La Germania al voto. Angela Merkel verso una riconferma. Per l
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La Germania al voto. Angela Merkel verso una riconferma. Per l
SINISTRA La Carta vincente SPECIALE Rifugiati, chi sono e dove vanno FESTIVALFILOSOFIA Tutti i volti di Eros N. 36 | 14 SETTEMBRE 2013 LEFT+L’UNITÀ 2 € (0,80+1,20) Da vendersi obbligatoriamente insieme al numero del 14 settembre de l’Unità. Nei giorni successivi euro 0,80 + il prezzo del quotidiano SETTIMANALE LEFT AVVENIMENTI POSTE ITALIANE SPA - SPED. ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 1 DCB ROMA ANN0 XXV - ISSN 1594-123X AV V E N I M E N T I La Germania al voto. Angela Merkel verso una riconferma. Per l’Unione non cambia nulla. Ma la crisi sta arrivando anche a Berlino NOSTRA SIGNORA D’EUROPA di Daniel Abbruzzese, Manuele Bonaccorsi e Paola Mirenda left.it AV V E N I M E N T I DIRETTORE RESPONSABILE Maurizio Torrealta [email protected] DIRETTORE EDITORIALE Donatella Coccoli [email protected] CAPOREDATTORE Cecilia Tosi [email protected] CAPOREDATTORE CULTURA E SCIENZA Simona Maggiorelli [email protected] REDAZIONE Via Luigi Turchi 17, 00153 - Roma Sofia Basso (inviato) sofi[email protected], Manuele Bonaccorsi (inviato, responsabile sviluppo web) [email protected] Paola Mirenda [email protected], Rocco Vazzana [email protected] Tiziana Barillà (segreteria di redazione) [email protected] PROGETTO GRAFICO Newton21 Roma Lorenzo Tamaro [email protected] GRAFICA Andrea Canfora leftgrafi[email protected] PHOTOEDITOR Arianna Catania leftfotografi[email protected] INFORMATION DESIGNER Martina Fiore leftgrafi[email protected] EDITRICE DELL’ALTRITALIA soc. coop. 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Più l’opposizione smette di essere tale, maggiormente viene apprezzata come alleata. Da queste due belle case in comune, una a Berlino e l’altra a Roma, è scomparsa la passione. Non si sa quando sia successo, ma non c’è più, se ne è andata. Come in tanti matrimoni d’interesse, tutto sembrava funzionare ma non funzionava niente, anche se dall’esterno nella foto di famiglia tutti sorridevano. Come quando la Merkel continuava con toni pacati a ripetere nei suoi discorsi le idee dell’ultimo parlamentare verde che aveva incontrato e assicurava la chiusura di tutti i reattori nucleari nei prossimi venti anni, senza avere presente cosa comportasse. Oppure quando il candidato socialdemocratico, che auspicava la riduzione della differenza tra le pensioni degli statali e quelle dei lavoratori subordinati, al giornalista che gli chiedeva come, rispose: «Non ce l’ho in testa, al momento». Nella Casa comune italiana i toni tra gli sposi sono stati un po’ più rumorosi, spesso hanno minacciato di separararsi e prima o poi succederà, anche se tra una discussione e l’altra c’è stato il tempo per trasformare il vino novello in bottiglie d’annata. Non sorprende che il numero dei votanti in Germania (o se preferite gli amici de- gli sposi), sia in sensibile diminuzione, perché in Italia l’erosione è ancora più rapida. Tra la folla che nel nostro Paese ha deciso di non frequentare più la coppia di Governo un po’ troppo litigiosa e un po’ troppo inefficiente, cominciano a circolare discorsi seri: quei prestiti che la coppia tedesca elargisce a fatica alla coppia italiana come se si trattasse di chicchi di grano delle formichine regalati alle cicale, non sono altro che debiti che arricchiscono il prestatore e impoveriscono il debitore. Per ogni persona che si indebita nei confronti della Germania, c’è sempre un tedesco che ci guadagna. E questo è il danno maggiore: non quello economico ma quello della fiducia. In Germania forse il matrimonio Cdu/Spd non si farà e verrà rimpiazzato da un altro partitino sopra il 5 per cento che poco potrà nel rapporto con la Merkel. In Italia forse il matrimonio Pd-Pdl si spezzerà tra non molto per essere sostituito da qualche gruppo di accompagnatori provvisori, ma non saranno queste le soluzioni. Sarà sempre più difficile ritrovare lo spirito innovatore e visionario di Altiero Spinelli. L’arguzia e l’intelligenza del progetto politico che ha portato la pace in Europa e sul quale sono state investite energie passioni e speranze. Oggi questo progetto rischia di trasformarsi nel suo contrario, un conto della spesa di un pizzicagnolo senza sentimento e senza idee che vede solo la punta del proprio naso e conta i soldi che ha in tasca. Se non c’è la passione per il progetto, sia nel governo nazionale che in quello europeo, non si andrà molto lontano. 3 [email protected] Congresso Pd I militanti contano Infastidisce la sicurezza e l’enfasi con cui alcuni esponenti del partito e media - danno già per acquisito il risultato del congresso Pd e al di là dei riposizionamenti degli opportunisti di turno ricordo a tutti che il segretario per essere eletto ha bisogno del nostro voto, ingenui militanti che “regaliamo” il nostro tempo libero alla politica. Dare per scontato, come fanno in troppi, che ci sia già il vincitore è una mancanza di rispetto nei nostri confronti, evidentemente non considerati in grado di “intendere e di volere”. Consiglio a tutti maggior prudenza. Claudio Gandolfi [email protected] la settimanaccia 4 left.it Ci siamo anche noi In merito all’articolo “Senza barriere” (su left del 7 settembre), sull’esperienza di immersioni subacquee effettuate dal Centro subacqueo paolano di Piero Greco con dei disabili non vedenti e con “persone con problemi psichici della Asl di Roma”, con questa nostra lettera vorremmo far presente anche la “nostra” partecipazione all’esperienza. Siamo un gruppo di “persone con problemi psichici” della Asl Rm/D che vivono ospiti della Comunità terapeutica riabilitativa di via Crescenzo del Monte 13 di Roma. Nella Comunità si cerca di costruire un percorso di cura psichica e autonomia socia- le, lavorativa e di studi (alcuni di noi lavorano, altri studiano, in entrambi i casi in situazioni assolutamente “normali”, altri si preparano per poterlo fare quando staranno meglio) insieme agli operatori della equipe attraverso un programma terapeutico che prevede incontri psicoterapici individuali e di gruppo, attività sociosanitarie e riabilitative, aperto alla realtà socioculturale. Così partecipiamo a innovative e originali esperienze. Fra queste vi è anche la partecipazione a corsi di apnea in piscina; inoltre da quattro anni effettuiamo dei soggiorni di vari giorni a Paola dove ci “immergiamo” nelle esperienze subacquee vere e proprie che ci hanno da- to e ci danno molte soddisfazioni. I risultati ottenuti, anno dopo anno, hanno permesso ad alcuni di noi di acquisire brevetti di immersione di primo grado, riconosciuti a livello internazionale. Abbiamo imparato tante cose nello stare tra di noi e con gli operatori al di fuori della Comunità e con tutti gli istruttori del centro subacqueo, immergendoci anche con i disabili non vedenti menzionati nell’articolo. Abbiamo scoperto tante nuove risorse per affrontare le difficoltà quotidiane, e l’acquisire nuove capacità ci ha dato una spinta a poter pensare di realizzare cambiamenti anche fuori dall’acqua nel quotidiano e nei rapporti con gli altri. Effettuare con successo l’immersione, che rappresenta il nostro ostacolo momentaneo, è per noi la dimostrazione che anche altri ostacoli si possono superare in altre occasioni della vita. Il voler sottolineare la nostra partecipazione serve a rimarcare l’importanza che per noi ha avuto questa esperienza, ed è un modo pubblico per ringraziare Piero, tutti gli operatori e il nostro psicoterapeuta, tutte le persone che ci hanno permesso di realizzarla con successo. Daniele, Domenico, Emanuele, Giorgia, Leonardo, Massimiliano, Michael, Riccardo, Vincenzo 14 settembre 2013 left left.it sommario IANNO XXV, NUOVA SERIE N. 36 / 14 SETTEMBRE 2013 COPERTINA TURCHIA ARCHEOLOGIA NOSTRA SIGNORA D’EUROPA INONDATI DAL PROGRESSO LA CITTÀ CHE VISSE PIÙ VOLTE La Cancelliera Angela Merkel va verso una scontata riconferma. Troppo debole, e senza contenuti, la concorrenza dell’Spd. Per l’Europa non cambierà nulla. Ma in Germania non va tutto per il verso giusto. Bassi salari e riduzione delle esportazioni: la crisi arriva anche a Berlino. I progetti di sviluppo di Ankara passano attraverso il sistema di dighe Gap, che sta ridisegnando la geografia del Paese. Villaggi e rovine millenarie vengono inondati da laghi artificiali e l’intero corso dell’Eufrate rischia di venire danneggiato. La Mesopotamia non sarà più la stessa. L’antica Sibari, travolta a gennaio dall’esondazione del fiume Crati, è ancora sepolta dal fango. Invisibile lo strato greco, spuntano qua e là le rovine romane. Un patrimonio che lo stato d’emergenza non ha salvato. Ora il ministro Bray promette un piano d’azione. 16 42 LA SETTIMANA 02 04 04 06 LA NOTA LETTERE LA SETTIMANACCIA FOTONOTIZIA COPERTINA 16 Vinca il peggiore di Paola Mirenda 20 Comunque vada, sarà un successo di Daniel Abbruzzese 24 Disturbi della crescita di Manuele Bonaccorsi IDEE 12 SAPERI DIFFUSI di Guido Viale 12 L’OSSERVATORIO 13 14 14 15 54 SOCIETÀ 28 La Carta vincente di Sofia Basso 62 di Francesco Sylos Labini ALTRAPOLITICA di Andrea Ranieri KEYNES BLOG di Daniela Palma e Guido Iodice IN FONDO A SINISTRA di Fabio Magnasciutti IN PUNTA DI PENNA di Alberto Cisterna TRASFORMAZIONE di Massimo Fagioli TI RICONOSCO di Francesca Merloni SPECIALE IMMIGRAZIONE 32 Rifugiati in trappola di Tiziana Barillà 36 I cercatori di futuro di Donatella Coccoli 39 Un Paese nell’ombra di Cecilia Tosi MONDO 42 Inondati dal progresso di Giacomo Cuscunà, foto di Tommaso Protti left 14 settembre 2013 CULTURA E SCIENZA 48 Festivalfilosofia, La Cecla: Amo dunque sono di Simona Maggiorelli 51 Ferry: Amor vicit omnia di s.m. 52 Sibari, la città che visse più volte di Manlio Lilli 56 Il medico che sconfisse la morte nera di Patrick Deville 52 RUBRICHE 08 COSE DELL’ALTRO MONDO a cura della redazione Esteri 10 COSE DELL’ALTRITALIA a cura della redazione Interni 11 PICCOLE RIVOLUZIONI di Paolo Cacciari 31 LA SCUOLA CHE NON C’È di Giuseppe Benedetti 58 PUNTOCRITICO ARTE di Simona Maggiorelli CINEMA di Morando Morandini LIBRI di Filippo La Porta 60 BAZAR MUSICA, TELEDICO 60 APPUNTAMENTI a cura della redazione Cultura 61 IN FONDO di Bebo Storti Chiuso in tipografia l’11 settembre 2013 Copertina: elaborazione grafica di Arianna Catania 5 fotonotizia 6 14 settembre 2013 left A me i Giochi, please Finalmente ce l’hanno fatta. Dopo aver cercato invano di organizzare i Giochi olimpici del 2016, i giapponesi conquistano il diritto a ospitare quelli del 2020. Nel voto del 7 settembre Tokyo ha sconfitto Madrid (inutilmente candidata per la terza volta) e Istanbul, che sembrava favorita. Il Giappone ha ospitato per l’ultima volta le Olimpiadi nel 1964. (Kambayashi/Ap/Lapresse) left 14 settembre 2013 7 cose dell’altromondo left.it © GUL/AP/LAPRESSE AFGHANISTAN Il loro è considerato il mestiere più pericoloso al mondo. I poliziotti delle nuove forze di sicurezza afgane (qui durante la cerimonia di consegna del diploma) sono vittime di due nemici. Da una parte la Nato, che con i suoi droni continua a colpire la popolazione che loro dovrebbero difendere: il 7 settembre, a Kunar, ha fatto 8 vittime civili (4 i bambini). Dall’altra i Talebani, che l’8 settembre hanno ucciso 4 uomini dell’intelligence e ferito 120 persone. 22% Secondo il sindacato britannico Unite, è questa la percentuale di lavoratori con contratto a zero ore, cioè che variano il loro orario in funzione dei bisogni dell’azienda. In molti casi i lavoratori interessati non arrivano nemmeno a 3 ore settimanali, e non hanno né ferie né malattia CINA Il valore dei soldi Per la prima volta nella sua storia la moneta cinese entra nella top ten delle valute più commerciate. Il renmimbi si piazza al nono posto grazie a una crescita degli acquisti offshore, scalzando il dollaro neozelandese. I soldi cinesi sono sempre più appetibili, ma niente a che vedere con il dollaro americano che resta la valuta dominante per i commerci di tutto il globo, coprendo l’87 per cento dei volumi scambiati. La moneta americana dal 2010 ha aumentato del 2 per cento la sua fetta di mercato, ed è seguita da euro e yen. L’entrata del renmimbi nella top ten ha però spinto fuori dalla classifica il dollaro di Hong Kong e la corona svedese. LA CRISI DELLA SETTIMANA In India sono decine i villaggi sotto coprifuoco e 800 i militari mobilitati. È la risposta del governo di Nuova Delhi all’ondata di violenza che ha travolto la regione settentrionale dell’Uttar Pradesh. Negli scontri tra hindu e musulmani, infatti, sono state uccise 28 persone e ferite più di 50. Il caos si è propagato dopo l’uccisione di tre uomini che avevano protestato per le molestie subite da una donna della loro comunità. E dopo la diffusione di un video falso in cui si mostrava il linciaggio dei tre. Le autorità indiane hanno arrestato più di 100 persone con l’accusa di istigazione alla violenza. 8 14 settembre 2013 left left.it «Kim Jong Un è un bravo padre e ha una bellissima famiglia» bellis Il giocatore di basket Dennis Rodman a proposito del dittatore della Corea del Nord. Kim è diventato padre subito dopo aver fatto giustiziare l’amante e tutto il suo gruppo musicale con l’accusa di pornografia CURIOSITÀ Se i detenuti sono pochi Il carcere chiude. Mentre la popolazione carceraria aumenta in tutto il mondo, nei Paesi Bassi le prigioni restano vuote. Nello Stato della marijuana quasi libera si stanno chiudendo otto istituti penitenziari per «mancanza di criminali». Il ministro olandese della Giustizia lo ha annunciato il 9 settembre che una capienza carceraria di 14mila posti è eccessiva per un Paese che conta 12mila detenuti. In Olanda il tasso di reati sta declinando e ci si aspetta che altre carceri dovranno presto chiudere. Ma il viceministro Nebahat Albayrak è preoccupato: come rimediare ai posti di lavoro che scompariranno chiudendo gli 8 istituti? «Bisognerà ricollocare i secondini, dobbiamo evitare qualsiasi licenziamento». SIRIA La vita fiorente del 2% 46 anni left 14 settembre 2013 L’età media del nuovo Parlamento norvegese dopo le elezioni del 9 settembre. Il deputato più anziano (68 anni) è Svein Flatten di Høyre (il partito conservatore), mentre il più giovane è Sivert H. Bjørnestad (23 anni) del Partito del progresso, formazione della destra populista © ABD/AP/LAPRESSE SCUOLA SENZA CROCI C’è un 2 per cento dei siriani che definisce il proprio stile di vita “fiorente” nonostante la guerra. Per quanto sia una percentuale bassissima, è la cifra che più colpisce nell’inchiesta che la Gallup ha realizzato tra giugno e luglio in diverse città siriane, fatta eccezione per i governatorati di Homs e Quneitra dove, secondo l’istituto americano di ricerca, «non ci sono le condizioni necessarie». Dall’inchiesta emerge come il 72 per cento degli intervistati consideri “faticosa” la propria esistenza, una fatica che diventa “sofferenza” per il 23 per cento di loro. Ma questi dati non si discostano di molto da quelli pre-conflitto: nel 2010 la percentuale di sofferenza era del 14 per cento, il 79 per cento faticava a tirare avanti e il 6 per cento si trovava in una condizione soddisfacente. Un testo «non per dividere gli uni dagli altri, ma per impedire che qualcuno divida gli uni dagli altri». Con queste parole il ministro francese dell’Educazione Vincent Peillon ha presentato il 9 settembre la sua “Carta della laicità”, una mappa dei diritti/doveri da appendere in ogni edificio scolastico. La Carta, nelle sue intenzioni, deve contribuire a mantenere distanti le questioni religiose, che attengono alla vita privata, dalla sfera pubblica, di cui fa parte la scuola. Curiosamente però la Carta non sarà esposta negli oltre 8mila istituti privati francesi: in virtù del loro “carattere particolare”, sono esenti dal dover spiegare che Stato e Chiesa sono due entità separate. 9 cose dell’altritalia left.it A VENEZIA VINCE L’ITALIA La 70esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia chiude con un Leone d’Oro italiano - Sacro Gra di Gianfranco Rosi - e con due importanti riconoscimenti al film Via Castellana Bandiera, che prende il nome dalla strada dove abita la regista palermitana Emma Dante (a sinistra nella foto). Il debutto sul grande schermo dell’autrice siciliana è stato un successo: premio per la migliore interpretazione femminile (Elena Cotta), e per la miglior colonna sonora (Fratelli Mancuso). SPORT, IN PENSIONE PIÙ TARDI In campo fino a 53 anni, sul palcoscenico fino 46. Sono gli effetti del recente regolamento in materia previdenziale approvato dal Consiglio dei ministri. Obiettivo del provvedimento: ancorare i pensionamenti all’aumento della speranza di vita. Così gli sportivi italiani, per poter “andare in panchina”, dal gennaio 2014 dovranno aspettare le 53 primavere. I ballerini, invece, non potranno uscire di scena prima dei 46 anni. A 21 mesi dall’entrata in vigore della riforma Fornero, che ha innalzato l’età pensionabile per molti lavoratori, arrivano cambiamenti anche per altre categorie: gli attori dovranno aspettare i 64 anni per ritirarsi dalle scene, i cantanti potranno lasciare il microfono a 61 anni. 1.647 È il numero delle volte in cui, negli ultimi 11 anni, Regioni e governo si sono affrontati davanti alla Corte costituzionale, litigando sulle proprie competenze. Alla base del dato record la maldestra riforma federalista del titolo V della Costituzione varata nel 2001 PALERMO Pd-Crocetta: venti di guerra BOLOGNA Liste d’attesa col trucco In Sicilia l’autunno è cominciato prima del previsto e potrebbe portare a una bufera in Regione. Il Partito democratico e il presidente Crocetta sono ai ferri corti. Il Pd ha chiesto al “suo” governatore (che ha fondato un nuovo gruppo politico, il “Megafono”) una maggiore rappresentanza politica in Giunta. Crocetta ha risposto picche, accusando i democratici di pensare solo alle poltrone: «I deputati in giunta creerebbero più dissenso che consenso». Pronta la contro-replica del segretario regionale del Pd Giuseppe Lupo, che parla di «toni volgari. Crocetta - aggiunge Lupo - ci spieghi il perché di certe nomine a uomini del Megafono». I democratici siciliani, in caso di muro contro muro, sono pronti anche alla soluzione estrema: togliere il sostegno al governatore. Liste d’attesa gonfiate in reparto, stipendi più consistenti per tecnici e medici. A denunciare il presunto sistema di truffe all’ospedale Maggiore di Bologna, un gruppo di tecnici del reparto di radiologia. L’allungamento delle liste d’attesa, stando all’esposto presentato in Procura, avrebbe consentito agli operatori di svolgere più ore di straordinario. Il raggiro sarebbe andato avanti per anni, sino alla fine del 2012. Gli operatori svolgevano esami finti al di fuori dell’orario di lavoro canonico, in modo da far lievitare la propria busta paga. Al momento non ci sono indagati, ma dalla Procura di Bologna confermano l’esistenza dell’esposto e l’apertura di un fascicolo. 10 3 agosto 2013 left left.it INSULTI IN LIBERTÀ I COLPI DELLO SCERIFFO DE LUCA «Maurizio Lupi sembra la figlia di Fantozzi» (9 settembre 2013) «Roberta Lombardi, ma va’ a mori’ ammazzata» (marzo 2013) «Quel grandissimo sfessato di Marco Travaglio» (marzo 2010) Qualcuno lo chiama “il sindaco sceriffo”, ma il 64enne Vincenzo De Luca non usa nessuna arma da fuoco. Primo cittadino di Salerno e vice-ministro alle Infrastrutture in quota Pd, a pistole e fucili De Luca preferisce l’attacco verbale, condito da creativi insulti. Ultima vittima, in ordine di tempo, il suo “superiore”,, il ministro Maurizio Lupi (Pdl), accusato dal vulcanico o sindaco di non aver ancora affidato le deleghe. Ma Lupi è in buona compagnia: sono tante le vittime del turpiloquio uio di De Luca. E a chi gli fa notare are l’incompatibilità delle cariche he che ricopre, lui risponde a modo suo: «Le mie dimissioni? Interessano sano solo a qualche sfaccendato».. ©LAPRESSE FERRARA Sisma, i crolli furono colposi Il tetto era “solo appoggiato”. Per questo, in seguito al terremoto, è venuto giù di colpo, uccidendo tre operai a Sant’Agostino, nel ferrarese. Era il 20 maggio del 2012 quando il sisma emiliano fece crollare due capannoni (Ceramica Sant’Agostino e Tecnopress). Sedici mesi dopo, la procura di Ferrara ha notificato gli ultimi avvisi di conclusione delle indagini. Omicidio colposo il reato ipotizzato. Destinatari quattro progettisti e un ingegnere collaudatore. Per quanto riguarda il capannone della Ceramica Sant’Agostino, la magistratura ha accertato l’assenza di collegamenti tra le travi e la copertura dell’edificio: il tetto era solo poggiato. Il secondo edificio crollato, ipotizzano i pm, non era adeguato alle norme vigenti. Secondo gli inquirenti, se fossero stati rispettati gli standard minimi di sicurezza, quelle morti potevano essere evitate. left 3 agosto 2013 PiccoleRivoluzioni di Paolo Cacciari Da oggi left ospita la rubrica di Paolo Cacciari che ogni settimana segnalerà una buona pratica Fiere e mercati dell’altraeconomia AEres, sta per Altra economia, rete per lo sviluppo solidale. È un’associazione che raccoglie aziende agricole, cooperative, artigiani, gruppi di acquisto, associazioni che si occupano di biologico, commercio equo e cooperazione internazionale, assistenza sociale e consumo consapevole. Ha sede nella splendida ex centrale del latte Plip di Mestre, restaurata e messa a disposizione dall’amministrazione comunale di Venezia grazie a un “patto di sussidiarietà orizzontale”. Nata sul modello della Città dell’altra economia di Roma a Testaccio, la sua missione è creare un distretto di economia locale su principi etici e con protocolli trasparenti, sostenibili sia per gli impatti ambientali che sociali. Organizza mercati di produttori in città e, dallo scorso anno, una Fiera della decrescita e della città sostenibile denominata Altrofuturo (www.altrofuturo.net). Queste fiere non sono più una novità: Terra futura a Firenze, Fa la cosa giusta a Milano e Trento, Quattro passi a Treviso, Vivere con stile a Oderzo sono oramai marchi affermati. Non c’è città che non abbia il suo appuntamento equo e solidale (www. aamterranuova.it). Un fenomeno apprezzato dagli abitanti e dai Comuni più avveduti perché rivitalizza aree urbane desertificate dalle chiusure delle attività commerciali di vicinato e ricrea un rapporto umano tra consumatori-cittadini e produttori. Contadini e artigiani trovano spazio non solo per esporre i frutti del proprio lavoro, ma anche per esprimere le ragioni delle loro scelte e le difficoltà che incontrano in un mondo dominato dalla Gdo (Grande distribuzione organizzata), cioè omologato e privo di qualità. Storiche associazioni professionali come la Coldiretti hanno capito che solo così si può salvare l’agricoltura contadina. Nella stessa direzione potrebbero attivarsi anche le associazioni artigianali. Pensiamo al lavoro che ci sarebbe se si promuovessero il restauro degli edifici in chiave di risparmio energetico. Visitando queste fiere non sfugge la loro volontà di confrontarsi con la politica. I programmi sono ricchi di presentazioni di studi su strategie e tattiche di espansione della sfera dell’economia no profit. La “terra promessa” che il premier Letta dice di intravedere all’orizzonte forse sta sotto i suoi e i nostri piedi. Basterebbe trattarla con cura. È buffo pensare che mentre le feste di partito sono sempre meno distinguibili da quelle della pro loco, i mercati contadini stanno diventando impegnati [email protected] tamenti culturali. 11 idee left.it saperi diffusi di Guido Viale I tagli in mano ai cittadini I La democrazia partecipata funziona. La spending review è insensata l pareggio di bilancio che il Parlamento ha introdotto con tanta leggerezza nella Costituzione - blindandolo con una maggioranza “bulgara” per non sottoporlo a referendum popolare ha conseguenze importanti. Per ogni nuova spesa - per esempio aerei F35 o Tav Torino-Lione o ogni riduzione delle tasse - per esempio esenzione dall’Imu di ville e case di lusso, come voleva Berlusconi - bisogna tagliare qualcos’altro di pari importo. E poiché le pensioni (tranne quelle d’oro, che non si toccano!) sono già state spolpate, il nuovo “pozzo di San Patrizio” sono le dotazioni di Comuni e ministeri: personale e risorse. Ma se tagli troppo sul personale, chi mai gestirà i fondi per fare ciò che ogni ente deve fare? E se tagli troppo sulle risorse, mancheranno i mezzi per fare le cose da fare. Soluzione? La spending review: ente per ente, ministero per ministero, ufficio per ufficio, si va a vedere che cosa è indispensabile e che cosa no. E chi è indispensabile e chi no. E si elimina quello e quelli non indispensabili. Già. Ma chi decide? I dirigenti? Sono proprio loro a gonfiare il fabbisogno di personale, di uffici, di fondi, di competenze, di consulenti. Perché più fondi, dipendenti e metri quadri di uffici e scrivanie hai, più conti. Un team di consulenti ben paga- ti? Ci aveva già provato decenni fa una tal Commissione Giannini, ma i meandri della Pubblica amministrazione sono così contorti che venirne a capo è stato impossibile. La soluzione l’ha trovata Tremonti: tagli lineari. Cioè ridurre fondi e personale in misura uguale per tutti gli enti coinvolti. E poi... Se la vedano loro! I risultati sono stati tragici: dirigenti, assessori e ministri hanno chiuso servizi essenziali e gonfiato spese insensate. Monti, poi, ha rifatto la stessa cosa: prima con un decreto, poi affidando al “mago” Bondi (quello che i guai dell’Ilva e di Taranto sono colpa delle sigarette) il compito di portarla a termine. Risultati zero. Adesso se ne occupa Letta, e saranno altri disastri. Perché gli unici che sanno chi lavora e chi no sono gli addetti e gli utenti. Senza consultarli e dar loro il potere di proporre e decidere dove chiudere un servizio inutile, dove ampliare quelli utili, dove trasferire personale e risorse non se ne verrà a capo. È la democrazia partecipata. Ma finirebbero per approfittarne, direte voi. E i dirigenti, allora? La verità è che in un caso abbiamo trasparenza della spesa e responsabilizzazione: l’essenza della democrazia. Nell’altro, carrierismo e servilismo: la quintessenza del dispotismo e dell’inefficienza. l’osservatorio Lo spread culturale 12 L a spesa pubblica in ricerca è aumentata del 15 per cento dal 2009 in Germania, mentre in Italia, nello stesso periodo, è diminuita di quasi il 20. Questo è avvenuto non solo in conseguenza dell’austerità ma anche per effetto della convinzione, piuttosto diffusa, che la spesa in ricerca non dia nessun ritorno di rilievo per la società e che comunque non ci si possa più permettere il lusso di sperperare soldi in stravaganti ricerche eseguite per lo più da “baroni” e “raccomandati” di ogni sorta. Tutto al più, secondo alcuni fini pensatori, si possono identificare pochi “centri d’eccellenza” do- ve svolgere dell’utile ricerca applicata al servizio delle aziende. Il risultato di questa politica è sotto gli occhi di tutti: la ricerca italiana, che in tanti campi è tra i leader mondiali, è entrata in una fase di smantellamento simile a quella avvenuta nella Russia post sovietica con uno spreco incredibile di risorse umane e intellettuali, soprattutto per quel che riguarda le nuove generazioni, escluse da qualsiasi possibilità di carriera accademica e cui non si aprono certo le porte di uno dei sistemi produttivi più arretrati e meno innovatori dell’Occidente. È sempre utile ricordare che negli Sta- 14 settembre 2013 left idee left.it altrapolitica di Andrea Ranieri Carrozza inverte la rotta L a ministra Carrozza sta dando segnali chiari di una inversione di tendenza rispetto agli anni bui che abbiamo alle spalle e che avevano visto un progressivo disinvestimento su scuola e università. Si ricomincia ad assumere, si interviene sui costi della scuola, si punta a ricostruire stabilità dove regna il precariato, con gravi danni per i ragazzi, specialmente quelli più deboli. La strada sarà lunga e impervia, perché enormi sono stati i guasti del passato, e pesanti sono i vincoli del Patto di stabilità, ma occorre dare atto alla ministra che la rotta è stata invertita. E vanno nel senso giusto anche le sue intenzioni, quali quelle espresse nel suo intervento a Cernobbio. Su una mi soffermerò: l’affermazione che nessuno deve uscire dall’università senza una esperienza di lavoro e ogni lavoro deve essere accompagnato da un’esperienza formativa. Una indicazione che risveglia in me echi di una stagione in cui il sindacato aveva davvero provato a fare del rapporto lavoro-conoscenza una priorità del proprio agire. Con una avvertenza. Sarebbe oggi del tutto velleitario pensare di poter far fare una esperienza lavorativa a tutti gli studenti italiani nelle aziende. La domanda, da parte delle imprese, copri- rebbe una parte molto minoritaria dell’offerta presente e potenziale. E oltre tutto sarebbe scarsamente proiettata verso il futuro, dal momento che tutti sono concordi nell’affermare che la stessa ripresa, se ci sarà, non avrà nel medio termine effetti significativi sull’occupazione. La risposta più sensata sarebbe quella di collegare prevalentemente il percorso lavorativo degli studenti al servizio civile, uno strumento già esistente, a cui già oggi si rivolge l’attenzione di un numero consistente di giovani studenti e di laureati - circa 90mila - soddisfatta per meno di un quinto. Lavori in settori strategici, se si deciderà di imboccare la strada di uno sviluppo ambientalmente e socialmente sostenibile. Dai beni culturali, alla salvaguardia del territorio, all’assistenza alla fasce deboli della popolazione, al risparmio energetico, alla mediazione interetnica e interculturale, nella scuola e nelle città. Affidato tra l’altro a soggetti - il mondo dell’associazionismo sociale e culturale e il sistema degli enti locali - che dovrebbero avere nella propria missione la verifica del rispetto della dignità delle persone che lavorano e l’arricchimento delle competenze. Sarebbe bello se l’avvicinamento dei giovani al lavoro avvenisse a partire da un lavoro buono e giusto. Ha ragione la ministra: nessuno esca dall’università senza una esperienza di lavoro. Purchè sia un buon lavoro di Francesco Sylos Labini ti Uniti più del 60 per cento del finanziamento alla ricerca di base è a carico dello Stato: lo sviluppo di internet e dell’elettronica, le imponenti ricerche biomediche sono state possibili grazie a un ingente finanziamento statale che ha dunque contribuito a creare le condizioni perché si potessero sviluppare le celebrate aziende ad alta tecnologia. Lo Stato ha dunque svolto, con una mano ben visibile, un ruolo centrale nella produzione d’innovazioni tecnologiche. Questo intervento è dovuto al fatto che l’investimento in ricerca di base richiede tempi e risorse che vanno di là dalle possibilità del singolo left 14 settembre 2013 imprenditore ed è per sua natura ad alto rischio. È ora di capire che lo sviluppo economico non consiste nel tagliare i diritti dei lavoratori o nel cercare di trasformare la scuola e l’università in un corso di formazione professionale: prima di tutto, consiste nel colmare lo spread in ricerca, innovazione e istruzione che ci separa dagli altri Paesi con cui ci confrontiamo. L’investimento in questi settori non è per nulla una spesa improduttiva quanto piuttosto rappresenta la famosa riforma strutturale che dovrebbe invertire la china del declino in cui si è avviato, da troppo tempo, il nostro Paese. L’Italia investa in ricerca e tecnologia 13 idee left.it di Daniela Palma e Guido Iodice keynes blog Una moneta “comune” L Un euro nuovo, che punisca gli squilibri delle bilance commerciali a crisi dei debiti sovrani non occupa più le prime pagine dei giornali ma il dibattito sulla sostenibilità della moneta unica continua. Evidente è l’estrema incertezza sugli effetti di una rottura della zona euro. Studi in una direzione e nell’altra si accavallano e contraddicono a vicenda e, sebbene condotti da studiosi di economia internazionale, generalmente trattano l’argomento guardando esclusivamente ai singoli paesi. È però immaginabile che un crollo “disordinato” dell’euro possa portare a un nuovo credit crunch in un quadro in cui nessuna grande area economica è in salute (non l’Ue, non gli Usa, non il Giappone, né gli emergenti). Inoltre la flessibilità del tasso di cambio, nella situazione attuale di corsa globale alla svalutazione, potrebbe non sortire gli effetti sperati, almeno nella misura necessaria a far ripartire economie in profonda crisi. D’altra parte la prosecuzione dell’attuale assetto istituzionale dell’euro appare insostenibile, mentre non vi è quasi speranza che la politica possa riparare il motore in corsa, trasformando l’Eurozona in una unione di trasferimenti o dando vita agli “Stati Uniti d’Europa”. Una soluzione ragionevole che può minimizzare i rischi e in prospet- tiva evitare il ripetersi di crisi come quella attuale è la trasformazione dell’euro da “moneta unica” a “moneta comune”. Tale proposta, ispirata al Bancor di Keynes, è stata avanzata da economisti come Steve Keen e Luca Fantacci e rilanciata su Le Monde diplomatique da Frédéric Lordon. Si tratta di un sistema di cambi fissi, ma aggiustabili, tra monete nazionali, corretto tramite meccanismi di punizione degli eccessivi e sistematici deficit o surplus delle partite correnti, al fine di minimizzare l’indebitamento con l’estero all’origine della crisi dei debiti sovrani, mantenendo l’Euro come unità di conto sovranazionale. Una soluzione che ridistribuisce l’onere dell’aggiustamento tra creditori e debitori, sottrae potere ai mercati finanziari, scoraggia le svalutazione interne, salva il mercato unico e la possibilità di una costruzione più solida della Ue. Infine, non richiede trasferimenti fiscali, superando le obiezioni poste a soluzioni di tipo “federale”. Se il Partito socialista europeo e le sinistre ponessero questa proposta al centro della campagna elettorale per le elezioni europee del 2014, probabilmente eviterebbero la crescita dei consensi alle forze antieuropeiste e populiste e salverebbero il cammino verso un’Unione più solida. in fondo a sinistra 14 14 settembre 2013 left idee left.it in punta di penna di Alberto Cisterna Test d’ingresso, no alla roulette I l governo Letta ha disposto l’abolizione per decreto del bonus maturità, quello che gli studenti pensavano di giocarsi nelle prove d’ingresso alle facoltà a numero chiuso. Lo ha fatto mentre i test erano in pieno svolgimento, «a borsa aperta», verrebbe da dire. E poiché nel metodo c’è del merito, il punteggio che spetta al ministro Carrozza è davvero molto basso. Se proprio si doveva, si poteva farlo prima e dar modo così agli studenti di arrivare preparati. C’è chi faceva affidamento sui 9 o 10 punti rastrellati con grande fatica in 5 anni di studi superiori e che ora si scopre azzoppato, privo della stampella del bonus previsto per legge sino a poche ore prima. Brutto segnale in un Paese che non brilla per rispetto degli impegni presi; bruttissimo segnale, poi, se pensiamo alle migliaia di studenti “livellati” per decreto legge. Venendo al merito, non sono del tutte chiare le ragioni dell’abolizione: si è parlato genericamente di evitare distorsioni e sperequazioni. Per certo, però, la Lega ne aveva fatto un cavallo della battaglia antimeridionalista. Il ragionamento era semplicissimo e di grande appeal: al Sud i professori i voti li regalano e al Nord no, quindi i meridionali erano avvantaggiati nei test di ingresso. Inten- diamoci c’è del vero in questo giudizio. Destava una certa impressione constatare ogni anno, che il Mezzogiorno era sempre al primo posto nella graduatoria dei voti di maturità. Ed ecco la soluzione: via i bonus per tutti. Non va bene. Abbiamo un disperato bisogno di laureati di valore, e chi ha fatto un percorso virtuoso in una scuola superiore ha sicuramente migliori chance rispetto a chi quel curriculum non lo ha. Il merito non si può misurare solo alla roulette dei quiz che non sempre premia i più bravi. Ma invece di imboccare la strada stretta (e più lunga) di una misurazione “fine” del merito e delle capacità, al Nord come al Sud, il governo ha scelto la scorciatoia del taglio agli incentivi e del livellamento, per giunta retroattivo. Come migliorare la qualità degli studi è, ormai, un problema vitale per la Nazione e se qualcuno largheggia nei voti (al Sud, al Centro o al Nord) non è un buon motivo per mandare tutto il sistema in soffitta senza alternative. A meno che, esaurita la fase storica dell’istruzione massiccia, non si ragioni di altro, ad esempio dell’abolizione del valore legale dei titoli di studio. Ma questa è un’altra strada che il governo dovrebbe enunciare con chiarezza. L’abolizione del bonus maturità livella tutti di Fabio Magnasciutti left 14 settembre 2013 15 copertina CHE VINCA «P IL PEGGIORE di Paola Mirenda La Germania vota il 22 settembre. Chiudendo una campagna elettorale incolore. Ma la politica economica tedesca non cambierà eer Steinbruck è il miglior candidato che potessimo desiderare per la Spd. Con lui in campo, la nostra vittoria è certa. Sì, c’è da essere soddisfatti». Parola di Manfred Kolbe, deputato della Sassonia eletto con la Cdu, il partito di Angela Merkel. Ironico, ma nemmeno troppo. Perché Steinbruck, scelto a sorpresa nell’autunno 2012 per rappresentare l’alternativa socialdemocratica alla Cancelliera, in questa campagna elettorale sembra essere davvero, più che l’asso nella manica della sinistra, la carta vincente della destra. «L’Spd si candida a rappresentare i ceti deboli, lottare per i poveri, difendere i non privilegiati», continua implacabile Kolbe. «Come può farlo indicando come Cancelliere uno che è ricco, privi- legiato e che i ceti deboli li sfrutta?». Il riferimento, in quest’ultimo caso, è alle conferenze pagate a peso d’oro che l’ex ministro delle Finanze nella Grosse Koalition tiene in giro per la Germania. Come quella a Bochum, nel novembre passato, che gli è valsa una pagina scandalizzata del settimanale Stern: 25mila euro «per una conversazione di mezz’ora», come sottolinea Kolbe, «in una città che ha il 10 per cento di disoccupazione» e un debito procapite di 4.300 euro. Eppure questi errori di immagine così grossolani sono l’unica nota frizzante in una campagna elettorale tra le più piatte che la Germania post riunificazione ricordi, tanto da spingere i giornali a inseguire il gaffeur Steinbruck nella speranza di avere un titolo divertente per il giorno dopo. «In 23 anni non ho mai visto una campagna elettorale così noiosa. E dire che le ho seguite tutte...». Per Ekkehar Krippendorff, politologo e docente emerito della Freie Universität Berlin, la consultazione del 22 settembre non riveste alcun interesse “professionale”. «Non c’è una reale differenza tra i partiti, soprattutto perché non ci sono idee e temi sui quali dibattere davvero. L’unica differenza tra Merkel e Steinbruck è nella retorica che usano. Messa lì a decorare parole vuote». Il salario minimo? Steinbruck ne ha fatto un cavallo di battaglia, proponendo di fissarlo a 8,50 euro l’ora. Merkel ha appoggiato l’idea, con l’unica differenza di volerlo non a livello federale ma di categoria. La stabilità di bilancio? Quando era ministro della Finanze l’attuale © SCHNEIBER/AP/LAPRESSE left.it Manifesti elettorali in un parco di Berlino. «Abbiamo deciso» è lo slogan del candidato dell’Spd, a sinistra. «Un Cancelliere per la Germania» è il motto della leader Cdu Angela Merkel copertina left.it LA CANCELLIERA VOLA NEI SONDAGGI L’Spd dice no a un accordo con la Linke. Ma così sarà impossibile battere Angela Merkel I sondaggi registrano un aumento dei consensi per l’Spd, ma la rimonta non è sufficiente di fronte alla Cdu. Nel gradimento personale, Merkel sorpassa Steinbruck di 20 punti percentuale. Se i sondaggi rispecchiano davvero l’umore dei tedeschi lo si vedrà già il 15 settembre, quando si voterà per il parlamento della Baviera. 18 candidato Spd lo diceva chiaramente: «Farò di tutto per riportare i conti in equilibrio». E qui Merkel non ha bisogno di aggiungere niente: Steinbruck era il “suo” ministro delle Finanze, il mestiere - dice - lo ha imparato con lei. Il nucleare? I Verdi, alleati dell’Spd, erano balzati al 22 per cento dei consensi dopo il disastro di Fukushima, nel marzo 2011. Il mese dopo la Cancelliera annunciava la chiusura delle centrali atomiche, e i Grunen ritornavano su un meno preoccupante - per la Cdu - 11 per cento. Poco importa se l’uscita dal nucleare «è l’ennesima bufala mediatica», come sottolinea l’attivista ecologista Cécile Lecomte. Gli elettori sono comunque ritornati tra le braccia di Angela Merkel. A farsi rassicurare che tutto andrà bene. Mutti. Con questo termine, che non è del tutto un complimento, una parte dei tedeschi chiama la Merkel. Mutti Angela, mamma Angela. «Siete in buone mani», dicono i manifesti elettorali. Duemilaquattrocento metri quadri di poster, posizionati su un edificio in costruzione di Berlino, tra la stazione principale e il Reichstag. Il più grande manifesto elettorale della campagna. «Angie sei il nostro mito», le urlano i ragazzi all’uscita dei comizi. Steinbruck non ha affatto questo carisma, e si sente. Il candidato Spd sconta un umorismo non proprio brillante, battute caustiche che fanno danni più di quanto non attirino consensi. E la necessità di pescare voti a destra e a sinistra gli rende impossibile una minima coerenza, sia pure limitata al periodo pre elettorale. L’Spd sperava di poter condurre una campagna all’insegna del cambiamento, usare François Hollande come trampolino di lancio per una nuova Unione. Si poteva così puntare il dito sulle politiche perseguite dalla Merkel, sulla mancanza di solidarietà della Cancelliera, sui guasti creati dall’austerity. Invece niente da fare, Steinbruck è costretto a prendere le distanze dal presidente francese, che si è appena imbarcato in dichiarazioni di guerra contro Damasco. «Riteniamo insensato l’intervento in Siria», ha spiegato il candidato Spd ai suoi elettori. «I socialdemocratici rifiutano questa guerra». Niente alleanza europea, quindi. E allora meglio tacere, anche sull’euro, visto che Spd e Verdi hanno votato in questi anni tutte le proposte economiche della Cdu. Per senso di responsabilità, dicono, ma adesso è troppo tardi per criticare. E anche alla Merkel fa comodo tenere un basso profilo sull’Eurozona. Su cosa voteranno quindi i tedeschi? Se lo è chiesto il presidente della Germania Joachim Gauck, che ha invitato i partiti in lizza a «parlare di cose concrete» per evitare il pericolo maggiore, quello di una disaffezione al voto. Degli 14 settembre 2013 left copertina left.it UN SISTEMA ELETTORALE A DUE FACCE Nonostante la forte figura del Cancelliere, la Germania non elegge direttamente il premier, che viene invece indicato dalla coalizione o dal partito che si presenta alle elezioni. Gli elettori hanno a disposizione due voti: uno “regionale” (Erststimme), con cui si vota il candidato della propria circoscrizione (vengono eletti i primi 299 deputati); l’altro, proporzionale, è invece dato solo al partito, senza preferenze. Su quest’ul- 82 milioni di tedeschi, più di 61 milioni sono gli aventi diritto al voto. Ma dal 2005 al 2009 la percentuale dei votanti è scesa di quasi 8 punti percentuali, arrivando a poco più del 70 per cento. A due settimane dalle elezioni, il 40 per cento degli elettori non sa ancora che nome mettere nell’urna. A giugno il 47 per cento dei giovani non sapeva nemmeno che si votava. «Tutto dipenderà dal tempo», dice il politologo Krippendorff. «Se è bello si va al seggio, se è brutto si resta a casa. Perché oggi l’unica opposizione è la Linke, che somiglia a quello che potevano essere i socialdemocratici 20 anni fa. Ma la gente non si fida perché hanno radici comuniste». Una diffidenza alimentata dai maggiori partiti: la Cdu ma soprattutto i liberali suoi alleati - gridano al pericolo comunista per attirare voti, e l’Spd, con la complicità dei Verdi, rifiuta ogni ipotesi di alleanza col partito di sinistra. Eppure la Linke offrirebbe proposte sensate, capaci di trovare un consenso a livello europeo. E con il suo 10 per cento nei sondaggi, sarebbe la chiave giusta per mandare davvero a casa Merkel, obiettivo che l’Spd afferma di perseguire. All’inizio di agosto il pragmatico Gregor Gisy, candidato della Linke, ha rinnovato l’appello a una alleanza tra le forze progressiste. Steinbruck è stato lapidario: «Mai», ha risposto. Gelido. Eppure una coalizione si impone, alla Cdu come all’Spd. Nessuno, con un sistema elettorale complesso come quello tedesco, è in grado di governare da solo. La Cdu potrebbe perdere i suoi partner storici, i liberali: il Freie demokratische partei di Philipp Rösler rischia per la prima volta di non entrare in Parlamento, non riuscendo a superare la soglia del 5 per cento. Se così fosse, Angela Merkel potrebbe sperare solo in una alleanza con l’Spd, che ha però escluso questa possibilità. Niente Grosse Koalition all’orizzonte per i socialdemocratici, che dall’esperienza precedente (2005-2009) sono tornati a casa con un secco -11 per cento. Gli elettori più a sinistra non hanno perdonato l’acquiescenza dimostrata dal partito left 14 settembre 2013 timo viene applicato lo sbarramento del 5 per cento: solo chi lo supera partecipa alla ripartizione dei seggi. Ma, per consentire la più ampia rappresentanza, la soglia del 5 per cento non viene calcolata per i partiti che abbiano eletto almeno 3 rappresentanti con l’Erststimme. Questo sistema fa sì che il numero dei deputati, fissato a 598, possa subire variazioni. Nelle ultime elezioni, al Bundestag sedevano 620 deputati. verso la Cdu, e nemmeno Steinbruck si voterebbe - forse - a tale suicidio politico. Restano i partiti minori. Ma nel 2009, su 28 partiti in lizza, solo 5 hanno superato lo sbarramento. I sondaggi dicono che non ce la farà il partito dei mediattivisti, il Piratenpartei, che in certi land sfiora anche il 10 per cento, ma la cui ironia sarebbe difficile da digerire per i seriosi membri dell’Spd o per i conservatori della Cdu. A marzo, quando hanno chiesto al Parlamento di Berlino se ci fosse un manuale di sopravvivenza in caso di attacco zombie, i socialdemocratici ci hanno creduto davvero. Difficile anche l’ingresso dei nazionalisti dell’Npd, che pure raccolgono il 6 per cento nei land dell’ex Germania dell’Est e hanno già eletto membri nei parlamenti regionali. «Siamo vaccinati contro certi pericoli, non abbiamo dimenticato il nostro passato», dice indignato il cristiano-democratico Manfred Kolbe. Eppure gli episodi di razzismo sono aumentati negli ultimi anni. C’è un altro antieuropeismo che potrebbe trovare consensi, ed è quello a cui guardano sia l’Spd che la Cdu: è quello di Alternative für Deutschland, formazione politica nata dall’idea di un gruppo di influenti economisti tedeschi, guidata da un leader come Bernd Lucke: giovane, carismatico e preparato. Se alla sua nascita - nell’aprile 2013 erano accreditati di un clamoroso 14 per cento, oggi sono a un più modesto 2,3 per cento. Ma i sondaggi in Germania non hanno mai funzionato bene: il loro margine di errore è del 3 percento, quanto basta ad AfD per superare la soglia di sbarramento. «Siamo pronti a governare con tutti i partiti democratici », ha dichiarato Alexander Gauland, ex Cdu e uno dei fondatori di AfD. «Il nostro obiettivo non è rovesciare Angela Merkel». La Cancelliera ha ringraziato, ma ha gentilmente respinto l’offerta. Peer Steinbruck ci sta ancora pensando. Sarà più facile far digerire ai suoi elettori una svolta a sinistra - e un ritorno alle origini- con la Die Linke, o un bel salto nel passato pagato in D-Mark? 19 copertina left.it NELLE MANI DI ANGELA di Daniel Abbruzzese da Berlino 20 14 settembre 2013 left copertina left.it Arrivando alla stazione centrale di Berlino, si è accolti da un gigantesco manifesto elettorale con sopra due mani giunte sul grembo e la punta delle dita rivolta verso il basso. © SCHREIBER/AP/LAPRESSE «La Germania è in buone mani», recita la didascalia. Si riconosce subito il gesto argomentativo di Angela Merkel, quello che l’ha caratterizzata durante il suo ultimo mandato, mentre guidava la Germania fuori dalla crisi, dispensando consigli agli altri Stati europei. D’altronde a parte la mimica e i tailleur color pastello, della donna più potente d’Europa non rimane impresso molto. left 14 settembre 2013 IN ATTESA DELL’INEVITABILE È con placida rassegnazione che i tedeschi aspettano la rielezione di Angela Merkel. Non che questo sia visto da tutti come un male necessario, anzi. Una Cancelliera che si appresta ad affrontare un terzo mandato, con una maggioranza compatta alle spalle, sembra un dono del destino. Tanto più se l’economia cresce, la disoccupazione diminuisce e i conflitti sociali sembrano assorbiti in quello che, da sinistra, viene definito “il sonno della bella addormentata”. «Non sarà una grande politica, ma il suo governo ha funzionato; certo, ha fatto molti passi falsi, e io non voterei mai Cdu, ma forse è meglio che continui a governare lei, piuttosto che una coalizione improvvisata, indecisa tra capitalismo, socialismo democratico, socialismo reale ed ecologismo», dice Uwe, che, da prima del crollo del Muro, gestisce una birreria a Berlino est. Il Meckern, il lagnarsi della realtà, dunque anche della sua espressione legislativa, è un’abitudine atavica dei tedeschi. Come lo è, del resto, quella di recarsi alle urne per eseguire un rituale tradizionale. Come emerso da un’indagine della Frankfurter Allgemeine Zeitung, l’affluenza al voto è rimasta, dall’annessione della Repubblica democratica tedesca, più o meno stabile, così come il consenso riservato ai partiti. Chi, ad esempio, è cresciuto in una famiglia di tradizione cristiano-democratica continuerà a votare Un maniifesto elettorale di Angela Merkel all’ingresso della stazione centrale di Berlino 21 copertina left.it Al confronto tv la Cancelliera indossa una collana coi colori della bandiera tedesca Cittadini tedeschi seguono l’unico confronto televisivo tra i candidati alla carica di Cancelliere 22 come i propri genitori; il voto è, insomma, ereditario, come la passione per il calcio. Per quanto riguarda la ex Ddr, il quadro è un po’ diverso: la percentuale dei votanti, qui, è spesso inferiore al 30 per cento, specie nelle province che, dal 1991, si sono spopolate in maniera drammatica. «Sono aree depresse, in cui il sistema educativo tedesco non funziona. Cosa si può dire alle giovani generazioni che vedono i propri villaggi abbandonati, vedono demolire i quartieri in cui sono nati, e che oltretutto lavorano per 400 euro al mese?», è la risposta di Marco Mühlstein, ex parlamentare dell’Spd, eletto in una circoscrizione della Sassonia-Anhalt. Intanto, a Berlino, l’atmosfera elettorale si percepisce appena. Solo i manifesti elettorali ricordano che, il 22 settembre, si andrà alle urne. O, meglio, solo un manifesto elettorale salta agli occhi: quello in cui la Cancelliera mostra un sorriso timido e poco convincente, il sorriso da mostrare davanti all’ineluttabilità degli eventi. Una delle poche sorprese di questa campagna sono i Verdi, partito in perenne crescita nella capitale, che sta perdendo visibilità e consensi. Non sono piaciute certe proposte dal sapo- re populista, come l’istituzione di una veggie day, giornata in cui è proibito mangiare carne, alla settimana. Ma, soprattutto, Angela Merkel è riuscita a bruciare il terreno anche intorno ai Verdi, accettando riforme ambientaliste e salutandole con frasi di circostanza. UN MATCH IMPROBABILE È andata così anche per il primo e unico confronto televisivo fra la Cancelliera e lo sfidante Peer Steinbrück. Quando il candidato socialdemocratico inizia a muovere delle accuse, Frau Merkel risponde placidamente con ovvietà o promesse. «Il governo attuale non ha fatto nulla per uno sviluppo sostenibile», dice l’economista dell’Spd. La premier ribatte, ricordando il suo impegno a chiudere tutte le centrali nucleari nel giro di vent’anni. E il sistema sanitario? Risposta: «Il governo Merkel ha provveduto almeno ai malati di Alzheimer». E la politica monetaria europea? «La Germania ha già pagato», risponde Angela, lasciando intendere ai telespettatori che presto sarà finita, con i finanziamenti ai Paesi più indisciplinati. Steinbrück ribatte: «Noi avremmo un’idea migliore per il sistema pensionistico: ridurre la differenza tra le pensioni degli statali e quelle dei lavoratori subordinati». Ma quando un giornalista prova a chiedergli spiegazioni, il candidato socialdemocratico resta 14 settembre 2013 left copertina © GUETTLER/AP/LAPRESSE left.it di sasso: «Non ce l’ho in testa, al momento». L’intervistato prova un ultimo assalto, ponendo la questione dello spionaggio di dati personali di cittadini tedeschi da parte dei servizi segreti americani. Ma sa già che la responsabilità sarebbe attribuibile al governo rosso-verde, che, poco dopo l’11 settembre 2001, firmò un patto di collaborazione al tristemente noto Patriot Act. Steinbrück non si azzarda a dire nulla sul salario minimo, tema di cui la Cdu si è appropriata negli ultimi quattro anni, senza peraltro aver deciso nulla; né sulle unioni di fatto, che il tribunale costituzionale ha equiparato al matrimonio, evitando così al governo di prendere decisioni impopolari. Il candidato dell’Spd non ne esce poi male. Anzi, il suo svantaggio lo rende un po’ più umano e, quindi, più simile a Sigmar Gabriel, il candidato che la base del partito avrebbe preferito. Tuttavia, quella di non bruciare Gabriel in un confronto senza speranze con la Merkel è stata, a ben vedere, una scelta oculata da parte dei socialdemocratici. UN GIOIELLO DA TIFOSA Almeno 15 milioni di tedeschi hanno seguito il dibattito Merkel-Steinbrück in televisione. Come per i campionati di calcio, a Berlino, e non solo, sono state organizzate proiezioni in pubblico, ampiamente commentate sui social left 14 settembre 2013 media. In particolare, l’attenzione degli internauti si è concentrata sulla sostanziale identità dei due contendenti. Uguali in molti dettagli: nel tono anodino, nella riluttanza a proporre delle riforme e a prendere posizione, perfino nell’abbigliamento. Ma a colpire la fantasia dei tedeschi, stimolando infiniti dibattiti, è un piccolo particolare: la collana di pietre nere, rosse e giallo oro indossata dalla Merkel, ribattezzata Schlandkette. Lo stesso nome che i tedeschi avevano dato alla collana di fiori in plastica coi tre colori della bandiera tedesca, portata al collo dai tifosi durante gli ultimi due mondiali di calcio. Il simbolo della riscoperta di un orgoglio nazionale rimosso per decenni, in un Paese in cui per anni anche la bandiera è stata esposta con una certa dose di vergogna. Il fatto che Angela Merkel abbia accompagnato questa “rinascita nazionalistica” durante tre mandati pare avere un valore simbolico, specialmente in un momento in cui la Germania sembra guardare dall’alto in basso gli altri Paesi europei, ancora alle prese con la crisi finanziaria. In realtà, così come i toni della Merkel non si fanno mai arroganti, l’opinione pubblica si permette raramente commenti sciovinisti, ed accetta con rassegnazione anche le ondate migratorie di cittadini comunitari, che, dal 2011, si fanno decisamente notare anche a Berlino. NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE OCCIDENTALE Il 22 settembre, data delle attesissime elezioni, non dovrebbe riservare particolari sorprese. Probabilmente gli euroscettici di Alternativa per la Germania, vera novità di questa tornata elettorale, appoggiati anche dai movimenti neonazisti e populisti, riusciranno a riscuotere più del 3 per cento. Sotto il 5 per cento necessario per entrare nel Bundestag. Come anche la formazione denominata, Die partei, chiamato in vita da un ex giornalista satirico. Il logo de “Il Partito” riprende in maniera ironica quelli del movimento nazionalsocialista, il suo programma si dichiara a favore dello stato di diritto, dei buoni sentimenti, dell’abolizione dei contenuti e della ricostruzione del muro (stavolta, però, intorno alla Germania). Peccato, perché la loro presenza al Bundestag, per quanto inutile, avrebbe tolto un po’ della patina seriosa che la repubblica di Frau Merkel ha voluto darsi. 23 copertina DISTURBI DELLA CRESCITA di Manuele Bonaccorsi Un export da record. E bassi salari. La Germania del boom economico si scopre regina del “lavoro povero”. Ma senza un rilancio dei consumi rischia di restare vittima dell’austerity. La stessa che Berlino impone all’Europa V anno dritti per la loro strada, i tedeschi. Incuranti delle critiche che provengono dai partner europei e da importanti voci dell’economia anglosassone. La potenza riluttante che può decidere i destini dell’Europa preferirebbe voltarsi da un’altra parte, guardare ai suoi affari, come ha fatto per anni. Non può farlo, perché della fine dell’euro Berlino pagherebbe un prezzo altissimo. Eppure non arretra. È fiera di se stessa, la Germania, e non cambia idea: «Oggi vediamo quanto la nostra linea, il mix di responsabilità di ognuno e di solidarietà, sia stato giusto. E lo è tuttora. Le riforme cominciano a funzio- 24 nare, a produrre effetti positivi», ha dichiarato Angela Merkel in un’intervista di fine agosto alla Frankfurter Allgemeine. La linea di Berlino è sempre la stessa: se la Germania continua a crescere, mentre il Sud Europa arranca dietro al suo debito pubblico, la colpa è di chi ha vissuto per anni al di sopra delle sue possibilità. Dunque gli altri europei facciano come la Germania, se vogliono uscire dalla crisi: tagli ai salari e austerity nei conti pubblici. Ma la via tedesca è insostenibile. O meglio, Berlino può fare la formica solo se Grecia, Italia, Spagna continuano a far le cicale. Altrimenti salta tutto. A partire dall’euro. 14 settembre 2013 left left 14 settembre 2013 Oltre 7 milioni di tedeschi sono assunti con un contratto da 450 euro al mese ti. Circa un quarto degli occupati oggi lavora per meno di 9 euro lordi l’ora. Un milione e quattrocentomila lavorano per un salario inferiore ai 5 euro lordi l’ora. Una percentuale maggiore di lavoratori a basso salario c’è solo negli Stati Uniti», ha scritto Dierk Hirschel, del sindacato dei servizi Ver.di. In Germania si parla di Jobwunder , letteralmente “miracolo del lavoro”: appena 3 milioni di disoccupati, un tasso ai minimi degli ultimi 20 anni. «Ma gran parte del presunto Jobwunder è il frutto di una pura redistribuzione del lavoro esistente», spiega il sindacalista tedesco. «Se le aziende suddividono un lavoro a tempo pieno in tanti minijob e impieghi part-time, gli statistici sono felici: il numero degli occupati cresce. Ma dal 2000 a oggi sono stati distrutti circa 1,5 milioni lavori a tempo pieno. In contemporanea le aziende hanno creato oltre 3 milioni di lavori part time». © WECCARD/AP/LAPRESSE La via tedesca non è lastricata d’oro quanto può sembrare. Non lo è per i conducenti di autobus del Mecklenburg, nel Nord est della Germania, il cui stipendio supera appena i 1.200 euro, o per un muratore della Germania est, che si deve accontentare di 1.400 euro mensili di salario. Non se la passano molto bene neppure i “400 euro job”, lavoratori pagati appena 450 euro al mese: una tipologia contrattuale introdotta con la Agenda 2010 da Gerard Schröder, il Cancelliere socialdemocratico che ha aperto la strada al mercantilismo tedesco. Nei primi anni 2000, quando la Germania era definita “il grande malato d’Europa”, la strategia socialdemocratica fu uno shock: tagli delle imposte e delle pensioni, riduzione dei sussidi di disoccupazione. E un pacchetto di misure per la flessibilità del lavoro proposto dal ministro Peter Hartz, ex direttore del personale della Volkswagen. Nascono allora i “macjob” tedeschi: oggi sono 7,3 milioni i lavoratori assunti con questo contratto. Servizi di pulizia, ristoranti, commercio. «Gli squilibri nel mercato del lavoro, sotto il governo Merkel, si sono ulteriormente aggrava- Dell’era Schröder i socialdemocratici tedeschi hanno ancora rimpianto. Non lo nasconde il candidato alla Cancelleria, Peer Steinbruck, 25 copertina © BRELOER/AP/LAPRESSE left.it La ricetta della Merkel? Funziona solo se i Pigs continuano a indebitarsi ex ministro delle Finanze della Grosse Koalition di Angela Merkel. Con lui tutto si inverte. Il socialdemocratico è un noto detrattore delle politiche keynesiane. Quando nel 2008 il governo inglese di Cameron ridusse le imposte sui consumi, lo strano socialista sbottò così: «Davvero pensate di acquistare un lettore Dvd perché ora costa 39,10 sterline invece che 39,90?». Lo sfidante di Angela Merkel ha invece ricevuto una critica “da sinistra” niente di meno che da Wolfgang Münchau, columnist del Financial Times: «Gli ultimi 5 anni, in quasi tutto il mondo, sono stati un periodo di rinascita keynesiana. A eccezione della Germania. Nel nostro Paese solo la Linke può ancora definirsi tale. Nella Spd degli anni 90, a un certo punto, il keynesianismo è andato perduto. Da allora le teorie conservatrici centrate sull’offerta sono diventate egemoniche all’interno della Spd. Le riforme Hartz sono solo l’estrema conseguenza di questa strategia». Berlino, lavoratori spalano la neve nel tetto del Reichstag vicino alla cupola, progettata dall’architetto Norman Foster 26 L’austerity tedesca che si vorrebbe esportare in tutta l’Europa è bipartisan: tagli al welfare, bassi salari, esportazioni. Ma non è reaganismo: la via renana al capitalismo, il cosiddetto “Organisierten Kapitalismus” si basa sulla partecipazione dei sindacati ai consigli di amministrazione e su un sistema bancario e politico tutto votato al sostegno dell’industria. La ricetta funziona: con 547 miliardi di euro di merci vendute fuori dai suoi confini solo nel primo semestre del 2013, la Germania svolge in Europa lo stesso ruolo della Cina a livello globale. Vende ma non compra. Per anni ha esportato merci in Italia, Spagna, Grecia. E ha prestato i suoi capitali in surplus ai Paesi del Sud del mediterraneo, che li hanno spesi per i propri consumi improduttivi: spesa pubblica, investimenti immobiliari. Finché, con la crisi del 2008, il meccanismo si è rotto. «La logica economica di base sostiene che i saldi commerciali tra i Paesi devono essere uguali. Poiché le eccedenze commerciali tedesche sono cresciute nel corso degli ultimi anni, i deficit nel resto d’Europa sono aumentati. Se oggi nel resto d’Europa si tagliano i bilanci e si spende di meno, allora i tedeschi devono spendere di più», ha scritto il Time in un articolo di fine agosto, intitolato “Why the Germany must save Euro”. Mentre sul Financial Times Adam Posen, presidente del Peterson institute di Washington, scrive che «la Germania rischia di essere schiacciata dalla sua ossessione per l’esportazione. I bassi salari sono stati la base del successo delle esportazioni tedesche negli 14 settembre 2013 left copertina left.it POVERI TEDESCHI I salari medi in Germania EST MECKLENBURG ultimi dodici anni, e le esportazioni sono state la sua unica fonte costante di crescita. Ma i bassi salari non sono la base su cui una ricca nazione dovrebbe competere». Eppure qualcosa non funziona, anche nella granitica economia tedesca. Per un motivo facilmente intuibile: se la crisi colpisce i mercati di sbocco della Germania, gli ordini calano e si riducono le esportazioni. Nel primo semestre del 2013 l’export di Berlino è sceso dello 0,6 per cento. La riduzione ha colpito specialmente l’Europa, che ha ridotto gli ordinativi dell’1,7 per cento, con un vero e proprio crollo nel commercio verso l’Italia (-6,3 per cento). Cresce invece, nonostante il rallentamento delle vendite in Cina (-5,9), l’export verso Paesi extra Ue (+1 per cento). La gelata delle esportazioni si è subito specchiata nel Pil tedesco: nel suo ultimo bollettino la Bundesbank afferma di aver riscontrato come per il trimestre estivo siano diventati «più evidenti i segnali di rallentamento della crescita economica, in linea con il trend generale». Chi di austerity ferisce, di austerity perisce? D’altronde, come diceva il premio Nobel Paul Krugman, «la tua spesa è il mio reddito. La mia spesa è il tuo reddito». Dunque una parte dell’industria tedesca alza l’allarme: il capo economista di Daimler, Jürgen Müller, ha affermato che «le vendite di auto in Europa occidentale sono cadute ai livelli del 1993». Un problema non da poco per un’azienda che vende un terzo delle sue vetture proprio all’interno dei confini europei. «Una dieta non può aiutare a far crescere i muscoli», ha spiegato l’economista. Anche se la Germania può trovare fuori dai confini dell’euro mercati di sbocco abbastanza ampi da coprire la riduzione delle esportazioni in Europa. Si spiega anche così l’emergere in Germania di movimenti aspramente antieuro. Come Alternative für Deutschland, che lotta per entrare in parlamento e rischia, minacciando ricorsi alla Corte costituzionale, di bloccare l’intera politica europea, a partire dall’unificazione bancaria e dall’intervento della Bce a sostegno dei Pigs. Certo, qualche segnale di inversione di tendenza nell’economia tedesca comincia a intravedersi. Dopo anni in cui i salari sono cresciuti left 14 settembre 2013 SUD BAVIERA lordo netto lordo netto conducente autobus 1.722 1.216 2.229 1.484 logistica 2.131 1.431 2.683 1.719 meccanico 2.164 1.448 2.864 1.810 muratore 2.056 1391 2.835 1.795 cassiere 1.672 1.189 1.916 1.317 cameriere 1.436 1.060 1.703 1.206 impiegato 2.247 1.492 2.950 1.852 segretaria 2.072 1.399 2.651 1.703 call center 1.679 1.193 2.363 1.554 maestro 2.195 1.464 2.557 1.655 insegnante scuola pubblica 3.434 2.081 3.976 2.337 scuola privata 2.542 1.644 3.173 1.962 parrucchiere 1.354 1.013 1.656 1.181 Salario lordo calcolato dalla rivista tedesca focus.de Per il netto si è immaginata una famiglia con un figlio a carico, situata nella IV categoria fiscale, con una assicurazione sanitaria di base. Tratto da vocidallagermania.blogspot.it molto al di sotto dell’inflazione e della produttività, l’ultima tornata contrattuale dei metalmeccanici si è chiusa con un aumento del 5,6 per cento. Poca cosa ancora, ma è un primo segnale. In piena campagna elettorale la confederazione sindacale di sinistra, la Dgb, ha lanciato l’idea di un piano Marshall per l’Europa. Un progetto da 260 miliardi di euro di investimenti annui, da finanziare con la tassa sulle transazioni finanziarie, una patrimoniale e l’emissione di obbligazioni europee. Il piano è stato recentemente presentato in Italia, alla Cgil, suscitando dure critiche dagli economisti del Belpaese: «Il piano propone investimenti fortissimi su rinnovabili e infrastrutture. Nelle condizioni attuali favorirebbe proprio l’industria tedesca, molto forte in questi settori, accentuando la fratture esistenti nell’economia europea», spiega Daniela Palma, animatrice di Keynes blog. «In questa strategia di bassi salari il sindacato tedesco ha responsabilità oggettive. E oggi non propone un cambiamento nel quadro europeo, a partire dal ruolo della Bce», ha aggiunto l’economista Sergio Cesaratto. Ma è difficile chiedere ai tedeschi di essere meno tedeschi. 27 società LA CARTA VINCENTE 28 left.it di Sofia Basso 14 settembre 2013 left società left.it © MONALDO/LAPRESSE N «Né pessimisti, né minoritari». Così i cinque firmatari del manifesto in difesa della Costituzione lanciano La via maestra per la nuova sinistra. Prossimo appuntamento: il 12 ottobre in piazza left 14 settembre 2013 on si fanno tirare per la giacchetta i cinque firmatari de La via maestra, il manifesto in difesa della Costituzione che l’8 settembre ha riunito le diverse anime della sinistra in un affollatissimo centro congressi di Roma. E assicurano che non stanno lavorando all’ennesimo partitino. L’obiettivo, ha spiegato Stefano Rodotà aprendo l’assemblea al Frentani, «è uscire da un’impostazione minoritaria e pessimistica». Per andare oltre i tradizionali paletti e cespugli, i promotori guardano alla «grande forza politica e civile, latente nella nostra società», che ha la Costituzione come bussola: quelle «forze spontanee» che nel 2006 bocciarono la riforma costituzionale del governo Berlusconi con 16 milioni di voti. «L’altra Italia» che la costituzionalista (ex “saggia”) Lorenza Carlassare auspica torni ad alzare la testa, adesso che l’esecutivo si prepara a «manomettere» la Carta in deroga all’art. 138. «Forze vivacissime» che possono trovare in Rodotà, Landini, Zagrebelsky, Carlassare e don Ciotti dei punti di riferimento credibili, archiviando i tanti fallimenti figli dell’autoreferenzialità e di una «cultura politica impoverita». Ecco perché il giurista, che molti volevano al Quirinale, avverte che sarebbe un errore «se questa iniziativa diventasse una zattera per naufraghi o un onorato rifugio per reduci di battaglie perdute». Di fronte all’«evanescenza della politica» e alla «scomparsa dello Stato di diritto», i cinque chiamano a raccolta il popolo che si è sempre schierato con la Costituzione e lanciano una grande manifestazione nazionale per il 12 ottobre. Tutti in sala hanno ben chiaro che mettere in pratica la Carta non è assolutamente una battaglia astratta, ma significa dare gambe ai tanti diritti negati di questi anni. «L’Italia è uno dei Paesi in cui le diseguaglianze sono cresciute di più», ribadisce Rodotà. «L’art. 3 della Costituzione sancisce il dovere delle istituzioni pubbliche di non essere indifferenti: compito della Repubblica è “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”». Quindi, ancora più che «ricostruire la sinistra», i 5 firmatari vogliono «rimettere al centro la Costituzione», come dichiara Maurizio Landini, la cui battaglia per il reintegro degli iscritti Fiom in Fiat ha rappresentato plasticamente il legame tra Carta e diritti dei lavoratori. Roma, Centro congressi Frentani, 8 settembre 2013, Maurizio Landini, Sandra Bonsanti e Stefano Rodotà 29 società left.it © SALVATORE CONTINO «LIMITARE IL DIRITTO ALLO STUDIO È INCOSTITUZIONALE» All’assemblea dell’8 ha preso la parola anche Federico Del Giudice, 24 anni, studente di Storia e portavoce della Rete della conoscenza. Al Frentani contro il numero chiuso? È una violazione della Costituzione: l’accesso all’istruzione deve essere libero. Stanno emergendo studi che dimostrano che non ha alcun legame con le esigenze del mondo del lavoro. Per esempio si stima che nel 2018 ci saranno 20mila medici in meno. Non è vero che in Italia ci sono troppi laureati. Sono pochi ma il nostro Paese non sa che farsene perché ha un tessuto Landini: «L’interesse generale torni a coincidere con quello delle persone» Senza dimenticare, aggiunge il leader della Fiom, che «nessun italiano ha votato per questo governo». L’auspicio è che, ridando spazio alla politica, «l’interesse generale torni a coincidere con l’interesse delle persone». Ecco perché compito del governo dovrebbe essere anche impedire i licenziamenti e la chiusura delle fabbriche. I contenuti anticipati dai relatori (lavoro, reddito di cittadinanza, beni comuni e dignità delle persone), sono stati integrati dai tanti interventi del pubblico: welfare, pace, istruzione, diritti dei migranti e dei precari. In platea non mancano i reduci di esperimenti falliti, dalla Sinistra arcobaleno a Rivoluzione civile, ma ci sono anche i militanti di tanti movimenti e associazioni che da anni lavorano sul territorio, dall’Arci al Forum per l’acqua pubblica, dagli studenti ad Articolo 21. Non è passato inosservato il basso profilo tenuto da Sel: se Nichi Vendola, Gennaro Migliore e Nicola Fratoianni hanno fatto capolino in sala, l’unico del partito a prendere pubblicamente la parola è stato il senatore Massimo Cervellini. «Abbiamo aderito e condividiamo tutte le istanze», spiega Migliore, capogruppo di Sel alla Camera. «Mi pare che l’iniziativa si debba allargare. Come giustamente ha detto Rodotà, siamo so- 30 produttivo vetusto. Germania e Francia spendono 10 volte tanto. Investire è una scelta politica. Sono due alternative di sistema. Cosa pensa del movimento partito l’8? Oggi è necessario riattivare un percorso comune con tutti i soggetti che si sono battuti su diversi fronti. Dobbiamo rilanciare la battaglia per i diritti. La nostra Costituzione racchiude tanti principi che però non sono applicati: il diritto allo studio e, in generale, il diritto al futuro. Negli ultimi anni abbiamo assistito a tagli al welfare e a un mondo del lavoro sempre più precario. Speriamo che il percorso avviato l’8 settembre non sia chiuso ma partecipato. Per durare deve vivere dentro le piazze, dentro le scuole e i luoghi di lavoro. Tra i bisogni veri delle persone. Sarete in piazza il 12 ottobre? Ci saremo anche il giorno prima, con manifestazioni già organizzate in tutt’Italia sui temi della scuola e dell’università. Il 12 scenderemo in piazza con gli altri soggetti per creare un nesso esplicito tra il mondo studentesco e la battaglia s.b. per l’attuazione della Costituzione. lo all’inizio». L’attenzione al nuovo movimento non si limita certo a chi era al Frentani domenica mattina. «Sono quello che tiene aperta la finestra del Partito democratico verso quel mondo», annuncia Pippo Civati, candidato alla segreteria del Pd. «Ci deve essere collaborazione, confronto e stimolo, senza fare pasticci perché ognuno ha la sua autonomia e la sua parte. Grande attenzione, quindi, e non da ora: è uno spazio politico vastissimo, una necessità». In platea si respirava grande speranza per un’iniziativa che, come dice Edoardo, ex militante di Rifondazione, «dimostra una consapevolezza nuova, grazie alle personalità di garanzia e al suo accento più sui contenuti che non sulla precipitazione elettorale». Ma anche qualche timore: «Speriamo che sia la volta buona», commenta all’uscita Marietta, una vita a sinistra, «ma dopo tante delusioni, la paura è tanta». E infatti al Frentani è andata in scena anche la rabbia verso chi ha condannato la sinistra radicale all’ininfluenza: «Ho visto presenze inquietanti», denuncia dal palco Cinzia, ex pasionaria dei No Dal Molin, «mi auguro che chi oggi ha fatto mea culpa decida di lavorare al progetto senza esserne protagonista». La linea, comunque, rimane quella di Landini: «Nessuna esclusione». Perché l’appuntamento del 12 deve essere, come auspica Paolo Flores d’Arcais, «la più grande manifestazione autorganizzata della società civile». 14 settembre 2013 left la scuola che non c’è società left.it I media e la vicenda del professore di Saluzzo agli arresti per rapporti con minorenni Senza giusta distanza di Giuseppe Benedetti left 14 settembre 2013 © SPADA/LAPRESSE I commenti sulla torbida vicenda del professore liceale di Saluzzo agli arresti per aver indotto, abusando del ruolo, alcune sue allieve minorenni ad avere rapporti sessuali con lui ci consegnano innanzitutto un’assurda disattenzione verso le vittime. Il dolore, la comprensione, la solidarietà stanno quasi esclusivamente dalla parte del professore. Anzi, le problematiche situazioni familiari e fragilità psicologiche delle ragazze le hanno fatte diventare nell’opinione comune le cause scatenanti del rapporto malato con il professore. Sul Corriere della sera (31/8) Aldo Cazzullo riferisce che in un’omelia nel Duomo, prendendo spunto dalla cronaca, il celebrante ha fatto riferimento al sacrificio di un uomo, Giovanni Battista, per il capriccio di una giovane, Salomè, e ha chiesto alla comunità di pregare il santo patrono perché «protegga la città dalle notizie funeste». La seconda riflessione riguarda l’incredulità degli ex allievi per ciò che trapela della vicenda, il loro sconcerto perché non riconoscono in quell’uomo malato il professore che si commuoveva leggendo i versi di Dante (i figli che si offrono in pasto al conte Ugolino e la tragedia del suo amore impotente) e di Foscolo (la trasfigurazione poetica di Ettore, da sconfitto in battaglia ad eroe letterario). Anche il padre di una delle vittime l’ha ricordato come un uomo “normale”, simile a tutti gli altri professori, con un atteggiamento protettivo nei confronti degli allievi (La Stampa, 29/8). Allo stupore degli ex studenti si unisce l’amara sorpresa dei colleghi del docente sotto accusa: per la grande risonanza data alla vicenda e per la pretesa di accertare la Verità, nonostante «il limite sottile che separa, nel cuore e nelle azioni umane, il bene dal male» (lettera a La Stampa, 27/8). Le cronache di Saluzzo ci hanno riportato anche, in un primo momento, I commentatori cercano di comprendere il docente. Ma per le vittime c’è un’assurda disattenzione al profilo del docente indagato, in particolare a un’infanzia difficile e a dieci anni assai sofferti in seminario (Corriere della sera, 31/8), alla sua richiesta di cure per uscire dalla malattia (la Repubblica, 28/8). Ma questi elementi hanno subito perso interesse sui media. La vicenda è stata poi il pretesto per affrontare marginalmente la questione del rapporto tra docenti e allievi. C’è chi ha riconosciuto la qualità della relazione nella flessibilità e capacità di ascolto dell’insegnante e nella crescita dell’autonomia e dello spirito critico nell’allievo (Alessandro D’Avenia, La Stampa, 27/8, che ha precisato che il docente può funzionare solo nel ruolo di padre). Chi ha ammonito che i professori devono servire e non sedurre, e ha accusato di irresponsabilità chi gestisce la scuola perché non si occupa dei docenti inadeguati o malati (Mariapia Ve- ladiano, la Repubblica, 3/9). Qualcun altro ha parlato dell’asimmetria nella relazione tra docente e alunni su cui si baserebbe l’insegnamento (Ferdinando Camon, La Stampa, 4/9). La vicenda, poi, è stata strumentalizzata da ogni parte come fatto esemplare. Per esempio, Massimo Gramellini (La Stampa, 29/8) ha osservato che in questo Paese la simpatia e il carisma dell’imputato di un’azione turpe spingono la collettività a chiederne l’assoluzione. Mentre Vittorio Sgarbi (Il Giornale, 8/9) ha accennato alla vicenda come ulteriore prova della sessuofobia della magistratura. Ed è per la congiuntura politica o per qualche singolare convergenza di idee che in questo caso, a differenza dei precedenti, sono soprattutto gli organi di informazione di destra a suggerire la tesi di un incidente inevitabile per il contesto della relazione didattica, alludendo al semplice «abbaglio» di un professore stordito dalla «bellezza poetica» (Libero, 30/8), o alla stravaganza dell’insegnante «tipo border line da Attimo fuggente» (Giordano Bruno Guerri, Il Giornale, 30/8). Mai si era parlato così tanto di scuola, anche se, come al solito, senza parlarne. [email protected] 31 società RIFUGIATI IN TRAPPOLA di Tiziana Barillà Un anno di attesa per ottenere asilo. E frontiere bloccate per chi vuol raggiungere la famiglia. Ecco come l’Italia tiene in ostaggio i profughi. Con il benestare dell’Europa © RODRIGUEZ/AP/LAPRESSE «U no Stato che ha messo sotto sequestro i diritti dei migranti». Così il giurista siciliano Fulvio Vassallo Paleologo definisce l’Italia. Quello dei rifugiati è un tema spinoso. Spinoso almeno quanto i recinti che “proteggono” queste persone. A trovare asilo nel Belpaese sono attualmente in 65mila circa e, nel corso del 2012, le nuove domande sono state 15.700. Cifre da capogiro? Niente affatto. I numeri degli altri Paesi europei dimostrano che l’Italia non è tra le principali mete di chi scappa da guerre e persecuzioni. O almeno non al pari di nazioni come la Germania, che guida la classifica europea con 600mila rifugiati e solo nel 2012 ha ricevuto 77.500 richieste. L’Italia è il cancello d’Europa che queste migliaia di persone tentano ogni giorno di “scavalcare”. Rifugiati. Cittadini non europei che per «timore fondato» di persecuzione - per motivi di razza, religione o opinione politica - scappano dai loro Paesi d’origine. Giunti in Italia, i profughi che presentano la richiesta d’asilo vengono accolti in un Centro di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo (Cara) dove possono essere trattenuti per il tempo necessario affinché una commissione valuti la richiesta. L’accoglienza italiana, in mano al ministero dell’Interno ora guidato da Angelino Alfano, si è strutturato negli anni in due livelli. Ci sono i Cara, grandi centri collettivi gestiti direttamente dalle prefetture e distribuiti per lo più al Sud. Poi, con l’introduzione della Bossi Fini viene istituito il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar). Un sistema che conta 150 progetti, distribuiti in tutto il territorio italiano, che danno un tetto, una formazione e un lavoro a circa 3.500 persone. Pur essendo lo Sprar finanziato dal Viminale, i progetti vengono attivati dagli enti locali, soprattutto Comuni e Province, che nel 90 per cento dei casi ne affidano la gestione ad associazioni del terzo settore. L’iter è chiaro: soccorso, richiesta e identificazione, accoglienza e, in caso di ottenimento dello status di rifugiato, accesso ai programmi di integrazione. Chiaro, però, è anche che l’Italia non si è ancora data un’organizzazione in grado di offrire adeguata protezione. Tra vortici burocratici, insufficienza dei servizi e atmosfere poliziesche, per un rifugiato entrare nel programma di integrazione è come vincere alla lotteria. società left.it CHI CHIEDE PROTEZIONE La copertina di Diritti sotto sequestro (Aracne, 2013), il libro di Fulvio Vassallo Paleologo, docente di Diritto di asilo e statuto costituzionale dello straniero all’università di Palermo 34 RALLENTAMENTI E CODE La permanenza in un Cara dovrebbe durare giusto il tempo in cui una commissione incaricata valuti se accettare o respingere la richiesta di asilo. Trentacinque giorni, secondo la legge. Un trattenimento giustamente limitato, data l’inadeguatezza delle strutture, spiega a left Christopher Hein direttore del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir): «Sono grossi centri collettivi, lontani dai contesti urbani e spesso sono inadeguati per lunghe accoglienze». Un esempio lampante è quello di Mineo, a Catania, l’ex residence degli aranci che ha ospitato fino a 3.600 persone, pur avendo una capienza massima di circa 2mila unità. Il sovraffollamento è dovuto sì ai flussi improvvisi e numerosi, soprattutto in direzione delle coste siciliane, ma anche al sommarsi degli ospiti in coda. Secondo i calcoli del Cir, nei Cara i richiedenti asilo passano una media di 6-8 mesi, ma spesso anche più di un anno. Perché sono questi i tempi necessari per concludere la procedura d’asilo. Un «deficit strutturale», secondo Hein. «I posti disponibili non sono sufficienti ad accogliere tutti. Abbiamo visto molti richiedenti asilo costretti a vivere per strada per settimane prima di vedersi riconosciuto un diritto fissato dalla legge nazionale ed europea». In questa commedia dell’orrore, il principale palcoscenico è la Sicilia, dove «quest’anno sono stati aperti centri di accoglienza in modo molto improvvisato», sottolinea Fulvio Vassallo. «Cosa possibile in base alla legge Puglia del 1995, che dà ai prefetti questo potere in caso di flussi improvvisi e straordinari. Spesso si tratta di scuole, palestre, capannoni industriali. Addirittura a Porto Palo (Siracusa) si è fatto ricorso al mercato ittico». LA RUOTA DELLA FORTUNA Cosa succede se, una volta terminata l’odissea dell’attesa, si ottiene il riconoscimento dello status di rifugiato? Il soggetto riceve un permesso di soggiorno che gli dà gli stessi diritti sociali e lavorativi di un cittadino italiano. Ma con le difficoltà di uno straniero: titoli di studio non riconosciuti, ostacoli linguistici e assenza di una rete familiare e sociale. «È paradossale», avvisa Hein «in termini di accoglienza materiale il rifugiato ha meno diritti del richiedente asilo. Perciò, come Cir chiediamo che venga introdotto un programma nazionale che garantisca un’accoglienza finalizzata all’integrazione almeno per un anno dal riconoscimento dello status». A breve il nostro Paese dovrà recepire la nuova direttiva europea che introduce con più forza il concetto di programmi di integrazione. «L’Italia non può più andare avanti sulla base di progetti che costano molto ma che riescono a raggiungere solo i rifugiati più “fortunati”». Accoglienza e integrazione funzionano quando sono diffuse. È d’accordo Daniela Di Capua, direttrice del Servizio centrale Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar). «Si ottimizzano i tempi, perché si possono seguire le persone una per una. E anche psicologicamente i risultati sono migliori, perché non bisogna dimenticare che non parliamo di migranti tout court, ma di migranti forzati, quindi persone che hanno subito persecuzioni, torture, che sono fuggite loro malgrado e quindi portano con sé traumi e vulnerabilità notevoli». Perciò i progetti messi in piedi da questo servizio, spiega Di Capua, «hanno l’obiettivo di creare un’accoglienza diffusa, in cui lo Stato centrale passi la responsabilità diretta alle amministrazioni locali, che sono i soggetti che poi si occupano realmente delle persone di cui stiamo parlando». Anche il governo sembrerebbe di questo avviso. «In occasione del nuovo bando per lo Sprar per il triennio 2014-2016, il ministro Alfano ha parlato di un’intenzione di finanziare ben 16mila posti», continua la direttrice. Problema risolto, quindi? «Solo se questo aumento di posti sarà accompagna- 14 settembre 2013 left società left.it to dall’incremento delle commissioni territoriali per l’audizione delle richieste d’asilo», risponde Di Capua. «È necessario ridurre i tempi di attesa dei richiedenti, accelerando così la fine del periodo di accoglienza e l’inizio del loro percorso di integrazione». Le prospettive sono rosee e le intenzioni delle migliori. Ma, di fatto, oggi sono in pochi a usufruire di questi programmi. Alla maggioranza dei rifugiati rimangono un paio di alternative: la permanenza prolungata in un Cara o l’abbandono a se stessi. Non stupisce quindi che per molti la via d’uscita sia la fuga. UNA GABBIA CHIAMATA DUBLINO II L’Italia per posizione geografica si trova in una traiettoria particolare, tra i Paesi verso cui si è diretti e tra quelli da cui si scappa. Una tappa di passaggio in un viaggio che spesso ha come meta il ricongiungimento con la famiglia. Peccato, però, che la legge europea preveda un regolamento, introdotto nel 2003 che fissa dei limiti alla libera circolazione dei migranti, anche dei rifugiati. Secondo il regolamento Dublino II un richiedente asilo, una volta identificato in Italia con il rilievo delle impronte digitali, non può presentare domanda di protezione in un altro Paese europeo. «Molti fuggono perché la nostra polizia rileva le impronte digitali e per molti questa è una condanna a vita», spiega Fulvio Vassallo. «Per loro essere stati identificati in Italia significa l’impossibilità di ricongiungersi con la famiglia altrove. Sappiamo che ci sono persone della stessa famiglia condannate a rimanere divise, perché hanno ottenuto lo status di asilo in Paesi diversi. Quindi un’altra emergenza è la pressione della polizia per il rilievo delle impronte subito dopo lo sbarco. Da qui derivano, di conseguenza, le fughe». INTEGRAZIONE, UN MINISTERO SENZA POTERI Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. E «il problema in Italia è che non si riesce ad abrogare la Bossi-Fini, che riduce alla categoria di clandestini anche persone che cercano protezione», ripete come un mantra il professor Vassallo. Eppure il ministro dell’Integrazione Cécile Kyenge si è recentemente espressa in merito: «Credo che questa legge vada rivista», e ha annunciatoper l’autunno un «tavolo immigrazione per cominciare a parlare di modifiche alla legge BossiFini». Suscitando le ire del Pdl che sulle politiche left 14 settembre 2013 Il Movimento migranti: «Il ministro Kyenge non ha portato alcun cambiamento reale» di immigrazione ha le idee chiare: quella leggenon si tocca, a costo di fare cadere il governo. Litigi a parte, resta il fatto che la delega all’Immigrazione rimane nelle mani del Viminale di Angelino Alfano e che «il ministro dell’Integrazione in materia di immigrazione ha dei margini modestissimi», dice Vassallo. «La Kyenge, per il ruolo modesto che ha il suo ministero, che è anche senza portafoglio, delle cose le ha fatte», prosegue il giurista. «Adesso il rischio è che la sua figura si bruci come simbolo, magari bersaglio degli attacchi sempre più frequenti da parte dei razzisti, e che il ministro non riesca anche per questa ragione ad avere la sua effettiva agibilità politica nel portare in fondo le proposte che fa». Dello stesso parere anche il Movimento migranti e rifugiati . «La Bossi-Fini è ancora in vigore, i Cie non sono stati aboliti e se apriamo il capitolo dei rifugiati nulla è cambiato», denuncia Aboubakar Soumahoro.«Il ministero dell’Integrazione non ha portato ad alcun cambiamento della nostra condizione di migranti e rifugiati. Se vogliamo dire che è un dato positivo, simbolicamente, il fatto che al ministero ci sia una donna di origini congolesi, va bene. Ma bisogna affrontare la questione senza ipocrisia, senza nascondersi dietro il colore della pelle. Altrimenti ora non saremmo in grado di criticare Obama per quello che sta facendo in Siria». RIFUGIATI IN MARCIA VERSO STRASBURGO «Non siamo ancora liberi, abbiamo solo raggiunto la libertà di essere liberi». Sono le parole di Nelson Mandela a dare la carica al Movimento migranti e rifugiati che lancia una doppia mobilitazione. A Roma, il 18 e 19 ottobre, «saremo in piazza a Roma» insieme a lavoratori e senza casa», spiega Aboubakar Soumahoro del Movimento migranti e rifugiati. Da lì partirà la prima Carovana europea per il diritto di asilo, che si concluderà a marzo 2014 a Strasburgo, sede del Parlamento europeo. In marcia per chiedere la cancellazione del regolamento europeo Dublino II che, denuncia Soumahoro, «doveva essere una piattaforma per armonizzare le politiche sui rifugiati, ma i risultati parlano di altro: una gabbia che impedisce la libera circolazione degli esseri umani». t.b. 35 società left.it I cercatori di futuro © MALAVOLTA/LAPRESSE di Donatella Coccoli da Lampedusa Dal Corno d’Africa a Lampedusa, per sfuggire a carestie e guerre. Giovani tra i 20 e i 35 anni, intere famiglie. Con una meta: rifarsi una vita in Nord Europa T Lampedusa, 6 aprile 2011, un barcone affonda in mare con 200 migranti, si salvano in 47. Nella foto due superstiti 36 uta, maglietta, scarpe da ginnastica e via. Camminano veloci sulla banchina del porto, confusi tra i turisti in fila davanti ai barconi pronti per il giro dell’isola. La sera, con rapide falcate percorrono la centralissima via Roma, il luogo dello struscio dei villeggianti. Sono giovanissimi e quell’ansia, quella fretta di bruciare i tempi, gliela leggi sul volto. Sono determinati. Anche perché dalla Libia a Lampedusa ne hanno passate di tutti i colori. E vengono dalla carestia e dalla guerra dei loro Paesi del Corno d’Africa: Somalia, Etiopia, Eritrea. «Vogliamo andare in Scandinavia, non voglia- mo restare in Italia». Due occhi neri in un volto nobile e bellissimo, Amina - è un nome di fantasia - viene da L’Asmara. Lei e i suoi amici dentro un negozio stanno tentando di cambiare in euro una manciata di dollari. «Vogliamo solo comprare le t-shirt con il disegno della tartaruga. E poi schede per telefonare», dice in inglese. Spaesati, forse non si rendono conto nemmeno di dove si trovano. Hanno solo una meta: il Nord Europa. Gloria - altro nome di fantasia - viene dal Mali e vorrebbe raggiungere la sorella che vive in Gran Bretagna. «Qual è il cantante che gli italiani amano di più?», chiede uno spilungone appassionato 14 settembre 2013 left società left.it Eritrei, somali, etiopi: tutti giovani tra i 20 e i 35 anni, con un aumento di donne e minori rispetto agli altri anni. Ecco il popolo dei migranti arrivati a Lampedusa nel 2013. Gli ultimi dei 300mila disperati che dagli anni 90 hanno toccato le coste della bella isola delle Pelagie. «Da gennaio abbiamo soccorso circa 8mila persone. L’anno scorso erano state 1237», racconta il comandante della Guardia costiera Giuseppe Cannarile. E se nel 2011 erano stati i nordafricani ad arrivare in massa dopo le Primavere arabe, adesso vengono intercettate in mare persone provenienti soprattutto dalle regioni subsahariane. Dentro la Capitaneria di porto, la scritta «In asperitate maris pro humanitate» è come se riassumesse gli ultimi vent’anni. Segnati da operazioni di soccorso, alcune drammatiche, anche a 100-150 miglia dalle acque territoriali italiane. «I migranti sono inesperti, i più giovani non hanno mai visto il mare - spiega Cannarile - e i gommoni, magari di dieci metri con un centinaio di persone, sono fatiscenti. Spesso sono loro stessi a lanciare l’sos con il satellitare dopo la partenza». Una volta avvistati, nel buio e magari con il mare mosso, il momento più pericoloso è quello del trasbordo, perché potrebbero sbilanciarsi su di un lato facendo inabissare il gommone. «Per questo motivo li affianchiamo con due motovedette, li tranquillizziamo left 14 settembre 2013 © DONATELLA COCCOLI di musica accanto ad Amina. Ridono, finalmente rilassati al bar. Bevono coca cola con gusto, sono curiosi, interessati a conoscere chi gli sta di fronte. Si incupiscono soltanto quando si tocca il tasto del viaggio o della permanenza in Libia. Il deserto attraversato per giorni, poi, le botte: sì, ammettono di essere stati picchiati. E tanta nostalgia. «Questo è mio fratello e questa è la mia migliore amica», indica Amina su una foto stropicciata tirata fuori da una tasca come fosse un tesoro. Non vedono l’ora di partire. Il loro sogno è raggiungere Roma e poi da lì le grandi città europee. «Da noi non era possibile vivere, io vorrei studiare e poi trovarmi un lavoro», spiega Amina nella sua disarmante semplicità. La ragazza non ha fatto i conti con le leggi italiane come la Bossi-Fini che considera l’“essere” clandestino un reato. E nemmeno con la lentezza della macchina burocratica nel riconoscere lo status e i diritti dei rifugiati. Intanto però si è rifiutata di farsi prendere le impronte digitali. Il medico del Poliambulatorio: «Gente disperata, che accetta di tutto pur di partire» e poi li facciamo salire a bordo ». Il diagramma che il comandante mostra sul computer è significativo e permette di leggere i mutamenti geopolitici del Continente. In genere, all’aumento delle persone soccorse corrispondono lo scoppio di guerre e carestie nei loro Paesi di origine. Così si spiegano, del resto, i circa 30mila tunisini sbarcati a Lampedusa subito dopo la rivolta del gennaio 2011. Giorni che non si dimenticano. A marzo erano più numerosi degli isolani: oltre 7mila rispetto ai 6mila lampedusani. Con il Centro di soccorso e prima accoglienza (Cspa) al collasso, senza che le navi li trasferissero in altri luo- Un barcone abbandonato davanti al porto di Lampedusa 37 società © MALAVOLTA/LAPRESSE left.it Il comandante della Guardia costiera: «Il trasbordo dai gommoni è la fase più difficile» Lampedusa, 7 agosto 2013, migranti appena sbarcati dalle motovedette della Guardia costiera vengono portati al Centro di soccorso e di prima accoglienza 38 ghi. Abbandonati nell’isola. Quella che ancora oggi è chiamata “la collina della vergogna”, sopra il porto, con i giovani ammassati all’aperto sotto teloni di plastica, è uno dei tanti lasciti del governo berlusconiano. Una ferita denunciata più volte anche dal sindaco Giusi Nicolini che da quando è stata eletta, nel 2012, si è impegnata a rendere Lampedusa «il posto dove inizia l’Europa e non dove finisce». «Dal 2011 la situazione è cambiata», afferma Federico Migliarotta che dal 2007 è direttore del Cspa gestito da Lampedusa accoglienza srl una società che fa parte del consorzio di cooperative sociali Sisifo. «Rimangono in media cinque-sei giorni prima di partire per i Cie o i Cara. Cerchiamo di trovare sempre soluzioni anche quando ci sono i minori. E vengono fornite assistenza sanitaria e informazioni legali, con la presenza di rappresentanti delle associazioni umanitarie e di mediatori culturali». A Lampedusa c’è un uomo che si definisce “il veterano dell’immigrazione”. È il dottor Pietro Bartolo, responsabile del Poliambulatorio e del coordinamento delle attività sanitarie per i migranti, compreso il monitoraggio quotidiano del loro stato di salute. «Ricordo ancora i primi. Era il ’91. Arrivò una barchetta di legno con tre tunisini a bordo. La cosa fece scalpore, la gente gridava “arrivano li turchi!”», racconta il medico. Che ha visto di tutto, anche l’orrore. Come quando si è calato nella stiva di un barcone e ha scoperto 25 cadaveri di giovani morti soffocati. E che nel terribile 2011 si ritrovò in prima linea a combattere le epidemie, là sulla “collina della vergogna”. «Uno di quei ragazzi tunisini, Omar, l’ho adottato. È il mio quarto figlio, l’ho fatto studiare e ora fa il mediatore culturale». Sorride il dottor Bartolo al pensiero di Omar. Ma poi torna serio parlando degli ultimi arrivi. «Gente disperata, che affronta qualsiasi cosa pur di andar via da quella terra che è la loro patria». Ammette di non commuoversi facilmente, ma qualche tempo fa gli è accaduto. «C’era un ragazzo di 17 anni con la frattura al ginocchio consolidata male, non poteva camminare, e io mi chiedevo come avesse fatto ad arrivare fin qui. Dalla motovedetta l’abbiamo preso di peso per trasportarlo con una sedia a rotelle. A quel punto si è sentito un grido, è piombato un altro ragazzo che se lo è caricato sulle spalle. Allora ho capito. Era il fratello, che se l’era portato così per tutto il tempo attraverso il deserto dalla Somalia fino alla Libia». Dopo un viaggio che può durare anche cinque giorni, i migranti arrivano disidratati, disorientati, alcuni con ustioni dovute al contatto con la benzina. Qualche volta i più giovani hanno crisi dissociative. Ma in genere sono in buone condizioni fisiche. Come alcuni bambini di duetre anni appena visitati da una pediatra chiamata dal dottor Bartolo per un consulto: «Stanno benissimo, non sembra nemmeno che abbiano passato due giorni sul gommone. Si vede che hanno voglia di farcela». 14 settembre 2013 left società Un Paese nell’ombra di Cecilia Tosi I giovani eritrei attraversano il deserto per scappare da un regime militarizzato e autarchico. Che con la caduta di Gheddafi ha perso il suo unico amico I l nome glielo abbiamo dato noi ma ce lo siamo subito dimenticato. La regione intorno ad Asmara fu battezzata Eritrea dai coloni italiani, che con il fascismo cercarono di trasformarla in una base per la conquista di tutto il Corno d’Africa. Il tempo di militarizzarla e Mussolini è caduto, lasciandola in pasto ai suoi nemici, gli etiopi, che l’hanno annessa e conservata fino al 1992. Oggi, a 20 anni dall’indipendenza, l’Eritrea è più militarizzata di 100 anni fa. Il presidente Isaias Afewerki, di fede marxista, l’ha trasformata in un enorme campo di addestramento, dove vige l’eterno stato d’emergenza e il servizio militare non ha mai fine. Il suo Paese colleziona denunce e condanne di tutte le associazioni per i diritti umani del mondo, ma per il presidente e i suoi sostenitori si tratta solo di un complotto imperialista, ordito principalmente dagli Stati Uniti per favorire l’alleata Etiopia. La dialettica finisce qui, perché il regime eritreo non si cura dell’opinione internazionale e perché l’opinione internazionale non si cura dell’Eritrea. Nemmeno gli italiani sanno che si trova nel Corno d’Africa, che con l’indipendenza del 1992 ha tolto lo sbocco al mare all’Etiopia e che da allora è in guerra perenne con tutti i vicini: negli anni Novanta ha combattuto col Sudan, poi con Gibuti e poi con lo Yemen. Ma i suoi nemici di sempre sono gli etiopi, con cui si contende delle strisce di terra al confine e per left 14 settembre 2013 © FLICKR questo il popolo tutto deve stare in allerta. E sotto assedio l’isolamento è totale. Chi conosce bene l’Eritrea la paragona alla Corea del Nord, ma Isaias non fa esperimenti nucleari per questo non è famoso come Kim Jong Un. Di sicuro dai nordcoreani hanno mutuato il sistema di istruzione. «In Eritrea non esiste più l’università», ci racconta Adem Amir, delle Rete di solidarietà internazionale dei giovani eritrei per la salvezza (Eysns). «Invece di scegliere la facoltà si sceglie la caserma, e i giovani che vogliono studiare si addestrano di giorno e vanno a lezione la sera». I giovani di Eysns denunciano il regime ma vengono attaccati dai loro stessi connazionali, che tacciano i dissidenti di essere sul libro paga del nemico. D’altra parte, è vero che le reti dell’opposizione vengono ospitate e sostenute dall’Etiopia, che a sua volta non può certo vantare una democrazia realizzata. Alimentare il conflitto perenne fa il gioco di entrambi i Paesi, che possono così dedicarsi alla tutela della sicurezza nazionale invece che occuparsi del noioso capitolo dei diritti umani e civili. Chi vuole discutere di democrazia è costretto ad affidarsi all’aiuto straniero, anche americano, nel tentativo di sfuggire ai tentacoli dello Stato di polizia, che superano di gran lunga i confini nazionali. Il regime eritreo in questo è insuperabile: «In Italia una rete di rappresentanze consolari, associazioni e per- Una giovane donna eritrea di fede islamica. Il presidente Isaias reprime con la stessa intensità qualsiasi comunità religiosa 39 © WIJNGAERT/AP/LAPRESSE società 40 sino ristoranti servono a raccogliere informazioni su tutti i connazionali e tenerli sotto controllo», spiega Dania Avallone di Asper (Associazione per i diritti umani in Eritrea). E chi risiede qua, anche se paga regolarmente le sue tasse in Italia, deve comunque versare il 2 per cento dei suoi introiti al governo eritreo, pena ritorsioni sui suoi parenti rimasti in patria. I sostenitori del regime, attivi anche in Italia, scrivono sui loro siti che «gli eritrei sono orgogliosi di poter sostenere chi nel proprio Paese, amici, parenti, vicini di casa, è in difficoltà. Questi soldi, ben inferiori alle rimesse, aiutano lo Stato a sostenere il costo della pubblica amministrazione che fornisce i documenti anche agli eritrei della diaspora». Purtroppo, evidentemente, questi soldi non bastano. Le condizioni economiche dell’Eritrea og- 14 settembre 2013 left società © WARSAMEH/AP/LAPRESSE Il presidente Isaias combatte il terrorismo ma sostiene gli islamisti in Somalia gi sono disastrose. «Ormai è diventata un lusso anche l’elettricità», spiega Adem Amir. «C’è quasi sempre il black out ed è diventato difficile anche parlare con i nostri parenti, perché non possono ricaricare il telefono. Manca il gas e manca la benzina, che viene venduta solo al mercato nero». L’inferno dell’Eritrea è cominciato con l’indipendenza e con l’incasellamento di ogni cittadino in una categoria sociale. Quattro religioni riconosciute, nove etnie e tutti gli altri in carcere. I primi ad essere rinchiusi sono stati i Testimoni di Geova, che si rifiutavano per fede di combattere per la patria, poi l’etnia jeberti che chiedeva il proprio riconoscimento insieme alle altre nove. Nel 1994, in una notte, sono stati arrestati tutti gli insegnanti di religione musulmana e per anni l’Eritrea è stata accusata di discriminare i citta- left 14 settembre 2013 dini islamici, ma negli ultimi tempi sono le associazioni cristiano evangeliche a denunciare arresti e torture dei propri fedeli. Il presidente Isaias non fa discriminazioni tra musulmani e cristiani, solo tra chi è allineato e chi no. Il suo rispetto delle differenze religiose è talmente forte che riesce contemporaneamente a fornire supporto logistico alla marina israeliana e finanziare movimenti islamisti come i giovani somali di al Shabaab. La rete di alleanze internazionali di Isaias è a geometria variabile, ma include spesso l’Iran e tutti i Paesi che l’America etichetta come Asse del male, nonostante lo stesso governo eritreo si dichiari un baluardo contro il terrorismo internazionale e combatta contro il Mise, il fronte islamico per la liberazione dell’Eritrea. Il migliore amico di Isaias, però, era Muammar Gheddafi. Con la sua caduta sono finiti anche gli aiuti economici e i rifornimenti di benzina, e il governo eritreo si è fatto prendere dal panico. Con la scusa di contrastare gli sconfinamenti degli etiopi - gli accordi di Algeri hanno stabilito una zona cuscinetto presidiata dall’Onu sul confine - il governo ha distribuito armi a tutta la popolazione, vecchi e bambini compresi. «Ho visto bimbi di 6 anni con un fucile in mano», racconta un funzionario internazionale che ha lavorato in Eritrea. Nel 2012 il traffico di armi è stato raccontato da un rapporto Onu che ha denunciato le violazioni dell’embargo imposto ad Asmara. Ma il rapporto integrale non è mai stato pubblicato a causa dell’opposizione di Italia e Russia. L’ambasciatore italiano alle Nazioni unite, Cesare Maria Ragaglini, sosteneva che fosse pieno di inesattezze e non fornisse prove certe della compravendita di armi. Ma ci sono anche interessi imprenditoriali italiani a fermare le condanne del regime eritreo, ormai specializzato in intermediazione. Compra materiale buono per la costruzione di armi e lo rivende a chi ne ha bisogno». Stretto da un crescente isolamento, al governo non resta che commerciare ferri vecchi. Oppure essersi umani, come quei 3mila eritrei che ogni mese cercano di fuggire dal Paese. Il prezzo per essere trasportato in Sudan con un’elegante auto da funzionario è di 5mila dollari. Anche chi fugge dà una mano al regime. In alto, Somalia, centinaia di miliziani Shabaab al termine di un corso di addestramento svolgono esercitazioni militari nella zona di Lafofe, a circa 18 km a sud di Mogadiscio. In basso, Tripoli, 2010, il presidente dell’Eritrea Isaias Afwerki arriva all’aeroporto Mitiga per il 3° summit tra Africa e Ue 41 mondo Inondati dal progresso di Giacomo Cuscunà foto di Tommaso Protti I progetti di sviluppo del governo turco passano attraverso dighe e laghi artificiali. Che ridisegnano la geografia e cancellano insediamenti millenari La moschea sommersa nella zona di Rumkale sul fiume Eufrate. La città di Halfeti è stata parzialmente inondata nel 1999 in seguito alla costruzione della diga di Birecik, una delle 22 del progetto Gap mondo left.it xxxxxxxx xxxxxxxx xxxxxxxx xxxxxxxx xxxxxxxx xxxxxxxx 44 14 settembre 2013 left mondo left.it L a casa di Bey Borek è proprio di fronte al lago, nella prima fila di edifici sul pelo dell’acqua. A pochi metri il minareto semisommerso tace ormai da tredici anni. Da quando la valle è stata invasa dall’acqua, dopo la costruzione di una diga pochi chilometri a valle, questo villaggio di contadini e allevatori si è svuotato. Il silenzio è rotto solamente dalla musica da discoteca di qualche barca turistica di passaggio e dal raglio degli unici due asini rimasti. Il villaggio fantasma vicino Rumkale, sulla riva dell’Eufrate, non ha nome, ma rappresenta un’attrazione per le famiglie della regione, che durante i mesi estivi passano qui il fine settimana, tra grigliate di pollo e tuffi nell’acqua ghiacciata del mitico fiume. È uno dei tanti luoghi abbandonati e finiti in rovina grazie al piano energetico sviluppato negli ultimi quindici anni dal governo turco. «Ci hanno dato dei soldi, per compensare la perdita delle case e abbiamo costruito un piccolo villaggio sulla collina», racconta Bey Borek, 34 anni, mentre sorseggia un bicchiere di tè. La veranda, ora punto di approdo per le imbarcazioni, è invasa dalle erbacce. Sotto l’ombra di un fico l’uomo prosegue: «La vita ora per noi è difficile, soprattutto in inverno: il turismo si ferma e noi siamo soli». Attorno le case abbandonate di quello che rimane del villaggio. Poco più in là, la punta del minareto proietta la sua ombra sull’acqua che ha coperto il resto della moschea. Lui, come gli altri abitanti che non hanno abbandonato definitivamente la zona, ha dovuto ricostruirsi una vita. Da contadino e allevatore, Bey Borek si è improvvisato barcaiolo. I remi di una delle sue barche sono lunghi rami, con una tavola di compensato a muovere l’acqua. Sull’altra sponda del fiordo quello che rimane visibile di antiche rovine e chiese rupestri romane. Le grotte sono lo scrigno naturale di bassorilievi antichi, anneriti dalla fuliggine. Croci e iscrizioni segnano la roccia e al di là di un cunicolo i resti di un cimitero. «Sotto il pelo dell’acqua sono scomparsi decine di resti antichi e non abbiamo mai visto esperti o archeologi», spiega l’odierno Caronte, uscendo a piedi scalzi dal sito, nascosto da rovi e piante di melograno. Un destino simile a quello delle rovine di Rumkale attende altri luoghi simbolo del sud della Turchia, regione prescelta da Ankara per ospitare le nuove infrastrutture idroelettriche a sostegno left 14 settembre 2013 del piano energetico del Paese. Come testimoniato dal network ambientalista River watch entro il 2013 l’esecutivo di Erdogan punta a far funzionare più di 4mila impianti: «Nessun fiume seguirà più il suo naturale fluire. Decine di migliaia di persone saranno espulse dalle loro case e siti naturali e archeologici verranno distrutti su vasta scala», la denuncia di Ulrich Eichelmann, attivista che anima l’associazione “Stop Ilisu - Rettet Hasankeyf!” e che spiega come «il governo turco parla di sicurezza energetica o di una più corretta gestione delle risorse idriche, ma nessuna di queste motivazioni giustifica questo scempio». Lo scandalo che ha suscitato la più grande mobilitazione è il progetto della diga di Ilisu, nel sud est della Turchia, che andrà a sommergere l’antico gioiello della città di Hasankeyf, i Sassi di Matera turchi, e che avrà infuenze pesantissime sugli equilibri naturali di tutto il corso del fiume Tigri, fino al sud dell’Iraq. «Le famose zone umide della mitica Mesopotamia diverranno di nuovo un deserto», ammonisce Ulrich Eichelmann. Ma i progetti di sviluppo non si fermano. Il governo turco va avanti, mentre i suoi cittadini arrancano tra i flutti che inondano le rovine della loro storia. SPAZIO AL CONTEMPORANEO Le foto di questo reportage saranno esposte a Specie di spazi, titolo e filo conduttore della 22esima edizione del SIfest, l’atteso festival di fotografia contemporanea che si svolgerà dal 13 al 29 settembre a Savignano sul Rubicone (Fc). Spazio condiviso, spazio libero, spazio critico, spazio immaginario. E grandi incontri ed esposizioni di autori di fama internazionale come Joachim Schmid, Max Pam, Roman Bezjak, Franco Vaccari, Elio Luxardo. Savignano ha dato nuovo spazio di manovra al reportage. Dopo l’acceso dibattito scatenatosi l’anno scorso per il premio al giovanissimo Giorgio Di Noto, che ha immortalato la primavera araba da un computer di casa, anche quest’anno si attende il vincitore del Premio Marco Pesaresi, che riconosce il progetto più innovativo nell’ambito della fotografia contemporanea. a.c. Le foto di queste pagine fanno parte della serie Turkish blue gold di Tommaso Protti. Nella pagina accanto, in alto, una strada di Sanliurfa, la città che rappresenta il centro amministrativo del progetto di dighe del governo turco (Gap). Dagli anni 90 la città sta conoscendo un notevole sviluppo industriale. In basso, un ragazzo salta in un canale di irrigazione nella pianura di Harran nella provincia di Sanliurfa 45 cultura 48 Il festival dei filosofi in amore Romaeuropafestival torna ad animare la Capitale dal 25 settembre. Tra i nomi più attesi dell’edizione 2013 della rassegna ci sono Sasha Waltz, Antonio Latella, Jan Fabre, Thomas Ostermeier, Muta Imago, Antonio Tagliarini e Daria Deflorian, Romeo Castellucci. Ma anche il videoartista Diego Buongiorno. La sua nuova opera, The Bush My Heart is a Forest ( in foto), sarà presentata il 19 e 20 ottobre al Palladium. 52 Archeologia. Salviamo Sibari 56 Il medico che vinse sulla peste cultura left.it Amo dunque sono di Simona Maggiorelli Cambiare il vecchio motto cartesiano aprendo la filosofia alle passioni. È la proposta di Manuel Cruz. Per liberare il rapporto fra uomo e donna urge cestinare vecchi stereotipi e dogmi dice l’antropologo Franco La Cecla N L’antropologo Franco La Cecla. A destra Correggio, Giove ed Io (1531) 48 ell’antica Grecia, se Socrate preferiva la “compagnia” del giovane Alcibiade a quella della (pestifera?) moglie Santippe, l’omosessuale Platone, parlando di amore, fantasticava di mostruosi androgeni. Poi, Agostino, convertitosi al Cristianesimo, divenne il più feroce fustigatore della passione fra uomo e donna. E, su questo versante, non andava granché meglio nemmeno nell’età dei Lumi visto che il laico Immanuel Kant, che esortava ad emanciparsi da ogni stato di minorità, evitava con cura i rapporti con le donne, badando a mantenersi castissimo. Che dire poi di Schopenhauer che riteneva l’amore un inganno della natura? E del povero Nietzsche che, nonostante i millantati amori con valchirie come Lou von Salomè alla fine si ritrovò ad abbracciare un cavallo? Abili a trattare con il Logos e a discorrere sul piano astratto i filosofi nella storia occidentale si sono per lo più presentati come soggetti neutri, impersonali, desessualizzati. Dimostrandosi degli assoluti disastri nella vita quotidiana per quanto riguarda la vita sentimentale e sessuale. Qualche anno fa lo raccontavano in modo anche spassoso, Aude Lancelin e Marie Lemonnier nel libro I filosofi e l’amore (Raffaello Cortina, 2008): pungente ricognizione in cui Kant veniva descritto come «un abisso di ghiaccio» e Sartre come affetto da dongiovannismo compulsivo e seriale, mentre di Hannah Arendt le due giornaliste del Nouvel Observateur sottolineavano l’attaccamento perverso, durato tutta la vita, al nazista Heidegger. Lungo la strada aperta da Lancelin e Lemonnier, scrivendo di filosofi «pasticcioni in amore» sul Corriere della sera Armando Torno ricordava anche che nella koinè libertaria del ’68 personaggi come Michel Foucault, JeanPaul Sartre, Simone de Beauvoir, e Jack Lang arrivarono a lanciarsi in una criminale difesa della pedofilia firmando un manifesto in cui si chie- deva la legalizzazione dei rapporti sessuali con i minori. Da filosofo e non da giornalista l’anno scorso Manuel Cruz è tornato a porsi la domanda fatale: come hanno amato i filosofi che cercano di riflettere sull’amore? E non per gusto del pettegolezzo e del retroscena, ma per cercare di comprendere più a fondo l’opera di pensatori che nel bene e nel male hanno segnato la storia, portando alla luce i nessi latenti fra biografia e scritti. Il risultato della sua ricerca, che parte dal presupposto che le passioni non devono essere ostracizzate dal discorso filosofico, è contenuto nel volume L’amore filosofo uscito l’anno scorso per Einaudi. Venerdì 13 il docente di filosofia contemporanea dell’università di Barcellona lo ha presentato al Festivalfilosofia 2013 (dedicato proprio al tema dell’amore) proponendo provocatoriamente di sostituire al tradizionale motto cartesiano «Cogito ergo sum» il più dirompente Amo dunque sono. «Di fronte al tema dell’amore i filosofi si sono sempre trovati in forte imbarazzo, consegnandolo per secoli alla religione e nel Novecento lasciando che fosse la psicoanalisi a occuparsene in qualche modo», commenta l’antropologo Franco La Cecla, che domenica 15 settembre in piazza Grande a Modena terrà una lectio magistralis sul tema dell’amore visto dal «campo maschile». Un ambito al quale lo studioso ha dedicato il libro Modi bruschi (Elèuthera, 2010) e più di recente il provocatorio Il punto G dell’uomo (Nottetempo), due lavori che cercano di scardinare le stereotipie del maschile ma anche di indagare la crisi a cui sembra andare incontro l’identità maschile mentre le società, anche quelle più tradizionaliste, nell’orizzonte mobile della globalizzazione, sperimentano forti mutamenti. Ma l’eclettico La Cecla (architetto e urbanista, oltreché docente di antropologia all’università San Raffaele di Milano) ha scrit- 14 settembre 2013 left left.it to anche il libro Lasciami (Ponte alle Grazie), che intercetta il tema dell’amore dal punto di vista della separazione, raccontando come venga affrontato questo momento cardine in culture diverse da quella occidentale. E anche da qui prende il la il nostro incontro. Professor La Cecla la filosofia fondata sul Logos a quanto pare si è dimostrata incapace di affrontare il tema dell’amore inteso come dialettica di identità e rapporto profondo, irrazionale, fra uomo e donna. L’antropologia, partendo da una visione più complessiva dell’essere umano, ci permette di comprendere qualcosa di più delle dinamiche del desiderio e della passione? Sì, i filosofi si sono trovati per lo più in forte difficoltà nell’affrontare il tema. Con qualche eccezione che val la pena di sottolineare. Penso per esempio a Jean Luc Nancy e, per altri versi, alla riflessione di René Girard. Venendo alla sua domanda, comincerei col dire che, per esempio, l’antropologia ci permette di vedere che la passione amorosa non è affatto un’invenzione dell’Occidente, ma esiste in tutte le culture e le società del mondo. Così come esistono il dolore e l’importanza dei congedi. A questo tema della separazione è dedicato il primo dei suoi interventi al Festivalosofia di Modena, Carpi e Sassuolo. Qual è la maniera migliore per lasciarsi? In un certo senso “il perfetto lasciamento” consiste nel non lasciarsi mai. Mi spiego meglio. La fine di una storia d’amore comporta sempre dolore. C’è il lutto, l’oblio. E c’è l’ostinazione a restare insieme. Ma lasciarsi bene significa, io penso, anche portare dentro di sé il rapporto vissuto con l’altra, anche come memoria profonda. Su questa questione, però, si sovrappongono le religioni. E da noi quanto pesa questa illusione del “per sempre” il mito romantico dell’amore? Pesa moltissimo. Ha contribuito a imporre un’idea sacralizzata dell’amore. La fine di una storia d’amore è circondata quasi da un’idea di peccato. È colpita da uno stigma cristiano. Del resto, purtroppo, non sappiamo neanche più cosa significhi essere laici. Tornare alla Grecità pagana? Che senso avrebbe? Senza contare che siamo troppo attaccati alla visione consolatoria cristiana della coppia, che esclude ogni dialettica fra maschile e femminile, nella loro diversità. left 14 settembre 2013 cultura cultura left.it Accanto, Le stanze dell’Amore cieco, Carpi, Palazzo dei Pio Basilica Inferiore di Assisi, E, il particolare dell’affresco, Allegoria della Castità. Sotto, un’immagine del Kamasutra IL FESTIVAL A MODENA, CARPI E SASSUOLO Dal 13 al 15 settembre torna Festivalfilosofia, la kermesse culturale che per tre giorni coinvolge Modena, Carpi e Sassuolo. Sono quasi 200 gli appuntamenti quest’anno fra lezioni magistrali, mostre, concerti, spettacoli e cene filosofiche. Tra i protagonisti Bauman, Augé, Illouz, Bodei, Cruz, Ferry, La Cecla, Pulcini, Rodotà,Gregory de Monticelli, Esposito, Giametta e molti altri. Amare è la parola chiave 50 e di discussione dell’edizione 2013 Un tema chiave della tradizione filosofica e una questione cruciale dell’esperienza contemporanea. Il programma filosofico del festival propone anche la sezione “la lezione dei classici”: esperti commenteranno i testi che, nella storia del pensiero occidentale, hanno costituito modelli o svolte concettuali rilevanti per il tema dell’amore. www.festivalfilosofia.it Nasce dal cristianesimo l’idea di coppia come viene raccontata dai media e dal main stream in Occidente? Nasce da un’idea cristiana. Ma la coppia come la intendiamo noi è anche “un’invenzione” recente. Se ci pensiamo bene ci accorgiamo che l’abbiamo mutuata dall’ideologia americana. Il matrimonio è un’invenzione dell’Occidente. Ed è un’invenzione di qualcosa di mostruoso che costringe la passione ad uno scacco. Il divorzio, anche se la legge lo consente, viene comunque percepito come un fallimento. Sì, certo, puoi riprovarci ma c’è comunque qualcosa che ti resta addosso con un alone negativo. È un po’ come a scuola, se vieni bocciato, in qualche modo sei marchiato per sempre. Nei suoi libri lei accenna anche alla difficoltà della filosofia e più in generale della cultura ad affrontare il tema del desiderio in particolare quello maschile. Ovvero? A mio avviso bisognerebbe riuscire a strappare il tema all’eccessivo militantismo di cui è stato fatto oggetto anche in anni recenti da parte, per esempio, del femminismo. Si è imposta una certa mistica. Il desiderio femminile nella cultura è stato rappresentato come l’unico capace di mettere insieme corpo, sessualità e vita affettiva. Ma si è finito per sconfinare in una sacralizzazione della libido femminile, a cui è stato sottratto ogni elemento “dissacrante” Nel libro Il punto G maschile, provo a dire proprio questo. Nella sua brutalità, nel suo essere “ignorante” il desiderio maschile è rimasto più dissacrante. Mi pare che nella sua “inguaribile” oscenità ci sia qualcosa da recuperare, che ci parla della relazione uomo donna come vitale dialettica fra due identità diverse. Però l’identità e il desiderio femminile sono stati oggetto anche di una violenta demonizzazione da parte della Chiesa... Senza dubbio. Sono stati colpiti da un giudizio morale. Ma anche il desiderio maschile ha subìto una condanna. La religione cristiana ha imposto alla relazione fra uomo e donna il sesso per la sola riproduzione. Questo è noto. Quello che cercavo di dire è che il femminismo ha scelto la stessa strada del cristianesimo nell’appiattire il rapporto fra uomo e donna, negando la differenza maschile, imponendo un egualitarismo neutro. Fin qui abbiamo parlato molto di cristianesimo, nell’islam il desiderio femminile è 14 settembre 2013 left cultura left.it AMOR VICIT OMNIA. PAROLA DI LUC FERRY maggiormente accettato, se pur solo all’interno del matrimonio? Non direi. Il sesso nell’islam ha qualcosa di meccanico, è considerato un bisogno come mangiare... In Modi bruschi lei affronta anche il tema della crisi dell’identità maschile nella società occidentale attuale, dicendo che non la convince un certo modo maschile di ammettere la propria difficoltà e di chiedere scusa alle donne per la propria inadeguatezza, perché le sa tanto di pentimento cristiano. Sì, anche se con questo non voglio dire che non ci sia un problema. Questioni drammatiche come il femminicidio sono sotto gli occhi di tutti. Ed è un problema a mio avviso che ha a che vedere con un fatto culturale importante come la fine del patriarcato: le vecchie regole che sui la società era organizzata vengono meno. C’è una forma di società più aperta e in uomini cresciuti nella vecchia cultura che faticano ad affrontare questo passaggio si possono sviluppare ansie e insicurezze. Ma c’è anche dell’altro, quest’ondata di violenza maschile sulle donne ha anche a che vedere con quell’idea di matrimonio o di rapporto di coppia a cui accennavamo prima. E che implica un’idea di possesso dell’altra. Altre società non hanno questo modo di intendere i rapporti fra uomo e donna? Alcuni nativi dell’Amazzonia, per esempio, non hanno questo rapporto duale legato al possesso. E i bambini non vengono allevati dai genitori biologici ma da tutta la comunità. Lei ha dedicato molti studi e viaggi di ricerca all’India. Di recente è uscito per l’editore O barra O il suo Indian kiss. Viaggio sentimentale a Bollywood e oltre. Che cosa sta accadendo in Asia dal punto di vista della violenza sulle donne? In un servizio di Al Jazeera si riportavano delle cifre allarmanti. In Asia negli ultimi anni il numero degli stupri è aumentato del 40 per cento. Anche in questo caso in filigrana a mio avviso bisogna leggere il cambiamento culturale che ha portato al superamento dei modi di vita imposti dalle società tradizionali. Le vecchie società si stanno scassando. La competizione fra i sessi nella sfera pubblica e sociale si è fatta più accesa di un tempo. Scatta la paura negli uomini. E talora anche la violenza e la pazzia. left 14 settembre 2013 «L’amore ha acquisito una nuova dimensione oggi. Non è più una passione come un’altra, come la paura, l’indignazione o la rabbia (anche se queste ultime toccano la democrazia). L’amore è una passione che dà senso alla nostra vita. Questo è quello che ho chiamato la “rivoluzione dell’amore”», dice il filosofo Luc Ferry in questo weekend al Festivalfilosofia di Modena, Carpi e Sassuolo per discutere del tema guida della edizione 2013 della kermesse, ovvero l’amare. «Il rapporto fra un uomo e donna è una questione di pelle e coinvolge la nostra vita emotiva più profonda», prosegue il filosofo ed ex ministro francese per la ricerca. «Una storia d’amore è un fatto privato, ma io sono convinto che attraversi anche la vita collettiva. Anche se non abbiamo quasi mai il coraggio di parlarne al di fuori della stretta intimità. Dentro di sé tutte le persone sanno che l’amore è la passione che conta più di tutte. Anche se su questo, per pudore, si tace». Intanto però il potere che nel Terzo millennio ha conquistato l’eros «sta già rivoluzionando i principi cardine della filosofia e della politica, ha surclassato il cosmo dei greci e il dio delle religioni monoteiste, la ragione e l’umanesimo repubblicano. La passione ha gradualmente sostituito i tradizionali nuclei di senso e valori come il sacrificio di sé. Almeno in Europa - sottolinea Ferry - chi andrebbe oggi a morire per Dio, per la Patria o per la rivoluzione? Quasi nessuno, ma per coloro che amiamo, noi saremmo pronti a tutto. Ecco questa nuova forza delle passioni oggi ci permette di andare oltre l’umanesimo illuminista e i suoi critici, al di là di Kant e Nietzsche, andando verso una nuo- va “spiritualità” laica. Ho voluto raccontare questa storia nei mie ultimi libri», ribadisce Ferry. «Soprattutto ho cercato di trarne le conseguenze filosofiche culturali, morali, politiche... Sono convinto che l’ importanza che ha assunto la passione amorosa cambierà la nostra visione del mondo e della nostra capacità di trasformare noi stessi». Ma prima di lanciarsi in questa entusiastica battaglia per riscattare il tema dell’amore agli occhi della riflessione filosofica anche accademica, Luc Ferry è stato autore anche di libri importanti come ’68 pensiero, un volume scritto a quattro mani con Alain Reanut e che fra i primi ha avuto il coraggio dimettere in luce le contraddizioni non feconde che attraversavano il ’68 francese in cui il pensiero nazista di Heidegger veniva sdoganato grazie a Foucault. «Quando scrivemmo quel libro dice Ferry a left - erano i primi anni 80. E allora a dire il vero ci interessava soprattutto denunciare la follia totalitaria che ancora dominava il panorama politico e intellettuale francese. Anche a causa di pensatori come Lefort e Castoriadis. Cercavamo di stimolare la sinistra a fare la propria rivoluzione anti-totalitaria, mentre ancora sguazzava nel maoismo e nel trotskismo». Quanto a Foucault «mi dispiace dirlo in modo brusco, ma a mio avviso non è stato affatto un maestro. Ha ripreso alcune idee di Nietzsche atteggiandosi ad epigono di Heidegger. Foucault ha “surfato” sulla cresta dell’onda del Maggio ’68, ma dopo quel momento di eccitazione, non c’è quasi nulla di suo che oggi possiamo leggere con profitto. I suoi libri sono stati più che altro un sintomo di una s.m. certa epoca». 51 cultura La città che visse più volte di Manlio Lilli Otto mesi fa Sibari è stata travolta da un’esondazione e le autorità hanno gridato all’emergenza. Ma il fango ricopre ancora i suoi strati più antichi C i sono luoghi nei quali l’ambiente naturale non sembra disponibile a essere sottomesso alle esigenze umane, se non in maniera provvisoria. Spazi nei quali l’antropizzazione, nelle sue differenti forme fino all’urbanizzazione, è quasi un’illusione. E in ogni caso è “a tempo”. La casistica, infinita: Pompei ed Ercolano nell’antichità romana, Olympia, nel Peloponneso nord occidentale o Avola e Messina in età moderna. Oppure Sibari, in Calabria, nella provincia di Cosenza. Non la frazione del Comune di Cassano all’Ionio, nata negli anni Sessanta e sviluppatasi grazie alle bonifiche che riportarono alla luce la piana di Sibari e cresciuta nel corso degli anni Ottanta e Novanta beneficiando del turismo dei villaggi vacanzieri. Ma la Sibari antica, quella dell’archeologia stratificata. La città fondata alla fine del VII secolo a. C. dai Greci e, a detta di Strabone, estesa per circa 9 chilometri. Sommersa nel 510 a.C. dai Crotoniati, con le acque del fiume Crati, deviato per l’occasione. Città sulla quale nel 444 - 443 a.C. fu fondata Thurii, dal nome di una fonte nelle vicinanze e che, dopo alterne vicende, nel 193 a. C. fu sede della deduzione di una colonia romana, Copia. Trasformata in municipio nell’84, creb- 52 be notevolmente in età imperiale, per iniziare poi il suo declino tra V e VI secolo, in seguito all’impaludamento dell’area. Fino al suo abbandono, definitivo, nel VII. Di questa storia di sovrapposizioni urbanistiche, di piani regolatori differenti, ma mai in antitesi tra loro, di lotte antiche ma anche recenti contro le acque, di ricerche archeologiche “complicate” e comunque abbastanza recenti, ci sono i resti nel parco archeologico lungo la SS 106 ionica, quasi all’altezza dei Laghi di Sibari. Un paesaggio pianeggiante, costituito dal verde delle coltivazioni stagionali, un parco per certi versi atipico che include diversi cantieri di scavo, dislocati su un lato (Parco del Cavallo) e l’altro (Prolungamento strada, Casabianca e Stombi), della Statale, a distanze anche considerevoli tra loro. Tutto sommerso dalle acque del Crati, esondato dopo giorni di piogge incessanti nel gennaio passato. Tutto ricoperto di fango. Come accaduto nel VI secolo a. C. Allora, provocato dall’ingegno dei Crotoniati. Ora dall’incuria, dalla disattenzione degli eredi della Sibari del passato. Le foto di quel disastro sono state pubblicate sulle pagine di cronaca della quasi totalità dei quotidiani di casa nostra. Riportate anche dalle testate straniere. Le imma- 14 settembre 2013 left cultura © VIGILI DEL FUOCO © VITTOARE/FLICKR left.it gini dell’incapacità italiana di proteggere un sito archeologico di straordinaria rilevanza sono rimbalzate sulle televisioni di mezzo mondo. A sciagura consumata è iniziata la gara di solidarietà. Sul posto non soltanto gli organi preposti, come i Vigili del fuoco, ma anche strutture locali, come Coldiretti Calabria e i Consorzi di bonifica, hanno contribuito alle operazioni di prosciugamento dei siti. E naturalmente si è occupata della questione il Fai. Il caso di Sibari è divenuto un’emergenza nazionale. A ragione. Sembrava l’inizio di una grande mobilitazione. Di una risoluzione in tempi brevi. Che ancora, però, non c’è stata. Nei primi giorni di agosto il ministro dei Beni culturali Bray, in visita al sito, ha potuto verificare come l’acqua non ci sia ormai più, ma come il fango sia ancora lì. Tenace. A ricoprire, quasi sigillare, pavimenti, strade, muri. Ogni cosa. A seppellire l’impianto urbanistico di Thurii, che Ippodamo di Mileto, uno dei più grandi architetti dell’antichità, aveva disegnato secondo assi portanti, nella gran parte dei casi convergenti verso la linea di costa. In un chiaro significato di gravitazione economica e con evidenti criteri di funzionalità proiettati al miglior deflusso delle acque. Ancor più danneggiato l’impianto della fase romana. Con la Porta Nord, gli edifici dell’area funeraria, la domus, il teatro, le terme, il tempietto e le fontane pubbliche, visibili nell’area del Parco del Cavallo. Con gli edifici privati ed un altro asse stradale nell’area denominata Pro- left 14 settembre 2013 lungamento strada. Con la grande struttura circolare, un lungo tratto delle mura, i basamenti di alcune grandi strutture di epoca romana ed una grande piscina, quindi un macellum e una necropoli, nell’area di Casabianca. Con gli edifici di un quartiere riferibile all’impianto di Sibari nell’area di Stombi, a circa due chilometri dal Parco del Cavallo, in antico a breve distanza dal corso del fiume Coscile. I colori dei mosaici, i profili dei resti, coperti, livellati dallo strato di fango. Le differenze e le bellezze cancellate. Bray, sorpreso dalla bellezza del sito e colpito dalla realtà di Sibari, ha assicurato l’attivazione Il ministro Bray, in visita al sito, ha previsto un piano di intervento dei tavoli di rappresentanza con le componenti scientifiche e istituzionali e l’elaborazione di un piano d’intervento. Ha ragione Bray. Qui non esiste solo la città che visse più volte. Tra il parco archeologico e la cittadina attuale di Sibari c’è anche, dagli anni Novanta, il Museo nazionale archeologico della Sibaritide, che ospita reperti che vanno dall’età protostorica della Magna Grecia fino alla civiltà romana. Relativi, oltre che a Sibaris-Thurii-Copia, ai vari stanziamenti presenti nella zona compresa tra il Brutium e l’Enotria. Un patrimonio che varrebbe la pena tutelare e valorizzare. Per evitare che la città sia di nuovo coperta. «Una città è come una persona, nasce, cresce, muore, a volte sparisce lasciando labili tracce che solo un occhio attento può scoprire. Una città ha un’anima. Quella non scompare mai». Parole fatte pronunciare da Carmine Abate a Umberto Zanotti Bianco, uno degli iniziatori nella prima metà del Novecento delle ricerche archeologiche in quest’area e uno dei protagonisti della Collina del vento, il libro vincitore del Campiello 2012. Sibari non è il paese di fantasia che compare nel romanzo collocato vicino a Cirò Marina, in provincia di Crotone. Ma certo come quello ha bisogno di sentirsi vitale. Di esserlo. Immerso in un paesaggio fatto ancora delle zolle dei terreni coltivati e del vento che spira forte. Com’era ai tempi dei Greci, che vi fondarono Sibari, e poi via via in quelli di Zanotti. In apertura, le rovine dell’antica Sibari. Accanto, come appariva il sito archeologico prima dell’esondazione di gennaio e come appare oggi 53 trasformazione Massimo Fagioli, psichiatra Compresi che, nel termine Vorstellung, erano contenute le parole: idea-immagine L’IDEA senza percezione è certezza L a terra, che girava intorno al sole, aveva superato il tempo segnato dalle parole: metà agosto ed io, ancora una volta, scrivevo la lingua italiana che diceva le idee ed i pensieri che si erano formati durante la ormai lunga vita. Guardo l’articolo del 17 agosto “La luce determina la reazione della sostanza cerebrale...” e vedo che sono sempre le stesse idee. Ma... “che crea la possibilità della mano che farà la linea ovvero la scrittura”. Sono certo che questa idea detta in questo modo, non l’ho mai scritta. Penso a che cosa ho voluto dire. Possibilità. Non è capacità. Il termine verbale parla di qualcosa che non c’è e che ci sarà. Penso a quanto sia stato sempre attento all’uso delle parole che, ora, tornano a chiedere chiarezza. Possibilità e capacità. Ricordo che rifiutai il termine facoltà perché era proprio ad una identità cosciente che prendeva decisioni. Scelsi, per la realtà del feto umano che non ha la vita, il termine capacità... di reagire. E viene il pensiero semplice che dice: capacità è il termine che si riferisce ad una realtà presente anche se non espressa. Sono capace di camminare anche se sto seduto. Possibilità è un termine che dice di “qualcosa” che, nel tempo presente, non esiste ma si pensa e si dice, esisterà. Ma potrebbe anche non esistere. Così dissi: capacità di reagire e capacità di immaginare. Ed avevo sentito sempre, nella cultura che si richiamava alla sinistra laica, che pensava né che il feto nell’utero era “nulla”, né che la vita esiste fin dallo zigote, e diceva possibilità di vita. E queste parole, pensavo, erano la conseguenza di aver visto che la vita umana inizia con il respiro ed il vagito. Una sapienza che si basava sulla percezione della realtà materiale e sull’insegnamento che diceva: è stato sempre così. Era l’aver udito il linguaggio articolato che dava il rapporto con le realtà non percepite con i cinque sensi. Ma nessuno dubita, anche senza averlo mai visto, che il Cairo sia in Egitto e New York sia nel continente chiamato America. Viene così la ricerca sulla parola: certezza. Ed il termine verbale non può essere discusso quando si pensa alla percezione cosciente, nello stato di veglia, della realtà materiale. Ma è evidente che il termine entra in crisi quando vengono le idee che pensano la realtà non materiale della mente umana. In verità, nel secolo trascorso, una certa cultura ha condannato come falsa la parola certezza anche quando si consideravano le percezioni degli oggetti materiali. Ma io avevo sempre considerato che il dubbio sulla percezione della coscienza era un problema medico: non funzionavano bene i cinque sensi che governavano il rapporto della coscienza, nella veglia, con la realtà materiale. Ricordavano Nietzsche che aveva detto: non esistono fatti ma soltanto interpretazioni. Negavano, o non volevano comprendere che il filosofo diceva, in verità, che non esistono realtà materiali immobili, ma movimenti, e comportamenti. “Non esistono” doveva essere letto come la non verità della percezione della realtà materiale della coscienza, per cui era necessaria l’interpretazione. Ed osservo che i “fatti” devono ben esistere altrimenti non ci può essere interpretazione. Ho voluto, evidentemente, vedere in Nietzsche, la sensibilità e l’intuizione dell’esistenza di una realtà non materiale nell’organismo umano. Ma, insieme, c’è il dubbio che si domanda se la realtà non materiale esiste anche negli animali, nelle piante. L’anima del mondo di Giordano Bruno. So che il termine dubbio è lo scontro tra due certezze che ha portato sempre a dire che, nell’essere umano, c’è il male ed il bene. Ho pensato al termine incertezza, che non proponeva il dubbio sull’esistenza o non esistenza della realtà materiale, ma costringeva all’accettazione di una non conoscenza, di una necessità di sviluppo della mente umana. Non il dubbio della razionalità che paralizzava il pensiero, ma l’incertezza che era stimolo per la ricerca. Era ormai finito agosto e Leonetta Bentivoglio fa parlare Carlo Sini. Dice di Husserl ed Heidegger, “quel tradi- Capacità di immaginare è possibilità di fare la linea 54 14 settembre 2013 left left.it mento che ha inciso sul pensiero del novecento”. Ed io ricordo il tradimento di Giordano Bruno alla chiesa cattolica, di Schopenhauer e Nietzsche all’idealismo tedesco e, anche se non lo meritano, il tradimento di Jung a Freud. E Sini dice: Essere e tempo... lo considerò tradimento della fenomenologia... che è il tentativo di tornare alle cose stesse... si vuole tornare all’essere nel mondo così come questo si manifesta... dobbiamo aderire alle cose, non nasconderle, servendoci di una lingua che ricostruisca una ragione descrittiva... Ad essa si è ispirata la fenomenologia psichiatrica... Heidegger... trovare una verità della realtà in qualcosa che preceda la filosofia e trovò quel qualcosa nella poesia. Husserl era votato al culto della ragione... per Husserl il nichilismo... diventa un impegno per la ragione. È tutto da leggere, tutto da discutere. È una interessante descrizione del pensiero altrui con la grave lacuna, che Segnalazioni rivela, che non si parla delle radici cattoliche di Heidegger. Ed io l’ho sempre visto nel “lo svelamento di un essere enigmatico che si sottrae alla ragione occidentale rischia di gettarci nel futuro dalla bomba atomica”. E penso che è da una vita che denuncio l’identità razionale greca che devasta l’essere umano, come potrebbe essere. È la ragione che viene dall’alto, da una lontananza infinita della terra, e non viene dalla realtà biologica della nascita umana che ha rinnegato la sua origine. Vorrei che venisse Morfeo che, leggero come un’aria rarefatta, non mi chiudesse le palpebre. Al buio temo che immagini incomprensibili chiedano aiuto alla mente sveglia per comprendere il pensiero. Così guardando il verde delle piante e il cielo non vengono nella mente parole, ma la mano scrive dicendo realtà che non si disegnano. Ed ho letto e scritto sul dissidio, che sembra eterno, tra veglia, coscienza e ragione che protegge il corpo dalla distruzione, e l’oltre, l’altra realtà che ha fatto sparire la percezione e il ricordo che fa riconoscere le cose. Hanno tentato di sottrarsi alla razionalità, la «signora della natura» ma sono impazziti, si sono suicidati, hanno scoperto e non detto che la reale natura dell’uomo è il male. Essere, oltre l’ente, fu negazione. La differenza dell’uomo dagli animali più evoluti starebbe nella volontà di potenza, che è volontà di annullamento. La chiamarono istinto di morte ma non pensarono mai all’origine della vita che, per la presenza della capacità di reagire che diventa vitalità, è fantasia di sparizione e non pulsione di annullamento. Sono giunti a pensare il «non», togliere l’esistenza, ma non pensarono mai alla memoria-fantasia dell’esperienza avuta nel contatto della pelle con il liquido amniotico. Fu il pensiero verbale che aveva ricreato movimento, suono, tempo e pulsione che ebbe l’idea: fantasia di sparizione che ha in se stessa il non essere del pensiero falso “non esiste” e la creazione di una realtà: la memoria-fantasia Moriva agosto, e la mattina del 31, al risveglio da un sonno profondo, vennero le parole. Andai a scriverle pensando che sarebbero svanite, come i sogni. Ottantadue anni. Vennero, nella mente, i termini verbali: fantasia di sparizione che, insieme, furono parola. Forse perché la maestra mi disse: ripeti con me. Un mattino andando... io mi allontanai camminando con i piedi nudi e la lasciai. Nella mente venne il termine verbale: separazione. Ora, da quindici anni, piango sempre davanti alle piante della terrazza perché so che non sono come loro che non possono camminare. Penso che, forse, sono cattivo come Caino che uccise chi non sapeva violentare la terra e voleva essere come le pecore e le piante. Andava in montagna d’estate, in pianura d’inverno. Venne, nella mente, il termine verbale: ricreazione che gettò nel mare il fratello stupido che si chiamava regressione. Scoprii che sapevo scrivere e “Un mattino andando in un’aria di vetro”, ricreando il silenzio del suono delle parole lette, mi dissero che andando lontano dalla donna non aveva più il calore del liquido amniotico. Ed io pensai che la separazione non aveva più l’armonia della memoria-fantasia dell’esperienza avuta, perché l’aria del respiro era di vetro. Infatti “improvvisamente… ...i termini verbali scomparvero e, nella scrittura, si ricreò il suono del silenzio... left 14 settembre 2013 55 scienza left.it Il medico che sconfisse la morte nera La peste bubbonica, una malattia che si pensava appartenere al passato, è tornata a fare vittime in Kirghizistan. Lo scrittore Patrick Deville ne ricostruisce la storia raccontando la vicenda del medico e ricercatore Alexandre Yersin che ne isolò il bacillo. Il suo libro Peste & colera esce ora in Italia per le Edizioni e/o, eccone alcune pagine BERLINO È un insetto a diffondere la peste. La pulce. Ma nessuno ancora lo sa. Dopo Berlino, Yersin va a Jena. Da Carl Zeiss compra il microscopio migliore, che non abbandonerà più e farà il giro del mondo dentro la sua valigia, il microscopio che, dieci anni più tardi, identificherà il bacillo della peste. Ci si confonde spesso fra peste e lebbra, al punto da non definire né l’una né l’altra. La grande peste del Medioevo, la peste nera, fece 25 milioni di morti, che vanno messi in relazione con i dati demografici. La metà della popolazione dell’Europa è decimata. Nessuna guerra fino a quel momento ha mai causato una tale ecatombe. La vastità del flagello è metafisica, testimonia lo sdegno divino, il Castigo. Così viene detto. Gli svizzeri non sono sempre stati dei bonaccioni zeloti della tolleranza e della moderazione. Cinque secoli prima, gli abitanti di Villeneuve sulle sponde del Lago hanno bruciato vivi gli ebrei accusati di diffondere l’epidemia avvelenando i pozzi. Cinque secoli più tardi, nonostante il passo indietro dell’oscurantismo, l’odio è lo stesso. E non se ne sa di più riguardo la peste. Arriva, uccide, sparisce. Forse un giorno, chissà. I due studenti (Yersin e Sternberg, ndr) hanno fiducia nella scienza. Nel progresso. Curare la peste sarebbe prendere due piccioni con una fava, dice Sternberg. Yersin gli annuncia la partenza per la Francia. L’anno seguente proseguirà gli studi a Parigi. In concomitanza con la Conferenza di Berlino, mentre Rimbaud sgam- 56 di Patrick Deville ba dietro ai cammelli sulle pietraie dei deserti, Louis Pasteur salva il piccolo Joseph Meister. Curare la rabbia con il vaccino è la chiave. Presto, fra la peste e il colera non ci sarà più da scegliere ma da guarire. PARIGI Roux presenta Yersin a Pasteur. Il giovane timido fa la scoperta del luogo e dell’uomo, e in una lettera a Fanny (la fidanzata ndr) scrive: «Lo studio di Pasteur è piccolo, quadrato, con due grandi finestre. Sopra a un tavolino, vicino a una finestra, ci sono dei calici contenenti il virus da inoculare». Di lì a poco Yersin si stabilisce in rue d’Ulm. Ogni mattina si forma nel cortile una lunga fila di ammalati impazienti. Pasteur ausculta, Roux e Grancher vaccinano, Yersin prepara. Viene assunto, gli assegnano un piccolo salario. Da quel momento in poi non dovrà più nulla a nessuno. Davanti all’Académie des sciences, Louis Pasteur, malato e ancora amministratore dell’École Normale Supérieure, conclude il suo discorso. È il momento di creare un istituto per il vaccino contro la rabbia. La città di Parigi mette provvisoriamente a sua disposizione un casermone sgangherato di tre piani in mattoni e tavole di legno in rue Vauquelin, e la piccola banda vi si insedia in pianta stabile. È l’inizio della loro vita in comune. Yersin esce ogni mattina e va a frequentare i corsi di medicina in rue des Saints-Pères. A mezzogiorno pranza in un piccolo bar in rue Gay-Lussac. Sceglie come argomento di tesi la difterite e la tubercolosi che ancora chiamano poeticamente tisi. Conduce osservazioni cliniche all’Hôpital des enfants-malades, cerca di isolare la tossina della difterite. Il vecchio Pasteur ha finito di fare scoperte. Dopo di lui toccherà a Roux, l’erede putativo. La sua ultima battaglia è teorica. Da oltre vent’anni, contro di lui, i sostenitori della generazione spontanea sgorgano come per miracolo. Pasteur invece sostiene che niente nasce dal niente. Ma allora Dio? Come spiegare tutti quei microbi e il fat- 14 settembre 2013 left scienza © INSTITUT PASTEUR left.it to che li abbia tenuti nascosti agli uomini per secoli? Perché tutti quei bambini morti, e soprattutto i figli dei poveri? Fanny si preoccupa. Pasteur come Darwin. L’origine della specie e l’evoluzione biologica, dal microbo all’uomo, contraddicono i testi sacri. Lui sorride, Yersin, di questa cosa, e con lui tutta la piccola banda. Fra non molto ogni cosa sarà chiara, basterà spiegare, insegnare, riprodurre gli esperimenti. Come potrebbero immaginare che un secolo e mezzo più tardi metà della popolazione del pianeta difenderà ancora il creazionismo? Quanto a lui, Yersin, legge di tutto, purché si tratti di scienza o resoconti d’esplorazione. Lavora nella calma e nella solitudine, con modi da dilettante e l’aria di uno a cui non frega niente e alla fine risulta pure elegante. Di notte fa bollire la minestra di microbi e prepara i reagenti. Lo affascina avere tutto quel materiale a disposizione. Lavori pratici, alla fine, come gli aquiloni. Apre le gabbie di polli e topi, preleva, inietta, poi, con un colpo di genio, provoca su un coniglio una tubercolosi sperimentale, di un tipo nuovo: la cosiddetta tifo-bacillare o tifobacillosi. Il giovanotto in nero torna con quella cosa al laboratorio e passa a Roux la provetta. O, meglio, fa uscire dal suo cilindro un coniglio bianco che tiene per le orecchie e lo mette sul bancone.Ho scoperto una cosa. Roux regola la rotella dentellata del microscopio fra il pollice e l’indice, rialza gli occhi, volta la testa, osserva dal basso in alto il timido studente e aggrotta le sopracciglia. La “Tubercolosi tipo Yersin” viene annoverata nelle opere d’insegnamento medico, e il suo nome passerà ai futuri left 14 settembre 2013 Allievo di Pasteur, seguì i corsi di Koch prima di andare in Asia medici e storici della medicina. Ma dal grande pubblico sarà presto dimenticato, e anche oggi, malgrado la peste, non è così noto... Intanto Pasteur gli ha chiesto di iscriversi al corso di tecnica microbiologica appena creato, all’Istituto d’igiene di Berlino, da Robert Koch, lo scopritore del bacillo della tubercolosi. Alexandre Yersin (1863-1943), qui a Nha Trang (Annam) nel 1892. A destra La peste (1568) di Domenico Fiasella HONG KONG Mancano vent’anni alla Prima guerra mondiale, ma già la battaglia scientifica e anche politica e le alleanze sono le stesse. Un’epidemia di peste in Cina scende verso il Tonchino, arriva in maggio a Hong Kong. La morte arriva in pochi giorni. Attraverso la cortina di pioggia calda e le burrasche, procedono al passo dei carretti carichi di cadaveri accatastati. «Ci sono tanti topi morti per terra». I primi appunti buttati giù da Yersin la sera stessa riguardano le fogne che traboccano e i topi in decomposizione. Dopo Camus ciò appare scontato, ma non lo è. Ecco cosa Camus deve a Yersin quando scrive il suo romanzo, quattro anni esatti dopo la morte di quest’ultimo. Alla fine Yersin invia a Parigi i suoi risultati, Yersin li dà anche a Lawson, che si affretta a comunicarli ai giapponesi. Il nostro non se ne lamenta ma non ne fa un dramma. Avrebbe dovuto essere più riservato. I giapponesi vengono a sapere che occorre di cercare il microbo nel bubbone. Kitasato si attribuisce il successo e fa scattare la polemica scientifica e politica. Ma salteranno fuori le prove e Yersin, che non ha mai conosciuto il padre né mai sarà padre, si vede almeno attribuire la paternità della scoperta ratificata: Yersinia pestis. 57 puntocritico cultura ARTE di Simona Maggiorelli Grand Tour d’autunno I n tempi in cui sui giornali la critica viene confinata in spazi sempre più esigui, pare un peccato dedicare lo spazio della recensione settimanale a un carnet di vernissage. Ma la stagione di grandi mostre che si prepara è talmente ricca di proposte da meritare, per una volta, una deroga. Così cogliendo l’impegno con cui molti musei pubblici stanno cercando di reagire alla crisi, eccoci pronti a squadernare le tappe di questo ideale Grand Tour. Che non può che partire da Milano, dove il 24 settembre si apre la mostra Pollock e gli irascibili. Curata da Carter Foster e da Luca Beatrice la rassegna allestita in Palazzo Reale ruota intorno a Number 27, opera cardine del maestro dell’action painting americana. In contemporanea, in un’altra ala di Palazzo Reale, MondoMostre e Skira editore in collaborazione con il Centre Pompidou di Parigi presentano più di 80 ritratti e autoritratti di maestri come Matisse, Modigliani, Brancusi, Picasso, Giacometti, Baselitz, de Lempicka, Kupka, Beckmann e molti altri. A un altro esponente delle avanguardie storiche, il pittore modernista Josef Albers, che fu uno dei protagonisti del Bauhaus, è dedicata una monografica, dal 26 settembre, alla Fondazione Stelline. Matisse, Odalisca con culotte rossa. Sarà in mostra a Milano 58 left.it Mentre il 5 ottobre, sempre a Milano, per la giornata del contemporaneo indetta dalla rete dei musei del contemporaneo (Amaci) al Pac si apre una retrospettiva Vite in transito dell’artista di origini albanesi Adrian Paci che dal 1997 ha scelto il capoluogo lombardo come sua città di adozione sviluppando un’intensa riflessione sui temi dell’emigrazione attraverso la pittura, la scultura e la videoarte. Uscendo da Milano, in direzione Trento, una tappa imperdibile del nostro tour riguarda il Mart di Rovereto, dove il 5 ottobre si apre una attesa retrospettiva di Antonello da Messina, straordinario maestro del ’400 italiano che Ferdinando Bologna e Federico De Melis tornano a studiare mettendo a confronto, anche in un denso catalogo Electa, la sua complessa e originale poetica con quella dei suoi contemporanei. E ancora: dopo il terremoto, dal 14 settembre, Ferrara diventa teatro di una nuova stagione di mostre ospitando in Palazzo dei Diamanti una monografica dedicata a Zurbarán che insieme a Velázquez e Murillo dette vita al Siglo de oro della pittura spagnola. Firenze, invece, dal 27 settembre, si segnala per la mostra L’Avanguardia russa, la Siberia e l’Oriente che raccoglie in Palazzo Strozzi opere di Kandinsky, Malevic, Filonov, Goncarova e altri in un percorso che punta ad approfondire le fonti orientali ed eurasiatiche nel Modernismo russo. Continuando a scendere lungo la penisola, arriviamo a Roma dove l’8 ottobre si apre una retrospettiva di Marcel Duchamp che nelle sale della Gnam ne rilegge l’opera alla luce dell’influenza che ha esercitato sugli artisti del secondo ’900 e oltre. Restando nella capitale, ma spostandoci al Vittoriano, dal 4 ottobre, la mostra Cezanne e gli artisti del XX secolo permette di comprendere più da vicino l’influenza che il maestro francese esercitò su artisti diversissimi fra loro come Boccioni e Morandi. CINEMA di Morando Morandini Un Amelio in agrodolce L’ intrepido è l’undicesimo film per il cinema di Gianni Amelio che dal 1967 al 2000 - con cinque anni di silenzio (2006-2011) - ha fatto molta tv (20 titoli). E numerosi cortometraggi: I velieri (1982), da un racconto di Anna Banti; Il piccolo Archimede (1979), da un racconto di Aldous Huxley, con un bambino analfabeta dalla straordinaria inclinazione per la matematica e la musica; La morte al lavoro (1978), dal racconto “Il ragno” di Hans H. Ewers, in bianco e nero, sul rapporto tra realtà e finzione; Effetti speciali (1979), thriller di paura, con copiose citazioni delle musiche di Bernard Herrmann, girato a colori e trasmesso in bianco e nero; Bertolucci secondo il cinema (1976), un omaggio al regista italiano; La città del sole (1973), biografia di Tommaso Campanella (1568-1639), il filosofo del Rinascimento che passò 27 anni in un carcere di Napoli sotto la dominazione spagnola; La fine del gioco (1970), ritratto del 12enne Leonardo, uscito da un riformatorio in Calabria. Basterebbe questo elenco per capire la versatile curiosità di Amelio, uno dei padri del cinema italiano, anzi, ormai, dato il suo aspetto fisico da vecchio barbuto sorridente, il nonno audiovisivo. Senza dimenticare che il suo esordio fu Colpire al cuore (1982), il primo film italiano a cimentarsi con la problematica della lotta armata/terrorismo, suscitando molte polemiche anche tra i critici. Eppure quello non è il tema centrale, ma un veleno che impregna il tessuto dei 14 settembre 2013 left cultura left.it © CLAUDIO IANNONE LIBRI di Filippo La Porta Antonio Albanese interpreta L’intrepido rapporti tra i personaggi. L’intrepido è un film troppo originale per poter avere un successo esteso di pubblico. L’hanno paragonato a una nuvola: mentre lo guardi, cambia forma. È in sostanza una commedia che diverte e commuove. Anche la piccola minoranza di italiani che continua ad andare al cinema (compresi molti recensori, specialmente giovani) rimane sconcertata: non rispetta le regole del genere. È trasgressivo. Difficile stabilire fino a che punto le responsabilità e i meriti siano di chi l’ha scritto (Amelio con Davide Lantieri) e dove cominci l’apporto di Antonio Albanese (Lecco, 1964) nel fare di Antonio Pane, intrepido nella sua bontà (e così irreale, diranno gli spettatori delusi), un personaggio indimenticabile. A proposito: L’intrepido, fondato dai fratelli Del Duca nel ’35 e chiuso nel ’98, fu un periodico di fumetti e attualità per ragazzi, caro almeno a due generazioni, tra cui la mia. Ha ragione Albanese: Amelio fa film che non si accontentano. Ama il sentimento di speranza, il rispetto per l’essere umano, la difesa della sua dignità. Lasciate che i recensori più disattenti scrivano di retorica, buonismo, ingenuità. L’azione si svolge a Milano, quella del primo 2000, una Milano come non l’avete mai vista, fotografata da Luca Bigazzi. Albanese fa il mestiere del rimpiazzo, sostituendo quasi ogni giorno, magari per qualche ora, qualcuno che si assenta per ragioni più o meno serie. Non lo fa per gioco. Si limita a prendere, spesso pagato poco e male. «Cerca di volerti bene» dice al figlio Ivo (Gabriele Rendina), sassofonista geniale e infelice. La sola riserva che si può fare riguarda il finale, il rapporto tra padre e figlio. Forse è un problema che Amelio non ha ancora risolto nemmeno nella vita privata. left 14 settembre 2013 Fenomenologia dell’italiota S e ci fosse ancora l’ora di educazione civica suggerirei di far studiare della Fenomenologia del cialtrone di Andrea Ballarini (Laterza). Lì dove commenta la trama del Sorpasso per descrivere il personaggio di Bruno Cortona (Gassman), perfetta incarnazione del cialtrone. Già l’inizio con la Lancia Aurelia Sport lanciata sulle strade di Roma, anche contromano, perché non ha il tempo: «come uno squalo è ansioso di mordere la vita» (ha qualcosa di futurista), incapace di reprimere le proprie pulsioni. Era Adorno a sostenere che le persone meno represse non sono quelle più amabili. Cortona non può fermarsi a pensare, è privo di senso critico. Perciò il male, che nasce da quest’assenza, è banale e nient’affatto tenebroso o abissale. Quando vede la foto della madre del giovanissimo Trintignant ha con lui questo scambio: «Chi è ‘sta cicciona?» .«Mia madre». «Ah, perbacco, bella donna». Non ha idee preconcette ma le adatta per conquistare il prossimo. La fenomenologia disegnata da Ballarini è di tagliente precisione: il cialtrone gioca tutto il tempo ma è privo di autoironia, è trasgressivo e però compiacente con il potere, e poi incostante, ribaldo, infantile, megalomane, narciso, un po’ paranoico, seduttivo, senza regole. Forte è la tentazione di vedere questa figura antica della nostra tradizione (Boccaccio, commedia dell’arte, etc.) storicamente inverata nel nostro Cav che ce ne ha offerto una versione spudorata e perciò per molti italiani “liberatoria”. Anche se questo è accaduto, suonerebbe però troppo assolutorio nei confronti di tutti gli altri, che s’ illudono di sottrarsi alla sindrome descritta. Per scoprire il grado di cialtroneria in noi l’autore ha messo alla fine 50 domande, con punteggi relativi. Confesso di essermi trovato a metà classifica. Mi soffermo su un aspetto, dove però muoverò una critica al moralismo dell’autore. Il cialtrone millanta una cultura che non ha, è un orecchiante. Ma siamo sicuri che buone letture e un’ampia erudizione ci salvino dalla cialtroneria? L’imbroglio potrebbe diventare più sottile. Esiste anche il cialtrone sofisticato. Un intellettuale troverà sempre il modo di giustificare la tortura degli ebrei - notava Orwell - mentre l’uomo qualunque sentirà istintivamente che è un cosa ingiusta. SCAFFALE EPPURE NON SONO UN PESSIMISTA di Enrico Filippini, Castelvecchi, 78 pagine, 9 euro Accompagnate da un acuto saggio di Giacomo Marramao sulle evidenti, pericolose, convergenze fra postmoderno e conservatorismo, tornano le interviste che Filippini fece, dal 1979 al 1986, a Jurgen Habermas. Apparse sull’Espresso e su Repubblica tratteggiano uno sfaccettato e acuto ritratto del grande filosofo tedesco. IL FALÒ DELLE NOVITÀ di Stefano Bartezzaghi, Utet, 237 pagine, 12 euro Con un incredibile sforzo tassonomico il noto enigmista e saggista milanese guida il lettore in un viaggio nella creatività contemporanea, passando dall’arte, alla letteratura, al design e molto altro. Mostrando come nella cultura cosiddetta di massa il pubblico sia diventato sempre più un consumatore e sia stato ridotto alla passività. TRATTATO DELLA ARGOMENTAZIONE di C. Perlman e L. Olbrechts-Tyteca, Einaudi, 612 pagine, 34 euro Esce in nuova edizione uno dei classici degli studi di logica e di retorica linguistica. Uscito per la prima volta negli anni 50, questo manuale aveva l’ambizione di far uscire le discipline umanistiche, ma anche il diritto e la sociologia, dalle nebbie dell’opinabile e indimostrabile, grazie alla valorizzazione dell’argomentazione coerente. 59 bazar cultura left.it MUSICA di Stefano Miliani La lezione di Fiesole continua S ulla collina fiesolana, in una villa annidata tra gli alberi si sentono regolarmente violini, viole, clarinetti, pianoforti e quant’altro un musicista possa desiderare nell’ampio spettro della cosiddetta classica. Dotata di un bell’auditorium, lì ha casa una delle istituzioni musicali più innovative d’Europa, la Scuola di musica di Fiesole. La creò in due stanzette presso la banda di paese nel 1974 Piero Farulli (nella foto), grande viola dello storico Quartetto italiano, come contraltare ai metodi e ai principi allora angusti nei Conservatori. Da esperimento culturale e politico l’istituto prese piede: attirò allievi e i migliori musicisti in circolazione. Grazie al Comune traslocò nella villa e dai 50 studenti dell’esordio ora ne conta 1.300, vantando un’Orchestra giovanile italiana che ha visto sul podio direttori come Riccardo Muti. Questa estate due risultati eccellenti: il ministero dell’Istruzione l’ha riconosciuta come “istituzione musicale privata’’ accreditata ed è scattato un accordo triennale con il Mozarteum di Salisburgo. «Siamo stati riconosciuti come istituto di alta formazione - afferma Andrea Lucchesini, il direttore musicale nonché affermato pianista - quindi siamo equiparabili ai Conservatori per la laurea di primo livello, quella triennale. È un passo importantissimo: i nostri allievi non dovranno 60 più andare in un conservatorio per il triennio. Per loro e per le loro famiglie è un gran vantaggio economico non dovendo pagare due rette, a noi garantisce una migliore continuità didattica». Oltre ai riconoscimenti, oltre mille allievi passati dalle fila dell’Ogi «hanno trovato un impiego fisso in orchestre europee e un paio perfino in Giappone». La Scuola non è però un ufficio di collocamento e, volendo, insegna anche a chi pratica per passione. A conferma di un audace taglio educativo, ha una sezione per bambini dagli zero ai tre anni. Ma cosa potranno apprendere, così piccoli? «I primi rudimenti di ascolto, con la presenza di un genitore naturalmente. E i risultati si vedono: poi per quei piccoli la musica diventa un elemento naturale», risponde Lucchesini. La Scuola riceve finanziamenti da Regione Toscana, Comune di Fiesole e Stato. E servizi dall’amministrazione fiorentina. «Tuttavia cerchiamo e cercheremo di essere il più possibile indipendenti dal denaro pubblico ricorrendo a sponsor», segnala il pianista, ricordando che i rapporti con i Con- servatori oggi sono estremamente più rilassati e spesso di collaborazione rispetto ai politicizzati e passionali anni 70. Eppure qui si annida un dubbio: Farulli, un comunista convinto e orgoglioso, fondò la scuola per spirito di giustizia sociale perché voleva che la musica classica fosse di tutti. Di quegli ideali cosa rimane? «La sua forte impronta si sente», commenta Lucchesini. «Ad esempio alle Piagge, una periferia fiorentina disagiata e a forte immigrazione, abbiamo un nucleo inserito nelle orchestre giovanili infantili secondo il “sistema Abreu”, quello del mecenate venezuelano caldeggiato qui da noi da Claudio Abbado. Lì insegniamo gratuitamente ai ragazzi anche per favorire l’integrazione. È solo un esempio. Con la musica d’insieme si impara a stare con gli altri anche come cittadini, a rispettare e accordare le esigenze proprie e altrui tanto davanti allo spartito come nella vita. Chi arriva qui, come docente, lo capisce subito e lo trasmette. Anche se Farulli non c’è più, il diffondere valori etici attraverso la musica va avanti. Questo spirito sociale è più vivo che mai». [email protected] PORDENONE Letteratura e non solo Da mercoledì 18 a domenica 22 torna Pordenonelegge, la festa del libro che si svolge nel centro storico della città friulana. La rassegna, giunta alla 14esima edizione, prevede degustazioni, lezioni magistrali, spettacoli, percorsi espositivi e,naturalmente, tanti incontri con grandi nomi italiani e stranieri. Daniel Pennac, John Banville, Peter Carey, Carlo Lucarelli, Daria Bignardi e Pupi Avati: sono alcuni degli ospiti di Pordenonelegge 2013. CAMPANIA I percorsi del jazz Domenica 15 interessante anteprima del Pomigliano Jazz, con il concerto di Ludovico Einaudi (in foto) all’anfiteatro romano di Avella. Poi dal 18 al 22 tanti appuntamenti con grandi nomi del jazz in giro per la Campania. Il festival si svolge ad Avella, Pollena, Ottaviano, Pomigliano D’Arco e Cimitile. 14 settembre 2013 left cultura left.it TELEDICO di Elena Pandolfi di Bebo Storti Se la Cina è un reality L a nuova stagione televisiva autunno-inverno è ricominciata, e come ogni anno ci aspettiamo delle novità. Ma dalla lettura dei palinsesti ritroviamo per lo più gli stessi titoli, al massimo cambia il numero progressivo dell’edizione, o il nome del conduttore. Non resta che sedersi in poltrona, tranquilli e rassegnati. E sperare in qualche spunto originale. Su Rai2 è ricominciato Pechino Express, l’adventure-reality, guidato nella passata edizione dal principe Emanuele Filiberto, ormai cresciuto fanciullo privilegiato, eternamente stupito e affascinato dall’esistenza di gente comune, impegnata a lavorare per vivere. Quest’anno la conduzione è affidata ad un ex concorrente del reality, Costantino Della Gherardesca, ironico e rubicondo ex opinionista di programmi di Pie- ro Chiambretti, che ci ha intrattenuto con battute esilaranti anche durante i momenti più critici della sua avventura in Cina. Il meccanismo del gioco non cambia ma Pechino resta solo nel titolo. Le otto coppie in gara, tra vip e gente comune, dovranno percorrere ottomila chilometri partendo da Hanoi, capitale del Vietnam, per concludere la loro avventura a Bangkok attraversando la Cambogia e la Thailandia. Le difficoltà non mancano, a cominciare dalla comunicazione con le popolazioni locali. E son problemi visto che è agli abitanti che i concorrenti dovran- no chiedere passaggi in auto e ospitalità per la notte, avendo a disposizione solo due euro al giorno per sopravvivere. Il format risulta divertente, soprattutto nella versione breve quotidiana; il sadismo del pubblico è soddisfatto nel vedere, soprattutto persone note, costrette a dormire tra i topi, o lavarsi in una pozzanghera. Qualche dubbio sull’autenticità di alcuni momenti rimane, ma è anche un modo diverso per conoscere più da vicino luoghi e usi di Paesi lontani. Tra le strane coppie di quest’anno si è già distinta per simpatia quella formata dalla marchesa romana, Daniela Del Secco D’Aragona, accompagnata dal fedele e silenzioso maggiordomo, mentre la tiratissima e nervosa Corinne Clery rischia di perdere per strada il molto giovane, e per ora succube fidanzato. RAVENNA LUCCA VENEZIA Una città danzante Mauri e la guerra Ravenna per la danza contemporanea: dal 14 al 22 settembre si svolge in città Ammutinamenti Festival di danza urbana e d’autore. Il tema centrale è il “corpo a corpo”. Anche quest’anno spettacoli, mostre, performance e proiezioni video. Dal 23 settembre al 30 novembre la Galleria Michela Rizzo a Venezia ospiterà la mostra di Fabio Mauri Picnic o Il buon soldato. Saranno esposte le performance e le opere dell’artista, scomparso nel 2009, sul tema della pace e della guerra. left 14 settembre 2013 I racconti delle torri Sabato 21 a Lucca il regista britannico Peter Greenaway presenta la sua opera multimediale The Towers/Lucca Hubris. Arti visive e performance per raccontare 22 storie, ambientate nella Lucca medievale. In fondo. Dubbi retorici Allora praticamente si fa così. Come i magliari di una volta. Vendi della fuffa durante la campagna elettorale. Poi il cliente si lamenta perché la stoffa si sgretola sotto le mani e tu dici «non è colpa della stoffa fatta con la paglia ma è colpa tua che non sai vestire la paglia!». Come le pitonesse dei casini durante il Ventennio. C’è la tisica, la gonorroica, la bambina di 14 anni con le turbe e la ragazza con la gamba di legno. Ma sei tu che non sai trovare il bello anche lì. Indici elezioni. Non trovi un accordo interno. Fai una fronda contro il tapparellista Bersani. Fai sembrare un politico anche Fassina. Limoni sul divano con Brunetta. Spacci Renzi per più di quel che è. Una vongola. Politicamente si intende. E vai alle primarie con la faccia come il culo. Chiedendo fiducia agli elettori. Che se ti beccano ti linciano. Ma il distacco dal paese è talmente ampio che credi di vivere su Marte. Ricicli il nano. Condannato. Ma fa niente. Fai parlare gente come Violante e Jovanotti. Cazzo ragazzi! Jovanotti!? E pretendi di essere di sinistra. Fai chiudere il nazionale a Moreno. Ma rompi il cazzo a Fabri Fibra il Primo maggio. E poi pensi. Come mai la gente mi sfancula per strada? Dove avrò sbagliato ammesso che io abbia sbagliato... Poi domani quelli dell’Ilvadelle centrali a carbone di Savona-della Tav- di Salerno dove pagano uno che ha due stipendi ti rincorrono per farti il culo e ti lamenti? Tese me se dis a Milan? Mavadavialcucuntvertl’umbrela... neanche la traduco. 61 ti riconosco di Francesca Merloni Le parole di left Q ualcosa di speciale per la festa di left. Ci penso, vorrei esserne capace. E degna. Mentre cerco, mi affanno, smonto e rimonto pensieri ferendomi sempre un poco e le cose amplificano un’esitazione del filo piuttosto che dell’intenzione, penso che speciale è piuttosto ciò che è reale. La visione, senza illusione. La proiezione con desiderio. Ma è ancora poco e mi pare adesso non riesca a fidarmi della scrittura, a partire sulla “picciola barca” così senza meta. Ogni orazione piccola vorrei fosse grande. Perché grande è lo spazio del mondo in left, sia quello di fuori che quello di dentro e speciale la qualità di ascolto che quel mondo ci insegna. No, stanotte non riesco a fidarmi. Forse perché cerco altrove ed è troppo fuori fuoco il mondo rispetto a qui. Resiste ai miei sguardi. È vicino e a portata di mano il pensiero che vorrei solcare eppure sfugge. La mano non lo afferra, non ce la fa. Parlare del mondo che vogliamo? Scegliere versi, proporli? Non so. Credo sia dentro che bisogna andare. Al fuoco centrale, al canto del nome. È lì il viaggio. Ed è il viaggio in sé la meta. Allora tutto comincia a convergere attorno a ciò che sale dal fondo del linguaggio verso una parola che è insieme la somma e il significante delle parole in festa: Libertà. Uguaglianza. Fraternità. Sommate danno Umanità. Quella del punto di luce all’interno, comunque e sempre. Quella del volo e dell’abisso. Il cantico della creatura è uno dei risultati possibili. Probabilmente uno dei più complessi, a rischio di scivolata. Come per i poeti la rima. E vorrei fosse veritiera la luce, più aperto e insieme più indifeso lo sguardo sul mondo. Così da poter entrare senza difficoltà, comprendere senza barriera. Vorrei fosse sempre vento. Perché sono questa velocità e insieme questa leggerezza che riescono ad intuire il movimento di Trasformazione. Per guardarlo semplicemente dall’interno, penetrare il flusso di energia perpetuamente all’erta, che si muove senza giudizio, verso tutte le mete. Per compiersi. Divenire ciò che ancora non è. Acquisire forma. Per questo è difficile trovare parole accanto a Trasformazione, se non che verità è forse nel movimento naturale tra una forma e l’altra. Nel dimenticare chi siamo per essere di nuovo, nel fare di noi ciò che cerchiamo di essere. Forse è questo ciò che chiamano esistere? Questo il richiamo della vita a se stessa? Che ostinatamente, inutilmente cerchiamo di segnare in parole, sempre superate, in bilico tra i loro due soli, tra il loro doppio fuoco. Forse verità è semplicemente nella tensione prima della Trasformazione, è nell’attimo prima di diventare ciò che non siamo, ciò che non sappiamo. Verità è nel dimenticare chi siamo per essere di nuovo [email protected] Non chiederci la parola che squadri da ogni lato l’animo nostro informe e a lettere di fuoco lo dichiari e risplenda come un croco perduto in mezzo a un polveroso prato. Ah, l’uomo che se ne va sicuro, agli altri ed a se stesso amico, e l’ombra sua non cura che la canicola stampa sopra uno scalcinato muro! 62 Non domandarci la formula che mondi possa aprirti, sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Eugenio Montale, da Ossi di Seppia 14 settembre 2013 left La costituente delle idee Libertà Eguaglianza Fraternità Trasformazione la festa 14 SABATO TRASFORMAZIONE © ILLUSTRAZIONE DI FABIO MAGNASCIUTTI 18.00 L’incontro Sinistra è trasformazione Ilaria Bonaccorsi Gardini intervista Massimo Fagioli e Andrea Ranieri 20.00 La tavola Le cose cambiano. Cambiandole Introduce Paolo Nori. Pippo Civati, Adriano Zaccagnini, Mirko Tutino, Giulio Cavalli, Paola Natalicchio, Giovanni Tizian, Adele Gambaro 22.00 Concerto Stefania Tallini, pianoforte #festaleft www.left.it 12-13-14 SETTEMBRE 2013 Città dell’Altraeconomia