato tratto. Abbiamo raggiunto in teatro per una chiacchierata il regista ed interprete Fabrizio Catalano, nipote di Leonardo Sciascia. C.C: “La Sicilia di Sciascia è una metonimia - in retorica, la parte per il tutto – di una nazione segnata, oggi più che mai, da vizi capitali. I meccanismi di ieri e di oggi possono fare a meno di attualizzazioni? F.C: Credo che la mafia non sia più quella di cinquant’anni fa, rurale e legata prettamente alla gestione del territorio, ma, come disse mio nonno in un’intervista nei primi anni ’70, la Sicilia può essere considerata metafora del mondo in quanto la sfiducia nelle idee, che da sempre caratterizzava la Sicilia, caratterizza sempre più tutto il mondo. Il modo di pensare che guida i comportamenti dei mafiosi de “Il giorno della civetta” è, non solo, lo stesso che guida i comportamenti dei mafiosi di oggi, ma quello che guida le azioni di molti uomini ai vertici, di capi di stato; se i servizi segreti francesi organizzano una guerra civile in Costa d’Avorio perché la Costa d’Avorio non gli garantisce più il monopolio del cacao, è il medesimo comportamento del mafioso che impone il ‘pizzo’ al commerciante di Palermo. Ormai la palma sta salendo verso l’alto, lo diciamo anche nello spettacolo, e la mafia (come la ‘ndrangheta) è ben radicata anche al Nord, va a braccetto con la Lega. C.C: Come vi siete rapportati al testo, tratto dal romanzo che suo nonno scrisse nel 1961? F.C: Quasi nessuno in compagnia (composta da nove uomini ed una donna) è siciliano, ma durante lo spettacolo si ha la percezione che tutti siano siciliani, perché abbiamo cercato di non snaturare la lingua di Sciascia, anche nei suoi particolari costrutti della frase, pur evitando di forzare l’accento e di stereotipare le caratterizzazioni. C.C: Oltre che nella rappresentazione dei personaggi e nei costumi, la fedeltà al romanzo è percepibile nel testo e nell’atmosfera tesa e misteriosa ricreata da una scenografia essenziale e con luci basse (l’azione si svolge sempre all’interno o al buio, di notte: niente accade alla luce del sole). F.C: I costumi sono una ricostruzione storica, la scena si svolge contemporaneamente all’interno della caserma dei carabinieri di un paesino e i vicoli dello stesso: l’atmosfera è tipica del ‘giallo’. Il vantaggio che in qualche modo il teatro ti dà rispetto al cinema è che a teatro tu non hai bisogno della pedissequa ricostruzione storica e tutto può diventare metafora di qualcos’altro. C.C: “Il giorno della civetta” è stato per l’epoca in cui è stato scritto una rivoluzione perché, mai, nessuno aveva scritto un libro indirizzato alle grandi masse che trattasse il problema della mafia. Com’è stato accolto lo spettacolo dal pubblico dei teatri italiani? F.C: Abbiamo riproposto lo spettacolo in più di cinquanta date ed il riscontro è stato decisamente positivo. Il pubblico di Carbonia è stato molto caloroso, la prima sera non volevamo chiudere il sipario: forse l’Italia e gli Italiani, almeno in parte, sono un po’meno peggio di come noi ce li immaginiamo. Gli italiani dovrebbero aprire gli occhi ed uno spettacolo teatrale come questo, anche se è una goccia nel mare, può dare il suo contributo. Quotidianamente si parla, nella migliore delle ipotesi, delle signorine che frequentano la villa di Arcore, ma intorno a noi – nei paesi arabi- in questo momento, stanno succedendo delle cose che stanno cambiando la storia dell’umanità: noi ne sentiamo parlare di corsa nei telegiornali. Oggi, per esempio, sfogliando, in albergo, L’Unione Sarda, gli articoli inerenti il caso Libia si trovavano a pagina 20. Ci sono popolazioni che hanno trovato il coraggio di ribellarsi e sono vicinissime a noi: l’Algeria è molto più vicina a Carbonia di quanto non lo sia Trieste, Tunisi è molto più vicina a Palermo di quanto non lo sia Roma, la Puglia è più vicina all’Albania di quanto non lo sia Torino. La rivoluzione è alle porte di casa nostra, ma sembra una cosa astratta. Senza dimenticare che in Tunisia il colpo di stato era stato supportato dai servizi segreti italiani ai tempi di Craxi; in Italia c’è bisogno di qualcuno che dica la verità. Certe rivoluzioni non potranno mai aver luogo, perche l’ Italia è un paese vecchio e di vecchi. Conosco bene la realtà della Tunisia, un paese giovane, per vent’anni la gente è andata a scuola, costruendosi una coscienza civile: era quasi inevitabile arrivare a questo punto. C.C: La cultura da sempre fa paura a certi governi che, nel nostro caso, tagliano i fondi alla ricerca e non solo. Nello specifico, vogliamo parlare dei tagli al FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo)? F.C: E’ esattamente ciò che succede in Italia: l’ignoranza fa meno paura. Per quanto riguarda i tagli al FUS, invece, il discorso è molto articolato e bisogna fare delle distinzioni. Bisognerebbe appurare chi merita i fondi e distribuirli onestamente. Ma siccome l’Italia è un paese economicamente sviluppato secondo dinamiche sociali tipiche dei paesi del terzo mondo, credo che ciò non avverrà a breve. Io dico sempre che il teatro italiano è dominato dai teatri stabili, molti dei quali portano in scena spettacoli di bassa qualità e li vendono fra di loro, gonfiando le fatture ed impedendo ad altri di lavorare. Sarebbe giusto controllare la produzione durante la lavorazione e appurare che i soldi vengano usati in maniera corretta. C.C: Com’è avvenuta la scelta del cast? Suo nonno nel testo ha disseminato precise indicazioni: per esempio il Commissario Bellodi veniva descritto chiaro ed alto … F.C: Grande plauso va al produttore di questo spettacolo, che mi ha dato molta libertà nella scelta del cast; c’erano degli attori che io avevo già in mente, per gli altri abbiamo fatto dei provini. Soprattutto, giorni e giorni di provini, per l’unica figura femminile, che desideravo non possedesse esclusivamente un bel corpo o un nome di richiamo, come tante che mi sono state proposte. In scena abbiamo ottimi attori, le persone giuste al posto giusto: è uno spettacolo pieno di energia. C.C: Ritengo che fosse doveroso mettere in scena “Il giorno della civetta” , che ci sia bisogno di parlare di giustizia, di ricercare ostinatamente la verità, anche là dove questa, inevitabilmente, sfugge. Pirandello, Shakespeare sono indubbiamente grandissimi capolavori, ma per dieci, quindici anni non si dovrebbero più mettere in scena; sono cambiate tante cose, non solo trenta o quarant’anni fa, ma nell’ultimo decennio: -per esempio- il rapporto fra uomo e donna è stato completamente rivoluzionato. Cosa racconti? Come fai ad ignorare i cambiamenti? Quest’anno sono stato per Capodanno a Parigi, e mi è capitato di assistere allo spettacolo di una compagnia indonesiana; a Roma, nello stesso giorno, andava in scena “Le Allegre comari di Windsor”, con Leo Gullotta. Senza niente togliere a nessuno, mah... Fino a trent’anni fa o poco più, in questo paese, c’era Sciascia, Calvino, Moravia, Pasolini, a teatro c’era Carmelo Bene, c’era Gassman, al cinema c’era Fellini, Visconti, Leone; in Nazionale c’era Schillaci e Baggio … oggi dove la tocchi la tocchi, l’Italia non suona più. Mi ha incoraggiato un po’ la vittoria di Vecchioni a Sanremo, l’ho interpretata come un segnale positivo inviato dal pubblico votante, o forse mi sto illudendo, perché, mentre sta cadendo, uno si aggrappa ad ogni pietra che trova. Cinzia Crobu