inter vista - Movimento Domenicano del Rosario

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inter vista - Movimento Domenicano del Rosario
INTERVISTA
a Suor Maria Luisa Gasperi
La Pasqua ebraica
come premessa della
Pasqua cristiana
Interessante esperienza fatta da Suor Maria Luisa Gasperi
con i bimbi del catechismo.
“La Pasqua cristiana, come del resto tutto il Cristianesimo,
presuppone il fatto ebraico. Se non si tenesse presente l’ebraismo come humus vitale e non trascorso, allora il
Cristianesimo sarebbe qualcosa di sospeso nell’aria e senza
fondamento”.
S
uor Maria Luisa Gasperi appartiene alla Congregazione di Nostra Signora di Sion,
Congregazione dal carisma molto particolare, quello di testimoniare nella Chiesa e nel mondo
l’Amore di Dio verso il popolo ebreo ed affrettare il compimento delle promesse riguardanti ebrei e
gentili. Quest’anno, i bambini di quinta elementare, che Suor Maria Luisa segue a catechismo,
hanno fatto un’esperienza davvero singolare: hanno conosciuto la ‘prima alleanza’ ovvero l’antichissima Pasqua ebraica, i cui simboli ben si prestano a comprendere ancor meglio lo spessore dell’azione salvifica di Gesù nella “nuova” Pasqua, quella che anche noi celebriamo:
“Sì, quest’anno, a marzo, abbiamo proposto ai bambini del terzo anno dell’’iniziazione cristiana,
quindi di quinta elementare, bambini che hanno circa 11 anni, la celebrazione, adattata, della
Pasqua Ebraica. Lo scorso anno, in preparazione alla prima Comunione, con questi bambini abbiamo lavorato molto sulla ‘nuova alleanza’: Gesù si reca a Gerusalemme per celebrare Pasqua con i
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discepoli, Gesù istituisce l’Eucarestia il
Giovedì Santo, Gesù muore e risorge la
domenica di Pasqua, il primo giorno dopo
il sabato. Quest’anno torniamo con attenzione alla ‘prima alleanza’, l’antichissima
Pasqua ebraica, quando Dio aveva permesso a Mosè di guidare il suo popolo
fuori dall’Egitto, dove gli Ebrei erano stati
schiavi. Inoltre la nostra celebrazione si
innesta bene anche nel percorso catechistico di questo terzo anno: la storia biblica
dei Grandi Patriarchi. I simboli della Cena
della Pasqua ebraica, come ho potuto
notare in precedenti esperienze, aiuteranno molto i ragazzi non solo a capire e a
contestualizzare il significato profondo di
gesti e parole, ma anche a comprendere
ancora meglio lo spessore dell’azione salvifica di Gesù della Nuova Pasqua. L’erba
verde ricorderà la primavera, la stagione della Pasqua; l’«haroset» la libertà dopo i lavori forzati; il
«maror» (le erbe amare), la schiavitù e l’oppressione; l’uovo, l’offerta al Tempio; il vino rosso, il
sangue asperso sugli stipiti delle case per ‘preservare’ i primogeniti, e così via. Certo, qualcuno fa
magari più fatica a seguire, ma tutti credo abbiano vissuto un’esperienza bella e unica, che sicuramente ricorderanno anche a distanza di anni e che diverrà ancora più preziosa man mano che i
ragazzi conosceranno e sperimenteranno la storia del Popolo di Dio in cammino verso il Regno”.
Che differenze e che analogie sussistono tra Pasqua ebraica e Pasqua cristiana?
“Il nome ebraico Pesach ha la stessa radice del verbo, che significa “passare oltre”; in particolare,
ricorda il passaggio della morte oltre le case degli ebrei nell’ultima piaga inflitta agli egiziani, per
indurre il faraone a lasciare partire gli ebrei. Gli ebrei scampati “passano oltre” la condizione di
schiavitù e diventano un popolo libero, attraverso un altro passaggio “miracoloso”, quello del mar
Rosso. La Pasqua cristiana è il “passaggio” dalla morte alla vita attraverso la Risurrezione di Gesù,
il Crocifisso. In entrambi i “passaggi” riconosciamo umilmente, se siamo credenti, l’opera misericordiosa di Dio. Il ricordo dell’uscita dall’Egitto si celebra con un racconto “memoriale”. Che cosa
significa? Vuol dire che chi è presente al racconto non solo ricorda, ma lui stesso è come se fosse
liberato “dalla schiavitù” e destinatario di una promessa futura di liberazione definitiva, che sarà
ancora dono di Dio. Nella celebrazione della Pasqua cristiana, che si rinnova in ogni Eucaristia, i
cristiani compiono il “memoriale” della morte e della risurrezione di Gesù, in attesa della manifestazione definitiva della salvezza, come dice una delle acclamazioni della liturgia riformata dopo il
concilio Vaticano II: “Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua risurrezione nell’attesa
della tua venuta”. La Pasqua, con il Cristianesimo, ha acquisito un nuovo significato, indicando il
passaggio da morte a vita per Gesù Cristo ed il passaggio a vita nuova per i cristiani, liberati dal
peccato con il sacrificio sulla Croce e chiamati a risorgere con Gesù. La Pasqua cristiana è quindi la
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chiave interpretativa della nuova alleanza, concentrando in sé il significato del mistero messianico
di Gesù e collegandolo alla Pesach dell’Esodo. La Pasqua ebraica, quindi, è la celebrazione della
meta raggiunta, “la Terra Promessa”, resa possibile dall’Esodo. Ma anche la Pasqua cristiana necessita di un esodo, l’uscita cioè dalla determinazione naturale dell’uomo e l’apertura a quella eccedenza, che in Cristo si è fatta manifesta ed è diventata promessa per tutti di un compimento che
attende l’ottavo giorno.
Ma al di là di queste ricerche di significato teologico, c’è una considerazione, che prendo da un’intervista di Gabriella Caramore, fatta nel corso della rubrica radiofonica “Uomini e profeti” a Paolo
De Benedetti: «In generale, si può dire che la Pasqua cristiana, come del resto tutto il Cristianesimo, presupponga il fatto ebraico. Se non si tenesse presente l’ebraismo come humus vitale e
non trascorso, allora il Cristianesimo sarebbe qualcosa di sospeso nell’aria e senza fondamento…
Se gli ebrei non fossero usciti dall’Egitto, se non fossero diventati popolo, se non fossero stati condotti attraverso il deserto fino alla terra promessa, verrebbe a mancare la base teologica per il cristianesimo» (PAOLO DE BENEDETTI, Sulla Pasqua, [a cura di Gabriella Caramore] Morcelliana,
Brescia 2001, pp. 13-14)”. Ancora: Il Seder (ordine), come si chiama la cena rituale di Pesach, è
stato pensato in forma didattica per adempiere al comandamento biblico, più volte ripetuto:
«...Ricorderai questi avvenimenti per tutte le generazioni future e li racconterai ai tuoi figli e ai figli
dei tuoi figli e mangerai pane azzimo per sette giorni».
La festa è preparata accuratamente per suscitare la curiosità dei bambini, già durante la vigilia coinvolti nella ricerca ed eliminazione di ogni cibo lievitato, che non deve essere più mangiato per tutti i
sette giorni di festa; infatti la festa degli Azzimi, che inizialmente era una festa agricola, è stata
unita, già dai tempi biblici, a quella di Pesach. «Perché questa sera è diversa dalle altre sere?», chiede il bambino ebreo al padre davanti alla tavola imbandita all’inizio della lettura della Haggadà
(racconto e titolo del libro usato per il Seder, che è il “racconto” fondamentale della storia ebraica).
La risposta è la narrazione dei prodigi operati da Dio per liberare il popolo di Israele dalla schiavitù
di Egitto. «Il testo è composto da una raccolta di testi biblici, di passi talmudici o midrashici, e in
un certo senso non è altro che il pretesto per un lungo commento destinato ai bambini. Per l’ebraismo infatti il luogo ideale della trasmissione della memoria affettiva è la tavola familiare, mentre la
scuola serve ad approfondire le conoscenze.
Possiamo paragonare l’esperienza della sera di Pesach alle veglie nelle aie, dove gli anziani trasmettevano il loro sapere alle nuove generazioni” (PH. HADDAD, L’ebraismo spiegato ai miei amici,
Giuntina, Firenze 2003, 129s).
Vi sono usi particolari e/o segni specifici in corrispondenza alla Pasqua ebraica?
“Ho già detto della liberazione della casa dai cibi lievitati. Sulla tavola imbandita per il Seder, in un
vassoio, sono stati preparati dei cibi simbolici: il pane azzimo in ricordo delle feste di primavera e
dell’uscita precipitosa dall’Egitto, le erbe amare, che evocano la tristezza della schiavitù, il haroseth, un impasto a base di frutti, che ricorda la creta per fare i mattoni, quelli che gli ebrei dovevano
preparare, quand’erano sottoposti ai lavori forzati per la costruzione delle città egiziane. Una zampa
di agnello ricorda sia le feste degli antichi pastori, sia il sacrificio pasquale, che si offriva nel tempio
di Gerusalemme. Infine, un uovo sodo è simbolo del tempio distrutto (l’uovo è il cibo dei giorni di
lutto per la perdita di una persona cara) e ricorda insieme l’eternità (l’uovo è senza principio e senza
fine), oltre ad avere altri significati che le diverse tradizioni hanno scovato durante i secoli. Azzime,
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Cammino della Congregazione Nostra Signora di Sion
1846 Consacrazione del primo nucleo di religiose di Nostra Signora di Sion.
1847 La Congregazione allarga i suoi rami in varie parti del mondo.
1855 Padre Maria Alfonso, sacerdote ormai da sette anni e collaboratore del
fratello Teodoro, acquista un terreno a Gerusalemme per costruire un
convento per le Suore di Sion, l’Ecce Homo. Fonti archeologiche attestano che tale edificio sorge su una parte dell’ area della Fortezza Antonia.
1865 La Congregazione riceve l’ approvazione dalla Santa Sede.
1965 Data importante per la Congregazione. In seguito alla Dichiarazione
conciliare Nostra Aetate, il Cardinale Agostino Bea, nel suo messaggio
alle religiose, lo esprimeva chiaramente: “La dichiarazione Nostra
Aetate è un programma per tutti, ma particolarmente per voi, Suore di
Nostra Signora di Sion. Finora la vostra missione era fondata principalmente sulle Costituzioni, ora questa missione vi è proposta dalla Chiesa”.
1955 La Congregazione ha aperto a Parigi un “Centro di Studi e Informazione
su Israele”. Dopo la promulgazione della costituzione Nostra aetate da
parte del Concilio Vaticano II (1965), con il sostegno del cardinale
Augustin Bea e di padre Cornelius Rijk, promuove la costituzione del
Service International de Documentation Judéo-Chrétienne (SIDIC), con
sede a Roma, che dal 1966 fino al suo scioglimento nel 2009 ha svolto
un ruolo di primo piano a livello internazionale nella definizione dei
nuovi rapporti tra Chiesa cattolica ed ebraismo.
Vocazione della Congregazione
Le religiose di Sion sono chiamate a testimoniare il disegno di Dio su Israele e
sulle nazioni, a lavorare per l’unità, a far crescere stima e comprensione, a collaborare per un mondo di giustizia, di pace e di amore. Le Religiose di Nostra
Signora di Sion hanno oggi come fine principale la promozione del dialogo
interreligioso tra cattolici ed ebrei, ortodossi e musulmani; si dedicano all’istruzione, alla catechesi e ad altre opere di assistenza sociale e sanitaria.
Attività della Congregazione
Le religiose di Sion operano in 22 nazioni sparse nei 5 continenti. La loro missione si esprime nella catechesi, nell’attività pastorale, nei movimenti ecumenici, nelle varie forme di educazione e di opere sociali. A Milano le religiose di
Sion operano dal 1968. Propongono corsi di ebraico biblico, organizzano conferenze per conoscere Israele e si impegnano nel dialogo ecumenico della
Diocesi.
Attraverso le varie forme di educazione, le religiose trasmettono la visione
biblica che loro stesse cercano di scoprire maggiormente.
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Il Litostrato, pavimentazione di epoca romana che la tradizione afferma essere quella del cortile del palazzo di
Ponzio Pilato ove fu flagellato Gesù. Attualmente è conservato all’interno del Monastero delle Suore di Sion a
Gerusalemme.
erbe amare e haroseh si mangiano dopo aver recitato le rispettive benedizioni, prima della cena vera
e propria, la zampa di agnello funge solo da ricordo, perché i sacrifici di animali non ci sono più
dopo la distruzione del tempio e l’uovo è un simbolo aggiunto, nel quale si possono trovare molteplici significati, non legati direttamente al Pesach come ricordo dell’uscita dall’Egitto. Quattro
coppe di vino, che si bevono dopo aver recitato la benedizione, e a cui si sono date diverse interpretazioni, scandiscono la parte rituale precedente la cena e la benedizione del pasto che la segue. Una
coppa speciale, la quinta, viene preparata per Elia, e si riempie quasi alla fine aprendo la porta in un
gesto che indica la speranza nell’arrivo del Messia, di cui il profeta è ambasciatore. Il racconto si
svolge attraverso passi biblici e tradizionali, recitazione di salmi e di preghiere che coinvolgono i
presenti, li inducono a ricordare, ma anche li aprono alla dimensione del mistero dell’opera di Dio
protagonista della liberazione”.
Vi sono altri cibi tradizionali?
“Ho già detto dei cibi simbolici – afferma Suor Maria Luisa – Posso aggiungere che le erbe amare
vengono scelte a seconda delle verdure coltivate nei diversi Paesi; nel rito italiano sono sedano e
lattuga, mentre il haroset viene preparato con ricette diverse, che si tramandano nelle varie famiglie.
Quanto ai cibi della cena, tutti osservano il comandamento di non consumare nulla di lievitato e le
regole generali della kasherut, che valgono per ogni pasto ebraico, cioè i precetti sulla “purità” del
cibo, dei quali il principale è quello di non mescolare carne con latte e latticini, ma nella scelta si
rifanno alle abitudini del loro paese e della famiglia”.
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Sion
Nome biblico di Gerusalemme, città
della Pace, un simbolo di Israele, a
cui Maria appartiene.
Gerusalemme è anche la fine dei
tempi, verso cui camminiamo, il luogo di raccolta nell’unità di Israele e
le nazioni.
“Questa parola ricorda a tutti la
speranza della nostra vocazione”.
Alla Pasqua ebraica vien data anche una
denominazione particolare, quella di “Festa
della Libertà”. Perché? E come si esterna, si
manifesta tale aspetto caratteristico?
“Tutta la festa è memoriale della liberazione
dalla schiavitù, per diventare un popolo libero
e indipendente. Tutto il racconto e il modo
Theodore Ratisbonne
festivo di celebrare proclama tale libertà, che
non è solo libertà materiale, ma anche spirituale. A questo proposito, bisogna aggiungere che l’uscita dall’Egitto e il passaggio del Mar Rosso iniziano il cammino nel deserto verso il Sinai, dove il dono della Torah porta a compimento la liberazione stessa. Gli ebrei sono un popolo libero dai condizionamenti umani, un popolo che può accettare consapevolmente la volontà divina. Per praticare la giustizia richiesta dalla Torah bisogna essere liberi esteriormente e interiormente. A partire dal secondo giorno della festa di Pesach, si contano i giorni che portano a quella di Shavuoth (settimane in ebraico, Pentecoste dal nome greco)
memoriale del dono della Torah. Le due feste sono strettamente legate”.
Lei appartiene all’Ordine delle Suore di Nostra Signora di Sion: quale il vostro carisma?
“La nostra Congregazione religiosa – afferma – è nata dal carisma dato a Teodoro Ratisbonne.
La Parola di Dio lo guidò alla fede, e in Gesù Cristo, scoprì che Dio è amore.
Fin dall’inizio fu colpito dai passi della Scrittura
relativi al destino del popolo ebreo e all’amore di
Gesù Cristo per il suo popolo. Qui trovò un’ ispirazione e una chiamata apostolica.
L’esperienza vissuta dal fratello Alfonso (foto
accanto) il 20 gennaio 1842, con l’apparizione
della B.V. Maria nella chiesa di S. Andrea delle
Fratte a Roma, confermò tale ispirazione. Da quel
momento, Teodoro fondò la Congregazione di
Nostra Signora di Sion, per essere testimone nella
Chiesa e nel mondo della fedeltà di Dio al suo
amore per il popolo ebreo e per affrettare il compimento delle promesse che riguardano gli ebrei e
i gentili”.
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