Il giorno della civetta

Transcript

Il giorno della civetta
LAROS
DI GINO CAUDAI
PRESENTA
SEBASTIANO SOMMA
IN
di
LEONARDO SCIASCIA
adattamento di
GAETANO AROnICA
con
GAETANO ARONICA
MORGANA FORCELLA
ROBERTO NEGRI
ALESSIO CARUSO
MAURIZIO NICOLOSI
MASSIMO CIMAGLIA
FABRIZIO CATALANO
LUCA MARIANELLI
con la partecipazione di
ORSO MARIA GUERRINI
regia di
FABRIZIO CATALANO
Antonia Petrocelli e Gilda CERULLO
Luca marianelli
Luci UGO GOVERNALI fonica ROBERTO MICCINILLI
Foto di scena Giuseppe sole
Amministrazione Adriana Merigioli e Angelo Pesce
Antonia Petrocelli
GIOVANNI D’AQUILA
SARTA ALESSANDRA MATERA
macchinista francesco manzari
Uff. stampa carola Assumma
Scene
Costumi
DIRETTORE DI SCENA
CONSULENZA MUSICALE
Il giorno della civetta – intenzioni di regia
di Fabrizio Catalano
Un paese di poche migliaia di abitanti, nell’entroterra siciliano. Un freddo mattino
d’inverno. La luce d’un pallido sole riflessa sull’asfalto bagnato. Una piazza. Un
autobus – il motore già acceso – che s’appresta a partire. Gli ultimi passeggeri
s’affrettano a salire, mentre gli altri aspettano fiduciosi la partenza dell’autobus,
dietro i finestrini appannati. Un uomo, vestito di scuro, s’avvicina, di corsa. Posa il
piede sinistro sul predellino dell’autobus, sta per rivolgersi all’autista.
All’improvviso, un bagliore, seguito da un rumore sordo: l’uomo rimane quasi
sospeso, per qualche istante, prima di afflosciarsi sull’asfalto. Morto.
“Il giorno della civetta” racconta la storia dell’inchiesta condotta, a partire da questo
omicidio, da un capitano dei carabinieri appena arrivato in Sicilia, dalla lontana
Parma, all’inizio degli anni ’60. Il capitano Bellodi è un uomo onesto ed intelligente,
pronto ad affrontare qualunque difficoltà, pur di far bene il proprio dovere. Davanti
a lui, c’è adesso un cammino lungo, faticoso, irto di ostacoli. In fondo a questo
percorso, c’è la verità; ma la verità, spesso, in Sicilia, ha troppe facce.
La Sicilia di questo spettacolo è poco convenzionale. L’azione si svolge
principalmente in una piccola caserma dei carabinieri, in una cittadina
dell’entroterra. Umido, freddo, freddissimo, durante l’inverno. Negli anni ’60, la
sera, le famiglie si riuniscono attorno al braciere, in cerca d’un po’ di calore, prima
d’andare a letto, dove, avvolti in lenzuola e coperte bagnaticce, uomini, donne,
bambini, si addormenteranno ascoltando l’ululato dei cani randagi, per essere infine
svegliati dallo stridio delle ruote d’un carretto, sulle strade lastricate di porfido.
Un’isola silenziosa, dura, che a Bellodi sembra incomprensibile, a tratti ostile. È la
Sicilia dei grandi spazi, dove gli uomini e le menti si perdono. Paesaggi immoti,
rischiarati da una luce senz’aria, incorniciati dentro una finestra priva d’infissi od un
muro scrostato. Atmosfere che fanno della Sicilia un luogo metafisico, un avamposto
in cui l’Europa, l’Africa e l’Oriente s’incontrano, ma il cui orizzonte è perennemente
vuoto. Nella riduzione teatrale de “Il giorno della civetta” che intendiamo mettere in
scena, l’azione si svolge in una Sicilia trasfigurata, territorio dell’anima prima ancora
che elemento geografico.
“Il più grande peccato della Sicilia è stato ed è sempre quello di non credere nelle
idee. Ora, siccome questa sfiducia nelle idee, anzi, questa mancanza di idee, si
proietta su tutto il mondo, la Sicilia ne è diventata la metafora”. Ne “Il giorno della
civetta”, Salvatore Colasberna, unico impresario onesto della provincia, viene
minacciato, ricattato ed infine ucciso, perché non ha voluto piegarsi ai voleri della
mafia, perché s’è rifiutato d’uniformarsi ai comportamenti dei suoi rivali, perché
costruiva le case con il cemento piuttosto che con sabbia e sterco. Chi comanda non
può permettere che non si rispettino le regole, anche se queste nascono dal sopruso e
dall’ingiustizia. Oggi, guardandoci intorno, leggendo i giornali, viaggiando,
possiamo, in tutta sincerità, dire che soltanto in Sicilia i soprusi e le ingiustizie
vengono imposti con la violenza? Ed in Italia, in Europa, nel mondo, non vige forse
la legge del più forte? Chi tocca gli interessi dei potenti, che quasi mai coincidono
con quelli del comune cittadino, muore. Chi ha il potere, ne abusa. In pochi
protestano, in pochi si oppongono. Per queste ragioni, in questo spettacolo, dovremo
curarci di rifuggire ogni rassicurante stereotipo: è comodo avere dei cattivi con un accento pronunciato, con la voce roca ed un sigaro cubano tra i denti, ma i mafiosi
che ne “Il giorno della civetta” violentano la giustizia non potrebbero essere faccendieri, rappresentanti del clero, industriali, ministri e perfino presidenti dei
giorni nostri?
Superfluo precisare che Bellodi, alla fine, perderà la sua battaglia. Dopo essere
arrivato ad arrestare tutti i veri colpevoli, su, fino al vertice della piramide mafiosa,
fino a don Mariano, anello di congiunzione con il principale partito di governo, il capitano sarà premiato con una licenza ed una promozione, e trasferito; e così anche
il maresciallo, d’origine siciliana, che lo aveva coraggiosamente seguito nell’inchiesta; mentre i mafiosi verranno scagionati dalla testimonianza di persone
insospettabili, mentre la responsabilità morale del delitto cadrà su Rosa, moglie dell’uomo che aveva riconosciuto l’assassino e poi misteriosamente scomparso, colpevole soltanto d’essere bella, ma ingiustamente accusata d’avere una relazione
con Colasberna. Anche Rosa andrà via, come Bellodi, come il maresciallo. Chi sta dalla parte della giustizia, deve ritirarsi. Ancora una volta. Ma non sarà sempre così.
Il giorno della civetta – progetto e drammaturgia
di Gaetano Aronica
Il progetto di uno spettacolo tratto da “Il giorno della civetta” nasce da un grande amore per l’opera di Leonardo Sciascia, autore tra i più affascinanti e “scomodi” del
Novecento.
Dico scomodi perché ritengo ci sia una volontà di non voler comprendere, quando non addirittura di rimuovere alcune illuminanti personalità della nostra cultura
recente, che con le loro intuizioni, con la carica erosiva delle loro idee, metterebbero in crisi oggi come ieri, più di ieri, meccanismi consolidati, gerarchie intoccabili,
privilegi acquisiti e vissuti nella comune coscienza come diritti; insomma quel delicato equilibrio fra i poteri che si preferisce preservare nei recinti di un conformismo rassicurante, anche là dove voci apparentemente difformi servono
invece per rafforzarli. Ci sono autori che invece fanno paura: sto pensando a Sciascia e a Pasolini, a quelle voci cioè che non è possibile “usare”, perché nelle loro pagine
spesso non prive di ironia, talvolta feroce, emerge un atteggiamento irriverente, un continuo sospetto, a volte, non poche, una lucida, preoccupante veggenza. Perché Sciascia e Pasolini? Due scrittori così diversi, due mondi separati, la Sicilia,
“letteraria e civile” di Sciascia, le borgate violente, colorate al “petrolio” di Pasolini. Forse perché due “eretici”, come l’Abate Vella e l’Avvocato Di Blasi, protagonisti
d’un altro romanzo di Sciascia, “Il consiglio d’Egitto”, alla fine devono pur incontrarsi; e se si guardano negli occhi, non possono non riconoscersi, non
riconoscere l’uno nell’altro, alla base delle loro passioni, delle loro solitudini, una
comune diffidenza.
In un’intervista pubblicata da Einaudi qualche anno fa, Sciascia stesso dà una
risposta tanto esaustiva quanto criptica: “Ero d’accordo con Pasolini… anche quando aveva torto”.
Ma torniamo al “Giorno della civetta”, alle pagine che ho letto e riletto per scoprirvi
le cose che Leonardo Sciascia scriveva. Ciò che mi colpisce, aldilà della narrazione
sempre avvincente, del complesso gioco di rapporti, nel contesto di una Sicilia dove
il “non detto” diventa più importante di ciò che si dice, è una grande, superiore,
talvolta impenetrabile intelligenza. Ho come l’impressione che Sciascia, attraverso
un gusto per la scrittura di voltairiana memoria, si diverta a scoprire e poi
nascondere senza essere mai volutamente esplicito, in un gioco di ombre e di luci che
sembrano suggerire al lettore uno sforzo di intelligenza, continuamente suscitando
dubbi, invitando a scavare nella memoria (passata e futura), collegare, rivedere,
inserire in un quadro di rapporti che va al di là della forma e investe cose, persone,
fatti, che sembrano scritti “domani”.
Per questo ritengo che “Il giorno della civetta” debba essere messo in scena. Credo
che ci sia bisogno di parlare di giustizia, ci sia bisogno di un’ostinata ricerca della
verità, anche là dove questa verità inevitabilmente sfugge, ci sia bisogno di un
capitano Bellodi, del suo volersi “rompere la testa” contro un muro che a quaranta
anni di distanza è ancora solido e ben protetto. In una parola, citando il Maestro, ci
sia bisogno di “idee”.
Del resto, considero “Il giorno della civetta” un romanzo di inquietante attualità. Gli
interrogativi che Sciascia poneva nel 1961 rimangono ancora aperti, le zone d’ombra
non ancora chiarite. Ci sono, sotto ogni parola, dietro ogni frase, strati e strati che
forse, non sempre sono riuscito a capire. “Cose e non parole” diceva Sciascia; ma
quali cose, quali parole?
Ho dovuto muovermi con cautela. I rapporti fra i personaggi, sotto un’apparente
leggerezza, sono intricati e complessi e spesso si ha l’impressione che non si venga a
capo di niente. Sciascia stesso negava la possibilità di un “giallo” siciliano.
Il “giallo” presuppone che ci sia una verità da scoprire; in Sicilia la verità non esiste
o viene sbeffeggiata, quando addirittura non coincide con la pazzia.
E siamo a Pirandello, alle tante “verità”, ognuna valida quanto un’altra.
Sciascia e Pirandello; il Pirandello riletto da Giovanni Macchia nella “Stanza della
tortura”, dove il personaggio entra in scena e si mette volontariamente sotto accusa.
Attraverso le parole, che non riesce a trattenere, si nega e si rivela, ora confessando,
ora occultando, come se non avesse scelta: la stanza della tortura è l’unico posto
dove può vivere.
Il capitano e il maresciallo non escono mai dalla “stanza”, anche loro sequestrati.
Arrivano gli altri personaggi: da soli, insieme, uno dopo l’altro litigano, si
smentiscono, tutti hanno l’urgenza di dire, anche quando non dicono. Come
personaggi usciti dal “Così è, se vi pare” di Pirandello, accettano di sottoporsi
all’interrogatorio, quando addirittura non lo suscitano.
L’ambientazione dovrebbe andare aldilà del realismo. A tratti surreale, brevissimi
tratti, soprattutto nella parte superiore della scena, la zona “metafisica”, ma il più
delle volte iperrealista, dentro la “stanza della tortura”, con oggetti e colori fuori dal
tempo, ma essenziali, simbolici. Per dare quest’impressione, la scena tridimensionale,
vera e la recitazione immediata dovrebbero essere inserite in un clima da pietra
lavica, scuro, con poche forti macchie di colore.
Perché così immagino la Sicilia.
Sciascia : uomo della sua terra, uomo del nostro tem po
di Gino Caudai
Una delle più belle immagini di LS è quella che lo ritrae con i suoi nipoti nella
campagna di Racalmuto.
Lì è nato e lì, idealmente, è voluto rimanere, sempre.
Perché lì ha attinto a quei valori che non lo hanno mai abbandonato ma che anzi si
sono sempre più consolidati.
Da quella terra ha capito che doveva muovere per dare il suo contributo di
devozione per la giustizia, di equità e di rispetto per il cittadino, anche il più umile,
valori che aveva maturato tra i banchi dei suoi bambini di scuola elementare e che
non ha mai cessato di riproporre in ogni circostanza della sua vita di uomo e di
scrittore. Valori che si possono riassumere in uno solo: fai agli altri ciò che vorresti
fosse fatto a te, che significa, in sostanza, non fare ai tuoi simili quello che non
vorresti fosse fatto a te.
Questo principio LS non ha mai dimenticato e non è stato mai oggetto di baratto
con qualsiasi altra, per quanto allettante, lusinga.
Né potere, né danari hanno mai potuto , neanche minimamente, scalfire questo
baluardo ; e quando il potere ha cercato di risucchiarlo dentro il suo vortice LS si è
immediatamente allontanato da esso così come quando, in varie circostanze, gli
veniva fatto balenare il luccichio del danaro, rispondeva che la sua anima non era in
vendita.
Perché egli intendeva il potere e la cosa pubblica non come mezzi per interessi
personalistici ma come servizio per il bene comune: e questo spirito di servizio per il
bene comune LS, molto spesso, non lo ha riscontrato, nel Potere, come denuncia nei suoi scritti.
Talmente convinto e solido nei suoi principi che , in una delle ultime lettere ai suoi
familiari, dice di non affannarsi a difendere la sua memoria dai suoi detrattori poiché
era convinto che chi avesse provato a criticarlo in modo strumentale si sarebbe visto
ricadere su di sé le critiche che gli aveva mosso contro.
Con questo suo comportamento ha lasciato, come i grandi del ‘900, la sua “traccia
madreperlacea”.
Il suo “piccolo testamento” che lo ha condotto verso quella che lo stesso LS definisce
la sua piccola immortalità che lo vedeva paladino di un’umanità più giusta e per
questo più armonica.
Questo è lo spirito di questa produzione teatrale, questa vorrebbe essere la finalità
dello spettacolo “Il giorno della civetta”.
Non sarà vero che il Capitano Bellodi risulterà sconfitto, e con lui lo Stato; o meglio
la sua sarà una sconfitta momentanea perché nell’animo di tutti gli spettatori sarà
chiaro da quale parte è collocata la giustizia ed il bene e altrettanto chiaramente
dove sia l’ingiustizia , la corruzione ed il male.
Sarà, quella di Bellodi, un’altra battaglia perduta; altri Bellodi ne perderanno altre di
battaglie ma LS ci ha dato la speranza che, alla fine, la guerra sarà vinta dalla parte
giusta.
Domenica 25 Luglio 2010
«Il giorno della civetta» nel segno della speranza
Sergio Sciacca
Taormina. Quando, sessanta anni fa, Leonardo Sciascia scriveva "Il giorno della civetta",
la cui versione cinematografica immediatamente gli dette la notorietà internazionale, le
nozioni correnti sul fenomeno mafioso erano imbevute di folklorismo, ingrediente quasi
romantico di un Far West europeo da lasciare agli studiosi di cose locali. La stessa parola
mafia veniva usata con molta circospezione, raramente in ambito politico. Poi fu tutta
un'altra cosa. I libri di grande impegno civile del Maestro di Regalpetra crearono un
indotto letterario di mafiologia che non si è più esaurito.
Fabrizio Catalano Sciascia, il nipote del grande scrittore, fedele alle memorie domestiche
del nonno, ne ha presentato venerdì il capolavoro, conservandone il titolo, che è sempre "Il
giorno della civetta", ma modificandone radicalmente l'intendimento, proprio nel senso più
profondamente sciasciano.
La trama, si intende, è la medesima, che da accorto regista Fabrizio Catalano ha immerso
in una atmosfera da torrido Deep South (alla Tennessee Williams per intenderci), con una
bipartizione spaziale (scena di Antonia Petrocelli) che gli consente di intrecciare la storia e
il suo commento. La prima parte scorre sulla notoria vicenda dell'omicidio Colasberna e
delle indagini del capitano Bellodi. Ma la discoverta del vero Sciascia avviene nella
seconda parte, dove la connessione tra delinquenti, uomini d'onore e onorevoli ministri
viene scandita in modo esemplare, e dove (qui è il vero Sciascia senior accortamente
focalizzato dallo iunior) la tragedia non si conclude con il fallimento della legge e del
coraggio, ma con la promessa di una ripresa che coinvolge non solo il capitano di attente e
raffinate letture, ma anche il maresciallo (interpretato da Roberto Negri) dalle incerte
conoscenze letterarie ma dalla spiccata sensibilità pratica. E' la sua conversione alla
speranza che colpisce e che costituisce la scena esemplare di questo lavoro. Il popolo
dunque intende, senza bisogno delle logomachie retoriche dei fini pensatori. La conclusione
è che il male si può superare smettendola di organizzare congressi e diffondendo fiction
(teatrali o filmate) che additino le grandi risorse che il popolo possiede per debellare la
mala pianta; da qui può partire il rinnovamento della società e della sua morale. Anzi è già
partito considerato l'entusiasmo degli spettatori di TaoArte. Le interpretazioni di
Sebastiano Somma (nel ruolo del capitano), di Orso Maria Guerrini (in quello del mafioso),
di Morgana Forcella (la avvenente vedova) sono perfettamente calibrate sulle idee di regia,
senza esagerare i toni e senza inutili sentimentalismi. E la stessa dose di efficace realismo
si trova negli altri artisti della compagnia di cui la locandina della Fondazione Sciascia
che, insieme all'ATDC, ha prodotto il lavoro, non ha voluto distinguere i ruoli forse per
sottolineare la omogeneità dell'impegno senza i personalismi cari allo show business e che
così registriamo anche qui: Gaetano Aronica, Alessio Caruso, Maurizio Nicolosi, Paolo
Gattini e Luca Marianelli.
25/07/2010
IL
GIORNO
DELLA
CIVETTA
La recensione di Francesco Principato
Questa civetta vola alto
La commedia Il giorno della civetta approda al teatro Regina Margherita di Racalmuto, nella città natale di Leonardo
Sciascia, l’autore del romanzo che decretò la nascita di un caso letterario internazionale e l’inizio dell’ascesa di un
intellettuale a quel tempo scomodo ma da allora ad oggi, e sicuramente anche per il futuro, amato e rispettato, ancorché
discusso.
Grande attesa quindi e richieste al botteghino superiori ai posti disponibili. A rimediare ci ha pensato il produttore Gino
Caudai che ha concesso una replica straordinaria, straordinaria anche perché l’incasso della rappresentazione fuori
programma, in accordo con tutto il cast, è stato devoluto in beneficenza alla famiglie povere della città di Sciascia.
Diciamo subito che la riduzione teatrale di Gaetano Aronica, diretta da Fabrizio Catalano, ha riscosso un successo senza
precedenti (e per precedenti intendiamo anche i passati allestimenti).
Gli applausi commossi tributati alla fine dello spettacolo hanno richiamato il cast sulla scena per svariati minuti e fra il
pubblico c’era chi tentava di nascondere una lacrima.
Perché dalla platea si è compreso il rovello logico dell’impostazione illuministica del capitano Bellodi che come 'quel
cretino del professor Laurana' cerca la verità ma soprattutto cerca di comprendere. Di comprendere la Sicilia e i siciliani
ma soprattutto cerca di capire i sentimenti delle persone: la tragedia nei termini di Parrineddu, per il suo essere al
contempo siciliano e confidente dei carabinieri, che per poter effettuare la sua spiata ha bisogno delle minacce dei
militi, della violenza costrittiva e infine il sopraggiungere della sentenza di morte; lo strazio della vedovanza di Rosa
Nicolosi e del suo scendere a patti con i carnefici del marito; la filosofia fatalista del’assassino Zicchinetta con la quale
costui si autoassolve da ogni nefandezza; la probità del maresciallo Di Natale, dalla camminata forzatamente marziale,
che non rinuncia e non può rinunciare ad essere carabiniere e persona, persecutore e coabitante dei perseguiti, duro ma
con la speranza di poter essere qualche volta remissivo. Il capitano cerca di comprendere anche il piccolo mafioso
Pizzuco e il mammasantissima don Masino, perfino l’onorevole Livigni, politico senza scrupoli.
L’incalzante progressione degli accadimenti scenici, la recitazione ispirata e sicura degli attori ha creato un pathos
palpabile fra un pubblico sempre attento. Merito della regia, merito di un cast che oltre ad annoverare un Sebastiano
Somma ispirato fino al coinvolgimento nel ruolo del capitano Bellodi, di un Orso Maria Guerrini molto verosimile e
autoritario nel ruolo del mafioso pezzo da novanta, di un Gaetano Aronica veramente tagliente nel ruolo dell’equivoco
politico, comprende una Morgana Forcella commovente nel ruolo di Rosa Nicolosi, la straordinaria interpretazione di
Parrineddu da parte di Maurizio Nicolosi e i bravissimi Roberto Negri e Massimo Cimaglia, oltre che del regista stesso
Fabrizio Catalano, in scena nel doppio ruolo dell’autista del pullman e dell’alto ufficiale dei carabinieri. Insomma, un
cast che si è rivelato una catena solidissima e priva di anelli deboli.
Il lavoro di adattamento scenico fatto da Gaetano Aronica è stato molto apprezzabile. L’autore-attore agrigentino ha
smontato il romanzo pezzo per pezzo e l’ha rimontato in una processione nella caserma dei carabinieri, vero e proprio
confessionale delle grettezza siculo-mafiosa. E’ qui che incontriamo esecutori e mandanti dell’assassinio di Colasberna,
imprenditore onesto e per questo insopportabile, insopportabile per tutta la società che lo circonda. Il testo teatrale
mantiene il ritmo e le aspettative del giallo atipico, come è sempre negli scritti del caro maestro di Racalmuto. Con
dialoghi serrati e l’incalzante susseguirsi delle scene, Aronica riesce a rimanere fedele alla penna di Leonardo Sciascia
‘tradendo’ lo scrittore solo per il seme di speranza che questo adattamento teatrale ci regala: il maestro di Regalpetra era
convinto (o forse l’ha semplicemente enunciato) che per i siciliani non esistesse convinzione che le idee potessero
cambiare la società, ligi al proverbio siculo ‘munnu ha stato e munnu è’. Aronica lancia un segnale di speranza: che
qualcosa possa cambiare. E sicuramente la sua fiducia nasce dal fatto che qualcosa concretamente sta cambiando, dopo
quaranta anni.
Il dramma si chiude con una registrazione originale di Leonardo Sciascia che ci ammonisce dell’italianizzazione della
Sicilia e della mafia, della globalizzazione del fenomeno e soprattutto della mancanza di idee, definendo la Sicilia come
metafora del mondo. E purtroppo… anche in questo Sciascia è stato vate.
Stasera la civetta ha volato alto sopra ogni miseria umana e non solo quella mafiosa.
Visto il 17/12/2010 a Racalmuto (AG) Teatro: Regina Margherita
Voto:
La
Sicilia
misteriosa,
vendicativa,
bellissima,
di
L.
Sciascia
in
palcoscenico
a
Tagliacozzo
Dopo
l’anteprima
nazionale
avvenuta
lo
scorso
23
luglio
in
Sicilia,
a
Taormina,
la
sera
del
9
agosto
al
26°
Festival
Internazionale
di
Mezza
Estate
di
Tagliacozzo,
in
provincia
de
L’Aquila,
è
approdato
lo
spettacolo
di
Leonardo
Sciascia,
Il
Giorno
della
Civetta,
nella
versione
teatrale
di
Gaetano
Aronica,
qui
anche
interprete,
per
la
regia
di
Fabrizio
Catalano.
L’allestimento,
prodotto
da
ATDC
di
Gino
Caudai,
Fondazione
Sciascia
e
Teatro
di
Racalmuto
vede
come
protagonisti
Orso
Maria
Guerrini,
nel
ruolo
di
“Don
Mariano”
e
Sebastiano
Somma
nei
panni
del
Capitano
Bellodi.
Il
Giorno
della
Civetta
ci
trasporta
in
un
paese
di
poche
migliaia
di
abitanti
nell’entroterra
siciliano,
in
un
freddo
mattino
d’inverno,
mentre
un
pallido
sole
si
riflette
sull’asfalto
bagnato
della
piazza.
All’improvviso
un
colpo
di
pistola,
un
omicidio.
Sciascia
racconta
la
storia
dell’inchiesta
condotta,
a
partire
da
questo
delitto
maturato
all’improvviso
come
un
fulmine
a
ciel
sereno,
da
un
capitano
dei
carabinieri,
Bellodi,
appena
arrivato
dalla
Sicilia
dalla
nordica
Parma.
Sciascia
ha
scritto
questo
romanzo
negli
anni
Sessanta,
esattamente
nel
1961,
ma
qui,
nella
versione
teatrale,
l’azione
si
trasfigura
e
la
Sicilia
dei
misteri
diventa
anche
una
terra
dell’anima.
Il
testo
da
cui
è
tratta
l’opera
è
il
primo
romanzo
del
grande
scrittore
Sciascia,
che
si
è
battuto
fino
all’ultimo
perché
la
sua
amatissima
terra
potesse
riscattarsi
da
quello
che
appare
come
un
destino
scontato,
da
cui
non
se
ne
può
venire
fuori,
che
in
realtà
si
chiama
mafia.
Oltre
al
capitano
Bellodi,
che
incarna
la
speranza
nelle
nuove
generazioni,
l’altra
figura
positiva
è
incarnata
dall’unica
donna
presente
nella
storia,
la
signora
Nicolosi,
qui
interpretata
da
Morgana
Forcella,
la
sposa
che
si
reca
coraggiosamente
dai
carabinieri
a
denunciare
la
scomparsa
del
marito
e
per
questo
è
ricattata.
Il
resto
è
splendido
e
ben
più
coraggioso
di
quanto
possa
sembrare:
nessuna
parola
è
superflua,
il
grido
di
dolore
è
percepibile:
solo
credendo
nella
possibilità
di
riscatto,
uscendo
dal
fatalismo
che
uccide
la
speranza,
potrà
esserci
un
futuro
diverso.
L’onestà
e
la
bellezza
del
lavoro
assumono
un
valore
altissimo
di
testimonianza,
di
sprone
al
cambiamento
e
di
fiducia
nel
nuovo.
La
riduzione
teatrale
di
Gaetano
Aronica,
che
ha
adattato
il
testo
teatrale
dal
romanzo,
è
improntata
al
giallo
nel
giallo
e
scava
il
sentire
dell’autore,
la
cui
presenza
è
viva
nel
finale,
attraverso
un
brano
inciso
su
nastro.
La
chiave
di
lettura
è
molto
più
complessa
di
quanto
possa
apparire:
il
vissuto
dei
personaggi
in
un
modo
di
concepire
la
Sicilia
che
spesso
non
riesce
ad
uscire
dagli
stessi
schemi
che
la
soffocano;
il
bisogno
di
sperare
nel
futuro
per
sé
e
per
i
propri
figli;
l’enorme
divario
che
separa
il
coraggio
dalla
paura;
la
sensazione
di
non
poter
uscire
da
scelte
obbligate.
Ogni
risvolto
ne
nasconde
subito
un
altro
ed
è
complicato
per
chi
vive
in
contesti
diversi
comprendere
fino
in
fondo
il
dramma
insito
in
questa
realtà.
Molto
bravi
tutti
gli
attori,
a
cominciare
dai
due
protagonisti,
Orso
Maria
Guerrini
e
Sebastiano
Somma,
una
volta
tanto
non
legato
a
quei
personaggi
a
cui
eravamo
stati
abituati
a
vederlo
in
varie
fiction
televisive.
E
poi
lo
stesso
Gaetano
Aronica,
Morgana
Forcella,
l’unica
donna
presente
in
un
cast
tutto
al
maschile,
Roberto
Negri,
Alessio
Caruso,
Maurizio
Nicolosi,
Paolo
Gattini
e
Luca
Marianelli.
La
messa
in
scena
è
dignitosa,
rigorosa,
elegante,
innovativa;
la
recitazione
su
due
piani
è
prodigiosa.
La
regia
di
Fabrizio
Catalano
è
riuscita,
visto
che
ha
saputo
ben
guidare
tutti
gli
attori.
Giancarlo
Leone
Fiumi d'applausi per "Il giorno della civetta"
Grande successo per lo spettacolo portato in scena da Sebastiano Somma e Orso Maria Guerrini
22/01/2011
Grande
successo
per
lo
spettacolo
tratto
dal
celebre
romanzo
di
Leonardo
Sciascia,
“Il
giorno
della
civetta”,
in
replica
al
Rossini
mercoledì
19
e
giovedì
20
gennaio.
La
compagnia,
diretta
dal
nipote
dello
scrittore,
Fabrizio
Catalano
Sciascia,
si
compone
di
un
cast
di
professionisti,
tra
i
quali
spiccano
i
nomi
di
Sebastiano
Somma,
nei
panni
del
virtuoso
capitano
Bellodi,
e
Orso
Maria
Guerrini,
uno
spietato
Don
Mariano.
La
storia
ha
inizio
con
l’omicidio
di
Salvatore
Colasberna
e
l’inchiesta
condotta
da
Bellodi,
brillante
carabiniere
venuto
dal
nord:
onesto,
diligente,
colto,
pronto
ad
affrontare
qualsiasi
difficoltà
pur
di
scoprire
la
verità,
può
contare
solo
sull’aiuto
del
coraggioso
maresciallo
Di
Natale.
Una
verità
che
spesso,
come
afferma
Don
Mariano,
in
Sicilia
è
nel
fondo
del
pozzo
e
chi
la
trova
non
vede
più
né
il
sole
né
la
luna.
La
realtà
dell’isola
appare
assurda,
incomprensibile,
ostile
a
Bellodi,
ma
proprio
per
questo
misteriosa
e
affascinante,
tanto
da
attrarlo
inesorabilmente
e
fargli
esprimere
la
volontà
di
tornare
anche
dopo
il
trasferimento,
unico
risultato
conseguito
al
termine
della
faccenda.
La
Sicilia,
terra
in
cui
stato,
politica
e
mafia
sembrano
essere
la
stessa
cosa,
è
metafora
dell’Italia
–
diversi
i
rimandi
all’attuale
situazione
politica
–
ma
anche
dell’ingiustizia
universale.
“Che
cos’è
normale?
Che
cos’è
la
verità?
Che
cos’è
il
potere?”
chiede
l’onorevole,
abile
maestro
della
parola,
al
capitano.
Questioni
che,
a
quanto
pare,
non
trovano
risposta:
tutto
è
relativo,
la
verità
non
esiste,
o
meglio,
è
conosciuta
da
tutti,
ma
chi
prova
ad
annunciarla
è
da
considerarsi
un
folle.
Dialoghi
e
atmosfere
essenziali,
voci
rauche,
pregne
di
saperi
nascosti
e
inconfessabili,
si
alternano
in
una
scenografia
a
tre
dimensioni:
una
spoglia
caserma
di
carabinieri
in
primo
piano,
sullo
sfondo
una
stanza
separata
da
un
telo
trasparente,
dove
si
susseguono
ombre,
interrogatori
e
sparatorie,
e
una
sorta
di
passaggio
sovrastante
dove
i
principali
malfattori
spiegano
le
loro
cupe
logiche.
Alla
fine
le
vere
parole
di
Sciascia,
come
sorrette
dalle
sagome
nere
degli
attori,
sentenziano:
“Il
più
grande
peccato
della
Sicilia
è
stato
ed
è
sempre
quello
di
non
credere
nelle
idee.
È
questo
che
ha
impedito
alla
Sicilia
di
andare
avanti,
il
credere
che
il
mondo
non
potrà
mai
essere
diverso
da
come
è
stato.
Ora,
siccome
questa
sfiducia
nelle
idee,
anzi
questa
mancanza
di
idee
si
proietta
su
tutto
il
mondo,
in
questo
senso,
per
me,
ne
è
la
metafora”.
Foto
Mario
Di
Giuseppe
esso al Verdi di Sassari per ll giorno della civetta
http://www.cultnews.it/successo_al_verdi_di_sassari_per_ll_g...
cultnews
Successo al Verdi di Sassari per ll giorno della civetta
La Sicilia di Sciascia metafora del mondo di oggi
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"La speranza è la cosa più difficile, capitano Bellodi”. Il rassegnato congedo della
giovane vedova che saluta l'onesto carabiniere, promosso ad altri incarichi,
lontano da dove era giusto che rimanesse, è l’iconografia del pensiero di Sciascia
sulla sua Sicilia. Un luogo metafisico, il cui orizzonte è perennemente vuoto,
privo di alcuna idea o speranza di benessere.
Nell’allestimento teatrale di Gaetano Aronica, Il giorno della civetta, andato in
scena al teatro Verdi nel doppio appuntamento del 21 e 22 febbraio scorsi per la
rassegna invernale di prosa, rende uno spettacolo alto e colto.
La regia di Fabrizio Catalano (nipote del giornalista scrittore di Racalmuto)
allarga la prospettiva dall'ambientazione originaria, presentando la Sicilia come
metafora del mondo globalizzato, dove mafia e sopraffazione sono i cardini di un
sistema irrinunciabile.
La lunga scia di sangue inaugura la vicenda con l'omicidio di Salvatore Colasberna, unico impresario onesto del territorio, reo di costruire
con il cemento anziché le miscele di sabbia e sterco. L'evento tragico produce una serie di ulteriori assassinii. Le indagini e i protagonisti
si alternano nella locale caserma dei carabinier in un campionario completo di figure umane, tragicamente immutabili rispetto agli
originari geni autoctoni.
Rosa (bravissima Morgana Forcella), e giovane moglie del primo ucciso, sarà al
pari di Bellodi (Sebastiano Somma) la vittima sacrificale, pronta a coprire
calunnie e soprusi. Per lasciare impuniti i più alti e intoccabili livelli del
malaffare. Dal potente politico di turno, l'onorevole Livigni (lo sceneggiatore
Gaetano Aronica) al capo mandamento locale Mariano Arena (il grande Orso
Maria Guerrini).
Sino ai manovali del crimine Parrineddo e Zicchinetta, con l'originalissimo
maresciallo dell'arma, Pasquale Di Natale interpretati superbamente da
Maurizio Nicolosi, Roberto Negri e Massimo Cimaglia. Lo spettacolo si chiude
con le parole di Sciascia che non suonano come un invito alla speranza per un
rapido riscatto morale della società e della politica attuali.
Un cast di nove attori legati da grande coesione e spirito comune anche fuori
la ribalta. E' proprio calda e mediterranea l'accoglienza che chi scrive riceve nel foyer del Verdi dal gruppo di attori. Gaetano Aronica si
sofferma nei risvolti del lungo tour nazionale, che vedrà impegnata la compagnia Laros, di Gino Caudai, sino a tutto il 2013.
Maurizio Nicolosi ricorda con soddisfazione le belle trasferte in casa: la
scorsa estate il pienone di Taormina. Sebastiano Somma racconta dei
suoi prossimi impegni che lo riporteranno ancora sul piccolo schermo.
Non è improbabile una nuova serie della fortunata fiction Un caso di
coscienza, il “legal-drama” italiano dell'amatissimo avvocato Rocco
Tasca.
E' già pronto per una distribuzione cinematografica Il mercante di stoffe.
In questa pura storia d'amore ambientata in Marocco, Somma avvicina
con la forza dei sentimenti, le distanti culture di Islam e Occidente. Il
film che approderà anche sui canali Rai è diretto dal giovane Antonio
Baiocco, alla sua terza regia.
L'attore napoletano esprime infine un parere sull'operato di alcuni suoi
noti colleghi nel Parlamento italiano: “Come tutti i lavori - afferma
Somma - anche il nostro deve essere fatto bene e valorizzato nelle sedi
opportune. In questo momento in Italia c'è necessità di salvaguardare la Cultura. Non significa chiedere soldi per tutte le produzioni e
continuare negli sprechi del passato. E' importante invece favorire la formazione dei giovani e dare un impulso allo sviluppo economico
del settore. Se il prossimo aumento del biglietto al cinema (un euro in più deciso nel milleproroghe, ndr) andasse nella direzione di
favorire indotti e rientri, allora potrebbe essere ben accetto.”
Luigi Coppola
sopra nelle foto diLuigi Coppola, alcuni momenti della pièce "Il giorno della civetta" andata in scena lo scorso 22 febbraio al Teatro Verdi di Sassari
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24/02/11 17.15
Bordighera.net
‐
Il
Portale
di
Bordighera
Eccellente
successo
per
"Il
giorno
della
Civetta"
con
grandi
interpretazioni
Una eccellente rappresentazione teatrale con un cast di validissimi professionisti e due grandi figure del panorama
teatrale italiano che hanno confermato appieno tutta la loro popolarità, derivante da una splendida bravura.
E' il risultato della rappresentazione di ieri sera, sabato 5 febbraio, al Teatro del Palazzo del Parco con "Il giorno della
Civetta", dal romanzo di Leonardo Sciascia, con protagonisti Sebastiano Somma e Orso Maria Guerrini.
Ennesimo successo stagionale, con il pieno di pubblico, della stagione teatrale organizzata dall'Assessorato alla Cultura
e al Turismo del Comune di Bordighera e la direzione artistica di Europa Spettacoli di Franco Di Cagno, che ha fatto
centro anche in questa occasione.
Un plauso al regista Fabrizio Catalano e a Gaetano Aronica (che ha interpretato l'onorevole) per l’adattamento teatrale.
Come detto grandissime interpretazioni di Sebastiano Somma nella parte del Capitano Bellodi e di Orso Maria Guerrini
nella parte di Don Mariano, ma bravissimi tutti, con una menzione particolare per Morgana Forcella, nella difficile parte
di Rosa.
Al termine dello spettacolo disppnibilità e gentilezza per fotografie e autografi da parte di tutti i protagonisti.
Prossimo appuntamento per sabato 12 febbraio 2011, sempre al Teatro del Palazzo del Parco, alle ore 21,15 con "La
Bisbetica domata" di William Shakespeare con Vanessa Gravina ed Edoardo Siravo e la regia di Armando Pugliese.
Pier Rossi
6 febbraio 2011
Bimestrale di informazione cittadina a cura dell’Associazione "la Piazza"
Prosa vincente al Rossini
“Il giorno della civetta”, non solo eccellente prosa per restituire al teatro Rossini
dignità e rispetto, ma anche metafora di una realtà, quella della Sicilia degli anni ʼ60,
che Sciascia descrive con amarezza e profonda ironia, ostaggio di unʼinesplicabile distorsione temporale che la rende quanto mai attuale e “universale”.
Ritrovarsi in teatro così come nella vita, “spettatori” di drammi, ingiustizie, prepotenze,
di ricerca di consenso a tutti i costi, anche attraverso false persecuzioni, scoprire che ben
poco cambia se non si ha il coraggio di “credere nelle idee”, nel cambiamento, disegna
una ragnatela di frastagliate incrinature sullo schermo delle fragili certezze dietro cui,
spesso inconsapevolmente, ci si barrica per difendersi da realtà inaccettabili. Attraverso
le efferatezze che graffiano e scheggiano la coscienza, si insinua la disarmante consapevolezza di essere anche “attori” e talvolta “protagonisti” di tanto esecrabili realtà, nel
momento in cui si delega ad un passivo, sgomento silenzio, la regia del contesto sociale
e politico in cui si vive, soffocando ogni rigurgito di sana indignazione.
La scenografia essenziale è articolata su tre diversi spazi. Il primo è quello vissuto dal
capitano Bellodi, partigiano emiliano innamorato della Sicilia, dei suoi colori, dei suoi
profumi, della sua gente di cui vorrebbe riscattare lo status di omertosa sudditanza, interpretato dallʼottimo Sebastiano Somma, perfetto nei ruoli in cui si esalta la legalità.
Uno spazio minimale condiviso con il maresciallo Di Natale Pasquale, ovvero Roberto
Negri, pugliese d.o.c. perfettamente a suo agio nella parte dellʼintendente dotato di
“cuore”, travolgente simpatia e convincente “siciliano”. Intenerisce il suo comprensivo
ascolto, il silente conforto offerto al suo superiore, il suo sincero dispiacere nel vederlo
tornare a Parma. Il secondo spazio è un gioco dʼombre cinesi, un “fuori campo” molto
suggestivo ed animato, esterno ma mai marginale. Il terzo spazio, una balconata in ferro, vede Rosetta Nicolosi (Morgana Forcella) regina incontrastata della scena. Intensa,
vera, appassionata, coraggiosa… ha perso suo marito ma non la dignità e la speranza. In
lei Bellodi ritrova il calore della Sicilia onesta, di chi non scende a compromessi, qualcuno in cui credere e per cui lottare. Molto bravo Parrinieddu, (Maurizio Nicolosi),
nella postura e nellʼespressione il travaglio di chi è sconfitto dal destino e sa di rischiar
la vita. In un ultimo, estremo, inatteso atto di coraggio, scrive su un tovagliolino il nome
dei mandanti ed incrimina don Mariano Arena, lʼeccezionale Orso Maria Guerrini. In poche,
essenziali battute il senso dellʼintera storia, la filosofia di vita di una scelta sbagliata,
difesa strenuamente, costi quel che costi, il rispetto dovuto al nemico. “Anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo”, confesserà Don Mariano a Bellodi
con voce roca, dopo aver schernito “ominicchi, piglianiculo e quaquaraquà”. “Il mio
personaggio - dichiara Guerrini - è un manovratore, collega i politici ai suoi interessi,
controlla il territorio, pensa solo ed esclusivamente a sé. Questo spettacolo emoziona
e fa riflettere tanto da esser compreso e decodificato anche da un pubblico trasversale.” Vibrante Pizzuco (Alessio Caruso), nel suo continuo lisciarsi i capelli, nel protendersi virilmente con le mani in tasca, essenza della sicilianità. Iracondo ed impulsivo
Zicchinetta (Massimo Cimaglia), protagonista del tafferuglio conclusosi a pistolettate che
ha gettato nel panico il povero maresciallo. Emblematico Gaetano Aronica cui si deve
lʼadattamento teatrale della rappresentazione - prodotta dalla compagnia Laros e sostenuta
dal Teatro Pubblico Pugliese - nelle vesti di un luciferino politico, un onorevole spesso in
ombra, pronto a rimuovere dalla scacchiera personaggi scomodi. Nessuno scrupolo, tutto è
sacrificabile pur di non perdere il potere. Lui e Fabrizio Catalano Sciascia, regista ed
“autista” omertoso di autobus, sono gli unici due veri siciliani in scena. Fabrizio non ha
incertezze nel definire “profetici” gli scritti del celebre nonno. “I tutori della giustizia
rappresentano le forze sane della società, perennemente bloccate da chi vuol sentirsi
al di sopra di tutti – afferma con convinzione - e questo accadeva ieri ed accade oggi.”
Dietro le quinte Cartisia Josephine Somma, piccolo raggio di sole armato di colori
e pennarelli, gioca, disegna, rincorre papà Sebastiano e mamma Morgana, mostra con
orgoglio le sue opere e attende con impazienza che i suoi genitori, firmati gli autografi
e scattate le ultime foto, tornino a dedicarle la dovuta attenzione.
Dalila Bellacicco
Il
regista
Fabrizio
Catalano
Sciascia
racconta
22
02
2011
"Il giorno della civetta” scritto da Leonardo Sciascia nel 1961 è un giallo insolito, profondamente laico e anticipatore;
ha parlato di mafia, quando nessuno lo aveva mai fatto, a viso scoperto ed attirando su di se lo scetticismo e le ire di
molti.
Dall’uscita del romanzo ad oggi, in Sicilia, sono morti moltissimi uomini i quali hanno percorso la strada più
impraticabile, dimostrando il loro rispetto per le istituzioni.
“Povera la patria che costringe i suoi figli a farsi eroi per difendere la legalità”: le parole di Sciascia risuonano
impietose verso la sua Sicilia che diviene Italia e mondo intero mentre la sua voce ci intima, da una vecchia
registrazione diffusa dal palco, che avere sfiducia nelle idee equivale a credere che l’uomo non potrà mai cambiare.
“Il giorno della civetta” è uno spettacolo di inquietante attualità poiché gli interrogativi che Sciascia si poneva
rimangono ancora aperti e numerose zone d’ombra non ancora chiarite.
Il palcoscenico diviene teatro di forte contrapposizione tra chi vede la mafia e chi la nega, contrapposizione di «uomini
e non», anzi, per dirla con le parole di Don Mariano Arena, capo-mafia e mandante dell’omicidio intorno al quale si
snoda tutta la vicenda - interpretato da Orso Maria Guerrini- di «uomini e mezz'uomini, di ominicchi, piglianculo e
quaquaraquà».
Forte è anche la contrapposizione tra Sud e Nord, dal quale proviene il Capitano Bellodi, che ha le fattezze di
Sebastiano Somma.
Portato in scena al Teatro Centrale di Carbonia il 20 e 21 febbraio dalla LAROS di Gino Caudai, lo spettacolo ha sapore
quasi amaro, quanto il romanzo dal quale è stato tratto.
Abbiamo raggiunto in teatro per una chiacchierata il regista ed interprete Fabrizio Catalano, nipote di Leonardo
Sciascia.
C.C: “La Sicilia di Sciascia è una metonimia - in retorica, la parte per il tutto – di una nazione segnata, oggi più che
mai, da vizi capitali. I meccanismi di ieri e di oggi possono fare a meno di attualizzazioni?
F.C: Credo che la mafia non sia più quella di cinquant’anni fa, rurale e legata prettamente alla gestione del territorio,
ma, come disse mio nonno in un’intervista nei primi anni ’70, la Sicilia può essere considerata metafora del mondo in
quanto la sfiducia nelle idee, che da sempre caratterizzava la Sicilia, caratterizza sempre più tutto il mondo. Il modo di
pensare che guida i comportamenti dei mafiosi de “Il giorno della civetta” è, non solo, lo stesso che guida i
comportamenti dei mafiosi di oggi, ma quello che guida le azioni di molti uomini ai vertici, di capi di stato; se i servizi
segreti francesi organizzano una guerra civile in Costa d’Avorio perché la Costa d’Avorio non gli garantisce più il
monopolio del cacao, è il medesimo comportamento del mafioso che impone il ‘pizzo’ al commerciante di Palermo.
Ormai la palma sta salendo verso l’alto, lo diciamo anche nello spettacolo, e la mafia (come la ‘ndrangheta) è ben
radicata anche al Nord, va a braccetto con la Lega.
C.C: Come vi siete rapportati al testo, tratto dal romanzo che suo nonno scrisse nel 1961?
F.C: Quasi nessuno in compagnia (composta da nove uomini ed una donna) è siciliano, ma durante lo spettacolo si ha la
percezione che tutti siano siciliani, perché abbiamo cercato di non snaturare la lingua di Sciascia, anche nei suoi
particolari costrutti della frase, pur evitando di forzare l’accento e di stereotipare le caratterizzazioni.
C.C: Oltre che nella rappresentazione dei personaggi e nei costumi, la fedeltà al romanzo è percepibile nel testo e
nell’atmosfera tesa e misteriosa ricreata da una scenografia essenziale e con luci basse (l’azione si svolge sempre
all’interno o al buio, di notte: niente accade alla luce del sole).
F.C: I costumi sono una ricostruzione storica, la scena si svolge contemporaneamente all’interno della caserma dei
carabinieri di un paesino e i vicoli dello stesso: l’atmosfera è tipica del ‘giallo’.
Il vantaggio che in qualche modo il teatro ti dà rispetto al cinema è che a teatro tu non hai bisogno della pedissequa
ricostruzione storica e tutto può diventare metafora di qualcos’altro.
C.C: “Il giorno della civetta” è stato per l’epoca in cui è stato scritto una rivoluzione perché, mai, nessuno aveva scritto
un libro indirizzato alle grandi masse che trattasse il problema della mafia. Com’è stato accolto lo spettacolo dal
pubblico dei teatri italiani?
F.C: Abbiamo riproposto lo spettacolo in più di cinquanta date ed il riscontro è stato decisamente positivo. Il pubblico
di Carbonia è stato molto caloroso, la prima sera non volevamo chiudere il sipario: forse l’Italia e gli Italiani, almeno in
parte, sono un po’meno peggio di come noi ce li immaginiamo. Gli italiani dovrebbero aprire gli occhi ed uno
spettacolo teatrale come questo, anche se è una goccia nel mare, può dare il suo contributo. Quotidianamente si parla,
nella migliore delle ipotesi, delle signorine che frequentano la villa di Arcore, ma intorno a noi – nei paesi arabi- in
questo momento, stanno succedendo delle cose che stanno cambiando la storia dell’umanità: noi ne sentiamo parlare di
corsa nei telegiornali. Oggi, per esempio, sfogliando, in albergo, L’Unione Sarda, gli articoli inerenti il caso Libia si
trovavano a pagina 20. Ci sono popolazioni che hanno trovato il coraggio di ribellarsi e sono vicinissime a noi:
l’Algeria è molto più vicina a Carbonia di quanto non lo sia Trieste, Tunisi è molto più vicina a Palermo di quanto non
lo sia Roma, la Puglia è più vicina all’Albania di quanto non lo sia Torino. La rivoluzione è alle porte di casa nostra, ma
sembra una cosa astratta. Senza dimenticare che in Tunisia il colpo di stato era stato supportato dai servizi segreti
italiani ai tempi di Craxi; in Italia c’è bisogno di qualcuno che dica la verità. Certe rivoluzioni non potranno mai aver
luogo, perche l’ Italia è un paese vecchio e di vecchi. Conosco bene la realtà della Tunisia, un paese giovane, per
vent’anni la gente è andata a scuola, costruendosi una coscienza civile: era quasi inevitabile arrivare a questo punto.
C.C: La cultura da sempre fa paura a certi governi che, nel nostro caso, tagliano i fondi alla ricerca e non solo. Nello
specifico, vogliamo parlare dei tagli al FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo)?
F.C: E’ esattamente ciò che succede in Italia: l’ignoranza fa meno paura. Per quanto riguarda i tagli al FUS, invece, il
discorso è molto articolato e bisogna fare delle distinzioni. Bisognerebbe appurare chi merita i fondi e distribuirli
onestamente. Ma siccome l’Italia è un paese economicamente sviluppato secondo dinamiche sociali tipiche dei paesi del
terzo mondo, credo che ciò non avverrà a breve. Io dico sempre che il teatro italiano è dominato dai teatri stabili, molti
dei quali portano in scena spettacoli di bassa qualità e li vendono fra di loro, gonfiando le fatture ed impedendo ad altri
di lavorare. Sarebbe giusto controllare la produzione durante la lavorazione e appurare che i soldi vengano usati in
maniera corretta.
C.C: Com’è avvenuta la scelta del cast? Suo nonno nel testo ha disseminato precise indicazioni: per esempio il
Commissario Bellodi veniva descritto chiaro ed alto …
F.C: Grande plauso va al produttore di questo spettacolo, che mi ha dato molta libertà nella scelta del cast; c’erano degli
attori che io avevo già in mente, per gli altri abbiamo fatto dei provini. Soprattutto, giorni e giorni di provini, per l’unica
figura femminile, che desideravo non possedesse esclusivamente un bel corpo o un nome di richiamo, come tante che
mi sono state proposte. In scena abbiamo ottimi attori, le persone giuste al posto giusto: è uno spettacolo pieno di
energia.
C.C: Ritengo che fosse doveroso mettere in scena “Il giorno della civetta” , che ci sia bisogno di parlare di giustizia,
di ricercare ostinatamente la verità, anche là dove questa, inevitabilmente, sfugge.
Pirandello, Shakespeare sono indubbiamente grandissimi capolavori, ma per dieci, quindici anni non si dovrebbero più
mettere in scena; sono cambiate tante cose, non solo trenta o quarant’anni fa, ma nell’ultimo decennio: -per esempio- il
rapporto fra uomo e donna è stato completamente rivoluzionato. Cosa racconti? Come fai ad ignorare i cambiamenti?
Quest’anno sono stato per Capodanno a Parigi, e mi è capitato di assistere allo spettacolo di una compagnia
indonesiana; a Roma, nello stesso giorno, andava in scena “Le Allegre comari di Windsor”, con Leo Gullotta. Senza
niente togliere a nessuno, mah...
Fino a trent’anni fa o poco più, in questo paese, c’era Sciascia, Calvino, Moravia, Pasolini, a teatro c’era Carmelo Bene,
c’era Gassman, al cinema c’era Fellini, Visconti, Leone; in Nazionale c’era Schillaci e Baggio … oggi dove la tocchi la
tocchi, l’Italia non suona più. Mi ha incoraggiato un po’ la vittoria di Vecchioni a Sanremo, l’ho interpretata come un
segnale positivo inviato dal pubblico votante, o forse mi sto illudendo, perché, mentre sta cadendo, uno si aggrappa ad
ogni pietra che trova.
Cinzia Crobu