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Il Papa: “Cambiare data alla Pasqua per celebrarla insieme a ortodossi
e protestanti”. E ancora: “La Chiesa è donna”. Il cambiamento avanza
Sabato 13 giugno 2015 – Anno 7 – n° 160
e 1,40 – Arretrati: e 2,00
Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma
tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46)
Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
SOLDI SPORCHI
Bravograzie!
OBAMA E HILLARY LI RESTITUISCONO
I NOSTRI POLITICI SE LI TENGONO
Renzi, Marino
e Alemanno
finanziati da Buzzi.
Bersani e B.
da Riva. D’Alema,
Zingaretti e i dem
di mezza Italia
da Cpl Concordia.
Lupi e altri dalla
Cascina. Denari
perlopiù registrati
ma maleodoranti
di scandali. Eppure
nessuno li ridà
indietro,
diversamente
dai leader Usa
VENDUTI E COMPRATI
Bazar Parlamento
fra terrore di altre
manette e mercato
di “responsabili”
d’Esposito » pag. 8
MAFIA CAPITALE
Caffè e “artiglieria
Poletti”: così Buzzi
vinse la guerra
con la coop rivale
Lillo » pag. 6
Udi Peter Gomez
DE LUCA SPARA
SU SAVIANO
(CIOÈ SUL PD)
» pag. 18
Tecce e Valdambrini » pag. 2 - 3
Obama, Renzi e i soldi sporchi visti da Fucecchi
LEZZI (M5S) RACCONTA
» EMERGENZE » La Lega ricomincia: “Spariamo”. Il Papa: “Aiuto ai rifugiati”
L’Italia esplode di migranti
ma condona il lavoro nero
Da Milano a Roma, in migliaia accampati nelle
stazioni o nei centri. Intanto nelle maglie del Jobs
Act ecco l’aiutino agli imprenditori. La Cgil: “Non
sarà più sospesa l’attività di chi usa manodopera
irregolare”
Cannavò e D’Onghia » pag. 4 - 5
“Azzollini li guarda
e tutti obbediscono”
De Carolis » pag. 8
CORRADO PASSERA
DAL SUDAN A NIZZA
Mohamed:
“Il mio Luna
Park tra
le frontiere”
LA CATTIVERIA
De Luca: “Saviano si inventa la calvizie
per non comprarsi il pettine”
» www.forum.spinoza.it
STILE DI UN DIRETTORE
IL CRITICO D’ARTE
Caridi e Galeazzi » pag. 5
IL 30° COMPLEANNO
“Quelli della notte”, Arbore
e la banda del cazzeggio tv
“Ridete, ridete:
ora sopporto tutto
Tanto poi vinco io”
Caporale » pag. 9
y(7HC0D7*KSTKKQ( +,!
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Calci negli stinchi
al potere e ironia:
le regole di Rinaldi
Padellaro » pag. 14
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Bonito Oliva:
“Edonista sì ma
senza scandalo”
Pagani » pag. 15
Da Catalano a Riccardino,
le 33 puntate che
scanvolsero la televisione:
zero format, leggerezza,
improvvisazione e nonsense.
Perché “il materasso
è la felicità” Delbecchi » pag. 16
di Marco Travaglio
a una parte ci sono i giorD
naloni, cioè il mondo
dell’irrealtà. Prendete questo
titolo del Corriere: “Caso Azzollini, Ncd contro il sì all’arresto.
Il Pd frena. Orfini: voteremo a
favore. Poi telefona a Quagliariello: saranno valutate le carte”. L’Ncd è contro il sì, dunque – par di capire – per il no. Il
Pd è per il sì, ma poi parte una
chiamata al partito dell’arrestando per dire che nulla è deciso, bisogna valutare le carte,
potrebbe uscirne anche un no.
Diciamo che siamo al ni. In
ogni caso il Pd frena. Ma ecco
un titolo arrembante di Repubblica: “Azzollini, il Senato accelera”. E chissà mai chi sarà,
ad accelerare, visto che in Senato la maggioranza l’hanno il
Pd (che secondo il Corriere frena, dunque pare difficile che
possa contemporaneamente
accelerare) e l’Ncd (che tutto
può fare, fuorché affrettarsi a
far arrestare il suo uomo).
Poi c’è il Foglio (lo citiamo per
quelli che non lo leggono, cioè
per tutti), che staziona direttamente nel surrealismo: non
pago di gabellare la gang di
Mafia Capitale per un collegio
di educande, lancia una nuova
“battaglia di civiltà”. E lo fa attraverso le sue migliori lingue
di ultima generazione: Salvatore Merlo esorta i veneziani a
“non votare per Felice Casson”, per impedire a un incensurato, per giunta ex pm, che
parla addirittura di legalità, di
diventare sindaco di Venezia,
al posto del compianto Giorgio Orsoni finito in manette;
Claudio Cerasa implora con
un altro, straziante appello
“Salvate Venezia e l’Italia dai
Felice Casson. È una battaglia
di civiltà. Tutti insieme Podemos fermarli!”. Abbasso le
guardie, viva i ladri.
Sul Corriere, Pigi Battista assiste
affranto, ma mai domo, alla
deriva giustizialista di un Parlamento che “decide a prescindere” di “soddisfare la voglia di
forca” e ancora una volta “dare
in pasto all’opinione pubblica
inferocita” un altro, l’ennesimo parlamentare espiatorio,
Antonio Azzollini, quello che
voleva pisciare in bocca alle
suore della Misericordia e per
ciò vittima di “quell’impalpabile ma maleodorante fumus
persecutionis” della solita “Procura” cattiva (l’arresto l’ha disposto il Gip, ma fa lo stesso). Il
fatto che negli ultimi trent’anni le Camere abbiano autorizzato la cattura di 4 onorevoli
arrestati su una cinquantina,
non lo tange. È “l’improvvisa
scomparsa dei garantisti”, su
cui lacrima La Stampa. Alessandro Campi, sul Messaggero,
dalla Grande Razzia scoperchiata dalle indagini trae questa strepitosa lezione: “La politica comincia a sentirsi sempre più accerchiata dalla magistratura”.
Segue a pagina 20
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2
PRIMO PIANO
SABATO 13 GIUGNO 2015
Pprendono
ensioni, le toghe
103 mila
euro all’anno
IN MEDIA prendono 103.000 euro
all’anno, e circa il 90 per cento dei
trattamenti è superiore a quanto sarebbe stato dato in base al calcolo
contributivo. Sono i dati diffusi
dall’Inps riguardo le pensioni dei magistrati, nell’ambito “dell’operazione
trasparenza sui trattamenti degli
iscritti ai fondi speciali dell’Istituto”.
Stando alla relazione, se le pensioni
venissero riconteggiate in base alle
contribuzioni, il 13 per cento dei trattamenti subirebbe una perdita di valore del 25 per cento, mentre per un
altro 20 delle toghe in pensione il taglio viaggerebbe tra il 15 e il 25 per
il Fatto Quotidiano
cento. Riduzioni che si spiegano anche con un dato: fino al 1992 i magistrati potevano contare su condizioni privilegiate come il calcolo della
pensione sulla base della retribuzione dell’ultimo giorno di servizio, maggiorata del 18 per cento, e su aliquote
di rendimento superiore a quelle de-
gli altri lavoratori (2,33 per cento invece del 2). “Rispetto ad altre categorie le riduzioni risultano più contenute - spiega l’Inps - in quanto l’età
media e l’anzianità media alla decorrenza sono pari a circa 70 e 46 anni,
più elevate rispetto alla media delle
pensioni dei dipendenti pubblici”.
SOLDI SPORCHI, C’È CHI DICE NO
OBAMA NEL 2012 HA RESTITUITO UN FINANZIAMENTO DI 300 MILA DOLLARI PROVENIENTI
DALLA FAMIGLIA DI UN NARCOTRAFFICANTE MESSICANO. NON LO OBBLIGAVA NESSUNA LEGGE
di Andrea Valdambrini
chiude drasticamente: “Sulla
base delle domande sollevate
tutti i soldi verranno restituiti”,
ha dichiarato un portavoce della compagna democratica riferendosi alle relazioni pericolose dei parenti americani con
Pepe in Messico messe in luce
dall’inchiesta del quotidiano
newyorchese.
C
he i soldi non abbiano odore, non è sempre vero. A volte puzzano di criminalità e,
anche se può sembrare strano,
ci sono politici che se ne accorgono benissimo. Durante la
campagna elettorale che lo
avrebbe portato alla sua rielezione nel 2012, Barack Obama
si è sentito in obbligo di restituire una grossa donazione
privata proveniente dalla famiglia del magnate messicano
Juan José Rojas Cardona, per
gli amici Pepe, latitante fuggito
dagli Usa dopo pesanti accuse
di frode e traffico di droga. E i
suoi fratelli, in cerca di riscatto
per il nome della famiglia, hanno fatto una bella raccolta fondi per il Partito democratico:
200 mila dollari da diversi
membri della famiglia, più altri
100 mila raccolti attraverso di
loro.
Sospettato di omicidio
e giri di mazzette
Pepe Cardona racconta il New
York Times, non sembra esattamente un tipo raccomandabile.
Fuggito dall’Iowa dove era stato liberato su cauzione, riappare nel suo Paese d’origine, il
Messico, e si fa conoscere dalla
giustizia per attività violente e
atti di corruzione. Emerge anche da un cavo di Wikileaks nel
2009, dove si parla di lui come
sospettato per aver organizzato
l’omicidio di un suo rivale d’affari, nonché distribuito mazzette a funzionari locali. Secondo la magistratura americana,
Sessanta parlamentari
rimandarono tutto indietro
ANCHE BUSH JR
Nel 2006 restituì
una piccola somma
(6.000 verdoni)
a un truffatore, lo stesso
a cui Hillary Clinton
ne rispedì 2.000
nel 2011 uno dei suoi fratelli
cerca (invano) un contatto con
l’allora presidente democratico dell’Iowa per cercare di far
perdonare i reati di Pepe e farlo
così rientrare negli Usa. Pochi
mesi dopo, un altro fratello comincia a raccogliere fondi per
Obama nella roccaforte del
presidente a Chicago. Lui stesso, con altri membri della sua
estesa famiglia, è un finanziatore: oltre 30 mila dollari al Comitato democratico nazionale
vengono proprio dai due fratelli, 13 mila dollari dalla sorella
che risiede in Tennessee. Troppo zelo per non insospettire i
supporter di Obama. A inizio
febbraio del 2012 la vicenda si
Atto dovuto o dimostrazione
di responsabilità da parte della
politica? In un sistema politico
tutto apertamente finanziato
da donazioni di privati o di lobby, nessuna legge obbliga la restituzione. Ma a volte i politici
preferiscono rinunciare piuttosto che rischiare un’indagine
o uno scandalo per corruzione.
Per questo nel 2006 l’allora presidente George W. Bush si liberò della modesta cifra di 6 mila
dollari, donati come contributo dal lobbista Jack Abramoff,
devolvendoli in beneficenza
per la ricerca contro le malattie
cardiache. Abramoff, uomo
d’affari americano con tutt’e
due le mani nel finanziamento
alla politica, è stato condannato a sei anni di prigione per
truffa, corruzione di pubblici
ufficiali ed evasione fiscale.
Nonostante la sua vicinanza al
Partito repubblicano, il lobbista aveva distribuito regali a politici di una parte e dell’altra: 60
parlamentari – tra cui Hillary
Clinton a cui erano andati 2.000
dollari – hanno restituito quel
denaro considerato imbarazzante. Così come, solo per essere al riparo da polemiche, Mi-
Blair costa 16 mila
sterline a settimana
L’EX PREMIER Tony Blair costa fino a 16 mila sterline, quasi
20 mila euro, a settimana al contribuente britannico: lo sostiene il Telegraph che ha avuto accesso a una serie di documenti segreti, con dettagli dei suoi viaggi per il mondo,
accompagnato da guardie del corpo, volando con jet privati, alloggiando in alberghi a
cinque stelle. In base ai documenti, emerge
che Blair, in diversi suoi viaggi per il Quartetto per il Medio Oriente da lui presieduto
fino a poco tempo fa, ha anche avuto una
serie di incontri di lavoro privati, il che fa
ipotizzare un potenziale conflitto di interessi. In una settimana, l’ex premier – che ha
costruito un vero impero di consulenze internazionali – può recarsi in cinque Paesi
diversi, costando tra le 14 e le 16 mila sterline al contribuente.
Blair è infatti accompagnato da una squadra di poliziotti, pagati da tutti i cittadini britannici, spese comprese.
chelle Obama nel 2010 ha detto
“no grazie” a un controverso
emolumento destinato alle first
lady americane frutto di un lascito privato fin dal 1912.
Nella vecchia Europa
le cose cambiano
È da questa parte dell’Atlantico
– dove il finanziamento alla politica è però in gran parte pubblico eccetto che nel Regno
Unito – che le cose cambiano e
i politici non sembrano inclini
a restituire soldi sporchi o frutto di uno scandalo, a meno che
non lo imponga un provvedimento giudiziario. È pur vero
che a Parigi il premier socialista
Manuel Valls ha messo mano al
“TU VUO’ FA
L’AMERICANO”
Il premier Matteo Renzi
assieme al presidente
Barack Obama LaPresse
portafoglio dopo aver portato a
spese dei contribuenti i suoi figli alla finale di Champions
League a Berlino sabato scorso.
Il primo ministro francese, che
è di origini catalane e tifoso del
Barcellona, si è difeso dicendo
che si trattava di un viaggio ufficiale per incontrare il presidente Uefa Platini in vista degli
Europei che si terranno in
Francia nel 2016. Ma, messo
sotto pressione dalla stampa e
dall’opinione pubblica (su
Twitter ha dilagato l’hashtag
#Vallsgate), alla fine ha rimborsato 2.500 euro, la cifra stimata
per il volo da Poitiers a Berlino
con i suoi due rampolli.
@andreavaldambri
“LI HO GIÀ SPESI”
E in Italia invece se li tengono
(quasi) tutti in tasca, dal Pd a Fi
di Carlo Tecce
sità il rivale, Gianni Alemanno (75.000). L’ex chirurgo ha spiegato che quel denaro apparteneva al
er incastrare Mario Chiesa, il magistrato An- Comitato per il voto a Roma. Il famelico Buzzi, a
tonio Di Pietro firmò le banconote di una un mese dall’arresto per Mafia Capitale di dicemmazzetta. Perché il denaro, inodore e incolore, bre, aveva pure prenotato un tavolo per la cena di
non dichiara la provenienza. Con la graduale abo- raccolta fondi dei democratici: 15.000 euro che
lizione del finanziamento statale, per politici e hanno rimpinguato un gruzzolo di 1,5 milioni,
partiti, abituati a consumare molto per le cam- rastrellati a Roma e Milano il 6 e 7 novembre e
pagne elettorali, diventano essenziali i contributi ancora di ignota identità. Non risulta che il Naprivati. Poi capita che il donazareno abbia rispedito al mittore incappi in un’inchiesta giutente (o in beneficenza) i 15.000
diziaria, che sia Salvatore Buzzi
euro di Buzzi, ma l’avvocato Alberto Bianchi, tesoriere di
o la Cpl Concordia di Modena o
l’ingegnere Stefano Perotti e la
Open, la fondazione renziana,
risposta, a soldi spesi, è classica:
l’ha fatto per l’obolo da 5.000
io non potevo sapere. Obiezioeuro che la coop 29 Giugno ha
ne accolta: ma restituire, no?
inoltrato per la Leopolda. AppaAccade negli Stati Uniti. In Itare un’opera immane riassumere
lia, il rimedio è la memoria deil legale passaggio di denaro fra
bole: passata l’indignazione,
aziende ora coinvolte in indagiscordata la riconsegna. La 29
ni e politici di qualsiasi schieraGiugno e la Eriches di Buzzi, in
mento, ma soltanto nell’ultimo
tempi non sospetti, hanno sosemestre gli episodi sono stati
stenuto la candidatura di Ignanotevoli. A marzo, la Procura di
zio Marino con un paio di boNapoli ha scovato l’elenco di
nifici registrati, per un totale di
elargizioni di Cpl Concordia,
Francesco Bonifazi Ansa una tecnica che la cooperativa
30.000 euro. E con più genero-
P
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emiliana, a caccia di appalti, sfruttava per intrattenere e rafforzare relazioni di sistema. S’era appena stemperata la disputa mediatica per i 20.000
euro alla Fondazione ItalianiEuropei di Massimo
D’Alema. Cpl Concordia, interessata a ghermire
commesse locali, ha agevolato la propaganda di
numerosi sindaci e sezioni locali dem: 20.000 per
Virginio Merola, che correva per la fascia tricolore
a Bologna; 5.000 per Antonio Decaro a Bari;
10.000 ciascuno per i democratici di Pesaro e Ferrara, il doppio a Urbino; altri 15.000 di nuovo a
Ferrara e 3.000 al comitato di Pier Luigi Bersani.
Robusta passione per il Lazio: 20.000 per Nicola
Zingaretti (metà per il comitato e metà per una
lista civica); 6.000 per una comune serata elettorale di Zingaretti e Marino; ancora 2.500 euro
per l’ex chirurgo; 10.000 per Eugenio Patanè, consigliere regionale indagato per Mafia Capitale;
17.000 per il Pd provincia di Roma; 10.000 per il
senatore viterbese Ugo Sposetti. Non mancano le
Europee: 2.000 per il mandato a Strasburgo di Cecile Kyenge, 4.000 per l’ex ministro Flavio Zanonato e 5.000 per le cene dem di novembre. Questo
rosario di nomi e cifre non contiene più Giorgia
Meloni (2.000) e Alfredo D’Attore (5.000), la fondatrice di Fratelli d’Italia e il deputato pd di estrazione bersaniana hanno promesso che i soldi
La candidata
alla
Presidenza
degli Stati
Uniti, Hillary
Clinton Ansa
sporchi non li vogliono. “Li mando a Scampia”,
ha garantito la Meloni già in aprile. Il capitolo Cpl
Concordia s’è aperto con lo scandalo “Grandi
Opere/Ercole Incalza” ancora bollente e le dimissioni di Maurizio Lupi.
OLTRE A UN ROLEX per la laurea del figlio, Ste-
fano Perotti, il direttore dei lavori di cantieri pubblici da 25 miliardi di euro, ha aiutato l’amico
Maurizio Lupi per le politiche 2013, 10.000 euro
attraverso la Ingegneria Spm. Giovedì Salvatore
Menolascina, patron de La Cascina, la coop vicina
a Comunione e Liberazione, è stato interrogato in
Tribunale dopo l’arresto ai domiciliari (accusa di
corruzione e turbativa d’asta) per la seconda retata di Mafia Capitale. Il 4 luglio 2013, l’allora ministro Lupi ha informato la Camera di aver ricevuto 5.000 da Menolascina. “Grande Opere” ha
invischiato anche la Italiana Costruzioni, una società con preferenze politiche poco nette. Nel
2013, Italia Costruzioni ha puntato su Nicola Latorre (30.000), sull’Udc di Pier Ferdinando Casini
(25.000), su Nicola Zingaretti (25.000). E per andare più indietro col calendario, al 2006, vanno
ricordati i 98.000 euro a Bersani di Emilio Riva,
l’ex padrone dell’Ilva scomparso un anno fa. I Riva, però, tifavano per Forza Italia (575.000).
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PRIMO PIANO
il Fatto Quotidiano
Faccusa
orza Italia
l’ex Fitto
per fatture inevase
“LEGGO IL CURIOSO e patetico
tentativo di parlare delle spese sostenute negli anni passati da Forza
Italia in Puglia, di volta in volta autorizzate da chi aveva responsabilità
dirigenziali nel partito (non certamente da me) sia a livello regionale
sia a livello nazionale, spese esclu-
sivamente fatte solo per le diverse
campagne elettorali e mai per pagare mega affitti, personale ed altri
costi per manifestazioni che per anni
hanno gravato per decine e decine di
milioni di euro sui bilanci del partito
di Forza Italia e del Pdl utilizzando le
centinaia di milioni di euro ricevuti
SABATO 13 GIUGNO 2015
come contributo pubblico”. Lo afferma il leader di Conservatori e Riformisti facendo riferimento ad un articolo apparso su il Tempo dal titolo
“700mila euro di fatture inevase.
L’ultima accusa degli azzurri a Fitto”.
“Ciascuno – prosegue – può giudicare tempi (si parla nel 2015 di spese
3
autorizzate dal 2010 al 2013) e modalità di questo maldestro tentativo.
Sarebbe utile invece capire come è
stata spesa questa montagna di soldi pubblici. In ogni caso, per quanto
mi riguarda, ho già dato mandato ai
miei legali per procedere nelle sedi
competenti”.
WEB A 5 STELLE
Grillo, i dieci anni
del blog per l’assalto
al Parlamento
DA BERSANI “GARGAMELLA” A BERLUSCONI
“PSICONANO”. STORIA E TROVATE DEL PORTALE
“Ma il nostro vitalizio
è giustizia sociale”
LA DIFESA DEGLI EX PARLAMENTARI RIUNITI IN ASSEMBLEA CONTRO LA CAMPAGNA
DEL QUOTIDIANO LIBERO: “QUEL GIORNALE HA PRESO SOVVENZIONI PUBBLICHE”
di Fabrizio d’Esposito
to del mandato parlamentare,
l’abolizione dei vitalizi segnerebbe, in realtà, un grave arretramento verso modelli oligarchici ed elitari di democrazia
che trasformano in una scatola
vuota il principio della sovranità popolare”.
I
l vitalizio è giustizia sociale nonché garanzia
della tenuta democratica, “contro l’arretramento verso modelli oligarchici ed elitari”. Mercoledì scorso,
nella Sala del Refettorio di Palazzo San Macuto, a Roma,
un’ottantina di ex parlamentari
si è riunita per la tradizionale
assemblea annuale in cui approvare il bilancio della loro associazione. Ma la concomitanza con la campagna mediatica,
in particolare di Libero, contro i
vitalizi di centinaia di ex deputati ed ex senatori ha trasformato la riunione in una manifestazione di orgoglio e rabbia e rivendicazione dei diritti acquisiti. E così ex dc, ex psi, ex missini, ex azzurri, ex comunisti, ex
radicali si sono ritrovati insieme ad applaudire la relazione in
merito di Antonello Falomi, ex
pci poi diessino e infine dipietrista. Falomi è il segretario degli ex parlamentari, mentre il
presidente è una figura storica
della Dc, Gerardo Bianco.
Falomi è partito da lontano, da
quando nel 1912 fu introdotta
l’indennità parlamentare. Punto d’arrivo: “Se deve essere consentito a tutti, anche a chi non
ha i mezzi, di accedere in condizioni di eguaglianza alle cariche elettive e se è importante
che i parlamentari svolgano il
loro mandato liberamente, senza vincoli e condizionamenti,
allora è del tutto logico garantire ai parlamentari che cesseranno il loro mandato un trattamento previdenziale. Ne sanno qualcosa in proposito quei
nostri colleghi che, cessato il lo-
DA QUI SI arriva al cuore della
Antonello Falomi (ex Pci, Pds, Ds e Idv) e Gerardo Bianco (ex Dc)
ro mandato parlamentare, hanno subito discriminazioni e penalizzazioni in ragione della attività parlamentare svolta. E ne
sanno qualcosa anche quei colleghi, e non sono pochi, che, interrotta la loro attività professionale per adempiere il dovere
di parlamentare, hanno faticato
non poco per reinserirsi nel circuito della loro professione”.
IL RAGIONAMENTO si collega a
quanto scritto da Bianco in una
lettera aperta ai presidenti di
Camera e Senato: “L’indennità
parlamentare e il connesso vita-
LA DIFESA
“Abolire le pensioni
degli ex onorevoli
e senatori sarebbe
un grave arretramento
verso modelli
antidemocratici”
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lizio (che non è una pensione,
pur avendo carattere previdenziale, ndr) hanno il valore di una
garanzia assicurativa per il parlamentare al fine di garantire il
libero svolgimento del mandato”. Gli ex parlamentari rivendicano la “costruzione democratica” del Paese.
Continua Falomi: “Penso che si
possa discutere tutto, l’entità
della contribuzione, il metodo
di calcolo di vitalizi o pensioni,
l’età per accedervi, il rapporto
con le legislature svolte, il loro
ammontare, il loro cumulo. Ciò
che non si può accettare è l’idea
di generalizzare il modello, a
mio avviso incostituzionale,
della Regione Emilia Romagna
che ha semplicemente cancellato l’istituto del vitalizio senza
sostituirlo con niente altro. La
violenta e offensiva campagna
per l’abolizione dei vitalizi ha un
contenuto antidemocratico che
non dobbiamo sottovalutare.
Rimettendo in discussione il
principio di eguaglianza nell’accesso alle cariche elettive e il
principio del libero svolgimen-
difesa. Senza dimenticare che
“Libero soltanto nel 2013 ha ricevuto dallo Stato 3milioni 405
mila 240 euro”. Il bersaglio di
Falomi è la campagna contro la
Casta: “Nei confronti di questi
colleghi sentiamo il dovere di
tutelarne, anche in sede giudiziaria, se necessario, la dignità e
l’immagine gravemente lesa da
una campagna infamante e diffamatoria. Ma non è solo per
questo che sentiamo il dovere di
resistere e reagire. Dobbiamo
resistere e reagire perché in gioco non ci sono i nostri vitalizi,
ma la natura stessa della nostra
democrazia”. La lotta ai privilegi della Casta è solamente
“un’arma di distrazione di massa” perché “da quando questa
campagna è iniziata, nessuno
può smentire che in Italia il tasso di diseguaglianza sociale sia
enormemente cresciuto”. Poi,
l’ultima bordata contro i giornali: “Noi non ci siamo mai permessi né ci permetteremo mai
di chiamare papponi, scrocconi, mangioni le imprese editoriali che si sono avvalse di queste
risorse pubbliche, né abbiamo
mai chiesto la restituzione delle
risorse ricevute, perché sappiamo che esse sono servite a sostenere concretamente il principio costituzionale della libertà e
del pluralismo dell’informazione”.
di Virginia Della Sala
l primo post pubblicato sul blog di Beppe Grillo porta la data
I
del 16 gennaio 2005, lo stesso anno della nascita di Youtube.
Si intitola il “Muro del pianto”, è un manifesto in 14 parole di
ciò che non sarà: “Questo è un post aperto per argomenti che
non riguardano le città della tournee”. Ed è l’inizio di un fenomeno nuovo per forma e sostanza, almeno in Italia. La politica (gli Amici di Beppe Grillo si presenteranno alle amministrative in Sicilia nel 2008, il M5S arriverà solo nel 2009)
incontra la rete, per non tornare indietro.
Da allora sono trascorsi oltre dieci anni: Grillo lo ha ricordato
ieri, con l’annuncio della pubblicazione di alcuni ebook che
raccontano l’Italia vista dai 5 Stelle attraverso post e discussioni su singoli temi. “La Rete è cambiata – scrive il fondatore ci sono state guerre, nuovi governi, nuovi presidenti, disastri
immani, qualcuno ci ha lasciato (...) Il mondo è cambiato e
anche un po’ il blog, ma non ha tradito il suo spirito originale.
Quello di informare e di rompere le uova nel paniere a delinquenti e corrotti”.
L’UOMO CHE SPACCAVA I COMPUTER in scena e che definiva
la rete “inFernet” ne scoprì l’importanza dopo un incontro con
Casaleggio e i consigli di un amico. Parallelamente all’avvio del
blog, mise in scena uno spettacolo dal titolo Beppegrillo.it. “È una
via di scampo – scriveva nei primi post, riferendosi al web - La
tecnologia deve essere usabile, semplice, invisibile”. E lo è stata.
Tanto che l’invisibilità è venuta meno: unico tra quelli italiani a
entrare tra i 100 blog più letti e più influenti del mondo (tra i
primi 25 secondo quanto riportato dal Time nel 2006), ha introdotto termini e concetti che oggi appartengono al vocabolario della satira e dell’immaginario dei lettori. Dal Bersani Gargamella a Napolitano - Morfeo, passando per lo Psiconano-Berlusconi, così battezzato in un post del 2009.
Ma il blog ha soprattutto avviato e vinto numerose battaglie.
L’ultimo post invita a partecipare alla Fiaccolata dell’Onestà ad
Ostia, il 27 giugno. Nel 2005 Grillo compra con altri cittadini
una pagina de La Repubblica chiedendo le dimissioni di Antonio
Fazio, al tempo governatore della Banca d’Italia coinvolto nello
scandalo Opa-Antonveneta. Raccolse più dei 15mila euro richiesti. Ed esultò definendolo il primo evento di democrazia
diretta in Italia, decise di destinare il resto a un’altra iniziativa.
Arrivò così la missione “Parlamento Pulito”, la pubblicazione
della lista completa dei pregiudicati eletti, con relativi reati. Provò a comprare sui quotidiani italiani una pagina che l’ospitasse.
Ma nessuno accettò. Alla fine l’acquistò una sull’Herald Tribune
per 58 mila euro. Ma anche gli americani rinunciarono, intimoriti dalla reticenza della stampa italiana. Ospitarono solo il
link che rimandava al blog: lì, il pdf completo, bandiera italiana
e il disegno di una scopa, è ancora consultabile. Nel 2007 le
primarie programmatiche online: discusse da almeno 800mila
persone. E sul blog l’annuncio, lo stesso anno, del
primo Vaffanculo day, o
LA CONVERSIONE
V-Day. “Una via di mezzo
tra il D-Day dello sbarco in
Il leader del M5S
Normandia e V come Vendetta. Per ricordare che dal
spaccava pc in scena
1943 non è cambiato niene urlava contro “infernet”. te”, scriveva Grillo. E invece, almeno sul web, tanto è
Ora parla ogni giorno
cambiato: come il “Partigiano della Terza guerra
tramite il sito, tra i cento
mondiale” (così si definì
più letti del mondo
Grillo) aveva immaginato.
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4
ECONOMIA
SABATO 13 GIUGNO 2015
Isilva,lavora:
morire mentre
il vescovo
piange l’operaio
“NON SI PUÒ MORIRE mentre si lavora. Non è giusto. Non è tollerabile”. La frase più chiara sulla morte
di Alessandro Morricella, il giovane operaio Ilva
ustionato dalla fuoriuscita di ghisa incandescente
lunedì scorso nell’altoforno 2 dello stabilimento ionico, la scrive l’arcivescovo di Taranto, monsignor
Filippo Santoro.
Morricella si era avvicinato al foro di colata per ef-
il Fatto Quotidiano
fettuare i prelievi finalizzati al controllo della temperatura della ghisa quando è stato colpito dalla
fiammata. A nulla sono valsi gli indumenti di protezione che indossava. Il sostituto procuratore del
Tribunale di Taranto Antonella De Luca ha iscritto
nel registro degli indagati quattro persone. Morricella lascia la moglie e due bimbi piccoli. La Fiom si
costituirà parte civile.
JOBS ACT, IL LAVORO NERO
POTRÀ ESSERE CONDONATO
Whirlpool contro
la chiusura: Renzi
rispetti le promesse
LA CGIL DENUNCIA LA NORMA CHE ABOLISCE LA SOSPENSIONE DELL’ATTIVITÀ
PER CHI OCCUPA PERSONALE IRREGOLARE: “UNA ULTERIORE SPINTA ALL’ILLECITO”
IN 2000 IN PIAZZA DAVANTI ALLO STABILIMENTO
DI VARESE. NUOVA PROTESTA IL 17 GIUGNO
di Salvatore
o sciopero del gruppo Whirlpool è “riuscito in tutte le
L
sedi”. È il comunicato Fiom quello più netto al termine
di una nuova giornata di mobilitazione per gli operai del
C
Cannavò
presa. La cassa integrazione,
pur allargata alle aziende con
più di sei dipendenti (oggi 15)
viene ridotta a 24 mesi; si cancella la cassa integrazione per
“cessazione” con una deroga
di sei mesi solo per grandi vertenze (tipo Whirlpool).
on il Jobs Act si potrà
condonare anche il
lavoro nero. Lo stabilisce la norma inserita in uno dei nuovi decreti
legislativi varati l’altra sera dal
governo e che ora saranno al
vaglio delle Camere. Il decreto
riguarda la Semplificazione
LE TIPOLOGIE contrattuali
delle procedure e degli adempimenti e, al punto d) della
sintesi pubblicata sul sito di
Palazzo Chigi si legge che viene inserita la modifica “alla
c.d. maxisanzione per il lavoro
‘nero’ con l’introduzione degli
importi sanzionatori ‘per fasce’, anziché legati alla singola
giornata di lavoro irregolare”.
Il termine “per fasce” fa rizzare i capelli alla Fillea-Cgil, il
sindacato degli edili che per
prima ha individuato in questa modifica e che, con il suo
segretario Walter Schiavella,
sottolinea che a una “assoluta
emergenza il governo risponde con un’ulteriore spinta deregolativa”. “Il provvedimento sulla semplificazione è
scritto sotto dettatura delle associazioni imprenditoriali”,
commenta Schiavella, perché
“per chi viene scoperto con dipendenti in nero non c’è più la
sospensione dell’attività fino
alla regolarizzazione, ma l’invito a sanare l’illecito”.
IL TESTO PREVEDE la reintro-
duzione della procedura di
diffida, che consente la regolarizzazione delle violazioni
accertate. “La regolarizzazione
è subordinata al mantenimento al lavoro del personale ‘in
nero’ per un determinato periodo di tempo”, precisa il governo mentre viene modificato il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale “favorendo una immediata eliminazione degli effetti
della condotta illecita, valorizzando gli istituti di tipo premiale”. “In un paese in cui le
aziende edili subiscono in media un’ispezione ogni 15 anni,
eliminare anche il deterrente
della sospensione dell’attività è
un chiaro incentivo all’utilizzo
del lavoro nero e irregolare”, è
il giudizio di Schiavella.
Il sindacato degli edili Cgil denuncia anche un’altra modifica “grave”: l’eliminazione
dell’obbligo, nell’ambito dei
cantieri edili, di munire il personale occupato con apposita
tessera di riconoscimento”, il
cosiddetto cartellino. “Non è
sicuramente solo il tesserino
che tiene lontane le irregolarità”, prosegue Schiavella, “ma
certamente aiuta”. La Cgil ricorda il caso dei cantieri Expo
dove, anche se non si è riusciti
a far emergere tutte le irregolarità, ci sono stati comunque
PAESE REALE
Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti Ansa
controlli costanti e, pochi giorni fa, 200 lavoratori irregolari
sono stati allontanati. “Grazie
anche all’istituto del cartellino” che invece ora con il provvedimento del Jobs Act scompare.
Lo spirito del Jobs Act, commenta al Fatto Guglielmo Loy
della segreteria Uil, obbedisce
a una “impostazione che sposta il baricentro degli interven-
ti verso l’impresa”. Il filo individuato da Loy, non certo un
estremista, ricorre in tutti i
provvedimenti.
A parte l’allungamento del
congedo parentale per i figli fino a 12 anni e l’allungamento
della Naspi a 24 mesi – misure
che sono però finanziate dalla
riduzione della cassa integrazione – il resto delle misure è
sintomatico della logica di im-
non vengono sostanzialmente
toccate: il contratto a termine e
quello di somministrazione
sono più liberi da vincoli, il ricorso al voucher viene incentivato, le collaborazioni rimarranno a eccezione di quelle
“personali che si concretizzino
in prestazioni di lavoro continunative ed etero-organizzate dal datore di lavoro”. Rimarranno anche quelle previste da specifici accordi collettivi.
La misura del demansionamento organizzativo produrrà
effetti rilevanti nei posti di lavoro con effetti anche sulla retribuzione in presenza di “trattamenti accessori legati a specifiche modalità di svolgimento del lavoro” che saranno
quelle prese maggiormente di
mira.
Molto blande, invece, le norme sulla nuova Agenzia ispettiva del lavoro che avrà compiti di “coordinamento” e sulla
nuova Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive del
lavoro dentro la quale è prevista la presenza anche delle
Agenzie private.
gruppo elettrodomestico che, nonostante le rassicurazioni
del governo Renzi, stanno cercando faticosamente di salvare
i propri posti di lavoro. Lo sciopero ha bloccato gli stabilimenti di Siena, Fabriano, None, Comunanza, Napoli,
Caserta e anche Varese, dove si è svolta una manifestazione
di duemila lavoratori. Il corteo è partito alle 9.30 da Gavirate
e ha raggiunto il piazzale di fronte alla direzione di Whirlpool, a Comerio, dove la manifestazione è stata chiusa dagli
interventi di alcuni delegati di fabbrica e da quelli dei tre
segretari generali di Fim, Fiom e Uilm.
NEL SUO INTERVENTO MAURIZIO LANDINI ha ribadito
che “i lavoratori, uniti, respingono la logica sbagliata delle
assunzioni da una parte e delle chiusure dall’altra, chiedendo
all’azienda di cambiare il piano industriale”. La Fiom, nonostante fosse stata contestata
in Campania, ha ribadito che
“non è accettabile la chiusura
dello stabilimento di Caserta”.
“Auspichiamo - ha concluso
Landini - che dall’incontro del
prossimo 17 giugno cominci
una trattativa vera e che anche il
governo faccia la sua parte”.
Il segretario generale della Fim
Marco Bentivogli, ha chiuso la
manifestazione con un richiamo forte al presidente del Consiglio, Matteo Renzi. “Abbiamo
buona memoria - ha detto - Nel
luglio scorso avevi salutato l’operazione come qualcosa di
straordinario, serve più attenzione e più rispetto per i lavoratori italiani, hai preso degli impegni, non dimenticarli”.
La chiusura dello stabilimento Whirlpool di Carinaro “è un
delitto contro l’umanità” ha invece ribadito il segretario generale della Uilm Rocco Palombella che ha aggiunto: “Abbiamo chiesto il motivo all’azienda e non ci hanno saputo
rispondere, perché non c’è una logica”. “Il prossimo 17 giugno - ha aggiunto - dobbiamo essere tutti uniti per dire che il
piano va cambiato”.
POLEMICHE
Rai, il concorsone dei veleni
di Roberto Salvetti
irca cinquemila giornalisti chiaC
mati a sostenere le prove per un
concorso, quello Rai, atteso da anni.
Solo che i 4982 concorrenti per 100 posti dovranno recarsi in un centro molto
piccolo, Bastia Umbra, in provincia di
Perugia, difficilmente raggiungibile da
tutta Italia. La vicenda sta infiammando i rapporti tra l’Ordine dei giornalisti
e la stessa Rai. Tra le anomalie segnalate
finora, la convocazione di pubblicisti o,
addirittura in un caso, di pensionati.
IL CONCORSO È FRUTTO di un accordo
siglato dall’Usigrai nel luglio del 2013.
Ci sono voluti quasi due anni per arrivare alle prove definitive anche se le
giornate umbre serviranno solo a una
scrematura fino a 400 candidati che poi
sosterranno le prove finali.
Invece di rallegrarsi per una novità relativa al mondo Rai e alla professione
giornalistica, però, l’Ordine dei giornalisti, presieduto da Enzo Iacopino, ha
diramato una nota di netta presa di distanza: “Un’occasione mancata per recuperare quella credibilità che dovrebbe avere la prima azienda di informa-
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zione in Italia” è stata la prima bordata.
“La convocazione per la prima prova testimonia un assoluto disprezzo per
quanti coltivano il sogno di essere utili
ai cittadini”, la seconda cannonata. “La
scelta di Bastia Umbra, che ha ignorato
le più elementari esigenze per garantire
l’accessibilità dei partecipanti, dimostra una mentalità proprietaria”. Terzo
colpo, il più duro.
La Rai ha mostrato “vera e propria indignazione”: “In un momento nel quale
il settore dell’editoria si trova in crisi
gravissima la Rai, con uno sforzo non
scontato, si appresta a fare una selezione trasparente e a livello nazionale”.
L’attacco dell’istituto di Iacopino viene
definito “al limite dell’autolesionismo,
Luigi Gubitosi, direttore
Rai si dice “indignato”
per le polemiche
contro il concorso Ansa
TUTTO ESAURITO
Cinquemila candidati
per cento posti, ma la
prova per Viale Mazzini
si tiene nella piccola
Bastia Umbra. Scontro
con l’Ordine giornalisti
basato su argomenti risibili”. I vertici di
Viale Mazzini contestano che 22 giorni
di preavviso costituiscano un termine
limitato “visto che proprio l’Ordine ha
convocato il 26 maggio i partecipanti
all’esame professionale del 15 giugno”.
Il luogo, secondo la Rai, è stato selezionato al termine di una gara pubblica:
“Bastia Umbra è indubitabilmente posta nel centro del Paese e le strutture
ricettive dei dintorni offrono oltre 20
mila posti letto”.
I MALIGNI, IN REALTÀ, dicono che la
scelta umbra è motivata dalla vicina
Scuola di Perugia, tradizionale “vivaio”
dei giornalisti Rai, una sorta di feudo
dell’azienda radiotelevisiva. “Prendiamo atto che Bastia Umbra sia il centro
del mondo”, ha replicato molto ironicamente l’Ordine, ma l’affermazione
“rischia di aprire un conflitto nella regione perché questo ruolo è storicamente rivendicato da Foligno”. L’istituto presieduto da Iacopino sostiene
che i prezzi degli alberghi siano raddoppiati nel giro di tre ore e accusa chi viaggia “in auto blu o di altro colore” di disprezzare le condizioni della categoria.
Che rimane piuttosto interdetta.
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CRONACA
il Fatto Quotidiano
Bobbligatorio
ruxelles insiste:
ospitare
40 mila emigranti
UN “PIANO B” per il negoziato sui ricollocamenti intra-Ue dei 40mila richiedenti asilo da
Grecia e Italia? Il portavoce della Commissione
europea Margaritis Schinas ha ribadito ieri che
“Difenderemo la nostra proposta”, che prevede
l’obbligatorietà, “fino all’ultima parola”. Sui ricollocamenti “gli Stati membri hanno espresso visioni divergenti sulla natura obbligatoria. Alcuni
SABATO 13 GIUGNO 2015
5
hanno messo in discussione la chiave di ripartizione proposta dalla Commissione, ed in particolare l'oggettività dei criteri”, così il documento della presidenza lettone del Consiglio Ue per la
riunione dei ministri degli Interni di martedì. In
discussione anche “il numero totale delle persone da ricollocare, i fondi a disposizione, e la
capacità delle strutture degli Stati”.
Immigrazione, liberi tutti
tra “spari” e “normalità”
MARONI RIUSA L’ARMAMENTARIO LEGHISTA. GENTILONI DICE CHE LA SITUAZIONE
MIGLIORA. LA CEI ACCUSA LA POLITICA DELLA PAURA. LA FRANCIA CHIUDE IL CONFINE
di Silvia D’Onghia
S
e la risposta dell’esecutivo è quella che dà il
ministro degli Esteri,
allora siamo perduti.
“Il governo ci sta lavorando e mi
pare che la situazione si stia normalizzando”, ha detto ieri Gentiloni. Viene da pensare che non
abbia neanche aperto siti Internet o guardato telegiornali; altrimenti si sarebbe reso conto
che le centinaia di profughi ammassati alla stazione Centrale di
Milano o al centro di accoglienza Baobab di Roma (700, dopo
lo sgombero della Tiburtina, a
fronte di una capienza di 190)
tutto sono tranne che una “situazione normalizzata”. E che
anzi, su questo fronte, si sta giocando una partita politica che
lascerà feriti sul campo.
sicurezza per tutti non è una comunità di vita e di destini, ma un
insieme di interessi dove vince
chi è più forte”, ha monitato il
presidente della Cei, Angelo Bagnasco. Sorretto e supportato
dalle parole dello stesso papa
Francesco, che – rivolto ai cappellani aeroportuali – ha messo
in guardia: “Qui transitano migranti e rifugiati, bambini e anziani, persone che hanno bisogno di cure e attenzioni speciali.
Vi è anche il preoccupante nu-
fatto
a mano
mero di passeggeri senza documenti – spesso rifugiati e richiedenti asilo –, che sono detenuti
nei locali aeroportuali per brevi
o lunghi periodi, a volte senza
adeguata assistenza umana e
spirituale”. Un altro segnale,
semmai ce ne fosse bisogno,
Bergoglio lo darà a Torino il 22
giugno, quando visiterà un centro per rifugiati.
E NONOSTANTE il presidente
del Senato Grasso senta l’esigenza di intervenire a Milano
(“Non si può gridare all’emergenza sanitaria se nessuno pensa ad accogliere queste persone
in un contesto in cui questa
emergenza non può nemmeno
sorgere”), l’esecutivo – dicevamo – fischietta. Renzi e Alfano,
che sarebbero deputati a gestire
l’ondata di immigrazione, proprio sulla gestione dei migranti
hanno qualche problemino, leggi Mafia Capitale. Dal premier
solo un timido richiamo alla
questione: “Tanti abbaiano alla
luna, vivono sulle paure e pensano che la soluzione sia chiu-
NON A CASO il resto del gover-
no tace, di fronte agli strilli leghisti, ed è un silenzio assordante in cui la Chiesa diventa di sinistra. “Se una società si chiude
nella paura e non garantisce la
MILANO-ROMA SOLA ANDATA Migranti africani accampati alla Stazione Centrale di Milano in attesa di riuscire a partire per
l’estero e gli eritrei che a centinaia hanno soggiornato nel piazzale della
Stazione Tiburtina di Roma LaPresse/Reuters
dersi a chiave in casa, ma non è
così”. Certo è che lui la soluzione
l’ha demandata all’Europa, e
amen. E allora le piazze leghiste
sono praterie sulle quali far correre i vecchi cavalli di battaglia.
Maroni, dopo il capotreno assalito a colpi di ascia, chiede i militari sui treni e la possibilità di
“sparare”. Salvini agita lo spettro dell’emergenza sanitaria,
perché a Milano – dopo che a
Roma – si è registrato qualche
caso di scabbia. Non sa che la
scabbia è una malattia dermatologica che non si prende con una
stretta di mano, ma col contatto
prolungato. Non sa, o meglio
non gli interessa, tanto l’obiettivo è creare il panico. E al governatore della Toscana che tra
social e tv lo accusa di “razzismo
etnico”, risponde con un lapidario “Rossi sei un poveretto, pensa ai Toscani e non ai clandestini. Ruspa!”. Zaia dal Veneto e
Toti dalla Liguria gli vanno dietro e chiedono di non accogliere
più nessuno e di cacciare i clandestini dalle località turistiche.
Tra un grido e il silenzio, nessuno si accorge che, dopo Austria e Germania che hanno sospeso Schengen per il G7, anche
Ventimiglia adesso ha chiuso le
frontiere.
GRAND TOUR DEI MIGRANTI
di Cosimo Caridi
e Lorenzo Galeazzi
Nizza (Francia)
uesta non è l'Europa di cui
Q
ho sentito parlare. Qui non
ho incontrato le stesse persone
Il viaggio di Mohamed dal Sudan
e il Luna Park delle frontiere
che venivano in Africa ad aiutarci”. Mohamed,
cittadino sudanese di vent'anni, non si capacita
dell'accoglienza riservatagli dal nostro paese e
dalla Francia che, per fermare l'esodo di migranti
verso Parigi, ha deciso di sospendere il Trattato di
Schengen ripristinando i controlli alla frontiera
con l'Italia. Sta viaggiando sul treno Ventimiglia-Nizza ed è un fiume in piena: “Sono qui da tre
giorni e ho già provato a passare più volte, ma a
Menton-Garavan la polizia francese ci prende e ci
rimanda indietro”.
ci identifica, ci carica su dei furgoni e ci riporta al
confine con l'Italia. Da lì sono quattro ore a piedi
per tornare in paese”, spiega Amjad, sudanese anche lui: “Questo giardino è la mia nuova casa, vivo
qui, mangio quello che trovo e i vestiti li lavo in
mare. Ma prima o poi ce la farò a passare”.
L'ultimo tentativo, il più costoso, è il viaggio in
macchina. Sì, perché la serrata francese ha fatto
fiorire l'economia dei passeur, gli ex spalloni che al
posto della merce di contrabbando, ora commerciano in esseri umani. Li si vede arrivare alle prime
MOHAMED VIENE DAL DARFUR, regione occi-
dentale del Sudan teatro dal 2003 di una feroce
guerra civile. “Gli europei facevano tutto per noi –
ricorda – Ci sfamavano, vestivano e curavano.
Quello che non riesco a capire è perché, ora che
siamo qui, a questa gente non piacciamo più”.
Inutile spiegargli le strumentalizzazioni sul fenomeno migratorio e la conseguente ostilità di una
certa politica nei confronti dei clandestini. Tanto
vale augurarsi che i Crs, i reparti antisommossa
francesi messi dall'Eliseo a presidiare le redivive
frontiere, non lo trovino. In modo che possa raggiungere la meta dopo venti giorni e 8mila chilometri di viaggio.
Mentre Mohamed sfreccia in ferrovia verso Menton, la stazione di Ventimiglia e il vicino parco
sono dei campi profughi a cielo aperto. Di fianco
agli anziani che giocano a bocce sotto il fresco degli alberi bivaccano sull'erba decine di africani fra
un tentativo e l'altro di raggiungere la Francia . Il
racconto è sempre lo stesso. “La polizia ci prende,
IL WEB-REPORTAGE SUL FATTOQUOTIDIANO.IT Un migrante da-
vanti alla stazione di Ventimiglia e profughi in
attesa del treno per Nizza foto Caridi e Galeazzi
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luci della sera, quando i controlli
in frontiera si allentano, e offrono viaggi nel bagagliaio delle
proprie auto fino a Nizza per 50
euro. “Sono principalmente
nordafricani con passaporto
francese– racconta Amjad – Ma
se avessi avuto quel denaro, 50
euro per Nizza e 120 di treno per
Parigi, sarei rimasto a casa mia.
Con quei soldi in Sudan una famiglia mangia per mesi”.
NELL'ANDRONE DELLO SCALO la situazione non
cambia un granché: gruppi di migranti col naso
all'insù per controllore sui tabelloni l'orario del
prossimo treno. Il tutto nella totale indifferenza
della polizia di frontiera che, vista la situazione,
non fa neanche finta di controllarli lasciando il
compito ai colleghi francesi qualche decina di chilometri più in là. “Io non faccio più biglietti agli
extracomunitari”, attacca il direttore dell'agenzia Avast che
però subito dopo precisa: “Mica
per razzismo, solo perché buttano via dei soldi, dato che la
Francia ce li rimanda indietro e
io non posso rimborsare tutti i
titoli di viaggio”
Ma sui controlli d'Oltralpe i poliziotti italiani hanno più di un
dubbio. “Se li bloccassero davvero qui avremmo 100mila
clandestini – rivela un agente del
Centro di Cooperazione e di
Dogana a patto di rimanere anonimo – È un dispositivo messo
in piedi per tenere calmo l'elettorato francese, ma prima o poi,
in treno, in macchina o a piedi,
gli immigrati passano tutti”.
Nel frattempo Mohamed, seduto sul convoglio e con la testa
piena di pensieri, vede passare
dai finestrini Latte, Mortola e
Grimaldi, ultimo borgo italiano.
Si alza improvvisamente e si
chiude nel gabinetto. Dopo pochi minuti il treno è a Menton-Garavan e, non appena si
aprono le porte, negli scompartimenti salgono una decina di
agenti: fuori dalla stazione i furgoni hanno già il motore acceso
per riaccompagnare gli immigrati al confine. I poliziotti chiedono i documenti a tutti, turisti
compresi, e fanno scendere una
decina di africani, ma non notano che il bagno del vagone quattro è occupato,
così Mohamed riesce a passare.
Roquebrune, Montecarlo, Beaulieu sur Mer. Le
stazioni scorrono veloci e nel giro di 40 minuti il
sudanese è a Nizza. In stazione fa conoscenza con
Therese Maffeis dell'Associazione per la democrazia che, dopo le presentazioni, incalza: “Visto
che in Costa Azzurra non votiamo tutti Marine Le
Pen?”. Mohamed non capisce, ma la simpatia della volontaria è contagiosa, così comincia finalmente a rilassarsi e a raccontare il suo viaggio “Sono partito dal Cairo e dopo nove giorni in mare
una nave mi ha salvato sbarcandomi a Crotone.
Dopo tre notti in un centro mi hanno detto che
potevo andare via. Impronte digitali? No, non me
le hanno prese”.
Therese annuisce: “Nessuno in Italia le prende
perché altrimenti dovrebbe accoglierli invece che
mandarli qui”. Poi sorridente si rivolge di nuovo a
Mohamed: “Benvenuto in Francia ragazzo”.
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6
POLITICA
SABATO 13 GIUGNO 2015
Saviano: “Questo
è solo l’inizio,
il metodo funziona”
MAFIA CAPITALE è un punto di partenza, non di arrivo. Ne è convinto
Roberto Saviano, secondo cui l’inchiesta della Procura di Roma, “è solo
l’inizio, perché manca ancora il lato
che riguarda sanità e cemento. Questo era il lato che riguardava burocrazia, politica e gestione dell’immigra-
il Fatto Quotidiano
zione, mancano tutti gli altri passaggi. Questo sistema mostra che senza
la corruzione non parte niente, nessun affare”, sottolinea Saviano. Secondo l’autore di Gomorra, intervenuto nel programma Gazebo di Rai 3, i
meriti delle ultime rivelazioni sono
dei magistrati: “Il metodo Pignatone
funziona ed è destinato a cambiare la
storia di Roma”. Servono contrasti
sempre più efficaci contro un’organizzazione criminale che può essere
definita mafiosa a pieno titolo: “L'azione e la prassi sono quelle, sia dal
punto di vista militare che economico. Vengono usati codici mafiosi”.
BUZZI E “L’ARTIGLIERIA POLETTI”
PER REGOLARE I CONTI TRA LE COOP
COSÌ ‘IL ROSSO’ AL TELEFONO NEL 2014, L’EX CAPO DELLA LEGA ERA GIÀ MINISTRO
di Marco Lillo
L
a frase è bellica ma
svela un nodo tutto
politico: quello del
rapporto stretto delle
cooperative rosse con la politica.
“Io non ho ancora messo in
campo l’artiglieria pesante, ma
se vuoi metto in campo anche
l’artiglieria pesante eh... arriva
Giuliano Poletti!”. È il 16 giugno
2014, tre mesi dopo la nomina
dell’ex presidente della Lega
Coop (in quella veste presente
nel 2013 all’assemblea dei soci
della Coop 29 Giugno di Buzzi e
compagni) a capo del ministero
dello Sviluppo economico. Buzzi parla, sei mesi prima del suo
arresto, con l’indagato Salvatore
Forlenza, responsabile rifiuti del
Cns, il Consorzio Nazionale Servizi di Bologna, che raggruppa
una serie di coop rosse come la
29 giugno e la Cpl di Concordia,
in provincia di Modena.
BUZZI vuole una mano da Forlenza per mettere all’angolo la
componente nordica (emiliano-romagnola e tosco-umbra)
del Cns. Dopo la relazione durissima del ministero dell’Economia del gennaio 2014 che bacchetta il Comune di Roma per
l’assegnazione dell’appalto da 52
milioni alla società Multiservizi,
controllata dal Comune con il 51
per cento, l’assessore Alessandra
Cattoi aveva optato per la gara
Consip chiudendo il contratto
con la Multiservizi.
La gara viene vinta dal Cns, consorzio con baricentro in Emilia
che pensa di far fuori i romani
come Buzzi, ancorché suoi soci.
Il 13 maggio 2014 parte la reazione del ‘rosso’ di Mafia Capitale. Prima di schierare l’artiglieria pesante (non ci sono telefonate con Poletti) Buzzi dimostra
di avere un’influenza su una falange di fanti. Il primo è l’assessore comunale del Pd Daniele
Ozzimo, convocato per un caffè
alle 14 e 7 minuti. Due ore dopo
Buzzi scrive al braccio destro di
Ignazio Marino, Mattia Stella:
“Ti volevo dire che Ozzimo ha
parlato con Alessandra Cattoi e
ha trovato ascolto e condivisione”.
Stella si fa trovare sul pezzo:
“Anche io ho parlato con lei nel
primissimo pomeriggio”. Luca
Giansanti del Pd è un consigliere-squillo: “Ci vediamo a Pira-
L’AFFARE E IL DONO
Il business conteso era
la Multiservizi. Scomodò
anche Alemanno
e gli chiese la mail:
gli aveva regalato
l’abbonamento al Tempo
mide tra 15 minuti?” intima
Buzzi col solito sms. E lui goloso:
“Sì Cafè du parc”, il bar che fa la
migliore granita della zona.
Pochi minuti ancora e Buzzi relaziona al consigliere di destra,
sostenuto da Massimo Carminati e indagato, Giovanni Quar-
zo: “Noi siamo aderenti a Cns
però il Cns di Bologna ha affidato questi servizi non a noi ma a
tutte le Cooperative ToscoEmiliane-Umbre”. Poi Buzzi aggiunge: “Già ne ho parlato con
tutti i capi gruppo della maggioranza, che tutti hanno appoggiato e qualcuno ha già parlato con
la Cattoi. Io ti chiedevo, poi ne
parlerò anche con Gianni Alemanno, se mi dà una mano”.
ALESSANDRA Cattoi aveva fat-
to una scelta politicamente scomoda e coraggiosa assecondando i rilievi del Ministero e di fatto
chiudendo il rapporto decennale con Multiservizi, una società
con 3 mila e 700 dipendenti,
spesso selezionati tra i lavoratori
socialmente utili, un bacino elettorale notevole.
L’assessora è però accerchiata
dai suoi e dalla destra. Buzzi dice
a Quarzo che anche i consiglieri
del Pd Francesco D’Ausilio e
Mirko Coratti hanno già parlato
con la Cattoi. Poi Buzzi spiega
all’uomo dei rifiuti del Cns, Salvatore Forlenza che Coratti è
“micidiale” perché ha già parlato
con i dirigenti del Cns, come Pino Cinquanta, lo stesso che poi
sarà indagato per concorso
esterno in associazione mafiosa
per la metanizzazione della
Campania dalla Procura di Napoli. “Io riesco ad arrivare anche
al sindaco, diglielo a Pino (Cinquanta, ndr) eh, io – si vanta Buzzi con Forlenza – in due ore arrivo al sindaco. Se devo arrivare
al sindaco non c’è problema però non mi va di arrivare fino al
sindaco. Questa è una tattica: se
LA MINACCIA
Giuliano Poletti guidava
Legacoop fino alla nomina a
ministro del Lavoro. A destra,
Salvatore Buzzi, capo della coop
29 Giugno affiliata alla Lega, in
carcere da dicembre Ansa
c’è una pressione maggioranza e
opposizione ... quelli della maggioranza sono tutti presi, di
quelli dell’opposizione mi manca solo Ghera (Fratelli d’Italia,
ndr) e Onorato (Lista Marchini,
ndr)”.
Il 17 giugno c’è un pranzo
Pd-Coop che profuma di passato e si tiene al ristorante l’Archeologia: l’assessore Ozzimo e
il consigliere Luca Giansanti,
Buzzi e Pino Cinquanta di Cns,
parlano della 29 Giugno. Coratti
già aveva detto a Cinquanta: “O
mi raccomando la 29 Giugno”,
racconta il suo segretario Franco
Figurelli.
Anche Sel è della partita: Buzzi
chiama Gianluca Peciola e poi il
vicesindaco Luigi Nieri. Così
Buzzi ne parla con la consigliera
Annamaria Cesaretti di Sel: “A
Nieri gli ho detto ‘sta cosa lo sai
che non l’ha capita? Per me è fuso il ragazzo e mentre dicevo sta
cosa se mi aiutava per far crescere la Cooperativa, me chiedeva
‘ma mi puoi assume questo?’. Gli
ho detto ‘a Lui’, ma uno come fa
ad assume se tu non crei lavoro?”.
MENTRE alla alunna Cesaretti
Buzzi fa i complimenti: “Tu ha
capito in due minuti”. Il consigliere di Forza Italia Giordano
Tredicine, arrestato il 4 giugno
scorso, presenta addirittura una
mozione sulla questione Multiservizi. Il 20 giugno tocca ad Alemanno. Scrive il Ros: “Buzzi
chiedeva a Alemanno l’indirizzo
mail in quanto gli aveva regalato
l’abbonamento on-line al quotidiano Il Tempo e Alemanno dettava la mail. Poi Buzzi - prosegue
l’informativa del Ros - segnalava: ‘ma tu l’hai seguita che la
Multiservizi gli hanno levato
l’appalto?’. Alemanno (che evidentemente leggeva qualcosa
anche prima dell’abbonamento
regalo, ndr) rispondeva che stava
seguendo la vicenda”.
Alla fine, Alessandra Cattoi cambia idea e si sfila di impaccio. Con
la motivazione delle mancate garanzie da parte di Cns al Comune
di assumere i dipendenti di Multiservizi rimasti senza lavoro per
la perdita del mega appalto, l’assessora concede una proroga tecnica a Multiservizi, l’assalto alla
diligenza è rinviato. L’artiglieria
pesante resta in caserma.
La “spartizione” Cup e il cugino di Bettini
NELLA VINCITRICE NTA (NON INDAGATA) UN PARENTE DELL’UOMO FORTE DEL PD: “GOFFREDO? BUONI RAPPORTI, IL LAVORO NON C’ENTRA”
di Mariagrazia Gerina
alvatore Buzzi? Non sapevo neppure che esiS
stesse, nel mondo della sanità non si era mai
affacciato. Noi operiamo in un altro modo e si
immagini il disappunto nell’aver vinto una gara,
attesa da tempo e poi…”. Andrea Bettini, 56 anni, occhiali dalla montatura leggera, modi eleganti, è socio della Nta Srl, in corsa per la gestione di sportelli e back office degli ospedali laziali. Se la gara Cup (Centro unico prenotazioni
sanitarie) da 91 milioni bandita dalla Regione
Lazio la primavera scorsa non fosse stata annullata in seguito all’inchiesta su Mafia Capitale, la
Nta Srl si sarebbe aggiudicata due lotti su quattro. Uno in cordata con il Consorzio nazionale
dei servizi, colosso “rosso” bolognese – “ma loro
sono Golia, noi Davide”, dice Bettini –, l’altro
con la Capodarco, cooperativa romana abituata
a fare la parte del leone in questo settore sia con
la sinistra sia con la destra. Due pezzi da novanta,
insomma. Presso i quali Salvatore Buzzi, l’uomo
delle coop sociali romane in cella da dicembre,
aveva cercato sponda prima di rivolgersi all’ex
capogruppo Pdl, Luca Gramazio, arrestato il 4
giugno.
sto non c’entra nulla con il lavoro che svolgo da
molti anni”, spiega mentre ci apre la porta della
sua azienda, al nono piano di via Mosca, a Roma.
“Vedete, esistiamo davvero”, mostra da una parte un open space con i turni di help desk per le
aziende sanitarie in cui opera la Nta, dall’altra le
foto del presidente, Carlo Tiberi, in Africa con le
suore orsoline (“sosteniamo un progetto in Tanzania”) e poi quelle dell’Ungheria, dove a giorni
si inaugura un allevamento di bufale campane:
“Siamo per la diversificazione”. Qui e nella sede
gemella di Cosenza, la settimana scorsa, si sono
presentati i carabinieri, che hanno perquisito
tutte le aziende coinvolte nella gara per i Cup del
Lazio. Anche quelle non indagate, come la Nta.
“Cosa cercavano non lo so – risponde pacato –,
ma non hanno trovato nulla, la perquisizione ha dato esito
IL MEGA-APPALTO
negativo”.
La Procura di Roma
La gara della Regione
ipotizza “un accordo
spartitorio, anteceLazio (91 milioni
dente alla pubblicadi euro), poi annullata,
zione del bando”, in
cui Buzzi riesce a inera stata aggiudicata
serirsi in quota opsenza
alle cordate con il colosso posizione,
strafare. “’sta partita
rosso Cns e Capodarco
la gestisce Venafro”,
2012, invece, è piuttosto ingombrante. Bettini è il
cugino di Goffredo, “regista” del Pd e del centrosinistra romano, che per oltre vent’anni ha
mosso le fila della politica nella capitale, dalla
candidatura Rutelli nel ’93 alle più recenti di Marino e Zingaretti. Maurizio Venafro, l’ex capo di
gabinetto di Zingaretti dimessosi perché indagato per turbativa d’asta nella gara Cup, è un suo
fedelissimo da sempre. “Certo che conosco Venafro, ma come uomo delle istituzioni, l’ultima
volta l’ho visto quando è stato eletto mio cugino
al parlamento europeo: organizzò una festa al
Gran Teatro, c’erano migliaia di persone”, racconta l’altro Bettini, che senza scomporsi puntualizza la separazione delle carriere: “Con Goffredo abbiamo buoni rapporti familiari, ma que-
LA SIGLA della Nuove tecnologie applicate, fon-
data nel 1986, dice poco ai non addetti ai lavori.
Quello di Andrea Bettini, socio della Nta dal
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chiarisce Buzzi in una conversazione intercettata. "Marotta (il presidente di Capodarco, Ndr)
ne piglierà due o tre”. E ancora: “Sul quarto c’è
Storace”, dice ai suoi parlando del lotto che la Nta
si sarebbe aggiudicata con Capodarco. “Ah davvero non me lo spiego cosa volesse dire – si schermisce Andrea Bettini –. Forse saremo tonti, ma
noi non ci eravamo accorti di nulla. Con pesi
differenti, noi e Capodarco siamo i principali
operatori nel Lazio”.
“QUANDO c’è stata la gara per lotti, abbiamo detto: difendiamo ciascuno le nostre posizioni, in
modo trasparente. Nel progetto tecnico era specificato che nel quarto lotto noi avremmo curato
il Cup dell’ospedale Grassi a Ostia e gli altri presidi della Asl Roma D”, mentre nel primo lotto la
Nta avrebbe gestito solo i Cup dell’ospedale Pertini e degli altri presidi della Asl Rm B e il resto
sarebbe andato al Cns. “Sono le Asl in cui già
operavamo – spiega Bettini –. Il nostro fatturato
con la gara sarebbe rimasto invariato”. Dodici
milioni l’anno, compresa la Asl Rm G che abbraccia Tivoli, e Viterbo, che non erano incluse
nella gara. “Non mi chieda perché, non lo so”. In
ogni caso, gara o no: “Gli appalti che avevamo ci
sono stati tutti riconfermati, però questo clamore
ci sta turbando, non so gli altri, noi siamo abituati
a fare le gare e lavorare, rapporti con i politici non
ne abbiamo”. Familiari esclusi, s’intende.
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POLITICA
il Fatto Quotidiano
Accostamenti
“AL MOVIMENTO 5 Stelle, i cui principali
esponenti sono gli idoli dei clan di Ostia, spiego
che non è un caso che si diventi idoli dei clan”.
Per questa frase Matteo Orfini è stato querelato dai portavoce M5s di Roma Capitale. La
settimana scorsa il presidente del Partito Democratico per difendere l’amministrazione Marino aveva fatto riferimento a una vecchia po-
alla mafia, M5S
querela Orfini
lemica accesa dal suo collega di partito e senatore, Stefano Esposito: “Il reggente del clan
Spada è un fan di Alessandro Di Battista. Vorrei
invitare Di Battista e compagni a riflettere sul
perché personaggi come Roberto Spada a noi
del Pd ci minacciano e a voi grillini vi condividono i post”, aveva scritto su Facebook lo
scorso marzo. Dopo le ultime vicende di Mafia
Marino sì, Marino no
Roma, le spine del sindaco
CONSIGLIERI E UN ASSESSORE PD ARRESTATI, CONTATTI AMICHEVOLI TRA IL CAPO
DELLA “29 GIUGNO” E LA SUA SEGRETERIA. E IL GOVERNO GLI TOGLIE IL GIUBILEO
di Valeria Pacelli
posso lavora’. Quindi, dammi
un altro posto’. Il Comune però, in quel caso, fermò il progetto.
N
on poteva esserci
un periodo più nero per Ignazio Marino, il sindaco di
Roma stretto tra i tentacoli di
Mafia Capitale che erano riusciti ad arrivare in Campidoglio e il
governo che non pensa minimamente a dargli una mano.
Matteo Renzi, che pure aveva
Buzzi seduto al tavolo della sua
cena di finanziamento di novembre, non ha detto mezza parola a favore di Marino. Un silenzio che sa più di abbandono,
diverso dalla linea “garantista”
scelta per il sottosegretario Giuseppe Castiglione, indagato a
Catania. Non solo: due giorni fa
il governo ha bloccato le norme
che gli avrebbero consentito di
prelevare dalla gestione straordinaria del debito i fondi per il
Giubileo. Lo gestirà il prefetto
Franco Gabrielli.
Oggi però inizia anche il tesseramento del Pd romano. E già ci
si immagina la fila fuori dai circoli che – se tutto va bene – non
saranno incendiati, come quello di Mirko Coratti.
Tutti gli indagati
nelle file Democrat
Coratti, come altri Dem, è indagato nell’inchiesta romana.
Nessuno per mafia. Che l’ex
presidente dell’Assemblea capitolina fosse coinvolto nell’indagine si sapeva già da dicembre, quando uscì fuori pure l’in-
NELLA MORSA
Il primo cittadino
tra i tentacoli
di Mafia Capitale
e la freddezza
del premier, che lo tratta
peggio di Castiglione
tercettazione di Salvatore Buzzi
che diceva “Me so’ comprato
Coratti”. Otto giorni fa poi è stato arrestato. Durante l’interrogatorio di garanzia ha negato le
accuse, lui come l’ex assessore
alla casa Daniele Ozzimo, altro
indagato Dem e altro imbarazzo per Marino. Sotto inchiesta
anche Massimo Caprari, consigliere comunale, e Pierpaolo
Pedetti, ex consigliere comunale e presidente della VII commissione Patrimonio e Politiche abitative del Comune di Roma. Entrambi arrestati.
Roma come Ostia. Perché anche Andrea Tassone, presidente del X municipio è finito ai domiciliari perché riceveva “attraverso Solvi, suo intermediario,
somme di denaro non inferiori
Quando in Comune
c’era Mattia Stella
Ignazio Marino, dietro l’assessore alla Legalità, Alfonso Sabella LaPresse
SABATO 13 GIUGNO 2015
Le telefonate con Buzzi dell’ex
capo segreteria di Marino Mattia Stella, anch’egli estraneo
all’inchiesta, erano già note a
dicembre. In questa seconda
tranche Buzzi parla di una cena.
Annotano i Ros: “Buzzi precisava che in serata sarebbe andato a cena con Mattia Sella
(all’epoca dei fatti, dirigente del
Gabinetto di Ignazio Marino):
‘Perché sto a cena co .. (inc) poi
accompagna’ Mattia Stella a
Palestrina”.
Capitale, Orfini era tornato su quel messaggio
per controbattere agli attacchi del M5s. Ma
stavolta i diretti interessati hanno deciso di portarlo in tribunale per “le sue dichiarazioni diffamatorie nei confronti del Movimento e più
particolarmente per aver accostato la loro politica a quella dei maggiori clan mafiosi di
Ostia”.
L’intervista
Gian Giacomo Migone
Lui non c’entra,
mandarlo via
aiuta i criminali
ian Giacomo Migone, storico ed ex senatore Ds, non è tra
coloro che pensano che Roma debba essere commissariata.
G
Gli effetti di Mafia Capitale, dunque, per lui non deve scontarli
Ignazio Marino. Tanto che ha dato vita a una raccolta firme a
favore del sindaco di Roma, alla quale hanno già aderito, tra gli
altri, anche Gustavo Zagrebelsky a Furio Colombo. Marino per
Migone “non fa parte di quel potere Pd che si trova al governo. È
diverso da loro. Altrimenti non lo avrei difeso. Certo, queste
sono mie valutazioni politiche. In questo caso parlo a nome mio
e non dei firmatari”.
Non è necessario il commissariamento alla luce delle vicende di
infiltrazione mafiosa, a tutti i livelli, che sta venendo fuori?
Assolutamente no, anzi. L’eliminazione di Marino costituisce il
rafforzamento di quelle forze che hanno creato questa situazione. Se si commissaria il Comune, si avrà l’esatto risultato opposto: i gruppi criminali potranno riorganizzarsi.
Ci sarà un commissario per controllare?
La mancanza di un sindaco al Campidoglio e la presenza di una
situazione meno stabile darà fiato e tempo a queste bande per
inquinare le prove e riacquattarsi.
Ma Marino ha il problema Coratti:
collettore di voti per il Pd romano,
ex presidente dell’Assemblea capitolina e arrestato venerdì. Le
sembra poco?
Il vicesindaco Nieri
e le richieste di assunzione
Mirko Coratti e Daniele Ozzimo, entrambi arrestati Ansa
a 30 mila euro”.
Dalla foto imbarazzante
alla telefonata del capo staff
Con la seconda retata di Mafia
Capitale quindi aumenta la
quota Pd coinvolta nell’inchiesta. Un altro colpo a Marino che
già a dicembre aveva dovuto superare l’imbarazzo di quella foto nella sede della 29 Giugno
con Salvatore Buzzi: immagine
che smentiva le sue parole:
“Non conosco Buzzi”, aveva
detto. Superata la bufera di allora, ne è arrivata un’altra. Solo
pochi giorni fa è stata pubblicata anche la telefonata tra Buzzi e
Silvia Decina, capo della sua segreteria ed estranea alle indagini.
Decina: Ciao Salvatore, sono
Silvia Decina, il capo della segreteria di Ignazio Marino. Ti
volevo dire che Lionello mi ha
dato la documentazione per
Ignazio sulla Leroy Merlin.
Adesso Ignazio l’ha vista e sta
facendo convocare una riunione di staff.
Buzzi: Gli è piaciuta al sindaco?
Decina: Moltissimo. Tanto, ma
proprio tanto. Però ha chiesto
che la seguissimo noi qui direttamente dal Gabinetto, perché
se inizia a passare per tutti gli
assessorati non ne usciamo vivi
con questo.
Quello di cui si parla è il progetto dell’azienda francese Leroy
Merlin, che aveva dato al Campidoglio la disponibilità a realizzare un punto vendita dove
ha sede il campo rom de La Barbuta, offrendo in cambio della
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riqualificazione dell’area 10
milioni di euro da investire “per
il sociale”. Un progetto che eccita Buzzi, il quale sa cosa fare
dopo: “Tu apri un finto cantiere
– spiega a Carminati –. Poi, una
volta che te portano via tutto, gli
dici: ‘Mo’ io qui che faccio? Non
Buzzi non risparmia nessuno,
neanche il vicesindaco Luigi
Nieri (non indagato) e parla
della richiesta di un’assunzione. Dice Buzzi: “Eh Nieri! Oh, a
Nieri gli ho detto ’sta cosa lo sai
che non l’ha capita? Per me è
fuso. E mentre dicevo ’sta cosa
se mi aiutava per far crescere la
cooperativa, me chiedeva ‘ma
mi puoi assume’ questo?’. Gli
ho detto ‘a lui’, ma uno come fa
ad assume’ se tu non crei lavoro, non crei occupazione? Ti
sto a chiede’ proprio questo,
dammi la possibilità di cresce’... Non lo capisce il ragazzo”.
@PacelliValeria
7
Guardi il nostro appello ha una visione più nazionale. Noi ci siamo
rivolti ai cittadini e alle cittadine
italiane e molti nostri firmatari
non sono romani. Si percepisce in
sostanza più il bosco che i singoli
alberi.
Quindi per lei Marino deve restare
al suo posto.
Assolutamente. Anzi ne approfitterei per dire al M5s che ora hanno
due possibilità: allearsi con le forze sane, oppure – ed è questa la
scelta che prevalentemente fanno – di continuare a seguire la
strada del “più le cose vanno male, più voti prendiamo”. Linea
dettata dalla regia, ossia Grillo e Casaleggio.
Gian Giacomo Migone
Anche questa è una sua valutazione politica.
Eh sì. Il sistema ormai è inceppato, questo tipo di scelte fa male a
loro e alla democrazia
val.pa.
DECIDE PALAZZO CHIGI
Lunedì la relazione al prefetto
Lo scioglimento spaventa tutti
di Lorenzo Vendemiale
unedì può essere il giorno nero di
L
Ignazio Marino. O forse no. Sul tavolo
del prefetto Franco Gabrielli arriverà la re-
lazione della Commissione d’accesso agli
atti del Comune di Roma sull’ipotesi commissariamento. Il documento che potrebbe rappresentare il primo passo verso la fine del suo mandato da sindaco. Ma secondo alcune indiscrezioni, la temuta relazione conterrà solo una ricostruzione dei fatti,
delle infiltrazioni di Mafia Capitale in
Franco Gabrielli LaPresse
Campidoglio. Con mezzo Partito democratico implicato, certo. Ma senza riferimenti diretti al commissariamento. Sarà
Gabrielli a decidere che peso darle. Ma ad
oggi l’ipotesi di commissariare la Capitale
resta una congettura.
IL PERCORSO che porterà alla decisione fi-
nale ha tappe ben scandite: entro lunedì la
Commissione (composta dal prefetto Marilisa Magno, dal viceprefetto Enza Caporale e da Massimiliano Bardani) deve stilare
un documento sull’operato delle ultime
due giunte (Alemanno e
Marino) alla luce delle
acquisizioni dell’inchieLA PROCEDURA
sta della Procura.
Nessuna proposta. SpetAtteso un report che
terà a Gabrielli dare un
giudizio, e avrà 45 giorni
non impone soluzioni
di tempo per farlo. Podrastiche, poi tocca a
trebbe prenderseli tutti,
considerata la delicatezGabrielli, Alfano e Renzi. za del caso. A quel punto
– fine luglio – porterà la
Il timore dell’impatto
sua relazione sul tavolo
mediatico planetario
del ministero dell’Inter-
no: Angelino Alfano aprirà l’istruttoria ad
agosto, e dovrà decidere se dare corso allo
scioglimento. Nel qual caso il Consiglio dei
ministri dovrebbe preparare un decreto,
non prima dell’autunno. Sarà una scelta anche politica, ma determinata dal contenuto
delle due relazioni, quella della Commissione prima, e di Gabrielli poi.
PER TANTE ragioni oggi la soluzione più
radicale sembra una pista difficilmente
percorribile. Troppo lungo l’iter: la situazione va affrontata subito, perchè fra 4-5
mesi (quando l’ipotesi potrebbe concretizzarsi) sarebbe ormai tardi. Inoltre, sarebbe
troppo complicato commissariare una metropoli di quasi tre milioni di abitanti. Non
ci sarebbe soltanto l’Assemblea capitolina
da rifare, ma anche consigli, assessorati e
uffici di presidenza dei 15 municipi. “Un
commissario dovrebbe venire a sostituire
526 persone”, aveva detto qualche giorno fa
l’assessore alla legalità, Alfonso Sabella. E
naturalmente la principale preoccupazione
di chi dovrà decidere è il devastante impatto mediatico planetario che avrebbe il commissariamento della Città Eterna.
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8
POLITICA
SABATO 13 GIUGNO 2015
B
. a Segrate:
”La sinistra vuole
rovinare Milano2”
“NON PERMETTETE che la sinistra
estrema che appoggia Paolo Micheli
metta le mani su Segrate e su Milano2”. La campagna elettorale di Silvio
Berlusconi per i ballottaggi torna a Segrate, la città dove l’ex Cavaliere era
finito per sbaglio nel comizio del candidato di centrosinistra. Per evitare
il Fatto Quotidiano
malintesi, stavolta Berlusconi si è affidato a un volantino (ma era già tornato a Segrate venerdì scorso). L’accorato invito ai cittadini è di non lasciare la città al centrosinistra, per non
mettere in pericolo il centro residenziale edificato da lui stesso negli anni
settanta. “Ho costruito Milano2 più di
40 anni fa – si legge nel testo firmato
Silvio Berlusconi, che non nasconde
un pizzico di malinconia per i bei tempi andati – e ancora oggi è un modello
copiato in tutto il mondo”. In caso di
vittoria della sinistra – c’è scritto – la
qualità della vita di Segrate e di Milano2 verrebbe messa a repentaglio.
IL BAZAR PARLAMENTO
TRA COMPRAVENDITA
E FIFA DELLE MANETTE
NEI CAPANNELLI A MONTECITORIO SI RESPIRA IL TERRORE DI UNA
NUOVA TANGENTOPOLI E L’ANSIA PER LE POLTRONE. IN MOLTI
SPERANO NELL’ACCORDO PD-VERDINI, CON FITTO DI RINFORZO
di Fabrizio d’Esposito
P
ersino Khalid Chaouki, che è un giovanissimo deputato del
Pd, di origini marocchine, a un certo punto non si
trattiene e si allinea al mood imperante. Si avvicina ai cronisti e
chiede, sorridendo: “Allora è
fatta per Verdini? Che notizie
avete?”. Dove per Verdini è da
intendersi il plurinquisito berlusconiano, di nome Denis, che
adesso sta per mollare la Casa
Madre di Arcore per traslocare
con il suo soccorso azzurro (una
dozzina di senatori) nel recinto
della maggioranza.
“Non lo arrestiamo?
Ma siete matti!”
A Montecitorio si vota per i due
giudici della Consulta e il viavai
è molto intenso. L’aria pesa come piombo e lo dimostra la faccia cupa di Ugo Sposetti, senatore del Pd ed ex tesoriere dei
Ds. Di solito, quando si appalesa, deambula per il Transatlantico cazzeggiando con tutti. Stavolta, invece, va dritto senza fermarsi. Non è solo Matteo Renzi
a stare chiuso nel suo bunker di
Palazzo Chigi. Anche i nominati di questo Parlamento edizione 2013 si sentono assediati e
vedono più lontana la fatidica
meta del 2018, fine naturale della legislatura e garanzia certa del
vitalizio per tutti gli esordienti,
quelli di primo pelo. Il terrore
per Mafia Capitale e per i guai di
Ncd, il partitino impresentabile
di Angelino Alfano, tra l’arre-
Visto da vicino
stando Azzollini e l’indagato
Castiglione (sottosegretario),
sono un blob nerissimo che ottunde e deprime l’umore generale. In un capannello di osservanza renziana si commentano
le polemiche sulle manette per
Azzollini, “anticipate” da Matteo Orfini, presidente del Pd,
senza leggere le carte. Sintesi finale: “Non lo arrestiamo? Ma
siete matti! Se non votiamo sì
tutto questo casino di Mafia Capitale ci ammazzerà”. Ecco la
chiave: l’arresto del prode moderato pugliese, che minaccia
piogge dorate in bocca alle suore, è un argine al potenziale disastro modello ‘92, il Parlamento di Tangentopoli. È l’unico
SOSPETTI E SALUTI
Cicchitto (Ncd): “I pm
attaccano noi per arrivare
al premier”. I dubbi
dei dem su Marino.
Mentre Biancofiore vuole
lasciare Forza Italia
paragone possibile.
Aspettando
cappi e monetine
In questo senso va lo sfogo di
uno che c’era anche allora. L’ex
socialista Fabrizio Cicchitto,
poi berlusconiano infine alfaniano. Cicchitto non flette dalla
sua vocazione ipergarantista:
“Le procure attaccano Ncd per
arrivare a Renzi. È l’uso politico
della giustizia”. Renzi come
Berlusconi e prima ancora la
Dc. Non solo: ieri il Psi, oggi il
Pd. Quanto manca per i cappi e
le monetine? In un angolo si
svolge un’altra variante del
dramma democrat. Stefano
Esposito è un puntutissimo senatore di Torino e adesso fa il
commissario a Ostia, a combattere la mafia rossonera, nel senso Buzzi e Carminati. Compulsa lo smartphone, fuma, richiama un numero, cade la linea, riprova, maledice l’intero sistema di telecomunicazioni, parla
con “Filippo”, poi niente, chiama “Matteo”, telefonino staccato e faccia sfatta per il pessimismo. Una tragedia. È pomeriggio e non si hanno notizie
sulla sorte di Ignazio Marino.
In ansia per “Ignazio”
La saldezza del giro di Denis
Il venticello del cortile di Montecitorio consegna una voce
clamorosa: “Renzi mollerà Marino”. Poi non sarà così, ma sono in molti a correre come formiche e ad agitarsi per questo.
Conclude Esposito: “Speriamo
non sia così, è sbagliato scaricare il sindaco, se non si ripulisce la macchina amministrativa è inutile mandarlo a casa. E
poi vogliamo dirla tutta: a Roma non vinceremo tra un anno,
né tra due o tre, temo”. Alla fine
della Prima repubblica, dietro
l’angolo spuntò Berlusconi.
Ora le alternative sono Grillo e
VOLTI DA FILIERA
Denis Verdini. A destra, dall’alto, Fabrizio Cicchitto e Stefano Esposito Ansa
Salvini. La paura aumenta. Resistere, resistere, resistere. I più
saldi sono i verdiniani che si apprestano al grande salto annunciato nella maggioranza
renziana. Il loro sistema nervoso ha affrontato partite forse
peggiori. Come l’indimenticabile 2010 dei Responsabili di
Scilipoti, Razzi e tantissimi altri
per tamponare la scissione di
Gianfranco Fini dal Pdl. Il
gruppo che salverà il premier al
Senato parla soprattutto dialetti del sud. In particolare della
Campania e di Napoli. A Palazzo Madama, i verdiniani possono addirittura arrivare a 15.
Dentro c’è, per esempio, Riccardo Villari che fu presidente
“abusivo” della Vigilanza Rai.
Era della Margherita ma fu eletto coi voti decisivi del Pdl. È stato democristiano, buttiglioniano, mastelliano, margheritino,
autonomista e ora verdinian-renziano.
L’eroe D’Anna
e i dolori della Biancofiore
L’eroe di questo gruppo è il roboante Vincenzo D’Anna, l’ex
cosentiniano che ha fatto vincere De Luca in Campania con
una lista che ha fatto esplodere
la polemica sugli impresentabili. D’Anna proclama: “Berlusconi è morto. In senso politico, ovviamente. Resteranno lui
la Rossi e la Pascale”. Finanche
LA STORIA SECONDO MATTEO
di
Michaela Biancofiore, berlusconiana senza se e senza ma, fa
filtrare le voci su un suo possibile addio, tipo Sandro Bondi.
Andrebbe però nel gruppo misto, senza seguire i verdiniani o
i fittiani. Già, i fittiani. Un altro
campano, Ciro Falanga, teorizza l’unione tra i due gruppi. Si
arriverebbe quasi a 30, al Senato. In ogni caso, per tutti, la
promessa è una sola: arrivare al
2018 senza rischiare di andare
prima a casa. Se poi esserci un
rimpasto tanto meglio. Nel
bunker di Montecitorio prende forma la maggioranza Renzi-Verdini con quel che resta di
Alfano. Manette permettendo,
s’intende.
Andrea Scanzi
Le invasioni
inesistenti di Renzi
C
on quelle pause di otto ore, roba
che in confronto Celentano parla
troppo svelto, e quell’ars oratoria da
comparsa nei film minori di Giovanni
Veronesi, Matteo Renzi si è rivelato anche un finissimo storico. Balbettando
come un pesce palla senz’acqua e inseguendo vanamente uno sguardo che anche solo sembrasse intelligente, Renzi
ha di recente dato lezioni a Bruno Vespa. “Nel ‘700, ‘800, ‘900… si occupavano militarmente altri stati”. Toh, buono
a sapersi. Poi, implacabile, la zampata del fenomeno: “Noi ci prendevamo
l’Istria, Nizza e la Savoia”.
Quando Vespa gli ha fatto notare che al
massimo quell’invasione era capitata al
Risiko di Rignano, Renzi si è puntualmente comportato come gli alunni fanfaroni, quelli che alle interrogazioni non
ne beccavano mezza e poi davano la colpa
alla lavagna cattiva o alla cimosa fascista.
Così, minimizzando nervosamente, ha
farfugliato qualcosa tipo: “Va be’, non
state lì a fare i precisini”. Poveretto: in
confronto, i “Romolo e Remolo” di Berlusconi assurgono a Vangelo.
Barbara Lezzi (M5S)
“Azzollini comanda i senatori con gli occhi”
di Luca De Carolis
zzollini ha sempre comandato la commisA
sione con gli occhi, respingendo regolarmente correzioni o cambi di programma. Ma il
caso della Divina Provvidenza ha cambiato tutto:
e il Pd pensa già al sostituto”. Barbara Lezzi (Cinque Stelle) è la vicepresidente della commissione
Bilancio di Palazzo Madama: il regno di Antonio
Azzollini, senatore del Nuovo Centrodestra di cui
la Procura di Trani ha chiesto l’arresto per bancarotta fraudolenta, in seguito al crac della casa di
cura Divina Provvidenza a Bisceglie. Il 62enne di
Molfetta (Bari) presiede la commissione dal 2008
(ma l’aveva già “diretta” tra il 2001 e il 2006). Lezzi
racconta il suo metodo per gestire l’organo che
emana pareri preventivi su tutti i disegni di legge e
gli emendamenti del Parlamento, stabilendo se
siano dotati delle coperture economiche.
Come si lavora con Azzollini?
Lui non presiede, bensì dirige la commissione, a suo
piacimento. Le sedute durano un quarto d’ora la
Barbara Lezzi,
vicepresidente
commissione Bilancio
Ansa
mattina e un quarto
d’ora il pomeriggio.
Azzollini prepara il
lavoro nella sua segreteria, poi presenta
tutti i pareri già pronti e compilati. Non
vuole mai votare, nonostante le insistenze di noi dei
5Stelle. “Non ce n’è bisogno, la maggioranza è d’accordo” risponde. Poi guarda i membri dei partiti di
governo, e sono sempre sguardi d’intesa.
Su cosa siete più entrati in contrasto?
Nel dicembre 2013 passò l’emendamento di Azzollini con l’ennesima proroga delle agevolazioni
fiscali anche per la Divina Provvidenza: ma in
quella legge di Stabilità inserirono tanti altri stanziamenti, per un totale di quasi un miliardo. Noi ci
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opponemmo a questo “marchettificio”, ricordando che la legge di contabilità vieta interventi micro-settoriali. E lui rispose in modo sprezzante:
“Se il Parlamento avesse davvero voluto vietare
questi stanziamenti, avrebbe previsto nella Costituzione il principio della legge di contabilità”.
Non riuscite mai a correggere i pareri?
Tende a respingere tutti i nostri emendamenti,
anche perché quando entra in commissione ha
già chiuso l’accordo con la maggioranza. Quando
gli serve cita l’articolo 81 della Carta, che prevede
l’obbligo del pareggio di bilancio. Ma se ha altre
esigenze non ne tiene conto.
Raccontano che sia molto considerato.
Parla raramente in aula, ma quando lo fa cala il
silenzio, e dopo i suoi interventi riceve molti complimenti. È potente, perché accontenta e garantisce tutti. Quando serve trova sempre la copertura economica per il provvedimento che gli preme, la classica “pezza”.
Tre giorni fa per il senatore è arrivata la richiesta
d’arresto. Come ha reagito?
Giovedì scorso ha convocato per il pomeriggio la
commissione, per accelerare l’esame del disegno
di legge sulla scuola. Ed è strano, perché noi lavoriamo sempre martedì e mercoledì.
Cosa rappresenta questa novità?
Renzi voleva rallentare sul ddl, e lui invece ha velocizzato. Suona come uno sgambetto, ma soprattutto come un modo per ricordare che questa partita la gestisce anche lui.
Il Pd pare orientato a votare a favore dell’arresto.
Non vedo come possano fare diversamente, vista
anche la bufera di Mafia Capitale. Di certo Azzollini non può mantenere la carica di presidente.
E infatti si parla già del sostituto.
Chi potrebbe essere?
Il nome che circola è quello di Linda Lanzillotta
(Pd, ex Scelta Civica, ndr): in ottimi rapporti con
Azzollini.
E lui cosa dice?
In commissione ci ha assicurato di essere “molto
sereno” e che vuole andare avanti. Ma non è accettabile.
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POLITICA
il Fatto Quotidiano
ICorte
guai di De Luca:
dei conti
e compagna imputata
Alla ventura
di Antonello Caporale
C
orrado Passera, un
fuoco le arde dentro e
non c’è niente da fare.
Niente, dal liceo, dai comitati
studenteschi, da quando hai 18
anni e già in testa la voglia di
fare bene qualcosa per il bene di
tutti. Poi non te ne liberi più.
Perché un banchiere ricco si ritrova a fare il politico povero e
trascurato da tutti? Perché
spende i suoi soldi per andare a
Uno Mattina? E perché gli italiani non lo capiscono? E perché
invece lui pensa che lo comprendano? E di cosa è contento?
Mi piace che finalmente qualcuno mi faccia queste domande.
Ogni volta che la vedo in tv mi
domando come sia stato possibile che Corrado Passera...
Alt, la fermo. Quel che sono oggi è il risultato della fatica di ieri, è il senso del dovere, di un
impegno per la collettività che
non mi ha mai lasciato in pace.
In tutti i luoghi in cui ho svolto
il mio mestiere di manager sono stato accompagnato da questo desiderio.
L’INCUBO del termovalorizzatore di
Salerno tormenta Vincenzo De Luca.
Non bastavano il processo, la condanna per abuso d’ufficio, la legge Severino, l’inevitabile e imminente sospensione da governatore della Campania. Si è mossa anche la Procura regionale della Corte dei conti, che sulla
scorta della sentenza di primo grado
del Tribunale penale ha notificato
all’ex sindaco e alle altre persone
coinvolte un invito a dedurre. Si ipotizza un danno erariale da 130.000
euro. A tanto sarebbe ammontato lo
spreco prodotto dalla struttura messa in piedi da De Luca nel 2008 in
SABATO 13 GIUGNO 2015
qualità di sub commissario di governo
per la realizzazione dell’impianto,
previsto a Cupa Siglia e rimasto solo
sulla carta. L’invito a dedurre non è
una condanna, ma una sorta di avviso
di garanzia del procedimento contabile. Non è l’unica brutta notizia per
l’ex sindaco di Salerno: la sua com-
9
pagna, l’architetto Marilena Cantisani, è stata rinviata a giudizio (anche
lei per abuso d’ufficio). L’indagine riguarda un presunto abuso commesso dalla Cantisani nel ruolo di dirigente del servizio Trasformazioni edilizie
del Comune di Salerno.
(vin.iur.)
Corrado Passera
“Ora mi prendete tutti in giro
Ma sopporto: tanto vinco io”
Un po’ no.
Ma è esattamente questa la ragione! Voglio dimostrare che
quell’azienda può ritornare a
essere un perno della società. E
quei lavoratori afflitti devono
ritrovare l’orgoglio di essere
parte di una grande impresa sociale. M’invento il bancoposta.
L’azienda decotta torna a
splendere.
Pare che i postini siano di nuovo
nei guai.
Vado a fare il banchiere. Creo
Intesa San Paolo, do vita a Banca Prossima, la prima banca
etica. Secondo lei perché lo faccio?
Per il fuoco che le arde dentro.
Per il piacere di servire l’Italia.
È proprio così!
E anche Alitalia.
Confermo.
Alitalia però non è venuta benissimo.
Sbaglia. Facciamo reset
un attimo.
Non lo avevamo capito,
purtroppo.
Ripercorro brevemente
la mia carriera. Lascio il
mondo dei giornali che
mi affascinava, ero il
capo
azienda
dell’Espresso, un gruppo editoriale straordinario, per dimostrare
che andare alle Poste,
cioè in un baratro,
non era frutto di un
colpo di sole ma di
una scelta ponderata.
Perché lo faccio secondo lei?
Lo fa per il bene del
Paese.
Non è convinto.
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Mi chiama Giulio Tremonti
per tentare un rilancio e gli dico: non c’è altro da fare che suggellare il fallimento. Ha divorato soldi pubblici, ora basta. Io
cerco nel mondo intero qualcuno che la prenda. Niente da
fare. Allora mi do l’ultima
chance: salvarla per quanto si
poteva, farla vivere nelle forme
che si poteva. Salvare il massimo dei dipendenti e recuperare
il massimo della reputazione
possibile. Metto insieme una
cordata che sul piatto investe
un miliardo e mezzo. E la salva.
La cordata ancora maledice
quel giorno.
Il punto centrale mi pare sia:
ovunque andasse aveva l’Italia
in testa.
Scrivevo, proponevo, illustravo.
Ha scritto il piano per salvare
l’Italia e Napolitano la convocò
con urgenza.
Erano 150 pagine. Vuole che lo
illustri?
Per sommi capi.
Manovra da 500 miliardi di euro. Un elenco dettagliato, minuzioso, perfetto per indicare
la via della salvezza.
Monti ne fece carta straccia.
Non l’ha capito, non ci ha creduto.
Amarezza.
Non tutte le cose vanno a piattino. Ci sono investimenti che
danno subito utili e altri più
complicati.
Amarezza, sì.
Si chiama capitale di rischio,
per l’appunto.
Le hanno tarpato le ali.
Anche i banchieri sbagliano.
Alla sua banca quanto ha fatto
spendere?
Da ministro è parso che non sia
riuscito a dare il meglio.
Su questo devo convenire. Ho
dato meno di quanto potessi.
Numeri alla mano a quest’ora,
se si fosse fatto la metà di quel
che prescrivevo...
Un centinaio di milioni di euro.
Perciò ha scelto di farsi il partito e non dare più retta a nessuno. Le costerà un sacco di soldi.
I soci che ho messo insieme
hanno ancora il 50 per cento di
Alitalia. Vedrà che col tempo si
rifaranno.
Mi costa, sì. Ne ho parlato in
famiglia e abbiamo deciso di
comune accordo.
Mettiamoci una croce sopra.
Lei spenderà tutti i soldi della
liquidazione.
Investo i miei soldi, non tutti i
soldi.
L’UMILE
SERVITORE
Ho creato banche,
ho salvato Alitalia e avevo
un piano per far rinascere
il Paese, ma Monti non ci
ha creduto. Ho lasciato
uno stipendio milionario
per il bene comune
La liquidazione da Banca Intesa.
Dieci milioni di euro, e uno stipendio di un milione e mezzo
l’anno a cui ho detto bye bye.
Ancora non ci credo.
A cosa non crede?
La famiglia lo sa?
Crede che queste cose si decidono senza il consenso della famiglia?
Però non spende mica tutto, per
fortuna.
Spendo quel che posso in ragione dell’obiettivo che ho. Ho
chiesto anche a degli amici di
aiutarmi e dare una possibilità
all’Italia di uscire fuori dalla
melma.
Temo che gli italiani non si sentano pronti a Italia Unica.
I sondaggi ci dicono altro.
I giornalisti la guardano con
sufficienza. Nota anche lei i ghigni, i sorrisetti?
Subisco in silenzio.
Per quella foto con il bavaglio
davanti al Parlamento è stato
sbeffeggiato.
L’Italicum mina la democrazia
e lascia nelle mani di uno solo il
governo, il Parlamento, la Presidenza della Repubblica e la
Corte costituzionale. Dovevo
fare qualcosa di eclatante.
Mi ha molto colpito il bavaglio
in sé. Non l’ha fatto alla Pannella, alla cheyenne, diciamo così,
col fazzoletto a coprirle tutta la
bocca. Si è imbavagliato come
fosse stato rapito.
Non sono espertissimo, di bavagli.
È stata mostruosa la sua campagna pubblicitaria. Ci sono
stati giorni in cui lei compariva
dovunque. Chissà quanti milioni di euro.
In tutto è costata 145 mila euro.
L’abbiamo fatta in gennaio:
spazi vuoti, prezzi da discount.
Come vede ciò che appare non
è.
Però campagna un po’ sfortunata. Il giorno della convention di
Italia Unica si eleggeva il nuovo
presidente della Repubblica.
Non potevamo spostare un appuntamento deciso da mesi.
Una questione di serietà.
Ora guarda a Milano. Vuole fare
il sindaco.
Crede che abbia fatto male i
conti?
È lei il banchiere.
Vecchia vita quella. Non ritorna più.
Sento che se la giocherà al fotofinish.
Non ci crede ancora, ma presto
si ricrederà.
POZIELLO L’“eretico”
che provoca il Pd
ntonio Poziello va avanti e continua a “proA
vocare” il Pd. Il candidato sindaco di Giugliano, che nonostante la vittoria nelle primarie è
stato fermato dal Partito democratico per un rinvio
a giudizio risalente a una vicenda di otto anni fa,
non si scoraggia per la “scomunica” dei suoi ex
compagni. Giovedì aveva ricevuto la visita e l’appoggio di Vincenzo De Luca. Ieri ha rilanciato, nel
giorno di chiusura della campagna elettorale: “Io
appartengo al Pd. Non mi sento un eretico e per
questo invito tutti gli elettori della sinistra a votarmi”. Il suo ex partito a Giugliano non è arrivato
al ballottaggio. E Poziello gongola: “Qui la sinistra
sono io. Io e Vincenzo De Luca vogliamo cambiare
questa città”.
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10
POLITICA
SABATO 13 GIUGNO 2015
P“C’èuglia,
Prefettura:
un errore nella
legge elettorale”
C’È UN PROBLEMA nella legge elettorale con cui gli
elettori pugliesi sono andati a votare. A evidenziarlo
è stata la Prefettura di Bari, che lo scorso 12 giugno
ha inviato una lettera ai presidenti della giunta e del
consiglio elettorale e dell’ufficio centrale regionale
presso la corte d’appello. “Al riguardo - si legge nel
documento che il Fatto ha potuto visionare - lo scrivente gruppo di lavoro (di cui fa parte anche la so-
il Fatto Quotidiano
cietà Innova Puglia, che ha il compito di elaborare i
dati elettorali e di restituirli in prima istanza al Ministero degli Interni e poi renderli pubblici, ndr) incaricato di curare l’organizzazione di tutte le attività
necessarie a garantire il regolare svolgimento delle
operazioni elettorali, ha avuto modo di rilevare l’esistenza di un errore materiale in sede di stesura definitiva del testo (...) che si ritiene debba essere
Venezia, M5S fa da arbitro
“FI è peggio di Casson”
A DUE GIORNI DALLE URNE, GLI SFIDANTI ADERISCONO A I 5 PUNTI DEL PROGRAMMA
DEI GRILLINI. CHE PERÒ ATTACCANO IL CANDIDATO DI CENTRODESTRA BRUGNARO
C
accia all’ultimo voto,
per Felice Casson e
Luigi Brugnaro, domenica al ballottaggio per diventare sindaco di
Venezia. Ieri Casson, buon calciatore della nazionale magistrati, ha realizzato due gol: il
Comitato No Grandi Navi (che
si oppone al transito in laguna
delle imbarcazioni da crociera)
si è schierato ufficialmente per
il candidato del centrosinistra;
e il Movimento Cinque Stelle
(che invece ufficialmente non
si schiera) ha fatto qualche passo verso il senatore del Pd, dopo
che questi ha sottoscritto i cinque punti di programma chiesti dal movimento fondato da
Beppe Grillo.
I Cinquestelle restano fermi
nella loro scelta di non dare indicazioni di voto, malgrado gli
appelli di Stefano Rodotà, di
Ferdinando Imposimato e di
tanti altri vicini al movimento.
La loro linea è stata quella di
proporre a entrambi i candidati
di sottoscrivere cinque punti
del loro programma. “Su questa base i nostri elettori si faranno un’idea”, ha detto Davide
Scano, il candidato sindaco del
M5s. Sono punti molto tecnici e
molto dettagliati, che vanno
dall’alleggerimento della macchina comunale all’accorpamento delle società partecipate,
dalla modifica delle scelte urbanistiche alle trasformazioni
della viabilità, fino al divieto
delle grandi navi di passare in
laguna.
Ieri li hanno sottoscritti, proponendo qualche modifica, entrambi i candidati al ballottaggio. Casson è stato quello che
più si è avvicinato alle richieste
del M5s: “Sono punti già compresi nel mio programma”, ha
dichiarato. Pesa soprattutto il
quinto punto, quello sulle
grandi navi: Casson è completamente d’accordo di estromet-
molto vicina”, risponde a distanza Casson, “e mi hanno fatto piacere gli appelli a mio favore di persone come Stefano
Rodotà e Ferdinando Imposimato, i loro candidati alla presidenza della Repubblica. Siccome io li rispetto, non mi metto a chiedere accordi. Quei punti, però, li faccio miei”.
Gli sfidanti di domenica, Luigi Brugnaro e Felice Casson LaPresse
tere dalla laguna i bestioni da
crociera ed è contrario a scavare nuovi canali per farli arrivare
in porto, con il risultato di danneggiare l’ecosistema lagunare;
Brugnaro, invece, propone di
far passare le navi da Malamocco-canale dei Petroli-canale
Vittorio Emanuele, una soluzione ancora in discussione dal
punto di vista tecnico.
I CINQUESTELLE, incassate comunque le firme dei due, a questo punto lasciano la scelta agli
elettori, a cui chiedono di “valutare quale dei due candidati
sia il meno dannoso”. Ma un’indicazione arriva anche dalle parole di Davide Scano, che ha definito Brugnaro “un mini-Berlusconi che si proclama renziano e che alla fine si è tirato dietro
Forza Italia e Ncd al primo turno, e ora la Lega e Fratelli d’Italia”. Comunque, prosegue Scano, “a chi oggi ci vuole tirare per
la giacchetta dico che se i vene-
SEGNALI-CODICE
Il pentastellato Scano:
“È un mini Berlusconi
renziano”. A far pendere
l’ago della bilancia per l’ex
pm, il no secco al transito
delle grandi navi
ziani volevano rovesciare il tavolo dovevano votare noi, e non
darci solo il 12 per cento. Venezia poteva essere un’altra
Parma. È un Comune che per
colpa del Pd locale ha 1 miliardo
e mezzo di debiti, 200 milioni di
derivati, 10 mila dipendenti. Lo
scandalo Mose è solo la punta
dell’iceberg di un sistema che è
prosperato all’ombra del clientelismo”.
“A parte il candidato sindaco,
sento la base dei Cinquestelle
PIÙ DIRETTO il Comitato No
Grandi Navi: “Felice Casson,
che noi tutti conosciamo come
persona onesta e capace, può
essere elemento di garanzia per
un vero cambiamento della gestione del Comune di Venezia e
per la risoluzione di molti problemi per i quali in questi anni
abbiamo lottato”. Così dice un
comunicato del comitato, che
indica la necessità di sconfiggere “la lobby che vuole mantenere comunque le grandi navi
all’interno della laguna e che
propone soluzioni devastanti e
inaccettabili come lo scavo del
Canale Contorta o lo scavo del
Canale Vittorio Emanuele
(progetto inesistente e riesumato nella campagna elettorale da
Brugnaro)”.
Al primo turno, proseguono i
No Grandi Navi, “ognuno di
noi ha votato secondo coscienza per diversi schieramenti politici e per diversi candidati sindaci. E molti, nauseati da quanto era successo precedentemente, non hanno votato”. Ma ora
“vi invitiamo tutti ad andare ai
seggi elettorali e votare per Felice Casson”. Anche perché la lista più votata al primo turno
non è stata quella del Pd, ma
quella civica “Felice Casson
Sindaco” che farà eleggere in
consiglio comunale “nuovi
consiglieri non compromessi
nelle gestioni precedenti”. Lo
scandalo Mose continua a pesare. Domenica notte sapremo
come finirà la sfida.
G. B.
prontamente corretto per consentire l’attività che il
gruppo è stato chiamato a svolgere”. A causare l’errore, una differenza tra i commi modificati da un
emendamento approvato in giunta riguardo ai criteri di conteggio dei voti: “L’errore potrà essere sanato con il procedimento dell’errata corrige“. Altrimenti non si riusciranno a effettuare i conteggi. Con
il rischio di invalidare tutto.
Appello degli ex pd
Per una svolta verde
La Laguna al voto
rischia l’abbuffata
di “grandi opere”
di Roberto
Della Seta
e Francesco Ferrante
omenica prossima i veneziani sceglieranno il loro
D
nuovo sindaco. In lizza al ballottaggio vi sono Luigi
Brugnaro, candidato di Forza Italia e Lega, e Felice Cas-
son, espressione di un vasto (dato non comunissimo in
questo turno elettorale) schieramento di centrosinistra. È
un voto amministrativo, però la sua portata è più larga.
Schematizzando ma non troppo, si può dire che Casson e
Brugnaro incarnino due idee di Venezia, in generale due
idee di città tra loro assai lontane. Venezia non è soltanto
un luogo di infinita bellezza. È stata anche negli
anni recenti uno dei simboli – simbolo in questo
caso negativo – di alcuni
dei mali endemici di cui
soffre l’Italia: l’abbuffata
delle “grandi opere”, con
il Mose che ha inghiottito
miliardi di denaro pubblico e seminato corruzione “bipartisan”; e poi
con Porto Marghera area industriale immersa
nella città che ha lasciato
un’eredità pesantissima
di inquinamento -, il modello di uno sviluppo fondato sul saccheggio dell’ambiente e della salute e che nemmeno ha creato lavoro
stabile e vera ricchezza.
RISPETTO a tutto questo Felice Casson rappresenta una
indiscutibile alternativa, per la proposta di governo con
cui si è presentato al giudizio dei suoi concittadini e soprattutto per la sua storia: un'alternativa convincente anche per quella parte di elettori veneziani che al primo
turno ha votato per il candidato dei Cinquestelle Davide
Scano. Da magistrato fu Casson a “scoperchiare” il disastro ambientale di Marghera; da parlamentare si è sempre battuto contro la logica delle “grandi opere”, che fossero le costosissime e probabilmente inutili dighe mobili
del Mose o il progetto odierno e ancora più insensato di
scavare un nuovo canale (Contorta) per consentire alle
grandi navi da crociera di scorrazzare ai piedi di San Marco. Casson sindaco, insomma, sarebbe non soltanto un
prezioso presidio di legalità per una città umiliata da scandali e corruzione (suo uno dei meriti principali per l’approvazione definitiva pochi giorni fa della legge sugli ecoreati), ma aprirebbe per Venezia una pagina di sviluppo
fortemente innovativa: una pagina nella quale le vecchie
parole “grandi opere”, industria inquinante, amministrazione opaca, lascino il posto a quella prospettiva di “green
new deal”, di economia verde, di sostenibilità ambientale
che è la sola base solida su cui costruire per i veneziani un
futuro all’insegna del lavoro e della qualità sociale.
PAITA CONTRO ORLANDO
Liguria, nel Pd finisce a insulti e “pattoni”
di Ferruccio Sansa
ra ti prendo a pattoni”. Il dibattito
O
nel Pd ligure è roba di pugni più
che di correnti. Come ha dimostrato
alla Spezia lo scambio di “vedute” tra il
presidente del porto, Lorenzo Forcieri,
e il segretario provinciale uscente, Juri
Michelucci (quello dei “pattoni”). Basta? No, c’è Raffaella Paita, la candidata
sconfitta, che ai presenti ha dato l’impressione di accusare il ministro Andrea Orlando (pure lui presente) di essere un piromane di schede. A quel
punto nella sala della federazione Pd
c’è stato un attimo di gelo: “Dove siamo
finiti!”, sospira un militante dei tempi
del Pci. Immaginate la sede del partito:
via Lunigiana, alle spalle della ferrovia.
Intorno alcune facce che si vedevano ai
tempi del Partito, di Berlinguer. Adesso sgranano gli occhi.
Un match in due round: il primo martedì sera, il secondo ieri.
Al centro c’è lei, Raffaella Paita. La candidata sconfitta che pare non rassegnarsi ai risultati. “È una bomba che
non riusciamo a disinnescare”, allarga
le braccia un pezzo grosso del partito.
Addirittura ai presenti Paita pare ventilare l’accusa che Orlando (lui pure
spezzino) abbia fatto bruciare le schede
delle primarie per il Parlamento: “Sono
state contestate le mie primarie, ma
Orlando dimentica quelle del 2013”.
Brusio in sala, l’allusione sembra essere
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alla consultazione nel Pd stravinta da
Orlando. In particolare al comune di
Sarzana. Possibile che Paita si spinga a
questo punto? “Era una furia, le tremava la voce, pareva stesse per piangere…”, racconta uno dei dirigenti presenti. Orlando incendiario? Macché,
mai detto, ha smentito ieri Paita. Il ministro, parlando con i suoi amici, ha
sorriso: “La contestazione all’epoca
non riguardava mica me… ma il secondo e terzo classificato. Io che c’entro?”. Ma le schede? “Le bruciano sempre, i verbali del voto, però, ci sono ancora”. Intanto “Lella” va avanti come
un treno: “Se l’è presa con tutti, mancava Obama. Da Pastorino a Cofferati,
da Orlando a Marco Doria. Ha parlato
di un “sistema Genova” che non l’ha
sostenuta… e noi abbiamo sgranato gli
occhi: ma era lei la candidata di Burlando e del potere genovese”.
MARTEDÌ SERA, l’obiettivo principale
è stato il presente Orlando (il ministro
c’era anche ieri sera e ha cercato di
mantenere un aplomb british): “Lui
non si assume mai le responsabilità delle sue sconfitte. Critica me che da bersaniana sono passata con Renzi. Mentre lui fa il renziano a Roma e il cuperliano alla Spezia”. Nella sala c’è chi
guarda l’orologio sperando che il fiume
in piena si fermi. E Orlando? “Io non
sono renziano a Roma e nemmeno burlandiano in Liguria. Non potevo certo
R. Paita e A. Orlando LaPresse
fingermi burlandiano perché lui diceva
di essere un rottamatore”, racconta al
Fatto. Poi tenta un’analisi del voto:
“Non voglio giudicare Burlando, ma il
suo sistema era in fase calante. Pastorino non è la causa, ma l’effetto”, conclude il ministro. Il resto delle sedute è
difficile da raccontare: urla, minacce,
insulti. E pensare che Claudio Burlando aveva detto: “Questa sconfitta deve
essere occasione per un esame di coscienza”. Forse dopo il gong.
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ECONOMIA
il Fatto Quotidiano
G
rexit più vicina
Ma Atene: “Pronti
al compromesso”
ATENE SI PREPARA al compromesso: "Siamo più vicini che mai a un accordo, domani ci sarà un nuovo incontro e un altro piano”. Ma la Germania
inizia a pensare all'uscita della Grecia
dall'euro e spaventa le Borse dove
scattano le vendite: crolla la Piazza di
Atene che chiude perdendo il 6%. Per
la Bild, il giornale tedesco più vicino alle posizioni dei falchi dell'Eurozona,
“anche Angela Merkel si prepara a una
Grexit”, soprattutto dopo il nulla di fatto al termine dell'incontro a tre con il
presidente francese Hollande e il premier greco Tsipras. Il portavoce del governo tedesco però ha smentito il gior-
SABATO 13 GIUGNO 2015
nale: “Lavoriamo affinché la Grecia resti un membro dell'Eurozona". E così
mentre i falchi insistono perché Atene
prenda "misure difficili”, il governo
greco controbatte: “Senza un'intesa
nessun rimborso al Fmi a fine giugno.
Non accettiamo altri tagli a stipendi e
pensioni, i discorsi tecnici sono finiti,
11
ora tocca alla politica”. Insomma la situazione torna a complicarsi proprio
mentre dalla Grecia i dirigenti di Syriza, il partito di sinistra del premier Alexis Tsipras, iniziavano a preparare i
colleghi di partito e la gente alla possibilità che il governo sottoscriva un
accordo.
EXPO, GARA FATTA COI PIEDI
IN RITARDO TUTTI I GADGET
A CAUSA DI UNA PROCEDURA NATA E GESTITA MALE, IL PADIGLIONE OVS-EXCELSIOR
CHE VENDE MAGLIETTE E ACCESSORI È STATO INAUGURATO DOPO UN MESE
di Gianni Barbacetto
Milano
P
otete immaginare Disneyland senza le felpe di Topolino? No.
Ebbene, Expo è riuscito a far partire la sua Disneyland a Milano senza le felpe, le
t-shirt, l’abbigliamento e i prodotti commerciali marchiati
Expo. Solo ora, a un mese
dall’apertura dell’esposizione, è
caduto l’ultimo telo bianco di camouflage ed è finalmente comparso sul “decumano” lo stand
Ovs-Excelsior che vende il marchandising. Con un danno economico che si avvicina al milione di euro.
Tutta colpa di una gara fatta male. Da manager che guadagnano,
come il commissario Giuseppe
Sala, 430 mila euro l’anno, sono
assunti a tempo indeterminato
(per una manifestazione che du-
MOSE Slitta di un anno
Costi su di 5 milioni
a fine dei lavori del Mose, la grande opera che
L
dovrebbe difendere Venezia dall’acqua alta, avverrà solo a giugno 2018, e non a metà 2017 com’era
previsto. Il rinvio era nell’aria ma è stato ufficializzato
nell’atto integrativo che ha modificato la convenzione vigente. E non è tutto: dai conti della delibera spunta anche un aumento di 5 milioni di euro dei costi, che
riguarda i lavori alla bocca di porto di Chioggia, il
centro operativo e le indagini tecniche. Il calvario del
Mose continua. Dopo l’indagine per frode fiscale nel
2013, e lo scandalo corruzione del 2014 che aveva portato in manette tra gli altri anche l’ex sindaco Orsoni,
arriva un ulteriore rinvio nella consegna del progetto.
Già il presidente dell’Autorità Anticorruzione, Raffaela Cantone, aveva posticipato di mezzo anno l’originaria scadenza di fine 2016. E i commissari aggiungono: “Il nuovo termine di ultimazione potrà essere
rispettato solo qualora le risorse vengano rese effettivamente disponibili”. Lo slittamento, insomma,
non è stato il primo e potrebbe non essere l’ultimo.
ra sei mesi) e magari puntano,
dopo, a candidarsi sindaco di
Milano. La storia inizia nella primavera 2014, quando vengono
aperte le buste della gara per il
“retail & marchandising partner”, ovvero per trovare chi realizzerà ideazione, creazione e
vendita di abbigliamento e prodotti commerciali con il marchio Expo. Un business che vale
5-6 milioni di euro per chi lo gestisce e porta il 7 per cento in ro-
ERRORI SU ERRORI
L‘assegnazione affidata
a manager ben pagati
che si sono poi rivolti
a consulenti esterni.
Diffusi anche dati
che invece erano segreti
yalty alla società Expo spa. Viene
dichiarata vincitrice la Rinascente. Seconda arrivata, e sconfitta, Coin-Ovs-Excelsior. Eppure l’80 per cento del punteggio
di gara era assegnato all’efficienza della rete, mentre il 20 per
cento riguardava la qualità del
marchio. Ora, Coin-Ovs-Excelsior ha la rete di vendita più
grande d’Italia, ben più capillare
di Rinascente. Non solo: la gara
deve svolgersi in piena riservatezza. Invece quei furboni di
Expo si affidano, per valutare le
offerte dei partecipanti, a consulenti esterni, facendo uscire dalla
commissione esaminatrice dati
che dovevano restare ben chiusi
nei loro cassetti.
RISULTATO: Coin ricorre ai giu-
dici amministrativi. E vince.
Vince tre volte. Coin ha ragione,
Expo ha torto, sentenziano i giudici amministrativi. La gara fu
“illegittima”. La commissione
che la gestì “ha violato il principio di segretezza, che è presidio
dei principi di imparzialità e
buon andamento dell’azione
amministrativa”. La commissione giudicatrice di Expo, prima
dell’apertura delle buste, affida
infatti a un consulente esterno la
valutazione del valore da attribuire ai “piani di promozione e
visibilità” presentati dai due partecipanti. Questi risultati arrivano ai commissari prima che questi aprano le offerte: “In palese
violazione”, scrivono i giudici
del Tar, “del principio della necessaria precedenza dell’offerta
tecnica rispetto alla valutazione
economica”. Insomma: pasticcioni,
questi
sapientoni
dell’Expo, che infrangono “il
principio di segretezza” che deve
essere “inderogabilmente” rispettato. Primo smacco per
Expo: una bacchettata sulle dita
che costa 12 mila euro di spese
legali. Sala ricorre al Consiglio di
Stato. Questo però non solo conferma la decisione dei primi giudici, ma aggrava la situazione,
TEMPI MORTI Il
mercatino provvisorio che
vendeva t-shirt marchiate
Expo prima che venisse
inaugurato il padiglione
Ovs-Excelsior.
A destra, Foody,
la mascotte Expo Ansa
stabilendo che il ricorso a un
consulente è stato “un illegittimo affiancamento” di un “soggetto valutante” esterno: la commissione di gara di una società
pubblica deve invece essere in
grado di fare tutte le valutazioni,
senza aiutini.
SALA non si dà per vinto. Invece
di accettare le sentenze, revoca la
gara: “Ormai siamo troppo in ritardo”, ammette, “e l’attività assegnata non sarebbe più economicamente vantaggiosa”. Coin
non ci sta e ricorre ancora al Tar,
che di nuovo stabilisce che il ricorrente ha ragione: la revoca è
illegittima. Alla fine Coin apre il
suo shop Ovs-Excelsior sul “decumano”. Ormai però il mese di
maggio è perso e con esso, prevedibilmente, quasi 1 milione
d’incassi. Per Expo spa, significa
una perdita di 70 mila euro.
Noccioline. Saranno recuperate
nei mesi prossimi? No, prevedono i manager di Coin. Inferociti.
Perché? I primi giorni d’apertura, gli affari sono andati a gonfie
vele; ma poi davanti allo shop
Ovs-Excelsior è stato piazzato
uno dei “mercati” di Dante Ferretti che presentano italici prosciutti, salami, formaggi, frutta e
verdura, tutto rigorosamente di
plastica. Negozio oscurato, incasso dimezzato.
L’inceneritore rischia di bruciare Pizzarotti
PD E 5STELLE MANIFESTERANNO INSIEME CONTRO LA MISURA DELLO SBLOCCA ITALIA: I RIFIUTI DI MEZZO PAESE FINIRANNO A PARMA
di Ferruccio
Sansa
izzarotti e il Pd insieme a Parma. Uniti
P
dalla lotta contro l’ampliamento dell’inceneritore consentito, tra l’altro, dallo Sblocca
stato duramente contestato dall’opposizione
per le sue scelte in materia di servizi educativi –
ha trovato un alleato insperato: il Pd.
195mila tonnellate l’anno. Più 50% esatto. E
subito il comune guidato dai Cinque Stelle ha
alzato le barricate. L’inceneritore – approvato
prima dell’arrivo dei grillini – è stato la bandiera della campagna elettorale: non entrerà
mai in funzione, era la scommessa. Una battaglia persa, perché l’impianto era ultimato.
Italia del governo di centrosinistra. Chi l’avrebbe mai detto, dopo che proprio l’inceneritore
era stato il nodo dell’accesissima campagna
elettorale con cui i Cinque Stelle avevano scon- NIENTE DA FARE. Ma adesso ecco arrivare adfitto il centrosinistra. E adesso invece i rivali si dirittura l’ampliamento. E il sindaco, che ormai
trovano dalla stessa parte, addirittura potreb- ha superato la metà del primo mandato, ha
bero sfilare insieme per le strade di Parma il dichiarato guerra: “La richiesta di Iren per auprossimo 11 luglio.
mentare la portata dell'inceneritore è assoluOra arriva il progetto di Iren (la multiutility che tamente inaccettabile”, ha esordito ieri Pizzaunisce tanti comuni del nord Italia) che gestisce rotti. E ha aggiunto: “Sarebbe una beffa per i
il contestatissimo inceneritore di Parma: pre- cittadini e uno schiaffo a chi agisce in modo
vede non soltanto di aprire
virtuoso nella gestione dei rifiuti. Stesso discorso vale per
l’impianto ai rifiuti della provincia di Parma, ma “imporl'articolo del decreto Sblocca
DOPPIO FRONTE
tarli” anche da fuori. Un modo
Italia che permette alle società
per sfruttare al massimo la
come Iren, che hanno scopo di
La multiutility Iren
lucro, di importare rifiuti senstruttura, per fare cassa, ma
anche per aumentare le emisza vincoli territoriali, non teè pronta ad ampliare
nendo in alcun conto i patti
sioni. Non basta: a gettare benfino al 50% la portata
zina sul fuoco ci si è messo anstipulati dalle singole comuniche lo Sblocca Italia del govertà”. Insomma, si agirà su due
dell’impianto (approvato fronti: “Nei confronti della
no che punta sugli inceneritori. Risultato: nell’impianto
Provincia (che esiste ancora,
dalla vecchia giunta).
di Parma i rifiuti conferiti pasndr) per chiedere che non sia
Tutti in piazza l’11 luglio
aumentata la quantità di rifiuti
serebbero da 130 mila a
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“SIAMO contrari al potenziamento della ca-
Il termovalorizzatore di Parma Ansa
bruciati. E verso la Regione perché il piano regionale dei rifiuti impedisca che si aprano le
porte al conferimento da altre parti d’Italia”. La
vicenda, secondo Pizzarotti, rivela quanto sia
stato sbagliato puntare sugli inceneritori: “In
Emilia Romagna ne abbiamo 8 per 9 province. E
nel nostro funziona solo una linea su due perché
i rifiuti, grazie alla differenziata, diminuiscono”.
Così ecco lanciata l’idea della manifestazione
dell’11 luglio. Tutti per le strade di Parma: “Sarà
una manifestazione senza bandiere. Spero che
aderiscano tutti perché è in gioco il bene dei
cittadini”. Ma Pizzarotti – che recentemente era
pacità di smaltimento dell’inceneritore di Parma” chiarisce subito la mozione approvata
all’unanimità nei giorni scorsi dalla direzione
provinciale del Partito democratico di Parma.
Non solo: si chiede “ai sindaci Pd del patto di
sindacato Iren di attivarsi e prendere posizione
nelle sedi decisionali della società affinché la
stessa ritiri la richiesta di adeguamento dell'autorizzazione integrata ambientale”. Ma il Pd di
Parma chiede un intervento anche al presidente
della Regione, Stefano Bonaccini (anche lui Pd)
perché si attivi “affinché lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani provenienti da fuori regione
sia consentito solo in via transitoria e per fare
fronte a conclamate situazioni di emergenza
garantendo in ogni caso che non vi siano impatti sulla qualità dell'aria”.
Ora bisognerà vedere come reagirà il Pd in Provincia e in Regione alle richieste del sindaco
Cinque Stelle, ma anche di quelli che una volta
si sarebbero detti compagni.
Così dai rifiuti nasce un’inedita sintonia. L’11
luglio tutti insieme in piazza a Parma, Cinque
Stelle accanto al Pd. E chissà che non succeda
anche altrove.
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12
CRONACA
SABATO 13 GIUGNO 2015
EElkann.
storsione a Lapo
Condanne
fino a quattro anni
IL GIUDICE DI MILANO Giuseppe Vanore ha condannato i fratelli Enrico e Giovanni Bellavista rispettivamente a 4 anni e a 3 anni e 6 mesi di reclusione
per un’estorsione ai danni di Lapo Elkann. È stato
condannato a 2 anni e 8 mesi anche il padre, Renato. Disposta anche una provvisionale da 50 mila
euro a Elkann, parte civile. I tre imputati, accusati di
estorsione e tentata estorsione, sono stati proces-
sati con rito abbreviato. Enrico Bellavista, cameriere di 31 anni, era stato arrestato mentre nella stanza
di un hotel a Milano intascava 90 mila euro da un
collaboratore del rampollo della famiglia Agnelli. Si
trattava, in realtà, di una trappola organizzata dagli
investigatori dopo la denuncia di Elkann (che aveva
già dato 30 mila euro al cameriere nei mesi precedenti), che ha raccontato di essere stato ricattato
PANDILLAS, CODICI E MACHETE
LE GANG LATINE SU MILANO
MERCOLEDÌ L’AGGRESSIONE A UN CAPOTRENO CHE HA RISCHIATO DI PERDERE L’USO
DI UN BRACCIO. NE HANNO ARRESTATI DUE, UNO AFFILIATO ALLA TEMIBILE MS13
di Davide Milosa
L
Milano
a sera dell’11 giugno
il capotreno Carlo
Di Napoli, 32 anni
marito e padre di
una bimba di cinque mesi, sta
sul convoglio che dal sito di
Expo corre veloce verso Rogoredo. Linea suburbana S14
creata apposta per l’Esposizione universale. Con lui un collega che ha quasi terminato il
turno. Poco dopo le 21. Negli
stessi minuti in un parco vicino
alla stazione Certosa un gruppo di sudamericani fa serata
con fiumi di vodka. Sono una
decina di persone, quasi tutti di
origine salvadoregna. C’è anche una ragazza. Alcuni di loro
si portano dietro una vita balorda. Qualcuno è clandestino,
altri sono affiliati agli MS13,
gang latina nata in America
centrale e che l’Fbi considera la
“pandilla” più pericolosa al
mondo. Destini lontani quelli
di Carlo e dei latinos.
IL TEMPO, PERÒ, accorcia le
distanze. E così alle 21.50 di
mercoledì, quando il treno arriva alla stazione di Villapizzone, Carlo decide di fare il suo
mestiere. Chiede il biglietto a
quei ragazzi alterati dall’alcol.
Sono appena saliti. Su dieci solo uno ha pagato la corsa. Ora il
tempo scorre rapido. Il gruppo
dei latinos si dilegua. Restano
in quattro. Carlo insiste. Dovrà
farli scendere e compilare il
verbale. Basta questo: la minaccia di una multa. E uno dei
quattro estrae dai pantaloni un
machete e lo colpisce al braccio.
Il colpo è terribile. Carlo sanguina. I latinos fuggono. Il suo
collega, ferito anche lui, si sfila
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GENOVA RITORNA
Detenuto picchiato
Tra gli indagati c’è
la dottoressa del G8
ACCUSE DI OMISSIONE ANCHE PER LA ZACCARDI,
COINVOLTA NEI FATTI DELLA CASERMA BOLZANETO
ieci persone indagate a vario titolo: otto medici e due guarD
die penitenziarie. L’accusa: avrebbero insabbiato il pestaggio di un detenuto da parte di un agente nel carcere di Marassi a
Il luogo dove è stato aggredito il capotreno Carlo Di Napoli Ansa
terrogatori danno i frutti sperati. Le risposte di uno dei due
chiariscono il quadro definendo dinamica e protagonisti
dell’aggressione. E così per entrambi scatta l’arresto con l’accusa di tentato omicidio. Si
tratta di Jackson Jahir Lopez
Trivino, 20 anni irregolare, e di
José Emilio Rosa Martinez 19
anni che la squadra Mobile
considera l’esecutore materiale
dell’aggressione. Sarà proprio
Martinez, già padre di un figlio,
a fare dichiarazioni di responsabilità spiegando la modalità
da Bellavista e da altre persone in possesso di un
video compromettente. Filmato, realizzato nel giugno scorso, in cui l’imprenditore apparirebbe seminudo, vicino a delle “piste” di cocaina stese su un
tavolo. L’inchiesta in seguito ha portato anche
all’arresto di Giovanni Bellavista e del fotografo Fabrizio “Bicio” Pensa, che a differenza degli altri imputati non ha scelto il rito abbreviato.
di Alessandro Bartolini
la cintura e tenta di bloccare
l’emorragia. Portato in codice
rosso all’ospedale Niguarda,
Carlo non perderà l’uso del
braccio grazie a un’operazione
di otto ore. Mentre il capotreno
è sotto i ferri, in via Edoardo
Moneta vicino al ponte Martin
Luther King la volante Comasina bis ferma due salvadoregni. Sono giovanissimi e hanno
i vestiti imbrattati di sangue.
Dopo l’aggressione sono fuggiti verso i campi di via Negrotto.
La polizia li accompagna in
Questura per identificarli. In
via Fatebenefratelli ci restano
per oltre dodici ore. Fino a che
nella serata di ieri i lunghi in-
I FERMATI
Jackson Trivino
ha 20 anni e un figlio.
José Martinez 19
ed è accusato di essere
l’autore materiale
della violenza
il Fatto Quotidiano
della violenza e di averlo fatto
per difendere i propri compagni. Trivino, invece non ha risposto. Il suo, però, è un nome
noto agli archivi di polizia visto
che nel 2013 viene coinvolto
nell’operazione
Mareros
sull’associazione
criminale
MS13. Nel comunicato di allora la polizia scrive: “La gang,
conosciuta anche come Marasalvatrucha è nata in America
centrale, ed è considerata come
la più pericolosa al mondo”.
L’inchiesta Mareros svela dinamiche e interessi della gang.
Tutti gli affiliati devono seguire
alcune regole racchiuse nel
“codice della Mara” che prevede anche le iniziazioni. Si tratta
di rituali violentissimi che per
le donne prevedono lo stupro.
VIOLENZA INAUDITA, dunque. Che due giorni fa ha colpito Carlo Di Napoli. “Ho avuto molta paura, ma ora mi sento più sollevato: la cosa più importante è che potrò riabbracciare la mia bimba”. Queste le
sue parole dopo l’intervento.
“Avevo intuito che c’era una situazione strana e per questo ho
chiesto al mio collega se poteva
stare ancora con me”. Durante
l’aggressione con il machete
Carlo si è difeso con un braccio.
Movimento che ha evitato conseguenze se possibili peggiori.
Da qui l’accusa di tentato omicidio. Su Facebook la moglie ha
scritto: “Questa è la notte più
brutta e lunga della mia vita,
mio marito è una roccia anzi la
nostra roccia!”. All’ospedale
Niguarda ieri si è presentato
anche il governatore Bobo Maroni che ha commentato così il
fatto: “Chiederemo di mettere i
militari e la polizia per contrastare questi fenomeni. Voglio
qualcuno che impedisca queste
cose e se è necessario spari”. Intanto l’inchiesta, coordinata
dal procuratore aggiunto Alberto Nobili e dal pm Lucia Minutella, prosegue per identificare almeno altri due latinos.
Al momento la polizia sta lavorando su alcuni nomi.
Genova. Tra loro un nome, che lega le presunte violenze di oggi
con le torture del 2001 nella caserma di Bolzaneto durante il G8.
È quello della dottoressa Marilena Zaccardi, condannata insieme ad altri quattro colleghi per abuso d’ufficio pluriaggravato e
ingiuria pluriaggravata. Accuse cancellate dalla prescrizione. La
Zaccardi quattordici anni fa, ricostruì la procura, nella caserma
delle torture gridava a una ragazza ferita e terrorizzata: “Puzzi
come un cane”. Secondo i giudici dell’Appello, durante i giorni
di Bolzaneto, la dottoressa “aveva consentito o effettuato controlli di triage e di visita sottoponendo le persone a trattamento
inumano e in violazione della dignità”. Oggi è indagata di “omissioni” e “favoreggiamento”. A mettere in fila i tasselli per ricostruire quello che è avvenuto nel carcere di Marassi è il pm
Giuseppe Longo. Anche se per avere una visione più chiara del
mosaico bisogna fare un salto
indietro di alcuni mesi.
È IL 13 APRILE scorso. Ferdinan-
do B. ha 36 anni, è dentro per
droga. Ha il volto tumefatto.
Ventiquattro ore dopo, come ha
scritto ieri Repubblica, Silvia Oldrati, la psichiatra che lo visita e
lo medica segnala al medico responsabile Silvano Bertirotti
“lesioni sospette”, forse procurate da un manganello. Entrambi sono stati raggiunti dall’avviso di garanzia, così come la Zaccardi e altri due colleghi: Ilias Zannis e Giuseppe Papatola che –
come i colleghi – non avrebbero refertato e denunciato le presunte botte. Tutti e cinque appartengono alla Struttura di Medicina Penitenziaria. Insieme a loro altri tre medici e due guardie
carcerarie sono finiti nel registro degli indagati. Secondo la procura quelle “lesioni sospette” sono state provocate dall’agente
Dario Pinchiera, di 30 anni, sospeso dal servizio per un anno. La
guardia si difende, sostenendo di aver reagito a un’aggressione
da parte del detenuto. Sarebbe nata una colluttazione. Ferdinando B. sarebbe scivolato, procurandosi le ferite. Non ci sono
testimoni, però. E tutto è andato in scena in una zona del carcere
dove gli occhi elettronici delle telecamere non arrivano. Insomma il nome di Marilena Zaccardi torna d’attualità dopo i fatti di
Bolzaneto. La sua figura già allora suscitò imbarazzo nell’Ordine
dei Medici che la sospese per due mesi. Imbarazzo che l’Asl non
ha mai provato. Due mesi fa ha indicato la dottoressa come relatrice a un convegno sulla salute nelle carceri.
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MONDO
il Fatto Quotidiano
Pianeta terra
SABATO 13 GIUGNO 2015
13
TURCHIA DEMIRTAS: “TEMO ATTACCO ISIS”
Cellule dello Stato Islamico starebbero attendendo
l’ordine per entrare in azione in Turchia. È il timore
espresso dal leader del partito filo-curdo Hdp, Selahattin Demirtas. “Ho paura che forze legate
all’Isis stiano aspettando l’ordine per creare incidenti in centinaia di luoghi in Turchia”. Reuters
YEMEN PER LA PRIMA VOLTA BOMBE SULLA CITTÀ VECCHIA
Le bombe e i missili della coalizione araba a guida saudita anche ieri
hanno ucciso civili nella capitale Sanaa. Per la prima volta, i raid aerei
hanno colpito la Città Vecchia. Tre edifici del sito inserito dall’Unesco
nel patrimonio mondiale dell’umanità sono stati rasi al suolo. Ansa
TANTO RUMORE PER NULLA
STRAUSS-KAHN NON È UN PAPPONE
FRANCIA, IL PROCESSO SU ORGE E SESSO BRUTALE NON HA DIMOSTRATO CHE DSK
PAGAVA LE RAGAZZE, MA NEL 2012 LA SUA CORSA ALL’ELISEO È STATA FERMATA
di Luana
De Micco
N
Parigi
on è uno sfruttatore della prostituzione, né un
istigatore, solo
un cliente, un libertino dagli
appetiti sessuali quanto meno
discutibili, e mai negati, ma
un tribunale non si occupa di
questioni morali.
E andare con le prostitute in
Francia, anche se la questione
di un reato da attribuire al
cliente era in dibattito proprio ieri in Parlamento, al
momento, non costituisce un
illecito penale. Ieri il tribunale di Lille ha prosciolto Dominique Strauss-Kahn dalle
accuse di sfruttamento della
prostituzione per le serate libertine organizzate tra Parigi,
Bruxelles e Washington, da
alcuni suoi amici dell’hotel
Carlton, dal 2008 al 2011.
Contro di lui non ci sono prove. “Tanto casino per nulla”,
sono state le parole dell’ex direttore del Fondo Monetario
Internazionale che ha seguito
la lettura delle 247 pagine del
verdetto senza batter ciglio,
Il maxi bucato contro gli stupri
IL KOSOVO RICORDA LE VITTIME DI GUERRA
Oltre 5000 vestiti da donna sono stati stesi su fili per il
bucato nello stadio di Pristina, per ricordare le vittime di
stupro e violenze durante la guerra del 1998-99 Ansa
SPAGNA Il re punisce
Cristina: Palma addio
l re di Spagna Felipe VI ha revocato alla sorella
I
Cristina - incriminata per presunte irregolarità
fiscali con il marito, l’ex atleta Inaki Urdangarin - il
titolo di duchessa di Palma di Maiorca. L’Infanta
tramite il suo legale, ha dato la sua versione: è stata
lei a “rinunciare” al titolo, di sua spontanea volontà.
L’infanta Cristina è coinvolta nell’inchiesta che vede Urdangarin come principale accusato di numerosi reati, fra i quali l'appropriazione indebita e riciclaggio attraverso la Fondazione Noos. Un caso
che imbarazza non poco la Casa Reale
che cerca un rilancio di immagine sulla sua integrità: così ieri sul sito della
Gazzetta Ufficiale spagnola è comparso il decreto reale, contro firmato dal
premier Mariano Rajoy, che priva
l’Infanta del titolo ricevuto dal padre
Juan Carlos nel 1997 in occasione del suo matrimonio. La notizia arriva nel giorno del viaggio a
Roma della regina Letizia per accettare la nomina
ad ambasciatrice speciale della Fao per la Nutrizione. La trasferta italiana della regina è stata messa
in ombra dall’ennesima disavventura di Cristina e
dal dissidio che si è creato con il fratello: alcuni
quotidiani riportano che lui le aveva chiesto ripetutamente di rinunciare al titolo, sino poi a prendere la decisione d’autorità.
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prima di lasciare il tribunale
di Lille dalla porta di servizio.
Tre anni di inchieste che finiscono con un gigantesco
flop della giustizia francese.
IL CASO CARLTON scoppiò
nell’ottobre del 2011 quando
il nome di DSK rimase coinvolto nell’inchiesta su un presunto giro di escort. All’epoca
un’altra bomba era già scoppiata annientando la carriera
politica del socialista che sembrava destinato all’Eliseo nel
2012. L’arresto clamoroso a
New York, nel maggio 2011,
per le accuse di stupro da parte di Nafissatou Diallo, una
cameriera dell’hotel Sofitel, lo
aveva già obbligato a rinunciare all’ambita candidatura e
a dimettersi dal FMI. Era stato
gridato al complotto per impedire al favorito di tutti i
sondaggi di afferrare l’Eliseo
che sembrava suo. Nel caso
Carlton DSK era accusato di
partecipare a serate a luci rosse insieme ad amici di grosso
calibro, accogliendo le ragazze persino nei suoi uffici del
FMI. Era accusato di essere il
re di quei festini, di organizzarli in base ai suoi impegni.
Si sono sospettati stupri di
gruppo. Alcune escort hanno
denunciato veri e propri carnai. DSK non ha mai negato
di apprezzare le orgie, ha ammesso di amare il sesso brutale, ma ha anche sempre sostenuto di non sapere che le
DAL FMI
ragazze erano pagate.
ALLA
Lui almeno GOGNA Donon ha mai
minique
cacciato un
Strauss-Kahn,
soldo.
E 66 anni, ex capo
niente ha didel Fondo momostrato il
netario Reuters
contrario.
Ieri tredici
dei quattordici imputati sono stati prosciolti. I due imprenditori,
amici di DSK, Fabrice Paszkowski e David Roquet, che
organizzavano le serate e pagavano le ragazze. E persino
Dominique
Alderweireld,
detto Dodo, il tenutario di un
bordello alla frontiera franco-belga, quello che forniva le
escort. Solo Réné Kojfer, ex
responsabile delle relazioni
esterne del Carlton, è stato
condannato, ad un anno con
la condizionale. Per adesso
nessuno osa fare dichiarazioni a sinistra. Anche ora che si
è scrollato di dosso i guai giudiziari, tanto negli Stati Uniti
che in Francia, sembra poco
probabile che Strauss-Khan
torni in politica. In Francia
resta un personaggio poco
raccomandabile. É quasi
un’ombra. Qualche giorno fa
è comparso sulle gradinate
del Rolland Garros. Vive per
lo più in Marocco, a Casablanca, e viaggia in giro per il
mondo a elargire consigli di
economia a suon di quattrini.
LIBIA Ritorsione contro
Tunisi: 10 sequestrati
ennesimo episodio della guerra fratricida in LiL’
bia è un assalto ad una delle poche ambasciate
ancora aperte a Tripoli, quella tunisina. Almeno 10
dipendenti sono stati sequestrati da un commando
di miliziani. Si tratterebbe, secondo alcuni media locali, di una ritorsione per la mancata scarcerazione,
da parte di Tunisi, di Walid Glayeb, capo di una delle
milizie appartenenti alla coalizione islamista Fajr Libia, che controlla il territorio della città di Tripoli. La
decisione dei giudici tunisini risale all’11 giugno.
L’arresto di Glayeb, avvenuto a Tunisi all’aeroporto
Carthage deriva da reati legati al terrorismo.
Nella Libia spaccata dalle fazioni, ieri a Derna è stata
una giornata sanguinosa: sette persone sono state
uccise mentre partecipavano a una manifestazione
contro lo Stato Islamico (Isis). Lo ha riferito il network al-Arabiya. In base alla ricostruzione fornita dagli abitanti, i manifestanti si stavano dirigendo verso
la base dell’Isis quando i miliziani hanno aperto il
fuoco contro la folla. Infine, ancora distanti le posizioni fra il governo di Tripoli sostenuto dai Fratelli
Musulmani e quello di Tobruk riconosciuto dalla
comunità internazionale. Il piano di pace proposto
dall’inviato Onu non trova consensi.
“Save the Children covo di spie”
PAKISTAN, DOPO 30 ANNI DI ATTIVITÀ CACCIATA L’ORGANIZZAZIONE CHE SI OCCUPA DI BAMBINI
di Virginia Della Sala
ra la giornata mondiale
E
contro lo sfruttamento del
lavoro minorile: e ieri, provan-
do a cercare su Internet le sedi
di Save the Children in Pakistan
(dove, secondo l’ultimo rapporto Unicef, lavora l’88 per
cento dei bambini tra i 7 e i 14
anni che non vanno a scuola)
risultava impossibile trovarle.
L'organizzazione internazionale che tutela i diritti dell'infanzia ha infatti rimosso il Pakistan dalla lista dei paesi in cui
opera: è una proiezione in rete
di quello che è accaduto nel reale. Sul territorio, le sue sedi sono state sigillate e messe sotto
sorveglianza. Dopo 30 anni di
attività, il dipartimento per gli
Affari economici del ministero
dell’Interno di Islamabad ha
accusato l'ong di pratiche “anti-pachistane” e di spionaggio,
ordinando a tutti i funzionari
di Save the Children di lasciare
il paese entro 15 giorni. E non è
una decisione improvvisa.
Già nel 2011 l'intelligence pachistana aveva accusato Save
the children di essere collegata
al medico pakistano Shakil
Afridi, all’uomo reclutato dalla
Cia con un ruolo chiave
nell’operazione in cui fu ucciso
Bin Laden. Secondo le ricostruzioni, Afridi aveva inscenato
un programma di vaccinazione
nella cittadina di Abbottabad,
dove poi fu scoperto e ucciso
Bin laden, per ottenere i campioni di Dna provenienti dall'area in cui si nascondeva. Il
decreto di espulsione, però,
quella volta era stato sospeso
dopo pochi giorni. Stavolta, invece, le tv locali hanno trasmesso immagini inequivocabili: la
polizia pachistana ha sigillato le
sedi dell'organizzazione. E secondo quanto riferito da Save
the Children, non ci sarebbe
stata alcuna notifica del provvedimento. Per il ministro degli Interni pachistano, Chaudhry Nisar Ali Khan, alcune associazioni avrebbero svolto attività oltre i propri limiti di
competenza. Pochi dettagli, ma
un chiaro riferimento: “Non
CACCIA A BIN LADEN
I servizi segreti sono
convinti: il medico che
aiutò la Cia a trovare
e uccidere il capo
di al Qaeda
era legato alla Ong
vogliamo metterle al bando,
vogliamo che lavorino nel rispetto delle leggi - ha detto Non possiamo permettere che
organizzazioni non governative che operano contro lo Stato
lavorino sotto la copertura di
quelle corrette”.
Save the children (che sul territorio pachistano era presente
con uno staff di 1200 persone
“tutte di nazionalità pachistana”, precisano), ha risposto immediatamente. “Tutto il nostro
lavoro - ha dichiarato con una
nota - è stato pianificato in
stretta collaborazione con i ministeri governativi, in tutto il
Paese". Nonostante ciò, l’ong è
stata bandita. L’ultimo caso, il
mese scorso, in India dove il
ministero degli Affari interni
indiano aveva bloccato i conti
correnti nazionali di Greenpeace e sospeso la licenza che
permette all’organizzazione
ambientalista di ricevere contributi internazionali. L’accusa? Di operare a “danno della
sicurezza nazionale indiana”.
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14
SOCIETÀ
SABATO 13 GIUGNO 2015
D
a Lotta Continua
alla guida dei tre
rotocalchi italiani
NATO IL 9 APRILE del 1946 a Roma, Claudio
Rinaldi è l’unico giornalista italiano ad aver diretto i tre grandi settimanali d’informazione
del nostro Paese nel dopoguerra (l’Espresso,
l’Europeo e Panorama). Dopo aver studiato alla
Cattolica di Milano, negli anni Settanta è tra i
principali esponenti del movimento di estrema
sinistra, Lotta Continua. Nel ‘74 comincia a
collaborare come giornalista economico a Panorama con Lamberto Sechi, da dove si trasferisce nel 1983 all’Europeo, prima come vicedirettore, poi come direttore. Nel 1985 torna
a Panorama per dirigerlo, ma nel 1990, in seguito all’acquisto da parte di Silvio Berlusconi
del gruppo Mondadori, decide di lasciare l’incarico. Dopo un anno sabbatico, prende il po-
il Fatto Quotidiano
sto di Giovanni Valentini alla direzione de
l’Espresso, che guida fino al 1999, continuando
poi a lavorare come editorialista del settimanale e del quotidiano Repubblica. È scomparso
il 4 luglio 2007, dopo aver lottato per oltre
vent’anni contro una terribile malattia, la sclerosi multipla, che gli era stata diagnosticata nel
1986.
IL RICORDO
di Antonio
S
Padellaro
pesso, quando la redazione
dell’Espresso si spopolava
per la pausa pranzo entravo
nella sua stanza, accanto alla mia, per fare due chiacchiere. È
successo così per anni e anche dopo,
lui non più direttore a causa della
malattia, continuammo a sentirci
ogni giorno con la rituale telefonata
quotidiana, senza contare la partita
della Roma in tv che ogni domenica,
cascasse il mondo, guardavamo insieme. Eppure, prima del suo arrivo
a via Po nel febbraio 1991 non c’eravamo mai incontrati e il nostro primo contatto non fu neppure felicissimo. Mi spiegò che non avrei
avuto spazio nel nuovo organigramma operativo e sarei diventato, in
pratica, un vicedirettore senza potere. “Ma potrai scrivere se vuoi”,
aggiunse con un lampo negli occhi,
e mi sembrò un contentino beffardo
che mi fece vieppiù incazzare. Mi
sbagliavo: furono anni formidabili e
sotto la sua direzione, dopo tanto
tempo, tornai a sentirmi un giornalista felice. Oggi, però, se ripenso
a Claudio penso all’amicizia. Che
resta un sentimento inspiegabile:
uno che sa tutto di te e gli piaci lo
stesso. Io di Rinaldi sapevo ciò che si
tramandava tra le iene dattilografe
del nostro mondo. Genio e regolatezza. Mente criminale. Acido fosforico, Plagiator cortese. Direttore-record di tutti e tre i news-magazine
italiani, l’Europeo, Panorama, l’Espresso. Formula bomba. Grandi questioni, piccoli dettagli. Disincanto. Ironia. Ma quando ci vuole, calci negli
stinchi agli avversari. Cura maniacale dei testi. Artigiano delle didascalie.
Rinaldi, amico fragile
e direttore dell’Espresso
in guerra con il potere
STORIA DI UN AFFETTO NATO NELLA REDAZIONE DEL SETTIMANALE
DOPO CHE B. COMPRÒ MONDADORI E LO CACCIÒ DA PANORAMA
sconi: così era scritto sull’etichetta.
Un gesto propiziatorio tipico del
personaggio. Poi, siamo nell’83 o
nell’84, le reti Fininvest sono state
oscurate dai pretori e una sera, molto tardi, Rinaldi è a Roma davanti
all’edicola di piazza Colonna ad
aspettare la prima edizione dei quotidiani. Da un’auto scendono Berlusca e Fedele Confalonieri. “Lo vidi
avvicinarsi. Lui mi fece un segno di
saluto. Mi colpì la sua espressione
frastornata e il fatto che fosse incredibilmente basso, probabilmente
non aveva ancora le scarpe con il
tacco rialzato. Mi venne spontaneo
dargli una pacca sulla spalla e benché non fossi in nessuna familiarità
mi uscì una battuta: ‘Siamo al buio,
eh...’. Lui non apprezzò affatto, mi
guardò con occhi sbarrati e colorito
terreo e sgusciò via”.
“Senza un nemico
il giornalismo deperisce”
Sogno segreto: il giornale scriverlo e
impaginarlo tutto da solo. Regola
uno: senza un nemico il vero giornalismo deperisce. Regola due: Dio
e il diavolo sono nei particolari. Regola tre: non si fanno sconti a nessuno. Giocava allo stesso tavolo di
poker con Jas Gawronski, portavoce
a Palazzo Chigi di quel Cavaliere che
il giorno dopo regolarmente tornava a massacrare. Regola quattro: se
so una cosa la pubblico; a costo di
epiche litigate con amici e colleghi
che si sono lasciati sfuggire la chicca.
Regola cinque: chi si esprime bene,
pensa bene (prima che lo dicesse
Nanni Moretti). E dunque, disprezzo per gli sciatti, i superficiali, gli
approssimativi. Rinaldi è stato il pri-
AL TIMONE
Claudio Rinaldi, direttore de l’Espresso dal 1991 al 1999
mo in un giornalismo di belli addormentati – cauto, soppesato, un
colpo al cerchio e uno alla botte, non
si sa mai nella vita –, il primo a capire, in anticipo perfino su Berlusconi, che Berlusconi si sarebbe dato
alla politica. Sull’uomo di Arcore
raccontava storie divertenti. La mattina che deve intervistarlo per Espansione (siamo nel 1977), Claudio trova sul pianerottolo della casa dove
abita 17 casse di vino, per un totale
di 204 bottiglie. Nettare delle Terre
Rosse, riserva speciale Silvio Berlu-
Ignoravo le “notizie” sul mio male
uando levo il bicchiere ho un legQ
gero tremito. E versando il vino
stringo la bottiglia con troppa forza,
come temendo di farmela sfuggire. A
volte uso tutte e due le mani, come Boris Becker quando piazza un rovescio.
Daria se ne accorge: “Direttore, è emozionato? O sta bevendo troppo?”.
Non mi va di cercare una contro-battuta, già ho trasceso. Con i giovani, oltretutto, non si sa mai in anticipo cosa
troveranno divertente e cosa no. Tanto
vale che la spiazzi con una risposta cupa, purché non pensi di stare a cena
con un cadavere. Così le rivelo che nel
mio corpo c’è qualcosa di marcio.
Quando voglio fare colpo parlo crudamente di me, mi presento come un
caso clinico: soddisfa la mia pretesa di
unicità. Ma stavolta c’è di più. Voglio
vedere se Daria cambia, e in che modo;
o se tutto continua a ondeggiarle intorno senza prendere forma, come il
camicione rosso che la nasconde.
LA PRENDO ALLA LONTANA. Da
quell’estate 1986 in cui scoprii di essere
un malato cronico. Fino ad allora i segnali di allarme erano stati pochi e vaghi. La misteriosa caduta di un anno
prima, vicino a Capalbio; la gamba sinistra che a volte zoppicava; la pipì che
non fluiva più spedita; i formicolii che
andavano e venivano lungo gli arti; un
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senso di oppressione al torace quando
facevo il bagno.
Bianca era preoccupatissima. Io invece
non volevo mettermi nel tritacarne di
fisiologi, ortopedici, neurologi, psicoanalisti e quant’altro. Preferivo tenermi
i miei arcani disturbi. Una sola volta
volli fare una prova. Ero al Toulà, uno
dei ristoranti più cari di Milano, e mi
sentivo le gambe stranamente impacciate; perciò andai verso la toilette,
guardai i cinque gradini da scendere, li
affrontai di corsa. Caddi nel modo più
goffo. Visto che non mi ero rotto niente, rimossi il problema. Mai più esperimenti.
Mia moglie è di un’altra scuola. Se sente
un ladro in soggiorno, non finge di
Il male che lo consumava
e la biro tenuta con la sinistra
Mai un accenno al male che lo consumava lentamente. Un giorno notai che pur non essendo mancino
teneva la biro (con cui correggeva
perfino le virgole) con la mano sinistra non rassegnandosi a non potere usare più la destra. Una volta (e
poi mai più) mi parlò del momento
della rivelazione. Guidava una spider verso il Casinò di Campione con
un bel gruzzolo in tasca quando tac
le sue dita non riuscirono più a
L’assegno del Caimano
stringere la leva del cambio. Fino a
e quel pranzo con Baffino
un istante prima era un giovane uoIl terzo incontro, il più significativo, mo all’apice del successo, un giorall’inizio del 1990 quando Berlusco- nalista potente, ammirato dalle
ni s’impadronisce
donne e tutto andadella Mondadori e
vabene. Mi manca il
caccia Rinaldi dalla
suo pessimismo viFRONTE ROSSO
direzione di Panoragile: quando la Roma. Senonché al
ma vinceva tre a zeVari screzi
momento del conro a cinque minuti
gedo, nell’accomdalla fine e lui ancon D’Alema
pagnarlo
fuori
cora riusciva a duche a pranzo gli disse: bitare della vittoria.
dall’ufficio, il nuovo
padrone tira fuori il
O quando gli rac“Pansa non capisce
libretto degli assecontavo del Fatto
gni e dice: beh, conascente, e lui pridi politica e Prodi
ma scuoteva la testa
munque dottore, se
ancora meno di lui”
(“Una cosa senza
lei vuole rimanere
capo né coda”) e poi
agganciato al nostro
m’incoraggiava ad
gruppo con una
consulenza, io ne sarei felice. L’uo- andare avanti. Mi mancano le sue
mo è fatto così, vuole tenere aggan- domande impreviste sulle donne
ciati tutti. Oltre che dallo scontro per poi accennare a un misterioso
cruento con Berlusconi, quei nostri romanzo che stava scrivendo e che
anni all’Espresso furono segnati dalla un giorno, chissà, mi avrebbe fatto
guerra fredda con Massimo D’Ale- leggere. Mi manca un amico a cui
ma. Lo definiva un primo della clas- telefonare.
L’ANTICIPAZIONE DEL LIBRO
di Claudio Rinaldi
se, un po’ saccente e non attraversato da grandi passioni. Poi, dopo
vari screzi, un pranzo riconciliatorio durante il quale un leader Maximo scoppiettante dice che Giampaolo Pansa (allora condirettore
dell’Espresso) non capisce niente di
politica e che Romano Prodi (candidato premier dell’Ulivo che lui
stesso aveva indicato) ne capiva meno di Pansa (che forse agli occhi di
Spezzaferro aveva il torto di essersi
inventato Dalemoni, il mostro
dell’inciucio a due teste). Di episodi
così ce ne sarebbero da riempire un
libro, ma nei nostri conversari non
parlavamo quasi mai di politica o di
giornali. Se non per innaffiare del
suo arguto cinismo il paesaggio circostante: “Il giornalismo è un mestiere basato sulla chiacchiera,
chiacchieriamo meglio di chiunque
altro. Siamo una generazione aggressiva e disincantata che, coerente
al primato della chiacchiera, ha occupato in massa i giornali”.
dormire: afferra la torcia
elettrica e parte per un giro
di ispezione. Io non l’accompagnerei nemmeno a pagamento, piuttosto mi benderei. Benché
mi erga a modello di razionalità, tento
di ignorare le cattive notizie. Nei periodi in cui la Borsa va giù e il parco
buoi muggisce, me compreso, non leggo le quotazioni.
Non intendo dare al Male la soddisfazione di installarsi al centro dei miei
pensieri. Dopo mesi di calcolata indifferenza, però, una gita al casinò di
Campione d’Italia mi costrinse ad accettare un controllo.
Correvo sull’autostrada Milano-Como
con mille franchi svizzeri in tasca. Sta-
ULTIMO VOLO DELLA SERA
Claudio Rinaldi
Feltrinelli,
pagg. 382 - 20,00 ¤
vo definendo fra me e me la tattica da seguire alla roulette, i numeri su cui puntare, quando una
catena di episodi mi atterrì.
MENTRE GUIDAVO la mano sinistra
scivolò giù dal volante. La rimisi in posizione, ma ancora cadde. Riprovai e si
accasciò di nuovo. Allora strinsi rabbiosamente le dita intorno alla plastica
grigia diventata d’un tratto inaffidabile. Intanto però la mano destra, come
impazzita, non riusciva più a trovare da
sola la leva del cambio: dovevano soccorrerla gli occhi e orientarla. Eppure il
pomello era lì, nel posto di sempre, e
aspettava di essere afferrato. La sua immobilità era spaventosa e irridente.
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il Fatto Quotidiano
SABATO 13 GIUGNO 2015
ROMA, CASTAN OTTIENE L’IDONEITÀ
DOPO L’INTERVENTO AL CERVELLO
Leandro Castan potrà tornare a giocare.
Il difensore brasiliano ha ottenuto ieri
l’idoneità sportiva, dopo che a dicembre si
era operato per un cavernoma al cervelletto
OGGI IL GAY PRIDE DI ROMA 2015,
MADRINA FEDERICA SCIARELLI
SAMP, EUROPA LEAGUE A RISCHIO
PER UN PATTEGGIAMENTO
Appuntamento alle 16 in piazza della
Repubblica per il Gay Pride. Madrina
della sfilata Federica Sciarelli. “Saremo
in 250 mila” ipotizzano gli organizzatori
SECONDO
15
L’Uefa sta effettuando una verifica sui
requisiti di ammissibilità: c’è la macchia del
patteggiamento dell’estate 2012 per il caso
scommesse che aveva coinvolto Guberti
TEMPO
SPETTACOLI.SPORT.IDEE
Il critico
D
di Malcom Pagani
omande lecite: “Tranne un
prestito, può chiedere quel che
vuole”. Risposte in versi: “Critici si nasce, artisti si diventa e
pubblico si muore”. Memorie
lontane che trascinano a oggi:
“Già quattro decenni fa sostenevo che il critico possiede
corpo, pulsioni ed erotismo”.
A 75 anni, Achille Bonito Oliva si sente ancora “Eretico,
erotico, erratico” e tra un aereo
e l’altro, atterra volentieri in tv.
Nella seconda stagione di Fuori
quadro (Rai Tre, 8 puntate, domenica alle 13.25) con la presenza di Marta Perego e una
serie di rubriche che non diversamente dalle strade che
portano a Roma, rimandano
invariabilmente al suo timbro:
“In coda alla trasmissione c’è
anche il tallone d’Achille, con
una ragazza di 13 anni, Sveva
Fratino, che chiede spiegazioni su una frase che non ha ben
capito permettendomi di essere al tempo stesso protettivo ed
esplicativo” il territorio è vasto
e la scommessa ardua. ABO
non dubita: “Voglio bucare
l’indifferenza provando a trasformare il programma da
strumento di informazione a
strumento di formazione”. Oltre lo schermo e le opere, come
sempre, senza doglianze, il suo
nome: “In Cina hanno ristampato da poco il mio settimo libro”. Il suo volto: “Un artista
olandese, Jorit Agoch, mi ha
appena dedicato un murales di
oltre dieci metri al Rione
Traiano”. La fiamma della
provocazione (calcolata per i
detrattori, geniale per gli apologeti) è comunque simile a
quella che nel ’72 gli fece affiggere le mura di Roma con la
sua fotografia in completo
bianco: “Sono il critico e quindi un coglione”. Identica l’allegria: “Non ho mai inseguito
il consenso e nemmeno ho giocato sul valore dello scandalo,
ma ho saputo abbandonarmi a
un sano edonismo”. Saldo il
narcisismo: “Ne ho goduto
provando a esaltarlo in ogni
occasione. Il narcisismo è il
motore ecologico della vita di
chiunque. Anche dei santi”.
Lei però un santo non è.
Achille Bonito Oliva
Non cerco lo scandalo
Con l’arte inseguo la felicità
Non ho mai preteso di esserlo,
ma restituendo protagonismo
alla critica d’arte che fino agli
anni 70, come saprà, era considerata una serva di scena, ho
giocato alla pari con la vanità
degli artisti. Erano abituati a
un protagonismo solitario e
assoluto. Il mio arrivo li ha
spiazzati, infastiditi, spaventati, costretti al confronto.
Cos’è oggi l’arte contempora-
nea?
Una sintesi tra creazione e riflessione. In Fuori quadro ho la
pretesa di credere che la televisione, del contemporaneo,
possa catturare la complessità.
Confondere le acque e visto
che siamo in un eterno presente, parlare anche di quel che ci
circonda.
Un’arte puntata sul mondo.
Lo diceva Picasso ed è esatta-
mente ciò a cui aspiro. Non più
i compartimenti stagni, le categorie bloccate: pittura, scultura, disegno, architettura. Ma
la contaminazione. Lo sconfinamento. Il nomadismo. L’interdisciplinarità.
Lei ha lavorato a lungo sulla figura del principe De Curtis.
E Totò, anzi il totoismo, nella
trasmissione troverà spazio.
Parleremo d’arte cercando di
tenere sugli eventi, sui fatti e
sulle persone, un occhio ciclopico capace di farsi travolgere
totalmente da quel che osserva.
Osservare lo scenario contemporaneo produce ansia.
L’arte contemporanea per necessità e per ansietà è nervosa
per definizione. Non vuole stare sotto la teca, ma spingersi
oltre. Non cerca conferme, né
spinge ad andare avanti.
Il campionato di calcio è finito.
Parlare d’arte in piena estate,
all’ora di pranzo, di domenica
su una televisione generalista
resta una chimera.
La tv è come un frigorifero. Se
il pasto è o meno nudo, dipende dagli ingredienti. Tutti i
mezzi sono leciti e il fine giustifica il mezzo, ma da parte
mia non c’è nessuna supponenza.
Fiducia?
FUORI
QUADRO
Faccio la guida senza più
avere la superbia di volere
trasformare il mondo.
È la politica che deve dare
risposte. Cos’è rimasto
dell’egemonia culturale
del vecchio Pci? Macerie
canoni immobili. Insegue una
speranza di felicità.
Anche l’artista?
Il murales che l’artista olandese, Jorit Agoch, ha dedicato ad Achille Bonito Oliva nel Rione Traiano a Napoli
MODA Addio a Micol,
ultima delle Fontana
I
n principio fu Linda Christian, che per
convolare a giuste nozze con il bello e
tenebroso Tyrone Power, scelse proprio un
abito Fontana. Da quel giorno il nome delle
tre sorelle di Traversetolo, nel parmense,
Zoe, Micol e Giovanna, trovò a Hollywood –
e non solo – la sua massima celebrazione.
Ieri se n’è andata l’ultima delle tre, Micol,
che aveva 102 anni e da 21 presiedeva la
Fondazione omonima. Sinonimo di stile, di
eleganza, di alta moda sartoriale che nulla ha
ancora oggi da invidiare alle più grandi griffe.
Il sito della Fondazione ricorda che Linda
Christian avesse ammirato gli abiti disegnati
dalle sorelle Fontana per Gioia Marconi, figlia dello scienziato. Da lì alle donne più
belle del mondo il passo fu breve: Ava Gardner, Liz Taylor, Audrey Hepburn, Grace di
Monaco, Soraya, Maria Gabriella di Savoia,
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Jacqueline Kennedy, solo
per citarne alcune. Le
meravigliose creazioni –
alcune delle quali si possono ammirare ancora
oggi presso la sede della
Fondazione, in via San
Sebastianello, 6 a Roma –
stupirono il cinema e fecero sognare le donne di tutto il mondo. I vitini stretti degli anni
Cinquanta, i giochi di tulle dei Sessanta, le
scollature un po’ azzardate dei Settanta: a
ogni epoca il suo abito Fontana. “Abbiamo
imparato a lavorare dalla mamma, dalla
nonna, dalla bisnonna – raccontava Micol –.
Finita la quinta elementare ci siamo messe a
lavorare, ma vivendo in un Paese, più in alto
della moglie del medico o del salumiere non
si poteva arrivare. Nel nostro sangue non c’è
sangue blu, ci sono spilli”.
L’artista è un inviato speciale
nella realtà, ma non è un soldato giapponese che pensa di
poter combattere da solo una
guerra solitaria contro il mondo. L’arte però è più veloce della bellezza. Va raccontata.
Lei si propone come guida
esperta.
Senza più avere la superbia o
l’ambizione, tipica delle avanguardie storiche, di volere con
le arti trasformare il mondo. È
la politica che deve dare risposte alle cose, l’arte deve fare domande. Qualcuno ha traviato
il contesto e ha utilizzato l’arte
come un ascensore sociale.
Cosa è rimasto dell’egemonia
culturale del vecchio Pci? Macerie.
Quindi?
Quindi il grande paradosso è
assumersi le proprie responsabilità quando tramontano le
ideologie e le società, non solo
in Italia, vanno alla deriva.
C’è chi la ama e c’è chi la odia.
Che effetto le fa l’altrui ostilità?
Mi fortifica. Mi mette alla prova. Mi stimola. Sono rimasto
un bambino. Ancora penso a
quel che farò da grande. Ho
conservato un senso di onnipotenza infantile, di immaturità e di insoddisfazione che mi
Molta. So che il pubblico non è
quello specializzato delle lezioni universitarie. E mi sono
adeguato. In qualunque caso e
con qualunque esito, non mi
deprimerò sicuramente. Non
sono mai stato depresso. Anzi,
depressione non so proprio
cosa significhi.
In trasmissione sarà accompagnato da figure femminili.
Sono veramente contento che
ci sia Marta Perego. È una presenza lieta. Non ho mai avuto
paura delle donne. Mi piacciono. Ritrovo in loro una radicalità, una complessità e una
capacità di sopportare il dolore che nel maschio è del tutto
scomparsa.
Tra uno scandalo e l’altro sembra evaporata anche Roma.
Avverto l’assedio. Ma sento
anche che la bellezza esiste e
non può essere scalfita. Roma è
il più grande museo all’aperto
del mondo. Sarebbe ora di gestire l’argomento senza retorica e tentare di capire quello che
qualsiasi manager straniero
avrebbe intuito da tempo.
L’arte crea indotto. Nuove
professionalità. Posti di lavoro. L’abbandono, al contrario,
non produce niente.
Marino ha le sue colpe?
Marino sconta le conseguenze
di una realtà che arriva da lontano. C’è gente che con Roma
si è comportata in modo cannibalesco, prendersela con lui
significa avere cattiva memoria. Sa qual è la verità?
Qual è?
Che anche se nessuno ha il coraggio di dirlo, aveva ragione
Marx. La sua analisi della realtà è puntualmente tragica. Il
ceto medio è terrorizzato da
qualsiasi cosa, i migranti sbarcano e sullo sfondo si agita una
politica muscolare e buffonesca animata da egoismi tribali.
Non siamo ben messi.
Dobbiamo dunque riscoprirci
marxisti?
È meglio che riscoprirsi democristiani, non trova?
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16
SECONDO TEMPO
SABATO 13 GIUGNO 2015
il Fatto Quotidiano
Il condominio di “Quelli della notte”:
un miracolo tra cazzeggio e swing
30 ANNI FA LE 33 PUNTATE CHE SONO DIVENTATE CULT: DA FRASSICA A MASSIMO CATALANO, DA RICCARDINO A D’AGOSTINO,
CON IL MAESTRO ARBORE A DIRIGERE LA BANDA. NON UN FORMAT, SOLO UNA FESTA CONTINUA E IMPROVVISATA
di Nanni
Delbecchi
“Non capisco ma mi adeguo”
(Maurizio Ferrini, rappresentante romagnolo di
pedalò)
C
hissà se Quelli della
notte, di cui stasera
Fabio Fazio celebra
il trentennale su
Rai3 ospitando a Che fuori
tempo che fa Renzo Arbore,
Maurizio Ferrini e Nino
Frassica, sarebbe entrato nella storia della tv, e poi del costume, e poi nella leggenda se
non fosse passato sugli schermi di casa in un lampo, come
una stella cadente. Nei ritmi
di quelle 33 puntate in onda
dal 29 aprile al 14 giugno
1985, un mese e mezzo in tutto, ci fu qualcosa di così rapido e insieme di così perfetto da rasentare la magia.
Tutto accade nel centro esatto degli anni Ottanta, quando
ancora la seconda serata in
Tv non esiste, la Rai manda in
onda solo il monoscopio fisso, ma il mondo è entrato in
pieno trip da “Edonismo reaganiano” e l’Italia riscopre
una gran voglia di divertirsi,
una nuova età del jazz. La leggenda vuole che l’idea sia venuta ad Arbore dopo una riunione condominiale a casa
della mamma a Foggia, sulle
ali delle sue due grandi passioni, la radio e il jazz.
“Non è bello ciò che è bello, ma che bello,
che bello, che bello”
(Frate Antonino da Scasazza, alias Nino Frassica)
“Stasera stiamo volando rasoterra. Per alzare il livello propongo un dibattito serio: Parigi è sempre Parigi?”
(Professor Riccardo Pazzaglia)
“Meglio una moglie giovane, bella e ricca
che una moglie vecchia, brutta e con le pezze
dominio della mamma a
quello di casa sua, per portare
sullo schermo un po' di amici:
il rappresentante di pedalò
veterocomunista Maurizio
Ferrini; Fra’ Antonino da Casazza, al secolo Nino Frassica;
l'indefesso indossatore di
foulard e scopritore di acqua
calda Massimo Catalano; il
teorizzatore del brodo primordiale professor Pazzaglia;
al sedere”
(Massimo Catalano, filosofo)
“È meglio lavorare poco e fare tante vacanze, piuttosto che lavorare molto e fare poche
vacanze”
(Massimo Catalano)
“Vengo dopo il Tiggì , Vengo dopo il Tiggì,
Vengo e rimango lì”
(Renzo Arbore)
Ma il materasso, il materasso, è il massimo
che c'è, il materasso è la felicità”
(Renzo Arbore)
Mario Marenco, alias Riccardino, il padre di tutti i bimbiminkia; la telefonista svampita Iside Martufoni, alias Simona Marchini; il giovane
Roberto D'Agostino in veste
di effimerologo e lookologo.
Di tutti solo Maurisa Laurito
veniva dal teatro, ma fu lieta
di dimenticarsene.
Improvvisamente, alle 23 su
Rai2 il monoscopio fisso spa-
rì; era nato quello che D'Agostino definì “il primo programma orizzontale della
storia della tv”, la nemesi della notte sul giorno e del nonsense sul luogo comune, una
parodia del talk show che anticipava il talk show serio.
Lo share schizzò oltre il 51 per
cento e da trent'anni non si è
più smesso di chiedersi quale
fosse il segreto di Quelli della
QUI ENTRA in gioco la magia
di una festa riuscita, sempre
più riuscita, per tutti i suoi 33
giorni. A rivedere gli spezzoni
d'epoca (come accadrà stasera a Che fuori tempo che fa) ci si
accorge che in Quelli della notte brilla la fiamma dell'irripetibile, il mistero per cui ci sono feste in cui ti vorresti sparare dalla noia, poi ce ne sono
altre così divertenti che vorresti non finissero mai; e non
si è mai capito dove sta la differenza.
No, Quelli della notte non anticipò e non aprì la strada a un
bel niente. Unica fu la festa, e
unica è rimasta dopo avere il-
Il capobanda Renzo Arbore
luminato il monoscopio come una stella cadente, ma che
cadendo realizza il suo desiderio. Oggi si va per format,
scalette, casting, script, si costruiscono i salotti come l'uvaggio di un vino barricato;
oggi non ci sono più le seconde serate di una volta, anzi, non ci sono proprio le seconde serate. E dopo le lucciole, sta scomparendo anche
la notte. Di giorno si suda, come diceva Neruda; ma come
si fa a tirar tardi in compagnia
di Salvini, di Orfini e della
Santanchè? Finisce che uno
se ne va a letto presto, come
De Niro in C'era una volta in
America, e si domanda se anche il monoscopio fisso, dopotutto, non avesse il suo perché.
TRAME.5 Festival antimafia
per “giovani favolosi”
i legge “Trame punto cinque”, si scrive Trame.5: la quinta
S
edizione del Festival di libri sulle mafie, che sarà inaugurato il 17 giugno a Lamezia Terme, è dedicata ai “giovani
SULLO SWING del cazzeggio,
quello di Bandiera gialla e soprattutto di Alto gradimento, si
fanno largo i solisti che interpretano se stessi o un loro
doppio: assoli, improvvisazioni, tormentoni, di una jam
session televisiva, come l'ha
definita Arbore stesso. “Volevo portare il blues nella parola”, ha dichiarato recentemente; e gli riuscì in pieno
grazie al suo pollice verde, allo scouting infallibile per il talento altrui (altro che Bersani). I talent di oggi battono
tutta Italia per selezionare
migliaia di candidati; Arbore
si limitò a passare dal con-
notte.
A ripensarci oggi, il sospetto è
che consistesse in qualcosa di
molto semplice: i protagonisti erano i primi a divertirsi
come pazzi, per davvero, non
per esigenze di copione. Ma
perché si divertivano e facevano divertire così tanto?
favolosi”, a ragazze e ragazzi che in tutta Italia lottano contro
le mafie e alle giovani coscienze impegnate a costruire un
futuro libero dai condizionamenti mafiosi. E infatti, la giornata d’apertura sarà dedicata a Giancarlo Siani, con un’installazione dell’artista Renzo Bellanca: al centro, la Mehari
del giovane cronista de Il Mattino, ucciso dalla camorra il 23
settembre del 1985 a Napoli, e un incontro con il fratello di
Giancarlo, Paolo. Il Festival continuerà fino al 21 giugno:
sabato 20 giugno rientrerà negli eventi previsti per La notte
bianca del libro. Ci saranno discussioni, workshop, maratone
di documentari, percorsi formativi e interventi: da Rosy Bindi, presidente della commissione Antimafia, a Michele Prestipino, procuratore aggiunto di Roma. Dall’attore Luigi Lo
Cascio a Massimo Bray e al giornalista Sandro Ruotolo. Previsto anche lo spettacolo di Pietrangelo Buttafuoco, per la
prima volta in Calabria, dal titolo Buttanissima Sicilia.
LA SQUADRA Con Arbore
c’erano Ferrini, Frassica, Catalano, Marenco, Marchini Ansa
I David, Mr. Wolf e il lato ironico di Mattarella
IL PRESIDENTE SCHERZA CON QUENTIN TARANTINO. TRIONFA “ANIME NERE” DI FRANCESCO MUNZI. ELIO GERMANO E MARGHERITA BUY MIGLIORI ATTORI
di Federico
Pontiggia
mente sorpresi, in primis il regista
americano: “Signor Tarantino, anche
se ci prestasse il suo mister Wolf, neppure lui riuscirebbe da solo a risolvere tutti i nostri problemi”. Pulp Fiction formato presidenziale, insomma,
e Mattarella ci prende gusto: conviene che “uscire dalla crisi non è facile”,
istituisce “un legame tra la crescita
culturale e la crescita democratica” e
spara a zero contro il futuribile Partito della Nazione: “Non sarà mai il
pensiero unico, o l’illusione di una
concentrazione del potere, a sanare
questa fratture”.
avid di Donatello, trionfa Anime
D
nere di Francesco Munzi: nove
statuette, un risultato superiore alle
più rosee aspettative, e non ce n’è per
nessuno. Presentato in Concorso
all’ultima Mostra di Venezia, accolto
negli Usa da lusinghiere recensioni, il
dramma formato famiglia nella Calabria profonda della ‘ndrangheta fa
l’en plein: miglior film, regia, sceneggiatura, produttore, fotografia, musicista, canzone originale, montatore, fonico di presa diretta.
A DIGIUNO, viceversa, per gli attori:
la spuntano tra i protagonisti Elio
Germano (Il giovane favoloso) e Margherita Buy (Mia madre), tra i non
protagonisti Carlo Buccirosso (Noi e
la Giulia) e Giulia Lazzarini (Mia madre). Se tra i documentari, con soddisfazione, vince Belluscone di Franco
Maresco, il miglior regista esordiente
è Edoardo Falcone per Se Dio vuole,
mentre il posto d’onore va condiviso
tra Noi e la Giulia di Edoardo Leo (David Giovani, Buccirosso) e Il giovane
favoloso di Mario Martone (Germano,
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, col regista Quentin Tarantino Ansa
scenografo, costumista, truccatore e
acconciatore). Ma Anime nere non è
l’unico a trionfare, anzi: Dio benedica
Tarantino. Quentin è riuscito in almeno due miracoli: dare uno scossone alla stracca cerimonia dei David
e, ancor prima, servire al presidente
della Repubblica Sergio Mattarella la
battuta che non t’aspetti, soprattutto
da uno come lui. Ricevendo i candidati al Quirinale, il successore di
Napolitano ha lasciato tutti piacevol-
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PULP FICTION
Due riconoscimenti
al regista americano
che spiega: “C’è chi
punta sul sangue,
chi sulle battute.
Io punto su entrambi”
RENZI pigli e porti a casa. Non solo,
Mattarella interviene a gamba tesa sul
piccolo schermo, entrando nel merito come Napolitano non aveva mai
fatto: “Perché non incentivare le televisioni italiane a sostenere i film di
produzione nazionale, e a trasmetterli nelle fasce orarie più idonee per
incontrare il grande pubblico? Io credo che si possa fare”. Sì, Tarantino fa
bene, ed è non solo generoso ma contagioso: risolleva la serata condotta da
Tullio Solenghi rivelando la collaborazione con il sommo Ennio Mor-
ricone nel suo prossimo film e, soprattutto, assegnando a Bruno Vespa
il ruolo de “Il padrino dei padrini”, a
Mara Venier “l’amante”, ad Antonella Clerici “l’assassina” e a Gigi Marzullo “il contabile del padrino” in un
ipotetico mafia movie made in Rai.
Già, ai David per ritirare finalmente
le statuette per Pulp Fiction e Django
Unchained, migliori film stranieri nel
1995 e nel 2013, rinnova l’amore cinefilo e, osiamo, antropologico per il
nostro Paese: “Questi premi non solo
rafforzano il mio legame con il vostro
cinema, ma 14 ore di aereo le faccio
solo per i miei fan italiani, per dimostrare loro quanto ci tengo. Comunque, per me e il cinema di genere
un po’ pazzo che faccio il riconoscimento della vostra industria è l’onore
più grande”. Sarebbe da adottarlo
Quentin, che a Natale negli Usa e a
inizio 2016 nel resto del mondo porterà in sala l’atteso The Hateful Eight,
“più vicino allo spaghetti-western che
a John Ford e John Wayne: non per
scimmiottare quel genere, sia chiaro,
ma perché lo amo surrealista com’è, e
volevo omaggiarlo ancora dopo Django”. Denghiù, Quentin!
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SECONDO TEMPO
SABATO 13 GIUGNO 2015
IL CONFORMISTA
il Fatto Quotidiano
NON È UN TUÌT
Le favole di Dente
per i molto stanchi
IL PRIMO LIBRO DEL CANTAUTORE: DUECENTO
FAVOLE, MINIATURE BREVISSIME E FULMINANTI
di Silvia Truzzi
I
l libro l’ha scritto un
cantautore. E dunque si
può pensare che quest’articolo sarebbe più a
suo agio nella sezione spettacoli. Non è che non si trovino
titoli di musicisti negli scaffali
delle librerie, è che questo è
proprio un libro. Intanto perché dietro c'è un'idea: raccontare una storia in pochissime
parole (infatti s'intitola Favole
per bambini molto stanchi). E poi
perché c'è un gran lavoro sullo
stile e, naturalmente, sulla
musica. L'autore è Giuseppe
Peveri, in arte Dente: cinque
dischi all'attivo, una raccolta
di racconti uscita con Minimum Fax (“Cosa volete sentire”, con altri dodici colleghi
fra cui Vasco Brondi e Antonio Di Martino) e ora le fiabe
pubblicate da Bompiani (con
le illustrazioni di Franco Matticchio).
La prima cosa che fa sorridere
sono i destinatari, i bambini
“molto stanchi”. Le storie sono
tutte molto brevi, a volte brevissime: più corte di un tuìt. E
su questo confine c’è il primo
tranello, in cui non bisogna cadere. Cioè pensare che siano i
racconti dell'età dei social. Intanto perché concisione non
significa superficialità e nemmeno velocità: dietro ciascuna
favolina c'è un gioco di parole,
spesso molto intelligente, nascosto, per nulla immediato
(ma questo è un tratto della
scrittura di Dente: chi lo ascolta sa che tutti i suoi testi sono
pieni di rimandi, calembour,
polisemie). Il che vuol dire che
bisogna fermarsi e pensare,
prima di sorridere. Come ne
La capra dislessica: “C'era una
capra che pensava di essere un
IL FESTIVAL
© FAVOLE PER
BAMBINI MOLTO
STANCHI
Il cantante emiliano
Dente Ansa
Lui non la vide”. Si può ridere
anche delle tragedie e della
Storia? In Apartheid entriamo
in “Un bar che non serviva il
cappuccino, nemmeno il latte
macchiato o caffelatte. Per fortuna ha cambiato gestione". In
Rivoluzione scientifica “un signore seduto mentre valutava
la gravità di un bernoccolo,
toccandolo con le mani ci trovò un'idea”.
Bisogna guardarli bene i quadretti che dipinge Dente, pieni
di cani anticonformisti, giardini di vicini nient’affatto più
IL ROMANZO
Piccoli cittadini
crescono (leggendo)
Un criminale
che fa ridere
di Chiara Daina
P
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@silviatruzzi1
IL GIALLO
Sangue e neve
in Lapponia
Olivier Truc
Marsilio
pagg. 429 © ¤ 18,50
iazza Cavour, palazzo del Podestà.
Fuori decine di biciclette fissate al
cavalletto. E il mare a due passi. Dentro
gruppi di adolescenti alle prese con interviste da preparare, un giornale da
scrivere, biglietti e cassa. Il mare ancora più profondo è nelle pagine dei
libri che leggono ogni sera prima di andare a dormire. Siamo a Rimini, dove
ieri è partita l’ottava edizione del Festival “Mare di libri” (fino a
domani), l’unico evento letterario creato dai ragazzi per i ragazzi. Fanno tutto loro, seguono perfino l’agenda dell’autore che
hanno scelto di invitare. Sono oltre cento, hanno tra gli 11 e i 18
anni, indossano una maglietta blu con scritto “Quando si è ragazzi per essere qualcuno bisogna essere in parecchi” (Romain
Gary). Commenta Laura, quindicenne: “Ci vengo da tre anni e
mi piace perché la città si riempie di noi. Finalmente ci danno
delle responsabilità”. La kermesse è un’idea della libreria Viale
dei ciliegi 17 e della casa editrice Rizzoli. Dal quartier generale al
Teatro degli atti.
Spadafora, Garante per l’Infanzia, invitato da Viola, una sua amica. “Voi state facendo politica, quella bella” dice l’Autorità. Sara
passa la parola allo scrittore franco-marocchino Tahar Ben Jelloun. Lo hanno chiamato per capire come si fa a superare la paura
verso gli stranieri e che cos’è l’Islam. La sala è stracolma, più di
300 persone, i ragazzi seduti nelle file davanti, che prendono appunti armati di penna e bianchetto. Alcuni ai lati fanno le foto
con la reflex. In fondo gli adulti. Il giovane team di volontari si è
preparato durante l’anno. Cinque brainstorming per selezionare
autori e temi dei dibattiti. E un camp di due giorni a San Marino
per imparare a fare squadra e a gestire biglietteria, bookshop e
soldi. Il bullismo omofobo è un altro argomento che hanno proposto, al centro dell’incontro con James Lecense, autore del libro
“Trevor. Non sei sbagliato: sei come sei” (Rizzoli). Poi l’emancipazione femminile con la lettura del libro “L’evoluzione di Calpurnia” (Salani) di Kelly Jacqueline. E lo stereotipo di genere a cui
hanno dedicato un appuntamento domenica: “Sono cose da maschi?” con Alberto Pellai, autore di “Baciare, fare, dire” e Telmo
Pievani, che ha pubblicato “Il maschio è inutile”. Insieme proveranno a individuare l’origine dei luoghi comuni legati ai sessi,
frutto di processi culturali più che della natura. Anche lezioni
divertenti sulle materie più odiate (latino e matematica), sulla
traduzione dall’inglese delle saghe fantasy, sui classici che non
muoiono mai. Al miglior romanzo under 13 daranno un premio.
“Quasi 5mila presenza nel 2014, quest’anno le prenotazioni online sono aumentate del 40%” commenta Alice Bigli, la libraia che
ha organizzato il festival. Il programma è online su maredilibri.it.
verdi, ragazze prosperose, feroci dittatori e conchiglie
Ogm: ciascuno può cercare la
sua favola e la sua morale, per
nulla morale.
Le fiabe di Dente sono una
medicina senza effetti collaterali, consigliata (anche) ai
troppi autori convintissimi di
essere Proust o Balzac, che periodicamente danno alle stampe una presunta nuova, poderosa, Comédie: “C’era un libro
che si credeva più importante
degli altri...”.
© LO STRETTO
DEL LUPO
Rimini
IL MICROFONO è nelle mani di Sara. Dà il benvenuto a Vincenzo
Strega,
i migliori
sette
sono
gli esclusi
di Caterina Soffici
Dente
Bompiani; pagg. 250 © ¤ 13
pesce”. Oppure in Ossimoro.
“C'era un signore che viveva su
un'isola deserta”. Si procede
festina lente; più che con velocità, con quella rapidità che rivela “agilità, mobilità, disinvoltura”, come spiega Calvino
nelle Lezioni americane.
S’incontra, in molte di queste
miniature, il gusto amaro del
Dente che canta “Oggi fai a me
quel che l'autunno fa agli alberi” (Ti regalo un anello). In
Uniti per sempre, “Un signore e
una signora un giorno s'incontrarono. Lei veniva da destra.
17
LA RAPACITÀ del progresso, avida di danaro e consumismo, contro la tradizione
lappone degli allevatori di renne, il fiero popolo nomade dei sami. Per i cultori del giallo è difficile sottrarsi alla curiosità per il secondo episodio della saga di Klemet Nango e Nina Hansen, laddove in un
giorno di maggio il sole sorge all’1.59 e tramonta alle
22.43. Venti ore e quarantaquattro minuti di luce.
Un incubo per chi è malato d’insonnia. Nango è un
sami, Hansen una norvegese. Entrambi percorrono
distanze sterminate con la divisa della polizia delle
renne, che opera tra Finlandia, Norvegia e Svezia.
Dopo il Mare del Nord, la nuova Mecca artica del
petrolio è il Mare di Barents. E una roccia sacra ai
sami diventa un altare di morti e fantasmi.
fd’e
© ONORA
IL BABBUINO
Michele Dalai
Feltrinelli
pagg. 143 © ¤ 13,00
IL CARDO ha deciso di viversi la
vita come vuole lui. È un criminale, però a modo suo. Fa più ridere che spavento. Ha un’etica
tutta particolare e una propensione ai monologhi senza capo né coda, che però (se ascolti
bene) hanno tanto l’una quanto l’altra. Un tizio,
prima di partire per un lungo viaggio – così
lungo che non è più tornato –, gli ha lasciato
una leonessa enorme. Si chiama Kira e mangia
5 chili di carne al dì. A volte, già che c’è, mangia
pure le zampe dei cani che le gravitano troppo
attorno. Lui, il Cardo, le vuole bene. È circondato da donne ora belle e più spesso no, ha un
compare per nulla sveglio e ancor meno accorto, però fidato. Il Cardo progetta il colpo
della vita, e chissà se ce la farà. Michele Dalai
firma un libro felicemente folle, divertente e
ispirato. Un po’ fratelli Coen, un po’ Soliti Ignoti
e un po’ Sorrentino (versione romanziere, versione Tony Pagoda), “Onora il babbuino” è
opera decisamente riuscita.
Andrea Scanzi
DELLA cinquina dello Strega
sentirete parlare fin troppo. Ecco
qui una controcinquina, che in
verità è una settina, cioè i 7
esclusi dalla selezione dei 12 finalisti. Nella media, come è facile
intuire, i libri esclusi sono migliori
di quelli entrati in cinquina. Ma
questo non deve stupire, perché
lo Strega non premia il migliore
scrittore dell’anno, ma lo Scrittore Mainstream. Niente di male,
basta sapere quali sono le regole
e chi vuole stare al gioco ci sta.
Noi qui facciamo un altro gioco,
con controfinale e controclassifica. Fedeli al motto che vita va
spesa per una passione e un
ideale, primi a pari merito Zerocalcare, con Dimentica il mio nome (Bao Publishing), genio assoluto della graphic novel, ex aequo
con Wanda Marasco con Il genio
dell’abbandono (Neri Pozza), dove
racconta la incredibile vita dello
scultore napoletano Vincenzo
Gemito. Seconda Marina Mizzau
con Se mi cerchi non ci sono
(Manni), piccolo editore che
sforna sempre ragguardevoli talenti. Qui una storia fulminante
con il rebus al centro CCC
(2,2,6,3,2,6): semicerchi, non C
sono. Della serie: la vita è un rebus, soprattutto quando un morto lascia delle lettere in un computer. Terzo Final Cut di Vins Gallico: meglio rivolgersi a un’agenzia se non si ha il coraggio di mollare il partner. Premiata la fantasia e l’esecuzione. Quarta Clara
Sereni (Via Ripetta 155, Giunti),
che ha ancora ha la voglia di ricordare a qualcuno che è esistito
il ’68, quando “nessuno si pensava da solo”. Premio alla perseveranza. Fuori concorso: Il paese dei
coppoloni (Feltrinelli) di Vinicio
Capossela. Diciassette anni di
struggimenti interiori e di pensieri sul sud e sul tempo. Ottimo per
gli amanti del genere, astenersi
perditempo. Non pervenuto: XXI
Secolo di Paolo Zardi (Neo edizioni). Si può evitare senza danni.
IL THRILLER
Atroci delitti
nei boschi di Oslo
© LA STAGIONE
DEGLI INNOCENTI
Samuel Bjørk
Longanesi
pagg. 490 © ¤ 16,90
ADRENALINA pura. Nella peggiore caccia al tesoro per un detective: trovare il
maniaco che uccide bambine con una siringa e poi le impicca. Senza toccarle, vestendole con abitini da bambola, che hanno l’etichetta che richiama i versetti del
Vangelo di Marco: “Lasciate che i bambini
vengano a me”. Holger Munch e Mia Krüger hanno vite devastate. Lui ha 54 anni, è
separato, fuma senza pause e rimpiange
Oslo. Lei, trentenne, si prepara al suicidio
su un’isoletta, lontana dal mondo. La prima bimba uccisa li riscaglia nella tremenda realtà. Holger e Mia sono i due leader
di una squadra speciale che viene rimessa
insieme per indagare. Il serial killer marchia e conta le sue vittime, con un piccolo
numero sulle unghie. Deve arrivare a 10?
“La stagione degli innocenti”, in tre anni,
ha invaso tutta Europa. Adesso arriva in
Italia per Longanesi. L’autore è un artista
di Oslo. La trama non ha sbavature
(l’unica, innocua sciatteria è nella traduzione coi numeri dei versetti evangelici che non sono mai gli stessi) e conduce gli investigatori nel “buio” di una
setta cristiana che segrega e manipola i
suoi adepti. Munch, ovviamente chiamato così in onore dell’immortale Urlo,
si troverà di fronte a un dramma personale. Così come Mia, stordita dall’alcol e dagli psicofarmaci. Il ritmo è forte e
avvolgente e regge sino alla fine.
Fabrizio d’Esposito
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18
SECONDO TEMPO
SABATO 13 GIUGNO 2015
il Fatto Quotidiano
FATTI CHIARI
ANTIMAFIA
Bindi, la vendetta
che macchia il Pd
di Franco Monaco
nome di Pio La Torre – dirigente siciliano del Pci e autore
di una celebre legge per la confisca dei beni sequestrati alla
mafia poi ucciso da essa – per
opporlo ai presunti giustizialisti di oggi. Curioso.
C
ome usa dire, il tempo è galantuomo.
Con il trascorrere dei
giorni, si è depositata
la polvere delle feroci polemiche che hanno investito Rosy
Bindi in qualità di presidente
della commissione Antimafia.
Polemiche – risulta sempre più
chiaro – originate da disinformazione,
fraintendimenti,
strumentalità. Sino alla più
sconcertante e calunniosa delle accuse, mossa incredibilmente dal vertice del suo stesso
partito, di un comportamento
ispirato a rancore e a obiettivi
di lotta politica interna al Pd,
cui la Bindi avrebbe piegato
l’istituzione della Bicamerale
antimafia.
BINDI NON ha un carattere fa-
cile, da lei si può dissentire, ma
la si conosce abbastanza per
escludere esattamente le due
accuse che le sono state mosse:
slealtà nelle sue battaglie politiche e uso improprio delle istituzioni. Il comunicato a doppia firma dei due vicesegretari
nazionali Pd che decretavano
tale scomunica resta agli atti
come una delle pagine più
ignominiose di quel partito.
Una reazione scomposta mirata alla ricerca di un capro espiatorio a maldestra copertura di
una precisa responsabilità politica in capo al Pd: quella di
non avere saputo opporsi alla
candidatura di chi (alludo a De
Luca) si è candidato in spregio
alla legge Severino, voluta e votata dal Pd. Con i problemi che
ne sortiscono per la Campania
e dai quali tuttora non si sa come uscire. Una legge, la Severino, che, in base ad altra sua
norma, ha decretato la decadenza di Berlusconi, facendo
ora gridare, politici e media di
centrodestra, all’ipocrisia dei
due pesi e delle due misure. Va
detto con onestà: giustamente!
Ripeto, con il tempo, molti
equivoci sono stati fugati. Riassumo: si può discutere, a monte, opportunità e persino legittimità dello screening sulle liste
da parte dell’Antimafia, ma la
decisione di farlo stava scritta
nella legge istitutiva della commissione e, ancor più chiaramente, nel Codice votato
all’unanimità dai suoi membri;
l’inclusione piuttosto che
l’esclusione dalla lista non è
stata oggetto di alcuna valutazione discrezionale, né della
commissione, né tantomeno
dalla sua presidente, trattandosi della mera fotografia delle
posizioni giudiziarie dei candidati e della sussistenza o meno,
nei loro capi d’imputazione,
dei reati ricompresi (e meticolosamente fissati) nel suddetto
Codice di autoregolamentazione; tutti i passaggi del lavoro
della commissione sono stati
puntualmente condivisi dai
gruppi, compresa la decisione
di tenere fede all’impegno di
rendere pubblica la lista a ridosso delle elezioni e di dare
mandato di comunicarla alla
presidente; negli atti della
Rosy Bindi Ansa
SENZA VERGOGNA
Le accuse infamanti
alla presidente sono
una delle pagine più
ignominiose del partito.
E il passato viene
rievocato al contrario
commissione mai figura la parola giornalistica, effettivamente impropria e scivolosa, di
“impresentabili”; a dispetto di
un infelice e fuorviante titolo di
prima pagina di Repubblica,
Raffaele Cantone non ha addebitato colpe alla Bindi, ma semmai al Codice da tutti approvato e comunque sostenendo
che quella lista avrebbe dovuto
essere più estesa; l’inclusione di
De Luca in quella lista – fuor di
ipocrisia, è quello il nome che
ha scatenato la bufera – era un
atto dovuto, rientrando egli
perfettamente nella casistica
contemplata dal Codice; la sua
arbitraria esclusione sarebbe
stata sì una violazione delle regole e una diserzione dai propri
doveri istituzionali. Si pretendeva questo dalla Bindi?
A testimonianza del clima
strumentalmente esasperato di
quelle ore sta un episodio che
smentisce gli sdegnati critici di
oggi. Una vecchia e stimata figura storica del Pci, Emanuele
Macaluso, ha pensato bene di
dare forza al suo dissenso
dall’operato dell’Antimafia e
del suo presidente, evocando
un precedente che riguarda un
eminente predecessore della
Bindi, il garantista Gerardo
Chiaromonte. Quel precedente va esattamente nella direzione opposta. Anche in quella
circostanza – trattasi delle elezioni del 1992 – la lista fu resa
pubblica a poche ore dal voto
seguendo criteri e procedure
che ricalcano alla lettera quelli
seguiti dall’Antimafia attuale.
Per altro incappando in più di
un errore poi corretto. Diverse
semmai, anzi opposte, furono
le reazioni politiche: del ministro della Giustizia Martelli,
che ringraziò per il prezioso
servizio informativo reso ai cittadini elettori; e persino del segretario Dc Forlani (ripeto:
Forlani!) che lo definì “utile
iniziativa”, nonostante la più
parte dei candidati ricompresi
in quella lista fossero del suo
partito. Di più: Macaluso fa il
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CHI AVESSE la pazienza di leggere la relazione di minoranza,
a sua prima firma, della commissione Antimafia del 1976,
ne sarebbe impressionato: vi figurano decine e decine di nomi
di politici attivi e di primo piano, in termini puntuali e circostanziati, con tanto di accuse, sospetti, cattive frequentazioni. Al confronto la laconica
lista di oggi è acqua fresca. Se
ora si fosse fatto un decimo di
ciò che si fece allora da parte di
La Torre e del suo gruppo sarebbe successo il finimondo. La
lezione? Triplice: che, quando
si fa sul serio nell’elevare la soglia delle verifiche, vanno messe nel conto le reazioni, spesso
interessate, di chi le mal sopporta; che i precedenti vanno
presi sempre con le pinze e la
loro lettura-interpretazione talora è dettata dalle convenienze
(e dalle campagne d’opinione)
contingenti; che anche i testimoni del tempo si possono
sbagliare. Nel recente film di
Sorrentino Youth vi è una sequenza nella quale uno dei due
anziani protagonisti brandisce
un cannocchiale alla rovescia,
osservando che, con l’avanzare
degli anni, nel ricordo, la realtà
rimpicciolisce sino a svanire,
come nella visione di quel cannocchiale. Non è una colpa, ma
è bene esserne avvertiti.
L’impegno di De Luca
per togliere voti ai suoi
di Peter
Gomez
DICONO che Dio renda
cieco chi vuole perdere. Una
conferma arriva da Vincenzo
De Luca, il governatore in
pectore della Campania, in
attesa di sospensione causa
legge Severino. Solo il soprannaturale può infatti
spiegare la furibonda battaglia ingaggiata dall’esponente dem, condannato in primo
grado per abuso d’ufficio,
per togliere credibilità e consensi al suo partito.
Dopo aver vinto le elezioni
regionali per 67 mila voti, De
Luca non ha acceso, come in
molti si sarebbero aspettati,
un cero alla Madonna. Il suo
trionfo, raccontano i numeri,
è arrivato grazie al determinante ingresso nella coalizione di centrosinistra di almeno due liste dalle origini
discutibili: Campania in Rete,
formata dagli uomini dell’ex
deputato del Pdl, Nicola Cosentino – in carcere da un anno per i suoi rapporti con il
clan dei Casalesi – e Campania Libera, ideata da Tommaso Barbato, l’ex braccio
destro di Clemente Mastella,
da tempo indagato per una
presunta compravendita di
voti alle ultime Politiche.
Questo però non ha impedito a De Luca di iniziare nei
confronti di chi lo aveva criticato una sorta di regolamento dei conti personale,
condotto a colpi di querele,
interviste e dichiarazioni.
Una delle più pacate e misurate riguarda lo scrittore
Roberto Saviano, costretto a
vivere sotto scorta dal 13 ottobre 2006 perché condannato a morte dalla criminalità organizzata. “In qualche
momento sembra che Savian
no abbia bisogno di inventarsi la camorra anche dove
non c’è, altrimenti rimane disoccupato”, ha detto De Luca a Panorama, poco prima di
partecipare, con perfetto
tempismo, a un pranzo elettorale pre-ballottaggio accanto a Antonio Poziello,
candidato sindaco di Giugliano, escluso dalle liste del
Pd perché rinviato a giudizio
per associazione per delinquere.
L’attacco a Saviano, visto da
milioni di elettori democratici come un’icona della legalità e dell’antimafia, ha finalmente spinto anche i vertici del Nazareno a intervenire. Il presidente del partito
Matteo Orfini, che era stato
zitto di fronte alle bordate
LUNGIMIRANZE
Il neo governatore spara
a zero contro Saviano.
E adesso chi lo spiega
agli elettori dem che
vedono nello scrittore
il paladino della legalità?
Roberto Saviano
dell’ex sindaco di Salerno
contro Rosy Bindi, evidentemente considerata non abbastanza popolare per essere difesa, ha replicato tranchant: “De Luca ha detto delle sciocchezze. La camorra è
un grave problema dell’Italia,
credo dovrebbe essere più rispettoso di chi come Saviano
su questi temi non solo ha
fatto battaglie importanti,
ma corre anche dei gravissimi rischi personali”.
IL FATTO è che l’arrogante
De Luca, come stanno cominciando a capire Orfini e
gli altri, è senz’altro utile per
vincere in una regione come
la Campania. Ma rischia di
far perdere consensi al partito in (quasi) tutto il resto
d’Italia. Dove non ci si può
alleare con cosentiniani e
barbatiani (magari non per
volontà, ma per scarsità della materia prima) l’elettore
dem, convinto che Matteo
Renzi rappresenti ancora la
rottamazione e il cambiamento, se pensa alla faccia
dell’ex sindaco di Salerno,
prima dubita e poi non vota.
Ovvio, è possibile che De Luca, nei prossimi mesi, venga
assolto in secondo grado o
che il suo ricorso alla magistratura ordinaria contro la
legge Severino venga accolto. Ma il danno ormai è stato
fatto. Perché, come diceva lo
scrittore e politico francese
André Malraux, “non si fa
politica con la morale, ma
nemmeno senza”.
E la prospettiva che il centrosinistra se ne renda conto
a proprie spese, dopo ogni
roboante sparata del futuro
governatore sospeso della
Campania, diventa di giorno
in giorno più concreta.
n
LA LETTERA
Caro Sensi, Renzi parla di Salvini
perché il suo vero nemico è il M5S
di Luisella
Costamagna
aro Filippo Sensi,
C
Oscar Wilde scriveva:
“Bisognerebbe scegliere le
verità con la stessa cura con
cui si scelgono le menzogne, e scegliere le nostre virtù con quella stessa cura che
dedichiamo alla scelta dei
nostri nemici”. Forse su suo
consiglio, da portavoce e
spin doctor, il premier Renzi
è andato nella direzione
esattamente opposta, concentrandosi
soprattutto
sulla scelta di nemici ad hoc
per rafforzare consenso e
identità. La strategia sembra fin troppo chiara: accusa gli altri di “gufare”, “essere contro”, “dire sempre
no”, e poi è il primo a farlo;
si crea ogni volta un nemico
diverso – sindacati, insegnanti, poteri forti (ma poi
abbraccia Marchionne e finanzieri caymani), corrotti
(ma soprassiede sui suoi inquisiti), vecchia guardia
(ma candida De Luca), – e
poi gli dà la colpa di essere
“contro”.
Che sia lui il vero gufo?
In principio il nemico era
Grillo, e contro il “fascista”,
“squadrista”,
“buffone”,
“assassino”, “serial killer
squilibrato”,
“potenziale
stupratore”... si sono mobilitate la politica e l’informazione. Letta e Renzi sono
arrivati a Palazzo Chigi perché la paura grillina faceva
90, e alle Europee si è parlato addirittura di disordini
se avesse vinto il M5S.
INCASSATO il 41 per cento,
la strategia è cambiata: oblio
(complici la decisione autolesionista grillina di non
partecipare ai talk e le beghe
interne). Eliminato il M5S
dall’immaginario collettivo,
dovevate scegliere un nuovo nemico. Ed ecco che il
grande talent politico della
tv ne ha offerti ben due:
Landini e Salvini.
Il primo è temibile: credibile su crisi e lavoro, passionale, di sinistra.
Lancia la Coalizione sociale
che può diventare movimento politico, e fa capire
che Renzi di sinistra non è.
Troppo temibile: oblio an-
che per lui.
Ma eureka! C’è Salvini. Il
Matteo verde è il nemico
perfetto: la destra xenofoba
delle ruspe farebbe risultare
di sinistra pure Francisco
Franco, ricompatta sulla
paura del “se no vince lui”
l’elettorato Pd ormai allo
stremo e non impensierisce,
visto che appartiene alla
stessa classe politica che ha
governato in questi anni.
Per quanto cresca, oltre il 15
per cento nazionale non
può andare: non siamo un
paese di destra bensì di centrodestra, e per questo c’è
già Renzi.
Dopo le Regionali, la consacrazione: “Fuori dal Pd c’è
Salvini e il Cdx”, dice Renzi,
aggiungendo che “l’unica
sinistra che in Europa ha
ancora un risultato, è la nostra” (considera la Grecia di
Tsipras già fuori dall’euro?).
Salvini è l’avversario ideale,
funzionale e meno preoccupante. E giù a indicarlo.
Ma a guardare il dito si perde la classica luna, che è ancora e sempre – ancora di
Filippo Sensi Ansa
più dopo che con le Regionali si è confermato secondo partito e ha mostrato
una squadra credibile ed efficace anche in tv – il M5S. È
lui il vero nemico, no caro
Sensi?
SECONDO la retorica ren-
ziana, i grillini dopo le elezioni sono “irrilevanti”, parola della soldatessa Serracchiani. Ma lo dite perché è
vero esattamente il contrario.
In fondo, al momento, chi
sfiderebbe il Pd al ballottaggio con l’Italicum è il M5S e
non coalizioni di Cdx.
Caro Sensi, Renzi sfida Salvini ma trema al pensiero di
Di Maio. E lei è così bravo a
comunicare che, ormai,
l’abbiamo capito tutti.
Un cordiale saluto.
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SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
19
SABATO 13 GIUGNO 2015
A DOMANDA RISPONDO
Furio Colombo
Casson si è già
dissociato dal Pd
Sui social network
Eco dice banalità
Pochi giorni fa è stato richiesto l’arresto del senatore Azzollini del Nuovo
centrodestra. Quando in
passato la giunta per le
autorizzazioni a procedere del Senato negò alla
magistratura l’utilizzo di
alcune intercettazioni
che lo riguardavano,
Casson si autosospese dal
gruppo Pd al Senato. I
5Stelle che votano a Venezia non devono chiedere a Casson, come condizione per il proprio voto, di dissociarsi dal Pd: lo
ha già fatto.
L’accumulo di esperienza è cosa preziosa quante
altre mai, e passa gioco
forza per l’accumulo degli anni di vita, possibilmente spesi al servizio
della curiosità intellettuale, non importa a quale livello l’intelligenza di
ciascun essere umano
consenta. Non credo però sia un caso che, ad
esempio, la Medaglia
Fields, il premio che vale
un Nobel, che viene riconosciuto ai matematici,
sia conferito a chi non abbia superato l’età di 40
anni. Credo dipenda dal
fatto che il nostro cervello, quando è chiamato a
proporre il meglio delle
sue prestazioni, risenta
anche lui dell’invecchiamento, e che il saldo fra
esperienza (positivo) e
declino fisiologico (negativo), sia al dunque determinato dal segno meno.
Che l’esperienza accu-
Paolo Rabitti
Rom capro espiatorio,
la Lega pensi ai politici
Appare incomprensibile
l’indifferenza dei leghisti
verso la macrocriminalità di certi politici se confrontata con l’astioso accanimento dimostrato
nei confronti della microcriminalità di alcuni
Rom. Il danno sociale
della prima, come l’enorme evasione fiscale realizzata dallo storico alleato della Lega, è di gran
lunga più devastante della seconda. Per non parlare del reato di concorso
esterno in associazione
mafiosa. Ma sono tante le
colpe degli esponenti
della Lega, dei loro alleati
presenti o passati e di tutti i loro colleghi. Reati di
cui invece non si sono
certo macchiati i Rom.
Che tra l’altro, non ricoprono incarichi pubblici
così importanti. In fondo
si può dire che anche loro
sono vittime, e non artefici del malaffare dilagante che devasta il Paese: lo
dimostrano i crimini di
Mafia Capitale, Mose,
Expo, e via dicendo. I leghisti, dunque, dovrebbero acquisire un più
adeguato senso delle proporzioni in modo da convincere Salvini a spianare
con le ruspe i campi sterminati della criminalità
dei colletti bianchi, invece di pensare solo e sempre ai rom, che rappresentano un capro espiatorio.
Maurizio Burattini
ni. L’asserzione che internet e i social darebbero
“diritto di parola a legioni
di imbecilli” è a dir poco
banale, sia perché scopre
la cosiddetta acqua calda,
le preesistenti legioni di
imbecilli, sia perché, rimanendo all’Italia, è almeno dal 1° gennaio
1948, che l’art. 21 sancisce che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero
con la parola, lo scritto e
ogni altro mezzo di diffusione”. E quel tutti non
esclude proprio nessuno,
nemmeno gli imbecilli di
cui parla Umberto Eco.
Vittorio Melandri
A Roma non basta
il commissariamento
Le vicende di Mafia Capitale hanno dimostrato
che il sistema di corruzione, intimidazioni e ricatti è talmente diffuso, e
non tutto è ancora venuto alla luce, per cui è illusorio risolvere il pro-
la vignetta
mulata da Umberto Eco
sia di valore inestimabile
è sotto gli occhi di tutti,
questo non si può discutere. Ma evidentemente
anche il suo cervello è
umano, ed il declino fisiologico, pur temperato
da quell’arma potentissima che è l’ironia, lo porta
talvolta ad esprimere sublimi banalità. È successo
questo negli ultimi gior-
blema con la nomina di
un semplice commissario (che resta un uomo
fallibile), se non si modificano urgentemente e
profondamente tutte le
procedure relative agli
atti che implicano spese
pubbliche. Solo con la
completa trasparenza,
con atti accessibili alla
cittadinanza oltre che
agli organi di controllo
Ma l’Onu
che fine
ha fatto?
CARO FURIO COLOMBO, ci domandiamo tutto il tempo che cosa fa o dovrebbe
fare l’Europa. Ma le Nazioni Unite, che
dovrebbero essere il governo dei governi,
che fine hanno fatto?
Anita
MENTRE il Mediterraneo si affolla di migranti e si sa già che non tutti, non molti potranno essere salvati, e si sa anche che non è
più la ricerca di una vita migliore ma la fuga da guerre e persecuzioni feroci a causare
le fughe immense e disperate, non c’è stato
neppure un Consiglio di Sicurezza che si sia
riunito in seduta straordinaria per dire al
mondo che il problema non è solo di chi fugge e dell’unico Paese che fronteggia l’evento,
l’Italia, e neppure tutta l’Europa, ma tutti
coloro (non sono pochissimi) che hanno
forza economica per aiutare. La ragione
evidente è un decadimento umiliante e
pauroso del grande sogno di Franklin Delano Roosevelt, un progressivo declassamento dei suoi rappresentanti, un diffuso disprezzo nel mondo per l’organizzazione che
avrebbe dovuto garantire non solo la pace,
ma anche il buon funzionamento dei rapporti internazionali. Non si cade da soli o
per colpa di qualcuno in situazioni che suggeriscono desolazione e abbandono, come
quella che stiamo vivendo all’Onu. Occorrono decisioni, volontà e perseveranza nel
progetto di smontare un organismo di sorveglianza mondiale che avrebbe dovuto essere una sponda di salvezza. Risalendo nella storia recente è inevitabile notare che
l’Onu ha avuto due potenti nemici, la nuova Russia di Putin, che non tollera lezioni o
intromissioni. E la destra americana (a cominciare da Reagan per arrivare, con progressiva ostilità, al Tea Party) che disprezza
sempre e comunque i governi (figuriamoci
un “governo del mondo”) e non ha mai voluto accettare supervisioni su eventi decisi
in America (quando i presidenti sono di destra, naturalmente). È utile ricordare che
competenti, su appalti,
concorsi, concessioni e
ogni altra decisione di
spesa, si può sperare di
contenere al massimo
l’illegalità negli atti della
Capitale (ma in fondo di
tutto il Paese). Esigenza
pressante anche per
l’imminenza del Giubileo, per cui non basterà
un commissario.
il Fatto Quotidiano
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Marco Travaglio
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Ascanio De Sanctis
ciascun presidente della lunga cordata di
destra americana al potere ha voluto come
ambasciatori alle Nazioni Unite personaggi politici o diplomatici che si erano già distinti per il loro spirito sprezzante e distruttivo contro l’Organizzazione. Tipica è stata
la nomina, da parte di George W. Bush, di
William Bolton, che aveva dedicato la sua
vita pubblica a denigrare l’Onu e ha continuato a farlo come ambasciatore in quel
consesso mondiale e nel Consiglio di sicurezza. Fatalmente sia l’atteggiamento russo sia quello americano hanno allontanato
dalle Nazioni Unite personaggi di livello,
prestigio e valore, come invece era accaduto
nei primi tre decenni dopo la fondazione, a
San Francisco, dell’Onu, quando il Palazzo
di Vetro aveva un corpo militare permanente, i segretari generali venivano scelti
fra ex capi di Stato o di governo, e a capo
delle Agenzie (Unicef, Rifugiati, Cooperazione) venivano scelti personaggi di fama
internazionali. Sembra inevitabile dire che
la mancanza di fondi all’Onu sia la conseguenza della crisi economica che ha colpito
i grandi Paesi industriali a partire dal 2008.
Ma non è vero. L’abbandono economico
dell’Onu sotto la spinta della destra americana e poi del bullismo della Russia di Putin, è avvenuto molto prima, mentre, di
Paese in Paese diminuiva sia il livello delle
designazioni dei vari Paesi agli incarichi
chiave, sia la qualità degli ambasciatori destinati all’Onu, una carica considerata
sempre meno prestigiosa, anche per l’atteggiamento marginale del Consiglio di Sicurezza. Si può porre riparo a una simile situazione e al pericolo che il vuoto di una regìa mondiale rappresenta? Si può. O meglio: si potrebbe. Ma poiché nessun governo
sembra interessato alla rinascita dell’Onu,
non ci sarà nessuna rinascita.
Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano
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Venezia è unica,
il suo voto decisivo
Venezia è una delle tante
città italiane su cui misurare la tenuta del Partito
Democratico, valutare il
peso dei consensi del
M5S e gli effetti della
campagna elettorale anti-immigrati di Salvini.
“Venezia è Unica” non
perché leggiamo questo
slogan sui biglietti del va-
poretto, ma perché lo è
veramente e quello che
accade in questa città ha
una risonanza internazionale ed effetti significativi sulla politica nazionale. Il ballottaggio tra
Felice Casson e l’imprenditore Luigi Brugnaro, ex
presidente di Confindustria Veneto, è un risultato prevedibile, visti gli interessi in gioco in una cit-
tà dove arrivano ogni anno 30milioni di turisti,
dove si programma il
raddoppio della pista aeroportuale, dove si sta
realizzando
un’infrastruttura, il tram, che costa la bellezza di 10 milioni a chilometro, dove nonostante la crisi si continuano a costruire alberghi e ipermercati e a cementificare ogni centimetro di suolo. Questa è
anche una città che ha
creato negli anni passati
una macchina amministrativa mostruosa, che
ha assorbito denaro pubblico. Putroppo i media si
sono occupati troppo poco del destino elettorale
della città. E ora tocca ai
cittadini scegliere, forse
senza i necessari strumenti di valutazione. Voteranno con il cuore e con
la pancia a seconda se sono più “attratti” dall’imprenditore decisionista e
pragmatico che promette
lavoro e benessere e sicurezza, o dall’ex magistrato d’assalto che parla con
linguaggio forbito, uomo
colto che si fa garante di
legalità e tolleranza, ma
che (purtroppo per lui) è
percepito come uomo del
Pd. Il Fatto se ne sta occupando, è fra i pochi, ma
alcuni articoli sanno un
po’ troppo di “appello al
voto”: “votate con coscienza”, sembra il catechismo. Si chiede ai 5Stelle di sostenere Casson che
potrebbe tutelare i valori
comuni, ma da attivista
adesso forse è tardi. Se
certi valori fossero stati
sostenuti mesi fa, magari
anche prima della caduta
della giunta Orsoni, si sarebbe reso un utile servizio ai cittadini. Invece
adesso siamo arrivati
all’ultima spiaggia, e i cittadini dovrebbero mettersi una mano sul cuore e
salvare la situazione. Ma
in questo momento
avremmo bisogno di usare il cervello, non di fare
un atto di fede, sperando
che poi vada bene.
Cristina Costantini
Il Fatto Quotidiano
00193 Roma, via Valadier n. 42
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20
ULTIMA PAGINA
SABATO 13 GIUGNO 2015
DALLA PRIMA
di Marco Travaglio
on solo: “Si affaccia insiN
stente il timore, quando
sembrava che la politica avesse
finalmente riconquistato una
minima autonomia d’azione,
che siano nuovamente le Procure, non i cittadini, a decidere
alleanze, maggioranza e singole carriere politiche”, col rischio che riparta il “disegno
politico eversivo” della magistratura.
Ma niente paura: Maria Teresa
Meli del Corriere ha potuto auscultare l’amato Renzi mentre
“spiegava” ma anche “confidava ai fedelissimi” e si “soffermava con i suoi collaboratori”
sulle seguenti parole d’ordine,
tratte direttamente dal Nerone
di Petrolini: “Non sottovalutare la situazione, ma nemmeno
drammatizzarla oltre misura”
(bravo! grazie!); “Stanno cercando di colpirci con gli scandali, ma noi resisteremo e andremo avanti con maggior decisione di prima” (grazie! bravo!); “Siamo pronti a cominciare a dare risposte e soluzioni
alle richieste che ci vengono
dagli italiani” (bravograzie!);
“l’unica è andare avanti con
maggior determinazione di
prima” (graziebravograzie!).
Dall’altra parte, a debita distanza, ci sono le notizie, cioè il
mondo della realtà. Due partiti
pilotati e foraggiati da Mafia
Capitale – Pd e Ncd – che vogliono commissariare il Giubileo per sottrarlo al sindaco
Marino, l’unico che almeno
personalmente non aveva contatti con la gang. L’arrestando
Azzollini che resta a pie’ fermo
presidente della commissione
Bilancio, così come il condannato Galan presidente della
commissione Cultura dagli arresti domiciliari, e l’indagato
Castiglione
sottosegretario
all’Agricoltura per tenere
compagnia ad altri 4 colleghi
inquisiti. Intanto, a Napoli, il
governatore condannato e
ineleggibile e dunque eletto De
Luca pensa di candidare uno
dei due figli (quello indagato)
a sindaco, carica notoriamente
ereditaria (ma a questo punto
non si vede perché tagliar fuori
la compagna, fresca fresca di
rinvio a giudizio). Nell’attesa,
fra un insulto alla Bindi e uno a
Saviano, don Vincenzo fa
campagna per Antonio Poziello, candidato a Giugliano scomunicato dal Pd perché rinviato a giudizio per associazione per delinquere, in vista del
ballottaggio col candidato incensurato di FI. Iniziativa che
– informa il Corriere – è stata
“accolta con disappunto dai
vertici locali del partito”. Ecco:
disappunto.
Stiamo parlando di un partito
che un suo dirigente, Walter
Verini, paragona alla “Chicago anni 30” rischiando una
querela di Al Capone; e che il
commissario Barca già definì
“cattivo, dannoso, pericoloso e
clientelare”; al punto che ora
un consigliere comunale romano del Pd confessa “io stavolta non riuscirei proprio a
votare Pd”. Nel Palazzo ormai
gli onorevoli parlano col linguaggio dei segni per paura
delle intercettazioni e si nascondono nei bagni per paura
dei carabinieri. Del resto, scrive sempre il Corriere, Renzi ha
messo su “una sorta di gabinetto di guerra”. Sempre nella
speranza di non veder sopraggiungere Azzollini che, in fatto
di gabinetti, ha mostrato una
mira piuttosto approssimativa. Ma pur sempre degna di
minzione.
RIMASUGLI
L’onore no?
Salviamo
almeno
i quattrini
di Marco
Palombi
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are che a Matteo Renzi
P
non piaccia Ignazio Marino. Pare che non ne apprez-
zi le qualità amministrative,
diciamo. Pare pure che questa
faccenda di Mafia Capitale gli
abbia fatto perdere il sonno
e quel poco di autocontrollo
che conservava. Dicono
che giri esagitato per le
stanze di Palazzo Chigi
in preda all’umor nero, alla
melanconia, abbracciando
ora questa e ora quell’idea ossessiva: lo faccio dimettere,
non lo faccio dimettere ma
mando i carri armati, mando
Maria Elena senza carri armati, dormo e spero che domattina quel chirurgo sia tornato negli States insieme al Cecato.
E dire che Matteo Renzi e Ignazio Marino hanno almeno un amico
in comune: Salvato-
re Buzzi, per dire, ha finanziato entrambi. Niente, ormai
il giovane premier consuma il
pavimento avanti e indietro
cercando di trovare il modo
per risolvere la figuraccia capitale. Una, in realtà, pare gli
sia venuta. Dice: le istituzioni
stanno come stanno, si sa, lo
spirito manca, la nazione
chissà se c’è mai stata. Salviamo almeno i soldi: alla fine
questo Giubileo povero vale
il Fatto Quotidiano
comunque mezzo miliardo
e spicci.
Un
bel
commissario
all’emergenza pellegrini e
così ci possiamo guardare le
retate in televisione con tutta calma. È quando c’è
un’emergenza, però, che
l’assenza di persone capaci
si sente di più: pensa Buzzi e
Carminati quanto si sarebbero divertiti coi pellegrini.