Briciole di Missione - n. 37 - 19 maggio 2013

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Briciole di Missione - n. 37 - 19 maggio 2013
Informatore Missionario - Macherio
n. 37 - 19 Maggio 2013
IL POPOLO CHE AMA MARIA
Nelle Filippine la devozione mariana è condivisa da tutti e ha la sua
massima espressione nei riti coloratissimi del mese di maggio. Ma la
statua della Madonna fu anche il simbolo della rivoluzione dell’86.
I vescovi delle Filippine hanno definito il loro popolo "pueblo amante de Maria", "popolo che ama Maria". Anche il visitatore più distratto può facilmente rendersi conto della
devozione molto sentita di questa gente per la Madonna, che è chiamata "mama Mary":
"mamma Maria".
Ricordo che quando, anni fa, ero cappellano delle carceri della città di Zamboanga non
potevo fare regalo migliore ai carcerati di un rosario, che molto spesso si mettevano al
collo come segno distintivo del loro essere cristiani.
La povera gente, donne e uomini, ma soprattutto i bambini e gli adolescenti non hanno vergogna di mostrare il rosario al collo come se fosse una preziosa collana, l'unica che
molti di loro possiedono. Per fortuna, avevo amici negli Stati Uniti che periodicamente
mi mandavano gratis migliaia di rosari.
I santuari dedicati alla Madonna sotto i titoli più svariati (Madonna del Buon cammino,
Madonna del perdono, oltre tutti i titoli che troviamo anche in Italia) si trovano sparsi
in tutte le Filippine. La maggioranza delle cappelle nei villaggi delle zone rurali sono dedicate alla Madonna.
L'immagine più venerata e amata è senza dubbio "Maria, Madre del Perpetuo soccorso", per la quale si celebra una "Novena universale", cioè ogni mercoledì dell'anno, per
tutto l'anno. Ogni filippino si sente impegnato a recitare questa Novena con grande fedeltà ogni mercoledì, in parrocchia o anche a casa. Ci sono poi le "Fatima Devotions",
che consistono in un gruppo di famiglie della stessa strada che si impegnano, a turno, ad
accogliere in casa per una settimana una statua della Madonna di Fatima. L'impegno è
quello di custodire l'immagine, ma soprattutto di recitare il rosario in famiglia ogni giorno. Alla fine della settimana, la statua viene accompagnata in processione in un'altra casa,
che l'accoglierà per i giorni successivi.
La statua della Madonna di Fatima è diventata ancora più famosa perché - si può dire Briciole di Missione - 1 -
è stata la protagonista di quella che viene chiamata "la rivoluzione dei fiori" o anche "dei
rosari", cioè la rivoluzione pacifica (Edsa Revolution) che nel 1986 ha liberato il popolo filippino dalla dittatura di Ferdinand Marcos. La gente che si era riversata nelle strade
di Manila per protestare contro il presidente era "armata" di fiori e di rosari! Emblematica, in quell'occasione, fu proprio l'immagine della Madonna di Fatima che compariva
nell'ufficio del generale Fidel Ramos - poi, presidente Ramos - quando si ribellò a Marcos (Ramos è protestante).
È però durante il mese di maggio che la devozione dei filippini verso la Madonna tocca la sua massima espressione. La sua manifestazione più simpatica e caratteristica è rappresentata da quello che è
noto come "Flores de Mayo", un festival molto colorato e folkloristico che coinvolge i bambini.
Maggio è il mese delle feste in molti paesi: la gente si sente più libera di festeggiare perché non c'è molto lavoro nei campi e i bambini sono ancora in vacanza: le scuole, infatti, riaprono ai primi di giugno. Il clima tropicale dell'estate si fa ancora sentire, ma con
l'arrivo delle prime piogge la temperatura migliora, e le mille e centosette isole delle Filippine sono un giardino pieno di tanti fiori variopinti che creano un'atmosfera di festa.
I bambini si ritrovano in parrocchia per la catechesi e attività ricreative, che terminano
poi con un momento di preghiera (in genere, la recita del rosario). Alla fine, mentre si
cantano inni in onore della Vergine Maria, i bimbi sfilano davanti all'immagine della Madonna, depositando ai suoi piedi un fiore.
Normalmente il mese si conclude con il "Living Rosary" (il "rosario vivente"), quando
i ragazzi si dispongono a forma di rosario, tenendo in mano una candela accesa mentre
recitano l'Ave Maria, il Padre nostro e il Gloria.
In questa occasione, quando vengono annunciati i misteri, i bambini li ricreano con delle
scene in costume, che attirano l'attenzione di piccoli e grandi.
Un'altra curiosità. Le Filippine sono forse l'unica nazione nel mondo cattolico dove spontaneamente si canta "Happy Birthday", cioè "buon compleanno" in chiesa l'otto settembre, festa della Natività di Maria.
di Giulio F. Mariani
LA MADONNA NELL'ANNO DELLA FEDE
Emozioni giapponesi, tra martirio e atomica
Nel corso della mia ultima visita in Giappone, ho avuto l'opportunità di andare per la
prima volta a Nagasaki. Ho così visitato i luoghi-memoriale della bomba atomica, fatta esplodere il 9 agosto del 1945, e ho trascorso la notte non lontano dalla cattedrale di
Urakami, vicino all'epicentro dello scoppio.
Il giorno dopo, festa di tutti i santi, insieme al confratello p. Pier Giorgio Manni, ho celebrato la santa Messa nel santuario dei martiri, eretto vicino al luogo dove il 5 febbraio
1597 sono stati "innalzati" i primi 26 martiri giapponesi. Ho poi visitato il museo annesso e la chiesa nel quartiere di Oura, dove nel 1865 i cristiani "nascosti" si sono maBriciole di Missione - 2 -
nifestati al missionario francese p. Bernard de Petijean.
Un breve giro nel meraviglioso giardino delle camelie
(Glover garden), vicino alla chiesa, ha concluso la visita.
È stata per me una visita piena di emozioni, legate
contemporaneamente alla bomba atomica (in particolare alla figura del dottor Nagai e alla sua testimonianza
come uomo e come cristiano nel mezzo della tragedia
atomica), ai coraggiosi martiri giapponesi e all'epopea
dei cristiani "nascosti", che per più di 200 anni hanno
saputo mantenere viva lo loro fede senza preti e con la
minaccia della persecuzione.
Ma una cosa soprattutto mi ha colpito: la presenza silenziosa di Maria.
Rosari e corone di origami
 Nel museo della bomba atomica sono esposti
vari rosari ritrovati dopo lo scoppio, alcuni La Madonna in terracotta con
calcificati e in parte fusi dall'esplosione, tra gli occhi di vetro, simbolo della
cui quello della moglie del dottor Nagai, a
bomba atomica di Nagasaki
testimonianza degli 8mila cristiani periti nello
scoppio, su 12mila presenti in città. Un non cristiano, visitando questo luogo,
potrebbe pensare che il rosario sia il simbolo del cristiano. Mi sembrava anche che,
con la forza debole della fede, il rosario fosse riuscito a vincere la forza tragica della
bomba.
 Per la celebrazione della Messa nella chiesa dei martiri ci ha accompagnato un
coppia di anziani sposi cristiani. Lui è un sopravvissuto della bomba atomica (a
quel tempo era uno studente). Mi hanno regalato due corone fatte dalla sposa con
un intreccio di origami. Una corona l'ho data da mettere nel santuario mariano del
mio paese (S. Lorenzo di Rovetta, Bergamo).
Le statue della Vergine
 Nella cattedrale di Urakami, ricostruita dopo essere diventata per tutti il simbolo
della bomba, l'immagine più eloquente della tragedia è la testa di una statua della
Madonna in terracotta, con gli occhi di vetro. Per il calore sprigionato dall'atomica
il vetro si è fuso, dando vita a un volto doloroso e intenso.
 Nel museo dei martiri, ci sono moltissime "Maria Kannon", cioè statuette di Maria
con il bambino, "celata" nelle sembianze di una dea giapponese, la dea madre
"Kannon". Insieme al rosario, questa statuetta Mariana è stata uno dei simboli dei
cristiani "nascosti" per difendere la loro fede.
 Nella chiesa di Oura, il piccolo gruppo di cristiani che il 17 marzo 1865 ha
avvicinato il p. Bernard de Petijean per verificare che fosse veramente di un prete
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cattolico, oltre a chiedergli se era sposato e se era mandato dal Papa, hanno chiesto
di poter vedere la statua della Vergine. Quella statua è ancora conservata in questa
chiesa, che è la più antica in Giappone, e che proprio per questo ora è monumento.
Una registrazione su disco continua a raccontare la vicenda dell'incontro e del
riconoscimento ai numerosi visitatori.
Maria, compagna di viaggio
Un pensiero mi ha accompagnato. Siamo nell'anno della fede: nel disorientamento creato dallo scoppio del materialismo e del relativismo, la Vergine Maria può aiutarci a ritrovare la strada comunque essere anche per noi missionari una forte compagna di viaggio.
Dopo queste visite e le profonde emozioni provate, devo dire che il giardino delle camelie
non mi ha detto granché, con buona pace di Puccini e di madame Butterfly.
p. Rino Benzoni , sx
Briciole di Parola:
CON MARIA NELLA STANZA ALTA
Restare dentro la storia, nella fede
Gli apostoli tornarono a Gerusalemme dal monte degli Ulivi, che è vicino
a Gerusalemme quanto il cammino permesso in un sabato. Entrati in città salirono al piano superiore dove abitavano. C'erano Pietro e Giovanni,
Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo
di Alfeo e Simone lo zelòta e Giuda di Giacomo. Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la
madre di Gesù e con i fratelli di lui.
(Atti 1,12-14)
Parlare a te è come sentirsi parte di un'immensa folla che ti ha chiamata, lungo la storia. Ne hai popolato le ore di riposo e di
lavoro. Sgranando la corona, hanno portato
a te le loro pene e le loro speranze. Labbra
di credenti, donne e uomini, continuano a
mormorare: Ave Maria!
Colgo di te l'ultima immagine, in quel
tempo dell'assenza di tuo Figlio, che è anche il nostro tempo. Tu hai provato la fatica delle nostre giornate vuote della sua pre-
senza visibile, private della sua parola. Hai
sperimentato la nostalgia di un incontro
in cui anche gli occhi riuscivano a vedere,
l'orecchio poteva udire, le braccia potevano abbracciare.
Eppure tu non eri sul monte con gli Undici a vederlo partire. Eri in città, nella
stanza alta, ad attenderli. Per orientare a
lui quel gruppo composto di gente di famiglia, di apostoli, di donne, e per tenerli
dentro la storia.
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Per questo ti preghiamo: attendi ed accogli
anche noi. Trattienici dal crearci zone di fuga,
anche se hanno il pretesto della spiritualità.
Insegnaci a restare dentro la storia, sapendo;
dentro la realtà, osando; dentro l'umanità,
abbracciando questo mondo, che profuma
da sempre del Verbo. Tu l'avevi compreso
fin dai giorni della tua gestazione.
Nessuno più di te sa che quel Figlio era
un figlio umano, un corpo vero di carne,
un corpo mai rinnegato, neppure nel suo
ritorno al Padre. Gliel'avevi dato tu, ma era
il nostro corpo: era questa tribolata e affascinante terra; era questa tribolata e affascinante storia. Se la scavalcassimo, scavalcheremmo anche te. Per sempre, tu ci assicuri
che quel Figlio era davvero come noi: un
"nato di donna".
Ti preghiamo perciò, donna coraggiosa fra
tutte: attendici in città, dove risuonano i rumori, le sirene, lo smog, le propagande; dove
ci si fiancheggia e ci si aggira in solitudine;
dove si dibatte e ci si scontra; si vince e si
perde. Tienici dentro alle vicende, alle costrizioni, al peso e alle gioie scarne del quotidiano; dentro agli incontri, alle tribolazioni, alle file, alle tasse, ai dibattiti... Rendici
appassionati del mondo, mai rinunciando
alla fatica condivisa di renderlo abitabile.
Ma attendici nella stanza alta, come diceva il vescovo Tonino Bello. Da lì, si vedono spazi lontani: il bimbo di Baghdad che
chiede perché e il vecchio d'Africa che narra di quando le donne andavano al campo
cantando, e gli uomini andavano alla caccia,
suonando i tamburi. Anche l'anziana sola del
condominio e il ragazzo che vaga alla stazione della città. Dove non ci si perde in false
questioni, ma ci si appassiona a quelle vere.
E orienta il nostro sguardo ancora oltre,
verso gli orizzonti che ci aprì il Figlio tuo
beato. Allora impariamo da dove viene e
dove va questa storia; intuiamo quale è l'opera in corso. Allora i nostri molteplici dei
si dileguano ed appare il volto di un Padre.
Ci viene offerta una vita nuova e un nuovo
nome: figli! Ci scopriamo cittadini del cielo
e forestieri ovunque.
Tutto questo lo apprendiamo ad una mensa, anch'essa avvenuta nella stanza alta. Lì
tuo Figlio, spezzando il pane e porgendo il
vino, ci consegnò il corpo che tu gli avevi
dato. Lì ci insegnò l'amore. Lì sbaragliò tutte le nostre leggi, le nostre giustizie, i nostri
calcoli. Quel corpo dato ci liberò dall'affanno di vivere per noi stessi.
Tu, o Vergine, rendici consapevoli che tutto
è dono; che la città nuova scende dall'alto;
e che il nostro impegno deve essere totale. Aiutaci a tornare nella stanza alta, anche quando percorriamo le frenetiche strade della città. Lo Spirito ti aveva coperto,
come ombra, rendendoti madre del Figlio
di Dio. Facci scoprire dove sono le nostre
vere sterilità ed insegnaci la via per portare
un frutto che dura. Tu eri una di noi, ma
sei andata oltre noi tutti. Chiedi per noi e
con noi il soffio delle altezze, lo Spirito del
Figlio tuo. Amen.
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Teresina Caffi mM
DON GIGI CI SCRIVE DALLA MISSIONE
Assalaamu aleekum... e che la gioia
pasquale sia sempre con voi.
La gioia, da noi è stato lo stato d'animo con
cui abbiamo aperto questo mese di Aprile.
La gioia di aver ricevuto le prime piogge
che hanno portato un po' di sollievo dopo
le temperature sahariane degli ultimi tempi.
Ma soprattutto la gioia di aver celebrato
la Pasqua del Signore e di aver accolto
nella nostra comunità una quarantina di
nuovi fratelli e sorelle. È davvero difficile
descrivere la forza della celebrazione della
veglia pasquale vissuta nella comunità di
Djalingo. La celebrazione è proprio una
festa dove l'assemblea fatica a contenere sia
la gioia dell'annuncio pasquale, sia quella
che nasce dall'accogliere nuovi fratelli e
sorelle nella comunità. Dall'annuncio della
resurrezione in poi tutta la celebrazione
è pervasa da un Caos ordinato. Tutta
l'assemblea è continuamente in movimento,
come il brulicare delle formiche che appare
caotico, ma che in realtà segue logiche
ben precise. Così è l'assemblea liturgica
brulicante di persone che si lasciano
incantare dal ritmo della celebrazione e del
tamburo che scandisce il tempo della loro
gioia. I cori coinvolgono con la loro forza
tutta l'assemblea che si abbandona al ritmo
della musica per esprimere con questo
linguaggio comune (canto e danza) la gioia
che nasce dalla loro fede. Commovente è
poi il momento subito dopo il battesimo,
l'assemblea accoglie i neobattezzati rivestiti
della veste bianca. Subito questi nuovi
fratelli e sorelle sono investiti dell'affetto
della comunità che gli ha accompagnati nel
loro cammino. Qui infatti è la comunità,
nella figura dei suoi responsabili e catechisti
che presenta i candidati e ne attesta la
preparazione reputandoli pronti di ricevere
il battesimo, il sacerdote poi sostiene con
loro un colloquio per vedere se secondo i
canoni ecclesiali hanno i requisiti richiesti.
La cosa interessate e che spesso la comunità
intercede a favore del candidato, anche
quando il sacerdote propende per il rinvio,
secondo la logica per cui una fede vissuta e
praticata può correggere e sostenere anche
una fede che a livello teorico ancora lamenta
qualche lacuna o approssimazione.
L'altro importante avvenimento che ha
segnato questo mese è stato il saluto a don
Mario da parte della comunità. Don Mario
terminato il suo mandato è rientrato in
Italia dopo quasi dodici anni di missione
di cui gli ultimi 7 passati a Djalingo come
parroco. La festa ha coinvolto tutti i settori
della parrocchia e le autorità del villaggio
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che durante la celebrazione eucaristica lo
hanno ringraziato e salutato. Sono stati
momenti carichi di emozione che traspariva
dai volti di tutti i partecipanti: sentimenti
di ringraziamento e di commozione per
un saluto che però non ha sancito la
separazione, ma un nuovo tipo di vicinanza,
quello nella preghiera e nel ricordo. La sera
di sabato 6 aprile i giovani e i più piccoli
hanno salutato il parroco uscente esibendosi
in canti e danze che hanno animato la
serata del villaggio. Domenica durante
la celebrazione una lunga processione
offertoriale in favore di don Mario a
reso visibile poi l'affetto e la stima che
la comunità provavano nei confronti del
fondatore della loro parrocchia. Durante
questi giorni la parrocchia è stata un vero
“porto di mare” con numerose visite di
quanti volevano esprimere personalmente la
propria riconoscenza a don Mario e con la
presenza speciale di Paolo e Francesco, due
amici italiani della comunità di Djalingo
che durante gli anni anno aiutato il parroco
nella costruzione della casa e del centro
pastorale. Don Mario ora è rientrato in
Italia dove, dopo un doveroso periodo di
riposo, sarà a disposizione per un nuovo
incarico pastorale, questa volta nella diocesi
di Milano. Anche don Alberto, prete della
diocesi di Milano fidei donum a Garoua nella
parrocchia di Ngalbijie, è stato costretto ad
un rientro forzato a causa malattia, ormai
in fase terminale, della mamma. Per questo
motivo come preti di Djalingo ci siamo presi
a carico anche la celebrazione delle messe
domenicali e di due messe infrasettimanali
della parrocchia di Ngalbijie fino al ritorno
del parroco.
Un'altra esperienza che ha segnato questo
mese è stata quella dell'incontro tra i
missionari di lingua italiana che si è svolto
a Ngaundere dal 9 al 16 di aprile. È stato
un momento di formazione, fraternità e
confronto sulle diverse realtà di missione
che viviamo. I missionari di lingua italiana
provenivano dall'area del Cameroun e del
Tchad. La formazione ha seguito due piste,
una legata all'approfondimento di un tema
biblico e l'altra al tema del dialogo con
l'Islam. Per quanto riguarda il tema biblico
la riflessione è stata guidata da Padre Pino
Stancari, gesuita biblista che svolge il suo
ministero in Calabria. Il tema scelto è stato
quello del profetismo e in particolar modo
la corrente profetica che fa riferimento al
profeta Isaia. Padre Pino ci ha guidato in
un percorso per farci scoprire la ricchezza e
l'attualità della profezia di Isaia.
La seconda pista di riflessione e confronto
è stata guidata invece dall'Immam della
moschea di Ndjamena, capitale del Tchad.
Con lui ci siamo soffermati più che su grandi
questioni teologiche, sul rapporto possibile
tra i credenti della religione islamica e quella
cristiana.
L'immam che è protagonista di un cammino
di dialogo con la Chiesa Cattolica nel Tchad,
ha cercato di tratteggiare la complessità del
fenomeno islamico e ha tentato di indicarci
possibili piste di dialogo. Il terzo grande
relatore del nostro cammino di formazione
è stato poi il gruppo stesso. La ricchezza di
esperienze missionarie così varie è stato un
motivo di confronto e la fraternità che si è
creata ha permesso di vivere questi giorni
come vero momento di ricarica. In modo
particolare la preghiera comune vissuta
con intensità ha fatto emergere quella
comunione profonda che nasce dalla fede e
che alimenta la fraternità.
Per il resto continua il mio inserimento e
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la mia conoscenza della realtà parrocchiale.
Con don Maurizio abbiamo programmato
per il mese di maggio la visita a tutti i
settori della parrocchia per conoscere i
diversi responsabili e conoscere il cammino
percorso dalle diverse comunità.
Piano piano poi, cominciano ad emergere
quali sono le priorità che accompagneranno
la presa in carico della responsabilità pastorale
della parrocchia. Anche su indicazione del
nostro vescovo Antoine Ntalou, una delle
urgenze del nostro intervento sarà quello
di consolidare le realtà esistenti e dare una
solida formazione a tutti i responsabili laici
della nostra parrocchia perché sempre più
possano essere loro protagonisti della vita
della nostra comunità.
Vi saluto e auguro a tutti di continuare a
custodire la speranza che la pasqua ci ha
donato anche in questi tempi così complessi.
Yaa bee jam seyo Yesu
Don Gigi
SPIRITO SANTO NEI COMPAGNI DI VIAGGIO
Il commento al vangelo di Giovanni 14,2329 è di padre Paolo Latorre, missionario
comboniano in Kenia; ha lavorato nella
Baraccopoli di Korogocho dal 2004 al 2011,
dopo un breve periodo di studi e spiritualità
è ritornato in Kenya (Nairobi) per lavorare
nell'ambito amministrativo della provincia.
Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio
nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà
tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,26).
La bellezza di queste parole sta tutta
nel coinvolgimento che Gesù fa di noi,
dell’umanità nel suo cammino di Vita. Il
brano del Vangelo di questa domenica è un
forte invito a non restare spettatori di ciò che
accade attorno a noi, di non stare alla finestra
a guardare, a giudicare, a dare opinioni che
quasi sempre hanno il sapore del gossip che
peggiora le cose, che blocca la Vita. Con le
Parole di questo brano di Vangelo il Signore
Gesù ci vuole protagonisti, ci invita a
metterci in cammino con Lui per portare la
pace lì dove la Pace manca o è adombrata da
tanti elementi che confondono e ci portano
dove non vogliamo. Se state pensando di
cercare un corso, una formula di come
diventare protagonisti, potete pure lasciar
stare, tanto non lo trovate. Solo la Vita e
la Quotidianità della nostra vita vissuta in
pienezza può farci protagonisti.
Questo Spirito Santo, che ci ricorda il
nostro essere figli nel Figlio e protagonisti
della storia di Salvezza, lo riconosco in molti
compagni di viaggio in questa terra Kenyana
dove sono dal 2004.
Pauline era una donna la cui vita era appesa
ad un filo, o meglio attaccata alla bottiglia,
beveva per dimenticare e forse anche per
tentare di non pensare ai suoi problemi,
ma poi dopo i problemi si presentavano
più grandi e difficili. Tre anni fa l’abbiamo
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accolta nel nostro centro di riabilitazione
“Napenda Kuishi” (in Swahili vuol dire
“Amo Vivere”); lì ha fatto un duro cammino,
come tanti che passano, ha dovuto rivedere
e rivedersi tanti aspetti della sua vita, ora
che scrivo Pauline è impegnata nel centro
di riabilitazione come guida di altre donne
e uomini che passano per staccarsi dalla
bottiglia e attaccarsi alla Vita. Non solo, la
notte di Pasqua Pauline è stata battezzata, ha
chiesto di fare il catecumenato ed ora è una
Cristiana. Son certo che quel che è successo
in Pauline è stato questo lavoro dello Spirito
che le ha ricordato della sua dignità di
donna, di madre.
In Pauline vedo i segni della Resurrezione
che non è affatto un miracolo, un colpo di
fortuna. La Resurrezione è la mano tesa di
Gesù a tirarci fuori dalle nostre tombe, e per
uscire dalla tomba non basta la mano di Gesù,
ci vuole il nostro voler uscire, acconsentire
di essere tirati, partecipare all’uscita, alla
rinascita. Questo partecipare, questo essere
protagonisti è molto importante per uscire
dalla crisi che sta colpendo tanti Paesi e
società; invece quel che vedo e noto è che si è
disposti a delegare, a criticare quella politica
non buona che noi stessi appoggiamo con
tanti nostri atteggiamenti e scelte.
Le parole di questo Vangelo mi risuonano
nel cuore come un grido di amore e passione
per la Vita che rivendica e grida per gli
scandali che la Vita subisce.
Mentre Gesù ci vuole Liberi e protagonisti
nella storia, la politica e la sua ancella di cui
la politica è diventata schiava: L’economia
e la finanza ci vogliono costringere in piani
che non portano alla Vita.
Gesù in questo Vangelo ci assicura che
a chiunque ama e fa suo l’amore per la
Vita che Dio ha messo nel nostro cuore la
SUA presenza è assicurata, non mancherà
all’appuntamento di dimorare con noi (Gv
14,23).
Non ho un modo con cui concludere questa
breve riflessione, ma pensandoci neanche la
cerco perché sento che di conclusioni ne tiro
già molte, quello che mi serve è l’apertura a
questo Dono incommensurabile dell’amore
di Dio, al suo paziente e forte desiderio di
voler dimorare con me.
Barikiwe - p. Paolo Latorre
POVERTÀ NON È FATALITÀ
Inedia e pandemie, guerre e carestie, sono
una costante in molti Paesi dell’Africa
Subsahariana, soprattutto in quelli della
fascia Saheliana e del Corno d’Africa. E
proprio di ieri la notizia dell’ennesimo
attentato terroristico a Mogadiscio, in
Somalia, perpetrato dalle solite formazioni
estremiste islamiche, foraggiate dai salafiti
sauditi. Undici le vittime finora accertate, in
un contesto dove la stragrande maggioranza
della popolazione vive, o meglio, sopravvive
in condizioni subumane.
Ecco perché si impone un serio
discernimento, trattandosi di una questione
irrisolta che interpella la coscienza di ogni
uomo e donna di buona volontà. Ma
andiamo per ordine. Lungi da ogni retorica,
le ragioni di questo permanente degrado
della condizione umana, per dirla con le
parole di Christian Coméliau, sono legate
alla povertà che “non può essere intesa come
una fatalità del destino, né uno stato, né
tanto meno una categoria sociale, ma un
processo di esclusione determinato dalle
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ineguaglianze strutturali”. In effetti, stiamo
parlando di Paesi dove il jihadismo spinto,
ovvero la strumentalizzazione ideologica
della religione per fini eversivi, come
anche l’emarginazione di vastissimi settori
delle popolazioni autoctone dalla gestione
della res publica, sostenuta da un’accesa
conflittualità, rendono questo scenario a dir
poco incandescente.
Una fenomenologia con le caratteristiche
tipiche del circolo vizioso, in cui i diversi
fattori interagiscono tra loro, penalizzando
ogni anno milioni di innocenti. Ciò che,
comunque, sconcerta è l’omertà della
comunità internazionale rispetto alle
vicende di questi Paesi, Somalia in primis.
E sì, perché se da una parte è evidente
che l’Africa rappresenti la linea di faglia
tra opposti interessi geostrategici, legati –
almeno in parte – al controllo delle immense
fonti energetiche presenti nel sottosuolo
(che vanno dal petrolio al gas naturale fino
all’uranio), vi sono anche altre negligenze
che coinvolgono le classi dirigenti locali
(troppo spesso assetate di denaro) e di certi
grandi benefattori o presunti tali.
Ad esempio, da troppi anni a Mogadiscio e
dintorni, come anche nel resto del Corno
d’Africa, il consesso delle nazioni anziché
promuovere una cooperazione allo sviluppo
che tenesse conto degli effettivi bisogni del
territorio, ha risposto spesso e volentieri alle
cicliche calamità climatiche, poco importa
che si trattasse di siccità o inondazioni, e
alle crisi armate promuovendo interventi
d’emergenza con modalità che hanno finito
per acuire a dismisura la dipendenza delle
popolazioni africane dagli aiuti stranieri. E
cosa dire delle speculazioni finanziarie legate
alla compravendita di fondi di investimento?
Si tratta di “futures” sui prodotti agricoli che
non vengono più solo acquistati da chi ha un
interesse diretto in quel determinato mercato
seguendo le tradizionali leggi della domanda
e dell’offerta, ma anche di soggetti finanziari
come i fondi pensione, che investono grandi
somme di denaro con l’obiettivo esclusivo di
ottenere il miglior rendimento.
Col risultato che si determinano impennate
dei costi alimentari, soprattutto dei cereali
in contesti dove la solidarietà dovrebbe
prendere il sopravvento sulle spietate
regole del business. Parliamo di Paesi
in cui la gente destina più dell’80% del
proprio reddito al fabbisogno alimentare
e che, nell’attuale congiuntura, non sono
assolutamente in grado di far fronte
all’aumento indiscriminato dei prezzi del
cibo. Ecco perché sarebbe auspicabile
che la diplomazia internazionale iniziasse
ad affrontare l’agenda politica di queste
nazioni, partendo dalla prossima conferenza
internazionale sulla Somalia, che si terrà a
Londra. Un evento, questo, a cui prenderà
parte la neoministra Emma Bonino, alla sua
prima uscita internazionale. Ciò che conta
è guardare ai problemi in una prospettiva
olistica e non segmentata nei tradizionali
settori d’intervento, quasi fossero realtà
a sé stanti (emergenze umanitarie, peacebuilding, aiuti allo sviluppo) e che tenga
conto delle varie componenti che hanno
fatto di quel Paese un autentico calvario. Ma
ciò sarà possibile solo e unicamente quando
si avrà l’onesta intellettuale di affermare nella
politica internazionale, un multilateralismo
dalla parte dell’uomo e non ostaggio dei
soliti interessi mercantili, quelli asserviti al
dio denaro.
Briciole di Missione - 10 -
(Di Giulio Albanese)
Fotografie di Padre Rocky dal Ciad
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Briciole di Film:
UN GIORNO DEVI ANDARE
Un matrimonio finito, un figlio non nato, un padre che non c’è più, una madre racchiusa
nel silenzio. Jasmine raggiunge suor Franca, nell’immensità dell’Amazzonia. Là dove tutto è davvero grande, sconfinato, violento, bellissimo, terribile. Vagano di villaggio in villaggio, le due donne. Sul battello Itinerante. Ma gli occhi di Jasmine sono perduti. Non
riesce a sorridere nemmeno ai bambini.
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Suor Franca sa cosa è giusto: ha ascoltato la voce di Dio ed è partita. Ma non si è posta domande, Franca. Non si è chiesta se davvero la gente del fiume cercasse il suo stesso
Dio o se preferisse mangiarsi i polli invece che le loro uova. Le due donne sono cacciate
da un villaggio che si è convertito a una setta cristiana. Franca non si arrende, è sicura
che Dio sia al suo fianco. È una “professionista dello spirito”.
La chiesa nella foresta è stata costruita con i soldi di chi vuole metter su un albergo di
lusso nella giungla e i missionari non si interrogano. Dicono solo: «Prima di evangelizzarli, avremmo dovuto dare loro un cervello». No, Jasmine non può più viaggiare con
Franca. Non ha le sue certezze. Non le cerca. Non vuole carità. Non ha una missione da
svolgere. Scende dalla barca. Ne prende un’altra, viaggia fino a Manaus. Si addentra fra i
vicoli di palafitta della favela. Cerca, Jasmine.
C’è la ricerca della ragazza; la solitudine della madre fra le nevi del Trentino; un colloquio
tra le due, via Skype, straziante. L’illusione della vicinanza quando i corpi sono lontani. E
le parole non bastano. E le anime non si avvicinano. È lacerante il contrasto fra le nevi
di San Romedio e il sole umido di Manaus.
Diritti non ce la racconta tutta. Questa storia è “sua”. Non si va fino in Amazzonia per
raccontare questa storia. Non si sceglie Jasmine come attrice dei silenzi se non c’è qualcosa
dentro che non ci vuoi dire, ma che s’intuisce. C’è emozione, la tua emozione, in questo
film. Nella favelas la cinepresa corre, si avvicina, sembra viva. Si sente il cuore battere. Nel
saliscendi terribile della vita. Ci sono i bambini, il giovane che sogna di ballare in Italia,
le donne, il gioco, c’è una condivisione che a Jasmine, senza illusioni, appare vera. Gli
occhi di Jasmine ritrovano una luce, la sua bocca afferra nuovamente il sorriso. Lotta, la
ragazza. Il senso della vita appare a portata di mano. Non tornerà in Italia. Almeno per
ora, voglio credere. Ma la vita non ha mai un “buon finale”. Questo film assomiglia alla
vita, non ha consolazioni da offrire. Esistono mille finali. Ogni giorno c’è un finale diverso.
Jasmine è sola. Straniera. Troppo alte le sue ambizioni? Troppo forti le sue speranze? L’ultimo quarto d’ora del film è solo silenzio e rumore della natura. Una canoa, la tempesta,
una spiaggia bianchissima. Jasmine alza una tenda precaria, offre il suo corpo alla violenza
del sole e della pioggia. Cerca, in questa totale solitudine. Un pescatore le porta del pesce
e delle banane. Un giorno, un bambino appare sulla spiaggia. Si guardano. Con qualche
diffidenza si avvicinano. Poi giocano, corrono, volano assieme. Jasmine sorride. Ed è capace di salutare il bambino quando la famiglia di pescatori arriva a cercarlo. La canoa se
ne va. Lei rimane sulla spiaggia. Rannicchia le ginocchia contro il petto. La cinepresa si
allontana. Jasmine è lì.
Cosa accade dopo i titoli di coda? Li lascio scorrere tutti. Cerco un appiglio. Non c’è alcun gancio da afferrare prima che la luce si riaccenda Non c’è che andare. Anche Jasmine
si alzerà e muoverà i remi della sua canoa. Non ci sono scorciatoie.
Andrea Semplici
Briciole di Missione - 13 -
L'Anniversario:
Annalena Tonelli
«UN SILENZIO CHE GRIDA»
IN QUESTO 2013 RICORRONO I DIECI ANNI DALLA MORTE DI ANNALENA TONELLI,
LAICA MISSIONARIA ITALIANA CHE HA SPESO LA VITA SENZA RISERVE
TRA LA GENTE DELLA SOMALIA
Aveva trovato nell'amore per Dio e per gli ultimi il senso di una vita degna di essere vissuta. Una vita di servizio e di sacrificio. Anche
quello estremo. Annalena Tonelli è vissuta ed è
morta dando una testimonianza cristiana "alta",
in una terra difficile come la Somalia, segnata dalla guerra e dall'intolleranza. Ma proprio
qui, in mezzo a mille difficoltà e sofferenze,
aveva trovato il significato autentico della sua
vocazione, nonché la possibilità di un dialogo
e di un incontro.
È vissuta nel nascondimento, Annalena.
Poco si sapeva di lei e della sua straordinaria
attività a favore dei malati di tubercolosi, degli
handicappati e degli orfani, dei malati mentali
o delle donne mutilate... Pochissimo della sua
profonda spiritualità, di quella fede rocciosa e
radicale, che ha ispirato la sua esistenza e la sua
opera.
Ancora oggi, a dieci anni dall'uccisione, è il suo silenzio che continua a parlare, il suo «gridare il
Vangelo con la vita. Una vita radicalmente consacrata a Dio e ai più poveri tra i poveri. Dunque,
come lei stessa amava ripetere, «la migliore delle vite possibili».
Prossimo banchetto EQUO COMMERCIO
9 Giugno 2013
piazzale della Chiesa dalle ore 7.30 alle 12.30
Briciole di Missione - 14 -
Decanato Missionario - Lissone
P. Giulio Mariani
ci racconta la sua missione nelle FILIPPINE
lunedì 20 maggio 2013
Ore 21,00
c/o parrocchia di VEDANO AL LAMBRO
casa S.Giuseppe via S.Stefano/pza. Madre teresa
Briciole di Missione - 15 -
Preghiera del mese:
L'educazione alla povertà è un mestiere difficile: per chi lo insegna e per chi
lo impara. Forse per questo il Maestro ha voluto riservare ai poveri la prima
beatitudine.
Non è vero che si nasce poveri.
Si può nascere poeti, ma non poveri.
Poveri si diventa. Come si diventa avvocati, tecnici, preti.
Dopo una trafila di studi, cioè.
Dopo lunghe fatiche ed estenuanti esercizi.
Questa della povertà, insomma, è una carriera. E per giunta tra le più complesse.
Suppone un noviziato severo. Richiede un tirocinio difficile. Tanto difficile,
che il Signore Gesù si è voluto riservare direttamente l'insegnamento di questa
disciplina.
Nella seconda lettera che San Paolo scrisse ai cittadini di Corinto, al capitolo
ottavo, c è un passaggio fortissimo: "Il Signore nostro Gesù Cristo, da ricco che
era, si è fatto povero per voi".
E' un testo splendido. Ha la cadenza di un diploma di laurea, conseguito a pieni voti,
incorniciato con cura, e gelosamente custodito dal titolare, che se l'è portato con sé in
tutte le trasferte come il documento più significativo della sua identità: "Le volpi hanno
le loro tane, gli uccelli il nido; ma
il figlio dell'uomo non ha dove
posare il capo".
Se l'è portato perfino nella trasferta
suprema della croce, come la
più inequivocabile tessera di
riconoscimento della sua persona,
se è vera quella intuizione di
Dante che, parlando della
povertà del Maestro, afferma:
"Ella con Cristo salì sulla croce".
Non c'è che dire: il Signore Gesù
ha fatto una brillante carriera.
E ce l'ha voluta insegnare. Perché la povertà si insegna e si apprende. Alla povertà ci si
educa e ci si allena.
(Don Tonino Bello, Educare alla povertà)
Briciole di Missione - 16 -