La Germania al voto. Angela Merkel verso una riconferma. Per l

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La Germania al voto. Angela Merkel verso una riconferma. Per l
SINISTRA La Carta
vincente
SPECIALE Rifugiati,
chi sono e dove vanno
FESTIVALFILOSOFIA
Tutti i volti di Eros
N. 36 | 14 SETTEMBRE 2013 LEFT+L’UNITÀ 2 € (0,80+1,20)
Da vendersi obbligatoriamente insieme al numero del 14 settembre de l’Unità.
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SETTIMANALE LEFT AVVENIMENTI
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D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004
N. 46) ART. 1, COMMA 1 DCB ROMA
ANN0 XXV - ISSN 1594-123X
AV V E N I M E N T I
La Germania al voto.
Angela Merkel verso
una riconferma.
Per l’Unione
non cambia nulla.
Ma la crisi sta arrivando
anche a Berlino
NOSTRA SIGNORA
D’EUROPA
di Daniel Abbruzzese, Manuele Bonaccorsi e Paola Mirenda
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AV V E N I M E N T I
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LA TESTATA FRUISCE
DEI CONTRIBUTI
DI CUI LA LEGGE AGOSTO 1990, N. 250
left 14 settembre 2013
LA NOTA DI
Maurizio Torrealta
In Germania e Italia
matrimoni senza passione
I
n Germania si chiama Grande coalizione, in Italia Governo di larghe intese. Sono due esecutivi dove opposizione e maggioranza si assomigliano e governano insieme. In tutti e due i Paesi il
meccanismo è simile, il maggior alleato
della maggioranza è l’incapacità dell’opposizione di essere tale. Più l’opposizione smette di essere tale, maggiormente viene apprezzata come alleata. Da
queste due belle case in comune, una a
Berlino e l’altra a Roma, è scomparsa la
passione. Non si sa quando sia successo, ma non c’è più, se ne è andata. Come in tanti matrimoni d’interesse, tutto sembrava funzionare ma non funzionava niente, anche se dall’esterno nella foto di famiglia tutti sorridevano. Come quando la Merkel continuava con toni pacati a ripetere nei suoi discorsi le
idee dell’ultimo parlamentare verde che
aveva incontrato e assicurava la chiusura di tutti i reattori nucleari nei prossimi venti anni, senza avere presente cosa
comportasse. Oppure quando il candidato socialdemocratico, che auspicava
la riduzione della differenza tra le pensioni degli statali e quelle dei lavoratori subordinati, al giornalista che gli chiedeva come, rispose: «Non ce l’ho in testa, al momento».
Nella Casa comune italiana i toni tra
gli sposi sono stati un po’ più rumorosi, spesso hanno minacciato di separararsi e prima o poi succederà, anche se
tra una discussione e l’altra c’è stato il
tempo per trasformare il vino novello in
bottiglie d’annata.
Non sorprende che il numero dei votanti
in Germania (o se preferite gli amici de-
gli sposi), sia in sensibile diminuzione,
perché in Italia l’erosione è ancora più
rapida. Tra la folla che nel nostro Paese
ha deciso di non frequentare più la coppia di Governo un po’ troppo litigiosa e
un po’ troppo inefficiente, cominciano a
circolare discorsi seri: quei prestiti che
la coppia tedesca elargisce a fatica alla coppia italiana come se si trattasse di
chicchi di grano delle formichine regalati alle cicale, non sono altro che debiti che arricchiscono il prestatore e impoveriscono il debitore. Per ogni persona che si indebita nei confronti della
Germania, c’è sempre un tedesco che ci
guadagna. E questo è il danno maggiore:
non quello economico ma quello della fiducia. In Germania forse il matrimonio
Cdu/Spd non si farà e verrà rimpiazzato
da un altro partitino sopra il 5 per cento
che poco potrà nel rapporto con la Merkel. In Italia forse il matrimonio Pd-Pdl
si spezzerà tra non molto per essere sostituito da qualche gruppo di accompagnatori provvisori, ma non saranno queste le soluzioni.
Sarà sempre più difficile ritrovare lo
spirito innovatore e visionario di Altiero Spinelli. L’arguzia e l’intelligenza del
progetto politico che ha portato la pace
in Europa e sul quale sono state investite
energie passioni e speranze. Oggi questo
progetto rischia di trasformarsi nel suo
contrario, un conto della spesa di un pizzicagnolo senza sentimento e senza idee
che vede solo la punta del proprio naso e
conta i soldi che ha in tasca. Se non c’è la
passione per il progetto, sia nel governo
nazionale che in quello europeo, non si
andrà molto lontano.
3
[email protected]
Congresso Pd
I militanti contano
Infastidisce la sicurezza
e l’enfasi con cui alcuni esponenti del partito e media - danno già per acquisito il risultato del congresso
Pd e al di là dei riposizionamenti degli opportunisti di
turno ricordo a tutti che il
segretario per essere eletto
ha bisogno del nostro voto,
ingenui militanti che “regaliamo” il nostro tempo libero alla politica. Dare per
scontato, come fanno in
troppi, che ci sia già il vincitore è una mancanza di
rispetto nei nostri confronti, evidentemente non considerati in grado di “intendere e di volere”. Consiglio
a tutti maggior prudenza.
Claudio Gandolfi
[email protected]
la settimanaccia
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left.it
Ci siamo anche noi
In merito all’articolo “Senza barriere” (su left del 7
settembre), sull’esperienza di immersioni subacquee effettuate dal Centro
subacqueo paolano di Piero Greco con dei disabili non vedenti e con “persone con problemi psichici della Asl di Roma”, con
questa nostra lettera vorremmo far presente anche la “nostra” partecipazione all’esperienza. Siamo un gruppo di “persone con problemi psichici”
della Asl Rm/D che vivono ospiti della Comunità
terapeutica riabilitativa
di via Crescenzo del Monte 13 di Roma. Nella Comunità si cerca di costruire un percorso di cura psichica e autonomia socia-
le, lavorativa e di studi (alcuni di noi lavorano, altri
studiano, in entrambi i casi in situazioni assolutamente “normali”, altri si
preparano per poterlo fare quando staranno meglio) insieme agli operatori della equipe attraverso
un programma terapeutico che prevede incontri
psicoterapici individuali
e di gruppo, attività sociosanitarie e riabilitative,
aperto alla realtà socioculturale. Così partecipiamo a innovative e originali
esperienze. Fra queste vi
è anche la partecipazione
a corsi di apnea in piscina;
inoltre da quattro anni effettuiamo dei soggiorni di
vari giorni a Paola dove ci
“immergiamo” nelle esperienze subacquee vere e
proprie che ci hanno da-
to e ci danno molte soddisfazioni. I risultati ottenuti, anno dopo anno, hanno
permesso ad alcuni di noi
di acquisire brevetti di immersione di primo grado,
riconosciuti a livello internazionale.
Abbiamo imparato tante cose nello stare tra di
noi e con gli operatori al
di fuori della Comunità e
con tutti gli istruttori del
centro subacqueo, immergendoci anche con i disabili non vedenti menzionati nell’articolo. Abbiamo scoperto tante nuove risorse per affrontare
le difficoltà quotidiane, e
l’acquisire nuove capacità
ci ha dato una spinta a poter pensare di realizzare
cambiamenti anche fuori
dall’acqua nel quotidiano
e nei rapporti con gli altri.
Effettuare con successo
l’immersione, che rappresenta il nostro ostacolo
momentaneo, è per noi la
dimostrazione che anche
altri ostacoli si possono
superare in altre occasioni della vita. Il voler sottolineare la nostra partecipazione serve a rimarcare
l’importanza che per noi
ha avuto questa esperienza, ed è un modo pubblico
per ringraziare Piero, tutti gli operatori e il nostro
psicoterapeuta, tutte le
persone che ci hanno permesso di realizzarla con
successo.
Daniele, Domenico,
Emanuele, Giorgia,
Leonardo, Massimiliano,
Michael, Riccardo,
Vincenzo
14 settembre 2013
left
left.it
sommario
IANNO XXV, NUOVA SERIE N. 36 / 14 SETTEMBRE 2013
COPERTINA
TURCHIA
ARCHEOLOGIA
NOSTRA SIGNORA D’EUROPA
INONDATI DAL PROGRESSO
LA CITTÀ CHE VISSE PIÙ VOLTE
La Cancelliera Angela Merkel
va verso una scontata riconferma. Troppo debole, e senza contenuti, la concorrenza
dell’Spd. Per l’Europa non cambierà nulla. Ma in Germania non va tutto per il verso
giusto. Bassi salari e riduzione delle esportazioni: la crisi arriva anche a Berlino.
I progetti di sviluppo di Ankara passano attraverso il sistema di dighe Gap, che sta ridisegnando la geografia del Paese. Villaggi e rovine millenarie vengono
inondati da laghi artificiali e l’intero corso
dell’Eufrate rischia di venire danneggiato.
La Mesopotamia non sarà più la stessa.
L’antica Sibari, travolta a gennaio dall’esondazione del fiume Crati, è ancora sepolta dal
fango. Invisibile lo strato greco,
spuntano qua e là le rovine romane. Un
patrimonio che lo stato d’emergenza non
ha salvato. Ora il ministro Bray promette
un piano d’azione.
16
42
LA SETTIMANA
02
04
04
06
LA NOTA
LETTERE
LA SETTIMANACCIA
FOTONOTIZIA
COPERTINA
16 Vinca il peggiore di Paola Mirenda
20 Comunque vada, sarà un successo
di Daniel Abbruzzese
24 Disturbi della crescita
di Manuele Bonaccorsi
IDEE
12 SAPERI DIFFUSI di Guido Viale
12 L’OSSERVATORIO
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14
14
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SOCIETÀ
28 La Carta vincente
di Sofia Basso
62
di Francesco Sylos Labini
ALTRAPOLITICA di Andrea Ranieri
KEYNES BLOG
di Daniela Palma e Guido Iodice
IN FONDO A SINISTRA
di Fabio Magnasciutti
IN PUNTA DI PENNA
di Alberto Cisterna
TRASFORMAZIONE
di Massimo Fagioli
TI RICONOSCO
di Francesca Merloni
SPECIALE IMMIGRAZIONE
32 Rifugiati in trappola
di Tiziana Barillà
36 I cercatori di futuro
di Donatella Coccoli
39 Un Paese nell’ombra di Cecilia Tosi
MONDO
42 Inondati dal progresso di Giacomo
Cuscunà, foto di Tommaso Protti
left 14 settembre 2013
CULTURA E SCIENZA
48 Festivalfilosofia, La Cecla: Amo
dunque sono di Simona Maggiorelli
51 Ferry: Amor vicit omnia di s.m.
52 Sibari, la città che visse più volte
di Manlio Lilli
56 Il medico che sconfisse la morte
nera di Patrick Deville
52
RUBRICHE
08 COSE DELL’ALTRO MONDO
a cura della redazione Esteri
10 COSE DELL’ALTRITALIA
a cura della redazione Interni
11 PICCOLE RIVOLUZIONI
di Paolo Cacciari
31 LA SCUOLA CHE NON C’È
di Giuseppe Benedetti
58 PUNTOCRITICO
ARTE di Simona Maggiorelli
CINEMA di Morando Morandini
LIBRI di Filippo La Porta
60 BAZAR
MUSICA, TELEDICO
60 APPUNTAMENTI
a cura della redazione Cultura
61 IN FONDO di Bebo Storti
Chiuso in tipografia l’11 settembre 2013
Copertina: elaborazione grafica di Arianna Catania
5
fotonotizia
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14 settembre 2013
left
A me i Giochi,
please
Finalmente ce l’hanno
fatta. Dopo aver cercato invano di organizzare i Giochi olimpici del
2016, i giapponesi conquistano il diritto a ospitare quelli del 2020. Nel
voto del 7 settembre
Tokyo ha sconfitto Madrid (inutilmente candidata per la terza volta) e
Istanbul, che sembrava
favorita. Il Giappone ha
ospitato per l’ultima volta le Olimpiadi nel 1964.
(Kambayashi/Ap/Lapresse)
left 14 settembre 2013
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cose dell’altromondo
left.it
© GUL/AP/LAPRESSE
AFGHANISTAN
Il loro è considerato il mestiere più pericoloso al mondo. I poliziotti delle nuove forze di sicurezza afgane (qui durante la cerimonia di consegna del diploma) sono vittime di due nemici. Da una parte la Nato, che con i suoi droni continua a colpire la popolazione che loro dovrebbero difendere: il 7 settembre, a Kunar, ha fatto 8 vittime civili (4 i bambini). Dall’altra i Talebani, che l’8 settembre hanno ucciso 4 uomini dell’intelligence e ferito 120 persone.
22%
Secondo il sindacato britannico Unite,
è questa la percentuale di lavoratori con
contratto a zero ore, cioè che variano il loro
orario in funzione dei bisogni dell’azienda.
In molti casi i lavoratori interessati non
arrivano nemmeno a 3 ore settimanali,
e non hanno né ferie né malattia
CINA Il valore dei soldi
Per la prima volta nella sua storia la moneta cinese entra nella top ten delle valute più commerciate. Il renmimbi si piazza al nono posto grazie a una
crescita degli acquisti offshore, scalzando il dollaro neozelandese. I soldi cinesi sono sempre più appetibili, ma niente a che vedere con il dollaro americano che resta la valuta dominante per i commerci di tutto il globo, coprendo l’87 per cento dei volumi scambiati. La moneta americana dal 2010 ha aumentato del 2 per cento la sua fetta di mercato, ed è
seguita da euro e yen. L’entrata del renmimbi nella
top ten ha però spinto fuori dalla classifica il dollaro
di Hong Kong e la corona svedese.
LA CRISI DELLA SETTIMANA In India sono decine i villaggi sotto coprifuoco e 800 i militari mobilitati. È la risposta del governo di Nuova Delhi all’ondata di violenza che ha travolto la regione settentrionale dell’Uttar Pradesh. Negli scontri tra hindu
e musulmani, infatti, sono state uccise 28 persone e ferite più di 50. Il caos si è propagato dopo l’uccisione di tre uomini che
avevano protestato per le molestie subite da una donna della loro comunità. E dopo la diffusione di un video falso in cui si
mostrava il linciaggio dei tre. Le autorità indiane hanno arrestato più di 100 persone con l’accusa di istigazione alla violenza.
8
14 settembre 2013
left
left.it
«Kim Jong Un
è un bravo padre
e ha una
bellissima famiglia»
bellis
Il giocatore
di basket Dennis
Rodman a proposito
del dittatore della
Corea del Nord. Kim
è diventato padre
subito dopo aver
fatto giustiziare
l’amante e tutto
il suo gruppo
musicale con l’accusa
di pornografia
CURIOSITÀ Se i detenuti sono pochi
Il carcere chiude. Mentre la popolazione carceraria aumenta in tutto il mondo, nei Paesi Bassi le prigioni restano vuote. Nello Stato della marijuana quasi libera si
stanno chiudendo otto istituti penitenziari per «mancanza di criminali». Il ministro olandese della Giustizia lo ha annunciato il 9 settembre che una capienza
carceraria di 14mila posti è eccessiva per un Paese che
conta 12mila detenuti. In Olanda il tasso di reati sta declinando e ci si aspetta
che altre carceri dovranno
presto chiudere. Ma il viceministro Nebahat Albayrak è preoccupato: come rimediare ai posti di
lavoro che scompariranno chiudendo gli 8 istituti? «Bisognerà ricollocare i
secondini, dobbiamo evitare qualsiasi licenziamento».
SIRIA La vita fiorente del 2%
46
anni
left 14 settembre 2013
L’età media del nuovo Parlamento
norvegese dopo le elezioni del 9 settembre.
Il deputato più anziano (68 anni) è Svein
Flatten di Høyre (il partito conservatore),
mentre il più giovane è Sivert H. Bjørnestad
(23 anni) del Partito del progresso,
formazione della destra populista
© ABD/AP/LAPRESSE
SCUOLA SENZA CROCI
C’è un 2 per cento dei siriani che definisce il proprio stile di vita “fiorente” nonostante
la guerra. Per quanto sia una percentuale bassissima, è la cifra che più colpisce nell’inchiesta che la Gallup ha realizzato tra giugno e luglio in diverse città siriane, fatta eccezione per i governatorati di Homs e Quneitra dove, secondo l’istituto americano di ricerca, «non ci sono le condizioni necessarie». Dall’inchiesta emerge come il 72 per cento degli intervistati consideri “faticosa” la propria esistenza, una fatica che diventa “sofferenza” per il 23 per cento di loro. Ma
questi dati non si discostano di molto
da quelli pre-conflitto: nel 2010 la percentuale di sofferenza era del 14 per
cento, il 79 per cento faticava a tirare
avanti e il 6 per cento si trovava in una
condizione soddisfacente.
Un testo «non per dividere gli uni dagli altri, ma
per impedire che qualcuno divida gli uni dagli altri». Con queste parole il ministro francese
dell’Educazione Vincent
Peillon ha presentato il
9 settembre la sua “Carta della laicità”, una mappa dei diritti/doveri da
appendere in ogni edificio scolastico. La Carta,
nelle sue intenzioni, deve
contribuire a mantenere
distanti le questioni religiose, che attengono alla vita privata, dalla sfera pubblica, di cui fa parte la scuola. Curiosamente però la Carta non sarà
esposta negli oltre 8mila
istituti privati francesi: in
virtù del loro “carattere
particolare”, sono esenti dal dover spiegare che
Stato e Chiesa sono due
entità separate.
9
cose dell’altritalia
left.it
A VENEZIA VINCE L’ITALIA
La 70esima edizione della
Mostra del Cinema di Venezia
chiude con un Leone d’Oro
italiano - Sacro Gra di
Gianfranco Rosi - e con due
importanti riconoscimenti al
film Via Castellana Bandiera,
che prende il nome dalla strada
dove abita la regista palermitana
Emma Dante (a sinistra nella
foto). Il debutto sul grande
schermo dell’autrice siciliana
è stato un successo: premio
per la migliore interpretazione
femminile (Elena Cotta), e per la
miglior colonna sonora (Fratelli
Mancuso).
SPORT, IN PENSIONE PIÙ TARDI
In campo fino a 53 anni, sul palcoscenico fino 46. Sono
gli effetti del recente regolamento in materia previdenziale approvato dal Consiglio dei ministri. Obiettivo del
provvedimento: ancorare i pensionamenti all’aumento
della speranza di vita. Così gli sportivi italiani, per poter
“andare in panchina”, dal gennaio 2014 dovranno aspettare le 53 primavere. I ballerini, invece, non potranno
uscire di scena prima dei 46 anni. A 21 mesi dall’entrata in vigore della riforma Fornero, che ha innalzato l’età
pensionabile per molti lavoratori, arrivano cambiamenti anche per altre categorie: gli attori dovranno aspettare
i 64 anni per ritirarsi dalle scene, i cantanti potranno lasciare il microfono a 61 anni.
1.647
È il numero delle volte in cui, negli ultimi
11 anni, Regioni e governo si sono
affrontati davanti alla Corte costituzionale,
litigando sulle proprie competenze.
Alla base del dato record la maldestra
riforma federalista del titolo V della
Costituzione varata nel 2001
PALERMO Pd-Crocetta: venti di guerra
BOLOGNA Liste d’attesa col trucco
In Sicilia l’autunno è cominciato prima
del previsto e potrebbe portare a una bufera in Regione. Il Partito democratico e il presidente
Crocetta sono ai ferri corti. Il Pd ha chiesto al “suo” governatore (che ha fondato un nuovo gruppo politico, il
“Megafono”) una maggiore rappresentanza politica in
Giunta. Crocetta ha risposto picche, accusando i democratici di pensare solo alle poltrone: «I deputati in giunta creerebbero più dissenso che consenso». Pronta la
contro-replica del segretario regionale del Pd Giuseppe
Lupo, che parla di «toni volgari. Crocetta - aggiunge Lupo - ci spieghi il perché di certe nomine a uomini del Megafono». I democratici siciliani, in caso di muro contro
muro, sono pronti anche alla soluzione estrema: togliere il sostegno al governatore.
Liste d’attesa gonfiate in reparto, stipendi più consistenti per tecnici e
medici. A denunciare il presunto sistema di truffe
all’ospedale Maggiore di Bologna, un gruppo di tecnici del reparto di radiologia. L’allungamento delle
liste d’attesa, stando all’esposto presentato in Procura, avrebbe consentito agli operatori di svolgere più ore di straordinario. Il raggiro sarebbe andato avanti per anni, sino alla fine del 2012. Gli operatori svolgevano esami finti al di fuori dell’orario di
lavoro canonico, in modo da far lievitare la propria
busta paga. Al momento non ci sono indagati, ma
dalla Procura di Bologna confermano l’esistenza
dell’esposto e l’apertura di un fascicolo.
10
3 agosto 2013
left
left.it
INSULTI IN LIBERTÀ
I COLPI DELLO SCERIFFO DE LUCA
«Maurizio Lupi sembra la figlia
di Fantozzi» (9 settembre 2013)
«Roberta Lombardi, ma va’
a mori’ ammazzata» (marzo 2013)
«Quel grandissimo sfessato
di Marco Travaglio» (marzo 2010)
Qualcuno lo chiama “il sindaco sceriffo”,
ma il 64enne Vincenzo De Luca non usa nessuna
arma da fuoco. Primo cittadino di Salerno
e vice-ministro alle Infrastrutture in quota Pd, a
pistole e fucili De Luca preferisce l’attacco verbale,
condito da creativi insulti.
Ultima vittima, in ordine
di tempo, il suo “superiore”,,
il ministro Maurizio Lupi
(Pdl), accusato dal vulcanico
o
sindaco di non aver ancora
affidato le deleghe. Ma Lupi
è in buona compagnia: sono
tante le vittime del turpiloquio
uio
di De Luca. E a chi gli fa notare
are
l’incompatibilità delle cariche
he
che ricopre, lui risponde a modo suo:
«Le mie dimissioni? Interessano
sano
solo a qualche sfaccendato»..
©LAPRESSE
FERRARA Sisma, i crolli furono colposi
Il tetto era “solo appoggiato”. Per questo,
in seguito al terremoto, è venuto giù di colpo, uccidendo tre operai a Sant’Agostino, nel ferrarese. Era
il 20 maggio del 2012 quando il sisma emiliano fece crollare
due capannoni (Ceramica Sant’Agostino e Tecnopress). Sedici mesi dopo, la procura di Ferrara ha notificato gli ultimi
avvisi di conclusione delle indagini. Omicidio colposo il reato ipotizzato. Destinatari quattro progettisti e un ingegnere collaudatore. Per quanto riguarda il capannone della Ceramica Sant’Agostino, la magistratura ha accertato l’assenza di collegamenti tra le travi e la copertura dell’edificio: il
tetto era solo poggiato. Il secondo edificio crollato, ipotizzano i pm, non era adeguato alle norme vigenti. Secondo gli
inquirenti, se fossero stati rispettati gli standard minimi di
sicurezza, quelle morti potevano essere evitate.
left 3 agosto 2013
PiccoleRivoluzioni
di Paolo Cacciari
Da oggi left ospita la rubrica di Paolo Cacciari che
ogni settimana segnalerà una buona pratica
Fiere e mercati
dell’altraeconomia
AEres, sta per Altra economia, rete per lo sviluppo solidale. È un’associazione che raccoglie aziende agricole, cooperative, artigiani, gruppi di acquisto, associazioni che si occupano di biologico, commercio equo e
cooperazione internazionale, assistenza sociale e consumo consapevole. Ha sede nella splendida ex centrale del latte Plip di Mestre, restaurata e messa a disposizione dall’amministrazione comunale di Venezia grazie
a un “patto di sussidiarietà orizzontale”. Nata sul modello della Città dell’altra economia di Roma a Testaccio, la
sua missione è creare un distretto di economia locale su
principi etici e con protocolli trasparenti, sostenibili sia
per gli impatti ambientali che sociali. Organizza mercati
di produttori in città e, dallo scorso anno, una Fiera della
decrescita e della città sostenibile denominata Altrofuturo (www.altrofuturo.net). Queste fiere non sono più
una novità: Terra futura a Firenze, Fa la cosa giusta a Milano e Trento, Quattro passi a Treviso, Vivere con stile a
Oderzo sono oramai marchi affermati. Non c’è città che
non abbia il suo appuntamento equo e solidale (www.
aamterranuova.it). Un fenomeno apprezzato dagli abitanti e dai Comuni più avveduti perché rivitalizza aree
urbane desertificate dalle chiusure delle attività commerciali di vicinato e ricrea un rapporto umano tra consumatori-cittadini e produttori. Contadini e artigiani trovano spazio non solo per esporre i frutti del proprio lavoro, ma anche per esprimere le ragioni delle loro scelte e le difficoltà che incontrano in un mondo dominato
dalla Gdo (Grande distribuzione organizzata), cioè omologato e privo di qualità. Storiche associazioni professionali come la Coldiretti hanno capito che solo così si
può salvare l’agricoltura contadina. Nella stessa direzione potrebbero attivarsi anche le associazioni artigianali. Pensiamo al lavoro che ci sarebbe se si promuovessero il restauro degli edifici in chiave di risparmio energetico. Visitando queste fiere non sfugge la loro volontà di
confrontarsi con la politica. I programmi sono ricchi di
presentazioni di studi su strategie e tattiche di espansione della sfera dell’economia no profit. La “terra promessa” che il premier Letta dice di intravedere all’orizzonte
forse sta sotto i suoi e i nostri piedi. Basterebbe trattarla
con cura. È buffo pensare che mentre le feste di partito
sono sempre meno distinguibili da quelle della pro loco,
i mercati contadini stanno diventando impegnati [email protected]
tamenti culturali.
11
idee
left.it
saperi diffusi
di Guido Viale
I tagli in mano ai cittadini
I
La
democrazia
partecipata
funziona.
La spending
review
è insensata
l pareggio di bilancio che il Parlamento ha introdotto con tanta leggerezza nella Costituzione - blindandolo con una maggioranza “bulgara” per non sottoporlo a referendum popolare ha conseguenze importanti. Per ogni nuova spesa - per esempio aerei F35 o Tav Torino-Lione o ogni riduzione delle tasse - per esempio esenzione dall’Imu di ville e case di lusso, come voleva Berlusconi - bisogna tagliare qualcos’altro di
pari importo. E poiché le pensioni (tranne quelle
d’oro, che non si toccano!) sono già state spolpate, il nuovo “pozzo di San Patrizio” sono le dotazioni di Comuni e ministeri: personale e risorse.
Ma se tagli troppo sul personale, chi mai gestirà i
fondi per fare ciò che ogni ente deve fare? E se tagli troppo sulle risorse, mancheranno i mezzi per
fare le cose da fare. Soluzione? La spending review: ente per ente, ministero per ministero, ufficio per ufficio, si va a vedere che cosa è indispensabile e che cosa no. E chi è indispensabile e chi
no. E si elimina quello e quelli non indispensabili.
Già. Ma chi decide? I dirigenti? Sono proprio loro a gonfiare il fabbisogno di personale, di uffici,
di fondi, di competenze, di consulenti. Perché più
fondi, dipendenti e metri quadri di uffici e scrivanie hai, più conti. Un team di consulenti ben paga-
ti? Ci aveva già provato decenni fa una tal Commissione Giannini, ma i meandri della Pubblica
amministrazione sono così contorti che venirne
a capo è stato impossibile. La soluzione l’ha trovata Tremonti: tagli lineari. Cioè ridurre fondi e
personale in misura uguale per tutti gli enti coinvolti. E poi... Se la vedano loro! I risultati sono
stati tragici: dirigenti, assessori e ministri hanno
chiuso servizi essenziali e gonfiato spese insensate. Monti, poi, ha rifatto la stessa cosa: prima con
un decreto, poi affidando al “mago” Bondi (quello che i guai dell’Ilva e di Taranto sono colpa delle sigarette) il compito di portarla a termine. Risultati zero. Adesso se ne occupa Letta, e saranno
altri disastri. Perché gli unici che sanno chi lavora e chi no sono gli addetti e gli utenti. Senza consultarli e dar loro il potere di proporre e decidere dove chiudere un servizio inutile, dove ampliare quelli utili, dove trasferire personale e risorse
non se ne verrà a capo. È la democrazia partecipata. Ma finirebbero per approfittarne, direte voi.
E i dirigenti, allora? La verità è che in un caso abbiamo trasparenza della spesa e responsabilizzazione: l’essenza della democrazia. Nell’altro, carrierismo e servilismo: la quintessenza del dispotismo e dell’inefficienza.
l’osservatorio
Lo spread
culturale
12
L
a spesa pubblica in ricerca è aumentata del 15 per cento dal 2009
in Germania, mentre in Italia, nello stesso periodo, è diminuita di quasi il 20. Questo è avvenuto non solo in
conseguenza dell’austerità ma anche
per effetto della convinzione, piuttosto diffusa, che la spesa in ricerca non
dia nessun ritorno di rilievo per la società e che comunque non ci si possa
più permettere il lusso di sperperare
soldi in stravaganti ricerche eseguite
per lo più da “baroni” e “raccomandati” di ogni sorta. Tutto al più, secondo
alcuni fini pensatori, si possono identificare pochi “centri d’eccellenza” do-
ve svolgere dell’utile ricerca applicata
al servizio delle aziende. Il risultato di
questa politica è sotto gli occhi di tutti: la ricerca italiana, che in tanti campi
è tra i leader mondiali, è entrata in una
fase di smantellamento simile a quella avvenuta nella Russia post sovietica con uno spreco incredibile di risorse umane e intellettuali, soprattutto
per quel che riguarda le nuove generazioni, escluse da qualsiasi possibilità di
carriera accademica e cui non si aprono certo le porte di uno dei sistemi produttivi più arretrati e meno innovatori
dell’Occidente.
È sempre utile ricordare che negli Sta-
14 settembre 2013
left
idee
left.it
altrapolitica
di Andrea Ranieri
Carrozza inverte la rotta
L
a ministra Carrozza sta dando segnali chiari di una inversione di tendenza rispetto agli
anni bui che abbiamo alle spalle e che avevano
visto un progressivo disinvestimento su scuola
e università. Si ricomincia ad assumere, si interviene sui costi della scuola, si punta a ricostruire
stabilità dove regna il precariato, con gravi danni per i ragazzi, specialmente quelli più deboli. La
strada sarà lunga e impervia, perché enormi sono
stati i guasti del passato, e pesanti sono i vincoli
del Patto di stabilità, ma occorre dare atto alla ministra che la rotta è stata invertita.
E vanno nel senso giusto anche le sue intenzioni, quali quelle espresse nel suo intervento a Cernobbio. Su una mi soffermerò: l’affermazione
che nessuno deve uscire dall’università senza
una esperienza di lavoro e ogni lavoro deve essere accompagnato da un’esperienza formativa.
Una indicazione che risveglia in me echi di una
stagione in cui il sindacato aveva davvero provato a fare del rapporto lavoro-conoscenza una
priorità del proprio agire.
Con una avvertenza. Sarebbe oggi del tutto velleitario pensare di poter far fare una esperienza
lavorativa a tutti gli studenti italiani nelle aziende. La domanda, da parte delle imprese, copri-
rebbe una parte molto minoritaria dell’offerta
presente e potenziale. E oltre tutto sarebbe scarsamente proiettata verso il futuro, dal momento
che tutti sono concordi nell’affermare che la stessa ripresa, se ci sarà, non avrà nel medio termine effetti significativi sull’occupazione. La risposta più sensata sarebbe quella di collegare prevalentemente il percorso lavorativo degli studenti
al servizio civile, uno strumento già esistente, a
cui già oggi si rivolge l’attenzione di un numero
consistente di giovani studenti e di laureati - circa
90mila - soddisfatta per meno di un quinto. Lavori
in settori strategici, se si deciderà di imboccare la
strada di uno sviluppo ambientalmente e socialmente sostenibile. Dai beni culturali, alla salvaguardia del territorio, all’assistenza alla fasce deboli della popolazione, al risparmio energetico,
alla mediazione interetnica e interculturale, nella scuola e nelle città. Affidato tra l’altro a soggetti - il mondo dell’associazionismo sociale e culturale e il sistema degli enti locali - che dovrebbero
avere nella propria missione la verifica del rispetto della dignità delle persone che lavorano e l’arricchimento delle competenze. Sarebbe bello se
l’avvicinamento dei giovani al lavoro avvenisse a
partire da un lavoro buono e giusto.
Ha ragione
la ministra:
nessuno esca
dall’università
senza una
esperienza
di lavoro.
Purchè sia
un buon lavoro
di Francesco Sylos Labini
ti Uniti più del 60 per cento del finanziamento alla ricerca di base è a carico dello Stato: lo sviluppo di internet e
dell’elettronica, le imponenti ricerche
biomediche sono state possibili grazie a un ingente finanziamento statale
che ha dunque contribuito a creare le
condizioni perché si potessero sviluppare le celebrate aziende ad alta tecnologia. Lo Stato ha dunque svolto, con
una mano ben visibile, un ruolo centrale nella produzione d’innovazioni tecnologiche. Questo intervento è dovuto al fatto che l’investimento in ricerca di base richiede tempi e risorse che
vanno di là dalle possibilità del singolo
left 14 settembre 2013
imprenditore ed è per sua natura ad alto rischio. È ora di capire che lo sviluppo economico non consiste nel tagliare i diritti dei lavoratori o nel cercare di
trasformare la scuola e l’università in
un corso di formazione professionale:
prima di tutto, consiste nel colmare lo
spread in ricerca, innovazione e istruzione che ci separa dagli altri Paesi con
cui ci confrontiamo. L’investimento in
questi settori non è per nulla una spesa
improduttiva quanto piuttosto rappresenta la famosa riforma strutturale che
dovrebbe invertire la china del declino
in cui si è avviato, da troppo tempo, il
nostro Paese.
L’Italia
investa
in ricerca
e tecnologia
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idee
left.it
di Daniela Palma e Guido Iodice
keynes blog
Una moneta “comune”
L
Un euro
nuovo,
che punisca
gli squilibri
delle bilance
commerciali
a crisi dei debiti sovrani non occupa più
le prime pagine dei giornali ma il dibattito sulla sostenibilità della moneta unica continua. Evidente è l’estrema incertezza sugli effetti di una rottura della zona euro. Studi in una direzione e nell’altra si accavallano e contraddicono a vicenda e, sebbene condotti da studiosi
di economia internazionale, generalmente trattano l’argomento guardando esclusivamente ai
singoli paesi. È però immaginabile che un crollo “disordinato” dell’euro possa portare a un
nuovo credit crunch in un quadro in cui nessuna grande area economica è in salute (non l’Ue,
non gli Usa, non il Giappone, né gli emergenti).
Inoltre la flessibilità del tasso di cambio, nella
situazione attuale di corsa globale alla svalutazione, potrebbe non sortire gli effetti sperati,
almeno nella misura necessaria a far ripartire
economie in profonda crisi.
D’altra parte la prosecuzione dell’attuale assetto
istituzionale dell’euro appare insostenibile, mentre non vi è quasi speranza che la politica possa
riparare il motore in corsa, trasformando l’Eurozona in una unione di trasferimenti o dando vita
agli “Stati Uniti d’Europa”. Una soluzione ragionevole che può minimizzare i rischi e in prospet-
tiva evitare il ripetersi di crisi come quella attuale è la trasformazione dell’euro da “moneta unica” a “moneta comune”. Tale proposta, ispirata al
Bancor di Keynes, è stata avanzata da economisti
come Steve Keen e Luca Fantacci e rilanciata su
Le Monde diplomatique da Frédéric Lordon. Si
tratta di un sistema di cambi fissi, ma aggiustabili,
tra monete nazionali, corretto tramite meccanismi di punizione degli eccessivi e sistematici deficit o surplus delle partite correnti, al fine di minimizzare l’indebitamento con l’estero all’origine
della crisi dei debiti sovrani, mantenendo l’Euro
come unità di conto sovranazionale. Una soluzione che ridistribuisce l’onere dell’aggiustamento
tra creditori e debitori, sottrae potere ai mercati
finanziari, scoraggia le svalutazione interne, salva il mercato unico e la possibilità di una costruzione più solida della Ue. Infine, non richiede trasferimenti fiscali, superando le obiezioni poste a
soluzioni di tipo “federale”.
Se il Partito socialista europeo e le sinistre ponessero questa proposta al centro della campagna
elettorale per le elezioni europee del 2014, probabilmente eviterebbero la crescita dei consensi alle forze antieuropeiste e populiste e salverebbero
il cammino verso un’Unione più solida.
in fondo a sinistra
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idee
left.it
in punta di penna
di Alberto Cisterna
Test d’ingresso, no alla roulette
I
l governo Letta ha disposto l’abolizione per
decreto del bonus maturità, quello che gli studenti pensavano di giocarsi nelle prove d’ingresso alle facoltà a numero chiuso. Lo ha fatto mentre i test erano in pieno svolgimento, «a borsa
aperta», verrebbe da dire.
E poiché nel metodo c’è del merito, il punteggio
che spetta al ministro Carrozza è davvero molto
basso. Se proprio si doveva, si poteva farlo prima e dar modo così agli studenti di arrivare preparati. C’è chi faceva affidamento sui 9 o 10 punti
rastrellati con grande fatica in 5 anni di studi superiori e che ora si scopre azzoppato, privo della stampella del bonus previsto per legge sino a
poche ore prima. Brutto segnale in un Paese che
non brilla per rispetto degli impegni presi; bruttissimo segnale, poi, se pensiamo alle migliaia di
studenti “livellati” per decreto legge.
Venendo al merito, non sono del tutte chiare le ragioni dell’abolizione: si è parlato genericamente
di evitare distorsioni e sperequazioni. Per certo,
però, la Lega ne aveva fatto un cavallo della battaglia antimeridionalista. Il ragionamento era semplicissimo e di grande appeal: al Sud i professori
i voti li regalano e al Nord no, quindi i meridionali erano avvantaggiati nei test di ingresso. Inten-
diamoci c’è del vero in questo giudizio. Destava
una certa impressione constatare ogni anno, che
il Mezzogiorno era sempre al primo posto nella
graduatoria dei voti di maturità. Ed ecco la soluzione: via i bonus per tutti. Non va bene.
Abbiamo un disperato bisogno di laureati di valore, e chi ha fatto un percorso virtuoso in una
scuola superiore ha sicuramente migliori chance rispetto a chi quel curriculum non lo ha. Il merito non si può misurare solo alla roulette dei
quiz che non sempre premia i più bravi. Ma invece di imboccare la strada stretta (e più lunga) di
una misurazione “fine” del merito e delle capacità, al Nord come al Sud, il governo ha scelto la
scorciatoia del taglio agli incentivi e del livellamento, per giunta retroattivo.
Come migliorare la qualità degli studi è, ormai,
un problema vitale per la Nazione e se qualcuno
largheggia nei voti (al Sud, al Centro o al Nord)
non è un buon motivo per mandare tutto il sistema in soffitta senza alternative. A meno che,
esaurita la fase storica dell’istruzione massiccia,
non si ragioni di altro, ad esempio dell’abolizione del valore legale dei titoli di studio. Ma questa
è un’altra strada che il governo dovrebbe enunciare con chiarezza.
L’abolizione
del bonus
maturità
livella tutti
di Fabio Magnasciutti
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copertina
CHE VINCA «P
IL PEGGIORE
di Paola Mirenda
La Germania vota il 22 settembre. Chiudendo
una campagna elettorale incolore. Ma la
politica economica tedesca non cambierà
eer Steinbruck è il miglior candidato che potessimo desiderare per la Spd. Con lui in campo,
la nostra vittoria è certa. Sì, c’è da essere soddisfatti». Parola di Manfred Kolbe, deputato della Sassonia eletto con la Cdu, il partito di Angela Merkel. Ironico, ma nemmeno troppo. Perché
Steinbruck, scelto a sorpresa nell’autunno 2012
per rappresentare l’alternativa socialdemocratica alla Cancelliera, in questa campagna elettorale sembra essere davvero, più che l’asso nella manica della sinistra, la carta vincente della destra.
«L’Spd si candida a rappresentare i ceti deboli,
lottare per i poveri, difendere i non privilegiati»,
continua implacabile Kolbe. «Come può farlo indicando come Cancelliere uno che è ricco, privi-
legiato e che i ceti deboli li sfrutta?». Il riferimento, in quest’ultimo caso, è alle conferenze pagate
a peso d’oro che l’ex ministro delle Finanze nella Grosse Koalition tiene in giro per la Germania.
Come quella a Bochum, nel novembre passato,
che gli è valsa una pagina scandalizzata del settimanale Stern: 25mila euro «per una conversazione di mezz’ora», come sottolinea Kolbe, «in una
città che ha il 10 per cento di disoccupazione» e
un debito procapite di 4.300 euro. Eppure questi errori di immagine così grossolani sono l’unica nota frizzante in una campagna elettorale tra
le più piatte che la Germania post riunificazione
ricordi, tanto da spingere i giornali a inseguire il
gaffeur Steinbruck nella speranza di avere un titolo divertente per il giorno dopo.
«In 23 anni non ho mai visto una campagna elettorale così noiosa. E dire che le ho seguite tutte...». Per Ekkehar Krippendorff, politologo e docente emerito della Freie Universität Berlin, la
consultazione del 22 settembre non riveste alcun
interesse “professionale”. «Non c’è una reale differenza tra i partiti, soprattutto perché non ci sono idee e temi sui quali dibattere davvero. L’unica
differenza tra Merkel e Steinbruck è nella retorica che usano. Messa lì a decorare parole vuote».
Il salario minimo? Steinbruck ne ha fatto un cavallo di battaglia, proponendo di fissarlo a 8,50
euro l’ora. Merkel ha appoggiato l’idea, con
l’unica differenza di volerlo non a livello federale ma di categoria. La stabilità di bilancio?
Quando era ministro della Finanze l’attuale
© SCHNEIBER/AP/LAPRESSE
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Manifesti elettorali
in un parco di Berlino.
«Abbiamo deciso»
è lo slogan del
candidato dell’Spd,
a sinistra. «Un
Cancelliere per la
Germania» è il motto
della leader Cdu
Angela Merkel
copertina
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LA CANCELLIERA VOLA NEI SONDAGGI
L’Spd dice no a un accordo con la Linke. Ma
così sarà impossibile battere Angela Merkel
I sondaggi registrano
un aumento dei
consensi per l’Spd,
ma la rimonta non
è sufficiente di
fronte alla Cdu. Nel
gradimento personale,
Merkel sorpassa
Steinbruck di 20
punti percentuale.
Se i sondaggi
rispecchiano davvero
l’umore dei tedeschi
lo si vedrà già il 15
settembre, quando
si voterà per il
parlamento della
Baviera.
18
candidato Spd lo diceva chiaramente: «Farò di
tutto per riportare i conti in equilibrio». E qui
Merkel non ha bisogno di aggiungere niente:
Steinbruck era il “suo” ministro delle Finanze,
il mestiere - dice - lo ha imparato con lei. Il nucleare? I Verdi, alleati dell’Spd, erano balzati al
22 per cento dei consensi dopo il disastro di Fukushima, nel marzo 2011. Il mese dopo la Cancelliera annunciava la chiusura delle centrali
atomiche, e i Grunen ritornavano su un meno
preoccupante - per la Cdu - 11 per cento. Poco
importa se l’uscita dal nucleare «è l’ennesima
bufala mediatica», come sottolinea l’attivista
ecologista Cécile Lecomte. Gli elettori sono comunque ritornati tra le braccia di Angela Merkel. A farsi rassicurare che tutto andrà bene.
Mutti. Con questo termine, che non è del tutto un complimento, una parte dei tedeschi chiama la Merkel. Mutti Angela, mamma Angela.
«Siete in buone mani», dicono i manifesti elettorali. Duemilaquattrocento metri quadri di poster, posizionati su un edificio in costruzione di
Berlino, tra la stazione principale e il Reichstag.
Il più grande manifesto elettorale della campagna. «Angie sei il nostro mito», le urlano i ragazzi all’uscita dei comizi. Steinbruck non ha affatto
questo carisma, e si sente. Il candidato Spd sconta un umorismo non proprio brillante, battute
caustiche che fanno danni più di quanto non attirino consensi. E la necessità di pescare voti a destra e a sinistra gli rende impossibile una minima
coerenza, sia pure limitata al periodo pre elettorale. L’Spd sperava di poter condurre una campagna all’insegna del cambiamento, usare François
Hollande come trampolino di lancio per una nuova Unione. Si poteva così puntare il dito sulle politiche perseguite dalla Merkel, sulla mancanza
di solidarietà della Cancelliera, sui guasti creati
dall’austerity. Invece niente da fare, Steinbruck
è costretto a prendere le distanze dal presidente
francese, che si è appena imbarcato in dichiarazioni di guerra contro Damasco. «Riteniamo insensato l’intervento in Siria», ha spiegato il candidato Spd ai suoi elettori. «I socialdemocratici rifiutano questa guerra». Niente alleanza europea,
quindi. E allora meglio tacere, anche sull’euro, visto che Spd e Verdi hanno votato in questi anni
tutte le proposte economiche della Cdu. Per senso di responsabilità, dicono, ma adesso è troppo
tardi per criticare. E anche alla Merkel fa comodo
tenere un basso profilo sull’Eurozona.
Su cosa voteranno quindi i tedeschi? Se lo è
chiesto il presidente della Germania Joachim
Gauck, che ha invitato i partiti in lizza a «parlare di cose concrete» per evitare il pericolo maggiore, quello di una disaffezione al voto. Degli
14 settembre 2013
left
copertina
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UN SISTEMA ELETTORALE A DUE FACCE
Nonostante la forte figura del Cancelliere, la
Germania non elegge direttamente il premier,
che viene invece indicato dalla coalizione o dal
partito che si presenta alle elezioni. Gli elettori
hanno a disposizione due voti: uno “regionale”
(Erststimme), con cui si vota il candidato della
propria circoscrizione (vengono eletti i primi 299
deputati); l’altro, proporzionale, è invece dato
solo al partito, senza preferenze. Su quest’ul-
82 milioni di tedeschi, più di 61 milioni sono gli
aventi diritto al voto. Ma dal 2005 al 2009 la percentuale dei votanti è scesa di quasi 8 punti percentuali, arrivando a poco più del 70 per cento. A due settimane dalle elezioni, il 40 per cento degli elettori non sa ancora che nome mettere nell’urna. A giugno il 47 per cento dei giovani
non sapeva nemmeno che si votava. «Tutto dipenderà dal tempo», dice il politologo Krippendorff. «Se è bello si va al seggio, se è brutto si resta a casa. Perché oggi l’unica opposizione è la
Linke, che somiglia a quello che potevano essere i socialdemocratici 20 anni fa. Ma la gente non
si fida perché hanno radici comuniste». Una diffidenza alimentata dai maggiori partiti: la Cdu ma soprattutto i liberali suoi alleati - gridano al
pericolo comunista per attirare voti, e l’Spd, con
la complicità dei Verdi, rifiuta ogni ipotesi di alleanza col partito di sinistra. Eppure la Linke offrirebbe proposte sensate, capaci di trovare un
consenso a livello europeo. E con il suo 10 per
cento nei sondaggi, sarebbe la chiave giusta per
mandare davvero a casa Merkel, obiettivo che
l’Spd afferma di perseguire. All’inizio di agosto
il pragmatico Gregor Gisy, candidato della Linke, ha rinnovato l’appello a una alleanza tra le
forze progressiste. Steinbruck è stato lapidario:
«Mai», ha risposto. Gelido.
Eppure una coalizione si impone, alla Cdu come all’Spd. Nessuno, con un sistema elettorale
complesso come quello tedesco, è in grado di governare da solo. La Cdu potrebbe perdere i suoi
partner storici, i liberali: il Freie demokratische
partei di Philipp Rösler rischia per la prima volta di non entrare in Parlamento, non riuscendo a
superare la soglia del 5 per cento. Se così fosse,
Angela Merkel potrebbe sperare solo in una alleanza con l’Spd, che ha però escluso questa possibilità. Niente Grosse Koalition all’orizzonte per i
socialdemocratici, che dall’esperienza precedente (2005-2009) sono tornati a casa con un secco
-11 per cento. Gli elettori più a sinistra non hanno
perdonato l’acquiescenza dimostrata dal partito
left 14 settembre 2013
timo viene applicato lo sbarramento del 5 per
cento: solo chi lo supera partecipa alla ripartizione dei seggi. Ma, per consentire la più ampia
rappresentanza, la soglia del 5 per cento non
viene calcolata per i partiti che abbiano eletto almeno 3 rappresentanti con l’Erststimme. Questo sistema fa sì che il numero dei deputati, fissato a 598, possa subire variazioni. Nelle ultime
elezioni, al Bundestag sedevano 620 deputati.
verso la Cdu, e nemmeno Steinbruck si voterebbe - forse - a tale suicidio politico.
Restano i partiti minori. Ma nel 2009, su 28 partiti in lizza, solo 5 hanno superato lo sbarramento. I sondaggi dicono che non ce la farà il partito
dei mediattivisti, il Piratenpartei, che in certi
land sfiora anche il 10 per cento, ma la cui ironia
sarebbe difficile da digerire per i seriosi membri dell’Spd o per i conservatori della Cdu. A
marzo, quando hanno chiesto al Parlamento di
Berlino se ci fosse un manuale di sopravvivenza in caso di attacco zombie, i socialdemocratici ci hanno creduto davvero.
Difficile anche l’ingresso dei nazionalisti
dell’Npd, che pure raccolgono il 6 per cento
nei land dell’ex Germania dell’Est e hanno già
eletto membri nei parlamenti regionali. «Siamo vaccinati contro certi pericoli, non abbiamo dimenticato il nostro passato», dice indignato il cristiano-democratico Manfred Kolbe.
Eppure gli episodi di razzismo sono aumentati
negli ultimi anni.
C’è un altro antieuropeismo che potrebbe trovare
consensi, ed è quello a cui guardano sia l’Spd che
la Cdu: è quello di Alternative für Deutschland,
formazione politica nata dall’idea di un gruppo
di influenti economisti tedeschi, guidata da un leader come Bernd Lucke: giovane, carismatico e
preparato. Se alla sua nascita - nell’aprile 2013 erano accreditati di un clamoroso 14 per cento,
oggi sono a un più modesto 2,3 per cento. Ma i
sondaggi in Germania non hanno mai funzionato bene: il loro margine di errore è del 3 percento, quanto basta ad AfD per superare la soglia di
sbarramento. «Siamo pronti a governare con tutti i partiti democratici », ha dichiarato Alexander
Gauland, ex Cdu e uno dei fondatori di AfD. «Il
nostro obiettivo non è rovesciare Angela Merkel». La Cancelliera ha ringraziato, ma ha gentilmente respinto l’offerta. Peer Steinbruck ci sta
ancora pensando. Sarà più facile far digerire ai
suoi elettori una svolta a sinistra - e un ritorno alle
origini- con la Die Linke, o un bel salto nel passato pagato in D-Mark?
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copertina
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NELLE MANI
DI ANGELA
di Daniel Abbruzzese da Berlino
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14 settembre 2013
left
copertina
left.it
Arrivando alla stazione
centrale di Berlino, si è
accolti da un gigantesco
manifesto elettorale con
sopra due mani giunte sul
grembo e la punta delle
dita rivolta verso il basso.
© SCHREIBER/AP/LAPRESSE
«La Germania è in buone mani», recita la didascalia. Si riconosce subito il gesto argomentativo
di Angela Merkel, quello che l’ha caratterizzata
durante il suo ultimo mandato, mentre guidava
la Germania fuori dalla crisi, dispensando consigli agli altri Stati europei. D’altronde a parte la
mimica e i tailleur color pastello, della donna più
potente d’Europa non rimane impresso molto.
left 14 settembre 2013
IN ATTESA DELL’INEVITABILE
È con placida rassegnazione che i tedeschi
aspettano la rielezione di Angela Merkel. Non
che questo sia visto da tutti come un male necessario, anzi. Una Cancelliera che si appresta
ad affrontare un terzo mandato, con una maggioranza compatta alle spalle, sembra un dono
del destino. Tanto più se l’economia cresce, la
disoccupazione diminuisce e i conflitti sociali
sembrano assorbiti in quello che, da sinistra, viene definito “il sonno della bella addormentata”.
«Non sarà una grande politica, ma il suo governo ha funzionato; certo, ha fatto molti passi falsi,
e io non voterei mai Cdu, ma forse è meglio che
continui a governare lei, piuttosto che una coalizione improvvisata, indecisa tra capitalismo,
socialismo democratico, socialismo reale ed
ecologismo», dice Uwe, che, da prima del crollo
del Muro, gestisce una birreria a Berlino est.
Il Meckern, il lagnarsi della realtà, dunque anche della sua espressione legislativa, è un’abitudine atavica dei tedeschi. Come lo è, del resto,
quella di recarsi alle urne per eseguire un rituale
tradizionale. Come emerso da un’indagine della Frankfurter Allgemeine Zeitung, l’affluenza
al voto è rimasta, dall’annessione della Repubblica democratica tedesca, più o meno stabile,
così come il consenso riservato ai partiti. Chi,
ad esempio, è cresciuto in una famiglia di tradizione cristiano-democratica continuerà a votare
Un maniifesto
elettorale di Angela
Merkel all’ingresso
della stazione centrale
di Berlino
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copertina
left.it
Al confronto tv la Cancelliera indossa
una collana coi colori della bandiera tedesca
Cittadini tedeschi
seguono l’unico
confronto televisivo
tra i candidati alla
carica di Cancelliere
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come i propri genitori; il voto è, insomma, ereditario, come la passione per il calcio. Per quanto
riguarda la ex Ddr, il quadro è un po’ diverso: la
percentuale dei votanti, qui, è spesso inferiore
al 30 per cento, specie nelle province che, dal
1991, si sono spopolate in maniera drammatica.
«Sono aree depresse, in cui il sistema educativo tedesco non funziona. Cosa si può dire alle
giovani generazioni che vedono i propri villaggi
abbandonati, vedono demolire i quartieri in cui
sono nati, e che oltretutto lavorano per 400 euro
al mese?», è la risposta di Marco Mühlstein, ex
parlamentare dell’Spd, eletto in una circoscrizione della Sassonia-Anhalt.
Intanto, a Berlino, l’atmosfera elettorale si percepisce appena. Solo i manifesti elettorali ricordano che, il 22 settembre, si andrà alle urne. O,
meglio, solo un manifesto elettorale salta agli
occhi: quello in cui la Cancelliera mostra un
sorriso timido e poco convincente, il sorriso da
mostrare davanti all’ineluttabilità degli eventi.
Una delle poche sorprese di questa campagna
sono i Verdi, partito in perenne crescita nella
capitale, che sta perdendo visibilità e consensi. Non sono piaciute certe proposte dal sapo-
re populista, come l’istituzione di una veggie
day, giornata in cui è proibito mangiare carne,
alla settimana. Ma, soprattutto, Angela Merkel
è riuscita a bruciare il terreno anche intorno ai
Verdi, accettando riforme ambientaliste e salutandole con frasi di circostanza.
UN MATCH IMPROBABILE
È andata così anche per il primo e unico confronto televisivo fra la Cancelliera e lo sfidante
Peer Steinbrück. Quando il candidato socialdemocratico inizia a muovere delle accuse, Frau
Merkel risponde placidamente con ovvietà o
promesse. «Il governo attuale non ha fatto nulla
per uno sviluppo sostenibile», dice l’economista
dell’Spd. La premier ribatte, ricordando il suo
impegno a chiudere tutte le centrali nucleari nel
giro di vent’anni. E il sistema sanitario? Risposta: «Il governo Merkel ha provveduto almeno
ai malati di Alzheimer». E la politica monetaria
europea? «La Germania ha già pagato», risponde Angela, lasciando intendere ai telespettatori che presto sarà finita, con i finanziamenti ai
Paesi più indisciplinati. Steinbrück ribatte: «Noi
avremmo un’idea migliore per il sistema pensionistico: ridurre la differenza tra le pensioni degli
statali e quelle dei lavoratori subordinati». Ma
quando un giornalista prova a chiedergli spiegazioni, il candidato socialdemocratico resta
14 settembre 2013
left
copertina
© GUETTLER/AP/LAPRESSE
left.it
di sasso: «Non ce l’ho in testa, al momento».
L’intervistato prova un ultimo assalto, ponendo
la questione dello spionaggio di dati personali
di cittadini tedeschi da parte dei servizi segreti
americani. Ma sa già che la responsabilità sarebbe attribuibile al governo rosso-verde, che,
poco dopo l’11 settembre 2001, firmò un patto
di collaborazione al tristemente noto Patriot
Act. Steinbrück non si azzarda a dire nulla sul
salario minimo, tema di cui la Cdu si è appropriata negli ultimi quattro anni, senza peraltro
aver deciso nulla; né sulle unioni di fatto, che
il tribunale costituzionale ha equiparato al matrimonio, evitando così al governo di prendere
decisioni impopolari. Il candidato dell’Spd non
ne esce poi male. Anzi, il suo svantaggio lo rende un po’ più umano e, quindi, più simile a Sigmar Gabriel, il candidato che la base del partito
avrebbe preferito. Tuttavia, quella di non bruciare Gabriel in un confronto senza speranze
con la Merkel è stata, a ben vedere, una scelta
oculata da parte dei socialdemocratici.
UN GIOIELLO DA TIFOSA
Almeno 15 milioni di tedeschi hanno seguito
il dibattito Merkel-Steinbrück in televisione.
Come per i campionati di calcio, a Berlino, e
non solo, sono state organizzate proiezioni in
pubblico, ampiamente commentate sui social
left 14 settembre 2013
media. In particolare, l’attenzione degli internauti si è concentrata sulla sostanziale identità
dei due contendenti. Uguali in molti dettagli:
nel tono anodino, nella riluttanza a proporre
delle riforme e a prendere posizione, perfino
nell’abbigliamento. Ma a colpire la fantasia dei
tedeschi, stimolando infiniti dibattiti, è un piccolo particolare: la collana di pietre nere, rosse
e giallo oro indossata dalla Merkel, ribattezzata Schlandkette. Lo stesso nome che i tedeschi
avevano dato alla collana di fiori in plastica
coi tre colori della bandiera tedesca, portata
al collo dai tifosi durante gli ultimi due mondiali di calcio. Il simbolo della riscoperta di un
orgoglio nazionale rimosso per decenni, in un
Paese in cui per anni anche la bandiera è stata
esposta con una certa dose di vergogna.
Il fatto che Angela Merkel abbia accompagnato questa “rinascita nazionalistica” durante tre
mandati pare avere un valore simbolico, specialmente in un momento in cui la Germania
sembra guardare dall’alto in basso gli altri Paesi europei, ancora alle prese con la crisi finanziaria. In realtà, così come i toni della Merkel
non si fanno mai arroganti, l’opinione pubblica
si permette raramente commenti sciovinisti, ed
accetta con rassegnazione anche le ondate migratorie di cittadini comunitari, che, dal 2011,
si fanno decisamente notare anche a Berlino.
NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE OCCIDENTALE
Il 22 settembre, data delle attesissime elezioni,
non dovrebbe riservare particolari sorprese.
Probabilmente gli euroscettici di Alternativa per
la Germania, vera novità di questa tornata elettorale, appoggiati anche dai movimenti neonazisti e populisti, riusciranno a riscuotere più del
3 per cento. Sotto il 5 per cento necessario per
entrare nel Bundestag. Come anche la formazione denominata, Die partei, chiamato in vita
da un ex giornalista satirico. Il logo de “Il Partito” riprende in maniera ironica quelli del movimento nazionalsocialista, il suo programma si
dichiara a favore dello stato di diritto, dei buoni
sentimenti, dell’abolizione dei contenuti e della
ricostruzione del muro (stavolta, però, intorno
alla Germania). Peccato, perché la loro presenza
al Bundestag, per quanto inutile, avrebbe tolto
un po’ della patina seriosa che la repubblica di
Frau Merkel ha voluto darsi.
23
copertina
DISTURBI DELLA
CRESCITA
di Manuele Bonaccorsi
Un export da record.
E bassi salari. La Germania
del boom economico si scopre
regina del “lavoro povero”.
Ma senza un rilancio
dei consumi rischia di restare
vittima dell’austerity. La stessa
che Berlino impone all’Europa
V
anno dritti per la loro strada, i tedeschi.
Incuranti delle critiche che provengono dai partner europei e da
importanti voci dell’economia anglosassone.
La potenza riluttante che può decidere i destini dell’Europa preferirebbe voltarsi da un’altra parte, guardare ai suoi affari, come ha fatto per anni. Non può farlo, perché della fine
dell’euro Berlino pagherebbe un prezzo altissimo. Eppure non arretra. È fiera di se stessa,
la Germania, e non cambia idea: «Oggi vediamo quanto la nostra linea, il mix di responsabilità di ognuno e di solidarietà, sia stato giusto.
E lo è tuttora. Le riforme cominciano a funzio-
24
nare, a produrre effetti positivi», ha dichiarato Angela Merkel in un’intervista di fine agosto
alla Frankfurter Allgemeine.
La linea di Berlino è sempre la stessa: se la
Germania continua a crescere, mentre il Sud
Europa arranca dietro al suo debito pubblico, la colpa è di chi ha vissuto per anni al di
sopra delle sue possibilità. Dunque gli altri
europei facciano come la Germania, se vogliono uscire dalla crisi: tagli ai salari e austerity nei conti pubblici. Ma la via tedesca
è insostenibile. O meglio, Berlino può fare la
formica solo se Grecia, Italia, Spagna continuano a far le cicale. Altrimenti salta tutto. A
partire dall’euro.
14 settembre 2013
left
left 14 settembre 2013
Oltre 7 milioni di tedeschi sono assunti
con un contratto da 450 euro al mese
ti. Circa un quarto degli occupati oggi lavora per
meno di 9 euro lordi l’ora. Un milione e quattrocentomila lavorano per un salario inferiore ai 5
euro lordi l’ora. Una percentuale maggiore di lavoratori a basso salario c’è solo negli Stati Uniti»,
ha scritto Dierk Hirschel, del sindacato dei servizi Ver.di. In Germania si parla di Jobwunder , letteralmente “miracolo del lavoro”: appena 3 milioni di disoccupati, un tasso ai minimi degli ultimi
20 anni. «Ma gran parte del presunto Jobwunder
è il frutto di una pura redistribuzione del lavoro
esistente», spiega il sindacalista tedesco. «Se le
aziende suddividono un lavoro a tempo pieno in
tanti minijob e impieghi part-time, gli statistici sono felici: il numero degli occupati cresce. Ma dal
2000 a oggi sono stati distrutti circa 1,5 milioni lavori a tempo pieno. In contemporanea le aziende
hanno creato oltre 3 milioni di lavori part time».
© WECCARD/AP/LAPRESSE
La via tedesca non è
lastricata d’oro quanto
può sembrare. Non lo è per
i conducenti di autobus del Mecklenburg, nel Nord est della Germania,
il cui stipendio supera appena i 1.200 euro, o
per un muratore della Germania est, che si deve accontentare di 1.400 euro mensili di salario.
Non se la passano molto bene neppure i “400
euro job”, lavoratori pagati appena 450 euro al
mese: una tipologia contrattuale introdotta con
la Agenda 2010 da Gerard Schröder, il Cancelliere socialdemocratico che ha aperto la strada
al mercantilismo tedesco. Nei primi anni 2000,
quando la Germania era definita “il grande malato d’Europa”, la strategia socialdemocratica fu uno shock: tagli delle imposte e delle pensioni, riduzione dei sussidi di disoccupazione.
E un pacchetto di misure per la flessibilità del
lavoro proposto dal ministro Peter Hartz, ex direttore del personale della Volkswagen. Nascono allora i “macjob” tedeschi: oggi sono 7,3 milioni i lavoratori assunti con questo contratto.
Servizi di pulizia, ristoranti, commercio.
«Gli squilibri nel mercato del lavoro, sotto il governo Merkel, si sono ulteriormente aggrava-
Dell’era Schröder i socialdemocratici tedeschi hanno ancora rimpianto. Non lo nasconde
il candidato alla Cancelleria, Peer Steinbruck,
25
copertina
© BRELOER/AP/LAPRESSE
left.it
La ricetta della Merkel? Funziona
solo se i Pigs continuano a indebitarsi
ex ministro delle Finanze della Grosse Koalition di Angela Merkel. Con lui tutto si inverte. Il socialdemocratico è un noto detrattore
delle politiche keynesiane. Quando nel 2008 il
governo inglese di Cameron ridusse le imposte sui consumi, lo strano socialista sbottò così: «Davvero pensate di acquistare un lettore
Dvd perché ora costa 39,10 sterline invece che
39,90?». Lo sfidante di Angela Merkel ha invece ricevuto una critica “da sinistra” niente di
meno che da Wolfgang Münchau, columnist
del Financial Times: «Gli ultimi 5 anni, in quasi tutto il mondo, sono stati un periodo di rinascita keynesiana. A eccezione della Germania.
Nel nostro Paese solo la Linke può ancora definirsi tale. Nella Spd degli anni 90, a un certo
punto, il keynesianismo è andato perduto. Da
allora le teorie conservatrici centrate sull’offerta sono diventate egemoniche all’interno
della Spd. Le riforme Hartz sono solo l’estrema conseguenza di questa strategia».
Berlino,
lavoratori spalano
la neve nel tetto
del Reichstag vicino
alla cupola, progettata
dall’architetto
Norman Foster
26
L’austerity tedesca che si vorrebbe esportare in tutta l’Europa è bipartisan: tagli al welfare, bassi salari, esportazioni. Ma non è reaganismo: la via renana al capitalismo, il cosiddetto
“Organisierten Kapitalismus” si basa sulla partecipazione dei sindacati ai consigli di amministrazione e su un sistema bancario e politico tutto votato al sostegno dell’industria. La ricetta funziona: con 547 miliardi di euro di merci vendute fuori dai suoi confini solo nel primo
semestre del 2013, la Germania svolge in Europa lo stesso ruolo della Cina a livello globale. Vende ma non compra. Per anni ha esportato merci in Italia, Spagna, Grecia. E ha prestato i suoi capitali in surplus ai Paesi del Sud
del mediterraneo, che li hanno spesi per i propri consumi improduttivi: spesa pubblica, investimenti immobiliari. Finché, con la crisi del
2008, il meccanismo si è rotto. «La logica economica di base sostiene che i saldi commerciali tra i Paesi devono essere uguali. Poiché
le eccedenze commerciali tedesche sono cresciute nel corso degli ultimi anni, i deficit nel
resto d’Europa sono aumentati. Se oggi nel
resto d’Europa si tagliano i bilanci e si spende di meno, allora i tedeschi devono spendere
di più», ha scritto il Time in un articolo di fine
agosto, intitolato “Why the Germany must save Euro”. Mentre sul Financial Times Adam
Posen, presidente del Peterson institute di Washington, scrive che «la Germania rischia di
essere schiacciata dalla sua ossessione per
l’esportazione. I bassi salari sono stati la base
del successo delle esportazioni tedesche negli
14 settembre 2013
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copertina
left.it
POVERI TEDESCHI
I salari medi in Germania
EST
MECKLENBURG
ultimi dodici anni, e le esportazioni sono state la sua unica fonte costante di crescita. Ma
i bassi salari non sono la base su cui una ricca
nazione dovrebbe competere».
Eppure qualcosa non funziona, anche nella
granitica economia tedesca. Per un motivo facilmente intuibile: se la crisi colpisce i mercati di sbocco della Germania, gli ordini calano
e si riducono le esportazioni. Nel primo semestre del 2013 l’export di Berlino è sceso dello
0,6 per cento. La riduzione ha colpito specialmente l’Europa, che ha ridotto gli ordinativi
dell’1,7 per cento, con un vero e proprio crollo nel commercio verso l’Italia (-6,3 per cento). Cresce invece, nonostante il rallentamento delle vendite in Cina (-5,9), l’export verso
Paesi extra Ue (+1 per cento). La gelata delle
esportazioni si è subito specchiata nel Pil tedesco: nel suo ultimo bollettino la Bundesbank
afferma di aver riscontrato come per il trimestre estivo siano diventati «più evidenti i segnali di rallentamento della crescita economica, in linea con il trend generale».
Chi di austerity ferisce, di austerity perisce?
D’altronde, come diceva il premio Nobel Paul
Krugman, «la tua spesa è il mio reddito. La mia
spesa è il tuo reddito». Dunque una parte dell’industria tedesca alza l’allarme: il capo economista di Daimler, Jürgen Müller, ha affermato che
«le vendite di auto in Europa occidentale sono
cadute ai livelli del 1993». Un problema non da
poco per un’azienda che vende un terzo delle
sue vetture proprio all’interno dei confini europei. «Una dieta non può aiutare a far crescere i
muscoli», ha spiegato l’economista. Anche se la
Germania può trovare fuori dai confini dell’euro mercati di sbocco abbastanza ampi da coprire la riduzione delle esportazioni in Europa.
Si spiega anche così l’emergere in Germania di
movimenti aspramente antieuro. Come Alternative für Deutschland, che lotta per entrare in
parlamento e rischia, minacciando ricorsi alla
Corte costituzionale, di bloccare l’intera politica europea, a partire dall’unificazione bancaria
e dall’intervento della Bce a sostegno dei Pigs.
Certo, qualche segnale di inversione di tendenza nell’economia tedesca comincia a intravedersi. Dopo anni in cui i salari sono cresciuti
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SUD
BAVIERA
lordo
netto
lordo
netto
conducente
autobus
1.722
1.216
2.229
1.484
logistica
2.131
1.431
2.683
1.719
meccanico
2.164
1.448
2.864
1.810
muratore
2.056
1391
2.835
1.795
cassiere
1.672
1.189
1.916
1.317
cameriere
1.436
1.060
1.703
1.206
impiegato
2.247
1.492
2.950
1.852
segretaria
2.072
1.399
2.651
1.703
call center
1.679
1.193
2.363
1.554
maestro
2.195
1.464
2.557
1.655
insegnante
scuola pubblica
3.434
2.081
3.976
2.337
scuola privata
2.542
1.644
3.173
1.962
parrucchiere
1.354
1.013
1.656
1.181
Salario lordo calcolato dalla rivista tedesca focus.de Per il netto si è immaginata una
famiglia con un figlio a carico, situata nella IV categoria fiscale, con una assicurazione
sanitaria di base. Tratto da vocidallagermania.blogspot.it
molto al di sotto dell’inflazione e della produttività, l’ultima tornata contrattuale dei metalmeccanici si è chiusa con un aumento del 5,6 per
cento. Poca cosa ancora, ma è un primo segnale. In piena campagna elettorale la confederazione sindacale di sinistra, la Dgb, ha lanciato
l’idea di un piano Marshall per l’Europa. Un progetto da 260 miliardi di euro di investimenti annui, da finanziare con la tassa sulle transazioni finanziarie, una patrimoniale e l’emissione di
obbligazioni europee. Il piano è stato recentemente presentato in Italia, alla Cgil, suscitando
dure critiche dagli economisti del Belpaese: «Il
piano propone investimenti fortissimi su rinnovabili e infrastrutture. Nelle condizioni attuali favorirebbe proprio l’industria tedesca, molto forte in questi settori, accentuando la fratture esistenti nell’economia europea», spiega Daniela Palma, animatrice di Keynes blog. «In questa strategia di bassi salari il sindacato tedesco
ha responsabilità oggettive. E oggi non propone un cambiamento nel quadro europeo, a partire dal ruolo della Bce», ha aggiunto l’economista Sergio Cesaratto. Ma è difficile chiedere ai
tedeschi di essere meno tedeschi.
27
società
LA CARTA
VINCENTE
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left.it
di Sofia Basso
14 settembre 2013
left
società
left.it
© MONALDO/LAPRESSE
N
«Né pessimisti, né minoritari».
Così i cinque firmatari del
manifesto in difesa della
Costituzione lanciano La via
maestra per la nuova sinistra.
Prossimo appuntamento:
il 12 ottobre in piazza
left 14 settembre 2013
on si fanno tirare per la giacchetta i
cinque firmatari de La via maestra, il
manifesto in difesa della Costituzione
che l’8 settembre ha riunito le diverse anime della sinistra in un affollatissimo centro congressi
di Roma. E assicurano che non stanno lavorando all’ennesimo partitino. L’obiettivo, ha spiegato Stefano Rodotà aprendo l’assemblea al Frentani, «è uscire da un’impostazione minoritaria e
pessimistica». Per andare oltre i tradizionali paletti e cespugli, i promotori guardano alla «grande forza politica e civile, latente nella nostra società», che ha la Costituzione come bussola:
quelle «forze spontanee» che nel 2006 bocciarono la riforma costituzionale del governo Berlusconi con 16 milioni di voti. «L’altra Italia» che
la costituzionalista (ex “saggia”) Lorenza Carlassare auspica torni ad alzare la testa, adesso
che l’esecutivo si prepara a «manomettere» la
Carta in deroga all’art. 138. «Forze vivacissime»
che possono trovare in Rodotà, Landini, Zagrebelsky, Carlassare e don Ciotti dei punti di riferimento credibili, archiviando i tanti fallimenti figli dell’autoreferenzialità e di una «cultura politica impoverita». Ecco perché il giurista, che molti volevano al Quirinale, avverte che sarebbe un
errore «se questa iniziativa diventasse una zattera per naufraghi o un onorato rifugio per reduci
di battaglie perdute». Di fronte all’«evanescenza della politica» e alla «scomparsa dello Stato
di diritto», i cinque chiamano a raccolta il popolo che si è sempre schierato con la Costituzione
e lanciano una grande manifestazione nazionale
per il 12 ottobre.
Tutti in sala hanno ben chiaro che mettere in pratica la Carta non è assolutamente una battaglia
astratta, ma significa dare gambe ai tanti diritti
negati di questi anni. «L’Italia è uno dei Paesi in
cui le diseguaglianze sono cresciute di più», ribadisce Rodotà. «L’art. 3 della Costituzione sancisce il dovere delle istituzioni pubbliche di non
essere indifferenti: compito della Repubblica è
“rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”». Quindi, ancora più che «ricostruire la sinistra», i 5 firmatari vogliono «rimettere
al centro la Costituzione», come dichiara Maurizio Landini, la cui battaglia per il reintegro degli iscritti Fiom in Fiat ha rappresentato plasticamente il legame tra Carta e diritti dei lavoratori.
Roma, Centro
congressi Frentani,
8 settembre 2013,
Maurizio Landini,
Sandra Bonsanti
e Stefano Rodotà
29
società
left.it
© SALVATORE CONTINO
«LIMITARE IL DIRITTO ALLO STUDIO È INCOSTITUZIONALE»
All’assemblea dell’8 ha preso la parola anche
Federico Del Giudice, 24 anni, studente di Storia e portavoce della Rete della conoscenza.
Al Frentani contro il numero chiuso?
È una violazione della Costituzione: l’accesso
all’istruzione deve essere libero. Stanno emergendo studi che dimostrano che non ha alcun
legame con le esigenze del mondo del lavoro.
Per esempio si stima che nel 2018 ci saranno
20mila medici in meno. Non è vero che in Italia
ci sono troppi laureati. Sono pochi ma il nostro
Paese non sa che farsene perché ha un tessuto
Landini: «L’interesse generale torni
a coincidere con quello delle persone»
Senza dimenticare, aggiunge il leader della Fiom,
che «nessun italiano ha votato per questo governo». L’auspicio è che, ridando spazio alla politica,
«l’interesse generale torni a coincidere con l’interesse delle persone». Ecco perché compito del
governo dovrebbe essere anche impedire i licenziamenti e la chiusura delle fabbriche.
I contenuti anticipati dai relatori (lavoro, reddito
di cittadinanza, beni comuni e dignità delle persone), sono stati integrati dai tanti interventi del
pubblico: welfare, pace, istruzione, diritti dei migranti e dei precari. In platea non mancano i reduci di esperimenti falliti, dalla Sinistra arcobaleno
a Rivoluzione civile, ma ci sono anche i militanti
di tanti movimenti e associazioni che da anni lavorano sul territorio, dall’Arci al Forum per l’acqua pubblica, dagli studenti ad Articolo 21.
Non è passato inosservato il basso profilo tenuto da Sel: se Nichi Vendola, Gennaro Migliore e
Nicola Fratoianni hanno fatto capolino in sala,
l’unico del partito a prendere pubblicamente la
parola è stato il senatore Massimo Cervellini.
«Abbiamo aderito e condividiamo tutte le istanze», spiega Migliore, capogruppo di Sel alla Camera. «Mi pare che l’iniziativa si debba allargare.
Come giustamente ha detto Rodotà, siamo so-
30
produttivo vetusto. Germania e Francia spendono 10 volte tanto. Investire è una scelta politica. Sono due alternative di sistema.
Cosa pensa del movimento partito l’8?
Oggi è necessario riattivare un percorso comune con tutti i soggetti che si sono battuti su diversi fronti. Dobbiamo rilanciare la battaglia per
i diritti. La nostra Costituzione racchiude tanti
principi che però non sono applicati: il diritto allo studio e, in generale, il diritto al futuro. Negli
ultimi anni abbiamo assistito a tagli al welfare
e a un mondo del lavoro sempre più precario.
Speriamo che il percorso avviato l’8 settembre
non sia chiuso ma partecipato. Per durare deve vivere dentro le piazze, dentro le scuole e i
luoghi di lavoro. Tra i bisogni veri delle persone.
Sarete in piazza il 12 ottobre?
Ci saremo anche il giorno prima, con manifestazioni già organizzate in tutt’Italia sui temi della scuola e dell’università. Il 12 scenderemo in
piazza con gli altri soggetti per creare un nesso
esplicito tra il mondo studentesco e la battaglia
s.b.
per l’attuazione della Costituzione.
lo all’inizio». L’attenzione al nuovo movimento
non si limita certo a chi era al Frentani domenica mattina. «Sono quello che tiene aperta la finestra del Partito democratico verso quel mondo»,
annuncia Pippo Civati, candidato alla segreteria
del Pd. «Ci deve essere collaborazione, confronto e stimolo, senza fare pasticci perché ognuno
ha la sua autonomia e la sua parte. Grande attenzione, quindi, e non da ora: è uno spazio politico
vastissimo, una necessità».
In platea si respirava grande speranza per un’iniziativa che, come dice Edoardo, ex militante di
Rifondazione, «dimostra una consapevolezza nuova, grazie alle personalità di garanzia e al
suo accento più sui contenuti che non sulla precipitazione elettorale». Ma anche qualche timore: «Speriamo che sia la volta buona», commenta all’uscita Marietta, una vita a sinistra, «ma dopo tante delusioni, la paura è tanta». E infatti al
Frentani è andata in scena anche la rabbia verso chi ha condannato la sinistra radicale all’ininfluenza: «Ho visto presenze inquietanti», denuncia dal palco Cinzia, ex pasionaria dei No Dal
Molin, «mi auguro che chi oggi ha fatto mea culpa decida di lavorare al progetto senza esserne
protagonista». La linea, comunque, rimane quella di Landini: «Nessuna esclusione». Perché l’appuntamento del 12 deve essere, come auspica
Paolo Flores d’Arcais, «la più grande manifestazione autorganizzata della società civile».
14 settembre 2013
left
la scuola che non c’è
società
left.it
I media e la vicenda del professore di Saluzzo agli arresti per rapporti con minorenni
Senza giusta distanza
di Giuseppe Benedetti
left 14 settembre 2013
© SPADA/LAPRESSE
I
commenti sulla torbida vicenda
del professore liceale di Saluzzo
agli arresti per aver indotto, abusando del ruolo, alcune sue allieve minorenni ad avere rapporti sessuali con
lui ci consegnano innanzitutto un’assurda disattenzione verso le vittime.
Il dolore, la comprensione, la solidarietà stanno quasi esclusivamente dalla parte del professore. Anzi, le problematiche situazioni familiari e fragilità psicologiche delle ragazze le hanno
fatte diventare nell’opinione comune
le cause scatenanti del rapporto malato con il professore. Sul Corriere della sera (31/8) Aldo Cazzullo riferisce
che in un’omelia nel Duomo, prendendo spunto dalla cronaca, il celebrante
ha fatto riferimento al sacrificio di un
uomo, Giovanni Battista, per il capriccio di una giovane, Salomè, e ha chiesto alla comunità di pregare il santo patrono perché «protegga la città dalle
notizie funeste». La seconda riflessione riguarda l’incredulità degli ex allievi
per ciò che trapela della vicenda, il loro
sconcerto perché non riconoscono in
quell’uomo malato il professore che si
commuoveva leggendo i versi di Dante (i figli che si offrono in pasto al conte Ugolino e la tragedia del suo amore
impotente) e di Foscolo (la trasfigurazione poetica di Ettore, da sconfitto
in battaglia ad eroe letterario). Anche
il padre di una delle vittime l’ha ricordato come un uomo “normale”, simile
a tutti gli altri professori, con un atteggiamento protettivo nei confronti degli
allievi (La Stampa, 29/8). Allo stupore
degli ex studenti si unisce l’amara sorpresa dei colleghi del docente sotto accusa: per la grande risonanza data alla
vicenda e per la pretesa di accertare la
Verità, nonostante «il limite sottile che
separa, nel cuore e nelle azioni umane,
il bene dal male» (lettera a La Stampa,
27/8). Le cronache di Saluzzo ci hanno
riportato anche, in un primo momento,
I commentatori cercano
di comprendere
il docente. Ma per
le vittime c’è un’assurda
disattenzione
al profilo del docente indagato, in particolare a un’infanzia difficile e a dieci anni assai sofferti in seminario (Corriere
della sera, 31/8), alla sua richiesta di cure per uscire dalla malattia (la Repubblica, 28/8). Ma questi elementi hanno
subito perso interesse sui media. La vicenda è stata poi il pretesto per affrontare marginalmente la questione del
rapporto tra docenti e allievi. C’è chi
ha riconosciuto la qualità della relazione nella flessibilità e capacità di ascolto
dell’insegnante e nella crescita dell’autonomia e dello spirito critico nell’allievo (Alessandro D’Avenia, La Stampa, 27/8, che ha precisato che il docente può funzionare solo nel ruolo di padre). Chi ha ammonito che i professori
devono servire e non sedurre, e ha accusato di irresponsabilità chi gestisce
la scuola perché non si occupa dei docenti inadeguati o malati (Mariapia Ve-
ladiano, la Repubblica, 3/9). Qualcun
altro ha parlato dell’asimmetria nella
relazione tra docente e alunni su cui si
baserebbe l’insegnamento (Ferdinando Camon, La Stampa, 4/9). La vicenda, poi, è stata strumentalizzata da ogni
parte come fatto esemplare. Per esempio, Massimo Gramellini (La Stampa,
29/8) ha osservato che in questo Paese la simpatia e il carisma dell’imputato di un’azione turpe spingono la collettività a chiederne l’assoluzione. Mentre Vittorio Sgarbi (Il Giornale, 8/9) ha
accennato alla vicenda come ulteriore prova della sessuofobia della magistratura. Ed è per la congiuntura politica o per qualche singolare convergenza di idee che in questo caso, a differenza dei precedenti, sono soprattutto gli
organi di informazione di destra a suggerire la tesi di un incidente inevitabile per il contesto della relazione didattica, alludendo al semplice «abbaglio»
di un professore stordito dalla «bellezza poetica» (Libero, 30/8), o alla stravaganza dell’insegnante «tipo border line
da Attimo fuggente» (Giordano Bruno Guerri, Il Giornale, 30/8). Mai si era
parlato così tanto di scuola, anche se,
come al solito, senza parlarne.
[email protected]
31
società
RIFUGIATI
IN TRAPPOLA
di Tiziana Barillà
Un anno di attesa per ottenere asilo.
E frontiere bloccate per chi vuol
raggiungere la famiglia. Ecco come
l’Italia tiene in ostaggio i profughi.
Con il benestare dell’Europa
© RODRIGUEZ/AP/LAPRESSE
«U
no Stato che ha messo sotto sequestro i diritti dei migranti».
Così il giurista siciliano Fulvio Vassallo Paleologo definisce l’Italia. Quello
dei rifugiati è un tema spinoso. Spinoso almeno
quanto i recinti che “proteggono” queste persone. A trovare asilo nel Belpaese sono attualmente in 65mila circa e, nel corso del 2012, le nuove
domande sono state 15.700. Cifre da capogiro?
Niente affatto. I numeri degli altri Paesi europei
dimostrano che l’Italia non è tra le principali mete di chi scappa da guerre e persecuzioni. O almeno non al pari di nazioni come la Germania,
che guida la classifica europea con 600mila rifugiati e solo nel 2012 ha ricevuto 77.500 richieste.
L’Italia è il cancello d’Europa che queste migliaia
di persone tentano ogni giorno di “scavalcare”.
Rifugiati. Cittadini non europei che per «timore fondato» di persecuzione - per motivi di razza,
religione o opinione politica - scappano dai loro Paesi d’origine. Giunti in Italia, i profughi che
presentano la richiesta d’asilo vengono accolti
in un Centro di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo (Cara) dove possono essere trattenuti per il tempo necessario affinché una commissione valuti la richiesta. L’accoglienza italiana, in
mano al ministero dell’Interno ora guidato da Angelino Alfano, si è strutturato negli anni in due livelli. Ci sono i Cara, grandi centri collettivi gestiti direttamente dalle prefetture e distribuiti per lo
più al Sud. Poi, con l’introduzione della Bossi Fini
viene istituito il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar). Un sistema che conta 150 progetti, distribuiti in tutto il territorio italiano, che danno un tetto, una formazione e un lavoro a circa 3.500 persone. Pur essendo lo Sprar
finanziato dal Viminale, i progetti vengono attivati dagli enti locali, soprattutto Comuni e Province, che nel 90 per cento dei casi ne affidano la gestione ad associazioni del terzo settore. L’iter è
chiaro: soccorso, richiesta e identificazione, accoglienza e, in caso di ottenimento dello status di
rifugiato, accesso ai programmi di integrazione.
Chiaro, però, è anche che l’Italia non si è ancora data un’organizzazione in grado di offrire adeguata protezione. Tra vortici burocratici, insufficienza dei servizi e atmosfere poliziesche, per un
rifugiato entrare nel programma di integrazione
è come vincere alla lotteria.
società
left.it
CHI CHIEDE PROTEZIONE
La copertina
di Diritti sotto
sequestro (Aracne,
2013), il libro di Fulvio
Vassallo Paleologo,
docente di Diritto
di asilo e statuto
costituzionale dello
straniero all’università
di Palermo
34
RALLENTAMENTI E CODE
La permanenza in un Cara dovrebbe durare giusto il tempo in cui una commissione incaricata valuti se accettare o respingere la richiesta di asilo.
Trentacinque giorni, secondo la legge. Un trattenimento giustamente limitato, data l’inadeguatezza delle strutture, spiega a left Christopher Hein
direttore del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir):
«Sono grossi centri collettivi, lontani dai contesti
urbani e spesso sono inadeguati per lunghe accoglienze». Un esempio lampante è quello di Mineo,
a Catania, l’ex residence degli aranci che ha ospitato fino a 3.600 persone, pur avendo una capienza
massima di circa 2mila unità. Il sovraffollamento
è dovuto sì ai flussi improvvisi e numerosi, soprattutto in direzione delle coste siciliane, ma anche
al sommarsi degli ospiti in coda. Secondo i calcoli del Cir, nei Cara i richiedenti asilo passano una
media di 6-8 mesi, ma spesso anche più di un anno. Perché sono questi i tempi necessari per concludere la procedura d’asilo. Un «deficit strutturale», secondo Hein. «I posti disponibili non sono
sufficienti ad accogliere tutti. Abbiamo visto molti richiedenti asilo costretti a vivere per strada per
settimane prima di vedersi riconosciuto un diritto
fissato dalla legge nazionale ed europea». In questa commedia dell’orrore, il principale palcoscenico è la Sicilia, dove «quest’anno sono stati aperti centri di accoglienza in modo molto improvvisato», sottolinea Fulvio Vassallo. «Cosa possibile
in base alla legge Puglia del 1995, che dà ai prefetti
questo potere in caso di flussi improvvisi e straordinari. Spesso si tratta di scuole, palestre, capannoni industriali. Addirittura a Porto Palo (Siracusa) si è fatto ricorso al mercato ittico».
LA RUOTA DELLA FORTUNA
Cosa succede se, una volta terminata l’odissea
dell’attesa, si ottiene il riconoscimento dello status di rifugiato? Il soggetto riceve un permesso di
soggiorno che gli dà gli stessi diritti sociali e lavorativi di un cittadino italiano. Ma con le difficoltà
di uno straniero: titoli di studio non riconosciuti,
ostacoli linguistici e assenza di una rete familiare e sociale. «È paradossale», avvisa Hein «in termini di accoglienza materiale il rifugiato ha meno diritti del richiedente asilo. Perciò, come Cir
chiediamo che venga introdotto un programma
nazionale che garantisca un’accoglienza finalizzata all’integrazione almeno per un anno dal riconoscimento dello status». A breve il nostro Paese dovrà recepire la nuova direttiva europea che
introduce con più forza il concetto di programmi di integrazione. «L’Italia non può più andare avanti sulla base di progetti che costano molto ma che riescono a raggiungere solo i rifugiati
più “fortunati”». Accoglienza e integrazione funzionano quando sono diffuse. È d’accordo Daniela Di Capua, direttrice del Servizio centrale Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati
(Sprar). «Si ottimizzano i tempi, perché si possono seguire le persone una per una. E anche psicologicamente i risultati sono migliori, perché
non bisogna dimenticare che non parliamo di
migranti tout court, ma di migranti forzati, quindi persone che hanno subito persecuzioni, torture, che sono fuggite loro malgrado e quindi portano con sé traumi e vulnerabilità notevoli». Perciò
i progetti messi in piedi da questo servizio, spiega Di Capua, «hanno l’obiettivo di creare un’accoglienza diffusa, in cui lo Stato centrale passi la
responsabilità diretta alle amministrazioni locali,
che sono i soggetti che poi si occupano realmente delle persone di cui stiamo parlando». Anche il
governo sembrerebbe di questo avviso. «In occasione del nuovo bando per lo Sprar per il triennio
2014-2016, il ministro Alfano ha parlato di un’intenzione di finanziare ben 16mila posti», continua la direttrice. Problema risolto, quindi? «Solo se questo aumento di posti sarà accompagna-
14 settembre 2013
left
società
left.it
to dall’incremento delle commissioni territoriali
per l’audizione delle richieste d’asilo», risponde
Di Capua. «È necessario ridurre i tempi di attesa
dei richiedenti, accelerando così la fine del periodo di accoglienza e l’inizio del loro percorso di integrazione». Le prospettive sono rosee e le intenzioni delle migliori. Ma, di fatto, oggi sono in pochi a usufruire di questi programmi. Alla maggioranza dei rifugiati rimangono un paio di alternative: la permanenza prolungata in un Cara o l’abbandono a se stessi. Non stupisce quindi che per
molti la via d’uscita sia la fuga.
UNA GABBIA CHIAMATA DUBLINO II
L’Italia per posizione geografica si trova in una
traiettoria particolare, tra i Paesi verso cui si è diretti e tra quelli da cui si scappa. Una tappa di passaggio in un viaggio che spesso ha come meta il
ricongiungimento con la famiglia. Peccato, però,
che la legge europea preveda un regolamento, introdotto nel 2003 che fissa dei limiti alla libera circolazione dei migranti, anche dei rifugiati. Secondo il regolamento Dublino II un richiedente asilo,
una volta identificato in Italia con il rilievo delle
impronte digitali, non può presentare domanda
di protezione in un altro Paese europeo. «Molti
fuggono perché la nostra polizia rileva le impronte digitali e per molti questa è una condanna a vita», spiega Fulvio Vassallo. «Per loro essere stati
identificati in Italia significa l’impossibilità di ricongiungersi con la famiglia altrove. Sappiamo
che ci sono persone della stessa famiglia condannate a rimanere divise, perché hanno ottenuto
lo status di asilo in Paesi diversi. Quindi un’altra
emergenza è la pressione della polizia per il rilievo delle impronte subito dopo lo sbarco. Da qui
derivano, di conseguenza, le fughe».
INTEGRAZIONE, UN MINISTERO SENZA POTERI
Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. E
«il problema in Italia è che non si riesce ad abrogare la Bossi-Fini, che riduce alla categoria di
clandestini anche persone che cercano protezione», ripete come un mantra il professor Vassallo.
Eppure il ministro dell’Integrazione Cécile Kyenge si è recentemente espressa in merito: «Credo
che questa legge vada rivista», e ha annunciatoper l’autunno un «tavolo immigrazione per cominciare a parlare di modifiche alla legge BossiFini». Suscitando le ire del Pdl che sulle politiche
left 14 settembre 2013
Il Movimento migranti: «Il ministro Kyenge
non ha portato alcun cambiamento reale»
di immigrazione ha le idee chiare: quella leggenon si tocca, a costo di fare cadere il governo. Litigi a parte, resta il fatto che la delega all’Immigrazione rimane nelle mani del Viminale di Angelino
Alfano e che «il ministro dell’Integrazione in materia di immigrazione ha dei margini modestissimi», dice Vassallo. «La Kyenge, per il ruolo modesto che ha il suo ministero, che è anche senza portafoglio, delle cose le ha fatte», prosegue il giurista. «Adesso il rischio è che la sua figura si bruci come simbolo, magari bersaglio degli attacchi
sempre più frequenti da parte dei razzisti, e che il
ministro non riesca anche per questa ragione ad
avere la sua effettiva agibilità politica nel portare in fondo le proposte che fa». Dello stesso parere anche il Movimento migranti e rifugiati . «La
Bossi-Fini è ancora in vigore, i Cie non sono stati
aboliti e se apriamo il capitolo dei rifugiati nulla è
cambiato», denuncia Aboubakar Soumahoro.«Il
ministero dell’Integrazione non ha portato ad alcun cambiamento della nostra condizione di migranti e rifugiati. Se vogliamo dire che è un dato
positivo, simbolicamente, il fatto che al ministero ci sia una donna di origini congolesi, va bene.
Ma bisogna affrontare la questione senza ipocrisia, senza nascondersi dietro il colore della pelle.
Altrimenti ora non saremmo in grado di criticare
Obama per quello che sta facendo in Siria».
RIFUGIATI IN MARCIA VERSO STRASBURGO
«Non siamo ancora liberi, abbiamo solo raggiunto la libertà
di essere liberi». Sono le parole di Nelson Mandela a dare la
carica al Movimento migranti e
rifugiati che lancia una doppia
mobilitazione. A Roma, il 18 e
19 ottobre, «saremo in piazza
a Roma» insieme a lavoratori e
senza casa», spiega Aboubakar Soumahoro del Movimento
migranti e rifugiati. Da lì partirà la
prima Carovana europea per il
diritto di asilo, che si concluderà
a marzo 2014 a Strasburgo, sede del Parlamento europeo. In
marcia per chiedere la cancellazione del regolamento europeo
Dublino II che, denuncia Soumahoro, «doveva essere una
piattaforma per armonizzare le
politiche sui rifugiati, ma i risultati parlano di altro: una gabbia
che impedisce la libera circolazione degli esseri umani».
t.b.
35
società
left.it
I cercatori
di futuro
© MALAVOLTA/LAPRESSE
di Donatella Coccoli da Lampedusa
Dal Corno d’Africa a Lampedusa, per sfuggire a carestie e guerre. Giovani
tra i 20 e i 35 anni, intere famiglie. Con una meta: rifarsi una vita in Nord Europa
T
Lampedusa, 6 aprile
2011, un barcone
affonda in mare
con 200 migranti,
si salvano in 47.
Nella foto due
superstiti
36
uta, maglietta, scarpe da ginnastica e via.
Camminano veloci sulla banchina del porto, confusi tra i turisti in fila davanti ai barconi
pronti per il giro dell’isola. La sera, con rapide
falcate percorrono la centralissima via Roma,
il luogo dello struscio dei villeggianti. Sono giovanissimi e quell’ansia, quella fretta di bruciare
i tempi, gliela leggi sul volto. Sono determinati.
Anche perché dalla Libia a Lampedusa ne hanno
passate di tutti i colori. E vengono dalla carestia
e dalla guerra dei loro Paesi del Corno d’Africa:
Somalia, Etiopia, Eritrea.
«Vogliamo andare in Scandinavia, non voglia-
mo restare in Italia». Due occhi neri in un volto
nobile e bellissimo, Amina - è un nome di fantasia - viene da L’Asmara. Lei e i suoi amici dentro
un negozio stanno tentando di cambiare in euro
una manciata di dollari. «Vogliamo solo comprare le t-shirt con il disegno della tartaruga. E poi
schede per telefonare», dice in inglese. Spaesati, forse non si rendono conto nemmeno di dove
si trovano. Hanno solo una meta: il Nord Europa.
Gloria - altro nome di fantasia - viene dal Mali e
vorrebbe raggiungere la sorella che vive in Gran
Bretagna. «Qual è il cantante che gli italiani amano di più?», chiede uno spilungone appassionato
14 settembre 2013
left
società
left.it
Eritrei, somali, etiopi: tutti giovani tra i 20 e i 35
anni, con un aumento di donne e minori rispetto
agli altri anni. Ecco il popolo dei migranti arrivati
a Lampedusa nel 2013. Gli ultimi dei 300mila disperati che dagli anni 90 hanno toccato le coste
della bella isola delle Pelagie. «Da gennaio abbiamo soccorso circa 8mila persone. L’anno scorso
erano state 1237», racconta il comandante della Guardia costiera Giuseppe Cannarile. E se nel
2011 erano stati i nordafricani ad arrivare in massa dopo le Primavere arabe, adesso vengono intercettate in mare persone provenienti soprattutto dalle regioni subsahariane. Dentro la Capitaneria di porto, la scritta «In asperitate maris
pro humanitate» è come se riassumesse gli ultimi vent’anni. Segnati da operazioni di soccorso,
alcune drammatiche, anche a 100-150 miglia dalle acque territoriali italiane. «I migranti sono inesperti, i più giovani non hanno mai visto il mare
- spiega Cannarile - e i gommoni, magari di dieci
metri con un centinaio di persone, sono fatiscenti. Spesso sono loro stessi a lanciare l’sos con il
satellitare dopo la partenza». Una volta avvistati,
nel buio e magari con il mare mosso, il momento
più pericoloso è quello del trasbordo, perché potrebbero sbilanciarsi su di un lato facendo inabissare il gommone. «Per questo motivo li affianchiamo con due motovedette, li tranquillizziamo
left 14 settembre 2013
© DONATELLA COCCOLI
di musica accanto ad Amina. Ridono, finalmente rilassati al bar. Bevono coca cola con gusto,
sono curiosi, interessati a conoscere chi gli sta
di fronte. Si incupiscono soltanto quando si tocca il tasto del viaggio o della permanenza in Libia. Il deserto attraversato per giorni, poi, le botte: sì, ammettono di essere stati picchiati. E tanta nostalgia. «Questo è mio fratello e questa è la
mia migliore amica», indica Amina su una foto
stropicciata tirata fuori da una tasca come fosse
un tesoro. Non vedono l’ora di partire. Il loro sogno è raggiungere Roma e poi da lì le grandi città europee. «Da noi non era possibile vivere, io
vorrei studiare e poi trovarmi un lavoro», spiega Amina nella sua disarmante semplicità. La ragazza non ha fatto i conti con le leggi italiane come la Bossi-Fini che considera l’“essere” clandestino un reato. E nemmeno con la lentezza della
macchina burocratica nel riconoscere lo status
e i diritti dei rifugiati. Intanto però si è rifiutata di
farsi prendere le impronte digitali.
Il medico del Poliambulatorio: «Gente
disperata, che accetta di tutto pur di partire»
e poi li facciamo salire a bordo ». Il diagramma
che il comandante mostra sul computer è significativo e permette di leggere i mutamenti geopolitici del Continente. In genere, all’aumento delle persone soccorse corrispondono lo scoppio di
guerre e carestie nei loro Paesi di origine. Così si
spiegano, del resto, i circa 30mila tunisini sbarcati a Lampedusa subito dopo la rivolta del gennaio 2011. Giorni che non si dimenticano. A marzo erano più numerosi degli isolani: oltre 7mila
rispetto ai 6mila lampedusani. Con il Centro di
soccorso e prima accoglienza (Cspa) al collasso, senza che le navi li trasferissero in altri luo-
Un barcone
abbandonato
davanti al porto
di Lampedusa
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società
© MALAVOLTA/LAPRESSE
left.it
Il comandante della Guardia costiera: «Il
trasbordo dai gommoni è la fase più difficile»
Lampedusa, 7 agosto
2013, migranti
appena sbarcati dalle
motovedette della
Guardia costiera
vengono portati
al Centro di soccorso
e di prima accoglienza
38
ghi. Abbandonati nell’isola. Quella che ancora
oggi è chiamata “la collina della vergogna”, sopra il porto, con i giovani ammassati all’aperto
sotto teloni di plastica, è uno dei tanti lasciti del
governo berlusconiano. Una ferita denunciata
più volte anche dal sindaco Giusi Nicolini che da
quando è stata eletta, nel 2012, si è impegnata a
rendere Lampedusa «il posto dove inizia l’Europa e non dove finisce». «Dal 2011 la situazione è
cambiata», afferma Federico Migliarotta che dal
2007 è direttore del Cspa gestito da Lampedusa
accoglienza srl una società che fa parte del consorzio di cooperative sociali Sisifo. «Rimangono
in media cinque-sei giorni prima di partire per i
Cie o i Cara. Cerchiamo di trovare sempre soluzioni anche quando ci sono i minori. E vengono
fornite assistenza sanitaria e informazioni legali,
con la presenza di rappresentanti delle associazioni umanitarie e di mediatori culturali».
A Lampedusa c’è un uomo che si definisce “il veterano dell’immigrazione”. È il dottor Pietro Bartolo, responsabile del Poliambulatorio e del coordinamento delle attività sanitarie per i migranti, compreso il monitoraggio quotidiano del loro stato di salute. «Ricordo ancora i primi. Era il
’91. Arrivò una barchetta di legno con tre tunisini
a bordo. La cosa fece scalpore, la gente gridava
“arrivano li turchi!”», racconta il medico. Che ha
visto di tutto, anche l’orrore. Come quando si è
calato nella stiva di un barcone e ha scoperto 25
cadaveri di giovani morti soffocati. E che nel terribile 2011 si ritrovò in prima linea a combattere le epidemie, là sulla “collina della vergogna”.
«Uno di quei ragazzi tunisini, Omar, l’ho adottato. È il mio quarto figlio, l’ho fatto studiare e ora
fa il mediatore culturale». Sorride il dottor Bartolo al pensiero di Omar. Ma poi torna serio parlando degli ultimi arrivi. «Gente disperata, che
affronta qualsiasi cosa pur di andar via da quella
terra che è la loro patria». Ammette di non commuoversi facilmente, ma qualche tempo fa gli
è accaduto. «C’era un ragazzo di 17 anni con la
frattura al ginocchio consolidata male, non poteva camminare, e io mi chiedevo come avesse
fatto ad arrivare fin qui. Dalla motovedetta l’abbiamo preso di peso per trasportarlo con una sedia a rotelle. A quel punto si è sentito un grido,
è piombato un altro ragazzo che se lo è caricato
sulle spalle. Allora ho capito. Era il fratello, che
se l’era portato così per tutto il tempo attraverso
il deserto dalla Somalia fino alla Libia».
Dopo un viaggio che può durare anche cinque
giorni, i migranti arrivano disidratati, disorientati, alcuni con ustioni dovute al contatto con
la benzina. Qualche volta i più giovani hanno
crisi dissociative. Ma in genere sono in buone
condizioni fisiche. Come alcuni bambini di duetre anni appena visitati da una pediatra chiamata dal dottor Bartolo per un consulto: «Stanno
benissimo, non sembra nemmeno che abbiano
passato due giorni sul gommone. Si vede che
hanno voglia di farcela».
14 settembre 2013
left
società
Un Paese
nell’ombra
di Cecilia Tosi
I giovani eritrei attraversano
il deserto per scappare
da un regime militarizzato
e autarchico. Che con
la caduta di Gheddafi
ha perso il suo unico amico
I
l nome glielo abbiamo dato noi ma ce lo siamo subito dimenticato. La regione intorno ad
Asmara fu battezzata Eritrea dai coloni italiani, che con il fascismo cercarono di trasformarla in una base per la conquista di tutto il Corno
d’Africa. Il tempo di militarizzarla e Mussolini è
caduto, lasciandola in pasto ai suoi nemici, gli
etiopi, che l’hanno annessa e conservata fino al
1992. Oggi, a 20 anni dall’indipendenza, l’Eritrea
è più militarizzata di 100 anni fa. Il presidente Isaias Afewerki, di fede marxista, l’ha trasformata
in un enorme campo di addestramento, dove vige l’eterno stato d’emergenza e il servizio militare non ha mai fine. Il suo Paese colleziona denunce e condanne di tutte le associazioni per i diritti umani del mondo, ma per il presidente e i suoi
sostenitori si tratta solo di un complotto imperialista, ordito principalmente dagli Stati Uniti per
favorire l’alleata Etiopia. La dialettica finisce qui,
perché il regime eritreo non si cura dell’opinione internazionale e perché l’opinione internazionale non si cura dell’Eritrea. Nemmeno gli italiani sanno che si trova nel Corno d’Africa, che con
l’indipendenza del 1992 ha tolto lo sbocco al mare all’Etiopia e che da allora è in guerra perenne
con tutti i vicini: negli anni Novanta ha combattuto col Sudan, poi con Gibuti e poi con lo Yemen.
Ma i suoi nemici di sempre sono gli etiopi, con cui
si contende delle strisce di terra al confine e per
left 14 settembre 2013
© FLICKR
questo il popolo tutto deve stare in allerta. E sotto
assedio l’isolamento è totale. Chi conosce bene
l’Eritrea la paragona alla Corea del Nord, ma Isaias non fa esperimenti nucleari per questo non è
famoso come Kim Jong Un.
Di sicuro dai nordcoreani hanno mutuato il sistema di istruzione. «In Eritrea non esiste più l’università», ci racconta Adem Amir, delle Rete di solidarietà internazionale dei giovani eritrei per la
salvezza (Eysns). «Invece di scegliere la facoltà
si sceglie la caserma, e i giovani che vogliono studiare si addestrano di giorno e vanno a lezione
la sera». I giovani di Eysns denunciano il regime
ma vengono attaccati dai loro stessi connazionali, che tacciano i dissidenti di essere sul libro
paga del nemico. D’altra parte, è vero che le reti dell’opposizione vengono ospitate e sostenute
dall’Etiopia, che a sua volta non può certo vantare una democrazia realizzata. Alimentare il conflitto perenne fa il gioco di entrambi i Paesi, che
possono così dedicarsi alla tutela della sicurezza nazionale invece che occuparsi del noioso capitolo dei diritti umani e civili. Chi vuole discutere di democrazia è costretto ad affidarsi all’aiuto
straniero, anche americano, nel tentativo di sfuggire ai tentacoli dello Stato di polizia, che superano di gran lunga i confini nazionali. Il regime eritreo in questo è insuperabile: «In Italia una rete
di rappresentanze consolari, associazioni e per-
Una giovane
donna eritrea
di fede islamica.
Il presidente Isaias
reprime con la stessa
intensità qualsiasi
comunità religiosa
39
© WIJNGAERT/AP/LAPRESSE
società
40
sino ristoranti servono a raccogliere informazioni su tutti i connazionali e tenerli sotto controllo», spiega Dania Avallone di Asper (Associazione per i diritti umani in Eritrea). E chi risiede qua,
anche se paga regolarmente le sue tasse in Italia,
deve comunque versare il 2 per cento dei suoi introiti al governo eritreo, pena ritorsioni sui suoi
parenti rimasti in patria. I sostenitori del regime,
attivi anche in Italia, scrivono sui loro siti che «gli
eritrei sono orgogliosi di poter sostenere chi nel
proprio Paese, amici, parenti, vicini di casa, è in
difficoltà. Questi soldi, ben inferiori alle rimesse,
aiutano lo Stato a sostenere il costo della pubblica amministrazione che fornisce i documenti anche agli eritrei della diaspora».
Purtroppo, evidentemente, questi soldi non bastano. Le condizioni economiche dell’Eritrea og-
14 settembre 2013
left
società
© WARSAMEH/AP/LAPRESSE
Il presidente Isaias combatte il terrorismo
ma sostiene gli islamisti in Somalia
gi sono disastrose. «Ormai è diventata un lusso
anche l’elettricità», spiega Adem Amir. «C’è quasi sempre il black out ed è diventato difficile anche parlare con i nostri parenti, perché non possono ricaricare il telefono. Manca il gas e manca
la benzina, che viene venduta solo al mercato nero». L’inferno dell’Eritrea è cominciato con l’indipendenza e con l’incasellamento di ogni cittadino in una categoria sociale. Quattro religioni riconosciute, nove etnie e tutti gli altri in carcere.
I primi ad essere rinchiusi sono stati i Testimoni
di Geova, che si rifiutavano per fede di combattere per la patria, poi l’etnia jeberti che chiedeva
il proprio riconoscimento insieme alle altre nove. Nel 1994, in una notte, sono stati arrestati tutti gli insegnanti di religione musulmana e per anni l’Eritrea è stata accusata di discriminare i citta-
left 14 settembre 2013
dini islamici, ma negli ultimi tempi sono le associazioni cristiano evangeliche a denunciare arresti e torture dei propri fedeli. Il presidente Isaias
non fa discriminazioni tra musulmani e cristiani,
solo tra chi è allineato e chi no. Il suo rispetto delle differenze religiose è talmente forte che riesce
contemporaneamente a fornire supporto logistico alla marina israeliana e finanziare movimenti islamisti come i giovani somali di al Shabaab.
La rete di alleanze internazionali di Isaias è a geometria variabile, ma include spesso l’Iran e tutti i
Paesi che l’America etichetta come Asse del male, nonostante lo stesso governo eritreo si dichiari un baluardo contro il terrorismo internazionale
e combatta contro il Mise, il fronte islamico per la
liberazione dell’Eritrea.
Il migliore amico di Isaias, però, era Muammar
Gheddafi. Con la sua caduta sono finiti anche gli
aiuti economici e i rifornimenti di benzina, e il governo eritreo si è fatto prendere dal panico. Con la
scusa di contrastare gli sconfinamenti degli etiopi
- gli accordi di Algeri hanno stabilito una zona cuscinetto presidiata dall’Onu sul confine - il governo ha distribuito armi a tutta la popolazione, vecchi e bambini compresi. «Ho visto bimbi di 6 anni
con un fucile in mano», racconta un funzionario
internazionale che ha lavorato in Eritrea. Nel 2012
il traffico di armi è stato raccontato da un rapporto Onu che ha denunciato le violazioni dell’embargo imposto ad Asmara. Ma il rapporto integrale non è mai stato pubblicato a causa dell’opposizione di Italia e Russia. L’ambasciatore italiano
alle Nazioni unite, Cesare Maria Ragaglini, sosteneva che fosse pieno di inesattezze e non fornisse prove certe della compravendita di armi. Ma ci
sono anche interessi imprenditoriali italiani a fermare le condanne del regime eritreo, ormai specializzato in intermediazione. Compra materiale buono per la costruzione di armi e lo rivende a
chi ne ha bisogno». Stretto da un crescente isolamento, al governo non resta che commerciare ferri vecchi. Oppure essersi umani, come quei 3mila
eritrei che ogni mese cercano di fuggire dal Paese. Il prezzo per essere trasportato in Sudan con
un’elegante auto da funzionario è di 5mila dollari.
Anche chi fugge dà una mano al regime.
In alto, Somalia,
centinaia di miliziani
Shabaab al termine
di un corso di
addestramento
svolgono esercitazioni
militari nella zona di
Lafofe, a circa 18 km
a sud di Mogadiscio.
In basso, Tripoli,
2010, il presidente
dell’Eritrea Isaias
Afwerki arriva
all’aeroporto Mitiga
per il 3° summit tra
Africa e Ue
41
mondo
Inondati
dal progresso
di Giacomo Cuscunà
foto di Tommaso Protti
I progetti di sviluppo
del governo turco passano
attraverso dighe e laghi
artificiali. Che ridisegnano
la geografia e cancellano
insediamenti millenari
La moschea
sommersa nella
zona di Rumkale
sul fiume Eufrate. La
città di Halfeti è stata
parzialmente inondata
nel 1999 in seguito
alla costruzione della
diga di Birecik,
una delle 22
del progetto Gap
mondo
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xxxxxxxx
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44
14 settembre 2013
left
mondo
left.it
L
a casa di Bey Borek è proprio di fronte
al lago, nella prima fila di edifici sul pelo
dell’acqua. A pochi metri il minareto semisommerso tace ormai da tredici anni. Da quando la valle è stata invasa dall’acqua, dopo la costruzione di una diga pochi chilometri a valle,
questo villaggio di contadini e allevatori si è svuotato. Il silenzio è rotto solamente dalla musica da
discoteca di qualche barca turistica di passaggio
e dal raglio degli unici due asini rimasti.
Il villaggio fantasma vicino Rumkale, sulla riva
dell’Eufrate, non ha nome, ma rappresenta un’attrazione per le famiglie della regione, che durante
i mesi estivi passano qui il fine settimana, tra grigliate di pollo e tuffi nell’acqua ghiacciata del mitico fiume. È uno dei tanti luoghi abbandonati e
finiti in rovina grazie al piano energetico sviluppato negli ultimi quindici anni dal governo turco.
«Ci hanno dato dei soldi, per compensare la perdita delle case e abbiamo costruito un piccolo villaggio sulla collina», racconta Bey Borek, 34 anni, mentre sorseggia un bicchiere di tè. La veranda, ora punto di approdo per le imbarcazioni, è invasa dalle erbacce. Sotto l’ombra di un fico l’uomo prosegue: «La vita ora per noi è difficile, soprattutto in inverno: il turismo si ferma e noi siamo soli». Attorno le case abbandonate di quello
che rimane del villaggio. Poco più in là, la punta
del minareto proietta la sua ombra sull’acqua che
ha coperto il resto della moschea.
Lui, come gli altri abitanti che non hanno abbandonato definitivamente la zona, ha dovuto ricostruirsi una vita. Da contadino e allevatore, Bey
Borek si è improvvisato barcaiolo. I remi di una
delle sue barche sono lunghi rami, con una tavola di compensato a muovere l’acqua. Sull’altra
sponda del fiordo quello che rimane visibile di
antiche rovine e chiese rupestri romane. Le grotte sono lo scrigno naturale di bassorilievi antichi, anneriti dalla fuliggine. Croci e iscrizioni segnano la roccia e al di là di un cunicolo i resti di
un cimitero. «Sotto il pelo dell’acqua sono scomparsi decine di resti antichi e non abbiamo mai
visto esperti o archeologi», spiega l’odierno Caronte, uscendo a piedi scalzi dal sito, nascosto
da rovi e piante di melograno.
Un destino simile a quello delle rovine di Rumkale attende altri luoghi simbolo del sud della Turchia, regione prescelta da Ankara per ospitare
le nuove infrastrutture idroelettriche a sostegno
left 14 settembre 2013
del piano energetico del Paese. Come testimoniato dal network ambientalista River watch entro
il 2013 l’esecutivo di Erdogan punta a far funzionare più di 4mila impianti: «Nessun fiume seguirà più il suo naturale fluire. Decine di migliaia di
persone saranno espulse dalle loro case e siti naturali e archeologici verranno distrutti su vasta
scala», la denuncia di Ulrich Eichelmann, attivista che anima l’associazione “Stop Ilisu - Rettet
Hasankeyf!” e che spiega come «il governo turco
parla di sicurezza energetica o di una più corretta
gestione delle risorse idriche, ma nessuna di queste motivazioni giustifica questo scempio».
Lo scandalo che ha suscitato la più grande mobilitazione è il progetto della diga di Ilisu, nel sud
est della Turchia, che andrà a sommergere l’antico gioiello della città di Hasankeyf, i Sassi di Matera turchi, e che avrà infuenze pesantissime sugli equilibri naturali di tutto il corso del fiume Tigri, fino al sud dell’Iraq. «Le famose zone umide
della mitica Mesopotamia diverranno di nuovo
un deserto», ammonisce Ulrich Eichelmann. Ma
i progetti di sviluppo non si fermano. Il governo
turco va avanti, mentre i suoi cittadini arrancano
tra i flutti che inondano le rovine della loro storia.
SPAZIO AL CONTEMPORANEO
Le foto di questo reportage saranno esposte a Specie di spazi, titolo e filo conduttore
della 22esima edizione del SIfest, l’atteso
festival di fotografia contemporanea che
si svolgerà dal 13 al 29 settembre a Savignano sul Rubicone (Fc). Spazio condiviso,
spazio libero, spazio critico, spazio immaginario. E grandi incontri ed esposizioni di
autori di fama internazionale come Joachim Schmid, Max Pam, Roman Bezjak,
Franco Vaccari, Elio Luxardo.
Savignano ha dato nuovo spazio di manovra
al reportage. Dopo l’acceso dibattito scatenatosi l’anno scorso per il premio al giovanissimo Giorgio Di Noto, che ha immortalato
la primavera araba da un computer di casa,
anche quest’anno si attende il vincitore del
Premio Marco Pesaresi, che riconosce il
progetto più innovativo nell’ambito della fotografia contemporanea.
a.c.
Le foto di queste
pagine fanno parte
della serie Turkish
blue gold di Tommaso
Protti.
Nella pagina accanto,
in alto, una strada di
Sanliurfa, la città che
rappresenta il centro
amministrativo del
progetto di dighe
del governo turco
(Gap). Dagli anni 90
la città sta
conoscendo
un notevole sviluppo
industriale.
In basso, un ragazzo
salta in un canale
di irrigazione nella
pianura di Harran
nella provincia
di Sanliurfa
45
cultura
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Il festival dei
filosofi in amore
Romaeuropafestival torna
ad animare la Capitale dal 25
settembre. Tra i nomi più attesi dell’edizione 2013 della rassegna ci sono Sasha
Waltz, Antonio Latella, Jan
Fabre, Thomas Ostermeier,
Muta Imago, Antonio Tagliarini e Daria Deflorian, Romeo
Castellucci. Ma anche il videoartista Diego Buongiorno. La
sua nuova opera, The Bush My Heart is a Forest ( in foto),
sarà presentata il 19 e 20 ottobre al Palladium.
52
Archeologia.
Salviamo Sibari
56
Il medico che
vinse sulla peste
cultura
left.it
Amo
dunque sono
di Simona Maggiorelli
Cambiare il vecchio motto cartesiano aprendo la filosofia alle passioni.
È la proposta di Manuel Cruz. Per liberare il rapporto fra uomo e donna
urge cestinare vecchi stereotipi e dogmi dice l’antropologo Franco La Cecla
N
L’antropologo
Franco La Cecla.
A destra Correggio,
Giove ed Io (1531)
48
ell’antica Grecia, se Socrate preferiva
la “compagnia” del giovane Alcibiade a
quella della (pestifera?) moglie Santippe, l’omosessuale Platone, parlando di amore,
fantasticava di mostruosi androgeni. Poi, Agostino, convertitosi al Cristianesimo, divenne il
più feroce fustigatore della passione fra uomo e
donna. E, su questo versante, non andava granché meglio nemmeno nell’età dei Lumi visto che
il laico Immanuel Kant, che esortava ad emanciparsi da ogni stato di minorità, evitava con cura i
rapporti con le donne, badando a mantenersi castissimo. Che dire poi di Schopenhauer che riteneva l’amore un inganno della natura? E del povero Nietzsche che, nonostante i millantati amori con valchirie come Lou von Salomè alla fine si
ritrovò ad abbracciare un cavallo? Abili a trattare con il Logos e a discorrere sul piano astratto i filosofi nella storia occidentale si sono per lo
più presentati come soggetti neutri, impersonali, desessualizzati. Dimostrandosi degli assoluti
disastri nella vita quotidiana per quanto riguarda la vita sentimentale e sessuale. Qualche anno fa lo raccontavano in modo anche spassoso,
Aude Lancelin e Marie Lemonnier nel libro I filosofi e l’amore (Raffaello Cortina, 2008): pungente ricognizione in cui Kant veniva descritto come «un abisso di ghiaccio» e Sartre come
affetto da dongiovannismo compulsivo e seriale, mentre di Hannah Arendt le due giornaliste
del Nouvel Observateur sottolineavano l’attaccamento perverso, durato tutta la vita, al nazista Heidegger. Lungo la strada aperta da Lancelin e Lemonnier, scrivendo di filosofi «pasticcioni in amore» sul Corriere della sera Armando
Torno ricordava anche che nella koinè libertaria
del ’68 personaggi come Michel Foucault, JeanPaul Sartre, Simone de Beauvoir, e Jack Lang arrivarono a lanciarsi in una criminale difesa della pedofilia firmando un manifesto in cui si chie-
deva la legalizzazione dei rapporti sessuali con
i minori. Da filosofo e non da giornalista l’anno
scorso Manuel Cruz è tornato a porsi la domanda fatale: come hanno amato i filosofi che cercano di riflettere sull’amore? E non per gusto del
pettegolezzo e del retroscena, ma per cercare
di comprendere più a fondo l’opera di pensatori
che nel bene e nel male hanno segnato la storia,
portando alla luce i nessi latenti fra biografia e
scritti. Il risultato della sua ricerca, che parte dal
presupposto che le passioni non devono essere
ostracizzate dal discorso filosofico, è contenuto
nel volume L’amore filosofo uscito l’anno scorso per Einaudi. Venerdì 13 il docente di filosofia
contemporanea dell’università di Barcellona lo
ha presentato al Festivalfilosofia 2013 (dedicato
proprio al tema dell’amore) proponendo provocatoriamente di sostituire al tradizionale motto
cartesiano «Cogito ergo sum» il più dirompente
Amo dunque sono.
«Di fronte al tema dell’amore i filosofi si sono
sempre trovati in forte imbarazzo, consegnandolo per secoli alla religione e nel Novecento lasciando che fosse la psicoanalisi a occuparsene in qualche modo», commenta l’antropologo
Franco La Cecla, che domenica 15 settembre in
piazza Grande a Modena terrà una lectio magistralis sul tema dell’amore visto dal «campo maschile». Un ambito al quale lo studioso
ha dedicato il libro Modi bruschi (Elèuthera,
2010) e più di recente il provocatorio Il punto G
dell’uomo (Nottetempo), due lavori che cercano di scardinare le stereotipie del maschile ma
anche di indagare la crisi a cui sembra andare
incontro l’identità maschile mentre le società,
anche quelle più tradizionaliste, nell’orizzonte
mobile della globalizzazione, sperimentano forti mutamenti. Ma l’eclettico La Cecla (architetto e urbanista, oltreché docente di antropologia
all’università San Raffaele di Milano) ha scrit-
14 settembre 2013
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to anche il libro Lasciami (Ponte alle Grazie),
che intercetta il tema dell’amore dal punto di vista della separazione, raccontando come venga affrontato questo momento cardine in culture diverse da quella occidentale. E anche da qui
prende il la il nostro incontro.
Professor La Cecla la filosofia fondata sul
Logos a quanto pare si è dimostrata incapace di affrontare il tema dell’amore inteso come dialettica di identità e rapporto
profondo, irrazionale, fra uomo e donna.
L’antropologia, partendo da una visione
più complessiva dell’essere umano, ci permette di comprendere qualcosa di più delle
dinamiche del desiderio e della passione?
Sì, i filosofi si sono trovati per lo più in forte difficoltà nell’affrontare il tema. Con qualche eccezione che val la pena di sottolineare. Penso
per esempio a Jean Luc Nancy e, per altri versi,
alla riflessione di René Girard. Venendo alla sua
domanda, comincerei col dire che, per esempio, l’antropologia ci permette di vedere che la
passione amorosa non è affatto un’invenzione
dell’Occidente, ma esiste in tutte le culture e le
società del mondo. Così come esistono il dolore e l’importanza dei congedi.
A questo tema della separazione è dedicato il primo dei suoi interventi al Festivalosofia di Modena, Carpi e Sassuolo. Qual è
la maniera migliore per lasciarsi?
In un certo senso “il perfetto lasciamento” consiste nel non lasciarsi mai. Mi spiego meglio. La fine di una storia d’amore comporta sempre dolore. C’è il lutto, l’oblio. E c’è l’ostinazione a restare
insieme. Ma lasciarsi bene significa, io penso, anche portare dentro di sé il rapporto vissuto con
l’altra, anche come memoria profonda. Su questa
questione, però, si sovrappongono le religioni.
E da noi quanto pesa questa illusione del
“per sempre” il mito romantico dell’amore?
Pesa moltissimo. Ha contribuito a imporre
un’idea sacralizzata dell’amore. La fine di una
storia d’amore è circondata quasi da un’idea di
peccato. È colpita da uno stigma cristiano. Del
resto, purtroppo, non sappiamo neanche più cosa significhi essere laici. Tornare alla Grecità pagana? Che senso avrebbe? Senza contare che
siamo troppo attaccati alla visione consolatoria
cristiana della coppia, che esclude ogni dialettica fra maschile e femminile, nella loro diversità.
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cultura
cultura
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Accanto, Le stanze dell’Amore cieco, Carpi, Palazzo dei
Pio Basilica Inferiore di Assisi, E, il particolare dell’affresco,
Allegoria della Castità. Sotto, un’immagine del Kamasutra
IL FESTIVAL A MODENA, CARPI E SASSUOLO
Dal 13 al 15 settembre torna
Festivalfilosofia, la kermesse culturale che per tre giorni
coinvolge Modena, Carpi e
Sassuolo. Sono quasi 200
gli appuntamenti quest’anno
fra lezioni magistrali, mostre,
concerti, spettacoli e cene
filosofiche. Tra i protagonisti
Bauman, Augé, Illouz, Bodei,
Cruz, Ferry, La Cecla, Pulcini,
Rodotà,Gregory de Monticelli, Esposito, Giametta e molti
altri. Amare è la parola chiave
50
e di discussione dell’edizione
2013 Un tema chiave della tradizione filosofica e una
questione cruciale dell’esperienza contemporanea. Il programma filosofico del festival
propone anche la sezione “la
lezione dei classici”: esperti
commenteranno i testi che,
nella storia del pensiero occidentale, hanno costituito
modelli o svolte concettuali
rilevanti per il tema dell’amore.
www.festivalfilosofia.it
Nasce dal cristianesimo l’idea di coppia come viene raccontata dai media e dal main
stream in Occidente?
Nasce da un’idea cristiana. Ma la coppia come la
intendiamo noi è anche “un’invenzione” recente.
Se ci pensiamo bene ci accorgiamo che l’abbiamo
mutuata dall’ideologia americana. Il matrimonio
è un’invenzione dell’Occidente. Ed è un’invenzione di qualcosa di mostruoso che costringe la passione ad uno scacco. Il divorzio, anche se la legge lo consente, viene comunque percepito come
un fallimento. Sì, certo, puoi riprovarci ma c’è comunque qualcosa che ti resta addosso con un alone negativo. È un po’ come a scuola, se vieni bocciato, in qualche modo sei marchiato per sempre.
Nei suoi libri lei accenna anche alla difficoltà della filosofia e più in generale della cultura ad affrontare il tema del desiderio in particolare quello maschile. Ovvero?
A mio avviso bisognerebbe riuscire a strappare
il tema all’eccessivo militantismo di cui è stato
fatto oggetto anche in anni recenti da parte, per
esempio, del femminismo. Si è imposta una certa
mistica. Il desiderio femminile nella cultura è stato rappresentato come l’unico capace di mettere
insieme corpo, sessualità e vita affettiva. Ma si è
finito per sconfinare in una sacralizzazione della
libido femminile, a cui è stato sottratto ogni elemento “dissacrante” Nel libro Il punto G maschile, provo a dire proprio questo. Nella sua brutalità, nel suo essere “ignorante” il desiderio maschile è rimasto più dissacrante. Mi pare che nella sua
“inguaribile” oscenità ci sia qualcosa da recuperare, che ci parla della relazione uomo donna come vitale dialettica fra due identità diverse.
Però l’identità e il desiderio femminile sono stati oggetto anche di una violenta demonizzazione da parte della Chiesa...
Senza dubbio. Sono stati colpiti da un giudizio morale. Ma anche il desiderio maschile ha
subìto una condanna. La religione cristiana
ha imposto alla relazione fra uomo e donna il
sesso per la sola riproduzione. Questo è noto. Quello che cercavo di dire è che il femminismo ha scelto la stessa strada del cristianesimo nell’appiattire il rapporto fra uomo e donna, negando la differenza maschile, imponendo un egualitarismo neutro.
Fin qui abbiamo parlato molto di cristianesimo, nell’islam il desiderio femminile è
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cultura
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AMOR VICIT OMNIA. PAROLA DI LUC FERRY
maggiormente accettato, se pur solo all’interno del matrimonio?
Non direi. Il sesso nell’islam ha qualcosa di
meccanico, è considerato un bisogno come
mangiare...
In Modi bruschi lei affronta anche il tema
della crisi dell’identità maschile nella società occidentale attuale, dicendo che non la
convince un certo modo maschile di ammettere la propria difficoltà e di chiedere scusa alle donne per la propria inadeguatezza,
perché le sa tanto di pentimento cristiano.
Sì, anche se con questo non voglio dire che non
ci sia un problema. Questioni drammatiche come il femminicidio sono sotto gli occhi di tutti.
Ed è un problema a mio avviso che ha a che vedere con un fatto culturale importante come la
fine del patriarcato: le vecchie regole che sui la
società era organizzata vengono meno. C’è una
forma di società più aperta e in uomini cresciuti nella vecchia cultura che faticano ad affrontare questo passaggio si possono sviluppare ansie
e insicurezze. Ma c’è anche dell’altro, quest’ondata di violenza maschile sulle donne ha anche
a che vedere con quell’idea di matrimonio o di
rapporto di coppia a cui accennavamo prima. E
che implica un’idea di possesso dell’altra.
Altre società non hanno questo modo di intendere i rapporti fra uomo e donna?
Alcuni nativi dell’Amazzonia, per esempio, non
hanno questo rapporto duale legato al possesso. E i bambini non vengono allevati dai genitori biologici ma da tutta la comunità.
Lei ha dedicato molti studi e viaggi di ricerca all’India. Di recente è uscito per l’editore O barra O il suo Indian kiss. Viaggio sentimentale a Bollywood e oltre. Che cosa sta
accadendo in Asia dal punto di vista della
violenza sulle donne?
In un servizio di Al Jazeera si riportavano delle cifre allarmanti. In Asia negli ultimi anni il numero degli stupri è aumentato del 40 per cento.
Anche in questo caso in filigrana a mio avviso
bisogna leggere il cambiamento culturale che
ha portato al superamento dei modi di vita imposti dalle società tradizionali. Le vecchie società si stanno scassando. La competizione fra i
sessi nella sfera pubblica e sociale si è fatta più
accesa di un tempo. Scatta la paura negli uomini. E talora anche la violenza e la pazzia.
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«L’amore ha acquisito una nuova dimensione oggi. Non è più
una passione come un’altra, come la paura, l’indignazione o la
rabbia (anche se queste ultime
toccano la democrazia). L’amore è una passione che dà senso
alla nostra vita. Questo è quello
che ho chiamato la “rivoluzione
dell’amore”», dice il filosofo Luc
Ferry in questo weekend al Festivalfilosofia di Modena, Carpi e
Sassuolo per discutere del tema
guida della edizione 2013 della
kermesse, ovvero l’amare. «Il
rapporto fra un uomo e donna è
una questione di pelle e coinvolge la nostra vita emotiva più profonda», prosegue il filosofo ed
ex ministro francese per la ricerca. «Una storia d’amore è un fatto privato, ma io sono convinto
che attraversi anche la vita collettiva. Anche se non
abbiamo quasi mai il
coraggio di parlarne al
di fuori della stretta intimità. Dentro di sé tutte
le persone sanno che
l’amore è la passione
che conta più di tutte.
Anche se su questo,
per pudore, si tace».
Intanto però il potere che nel
Terzo millennio ha conquistato
l’eros «sta già rivoluzionando i
principi cardine della filosofia e
della politica, ha surclassato il
cosmo dei greci e il dio delle religioni monoteiste, la ragione e
l’umanesimo repubblicano. La
passione ha gradualmente sostituito i tradizionali nuclei di senso e valori come il sacrificio di sé.
Almeno in Europa - sottolinea
Ferry - chi andrebbe oggi a morire per Dio, per la Patria o per
la rivoluzione? Quasi nessuno,
ma per coloro che amiamo, noi
saremmo pronti a tutto. Ecco
questa nuova forza delle passioni oggi ci permette di andare
oltre l’umanesimo illuminista e i
suoi critici, al di là di Kant e Nietzsche, andando verso una nuo-
va “spiritualità” laica. Ho voluto
raccontare questa storia nei mie
ultimi libri», ribadisce Ferry. «Soprattutto ho cercato di trarne le
conseguenze filosofiche culturali, morali, politiche... Sono
convinto che l’ importanza che
ha assunto la passione amorosa cambierà la nostra visione
del mondo e della nostra capacità di trasformare noi stessi».
Ma prima di lanciarsi in questa
entusiastica battaglia per riscattare il tema dell’amore agli occhi
della riflessione filosofica anche
accademica, Luc Ferry è stato
autore anche di libri importanti
come ’68 pensiero, un volume
scritto a quattro mani con Alain
Reanut e che fra i primi ha avuto il coraggio dimettere in luce le
contraddizioni non feconde che
attraversavano il ’68 francese in
cui il pensiero nazista
di Heidegger veniva
sdoganato grazie a
Foucault.
«Quando
scrivemmo quel libro dice Ferry a left - erano
i primi anni 80. E allora
a dire il vero ci interessava
soprattutto
denunciare la follia totalitaria che ancora dominava il
panorama politico e intellettuale
francese. Anche a causa di pensatori come Lefort e Castoriadis.
Cercavamo di stimolare la sinistra a fare la propria rivoluzione
anti-totalitaria, mentre ancora
sguazzava nel maoismo e nel
trotskismo». Quanto a Foucault
«mi dispiace dirlo in modo brusco, ma a mio avviso non è stato
affatto un maestro. Ha ripreso
alcune idee di Nietzsche atteggiandosi ad epigono di Heidegger. Foucault ha “surfato” sulla
cresta dell’onda del Maggio ’68,
ma dopo quel momento di eccitazione, non c’è quasi nulla di
suo che oggi possiamo leggere
con profitto. I suoi libri sono stati
più che altro un sintomo di una
s.m.
certa epoca».
51
cultura
La città che visse
più volte
di Manlio Lilli
Otto mesi fa Sibari è stata travolta da un’esondazione e le autorità hanno
gridato all’emergenza. Ma il fango ricopre ancora i suoi strati più antichi
C
i sono luoghi nei quali l’ambiente naturale non sembra disponibile a essere
sottomesso alle esigenze umane, se non
in maniera provvisoria. Spazi nei quali l’antropizzazione, nelle sue differenti forme fino all’urbanizzazione, è quasi un’illusione. E in ogni caso è “a tempo”.
La casistica, infinita: Pompei ed Ercolano
nell’antichità romana, Olympia, nel Peloponneso nord occidentale o Avola e Messina in età
moderna. Oppure Sibari, in Calabria, nella provincia di Cosenza. Non la frazione del Comune
di Cassano all’Ionio, nata negli anni Sessanta e
sviluppatasi grazie alle bonifiche che riportarono alla luce la piana di Sibari e cresciuta nel
corso degli anni Ottanta e Novanta beneficiando del turismo dei villaggi vacanzieri. Ma la Sibari antica, quella dell’archeologia stratificata.
La città fondata alla fine del VII secolo a. C. dai
Greci e, a detta di Strabone, estesa per circa 9
chilometri. Sommersa nel 510 a.C. dai Crotoniati, con le acque del fiume Crati, deviato per
l’occasione. Città sulla quale nel 444 - 443 a.C. fu
fondata Thurii, dal nome di una fonte nelle vicinanze e che, dopo alterne vicende, nel 193 a. C.
fu sede della deduzione di una colonia romana,
Copia. Trasformata in municipio nell’84, creb-
52
be notevolmente in età imperiale, per iniziare
poi il suo declino tra V e VI secolo, in seguito
all’impaludamento dell’area. Fino al suo abbandono, definitivo, nel VII.
Di questa storia di sovrapposizioni urbanistiche, di piani regolatori differenti, ma mai in antitesi tra loro, di lotte antiche ma anche recenti contro le acque, di ricerche archeologiche
“complicate” e comunque abbastanza recenti,
ci sono i resti nel parco archeologico lungo la
SS 106 ionica, quasi all’altezza dei Laghi di Sibari. Un paesaggio pianeggiante, costituito dal
verde delle coltivazioni stagionali, un parco per
certi versi atipico che include diversi cantieri di
scavo, dislocati su un lato (Parco del Cavallo)
e l’altro (Prolungamento strada, Casabianca e
Stombi), della Statale, a distanze anche considerevoli tra loro. Tutto sommerso dalle acque
del Crati, esondato dopo giorni di piogge incessanti nel gennaio passato. Tutto ricoperto di
fango. Come accaduto nel VI secolo a. C. Allora, provocato dall’ingegno dei Crotoniati. Ora
dall’incuria, dalla disattenzione degli eredi della Sibari del passato. Le foto di quel disastro sono state pubblicate sulle pagine di cronaca della quasi totalità dei quotidiani di casa nostra. Riportate anche dalle testate straniere. Le imma-
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cultura
© VIGILI DEL FUOCO
© VITTOARE/FLICKR
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gini dell’incapacità italiana di proteggere un sito archeologico di straordinaria rilevanza sono
rimbalzate sulle televisioni di mezzo mondo. A
sciagura consumata è iniziata la gara di solidarietà. Sul posto non soltanto gli organi preposti, come i Vigili del fuoco, ma anche strutture locali, come Coldiretti Calabria e i Consorzi di bonifica, hanno contribuito alle operazioni di prosciugamento dei siti. E naturalmente si
è occupata della questione il Fai. Il caso di Sibari è divenuto un’emergenza nazionale. A ragione. Sembrava l’inizio di una grande mobilitazione. Di una risoluzione in tempi brevi. Che
ancora, però, non c’è stata. Nei primi giorni di
agosto il ministro dei Beni culturali Bray, in visita al sito, ha potuto verificare come l’acqua non
ci sia ormai più, ma come il fango sia ancora lì.
Tenace. A ricoprire, quasi sigillare, pavimenti,
strade, muri. Ogni cosa. A seppellire l’impianto urbanistico di Thurii, che Ippodamo di Mileto, uno dei più grandi architetti dell’antichità, aveva disegnato secondo assi portanti, nella gran parte dei casi convergenti verso la linea
di costa. In un chiaro significato di gravitazione economica e con evidenti criteri di funzionalità proiettati al miglior deflusso delle acque.
Ancor più danneggiato l’impianto della fase romana. Con la Porta Nord, gli edifici dell’area funeraria, la domus, il teatro, le terme, il tempietto e le fontane pubbliche, visibili nell’area del
Parco del Cavallo. Con gli edifici privati ed un
altro asse stradale nell’area denominata Pro-
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lungamento strada. Con la grande struttura circolare, un lungo tratto delle mura, i basamenti
di alcune grandi strutture di epoca romana ed
una grande piscina, quindi un macellum e una
necropoli, nell’area di Casabianca. Con gli edifici di un quartiere riferibile all’impianto di Sibari nell’area di Stombi, a circa due chilometri
dal Parco del Cavallo, in antico a breve distanza
dal corso del fiume Coscile. I colori dei mosaici, i profili dei resti, coperti, livellati dallo strato
di fango. Le differenze e le bellezze cancellate.
Bray, sorpreso dalla bellezza del sito e colpito
dalla realtà di Sibari, ha assicurato l’attivazione
Il ministro Bray, in visita al sito,
ha previsto un piano di intervento
dei tavoli di rappresentanza con le componenti
scientifiche e istituzionali e l’elaborazione di un
piano d’intervento.
Ha ragione Bray. Qui non esiste solo la città
che visse più volte. Tra il parco archeologico e
la cittadina attuale di Sibari c’è anche, dagli anni Novanta, il Museo nazionale archeologico
della Sibaritide, che ospita reperti che vanno
dall’età protostorica della Magna Grecia fino
alla civiltà romana. Relativi, oltre che a Sibaris-Thurii-Copia, ai vari stanziamenti presenti
nella zona compresa tra il Brutium e l’Enotria.
Un patrimonio che varrebbe la pena tutelare e
valorizzare. Per evitare che la città sia di nuovo coperta. «Una città è come una persona, nasce, cresce, muore, a volte sparisce lasciando labili tracce che solo un occhio attento può
scoprire. Una città ha un’anima. Quella non
scompare mai». Parole fatte pronunciare da
Carmine Abate a Umberto Zanotti Bianco, uno
degli iniziatori nella prima metà del Novecento delle ricerche archeologiche in quest’area e
uno dei protagonisti della Collina del vento, il
libro vincitore del Campiello 2012. Sibari non
è il paese di fantasia che compare nel romanzo
collocato vicino a Cirò Marina, in provincia di
Crotone. Ma certo come quello ha bisogno di
sentirsi vitale. Di esserlo. Immerso in un paesaggio fatto ancora delle zolle dei terreni coltivati e del vento che spira forte. Com’era ai tempi dei Greci, che vi fondarono Sibari, e poi via
via in quelli di Zanotti.
In apertura, le rovine
dell’antica Sibari.
Accanto, come
appariva il sito
archeologico prima
dell’esondazione
di gennaio e come
appare oggi
53
trasformazione
Massimo Fagioli, psichiatra
Compresi che, nel termine Vorstellung,
erano contenute le parole: idea-immagine
L’IDEA
senza percezione è certezza
L
a terra, che girava intorno al sole, aveva superato il tempo segnato dalle parole: metà agosto ed
io, ancora una volta, scrivevo la lingua italiana
che diceva le idee ed i pensieri che si erano formati durante la ormai lunga vita.
Guardo l’articolo del 17 agosto “La luce determina la reazione della sostanza cerebrale...” e vedo che sono sempre le stesse idee. Ma... “che crea la possibilità della mano
che farà la linea ovvero la scrittura”.
Sono certo che questa idea detta in questo modo, non
l’ho mai scritta. Penso a che cosa ho voluto dire. Possibilità. Non è capacità. Il termine verbale parla di qualcosa
che non c’è e che ci sarà.
Penso a quanto sia stato sempre attento all’uso delle parole che, ora, tornano a chiedere chiarezza. Possibilità e
capacità. Ricordo che rifiutai il termine facoltà perché era
proprio ad una identità cosciente che prendeva decisioni. Scelsi, per la realtà del feto umano che non ha la vita, il
termine capacità... di reagire.
E viene il pensiero semplice che dice: capacità è il termine che si riferisce ad una realtà presente anche se non
espressa. Sono capace di camminare anche se sto seduto.
Possibilità è un termine che dice di “qualcosa” che, nel
tempo presente, non esiste ma si pensa e si dice, esisterà.
Ma potrebbe anche non esistere. Così dissi: capacità di reagire e capacità di immaginare. Ed avevo sentito sempre,
nella cultura che si richiamava alla sinistra laica, che pensava né che il feto nell’utero era “nulla”, né che la vita esiste fin dallo zigote, e diceva possibilità di vita.
E queste parole, pensavo, erano la conseguenza di
aver visto che la vita umana inizia con il respiro ed il vagito. Una sapienza che si basava sulla percezione della
realtà materiale e sull’insegnamento che diceva: è stato
sempre così. Era l’aver udito il linguaggio articolato che
dava il rapporto con le realtà non percepite con i cinque
sensi. Ma nessuno dubita, anche senza averlo mai visto,
che il Cairo sia in Egitto e New York sia nel continente
chiamato America.
Viene così la ricerca sulla parola: certezza. Ed il termine verbale non può essere discusso quando si pensa
alla percezione cosciente, nello stato di veglia, della realtà materiale. Ma è evidente che il termine entra in crisi
quando vengono le idee che pensano la realtà non materiale della mente umana.
In verità, nel secolo trascorso, una certa cultura ha condannato come falsa la parola certezza anche quando si
consideravano le percezioni degli oggetti materiali. Ma io
avevo sempre considerato che il dubbio sulla percezione
della coscienza era un problema medico: non funzionavano bene i cinque sensi che governavano il rapporto della
coscienza, nella veglia, con la realtà materiale.
Ricordavano Nietzsche che aveva detto: non esistono
fatti ma soltanto interpretazioni. Negavano, o non volevano comprendere che il filosofo diceva, in verità, che
non esistono realtà materiali immobili, ma movimenti, e
comportamenti. “Non esistono” doveva essere letto come la non verità della percezione della realtà materiale
della coscienza, per cui era necessaria l’interpretazione.
Ed osservo che i “fatti” devono ben esistere altrimenti
non ci può essere interpretazione.
Ho voluto, evidentemente, vedere in Nietzsche, la sensibilità e l’intuizione dell’esistenza di una realtà non materiale nell’organismo umano. Ma, insieme, c’è il dubbio
che si domanda se la realtà non materiale esiste anche
negli animali, nelle piante. L’anima del mondo di Giordano Bruno. So che il termine dubbio è lo scontro tra due
certezze che ha portato sempre a dire che, nell’essere
umano, c’è il male ed il bene.
Ho pensato al termine incertezza, che non proponeva il dubbio sull’esistenza o non esistenza della realtà materiale, ma costringeva all’accettazione di una non conoscenza, di una necessità di sviluppo della mente umana.
Non il dubbio della razionalità che paralizzava il pensiero,
ma l’incertezza che era stimolo per la ricerca.
Era ormai finito agosto e Leonetta Bentivoglio fa parlare Carlo Sini. Dice di Husserl ed Heidegger, “quel tradi-
Capacità di immaginare è possibilità di fare la linea
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mento che ha inciso sul pensiero del novecento”. Ed io ricordo il tradimento di Giordano Bruno alla chiesa cattolica, di Schopenhauer e Nietzsche all’idealismo tedesco e,
anche se non lo meritano, il tradimento di Jung a Freud.
E Sini dice: Essere e tempo... lo considerò tradimento della fenomenologia... che è il tentativo di tornare alle cose stesse... si vuole tornare all’essere nel mondo così
come questo si manifesta... dobbiamo aderire alle cose,
non nasconderle, servendoci di una lingua che ricostruisca una ragione descrittiva... Ad essa si è ispirata la fenomenologia psichiatrica... Heidegger... trovare una verità della realtà in qualcosa che preceda la filosofia e trovò quel qualcosa nella poesia. Husserl era votato al culto
della ragione... per Husserl il nichilismo... diventa un impegno per la ragione.
È tutto da leggere, tutto da discutere. È una interessante
descrizione del pensiero altrui con la grave lacuna, che Segnalazioni rivela, che non si parla delle radici cattoliche
di Heidegger. Ed io l’ho sempre visto nel “lo svelamento di
un essere enigmatico che si sottrae alla ragione occidentale rischia di gettarci nel futuro dalla bomba atomica”.
E penso che è da una vita che denuncio l’identità razionale greca che devasta l’essere umano, come potrebbe essere. È la ragione che viene dall’alto, da una lontananza
infinita della terra, e non viene dalla realtà biologica della
nascita umana che ha rinnegato la sua origine.
Vorrei che venisse Morfeo che, leggero come un’aria
rarefatta, non mi chiudesse le palpebre. Al buio temo che
immagini incomprensibili chiedano aiuto alla mente sveglia per comprendere il pensiero. Così guardando il verde
delle piante e il cielo non vengono nella mente parole, ma
la mano scrive dicendo realtà che non si disegnano.
Ed ho letto e scritto sul dissidio, che sembra eterno, tra
veglia, coscienza e ragione che protegge il corpo dalla distruzione, e l’oltre, l’altra realtà che ha fatto sparire la percezione e il ricordo che fa riconoscere le cose.
Hanno tentato di sottrarsi alla razionalità, la «signora
della natura» ma sono impazziti, si sono suicidati, hanno
scoperto e non detto che la reale natura dell’uomo è il male. Essere, oltre l’ente, fu negazione. La differenza dell’uomo dagli animali più evoluti starebbe nella volontà di potenza, che è volontà di annullamento.
La chiamarono istinto di morte ma non pensarono mai
all’origine della vita che, per la presenza della capacità di
reagire che diventa vitalità, è fantasia di sparizione e non
pulsione di annullamento. Sono giunti a pensare il «non»,
togliere l’esistenza, ma non pensarono mai alla memoria-fantasia dell’esperienza avuta nel contatto della pelle
con il liquido amniotico.
Fu il pensiero verbale
che aveva ricreato
movimento, suono,
tempo e pulsione
che ebbe l’idea:
fantasia di sparizione
che ha in se stessa
il non essere del pensiero
falso “non esiste”
e la creazione di una realtà:
la memoria-fantasia
Moriva agosto, e la mattina del 31, al risveglio da
un sonno profondo, vennero le parole. Andai a scriverle pensando che sarebbero svanite, come i sogni.
Ottantadue anni. Vennero, nella mente, i termini verbali: fantasia di sparizione che, insieme, furono parola.
Forse perché la maestra mi disse: ripeti con me. Un
mattino andando... io mi allontanai camminando con
i piedi nudi e la lasciai. Nella mente venne il termine verbale: separazione. Ora, da quindici anni, piango
sempre davanti alle piante della terrazza perché so che
non sono come loro che non possono camminare.
Penso che, forse, sono cattivo come Caino che uccise chi non sapeva violentare la terra e voleva essere
come le pecore e le piante. Andava in montagna d’estate, in pianura d’inverno. Venne, nella mente, il termine
verbale: ricreazione che gettò nel mare il fratello stupido che si chiamava regressione.
Scoprii che sapevo scrivere e “Un mattino andando
in un’aria di vetro”, ricreando il silenzio del suono delle parole lette, mi dissero che andando lontano dalla
donna non aveva più il calore del liquido amniotico.
Ed io pensai che la separazione non aveva più l’armonia della memoria-fantasia dell’esperienza avuta,
perché l’aria del respiro era di vetro. Infatti “improvvisamente…
...i termini verbali scomparvero e, nella scrittura, si ricreò il suono del silenzio...
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scienza
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Il medico
che sconfisse
la morte nera
La peste bubbonica, una malattia che si pensava
appartenere al passato, è tornata a fare vittime
in Kirghizistan. Lo scrittore Patrick Deville ne
ricostruisce la storia raccontando la vicenda
del medico e ricercatore Alexandre Yersin che ne
isolò il bacillo. Il suo libro Peste & colera esce ora
in Italia per le Edizioni e/o, eccone alcune pagine
BERLINO
È un insetto a diffondere la peste. La pulce. Ma
nessuno ancora lo sa. Dopo Berlino, Yersin va
a Jena. Da Carl Zeiss compra il microscopio
migliore, che non abbandonerà più e farà il
giro del mondo dentro la sua valigia, il microscopio che, dieci anni più tardi, identificherà
il bacillo della peste. Ci si confonde spesso
fra peste e lebbra, al punto da non definire né
l’una né l’altra. La grande peste del Medioevo,
la peste nera, fece 25 milioni di morti, che vanno messi in relazione con i dati demografici.
La metà della popolazione dell’Europa è decimata. Nessuna guerra fino a quel momento ha
mai causato una tale ecatombe. La vastità del
flagello è metafisica, testimonia lo sdegno divino, il Castigo. Così viene detto. Gli svizzeri non
sono sempre stati dei bonaccioni zeloti della
tolleranza e della moderazione. Cinque secoli
prima, gli abitanti di Villeneuve sulle sponde
del Lago hanno bruciato vivi gli ebrei accusati
di diffondere l’epidemia avvelenando i pozzi.
Cinque secoli più tardi, nonostante il passo
indietro dell’oscurantismo, l’odio è lo stesso.
E non se ne sa di più riguardo la peste. Arriva, uccide, sparisce. Forse un giorno, chissà.
I due studenti (Yersin e Sternberg, ndr) hanno
fiducia nella scienza. Nel progresso. Curare la
peste sarebbe prendere due piccioni con una
fava, dice Sternberg. Yersin gli annuncia la partenza per la Francia. L’anno seguente proseguirà gli studi a Parigi. In concomitanza con la
Conferenza di Berlino, mentre Rimbaud sgam-
56
di Patrick Deville
ba dietro ai cammelli sulle pietraie dei deserti,
Louis Pasteur salva il piccolo Joseph Meister.
Curare la rabbia con il vaccino è la chiave. Presto, fra la peste e il colera non ci sarà più da
scegliere ma da guarire.
PARIGI
Roux presenta Yersin a Pasteur. Il giovane timido fa la scoperta del luogo e dell’uomo, e in
una lettera a Fanny (la fidanzata ndr) scrive:
«Lo studio di Pasteur è piccolo, quadrato, con
due grandi finestre. Sopra a un tavolino, vicino
a una finestra, ci sono dei calici contenenti il
virus da inoculare». Di lì a poco Yersin si stabilisce in rue d’Ulm. Ogni mattina si forma nel
cortile una lunga fila di ammalati impazienti.
Pasteur ausculta, Roux e Grancher vaccinano,
Yersin prepara. Viene assunto, gli assegnano un
piccolo salario. Da quel momento in poi non dovrà più nulla a nessuno. Davanti all’Académie
des sciences, Louis Pasteur, malato e ancora
amministratore dell’École Normale Supérieure, conclude il suo discorso. È il momento di
creare un istituto per il vaccino contro la rabbia. La città di Parigi mette provvisoriamente
a sua disposizione un casermone sgangherato
di tre piani in mattoni e tavole di legno in rue
Vauquelin, e la piccola banda vi si insedia in
pianta stabile. È l’inizio della loro vita in comune. Yersin esce ogni mattina e va a frequentare
i corsi di medicina in rue des Saints-Pères. A
mezzogiorno pranza in un piccolo bar in rue
Gay-Lussac. Sceglie come argomento di tesi la
difterite e la tubercolosi che ancora chiamano
poeticamente tisi. Conduce osservazioni cliniche all’Hôpital des enfants-malades, cerca di
isolare la tossina della difterite. Il vecchio Pasteur ha finito di fare scoperte. Dopo di lui toccherà a Roux, l’erede putativo. La sua ultima
battaglia è teorica. Da oltre vent’anni, contro
di lui, i sostenitori della generazione spontanea
sgorgano come per miracolo. Pasteur invece
sostiene che niente nasce dal niente. Ma allora
Dio? Come spiegare tutti quei microbi e il fat-
14 settembre 2013
left
scienza
© INSTITUT PASTEUR
left.it
to che li abbia tenuti nascosti agli uomini per
secoli? Perché tutti quei bambini morti, e soprattutto i figli dei poveri? Fanny si preoccupa.
Pasteur come Darwin. L’origine della specie e
l’evoluzione biologica, dal microbo all’uomo,
contraddicono i testi sacri. Lui sorride, Yersin,
di questa cosa, e con lui tutta la piccola banda.
Fra non molto ogni cosa sarà chiara, basterà
spiegare, insegnare, riprodurre gli esperimenti.
Come potrebbero immaginare che un secolo e
mezzo più tardi metà della popolazione del pianeta difenderà ancora il creazionismo?
Quanto a lui, Yersin, legge di tutto, purché si
tratti di scienza o resoconti d’esplorazione. Lavora nella calma e nella solitudine, con modi
da dilettante e l’aria di uno a cui non frega niente e alla fine risulta pure elegante. Di notte fa
bollire la minestra di microbi e prepara i reagenti. Lo affascina avere tutto quel materiale a
disposizione. Lavori pratici, alla fine, come gli
aquiloni. Apre le gabbie di polli e topi, preleva, inietta, poi, con un colpo di genio, provoca
su un coniglio una tubercolosi sperimentale,
di un tipo nuovo: la cosiddetta tifo-bacillare
o tifobacillosi. Il giovanotto in nero torna con
quella cosa al laboratorio e passa a Roux la provetta. O, meglio, fa uscire dal suo cilindro un
coniglio bianco che tiene per le orecchie e lo
mette sul bancone.Ho scoperto una cosa. Roux
regola la rotella dentellata del microscopio fra
il pollice e l’indice, rialza gli occhi, volta la testa, osserva dal basso in alto il timido studente
e aggrotta le sopracciglia. La “Tubercolosi tipo
Yersin” viene annoverata nelle opere d’insegnamento medico, e il suo nome passerà ai futuri
left 14 settembre 2013
Allievo di Pasteur, seguì i corsi
di Koch prima di andare in Asia
medici e storici della medicina. Ma dal grande
pubblico sarà presto dimenticato, e anche oggi,
malgrado la peste, non è così noto... Intanto Pasteur gli ha chiesto di iscriversi al corso di tecnica microbiologica appena creato, all’Istituto
d’igiene di Berlino, da Robert Koch, lo scopritore del bacillo della tubercolosi.
Alexandre Yersin
(1863-1943),
qui a Nha Trang
(Annam) nel 1892.
A destra
La peste (1568) di
Domenico Fiasella
HONG KONG
Mancano vent’anni alla Prima guerra mondiale,
ma già la battaglia scientifica e anche politica
e le alleanze sono le stesse. Un’epidemia di peste in Cina scende verso il Tonchino, arriva in
maggio a Hong Kong. La morte arriva in pochi
giorni. Attraverso la cortina di pioggia calda e
le burrasche, procedono al passo dei carretti
carichi di cadaveri accatastati. «Ci sono tanti
topi morti per terra». I primi appunti buttati giù
da Yersin la sera stessa riguardano le fogne che
traboccano e i topi in decomposizione. Dopo
Camus ciò appare scontato, ma non lo è. Ecco
cosa Camus deve a Yersin quando scrive il suo
romanzo, quattro anni esatti dopo la morte di
quest’ultimo. Alla fine Yersin invia a Parigi i
suoi risultati, Yersin li dà anche a Lawson, che
si affretta a comunicarli ai giapponesi. Il nostro
non se ne lamenta ma non ne fa un dramma.
Avrebbe dovuto essere più riservato. I giapponesi vengono a sapere che occorre di cercare il
microbo nel bubbone. Kitasato si attribuisce il
successo e fa scattare la polemica scientifica e
politica. Ma salteranno fuori le prove e Yersin,
che non ha mai conosciuto il padre né mai sarà
padre, si vede almeno attribuire la paternità
della scoperta ratificata: Yersinia pestis.
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puntocritico
cultura
ARTE di Simona Maggiorelli
Grand Tour
d’autunno
I
n tempi in cui sui giornali la critica viene confinata in spazi sempre più esigui, pare un peccato dedicare lo spazio della recensione settimanale a un carnet di vernissage.
Ma la stagione di grandi mostre che
si prepara è talmente ricca di proposte da meritare, per una volta, una
deroga. Così cogliendo l’impegno
con cui molti musei pubblici stanno
cercando di reagire alla crisi, eccoci
pronti a squadernare le tappe di questo ideale Grand Tour. Che non può
che partire da Milano, dove il 24 settembre si apre la mostra Pollock e gli
irascibili. Curata da Carter Foster
e da Luca Beatrice la rassegna allestita in Palazzo Reale ruota intorno a
Number 27, opera cardine del maestro dell’action painting americana.
In contemporanea, in un’altra ala di
Palazzo Reale, MondoMostre e Skira editore in collaborazione con il
Centre Pompidou di Parigi presentano più di 80 ritratti e autoritratti di
maestri come Matisse, Modigliani,
Brancusi, Picasso, Giacometti, Baselitz, de Lempicka, Kupka, Beckmann e molti altri. A un altro esponente delle avanguardie storiche, il
pittore modernista Josef Albers, che
fu uno dei protagonisti del Bauhaus,
è dedicata una monografica, dal 26
settembre, alla Fondazione Stelline.
Matisse, Odalisca con culotte rossa.
Sarà in mostra a Milano
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left.it
Mentre il 5 ottobre, sempre a Milano, per la giornata del contemporaneo indetta dalla rete dei musei del contemporaneo (Amaci) al
Pac si apre una retrospettiva Vite
in transito dell’artista di origini
albanesi Adrian Paci che dal 1997
ha scelto il capoluogo lombardo
come sua città di adozione sviluppando un’intensa riflessione sui
temi dell’emigrazione attraverso
la pittura, la scultura e la videoarte. Uscendo da Milano, in direzione Trento, una tappa imperdibile
del nostro tour riguarda il Mart di
Rovereto, dove il 5 ottobre si apre
una attesa retrospettiva di Antonello da Messina, straordinario
maestro del ’400 italiano che Ferdinando Bologna e Federico De
Melis tornano a studiare mettendo a confronto, anche in un denso
catalogo Electa, la sua complessa
e originale poetica con quella dei
suoi contemporanei. E ancora: dopo il terremoto, dal 14 settembre,
Ferrara diventa teatro di una nuova stagione di mostre ospitando in
Palazzo dei Diamanti una monografica dedicata a Zurbarán che
insieme a Velázquez e Murillo dette vita al Siglo de oro della pittura spagnola. Firenze, invece, dal
27 settembre, si segnala per la mostra L’Avanguardia russa, la Siberia e l’Oriente che raccoglie in
Palazzo Strozzi opere di Kandinsky, Malevic, Filonov, Goncarova
e altri in un percorso che punta ad
approfondire le fonti orientali ed
eurasiatiche nel Modernismo russo. Continuando a scendere lungo
la penisola, arriviamo a Roma dove l’8 ottobre si apre una retrospettiva di Marcel Duchamp che nelle
sale della Gnam ne rilegge l’opera alla luce dell’influenza che ha
esercitato sugli artisti del secondo
’900 e oltre. Restando nella capitale, ma spostandoci al Vittoriano,
dal 4 ottobre, la mostra Cezanne e
gli artisti del XX secolo permette
di comprendere più da vicino l’influenza che il maestro francese
esercitò su artisti diversissimi fra
loro come Boccioni e Morandi.
CINEMA di Morando Morandini
Un Amelio
in agrodolce
L’
intrepido è l’undicesimo film
per il cinema di Gianni Amelio
che dal 1967 al 2000 - con cinque anni di
silenzio (2006-2011) - ha fatto molta tv
(20 titoli). E numerosi cortometraggi: I
velieri (1982), da un racconto di Anna
Banti; Il piccolo Archimede (1979), da
un racconto di Aldous Huxley, con un
bambino analfabeta dalla straordinaria inclinazione per la matematica e la
musica; La morte al lavoro (1978), dal
racconto “Il ragno” di Hans H. Ewers,
in bianco e nero, sul rapporto tra realtà
e finzione; Effetti speciali (1979), thriller di paura, con copiose citazioni delle musiche di Bernard Herrmann, girato a colori e trasmesso in bianco e nero;
Bertolucci secondo il cinema (1976),
un omaggio al regista italiano; La città del sole (1973), biografia di Tommaso Campanella (1568-1639), il filosofo
del Rinascimento che passò 27 anni in
un carcere di Napoli sotto la dominazione spagnola; La fine del gioco (1970), ritratto del 12enne Leonardo, uscito da
un riformatorio in Calabria. Basterebbe questo elenco per capire la versatile curiosità di Amelio, uno dei padri del
cinema italiano, anzi, ormai, dato il suo
aspetto fisico da vecchio barbuto sorridente, il nonno audiovisivo. Senza dimenticare che il suo esordio fu Colpire al cuore (1982), il primo film italiano
a cimentarsi con la problematica della lotta armata/terrorismo, suscitando
molte polemiche anche tra i critici. Eppure quello non è il tema centrale, ma
un veleno che impregna il tessuto dei
14 settembre 2013
left
cultura
left.it
© CLAUDIO IANNONE
LIBRI di Filippo La Porta
Antonio Albanese interpreta L’intrepido
rapporti tra i personaggi. L’intrepido è
un film troppo originale per poter avere
un successo esteso di pubblico. L’hanno paragonato a una nuvola: mentre
lo guardi, cambia forma. È in sostanza
una commedia che diverte e commuove. Anche la piccola minoranza di italiani che continua ad andare al cinema
(compresi molti recensori, specialmente giovani) rimane sconcertata: non rispetta le regole del genere. È trasgressivo. Difficile stabilire fino a che punto
le responsabilità e i meriti siano di chi
l’ha scritto (Amelio con Davide Lantieri) e dove cominci l’apporto di Antonio
Albanese (Lecco, 1964) nel fare di Antonio Pane, intrepido nella sua bontà (e
così irreale, diranno gli spettatori delusi), un personaggio indimenticabile. A
proposito: L’intrepido, fondato dai fratelli Del Duca nel ’35 e chiuso nel ’98, fu
un periodico di fumetti e attualità per
ragazzi, caro almeno a due generazioni, tra cui la mia. Ha ragione Albanese:
Amelio fa film che non si accontentano.
Ama il sentimento di speranza, il rispetto per l’essere umano, la difesa della sua
dignità. Lasciate che i recensori più disattenti scrivano di retorica, buonismo,
ingenuità. L’azione si svolge a Milano,
quella del primo 2000, una Milano come non l’avete mai vista, fotografata da
Luca Bigazzi. Albanese fa il mestiere del
rimpiazzo, sostituendo quasi ogni giorno, magari per qualche ora, qualcuno
che si assenta per ragioni più o meno serie. Non lo fa per gioco. Si limita a prendere, spesso pagato poco e male. «Cerca di volerti bene» dice al figlio Ivo (Gabriele Rendina), sassofonista geniale e
infelice. La sola riserva che si può fare
riguarda il finale, il rapporto tra padre
e figlio. Forse è un problema che Amelio non ha ancora risolto nemmeno nella vita privata.
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Fenomenologia dell’italiota
S
e ci fosse ancora l’ora di educazione civica suggerirei di far studiare della Fenomenologia del cialtrone
di Andrea Ballarini (Laterza). Lì dove commenta la trama del
Sorpasso per descrivere il personaggio di Bruno Cortona
(Gassman), perfetta incarnazione del cialtrone. Già l’inizio
con la Lancia Aurelia Sport lanciata sulle strade di Roma, anche contromano, perché non ha il tempo: «come uno squalo è
ansioso di mordere la vita» (ha qualcosa di futurista), incapace di reprimere le proprie pulsioni. Era Adorno a sostenere che le persone meno represse non sono quelle più amabili. Cortona non può fermarsi a pensare,
è privo di senso critico. Perciò il male, che nasce da quest’assenza, è banale
e nient’affatto tenebroso o abissale. Quando vede la foto della madre del giovanissimo Trintignant ha con lui questo scambio: «Chi è ‘sta cicciona?» .«Mia
madre». «Ah, perbacco, bella donna». Non ha idee preconcette ma le adatta
per conquistare il prossimo. La fenomenologia disegnata da Ballarini è di tagliente precisione: il cialtrone gioca tutto il tempo ma è privo di autoironia, è
trasgressivo e però compiacente con il potere, e poi incostante, ribaldo, infantile, megalomane, narciso, un po’ paranoico, seduttivo, senza regole. Forte è
la tentazione di vedere questa figura antica della nostra tradizione (Boccaccio, commedia dell’arte, etc.) storicamente inverata nel nostro Cav che ce ne
ha offerto una versione spudorata e perciò per molti italiani “liberatoria”. Anche se questo è accaduto, suonerebbe però troppo assolutorio nei confronti
di tutti gli altri, che s’ illudono di sottrarsi alla sindrome descritta. Per scoprire
il grado di cialtroneria in noi l’autore ha messo alla fine 50 domande, con punteggi relativi. Confesso di essermi trovato a metà classifica. Mi soffermo su un
aspetto, dove però muoverò una critica al moralismo dell’autore. Il cialtrone
millanta una cultura che non ha, è un orecchiante. Ma siamo sicuri che buone letture e un’ampia erudizione ci salvino dalla cialtroneria? L’imbroglio potrebbe diventare più sottile. Esiste anche il cialtrone sofisticato. Un intellettuale troverà sempre il modo di giustificare la tortura degli ebrei - notava Orwell - mentre l’uomo qualunque sentirà istintivamente che è un cosa ingiusta.
SCAFFALE
EPPURE
NON SONO
UN PESSIMISTA
di Enrico Filippini,
Castelvecchi,
78 pagine, 9 euro
Accompagnate da un acuto saggio di Giacomo Marramao sulle evidenti, pericolose, convergenze fra postmoderno e conservatorismo, tornano le interviste che
Filippini fece, dal 1979 al 1986, a Jurgen Habermas.
Apparse sull’Espresso e su Repubblica tratteggiano uno
sfaccettato e acuto ritratto del grande filosofo tedesco.
IL FALÒ
DELLE NOVITÀ
di Stefano
Bartezzaghi, Utet,
237 pagine,
12 euro
Con un incredibile sforzo tassonomico il noto enigmista e
saggista milanese guida il lettore in un viaggio nella creatività contemporanea, passando dall’arte, alla letteratura,
al design e molto altro. Mostrando come nella cultura
cosiddetta di massa il pubblico sia diventato sempre più un
consumatore e sia stato ridotto alla passività.
TRATTATO DELLA
ARGOMENTAZIONE
di C. Perlman e L.
Olbrechts-Tyteca,
Einaudi, 612 pagine,
34 euro
Esce in nuova edizione uno dei classici degli studi di
logica e di retorica linguistica. Uscito per la prima volta
negli anni 50, questo manuale aveva l’ambizione di far
uscire le discipline umanistiche, ma anche il diritto e la
sociologia, dalle nebbie dell’opinabile e indimostrabile,
grazie alla valorizzazione dell’argomentazione coerente.
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bazar
cultura
left.it
MUSICA di Stefano Miliani
La lezione di Fiesole continua
S
ulla collina fiesolana, in una
villa annidata tra gli alberi si
sentono regolarmente violini, viole,
clarinetti, pianoforti e quant’altro un
musicista possa desiderare nell’ampio spettro della cosiddetta classica. Dotata di un bell’auditorium, lì
ha casa una delle istituzioni musicali più innovative d’Europa, la Scuola
di musica di Fiesole. La creò in due
stanzette presso la banda di paese
nel 1974 Piero Farulli (nella foto),
grande viola dello storico Quartetto
italiano, come contraltare ai metodi
e ai principi allora angusti nei Conservatori. Da esperimento culturale
e politico l’istituto prese piede: attirò
allievi e i migliori musicisti in circolazione. Grazie al Comune traslocò
nella villa e dai 50 studenti dell’esordio ora ne conta 1.300, vantando
un’Orchestra giovanile italiana che
ha visto sul podio direttori come Riccardo Muti. Questa estate due risultati eccellenti: il ministero dell’Istruzione l’ha riconosciuta come “istituzione musicale privata’’ accreditata ed è scattato un accordo triennale con il Mozarteum di Salisburgo.
«Siamo stati riconosciuti come istituto di alta formazione - afferma Andrea Lucchesini, il direttore musicale nonché affermato pianista - quindi siamo equiparabili ai Conservatori per la laurea di primo livello, quella triennale. È un passo importantissimo: i nostri allievi non dovranno
60
più andare in un conservatorio per
il triennio. Per loro e per le loro famiglie è un gran vantaggio economico non dovendo pagare due rette, a
noi garantisce una migliore continuità didattica». Oltre ai riconoscimenti, oltre mille allievi passati dalle fila
dell’Ogi «hanno trovato un impiego
fisso in orchestre europee e un paio
perfino in Giappone». La Scuola non
è però un ufficio di collocamento e,
volendo, insegna anche a chi pratica
per passione. A conferma di un audace taglio educativo, ha una sezione per bambini dagli zero ai tre anni.
Ma cosa potranno apprendere, così
piccoli? «I primi rudimenti di ascolto, con la presenza di un genitore naturalmente. E i risultati si vedono:
poi per quei piccoli la musica diventa un elemento naturale», risponde
Lucchesini.
La Scuola riceve finanziamenti da Regione Toscana, Comune di Fiesole e
Stato. E servizi dall’amministrazione
fiorentina. «Tuttavia cerchiamo e cercheremo di essere il più possibile indipendenti dal denaro pubblico ricorrendo a sponsor», segnala il pianista,
ricordando che i rapporti con i Con-
servatori oggi sono estremamente
più rilassati e spesso di collaborazione rispetto ai politicizzati e passionali
anni 70. Eppure qui si annida un dubbio: Farulli, un comunista convinto e
orgoglioso, fondò la scuola per spirito di giustizia sociale perché voleva
che la musica classica fosse di tutti.
Di quegli ideali cosa rimane? «La sua
forte impronta si sente», commenta
Lucchesini. «Ad esempio alle Piagge,
una periferia fiorentina disagiata e a
forte immigrazione, abbiamo un nucleo inserito nelle orchestre giovanili
infantili secondo il “sistema Abreu”,
quello del mecenate venezuelano caldeggiato qui da noi da Claudio Abbado. Lì insegniamo gratuitamente ai
ragazzi anche per favorire l’integrazione. È solo un esempio. Con la musica d’insieme si impara a stare con
gli altri anche come cittadini, a rispettare e accordare le esigenze proprie
e altrui tanto davanti allo spartito come nella vita. Chi arriva qui, come docente, lo capisce subito e lo trasmette. Anche se Farulli non c’è più, il diffondere valori etici attraverso la musica va avanti. Questo spirito sociale
è più vivo che mai».
[email protected]
PORDENONE
Letteratura e non solo
Da mercoledì 18 a domenica 22 torna
Pordenonelegge, la festa del libro che si
svolge nel centro storico della città friulana. La rassegna, giunta alla 14esima edizione, prevede degustazioni, lezioni magistrali, spettacoli, percorsi espositivi
e,naturalmente, tanti incontri con grandi nomi italiani e stranieri. Daniel Pennac,
John Banville, Peter Carey, Carlo Lucarelli, Daria Bignardi e Pupi Avati: sono alcuni
degli ospiti di Pordenonelegge 2013.
CAMPANIA
I percorsi del jazz
Domenica 15 interessante anteprima del Pomigliano Jazz, con il concerto di Ludovico Einaudi (in foto) all’anfiteatro romano di Avella.
Poi dal 18 al 22 tanti appuntamenti con grandi
nomi del jazz in giro per la Campania. Il festival si svolge ad Avella, Pollena, Ottaviano, Pomigliano D’Arco e Cimitile.
14 settembre 2013
left
cultura
left.it
TELEDICO di Elena Pandolfi
di Bebo Storti
Se la Cina è un reality
L
a nuova stagione televisiva autunno-inverno è ricominciata, e come ogni anno ci aspettiamo
delle novità. Ma dalla lettura dei palinsesti ritroviamo
per lo più gli stessi titoli, al
massimo cambia il numero
progressivo dell’edizione, o
il nome del conduttore. Non
resta che sedersi in poltrona, tranquilli e rassegnati.
E sperare in qualche spunto
originale.
Su Rai2 è ricominciato Pechino Express, l’adventure-reality, guidato nella passata edizione dal principe
Emanuele Filiberto, ormai
cresciuto fanciullo privilegiato, eternamente stupito
e affascinato dall’esistenza di gente comune, impegnata a lavorare per vivere.
Quest’anno la conduzione
è affidata ad un ex concorrente del reality, Costantino Della Gherardesca, ironico e rubicondo ex opinionista di programmi di Pie-
ro Chiambretti, che ci ha intrattenuto con battute esilaranti anche durante i momenti più critici della sua
avventura in Cina. Il meccanismo del gioco non cambia
ma Pechino resta solo nel titolo. Le otto coppie in gara,
tra vip e gente comune, dovranno percorrere ottomila
chilometri partendo da Hanoi, capitale del Vietnam,
per concludere la loro avventura a Bangkok attraversando la Cambogia e la
Thailandia. Le difficoltà non
mancano, a cominciare dalla comunicazione con le popolazioni locali. E son problemi visto che è agli abitanti che i concorrenti dovran-
no chiedere passaggi in auto e ospitalità per la notte,
avendo a disposizione solo due euro al giorno per sopravvivere. Il format risulta
divertente, soprattutto nella
versione breve quotidiana; il
sadismo del pubblico è soddisfatto nel vedere, soprattutto persone note, costrette a dormire tra i topi, o lavarsi in una pozzanghera.
Qualche dubbio sull’autenticità di alcuni momenti rimane, ma è anche un modo
diverso per conoscere più
da vicino luoghi e usi di Paesi lontani.
Tra le strane coppie di
quest’anno si è già distinta
per simpatia quella formata
dalla marchesa romana, Daniela Del Secco D’Aragona,
accompagnata dal fedele e
silenzioso maggiordomo,
mentre la tiratissima e nervosa Corinne Clery rischia
di perdere per strada il molto giovane, e per ora succube fidanzato.
RAVENNA
LUCCA
VENEZIA
Una città danzante
Mauri e la guerra
Ravenna per la danza contemporanea: dal 14 al 22 settembre si
svolge in città Ammutinamenti Festival di danza urbana e d’autore. Il tema centrale è il “corpo a
corpo”. Anche quest’anno spettacoli, mostre, performance e
proiezioni video.
Dal 23 settembre al 30 novembre la Galleria Michela Rizzo a Venezia ospiterà la mostra di Fabio Mauri Picnic o Il buon soldato.
Saranno esposte le performance
e le opere dell’artista, scomparso nel 2009, sul tema della pace
e della guerra.
left 14 settembre 2013
I racconti delle torri
Sabato 21 a Lucca il regista britannico Peter Greenaway presenta la sua opera multimediale
The Towers/Lucca Hubris. Arti visive e performance per raccontare 22 storie, ambientate nella
Lucca medievale.
In fondo.
Dubbi retorici
Allora praticamente si fa così. Come i magliari di una
volta. Vendi della fuffa durante la campagna elettorale. Poi il cliente si lamenta perché la stoffa si sgretola sotto le mani e tu dici «non
è colpa della stoffa fatta con
la paglia ma è colpa tua che
non sai vestire la paglia!».
Come le pitonesse dei casini
durante il Ventennio. C’è la
tisica, la gonorroica, la bambina di 14 anni con le turbe
e la ragazza con la gamba di
legno. Ma sei tu che non sai
trovare il bello anche lì.
Indici elezioni. Non trovi un
accordo interno. Fai una
fronda contro il tapparellista Bersani. Fai sembrare un
politico anche Fassina. Limoni sul divano con Brunetta. Spacci Renzi per più di
quel che è. Una vongola. Politicamente si intende. E vai
alle primarie con la faccia
come il culo. Chiedendo fiducia agli elettori. Che se ti
beccano ti linciano. Ma il distacco dal paese è talmente
ampio che credi di vivere su
Marte. Ricicli il nano. Condannato. Ma fa niente. Fai
parlare gente come Violante
e Jovanotti. Cazzo ragazzi!
Jovanotti!? E pretendi di essere di sinistra. Fai chiudere il nazionale a Moreno. Ma
rompi il cazzo a Fabri Fibra il
Primo maggio. E poi pensi.
Come mai la gente mi sfancula per strada? Dove avrò
sbagliato ammesso che io
abbia sbagliato...
Poi domani quelli dell’Ilvadelle centrali a carbone di
Savona-della Tav- di Salerno
dove pagano uno che ha due
stipendi ti rincorrono per farti il culo e ti lamenti?
Tese me se dis a Milan? Mavadavialcucuntvertl’umbrela... neanche la traduco.
61
ti riconosco
di Francesca Merloni
Le parole di left
Q
ualcosa di speciale per la festa di left. Ci penso, vorrei esserne capace.
E degna. Mentre cerco, mi affanno, smonto e rimonto pensieri ferendomi sempre un poco e le cose amplificano un’esitazione del filo piuttosto che
dell’intenzione, penso che speciale è piuttosto ciò che è reale. La visione, senza
illusione. La proiezione con desiderio. Ma è ancora poco e mi pare adesso non
riesca a fidarmi della scrittura, a partire sulla “picciola barca” così senza meta.
Ogni orazione piccola vorrei fosse grande. Perché grande è lo spazio del mondo in left, sia quello di fuori che quello di dentro e speciale la qualità di ascolto
che quel mondo ci insegna. No, stanotte non riesco a fidarmi. Forse perché cerco altrove ed è troppo fuori fuoco il mondo rispetto a qui. Resiste ai miei sguardi. È vicino e a portata di mano il pensiero che vorrei solcare eppure sfugge. La
mano non lo afferra, non ce la fa. Parlare del mondo che vogliamo? Scegliere
versi, proporli? Non so. Credo sia dentro che bisogna andare. Al fuoco centrale,
al canto del nome. È lì il viaggio. Ed è il viaggio in sé la meta. Allora tutto comincia a convergere attorno a ciò che sale dal fondo del linguaggio verso una parola che è insieme la somma e il significante
delle parole in festa: Libertà. Uguaglianza. Fraternità. Sommate danno Umanità. Quella del punto di luce all’interno, comunque e sempre. Quella del volo e dell’abisso. Il cantico della creatura è uno dei risultati possibili. Probabilmente uno
dei più complessi, a rischio di scivolata. Come per i poeti la rima. E vorrei fosse veritiera la luce, più aperto e insieme più indifeso lo sguardo
sul mondo. Così da poter entrare senza difficoltà, comprendere senza barriera.
Vorrei fosse sempre vento. Perché sono questa velocità e insieme questa leggerezza che riescono ad intuire il movimento di Trasformazione. Per guardarlo
semplicemente dall’interno, penetrare il flusso di energia perpetuamente all’erta, che si muove senza giudizio, verso tutte le mete. Per compiersi. Divenire ciò
che ancora non è. Acquisire forma. Per questo è difficile trovare parole accanto a Trasformazione, se non che verità è forse nel movimento naturale tra una
forma e l’altra. Nel dimenticare chi siamo per essere di nuovo, nel fare di noi ciò
che cerchiamo di essere. Forse è questo ciò che chiamano esistere? Questo il richiamo della vita a se stessa? Che ostinatamente, inutilmente cerchiamo di segnare in parole, sempre superate, in bilico tra i loro due soli, tra il loro doppio
fuoco. Forse verità è semplicemente nella tensione prima della Trasformazione, è nell’attimo prima di diventare ciò che non siamo, ciò che non sappiamo.
Verità è nel dimenticare
chi siamo per essere
di nuovo
[email protected]
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah, l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
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Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
Eugenio Montale, da Ossi di Seppia
14 settembre 2013
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La costituente delle idee
Libertà Eguaglianza Fraternità Trasformazione
la festa
14 SABATO
TRASFORMAZIONE
© ILLUSTRAZIONE DI FABIO MAGNASCIUTTI
18.00 L’incontro Sinistra è trasformazione
Ilaria Bonaccorsi Gardini intervista
Massimo Fagioli e Andrea Ranieri
20.00 La tavola Le cose cambiano. Cambiandole
Introduce Paolo Nori. Pippo Civati, Adriano Zaccagnini,
Mirko Tutino, Giulio Cavalli, Paola Natalicchio,
Giovanni Tizian, Adele Gambaro
22.00 Concerto Stefania Tallini, pianoforte
#festaleft
www.left.it
12-13-14 SETTEMBRE 2013 Città dell’Altraeconomia