Marco Macciantelli: Presagi jenensi.Sui presupposti

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Marco Macciantelli: Presagi jenensi.Sui presupposti
Marco Macciantelli: Presagi jenensi.Sui presupposti estetico-filosofici del romanticismo*
Marco Macciantelli
Presagi jenensi.
Sui presupposti estetico-filosofici del romanticismo*
Studi di Estetica, 6/1992
Ill: La morte del becchino (anni 1890) di Carlos Schwabe.
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Marco Macciantelli: Presagi jenensi.Sui presupposti estetico-filosofici del romanticismo*
Guardare ai presupposti estetico-filosofici del romanticismo significa, per prima cosa, puntare
l’attenzione sulla situazione dalla quale il movimento ha tratto le sue origini: la situazione della
cultura europea sul finire del Settecento. E soffermarsi su quell’esperienza inaugurale che è
stata l’attività della rivista “Athenäum”, sorta per l’impegno di un gruppo di giovanissimi filosofi,
letterati e poeti, tra il 1797 e il 1801, in una piccola città della provincia tedesca, sede però di
una Università prestigiosa: Jena. Una Università nella quale nell’arco di un secolo insegnarono
esponenti della cultura tedesca quali Winckelmann (dal 1741), poi, tra la fine del Settecento e i
primi anni dell’Ottocento, Schiller, Schelling, Fichte, Hegel, dove, infine, conseguì il dottorato
Karl Marx (nel 1841). Occorre in sostanza ricostruire lo sfondo storico del movimento romantico
nella sua portata propriamente europea, nella sua genesi significativamente tedesca.
La storia del romanticismo si presenta nella forma di una genealogia dalle molteplici
ramificazioni ed implica un percorso che procede attraverso alcuni momenti, storici e teorici,
anche profondamente differenziati.
Intanto, è necessario soffermarsi sulla genesi dell’espressione, sulla genesi dell’espressione
“romantico”. Qui, preliminarmente, bisogna guardare alla seconda metà del XVII secolo inglese.
Infatti, la parola “romantico”, come ha scritto lo studioso Stephen Prickett :
assume rilievo, attorno al 1650, come parte di un gruppo di termini aventi la medesima
derivazione – insieme a forme quali “romancical” (1656), “romancial” (1653) e persino
“romancy” (1654). Fu sempre usata in senso poco lusinghiero, come nel caso di “romancer”
(1663), il cui significato era quello di “mentitore". [i]
Prickett poi ha spiegato che:
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Pur non sempre usata in modo così negativo, i riferimenti a leggenda, favola e persino sogno
furono abbastanza frequenti, almeno per la maggior parte del secolo diciottesimo.
Ed è proprio a partire dalla metà di questo secolo che, nel significato della parola, cominciano
ad insinuarsi altri connotati:
I primi esempi chiaramente espliciti del nuovo senso della parola [...] – ha avvertito Prickett –
non vennero dall’Inghil-terra, ma dalla Germania, nei primi anni del diciannovesimo secolo.
Un’ulteriore, importante tappa nello sviluppo semantico del termine si verifica nella situazione
tedesca agli inizi dell’Ottocento, quando Goethe rivelerà, al suo inseparabile segretario,
l’Eckermann, che lui stesso e Schiller furono i primi a usare “romantico” in opposizione a
“classico”. Ed è questo l’ingresso ufficiale del termine nel suo nuovo significato, un significato
che, fatte salve certe lievi accentuazioni successive, non lo abbandonerà più.
Di tale successiva connotazione del termine ci occuperemo però più avanti; ora, chiediamoci:
quali furono i presupposti critici del romanticismo nel momento di avvio del suo cammino, a
partire dalle situazioni inglese e, soprattutto, tedesca?
Occorre dunque volgere lo sguardo sulle premesse generali del movimento.
Secondo René Wellek, alla base del sorgere dei motivi romantici, vi fu, in linea generale, il
rifiuto del “credo” neoclassico; si tenga conto del fatto che a partire dalla metà del Settecento
Johann Joachim Winckelmann (1717-1768) comincia ad elaborare quella ideologia del
classicismo che sarà imperante sul gusto europeo per tutta la seconda metà del Settecento.
Wellek [ii] ha riconosciuto al movimento romantico le seguenti caratteristiche generali: 1) il
recupero della fantasia nell’arte; 2) la rivalutazione del concetto di natura; 3) l’uso del simbolo e
della mitologia a fini poetici.
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Ma non bisogna dimenticare che al Wellek si deve il riconoscimento anche di un altro elemento:
la dimensione europea del fenomeno, in un movimento che, in modo spontaneo e simultaneo,
ha coinvolto poetiche artistiche e letterature nazionali tra loro anche molto diversificate.
Negli scritti che Wellek ha espressamente steso sul concetto di romanticismo, apparsi nel 1949
nei primi due numeri di “Comparative Literature”, egli ha inoltre contestato la posizione assunta
da Arthur O. Lovejoy, il quale, in un articolo rimasto famoso, pubblicato nel 1924 (dal titolo Sulla
discriminazione del romanticismo), riconosceva al fenomeno alcune caratteristiche che, a
parere di Wellek, non avrebbero fatto che favorire pregiudizi e prevenzioni, così da far ritardare,
nell’ambito della critica americana, l’interesse per il romanticismo europeo in generale; Lovejoy,
in pratica, in quell’articolo, metteva in questione la vaghezza del termine, proponendo di
abbandonarla perché priva di significato.
Sulla polemica condotta da Wellek contro Lovejoy è intervenuto, più di recente, Paul de Man
[iii], per sostenere che, da allora, dal 1949, dopo tanti anni e tante pagine di bibliografia
sull’argomento:
dobbiamo ammettere – egli ha scritto – che molto rimane ancora da fare prima che una risposta
definitiva alle obiezioni di Lovejoy sia possibile;
e che:
una comprensione completa del romanticismo rimane essenzialmente problematica. Qualcosa
nella profondità della domanda sembra continuamente resistere all’interpretazione.
La questione del romanticismo – questa l’opinione di Paul de Man – continua a resistere: resiste
cioè ad un’interpretazione esaustiva; ed è lo stesso Paul de Man [iv] a riconoscerne
esplicitamente il motivo: «lo studio comparatistico del romanticismo europeo – infatti, egli
affermato – è ancora ai suoi inizi»; perché, in realtà, anche negli studi più attenti sul movimento:
«il problema del romanticismo è stato eluso o rimosso»; mentre, al contrario, ha aggiunto infine
de Man: «il problema del romanticismo continua a dominare gli altri problemi della critica storica
e letteraria».
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Mi sembrano, e sono, parole semplici e chiare, che non possono non essere pienamente
sottoscritte.
Ora, sebbene il romanticismo, complessivamente inteso, sia il frutto di un movimento
simultaneo e spontaneo, come già si è detto, che ha agito all’interno delle maggiori letterature
europee, certo è in Germania che esso ha acquisito precisi connotati nel suo programma di
intervento sulla letteratura. E sebbene il termine sia approdato nell’area culturale tedesca
dall’Inghilterra nel secolo diciassettesimo, è in Germania, che esso riceve, tra la fine del
diciassettesimo e l’inizio del diciottesimo secolo, la sua prima esplicita tematizzazione teorica.
In Germania, appunto, a Jena. Di lì, poi, attraverso la mediazione determinante di poeti inglesi
quali Coleridge e in parte Wordsworth, esso si dirigerà di nuovo oltre Manica, fecondando una
situazione già a suo modo disposta ed avviata. Né mancherà l’opera di divulgazione e
diffusione del pensiero romantico promossa da figure come quella di Madame de Staël, specie
a proposito dei rapporti franco-tedeschi; e in tal modo, infatti, il movimento si propagherà, pur
dando vita a profonde varianti, anche in direzione del contesto francese e, in parte, di quello
italiano.
A noi dunque – al fine di cogliere i presupposti estetico-filosofici del romanticismo – interessano
qui gli influssi di quella prima, primissima fase, della fase che possiam dire jenense, dal nome
della cittadina universitaria della Turingia dalla quale il movimento trasse origine.
Ho sopra riportato le dichiarazioni rese da Goethe all’Eckermann, secondo le quali Goethe
stesso e Schiller (del quale ricordo la data di nascita: il 1759) furono i primi ad usare “romantico”
come termine opposto a “classico”. Il grande poeta tedesco confidò all’Eckermann, negli ultimi
anni della sua vita, che furono gli Schlegel (August Wilhlelm e Friedrich) a impossessarsi di
quella idea e a spingerla oltre:
tanto che ora si è sparsa dappertutto – rivelò ancora Goethe all’Eckermann – e tutti parlano di
classicismo e di romantici-smo, cose alle quali cinquant’anni addietro nessuno pensava.[v]
Goethe parlava così nel 1830 (il “dialogo” riportato dall’Eckermann risale al 21 marzo 1830).
“Cinquant’anni addietro”, egli affermò; all’incirca la fine del Settecento. Un arco di tempo tale da
comprendere anche gli esiti dell’esperienza Sturm und Drang (che andò dal 1770 al 1778),
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esperienza alla quale Goethe stesso prese personalmente parte in età giovanile (Goethe, nato
nel 1749, tra gli anni 1770-1778 era poco più che ventenne).
E sempre sul finire del Settecento si consuma anche l’intensa parabola dell’“Athenäum”, rivista
attiva, si è detto, dal 1797 al 1801, anno della precoce morte di Novalis (nato nel 1772); uno dei primi casi di rivista militante modernamente concepita, quella dell’“Athenäum”, uno dei
primi casi, anzi, il primo in assoluto, di rivista che raccolse letterati, filosofi, poeti, in un comune
sodalizio; il primo episodio di quel movimento di pensiero estetico e letterario che è stato detto,
appunto, il romanticismo di Jena.
Un gruppo ristretto e caratterizzato da forti vincoli personali, di amicizia, anche familiari. Vi
fecero parte i fratelli August Wilhelm (classe 1767) e Friedrich Schlegel (classe 1772, come
Novalis). Due figure femminili come Carolina (prima legata a Georg Forster, poi ad August
Wilhelm Schlegel e, infine, dal 1803, dopo la dissoluzione del gruppo, moglie di Schelling), e
come Dorothea (la figlia del filosofo illuminista Moses Mendelssohn, sposata al banchiere
Simon Veit, legata a Schleiermacher, compagna infine di Friedrich Schlegel). Vi fecero parte
Friedrich Leopold von Hardenberg (che assunse lo pseudonimo di Novalis), al quale, in effetti,
si deve l’uso del termine Romantiker, inteso come sinoni-mo di romanziere. E poi Tieck; e,
naturalmente, i filosofi Schleier-macher e Schelling (del quale parleremo più avanti), i quali,
anche se collaborarono senza troppo impegno alla rivista, ne condivisero tutto l’interesse per la
concreta vita dell’arte.
Quindi Jena. Il momento iniziale. Die Frühromantik. Il primo romanticismo. Ma non mancarono
sviluppi successivi come quello di Heidelberg. Il secondo romanticismo. Negli anni 1804-1806.
Una stagione, quest’ultima, animata da autori come Achim von Arnim e Brentano, e, non va
dimenticato, dai fratelli Grimm.
Dopodiché, come René Wellek ha sostenuto:
si può parlare di gruppi decisamente ‘romantici’ a Milano, dopo il 1816, a Parigi, dopo il 1824.
[vi]
Ma a noi interessa il momento inaugurale del movimento, in relazione ai suoi presupposti
estetico-filosofici.
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Riprendiamo allora per un istante il senso del cammino sin qui tracciato, che va dall’Inghilterra
alla Germania e quindi, di nuovo, all’Inghilterra. È questo il tragitto più evidente che la mappa
del romanticismo disegna nel suo sviluppo storico. Un fenomeno che coinvolse larga parte della
civiltà artistica, filosofica e letteraria europea (sino a toccare le sue zone più marginali). Un
periodo che va appunto dalla fine del Settecento a una buona metà dell’Ottocento. Un periodo
che proprio in virtù di questi suoi caratteri co-stituisce anche un interessante questione di
storiografia delle idee estetiche.
Certo, sulla piena comprensione del movimento e del suo sviluppo storico hanno pesato ritardi,
rifiuti, tentativi non innocenti di distorsione. La storia della ricezione delle idee romantiche
consiste anche in questo: in una catena di semplificazioni, esasperazioni polemiche e
fraitendimenti che sembrano affondare i loro motivi in un unico presupposto: il desiderio di
sminuirne o negarne il significato.
A quest’opera hanno dato il loro contributo prese di posizione come quelle di Hegel e del nostro
Benedetto Croce.
Hegel: che oppose al termine una doppia svalutazione (storiografica e concettuale),
preferendogli, nell’ordine dello sviluppo razionale dello Spirito, il “classico”, condannando così
il romanticismo nell’ambito di una vulgata che troverà sempre maggiore fortuna, la vulgata che
ha fatto del romanticismo qualcosa di esclusivamente teso all’esaltazione del sentimento,
dell’emozione, dell’interiorità. La critica di Hegel contro i romantici è esplicita e nell’Estetica [vii]
egli non perde occasione per attaccarli, per denigrarli, con giudizi duri e taglienti. Vediamo
meglio perché.
Per Hegel, come è noto, l’arte è l’apparizione sensibile dell’idea. L’arte, secondo il filosofo, è ciò
che presenta alla coscienza la verità sotto forma sensibile. Tale “apparizione” raggiunge la
perfezione quando rappresenta l’accordo di forma e contenuto: qui vi è la compiuta unione
dell’Idea. Tre sono per Hegel le forme di arte: il simbolico, il classico, il romantico. La forma
simbolica rappresenta quell’arte primitiva (persiana, egiziana, ebraica) nella quale si darebbe un
eccesso della forma sul contenuto, dell’esteriorità sull’interiorità; tipica della fase simbolica è
l’architettura: si pensi alla piramide egizia. La forma romantica rappresenterebbe un eccesso
del contenuto, della soggettività, della spiritualità; le arti romantiche, sviluppatesi a partire
dall’epoca cristiana nel Medio Evo, sono la pittura, la musica, la poesia (epica, lirica,
drammatica).
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La perfezione artistica sarebbe stata invece raggiunta, secondo Hegel, dalla forma classica
nella Grecia antica, la quale rappresenterebbe la coincidenza di interno ed esterno: suo modello
sarebbe la scultura, laddove appare ritratto il corpo, il volto stesso dell’uomo.
Il discredito espresso da Benedetto Croce non fu meno influente: nella sua Aesthetica in nuce
(del 1946, scritta però nel 1928 per la IV edizione dell’Enciclopedia Britannica e comunque in
una fase pienamente “matura” del suo pensiero) egli, col suo tipico tono tranchant, proclamava
(in Classicità e Romanticismo) che:
Il problema attuale dell’Estetica è la restaurazione e difesa della classicità contro il
romanticismo, del momento sinteti-co e formale e teoretico, in cui è il proprio dell’arte, contro
quello affettivo, che l’arte ha per istituto di risolvere in sé, e che ai nostri giorni le si rivolta contro
e cerca di usurparne il posto. [viii]
Ecco un aspetto non privo di interesse: i rapporti tra romanticismo e idealismo non sono affatto
pacifici (come a volte si è creduto), anzi; e se oggi si intende riprendere il contatto a lungo
smarrito, il contatto con quelle teorie e quelle poetiche, si dovrà per prima cosa rimuovere
l’immagine distorta e di maniera che del romanticismo contribuì a dare l’idealismo
hegelo-crociano.
Per una comprensione del romanticismo occorre dunque rifarsi ad altri autori, ad altre
prospettive critiche: e, in primo luogo, a certi influssi provenienti dalla terza critica kantiana, sui
quali ci soffermeremo più avanti, agli influssi kantiani che filtrarono in Fichte, a certe
ascendenze kantiane di Schelling; poi, in un ambito di riferimenti più vasto, a Rousseau,
naturalmente, a Baumgarten, al Lessing, al Wieland, a Herder; a illuministi come Diderot (vi è
un côté di relazioni tra illuminismo e romaticismo che, se studiato attentamente, può riservare
non poche sorprese).
In questa circostanza cercheremo di dirigere l’attenzione sulla parte a nostro avviso più
cospicua dei presupposti estetico-filosofici del romanticismo: vale a dire su quella situazione di
pensiero che conduce dalla terza critica kantiana all’idealismo trascendentale fichtiano e
all’idealismo estetico del primo Schelling.
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Non senza però aver ricordato prima che negli ultimi anni è eccezionalmente cresciuto
l’interesse per il movimento romantico in una rivalutazione volta sia alla riscoperta dei singoli
autori sia alla valorizzazione del movimento nella sua dimensione europea.
Studi eccellenti sono stati pubblicati in Germania, [ix] ma anche in Francia [x] e in Italia. Studi di
taglio vuoi letterario vuoi filosofico. Restringendo il campo alla letteratura critica italiana
meritano di essere qui segnalati i lavori di Luciano Zagari, di Marcello Pagnini, e, più
recentemente, su un piano del dibattito filosofico, di Stefano Zecchi e di Sergio Givone. [xi]
Ma proprio nell’ambito del contesto della critica e dell’estetica italiane non si può non
rammentare l’opera d’esordio di Luciano Anceschi, Autonomia ed eteronomia dell’arte, risalente
all’anno 1936 (ne è uscita in questi mesi una riedizione presso Garzanti),[xii] per il valore
sempre attuale dell’analisi ivi contenuta di una trasmissione di influssi dalla Germania alla
Francia, attraverso la cultura anglosassone (è il famoso nesso Novalis-Coleridge-Baudelaire,
che passa attraverso la mediazione di Poe); e per il chiarimento, poi, lì formulato, di come la
Critica del giudizio di Kant definisca quei caratteri del bello che i teorici e i poeti romantici
trasporteranno sul piano dell’interpretazione dell’arte.
Ora, molti dei lavori recenti non mancano di darci un’immagine nuova, specialmente del primo
romanticismo, sottolineando gli elementi di continuità che esso intrattenne con l’epoca
illuminista. Insieme ai rapporti di ascendenza e di prefigurazione che lo legano all’epoca
contemporanea, cioè al Novecento.
Pagnini ha parlato in tal senso di:
preannunci già in ambito illuminista, molto precoci in Inghilterra e di persistenze sin dentro al
nostro secolo. [xiii]
Zagari dal canto suo ha precisato che:
Innegabile è il rapporto almeno di prefigurazione che lega certi fenomeni del mondo romantico
al mondo di oggi. [xiv]
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Infine Rosario Assunto ha affermato che:
I romantici, [...], non si limitano semplicemente a reagire all’illuminismo, camminando
all’indietro, come vorrebbero certi diffusi luoghi comuni; perché anche le loro impennate
irrazionalistiche nascevano da una partecipazione alla cultura e civiltà illuministiche, e dalla
vissuta, talora sofferta cognizione dei limiti, delle contraddizioni, delle aridità in cui l’illuminismo
(quello tedesco, forse, più di quello francese e inglese), aveva finito col chiudersi. [xv]
Ma veniamo ora, più specificamente, a ciò che soprattutto ci interessa: agli aspetti filosofici del
fenomeno, agli aspetti estetico-filosofici del romanticismo, sia in relazione alle componenti che
concorsero a delinearlo sia a quelle che ne caratterizzarono gli sviluppi ulteriori.
Nel riferirci agli influssi e ai presupposti filosofici del romanticismo è d’obbligo volgere lo
sguardo al contesto della filosofia tedesca degli ultimi decenni del Settecento e, in campo
propriamente estetico, è inevitabile considerare il peso avuto da un’opera come la terza critica
kantiana: Die Kritik der Urtheils-kraft, la Critica del Giudizio. [xvi] Con tale opera, infatti,
pubblicata nel 1790, si aprì l’ultimo decennio del Settecento ed essa non mancò di esercitare
molte e fertili ascendenze nei confronti del movimento romantico. Si può addirittura sostenere,
come taluni hanno fatto, che essa sia alla base dell’intero sviluppo del pensiero romantico.
Ma è opportuno riprendere brevemente alcune delle questione affrontate in essa da Kant, nei
loro aspetti essenziali.
La Critica del Giudizio si propone di risolvere, in sostanza, la lacerazione che si determina nella
figura dell’uomo tra la legislazione della ragione pura (che implica l’idea di necessità e riguarda
il mondo sensibile e finito) e la legislazione della ragione pratica (che implica l’idea di libertà e
riguarda il mondo sovrasensibile e infinito), tentando, nel contempo, di delineare, tra le due
legislazioni, un termine medio, Kant dice un Mittelglied.
Un termine medio tra intelletto e ragione, tra conoscenza intellettuale e idee razionali, tra
fenomeno e noumeno, tra necessità e libertà, tra natura e moralità, o anche: tra sensibile e
sovrasensibile, tra finito ed infinito.
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Nella Critica della ragion pura (del 1781) Kant, ricordiamo, aveva distinto le facoltà conoscitive
dell’uomo in: sensibilità, intelletto e ragione, facendo corrispondere a ciascuna di esse tre
sezioni: l’Estetica trascendentale, in cui aveva trattato delle forme a priori della sensibilità (lo
spazio come forma del senso esterno e il tempo come forma del senso interno); l’Analitica
trascendentale o analitica dei concetti, riguardante le categorie come forme a priori dell’intelletto
(è questa la parte che si occupa della conoscenza vera e propria come sintesi di sensibilità e
intelletto); e la Dialettica trascendentale, parte relativa alle forme a priori della ragione.
Occorre tener ben presenti i passaggi della riflessione kantiana – anche se essi impongono uno
sforzo a causa della loro comples-sità, non solo terminologica – proprio al fine di impostare le
relazioni che tale riflessione stabilisce con l’avvio della problematica romantica.
L’aspirazione della ragione verso la trascendenza è giustificata però da Kant come un’esigenza
non di natura teoretica ma pratica. È a tale esigenza che si deve la spinta a trascendere il
mondo dell’esperienza e a postulare un mondo noumenico, diverso da quello sensibile e
fenomenico, in cui l’uomo vive.
Di qui la tematica della Critica della ragion pratica (del 1787). Mentre la natura sensibile
dell’uomo lo rende sottoposto alle leggi dell’esperienza, la sua natura razionale lo sottrae a tali
leggi rendendolo libero. Il postulato supremo della moralità è per Kant la libertà. La libertà è
condizione della stessa legge morale che configurerebbe un mondo sovrasensibile nell’uomo.
Seguendo il percorso impostato da Kant abbiamo quindi, da una parte la Critica della ragion
pura, dall’altra la Critica della ragion pratica; da una parte il mondo della necessità, diciamo
così, dall’altra il mondo della libertà; da una parte il mondo sensibile, dall’altra il mondo
sovrasensibile; da una parte il mondo ogget-tivo, dall’altra quello soggettivo: il mondo finito e
l’infinito.
Da questa lacerazione interna alla sfera dell’uomo prende le mosse, appunto, la Critica del
Giudizio. Opera nella quale Kant si propone di esporre i principi a priori di una terza facoltà, la
facoltà del giudizio, la cui funzione consiste nel considerare il mondo della natura, dominio
dell’intelletto, secondo un principio fornito dalla ragione.
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Nella Critica del Giudizio Kant cerca di rispondere alla domanda se sia legittimo supporre che vi
sia un principio per se stesso capace di consentire la conoscenza teoretica e di fondare la
volontà pratica, e che sia tale da stabilire, nel contempo, un legame, un nesso, tra mondo
sensibile e mondo sovrasensibile. Questo principio unitario viene chiamato da Kant il principio
della finalità.
La lacerazione che si determina nell’uomo, tra la legislazione della ragione pura e la
legislazione della ragion pratica, può essere risolta, sembra suggerire Kant, da un termine
medio posto tra le due legislazioni: e questo non è altro che il giudizio quando attinge all’idea di
finalità; il Mittelglied, il termine medio, si presenta nella forma di una facoltà del giudizio che ha
per proprio campo la natura, la stessa identica natura che offre i fenomeni alle categorie
dell’intelletto, ma sotto un aspetto del tutto originale, sotto l’aspetto della finalità.
Il termine medio non è dunque il giudizio riflettente in senso stretto, ma, piuttosto, il giudizio
riflettente relativo alla finalità formale della natura; esso è il giudizio riflettente, specialmente in
quanto giudizio estetico.
Abbiamo così la messa in relazione di termine medio, giudizio e esteticità. Il Mittelglied trova il
suo campo di funzionalità nella facoltà del giudizio come facoltà del giudizio estetico.
Ora il dominio del giudizio estetico è il mondo del sentimento (di piacere e di dispiacere); ed
esso riguarda il bello e il sublime. Il principio a priori ricercato dalla Critica del Giudizio, mentre è
regolativo rispetto alla conoscenza, è invece costitutivo rispetto al sentimento. Il principio della
finalità è soggettivo in quanto regolativo; e costitutivo in quanto formale.
Tale connubio di regolativo e costitutivo è garantito dal genio e dal libero gioco – secondo Kant
– delle facoltà dell’immaginazione. Centrale, nel passaggio che si verifica dalla filosofia kantiana
all’estetica del romanticismo è infatti la tematica dell’immaginazione.
Questo carattere insieme regolativo e costitutivo, inerente alla soggettività e all’oggettività, al
sensibile e al sovrasensibile, al finito e all’infinito, costituisce una delle motivazioni più influenti
del primo romanticismo, in una tematica che verrà portata alle estreme conseguenze da
Friedrich Schlegel non meno che da Novalis; una tematica che costituisce una premessa sia
della “filosofia della scienza” di Fichte [la Wissenschaftslehre] sia della “filosofia dell’identità” di
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Schelling [la Identität-Philosophie], nella prospettiva di un vero e proprio assoluto dell’arte.
Ma sarà bene, a questo punto, esplicitare la tesi che si vorrebbe qui proporre: vale a dire che,
intorno al rapporto tra sensibile e sovrasensibile, finito ed infinito, se si vuole costitutivo e
regolativo, tende a consumarsi proprio quella frattura, tra soggetto e oggetto, che aveva posto
le basi delle prime due critiche; è quello stesso consumarsi dei confini tra “soggetto” e “oggetto”
che verrà poi spinto, in un originale e radicale sviluppo del concetto di riflessione, dal
post-kantismo, fichtiano e schellinghiano, sino all’affermazione dell’identità nell’autocoscienza.
Il cammino filosofico inaugurato da Kant con la problematica del giudizio riflettente, vale a dire
con l’estetica, trova un suo approdo fondamentale, da una parte nel concetto fichtiano di
autocoscienza, come compresenza di finito ed infinito dell’Io (di Io e di Non-Io), dall’altra
nell’identità posta dal primo Schelling tra Io e Natura, nello Spirito.
La filosofia, dopo la tematica del giudizio riflettente, sfocia, nella sequenza di pensiero che
passa attraverso Fichte e Schelling, nell’opera d’arte, facendo di quest’ultima l’organo
speculativo per eccellenza; ed ecco uno dei percorsi che da Kant al primo romanticismo sembra
delinearsi: dal giudizio riflettente, come giudizio estetico, all’assoluto dell’autocoscienza, sino
all’assoluto dell’arte; ed ecco qui anche uno dei debiti più cospicui che il primo romanticismo ha
contratto con la fertile problematica inaugurata dalla terza critica kantiana.
È un percorso che porta, nei suoi esiti estremi, a realizzare e in un certo senso a concludere, la
filosofia nell’arte. La riflessione filosofica si apre all’esperienza concreta dell’arte, all’assoluto
dell’arte; e questo assoluto si erige ad organo della conoscenza, anche filosofica.
È un tragitto di pensiero che porta, in particolare, sino a Schelling, al primo Schelling, sino alla
sesta parte del suo Sistema dell’idealismo trascendentale (pubblicato durante il periodo
jenense, nel 1800), dove l’opera l’arte viene tematizzata come conoscenza e, viceversa, la
conoscenza viene considerata come arte. L’arte come organo, afferma Schelling, organo
supremo e documento della conoscenza, e della filosofia.
L’atto supremo della ragione diviene l’atto estetico; la concreta operatività artistica viene
ritenuta portatrice di una riflessività che attiene alla conoscenza di tipo filosofico. È così che la
filosofia si fa estetica; e l’arte assume un capitale significato per la conoscenza: tutti
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presupposti, questi, che sono a fondamento della stessa prospettiva romantica.
Nei suoi Frammenti Novalis, a proposito del connubio tra arte e conoscenza, tra filosofia e
poesia, scriveva infatti che:
La poesia è il reale, il reale veramente assoluto. Questo è il nocciolo della mia filosofia. Tanto
più poetico, tanto più vero. [xvii]
O ancora:
La poesia è l’eroina della filosofia. La filosofia innalza la poesia a principio. Essa ci insegna a
conoscere il valore della poesia. La filosofia è la teoria della poesia. Essa ci mostra che cosa è
la poesia: che essa è uno e tutto. [xviii]
Infine:
La separazione di poeta e pensatore è solo apparente e a danno di entrambi: è un segno di
malattia e di costituzione malata.[xix]
Son parole che fanno tornare alla mente quel punto dello Zibaldone nel quale Leopardi lamenta
la situazione di “nemicizia mortale” tra poesia e filosofia...
Luigi Pareyson, uno dei più acuti interpreti dell’idealismo classico tedesco in chiave non
hegeliana, anzi anti-hegeliana, ha mostrato in molti suoi importanti lavori [xx] come i motivi
kantiani vengano svolti e approfonditi nella situazione tedesca che dalla terza critica porta al
sistema hegeliano in nuovi e originali sviluppi, secondo due correnti principali: alla prima
apparterrebbe l’estetica fichtiana, alla seconda il pensiero di Schelling. E proprio di qui avrebbe
tratto alimento la scuola romantica dei giovani Friedrich Schlegel e Novalis.
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Esaminiamo adesso la posizione degli autori attraverso i quali giunge ai romantici la stessa
ricezione di Kant.
Cominciamo rapidamente da Fichte, che legge Kant già nella seconda metà del 1790. La prima
redazione della Dottrina della scienza (opera che ha subìto un lungo e tormentato lavoro di
riformulazioni: si contano almeno quindici redazioni del testo fichtiano) risale al 1794. Durante
l’ultimo decennio del Settecento sono perlomeno tre le stesure dell’opera (oltre a quella del
1794, quelle degli anni 1798 e 1802). In tutte è espresso un punto di vista costituito dalla
tematica kantiana dell’immaginazione, tematica che, conformemente ai suggerimenti dello
stesso Kant, viene considerata come elemento di mediazione e di raccordo tra mondo
intelligibile e mondo sensibile.
Tale prima stesura, ha scritto Pareyson, porta ancor più chiaramente inscritto il carattere
estetico che era stato già della Critica del Giudizio di Kant.
Mentre però Kant aveva tenuto nettamente distinte arte e scienza, e aveva legato l’esperienza
artistica all’attività del genio attraverso l’immaginazione, Fichte estende alla filosofia, alla
filosofia considerata come scienza, come la scienza più alta, la crea-zione geniale e con essa
l’invenzione e l’immaginazione. L’immaginazione diventa infatti in Fichte produttiva.
Di qui il pronunciato carattere estetico della filosofia fichtiana messo in luce da Pareyson; di qui
anche il forte interesse dei primi romantici per la Dottrina della scienza fichtiana: arrivarono a
considerarla, infatti, come un loro vero e proprio manifesto teorico.
Occorre rammentare che per Fichte [xxi] l’Io si pone, insieme, come assolutamente finito e
come infinito, come Io e come Non-io, e che per lui l’“Io è necessariamente identità del soggetto
e dell’oggetto” e che, com’egli scrive nella sua opera maggiore, il “problema” è
di unificare gli opposti, Io e Non-io. [xxii]
E che essi
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possono essere unificati perfettamente dall’immaginazione che unifica i contrari. [xxiii]
La rivalutazione del genio e dell’immaginazione, avviata già con lo Sturm und Drang e
teorizzata poi da Kant, determina nelle poetiche artistiche il passaggio dal classicismo
illuminista all’idealismo romantico.
L’immaginazione, garantita dall’attività del genio, ripresa dalla terza critica kantiana,
rappresenta il termine mediatore tra il sensibile e il sovrasensibile, tra il soggettivo e l’oggettivo,
tra il finito e l’infinito.
Tale tematica riguarda la filosofia sia di Fichte sia di Schelling, pur con conseguenze diverse.
In entrambi però l’immaginazione diviene una condizione della conoscenza. In Schelling
l’immaginazione diventa addirittura la premessa fondamentale del carattere conoscitivo dell’arte
come luogo di incontro tra sensibile e sovrasensibile.
In una pagina della sua Filosofia dell’arte, opera risalente al 1802 ma pubblicata postuma, [xxiv]
Schelling ha spiegato come la parola tedesca che sta per immaginazione, vale a dire
Einbildungs-kraft, significhi propriamente la forza, Kraft, della formazione interna, Ineinsbildung,
alla quale rimanda ogni creazione, ogni capacità creativa.
Ciò che soprattutto interessa Schelling è
trovare il punto, in cui soggetto e oggetto sono immedia-tamente uno. [xxv]
Identità che si verificherebbe nell’autocoscienza:
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L’autocoscienza (l’Io) è un lotta di attività assolutamente contrapposte. L’una, che va
originariamente all’infinito, sarà da noi chiamata – spiega Schelling – la reale, oggettiva, limitabile; l’altra, cioè la tendenza a intuirsi in quella infinità, si dirà la ideale, soggettiva,
illimitabile. [xxvi]
Ma tale identità, oltre che nell’autocoscienza, trova il suo luogo privilegiato nella produzione
derivante dall’attività del genio. Nell’opera d’arte.
Schelling afferma ancora che il genio è
per l’estetica quello stesso che è l’Io per la filosofia; [xxvii]
e in tal modo il suo pensiero rappresenta il punto di unione più chiaro tra filosofia e
romanticismo.
Per Schelling, kantianamente, l’arte sta alla bellezza come il sapere sta alla verità e l’agire sta
al bene. L’arte è la terza e suprema potenza del mondo ideale, il culmine dello Spirito. Non a
caso molte delle sue idee penetrano e attecchiscono nell’ambiente romantico; ed egli fu d’altra
parte fortemente stimolato dalla partecipazione, in età giovanile, al primo avvio del nuovo
movimento.
Luigi Pareyson ha osservato a questo proposito come:
alcune espressioni del celebre Dialogo sulla poesia del romantico Friedrich Schlegel [...sono]
chiaramente schellinghiane, anche se pubblicate nel 1800, prima cioè che Schelling tenesse le
sue Lezioni sulla filosofia dell’arte. [xxviii]
E ha aggiunto che:
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idee del genere Schelling aveva già sostenuto nel Sistema dell’idealismo trascendentale, e del
resto Schlegel conosceva il pensiero di Schelling per frequentazione personale. [xxix]
Ecco come, concludendo, attraverso autori quali Fichte e Schelling, dal pensiero estetico di
Kant si giunga alla situazione che qui soprattutto ci premeva segnalare nel rilievo delle sue
conseguenze critiche, vale a dire la situazione del primo romanticismo, movimento considerato
nella sua caratteristica aspirazione ad elevare il fatto artistico sino all’assoluto della conoscenza
filosofica, stabilendo un connubio tra finito ed infinito garantito dall’attività immaginativa del
genio.
Il “genio” kantiano, considerato come quel talento con il quale la natura dà la regola all’arte
attraverso il libero gioco delle facoltà dell’immaginazione, diventa nel romanticismo, grazie
all’elaborazione dell’idealismo fichtiano e schellinghiano, lo strumento in grado di sintetizzare,
nel frammento finito, nel geroglifico sensibile dell’opera, l’aspirazione all’infinito e al
sovrasensibile.
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* Testo della relazione svolta nell’ambito degli incontri, promossi dal Provveditorato agli Studi e
dall’Associazione degli Industriali della Provincia di Reggio Emilia, a cura di Umberto Nobili sul
tema “L’idea di Europa: storia, arte, cultura” (Reggio Emilia, 3 marzo 1993, Sala Convegni della
Camera di Commercio).
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[i] S. Prickett, a cura di, The Romantics, London, Methuen, 1981, p. 1. Cit. in M. Pagnini (a cura
di),
Il romanticismo, Bologna, Il Mulino, 1986,
cap.“Romanticismo” termine concetto, p. 27. Per le due citazioni seguenti si vedano ivi le pp. 27
e 28.
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[ii] Cfr. R. Wellek, A History of Modern Criticism. 1750-1950. I. The Later Eighteenth Century,
New York, Yale University Press, 1955;
Storia
della critica moderna
(1750-1950). II. L’età romantica, trad. it. di A. Lombardo, Bologna, Il Mulino, 1961. Vi sono però
altri approcci al tema. Sulla rilevanza storico-teorica della fase jenense ci limitiamo a rinviare a
R. Ayrault,
La genèse du romantisme allemand. Situation spirituelle de l’Allemagne dans la deuxième
moitié du XVIIIe siècle
, Paris, Aubier, 1961, vol. III; e a R. Haym,
Die romantische Schule. Ein Beitrag zur Geschichte des deutschen Geistes,
44 ed. a cura di O. Walzel, Berlin, Meidmannsche Buchhandlung, 1920: trad. it.,
La scuola romantica
, Napoli, Ricciardi, 1965; P. Reiff,
Die Ästhetik der deutschen Frühromantik
, a cura di Th.Geissendörfer, Urbana, University od Illinois Press, 1946; G. Gusdorf,
Fondements du savoir romantique
, Paris, Payot, 1982; Id.,
L’Homme romantique
, Paris, Payot, 1984.
[iii] Cfr. P. de Man, Wordsworth and Hölderlin, in The Rhetoric of Romanticism, New York,
Columbia University Press, 1984, le due citazioni seguenti sono ivi, p. 49.
[iv] P. de Man, op. cit., p. 47.
[v] J. P. Eckermann, Gespräche mit Goethe, a cura di H. Steger, Zürich, Stauffacher-Verlag,
19692, p. 323.
[vi] R. Wellek, op. cit., p. 3.
[vii] G.W. F. Hegel, Ästhetik, dalla 2a ed. di H.G. Hothos (1842), a cura di F. Bassenge, con un
saggio di G. Lukács (Hegels Ästhetik) Leipzig, Aufbau-Verlag Berlin und Weimar, 19844, voll. 2;
Estetica, trad. it. di N. Merker e N. Vaccaro, ed. it. a cura di N.
Merker, Milano, Feltrinelli, 1978, vol. I, p. 401 sgg.
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[viii] B. Croce, Aesthetica in nuce, Bari, Laterza, 19799, pp. 50-1.
[ix] Ad. es. cfr. E. Behler e J. Hörish, Die Aktualität der Frühromantik, Schöning, Paderborn,
München-Wien-Zurich, 1987.
[x] Tra tutti rinviamo a Ph. Lacoue-Labarthe e J.-L. Nancy, L’absolu littéraire. Théorie de la
littérature du romantisme allemand
con la coll. di A.-M. Lang, Paris, Seuil, 1978.
,
[xi] Cfr. L. Zagari, Mitologia del segno vivente. Una lettura del romanticismo tedesco, Bologna,
Il Mulino, 1985; M. Pagnini (a cura di),
Il Romanticismo. Contesti culturali della letteratura inglese
, Bologna, Il Mulino, 1986; S. Zecchi
, La bellezza
, Torino, Bollati Boringhieri, 1990; S. Givone
, La questione romantica
, Roma-Bari, Editori Laterza, 1992. Né vanno trascurati i lavori di M. Cometa,
Iduna. Mitologie della ragione
, Palermo, Novecento, 1984 e di G. P. Moretti,
Nichilismo e romanticismo,
Roma, Hestia, 1988; Id.,
L’estetica di Novalis, Analogia e principio poetico nella profezia romantica
, Rosenberg & Sellier, Torino, 1991; Id.,
La segnatura romantica. Filosofia e sentimento da Novalis a Heidegger,
Hestia, Como, 1992. Si vedano inoltre i fascicoli della “Rivista di Estetica” curati da G. Carchia e
F. Vercellone,
Romanticismo e poesia
(31/1989) e
Romanticismo e filosofia
(34-35/1990).
[xii] Cfr. L. Anceschi, Autonomia ed eteronomia dell’arte. Sviluppo di un problema estetico, 4a
ed., Milano, Garzanti, 1993.
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[xiii] M. Pagnini (a cura di), Il romanticismo, cit., p.27.
[xiv] L. Zagari, Mitologia del segno vivente, cit., p.29.
[xv] Cfr. F. Schlegel, Storia della letteratura antica e moderna, a cura e con una intr. di R.
Assunto, nella versione di F. Ambrosoli, Torino, Paravia, 1974, p. XVIII.
[xvi] Cfr. I. Kant, Critica del giudizio, Bari, Laterza, trad. it. di A. Gargiulo, 1a ed.1906, ed. riv. da
V. Verra, 19743.
[xvii] Novalis, Frammenti, in Id., Opere, a cura di G. Cusatelli, trad. it. di E. Pocar, Milano,
Guanda, 1982, fr.1186, p. 460.
[xviii] Novalis, op.cit., fr. 1203, p.462.
[xix] Novalis, op.cit., fr. 1204, pp. 462-3.
[xx] Cfr. L. Pareyson, L’estetica di Kant, L’estetica di Schelling, Fichte e L’estetica dell’idelismo
tedesco
. Kant, Schiller, Fichte, vol.I, Torino, Edizioni di “Filosofia”, 1950;
Id.,
Fichte, “Biblioteca di Filosofia”, Torino, Edizioni di “Filosofia”,
1950, vol. I.; Id
., L’estetica di Schelling, Torino,
Giappichelli, 1964.
[xxi] Cfr. J.G. Fichte, Über den Begriff der Wissenschaftslehre oder der sogenannten
Philosophie,
1a ed., Weimar, Industrie-Comtoir, 1794, 2a ed. migl. e
ampl., Jena e Leipzig, Gabler, 1798; in Johann Gottlieb Fichte’s
Werke
, a cura di I. H. Fichte, vol. I (sez; I - Zur theoretischen Philosophie), Berlin, Veit und Comp.,
1845, pp. 29-81 [ripr. anast., Berlin, W. De Gruyter & Co., 1965] (i raffronti con l’orig. ted. si
riferiscono a questa ed.); Sul concetto della dottrina della scienza o della così detta filosofia, in
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La dottrina della scienza, nuova ed. riv. e ampl. (1a ed.1910), trad. it. di A.Tilgher, a cura e con
una intr. di F. Costa, Bari, Laterza, 1971, pp. 3-54. E poi: J. G. Fichte,
Grundlage der gesammten Wissenschaftslehre
[als Handschrift für seine Zuhörer], 1a ed. Jena und Leipzig, Gabler, 1794, 2a ed. invariata,
Tübingen, Cotta, 1802, 2a ed. migl., Jena e Leipzig, Gabler, 1802; in Johann Gottlieb Fichte’s
Werke
, cit., vol. I, pp. 85-328; Fondamenti dell’intera dottrina della scienza, in
La dottrina della scienza
, trad. it. cit., pp. 67-260.
[xxii] J. G. Fichte, trad. it. cit., p; 127.
[xxiii] Ibid., p. 170.
[xxiv] F.W. J. Schelling, Philosophie der Kunst (1802), ristampa anast. dell’ed. del 1859; trad. it.,
Filosofia dell’arte, a cura di A. Klein, Napoli,
Prismi, 1986.
[xxv] F.W. J. Schelling, System der transzendentalen Idealismus, in Schellings Werke, ed. a
cura di M. Schröter, vol. II, München, Beck’sche Verlagbuchhandlung, 1977; trad. it. di M.
Losacco,
Sistema
dell’idealismo trascendentale,
3a ed. riv. a cura di G. Semerari, Bari, Laterza, 1965, p. 70.
[xxvi] F.W. J. Schelling, trad. it. cit., p. 292.
[xxvii] Ibid., p. 289.
[xxviii] L. Pareyson, L’estetica di Schelling, cit., p. 127.
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[xxix] Ibid.
[torna all'inizio]
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