Alla deriva in mari deserti facevo di tutto per sorridere
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Alla deriva in mari deserti facevo di tutto per sorridere
“Alla deriva in mari deserti facevo di tutto per sorridere finché i tuoi occhi e le tue dita cantando mi hanno attirato alla tua isola” (da Song to the Siren, Tim Buckley1) Vinicio Capossela Musica e poesia-parte 5 di Catia Manna Le Sirene http://youtu.be/_HzS5VW1F8U Il canto delle sirene l’abbiamo sentito quando eravamo puri, intenti a giocare. Poi l’abbiamo ignorato di nave in nave. “Laggiù, lontano lontano, c’era il mare. Ma non avevo più niente da immaginare io sul mare adesso. Avevo altro da fare. Avevo un bel cercare di perdermi per non ritrovare più davanti la mia vita, la ritrovavo dappertutto, semplicemente”. (Céline, Viaggio al termine della notte) Il richiamo ci costringerebbe all’unica rotta. L’arrivo non sarebbe rassicurante. Viene in mente la febbrile catabasi di Bardamu, il protagonista di Viaggio al termine della notte di Céline (1933). Giunto cinicamente fino agli scheletri dell’umana meschinità, attraversando i traumi di inizio secolo, egli si trova immerso nella vita che lo aveva trascinato fino a lì. Bardamu sembra attratto dal buio e dal fango, come se in questi l’uomo perdesse le forme che lo giustificano. Al protagonista del romanzo Vinicio Capossela aveva dedicato un brano tratto da Canzoni a manovella (2000), l’album da cui il cantautore ha preso il largo. Bardamu http://youtu.be/NR07RuvmF6k 1 http://youtu.be/vMTEtDBHGY4 “Per quanto scura la Notte è passata e non lascia che schiuma di birra slavata e una spiaggia e una linea di sabbia è il fronte di un addio gli altri si cambino l’anima per meglio tradire per meglio scordare … Sparato tra gli astri in pallone rigonfio di musica solo al richiamo più lontano … Se è circo che vogliono circo daremo e carriole di occhi e rimpianti e fosforo e zolfo e profumo di niente e di Nord e ancora si cambino l’anima per meglio tradire per meglio scordare” Anche Bardamu invita ad ascoltare il canto delle sirene. Quello che dice di noi potrebbe non piacerci: “e le ballerine in fila danzano danzano leggere, leggere in tutù leggere, leggere di più della mia porcheria” Varcata la “linea di sabbia” fino al mare, non torneremo più. L’aria di terra saprà di “zolfo, di niente e di Nord”. Staremo lontani dalle rocce, in burrasca. Al più ci riverseremo su di esse. Mare e movimento. Senza tradire né scordare l’anima. Quando Odisseo e i compagni giungono all’isola delle Sirene, descritte come pura voce, il loro canto è così attraente che l’eroe vorrebbe accettarne l’illusione. “Vieni, celebre Odisseo, grande gloria degli Achei, e ferma la nave, poiché di noi due possa udire la voce. Nessuno mai è passato di qui con la nera nave senza ascoltare dalla nostra bocca il suono di miele, ma egli va dopo averne goduto e sapendo più cose.” (Odissea, XII 184-188) Sulle onde assopite di un pianoforte, Vinicio Capossela ci sospinge all’isola che parla di noi. Sembra riprodurne, nella ripresa delle strofe musicali, la lusinga incessante: vi troveremo quello che siamo stati, l’essenziale e l’emozione di sognarlo per sempre in mare. “Le sirene ti parlano di te quello che eri come fosse per sempre le sirene non hanno coda né piume cantano solo di te l’uomo di ieri l’uomo che eri a due passi dal cielo tutta la vita davanti tutta la vita intera e dicono fermati qua fermati qua” Al risveglio dalle notti, lasciamo quello che saremmo stati. Lo incontreremo la notte successiva, quando non siamo noi a doverci presentare. Svegli o assopiti, suderemo significati. E a quello che resterà di noi, il mattino seguente, mancherà qualcosa. Lo ritroveremo nel canto. “Le sirene ti assalgono di notte create dalla notte han conservato tutti i volti che hai amato e che ora hanno le sirene te li cantano in coro e non sei più solo sanno tutto di te e il meglio di te è un canto di sirene e si sente nel rimpianto di quanto è mancato quello che hai intravisto e non avrai loro te lo danno solo col canto ti cantano di come sei venuto dal niente e niente sarai” Niente dà più piacere di ciò che sale all’improvviso dalla strada e siamo noi. Trascorriamo i giorni a modellare tappi di cera e torniamo sempre a casa prima che il gallo canti. Ci rinneghiamo. “ Le sirene sono una notte di birra e non viene più l’alba sono i fantasmi di strada che arrivano a folate e hanno voci di sirene riempi le orecchie di cera per non sentirle quando è sera per rimanere saldo legato all’abitudine ma se ascolti le sirene non tornerai a casa perché la casa è dove si canta di te ascolta le sirene non smettono il canto nella veglia infinita cantano tutta la tua vita” Mnemosine è la dea della memoria, madre anche di Calliope, la poesia. Le Sirene ce la fanno dimenticare, così vediamo noi all’origine. “chi sei tu Mnemosine? perché continuare fino a vecchiezza fino a stare male e già tutto qua fermati qua non hai più dove andare le sirene non cantano il futuro ti danno quel che è stato” Crediamo di cantarla noi la vita. Invece, se siamo innamorati del canto, questo ce la ruba. Lì siamo e non desideriamo nient’altro. “Il tempo non è gentile se ti fermi ad ascoltarle ti lascerai morire perché il canto è incessante è pieno d’inganni e ti toglie la vita mentre la sta cantando” Interessante è invece questo modo di pensare alle sirene: ascoltarle, ma non perderci, piuttosto portarle con noi in viaggio. Ci sarebbe la fatica di equipaggiare ogni giorno una nave. Forse potremmo non essere soli. Le sirene sono un canto corale. Forse dovremmo ascoltarle tutti insieme, sulla stessa nave. “Lasciamo la porta aperta al peccato. Non chiudiamo le orecchie al canto delle sirene, e non ci leghiamo, presi dalla paura, alla prua di una grande idea. Neanche abbandoniamo la nave per perderci a baciare le sirene. Ma continuiamo il nostro viaggio. Prendiamo le sirene con noi e viaggiamo tutti insieme. Questa è, compagni, la nuova ascesi.” (Nikos Kazantzakis, Zorba il greco)