LA MAREA NERA: riflessioni sulle conseguenze immediate e a

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LA MAREA NERA: riflessioni sulle conseguenze immediate e a
LA MAREA NERA:
riflessioni sulle conseguenze immediate e a lungo termine
del disastro nel Golfo del Messico (20 aprile 2010)
a cura di Martina De LEONARDIS
A.A: 2010-1011
Premesse
1 L’Incidente
1.1 L’antefatto
1.2 Il fatto
2 Il disastro immediato
2.1 Conseguenze
2.2 Stime parziali
3 Un anno dopo
3.1 Alcuni dati
3.2 Il corexit
3.3 Il petrolio
3.4 I soccorsi
3.5 La corrente del golfo
4 Accuse
5 Conclusioni
Sitografia
Premesse
La BP, in
origine
British
Petroleum, è una
società del Regno
Unito operante nel
settore energetico e
soprattutto
del
petrolio e del gas
naturale, settori in
cui è uno dei quattro
maggiori attori a
livello mondiale. La Fig. 1 –Il disastro del Golfo del Messico
sua odierna sede è a Londra.
Nasce nel 1908 come compagnia petrolifera Anglo-Persiana (Anglo-Persian
Oil Company,APOC) interessata principalmente ai sedimenti di petrolio nel
1
Medio Oriente. Nel 1917, la guerra gli consentì di incorporare la parte inglese
della German Europäische Union, che usava il nome commerciale di British
Petroleum. Dopo la fine della guerra, la compagnia, di cui ora il Governo
Inglese possedeva il 51%, si spostò in sbocchi più sicuri in Europa ed altrove.
Nel 1954 il nome della società divenne semplicemente "BP". Nello stesso
periodo una campagna pubblicitaria utilizzò lo slogan "Beyond Petroleum"
("Al di là del petrolio"), dismettendo quindi definitivamente la parola
"British" dal nome. Il cambiamento serviva a rimarcare la nuova dimensione
internazionale della società e infatti dalla fine degli anni '60 la compagnia
guardò oltre il Medio Oriente per rivolgersi agli USA ed al Mare del nord.
Il suo nuovo slogan, "Beyond Petroleum" fu accompagnato da un rebranding
del suo famoso "Scudo Verde" cambiandolo nel simbolo dell'elio (dei raggi di
sole verdi e gialli) per enfatizzare il focus aziendale sull'ambiente e sulle fonti
di energia rinnovabili: la BP è leader nella produzione di pannelli solari con il
20% del mercato mondiale nel 2004. Questa mossa è voluta per modificare
l'idea negativa solitamente associata alle compagnie petrolifere.
Nonostante gli sforzi d’immagine la storia recente mostra un altro scenario…
1 L’incidente
20 aprile 2010. Un’esplosione devastava la piattaforma petrolifera
Deepwater Horizon e con lei il Golfo del Messico. Undici le vittime. Ma il
bilancio, per l’ambiente, è ancora più grave. Questo probabilmente è stato il
peggior incidente che questa zona marittima abbia mai vissuto. E’ un vero
disastro ambientale! Basti pensare che le stime attuali parlano di almeno
60.000 barili di petrolio, circa 10 milioni di litri, che sono finite nel Golfo del
Messico ogni giorno! Ogni 4 giorni è fuoriescito un quantitativo pari a quello
che causò l’immane disastro della Exxon Valdez, la petroliera che si incagliò
il 24 marzo del 1989 in Alaska provocando danni serissimi all’ecosistema di
un intero continente.
Svariati i tentativi per arginare la marea nera ma solo il 19 settembre, ben
cinque mesi più tardi, la falla viene chiusa.
I danni, soprattutto per chi vive di pesca, sono stati inestimabili. L’ecosistema
marino risentirà, non si sa ancora per quanto tempo, del devastante impatto
dei 780 milioni di litri di petrolio fuoriusciti dal pozzo. Lungo le coste, dove
pesca e trivelle sono due facce della stessa medaglia – le attività che
consentono la sopravvivenza alle famiglie del luogo – la popolazione era
preparata al peggio: l’arrivo della marea nera sulle coste del Golfo. Tra sabato
1 maggio e domenica 2 maggio è arrivata in Mississippi e Alabama, lunedì 3
in Florida, dove il governatore, Charles Cris, ha decretato lo stato di
emergenza nelle sei contee della zona delle Panhandle più esposte all’impatto.
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Fig. 2- Lo sversamento in mare del petrolio
osservato da un satellite della NASA il 24 maggio 2010.
1.1 L’antefatto
La Deepwater Horizon era una piattaforma petrolifera, dal valore di
circa 560 milioni di dollari, di proprietà dell'azienda svizzera Transocean, la
più grande compagnia del mondo nel settore delle perforazioni off-shore;
affittata alla multinazionale British Petroleum per 496.000 dollari al giorno.
Estraeva circa 8000 barili di petrolio al giorno, era grande quanto 2 campi da
calcio e si trovava a circa 80 km dalla Louisiana, nel Golfo del Messico, e
poteva ospitare circa 130 persone. La trivella della Deepwater Horizon era
una delle più grandi al mondo, lunga 121 metri per 78 metri di larghezza,
poteva operare in acque profonde fino a 2.400 metri e scavare pozzi profondi
fino a 9.100 metri
1.2 Il fatto
Il 20 aprile 2010, mentre la trivella della Deepwater Horizon stava
completando un pozzo petrolifero, un'esplosione sulla piattaforma ha
innescato un violentissimo incendio; 11 persone sono morte all'istante,
incenerite dalle fiamme, mentre 17 lavoratori sono rimasti feriti.
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In seguito all'incendio la flotta della British Petroleum ha tentato invano di
spegnere le fiamme, oltre a recuperare i superstiti.
Fig. 3 -L'esplosione sulla piattaforma della Deepwater Horizon
I giorni successivi all'esplosione della piattaforma il contro ammiraglio
di Guardia Costiera Mary Landry intervistato dall'ABC escludeva
un'emergenza ambientale significativa. Le sue previsioni si rivelarono
drasticamente errate!
Due giorni dopo la piattaforma è affondata, depositandosi a circa 400
metri di profondità e circa mezzo chilometro a nord-ovest del pozzo.
Nonostante il suo affondamento, dal pozzo petrolifero sul fondale marino è
continuato a fuoriuscire il petrolio greggio, spinto dalla pressione più elevata
del giacimento petrolifero e poi risalito per via della minor densità rispetto
all'acqua. Infatti le valvole di sicurezza di chiusura del pozzo non hanno
funzionato. Il 7 maggio 2010 la British Petroleum ha poi tentato (progetto
Top Kill) di arginare la falla utilizzando una cupola di cemento e acciaio dal
peso di 100 tonnellate, ma la perdita non si è arrestata ed il tentativo di ridurre
il danno è fallito.
Si è poi approntata una nuova strategia provvisoria, detta progetto
Lower Marine Riser Package (LMRP), con la posa in opera di un imbuto
convogliatore sospeso sopra al pozzo e collegato a una nave cisterna in
superficie, volta a recuperare almeno in parte il petrolio che fuoriesce senza
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controllo dal pozzo sul fondo del mare, in attesa di trovare una strategia
risolutiva.
Il 10 luglio 2010 viene effettuato un secondo tentativo con un nuovo
tappo per tentare di fermare o almeno ridurre drasticamente le perdite entro
una decina di giorni; contemporaneamente si continuava a lavorare anche a
quella che veniva considerata dalla BP essere la soluzione definitiva del
problema: ossia la trivellazione dei due pozzi collaterali di emergenza.
L'entità della perdita è stata stimata da un minimo di 35.000 a un
massimo di 60 000 barili (tra i 5 e 10 milioni di litri) di idrocarburi al giorno,
di cui solo la metà veniva in qualche modo recuperata. (I dati riguardanti le
cifre sono spesso contrastanti data la difficoltà di stime precise di un danno
così ingente).
Mentre in profondità infuriava la lotta contro il tempo per cercare di
bloccare la fuoriuscita di petrolio, in superficie il dramma diventava evidente.
Man mano che il petrolio continuava ad uscire il rischio di un devastante
disastro ecologico diventava sempre più reale. I frenetici sforzi di pulizia e le
iniziali condizioni meteorologiche favorevoli impedirono ai 18 chilometri
quadrati di olio e alla ben più estesa patina oleosa di raggiungere le coste del
golfo. A tale scopo soccorritori innescarono esplosioni guidate per bruciare il
petrolio riversatosi in acqua. Utilizzarono lo spargimento di agenti disperdenti
attraverso robot sommergibili, aerei e navi di supporto, allo scopo di legare
chimicamente il petrolio e farlo precipitare sul fondo del mare, dove dovrebbe
rimanere inerte nei confronti dell'uomo. L’utilizzo massiccio di questi
solventi (si parla di 7 milioni di litri di solventi utilizzati) potrebbe però avere
peggiorato la situazione a lungo termine. Infine furono utilizzate anche
piattaforme galleggianti aspiranti il petrolio che raggiungeva la superficie.
Nel frattempo la Casa Bianca aveva congelato i piani di nuove
esplorazioni offshore e la Bp, responsabile del disastro, ha fatto buon viso a
cattivo gioco: “Non metteremo ostacoli”. Il maltempo dei giorni successivi
complica intanto gli sforzi di contenimento in cui sono impiegate tra l’altro
una settantina di navi mentre sulle tv americane i meteorologi scandiscono il
cammino di quello che dall’alto sembra un serpente dalle scaglie iridescenti
che si staglia contro il blu cobalto dell’oceano.
2 Il disastro immediato
Il pozzo si chiamava Macondo, uno scherzo del destino che rimanda a
un altro tragico finale, quello che ha per protagonista il paese omonimo
evocato da Gabriel Garcia Marquez in "Cent'anni di solitudine". Ma i danni
provocati non sono letteratura, e la catastrofe per l'ambiente e per l'uomo è di
entità incalcolabile: 6.000 uccelli morti, 1.700 chilometri di costa inquinata,
100 chilometri di terreni paludosi il cui ecosistema appare irreversibilmente
danneggiato. I primi uccelli con le ali coperte dal petrolio sono approdati a
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riva in Louisiana nelle paludi del Delta del Mississippi, lambito nella notte del
30 aprile dai tentacoli della marea nera.
Fig. 4- Uccelli anneriti dal petrolio
2.1 Conseguenze
Il disastro è accaduto nei pressi del delta del fiume Mississippi, una
delle zone più vitali del Golfo. Circa 1728 specie si nutrono e si riproducono
lì, e molte erano, al momento del disastro, nel periodo della riproduzione, e
innumerevoli larve sono state esposte al petrolio e alle sostanze tossiche
mettendo a rischio le generazioni successive. Le paludi servono come vivaio
per innumerevoli specie di pesci e crostacei economicamente ed
ecologicamente importanti. La fuoriuscita potrebbe essere devastante per
colonie di uccelli di allevamento, e per le decine di migliaia di uccelli
migratori che sarebbero arrivati nelle settimane successive. La palude è anche
un vivaio-habitat critico per le larve e giovani pesci, granchi blu, gamberi e
ostriche, la base della catena alimentare per la pesca marittima nel Golfo del
Messico settentrionale.
Il petrolio penetra nel piumaggio degli uccelli, riducendo la capacità di
isolante termico (rendendo gli animali vulnerabili alle escursioni termiche
ambientali) e rendendo le piume inadatte al nuoto e al volo, per cui gli uccelli
non hanno la possibilità di procacciarsi il cibo e di fuggire dai predatori.
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L'istinto degli uccelli li porta a pulirsi il piumaggio con l'uso del becco,
ma in questa maniera ingeriscono il petrolio, con effetti nocivi per i reni, il
fegato e l'apparato digerente; questi ultimi effetti all'organismo, assieme
all'incapacità di procurarsi il cibo, porta alla disidratazione e a squilibri nel
metabolismo. A questi disturbi possono aggiungersi alterazioni ormonali (ad
esempio rivolte all'azione dell'ormone luteinizzante). Molti uccelli muoiono
prima dell'arrivo dei soccorsi umani. Allo stesso modo degli uccelli, i
mammiferi marini che sono esposti al petrolio presentano sintomi simili a
quelli che si hanno negli uccelli: in particolare la pelliccia delle lontre di mare
e delle foche perdono il loro potere di isolante termico, causando ipotermia.
Le prime specie animali vittime del disastro sono state quelle di
dimensioni più piccole e alla base della catena alimentare, come ad esempio il
plancton.
Di seguito specie di dimensioni via via maggiori che sono state
contaminate o direttamente (dagli idrocarburi e dalle sostanze chimiche
disperdenti), oppure indirettamente (per essersi alimentate involontariamente
di animali contaminati); fra queste numerose specie di pesci, tartarughe
marine, squali, delfini e capodogli, tonni, granchi e gamberi, ostriche, varie
specie di uccelli delle rive, molte specie di uccelli migratori, pellicani.
Gli
agenti
disperdenti (fra i
quali il prodotto
commercializzato
come corexit), cioè
le sostanze chimiche utilizzate per
disperdere
gli
idrocarburi in parti
più piccole e per
farli precipitare sul
fondale del mare
hanno consentito di
nascondere
la
Fig. 5- Molti milioni di solventi sono stati usati per disperdere la
marea nera della
chiazza di petrolio
superficie; tuttavia
tali sostanze non hanno ridotto la quantità di greggio ma l'hanno solo nascosta
alla vista, ad oltre 1600 metri di profondità, dove continua ad esercitare i suoi
effetti nefasti sulla catena alimentare a tutti i livelli, uomo compreso.
Di secondaria importanza, ma non da sottovalutare, i timori che si
concentrano sulle specie già a rischio per le quali l'estinzione potrebbe essere
accelerata.
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2.2 Stime “parziali”
I danni del disastro ambientale sono impossibili da calcolare, tuttavia è
possibile farne una stima.
I danni diretti, cioè quelli immediatamente visibili ed evidenti sono:
 la perdita inestimabile di 11 vite umane;
 il valore economico, non stimabile né riparabile, del danno ambientale
procurato;
 il valore economico della piattaforma (equivalente a circa 560milioni di
dollari), degli investimenti per la trivellazione del pozzo (andati in
fumo), e la perdita azionaria della British Petroleum;
 il costo dei primi soccorsi, per lo spegnimento dell'incendio ed il
salvataggio del personale della piattaforma e la ricerca dei dispersi, il
costo dell'operazione per la calata della cupola più il costo della cupola
da 100 tonnellate, il costo delle operazioni per arginare o tappare la
fuoriuscita dal pozzo;
 il costo per il tentativo di arginare la macchia di petrolio fuoriuscito;
 il costo per limitare il danno tentando la bonifica delle acque, delle
coste e la pulizia degli animali.
Fra quelli indiretti, cioè quelli correlati ma non strettamente conseguenti al
disastro, vi sono:
 il danno all'industria locale della pesca;
 il danno all'industria del turismo;
 l'aumento incontrollato del prezzo del petrolio
3 Un anno dopo
Il disastro è immane sia dal punto di vista economico che ambientale.
Da una parte, infatti, ha causato perdite per 5 miliardi di dollari, dall’altra si
calcola che le conseguenze negative che ne sono derivate peseranno
sull’ambiente almeno per i prossimi 50 anni.
3.1 Alcuni dati
Anche se l’aspetto della superficie delle acque del golfo sembra essere
migliorato, il problema ora si è spostato in profondità. Il sistema immunitario
di alcune specie ittiche è seriamente compromesso. La produzione di alghe
marine è alterata. Una crosta di petrolio si espande a coprire il fondo marino
nell’area attorno al pozzo. C’è morte ovunque di comunità coralline,
crostacei, tartarughe di mare, delfini. Appare così, nella denuncia di diversi
scienziati indipendenti, l’area del Golfo del Messico dove un anno fa si
inabissò Deepwater Horizon. Le prospettive, a un anno dal disastro, appaiono
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del resto molto più incerte rispetto a molte delle analisi, e delle assicurazioni,
offerte dalle autorità in questi mesi. Lo scorso novembre la NOAA, l’agenzia
del governo federale che si occupa di clima e oceani, aveva assicurato che
almeno un quarto del greggio rilasciato era evaporato, o si era dissolto
nell’acqua. Un altro 29% circa sarebbe stato vaporizzato in particelle
finissime, naturalmente o attraverso il disperdente chimico Corexit 9500, e
poi riassorbito attraverso l’azione dei batteri marini. Il 5% del greggio era
invece stato bruciato sulla superficie dell’Oceano.
Le stime della NOAA, che il suo direttore Jane Lubchenco ha comunque
definito “parziali”, sono state in questi mesi sempre più messe in discussione
dagli scienziati che, in modo indipendente, lavorano nell’area del disastro.
Samantha Joye, una scienziata della University of Georgia che sta per
pubblicare uno studio sugli effetti del petrolio su flora e fauna del Golfo,
spiega che greggio e gas naturale “si dissolvono in modo molto più lento”
rispetto a quanto affermato dal governo americano. Gli sforzi per “scremare”
il petrolio si sono poi dimostrati “inefficaci” (lo ha spiegato la stessa Guardia
Costiera della Louisiana). E molti segnalano che i disperdenti chimici, se
hanno aiutato a combattere l’espansione del greggio, si sono dimostrati
altrettanto tossici e nocivi per la vita di piante e animali.
3.2 Il corexit
Il Corexit 9500 scompone il petrolio greggio in piccole palline di idrocarburo
e una poltiglia di petrolio acquoso che si infiltra sotto le dighe poste a
protezione degli allevamenti di pesci ed ostriche. Il Corexit è un disperdente
neurotossico vietato in altri paesi. Verrebbe da dire che il rimedio è tossico
almeno quanto il problema stesso. Questo disperdente fa scoppiare i globuli
rossi, scatena emorragie interne, lesioni epatiche e renali di cui soffrono oggi
migliaia di cittadini della Louisiana. Combinandosi al petrolio il Corexit
raggiunge la sua massima tossicità, passando direttamente attraverso la pelle.
I solventi del disperdente fanno penetrare il petrolio attraverso la pelle e nelle
cellule. Il dottore in biologia e tossicologia marina Chris Pincetich dichiara
che il Corexit disgrega le membrane cellulari. L’EPA, da parte sua, ha basato
le proprie conclusioni sulla tossicità del Corexit della BP studiandone gli
effetti sui pesci dopo solamente 96 ore di esposizione. Visto che i pesci non
sono tutti morti, dopo due settimane, ha concluso che il prodotto è innocuo!
Questo composto può essere possibile causa di neurotossicità, nausea,
alterazioni della coscienza, danno epatico e renale ed effetto emolitico sui
globuli rossi in seguito a ripetute o prolungate esposizioni attraverso
inalazione o ingestione (dati riportati da material safety data sheet ,MSDS).
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3.3 Il petrolio
Secondo i dati raccolti dal Dipartimento della Salute e dagli ospedali
dello stato americano, più di 300 persone sono state ricoverate, perlopiù
operatori addetti alla ripulitura dell’area del Golfo contaminata, che
accusavano mal di testa, vertigini, nausea, dolore toracico, vomito, tosse e
difficoltà respiratorie che potrebbero essere dovute all’esposizione prolungata
al petrolio.
Per i danni a lungo termine i ricercatori fanno riferimento a quanto già
avvenuto in disastri petroliferi simili, verificatisi nei decenni scorsi in Alaska,
Spagna, Corea e Galles. I dati sanitari raccolti negli anni successivi a questi
sversamenti di petrolio parlano di problemi respiratori, alterazioni del DNA,
ansia, depressione, disordine da stress post-traumatico, stress psicologico e
danni neurologici nei lavoratori e residenti locali. È un dato che emerge dalle
testimonianze raccolte dal sito Discovery Channel, secondo cui uno dei
responsabili del malessere potrebbe essere la prolungata esposizione al
benzene. Wilma Subra, biologa locale, afferma che nei pescatori e nelle
persone che hanno partecipato ai soccorsi ci sono valori 36 volte maggiori
rispetto alla media di questa sostanza. «Un mese dopo aver iniziato a lavorare
su una delle chiatte dei soccorritori - racconta Jamie Simon, 32 anni - ho
cominciato a perdere sangue dal naso e a soffrire di forti mal di testa. I
sintomi non sono mai migliorati, anzi se ne sono aggiunti altri».
In conclusione per quanto riguarda le conseguenze del disastro sulla
vita umana possiamo dire che il petrolio e le sostanze chimiche disperdenti
contamineranno la popolazione locale a breve e medio termine, per via
inalatoria, a lungo termine, per via orale, come conseguenza dell'accumulo
degli idrocarburi nella catena alimentare (attraverso il processo di
biomagnificazione). Ci saranno effetti sulla popolazione locale in termini di
intensificazione di malattie respiratorie e patologie della pelle (follicoliti
cutanee) e, nel lungo periodo, gravi effetti in termini di aumento statistico
dell'incidenza di tumori. Gli effetti nel lungo periodo comprendono anche
aumenti statistici degli aborti spontanei e neonati di basso peso alla nascita.
3.4 I soccorsi
Nelle operazioni di ripulitura dopo un anno erano ancora impegnate circa
2000 persone della Guardia Costiera, che navigano a bordo di 200 battelli
lungo le coste di Lousiana, Alabama, Mississippi, Florida. Ma i loro sforzi
restano ben al di sotto della sfida. Mancavano mezzi e personale (nei mesi
immediatamente successivi al disastro, furono 48mila gli uomini impegnati).
Il periodo della riproduzione, per molte specie di volatili e tartarughe,
suggeriva alle squadre della Guardia Costiera di tenersi lontani dalle zone di
nidificazione, e rallentava le operazioni di ripulitura. Intanto 130 miglia di
palude della Louisiana apparivano tragicamente senza vita.
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La loro scomparsa significa la fine di un rifugio sicuro per gli stormi che di
qui passano, e di un luogo di vita e nutrimento per gamberetti e altri crostacei.
Da tutto ciò emerge
che, ad un anno di
distanza, il danno era
diffuso e durerà per
decenni. Il petrolio e
i disperdenti sono
tossici sia per gli
ecosistemi
in
superficie sia in
profondità.
Per avere un’idea,
anche
se
solo
parziale dei danni
Fig. 6- L'intervento dei soccorritori
all’ambiente
si
riportano alcune cifre degli animali morti:
- 6104- gli uccelli
- 609 le tartarughe marine
- incalcolabili i numeri relativi agli animali marini
- 153 carcasse di delfini, molti di questi molto giovani, alcuni persino
in fase fetale.
Queste sono stime effettuate a seguito del conteggio degli animali raccolti. La
mortalità reale è sicuramente molto più elevata: gli scienziati stimano che le
carcasse raccolte finora rappresentano solo un quinto della mortalità reale
delle tartarughe e al massimo il 6 % dei cetacei. Inoltre solo una piccola
percentuale riesce ad essere avvistata per essere lavata e salvata.
3.5 La corrente del golfo
Scienziati e operatori ecologici hanno segnalato altri possibili, e
devastanti effetti.
Dopo un anno alghe e altri microrganismi sono scomparsi in un’area
pari a circa 100 miglia intorno al pozzo di BP. “Le alghe sono come l’erba
sulla terra. La loro scomparsa influisce sull’ossigeno, quindi sull’intero
ecosistema e sulla catena alimentare”, ha spiegato Suzanne Fredericq, della
University of Louisiana. Prove evidenti dal satellite hanno mostrato una
drastica riduzione della concentrazione della clorofilla nel Golfo del Messico,
che potrebbe avere un serio impatto sull'intero ecosistema e circolazione
oceanica. Poiché è ben nota la correlazione tra le dinamiche oceaniche e la
biologia, la riduzione della concentrazione della clorofilla potrebbe avere
serie conseguenze sulla circolazione dell'acqua, ovvero le correnti del Golfo.
L'importanza della clorofilla come parametro della qualità dell'acqua è ben
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nota: la misura della sua concentrazione e distribuzione è uno dei modi
migliori per monitorare la flora microscopica (fitoplancton e/o alghe) che
gioca un ruolo vitale nella vita dell'oceano in quanto base della catena
alimentare. Le acque con un'alta concentrazione di clorofilla solo solitamente
ricche di nutrienti, e consentono la sopravvivenza e l'evoluzione della vita.
Quando la distribuzione della flora si altera in conseguenza di
modifiche dell'ambiente, abbatte i livelli di ossigeno disciolto: questa è una
delle cause primarie della moria di massa dei pesci, come è stato ampiamente
riportato dai media riguardo la situazione nel Golfo del Messico.
Dall'incidente della piattaforma petrolifera della BP e dalla successiva
immissione di differenti sostanze chimiche nell'ecosistema del Golfo, i dati
satellitari hanno mostrato prova evidente di una drastica riduzione della
concentrazione della clorofilla nel Golfo del Messico di approssimativamente
un fattore 100, ad una prima analisi, anche se ulteriori studi saranno necessari
per confermare questo dato. L'incidente e i successivi interventi umani, come
anzi detto, hanno causato una irreparabile alterazione dell'intero ecosistema
del Golfo, che oggi sembra addirittura un nuovo sistema biofisico artificiale,
differente dal sistema naturale che esisteva in precedenza.
4 Accuse
E’ stata costituita una commissione d'inchiesta dalla Casa Bianca, per
far luce sul l'incidente alla piattaforma petrolifera. Stando alle accuse che
Tyrone Benton, addetto alla piattaform Horizon, ha lanciato in un'intervista
alla Bbc, la multinazionale petrolifera era stata avvertita settimane prima del
disastro di un difetto nei sistemi di sicurezza dell'impianto, in particolare in
uno dei due meccanismi di prevenzione delle esplosioni (Bop). Un congegno
che, in caso di fuoriuscita di gas, avrebbe dovuto tagliare il tubo e sigillarlo
per prevenire l'esplosione del gas ad alta pressione. Ma bisognava fare in
fretta e gli addetti al controllo, ai quali era stata segnalata la cosa, hanno
preferito spegnere il congegno affidandosi al buon funzionamento del suo
gemello e inoltrare l'informazione via e-mail a Bp e a Transocean,
proprietaria della piattaforma.
Inoltre la British Petroleum aveva il compito preciso di ripulire le
spiagge dal catrame ma dopo i primi accertamenti pare che abbia solo
ricoperto le coste con qualche tonnellata di sabbia pulita, senza effettuare
lavori di bonifica e riassettamento. Sulle coste del Golfo, sia ascoltando gli
ecologisti che gli specialisti della fauna fino ai medesimi pescatori e uomini
d’affari, il responso è del tutto simile: la compagnia BP ha alterato le notizie
concernenti ciò che è stato effettivamente fatto in seguito al disastro
petrolifero del Golfo del Messico. L’agenzia del Rating Moody’s ha calcolato
che il costo finale che la BP dovrà pagare potrebbe toccare i 60 miliardi di
dollari. Il presidente degli Stati Uniti, ad un anno del disastro ha fatto sapere
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che la sua amministrazione non dimentica e che intende perseguire i
responsabili. L’anniversario del disastro ha dato nuovo vigore alle polemiche
che ha visto in prima fila alcuni scienziati secondo i quali l’entità del danno è
stata ampliamente sottostimata.
5 Conclusioni
Infine alcune considerazioni:
I. I tecnici e gli ingegneri prevedono sempre numerosi sistemi di sicurezza ma
in questo caso, come nel caso di Chernobyl ed in molti altri, c’è qualche
incompetente che disattiva tali sistemi mettendo al rischio la salute di
intere popolazioni. Si può cambiare registro, la “green economy” è una
opzione che può aumentare la ricchezza e non diminuirla.
II. Per il business di pochi è a rischio la salute di molti. Serve un forte
controllo dello stato su tutte le attività industriali a rischio.
III. Di questa brutta storia se ne parlerà ancora per molto tempo e le
conseguenze ambientali saranno molto più lunghe delle memorie umane.
IV. E poiché si impara sempre troppo poco dalle esperienze la BP, mentre
ancora doveva ripristinare il controllo sul pozzo nel Golfo del Messico,
pensava già a nuovi pozzi di estrazione in Alaska.
Sitografia
www.wikipedia.org (consultato il 30/06/2011)
www.ecopedia.com (consultato il 30/06/2011)
www.nature.org (consultato il 30/06/2011)
www.ecologie.com (consultato il 01/07/2011)
www.astronavepegasus.it (consultato il 01/07/2011)
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