View - Accademia Apuana della Pace
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Notiziario settimanale n. 497 del 29/08/2014 versione stampa Questa versione stampabile del notiziario settimanale contiene, in forma integrale, gli articoli più significativi pubblicati nella versione on-line, che è consultabile sul sito dell'Accademia Apuana della Pace centro")...................................................................................................... 3 21a Marcia per la Giustizia Agliana - Quarrata: "Urge una nuova POLITICA: come passione di vita e pratica condivisa" (di Casa della Solidarietà - Rete Radié Resch di Quarrata (PT), Comuni di Quarrata e di Agliana (PT), Libera, associazioni, nomi e numeri contro le Mafie) ..........3 Approfondimenti.............................................4 Renzi inadeguato (di Massimo Michelucci)............................................... 4 Martini: due anni dopo (di Angelo Levati)................................................. 5 Saluto del Cardinale CARLO MARIA MARTINI al Congresso provinciale delle ACLI - sabato 22 gennaio 2000 (di Carlo Maria Martini) ................................................................................................................... 5 Notizie dal mondo........................................... 6 L'altro Iraq che resiste, con il pane e le rose (di Un ponte per ...)...............6 Rete Disarmo: niente armi in Iraq, sì a forze di “peace enforcing” (di Rete Disarmo).................................................................................................... 7 Israele - Territori Palestinesi Occupati: la Corte penale internazionale deve indagare sui crimini di guerra (di Amnesty International).......................... 8 L’incubo di Gaza (di Noam Chomsky)..................................................... 11 Corsi / strumenti........................................... 13 Scuola Estiva di Alta Formazione VIII Edizione: "Diritto e Diritti" - Invito ................................................................................................................. 13 Associazioni................................................... 13 SOS Volontari turni di notte Casa di Accoglienza di via Godola a Massa (di AVAA)................................................................................................ 13 La segreteria della Rete della pace si riconosce appieno nel comunicato di Rete italiana disarmo (pubblicato anche in questo notiziario) a commento della decisione presa dalle commissioni di Camera e Senato, lo assume, lo promuove e ne sostiene fortemente le proposte e le richieste. La manifestazione del 21 settembre a Firenze sarà anche un'occasione per rilanciarle. la segreteria di rete della pace Basta guerre! Mai più vittime! Fermiamo le stragi di civili indifesi a Gaza, in Palestina e Israele, in Siria, Iraq, Libia, Afghanistan, Ucraina, .... Per Pace, Libertà, Giustizia, Democrazia Costruiamo insieme un passo di pace ! Manifestazione Nazionale Firenze, 21 settembre 2014 Indice generale Editoriale......................................................... 1 Rete Disarmo: sbagliata scelta invio di armi in Iraq, monitoreremo questa consegna (di Rete Disarmo)....................................................................... 1 Evidenza...........................................................2 Basta guerre! Mai più vittime! Fermiamo le stragi di civili indifesi a Gaza, in Palestina e Israele, in Siria, Iraq, Libia, Afghanistan, Ucraina, .... (di Rete della Pace).................................................................................... 2 Fermare l'Isis con il diritto internazionale, non fornendo armi ai Curdi (di Gianni Bottalico, presidente nazionale ACLI)............................................ 3 Periferie al centro: Castagnara in festa! - sabato 30 agosto, ore 18.00 parco pubblico di Castagnara (di AAdP, Rete associazioni "Periferie al 1 Editoriale Rete Disarmo: sbagliata scelta invio di armi in Iraq, monitoreremo questa consegna (di Rete Disarmo) Il voto avvenuto ieri nella Commissioni di Camera e Senato, pur rispettando la forma della legge, configura una scelta sbagliata e politicamente grave. Confermiamo la nostra posizione: la responsabilità di proteggere le popolazioni minacciate del Nord dell'Iraq non si esercita fornendo armi alle forze armate curde o irachene ma creando le condizioni per interventi di pace. Rete Italiana per il Disarmo chiede comunque al Governo massima trasparenza sul tipo e la quantità di questa fornitura d'armi ed eserciterà tutte le pressioni in tal senso anche sul Parlamento, nel rispetto della legge 185/90 e del suo spirito. Il voto avvenuto ieri nelle Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato per l'invio di armi dall'Italia alla milizia curda è valutato negativamente da Rete Italiana per il Disarmo. Con sorpresa e disappunto apprendiamo che per il nostro Governo la politica estera, nei confronti di una situazione drammatica, si fa solo con invio dei armi e non con azioni forti umanitarie a difesa delle popolazioni. La nostra Rete conferma la posizione già espressa verso un no all'invio di armi in Iraq, in particolare se derivanti da depositi segreti. ll fatto che siano avvenuti in Parlamento i passaggi formali di copertura politica con una consultazione delle Camere, seppur solo in Commissione, rende ai nostri occhi ancor più grave e preoccupante la decisione politica assunta: per la prima volta in trent'anni l'Italia decide di inviare armi ad un paese in conflitto e lo giustifica sulla base della richiesta del governo locale e del via libera da parte dell'UE. Si tratta - come spiegato dal Min. Pinotti - in gran parte di armi in disuso o di armi sequestrate a trafficanti che avrebbero dovuto essere distrutte. Si immettono così sulla piazza armi facili da smerciare e possono alimentare il mercato illegale: e questo in una regione dove già la gran parte delle armi proviene da traffici illeciti. Alcune delle armi che verranno inviate derivano da un sequestro della magistratura, che ha poi portato ad un ordine di distruzione mai reso operativo: chiediamo perciò che venga subito aperta un'inchiesta parlamentare considerato che una parte di quelle armi pare sia stata inviata nel 2011 agli insorti di Bengasi apponendo da parte dell'allora governo in carica (Berlusconi IV) il segreto di stato". Saremo quindi pronti a verificare ogni passaggio di questa consegna e chiediamo formalmente al Governo un incontro per valutare nella massima trasparenza l'intera operazione, per allinearla allo spirito della legge 185/90 e del Trattato Internazionale sul Commercio di Armi che il nostro Paese ha ratificato lo scorso anno con voto parlamentare unanime. Questa decisione ci spinge inoltre a reiterare la nostra richiesta di un incontro con il Governo sulla legge 185/90 che regola export d'armi. Da anni denunciamo una sempre minore trasparenza - per come i dati sono esposti - confermata anche nella recente pubblicazione della Relazione relativa all'anno 2013. Riteniamo gravissimo inoltre che il Parlamento da sei anni non discuta questo documento, che dovrebbe invece fornire elementi fondamentali per la nostra politica estera. Tutte queste nostre richieste e prese di posizioni verranno rilanciate dalla nostra Rete nel corso della manifestazione "Un passo di Pace" in programma a Firenze per il prossimo 21 settembre. Le richieste di questi giorni della Rete Disarmo (valide nonostante il voto di ieri) Al Governo: 1. Attivarsi prontamente con i competenti organi delle Nazioni Unite per l'invio di un contingente di "peace enforcement" sostenuto dall'Unione europea che si attenga strettamente alle regole del diritto internazionale e non alimenti il conflitto. 2. Astenersi dall'inviare armi e sistemi militari alle parti in conflitto in particolar modo le armi confiscate (come il cosiddetto "arsenale Zhukov") o non utilizzabili dalle nostre forze armate e bloccare23 l'invio di armi e sistemi militari verso tutti i paesi in conflitto. 3. Predisporre, in dialogo con le organizzazioni umanitarie internazioni e le Ong nazionali, tutti gli aiuti necessari per un invio di materiali idonei all'effettivo soccorso delle popolazioni ed evitare l'invio di materiali non necessari e/o di fondi di magazzino, senza ricorrere alla cooperazione civile-militare nelle attività umanitarie. 4. Facilitare, in dialogo con le associazioni nazionali e internazionali, misure di protezione delle popolazioni di tipo non militare e di lungo periodo, che prevedano anche quote di ingresso in Italia per minoranze a rischio di genocidio e difensori dei diritti umani minacciati nelle zone di conflitto 5. Sottoporre, prima di attuare iniziative governative, tutte le proprie proposte al confronto nelle Camere, richiederne il parere con voto consultivo e attenersi al voto espresso dal parlamento Al Parlamento: 1. Promuovere e sostenere le iniziative sopra esposte. 2. Richiedere, qualora il Governo intenda inviare armi e sistemi militari in Iraq, un resoconto preventivo dettagliato di tutti i sistemi militari e di armi che si intende inviare e sottoporre al parere consultivo delle Camere ogni invio di armi. 3. Porre all'esame, nelle competenti commissioni parlamentari di Camera e Senato, le recenti Relazioni sulle esportazioni di sistemi militari italiani, valutare attentamente le autorizzazioni rilasciate dagli ultimi governi e il grado di trasparenza della Relazioni governativa in confronto anche con le associazioni impegnate da anni nel controllo del commercio degli armamenti. 4. Favorire un'inchiesta parlamentare su tutte le armi confiscate e detenute nei vari arsenali militari e predisporre tutte le misure necessarie per la loro pronta distruzione Alle associazioni: 1. Sostenere tutte le iniziative governative e parlamentari sopra esposte 2. Rifiutare, qualora il governo decida di inviare armi e sistemi militari in Iraq senza aver tenuto conto del parere espresso dalla 2 3. Camere o in aperto contrasto con esso, di effettuare distribuzioni di aiuti umanitari governativi, soprattutto se giunti in loco tramite canali militari. Collaborare per predisporre misure di assistenza umanitaria e interventi civili di pace, non armati e nonviolenti, di tutela delle popolazioni locali nel nord dell'Iraq, rafforzando la società civile locale nella denuncia delle violazioni e nella costruzione di percorsi di dialogo tra etnie e comunità. Per contatti stampa Rete Italiana per il Disarmo: [email protected] - 328/3399267 (fonte: Rete della Pace) link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2125 Evidenza Basta guerre! Mai più vittime! Fermiamo le stragi di civili indifesi a Gaza, in Palestina e Israele, in Siria, Iraq, Libia, Afghanistan, Ucraina, .... (di Rete della Pace) Libertà, Giustizia, Democrazia per tutti i popoli Costruiamo insieme un passo di pace ! Manifestazione Nazionale Firenze, 21 settembre 2014 Orario (11:00 – 16:00) e Piazza (da definire) La Rete della Pace conferma la convocazione della manifestazione nazionale di Firenze, segnalando che il programma e le indicazioni organizzative saranno rese pubbliche entro i primi di settembre, in accordo con le diverse reti che promuovono l'evento. La mobilitazione nazionale continuerà partecipando all'iniziativa promossa dalla Comunità Palestinese, a Roma, sabato 27 settembre. Roma, 22 agosto 2014 La Segreteria della Rete della Pace link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2128 Fermare l'Isis con il diritto internazionale, non fornendo armi ai Curdi (di Gianni Bottalico, presidente nazionale ACLI) Il mondo non ignori il grave pericolo indicato da Papa Francesco: i singoli conflitti in corso sono pezzi di un nuova guerra mondiale. "L'Isis non si ferma fornendo armi ai curdi: lo può fare solo la Comunità internazionale, attraverso l'Onu, facendo luce e mettendo di fronte alle loro responsabilità quanti hanno finanziato ed armato questa orda di violenti dell'Isis, che ha tratto enorme giovamento dalla destabilizzazione della Libia e da quella in corso della Siria, e che si è radicata nell'Iraq disastrato in seguito alla lunga guerra di occupazione americana". Lo afferma Gianni Bottalico, presidente nazionale delle ACLI, alla vigilia dell'informativa dei ministri degli Esteri e della Difesa alle relative commissioni parlamentari. "Le ACLI -prosegue Bottalico - rivolgono un appello a tutti i parlamentari delle commissioni Esteri e Difesa delle Camere ad esprimere un parere negativo sull'invio di armi italiane ai Curdi, e chiedono che una decisione così grave passi necessariamente da un voto delle assemblee parlamentari. È un segno dei tempi - sottolinea il presidente delle ACLI - che sia stato un pontefice, papa Francesco, durante l'incontro con i giornalisti sul volo di ritorno dalla Corea, a denunciare il rischio, purtroppo molto concreto, che il mondo corre oggi riguardo al mantenimento della pace. Una crisi economica che viene affrontata rafforzando le cause che l'hanno prodotta, anziché con una nuova politica economica che ridia centralità al lavoro, e la strategia occidentale che pare prevalere, che mira ad impedire con tutti i mezzi, anche quello militare, il passaggio dall'unilateralismo americano al multipolarismo nella gestione della politica mondiale, costituiscono un mix potenzialmente in grado di innescare un conflitto dalle proporzioni inimmaginabili. L'incapacità dell'Europa di collocarsi autorevolmente ed autonomamente sulla scena internazionale, favorisce la strategia delle forze che, pur di salvaguardare i loro attuali smisurati vantaggi economici e di scongiurare una loro bancarotta, mirano a ricompattare l'Occidente contro il resto del mondo, in particolare contro i grandi Paesi emergenti che costituiscono il club dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) non escludendo più alcuna opzione, compresa la più infausta, quella di un conflitto generalizzato, il cui rischio cresce con il dilagare della strategia del caos che ormai accerchia l'Europa, dall'Ucraina, al Medio Oriente, al Nord Africa. Le ACLI - conclude Bottalico - si sentono impegnate a sensibilizzare le coscienze sulla gravita di questa fase storica, per fare in modo che in questo difficile presente "non si ripetano gli sbagli del passato, ma si tengano presenti le lezioni della storia, facendo sempre prevalere le ragioni della pace mediante un dialogo paziente e coraggioso", secondo l'auspicio di Papa Francesco formulato alla vigilia del centenario dello scoppio della Grande Guerra. Nonostante tutto, guardiamo con fiducia e speranza al futuro. Siamo artefici del nostro destino, ma in fasi come l'attuale risulta decisivo su quale versante della storia collocarsi sui temi del lavoro, della democrazia, della pace. Non assisteremo passivamente ad una strategia economica e geopolitica che rischia di far precipitare il mondo in un nuovo grande conflitto". (fonte: Rete della Pace) link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2124 Iniziative Periferie al centro: Castagnara in festa! - sabato 30 agosto, ore 18.00 - parco pubblico di Castagnara (di AAdP, Rete associazioni "Periferie al centro") "Periferie al centro": Castagnara in festa passiamo insieme una serata di giochi, musica, solidarietà, osservazioni astronomiche... Sabato 30 agosto, dalle 18.00 alle 24.00, presso il parco pubblico di Castagnara, a Massa, avrà luogo la manifestazione conclusiva, 3 "Castagnara in festa", del ciclo di iniziative, culturali e ludiche (a costo zero per il Comune, completamente autofinanziato dalle associazioni), che l'Accademia Apuana della Pace, insieme alla rete di associazioni "Periferie al Centro" e ad alcuni abitanti e commercianti del quartiere di Castagnara, ha realizzato questa estate nel parco pubblico di questa frazione di Massa. Il programma della serata prevede: 18.00: animazione, giochi e laboratori per bambine e bambini di tutte le età; 20.00: cena condivisa a cura delle associazioni organizzatrici, con la collaborazione dei cittadini e delle attività commerciali di Castagnara; dalle 21.00: Karaoke, musica e balli popolari; dalle 21.30: "osserviamo il cielo", con il Gruppo Astrofili di Massa Tutti, residente e non residenti a Castagnara, sono invitati a partecipare a questo momento di festa e condivisione. "L'iniziativa – ha dichiarato la prof. Stella Buratti, presidente dell'Associazione AVAA – va nella direzione di quella città solidale che noi vorremmo fosse costruita: una città che sia viva ed è vitale proprio a partire dalle periferie, che invece sono sempre state abbandonate". "In tale ottica – prosegue Paolo Panni di Legambiente Massa-Montignoso – concluso il ciclo di iniziative culturali e ludiche, nell'ottica di affermare la centralità delle periferie, la rete di associazioni Periferie al centro, organizzerà, a Castagnara, entro la fine del mese di settembre, un convegno-seminario sull'animazione sociale delle periferie, invitando diverse esperienze nazionali per un confronto che sia di stimolo anche al nostro territorio e alla politica locale". Locandina: http://www.aadp.it/dmdocuments/evento1811.pdf AAdP e "Periferie al centro" link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2132 21a Marcia per la Giustizia Agliana - Quarrata: "Urge una nuova POLITICA: come passione di vita e pratica condivisa" (di Casa della Solidarietà - Rete Radié Resch di Quarrata (PT), Comuni di Quarrata e di Agliana (PT), Libera, associazioni, nomi e numeri contro le Mafie) Sabato 13 settembre 2014 si svolgerà la 21a Marcia per la Giustizia Agliana - Quarrata. Quest'anno verrà trattatoil tema: "Urge una nuova POLITICA: come passione di vita e pratica condivisa" Saranno presenti: Antonietta POTENTE, teologa; Cecile Kyenge, deputata europea PD; Curzio MALTESE, deputato europeo TSIPRAS; don Luigi CIOTTI, Gruppo Abele, Libera; Martina ROMANELLO, studentessa universitaria Napoli, Renato ACCORINTI, sindaco di Messina. L’ anima umana ha bisogno per un verso di solitudine, per l’altro di vita sociale. … L’anima umana ha bisogno di partecipazione disciplinata a un compito condiviso di pubblica utilità, e ha bisogno di iniziativa personale in questa partecipazione … L’anima ha bisogno sopra ogni altra cosa di essere radicata in molteplici ambienti naturali e di comunicare tramite loro con l’universo.” (Simone Weil, Dichiarazione degli obblighi verso l’essere umano, 2003, 30-31 “La nostra paura più profonda non è quella di essere inadeguati. La nostra paura più profonda è quella di essere potenti oltre ogni limite. E’ la nostra luce, non la nostra ombra a spaventarci di più. Ci domandiamo: chi sono io per essere così brillante, pieno di talento, favoloso? In realtà: chi sei tu per non esserlo? Il nostro giocare in piccolo, non serve al mondo. Non c’è nulla di illuminante nello sminuire se stessi, cosicché gli altri non si sentano insicuri intorno a noi. Siamo tutti nati per risplendere, come fanno i bambini. Non solo per alcuni di noi, ma in ognuno di noi. Quando permettiamo alla nostra luce di risplendere, inconsapevolmente diamo agli altri la possibilità di fare lo stesso. E quando ci liberiamo delle nostre paure, la nostra presenza, automaticamente, libera gli altri.” (Nelson Mandela) La questione politica, a questo punto, è una questione dell’anima. Ciò che abbiamo perso, o stiamo perdendo non è solo un certo tenore di vita a cui tutti eravamo abituati; servizi sociali, garanzie economiche, sicurezze riguardo al nostro futuro. Ciò che stiamo perdendo o abbiamo perso è una delle dimensioni più reali della vita umana, che ci avrebbe garantito di non cadere nella superficialità, nella distrazione e nella prepotenza delle relazioni umane e con tutto l’ecosistema. La politica non è merce di scambio, fonte di ricchezza privata e nemmeno pubblica; la politica non è costituire uno stato fantasma supportato da singoli cittadini senza partecipazione. Non è nemmeno la costituzione di uno stato separato dalla fatica quotidiana di uomini e donne che hanno inventato le proprie storie e per questo hanno resistito, oramai da anni, nonostante le offerte dello stato – perché di offerte si tratta- siano totalmente insufficienti. La questione politica parte dall’anima, dalla consapevolezza e dal riscatto di questa sensibilità interiore che ispira la vita dal di dentro, in cui le cose, gli esseri umani, l’ecosistema, non si riconoscono solo come merce di scambio; come fonte di accumulo di quello che prima si chiamava potere e oggi è totalmente identificato con il denaro. Ogni crisi dell’umanità, in questo momento storico, è crisi interiore, crisi e tradimento dell’anima che invece è matrice dei sogni, di quelle sensibilità ispiratrici dell’umano più bello e dell’umano più capace di vivere nell’ecosistema; matrice di quei diritti che vengono ancora prima di ogni legge, anzi, ispirano la creazione di un ordinamento condivisibile, per tutti. Chi sostiene di ripartire dall’anima, non è un illuso o illusa, che ha un visione idilliaca dell’essere umano e del cosmo, ma piuttosto chi si è stancato o stancata di pensarsi incapace di rifare la storia in un altro modo, di partecipare alla costruzione di un ambiente in cui la vita si sviluppa e non viene mortificata da progressivi processi di esclusione. La politica deve tornare ad essere passione filo-sofica, cioè passioneamore alla sapienza della vita; ricerca di stili di vita che garantiscano la vita stessa e non una mortificante sopravvivenza. Al contrario: La politica non può essere passione di denaro; passione di chissà quale frustante riscatto personale. Sono questi gli aspetti che portano la politica all’illegalità, alle mafie di ogni genere: politico, sociale e persino religioso, sia locali che mondiali. L’antico detto cristiano è chiaro, anche per chi non si ricorda più: “non si possono servire due padroni …” perché lasciare che la nostra esistenza serva contemporaneamente due ispirazioni: il denaro-potere e l’anima della vita e delle cose, ci romperà dal di dentro; frantumerà la storia in mille pezzi, polverizzando tutto: passato, presente e un ipotetico futuro. Siamo stufi di essere trattati come i conquistatori spagnoli nel XV secolo, trattarono le popolazioni indigene del continente Amerindio, quando con solennità proclamavano: “questi [gli indigeni] non hanno anima. Noi, così come rivendicavano gli indigeni, abbiamo un’anima, qualunque essa sia, in ogni cultura, in ogni storia personale e collettiva, è l’anima della nostra creatività umana che è partecipazione. Cfr. La canzone di Gaber: Libertà è partecipazione … Note organizzative per le adesioni da parte di associazioni, comunità, parrocchie, enti ecc... scrivere a: [email protected] Ritrovo ore 18,00 ad Agliana, Piazza Gramsci - Arrivo a Quarrata - Piazza Risorgimento ore 21 Per informazioni: Tel. 0573-750539; 339-5910178 E-Mail: [email protected] - [email protected] 4 Alle ore 17 è prevista la partenza da Quarrata di un autobus per Agliana al fine di portare i partecipanti che desiderano lasciare la macchina a Quarrata. Al termine della Marcia i bus navetta provvederanno a riportare ad Agliana i partecipanti Chi è provvisto di sacco a pelo sarà ospitato presso il Palazzetto dello Sport di Quarrata g.c. (fonte: Casa della Solidarietà - Rete Radié Resch di Quarrata (PT)) link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2097 Approfondimenti Politica e democrazia Renzi inadeguato (di Massimo Michelucci) Alessandro Volpi, professore pisano, su Il Tirreno del 14 agosto, ha spiegato bene la situazione di deflazione che attanaglia l’Italia, facendoci capire che essa riguarda anche l’Europa. Il risultato di una analisi così dettagliata è stato quello di fare vieppiù apparire come Renzi sia inadeguato a guidare la risposta italiana, a dir la verità ai miei occhi appare addirittura ridicolo. Chiosa bene infatti Volpi che la risposta sta in un cambiamento reale. L’anacronismo di Renzi sta nel fatto che parla di superamento di fasi, o di cambiamento di epoca, o di risposta alla crisi non avvertendo che il problema vero è il cambiamento del mondo. Mi sembra che Volpi, nella sua conclusione, avverta questa profondità della questione. Più il problema è grande più la soluzione riguarda tutti, e può avvenire quindi anche nel singolo, nel piccolo, perché insiste sulla coscienza e sul metodo. Fuor di metafore, più che dalla Stato la risposta può venire dal territorio e da quegli enti che ai cittadini sono più vicini e che nessuna riforma pseudo costituzionale potrà mai far sparire, in quanto la sussidiarietà è un comandamento oggettivo che emerge di per sé nella vita di una società. Volpi è anche sindaco di una piccola città di provincia, ha spessore morale e culturale di certo superiore a Renzi, qualità che sono i fondamenti dell’onestà intellettuale che è virtù latente nella nostra classe politica, almeno dai costituenti in poi. Anche dallo spazio ristretto dell’ente locale può essere esempio di cambiamento vero ed esempio trainante. Capace cioè di dar inizio allo sviluppo di quel federalismo, sempre proclamato e mai realizzato, che si fonda sulle comunità e sui territori, e che non è calato dall’alto. Ciò può avvenire benissimo ( anzi io credo che debba), senza bisogno di patenti, di lasciapassare, di vidimazioni, di nulla osta da parte di alcuna autorità. Questo credo del resto fosse il progetto di Volpi politico che la comunità ha scelto come Sindaco. Io ho sempre creduto che il mondo si possa e si debba cambiare dal basso, ogni altro cambiamento sarà sempre fasullo. link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2123 Religioni Martini: due anni dopo (di Angelo Levati) Il 31 agosto cade il secondo anniversario della morte del card. Carlo Maria Martini, Arcivescovo di Milano. Per l’occasione invio un documento che non è molto noto, è un intervento che ha tenuto durante il Congresso delle ACLI Milanesi nel gennaio 2000. E’ un discorso che, a mio parere, è un po’ la concretizzazione delle due prime lettere pastorali che scrisse da Arcivescovo di Milano: “la dimensione contemplativa della vita” e “In principio la parola”, è un intervento riservato agli aclisti ma che può andare bene per tutti coloro che sono in ricerca o, come diceva lui, “essere pensanti”. Ricordo quando, una quindicina di anni fa, credo nel 1999, ero a Praga con una delegazione delle ACLI Lombarde in visita ai nostri partner della KAP (Cristo e Lavoro) e, dopo aver partecipato ad un loro convegno tenuto all’Università di Praga, vollero farci visitare la città portandoci in alcuni posti non visitabili dal grande pubblico, visitammo il Centro Strahof con una biblioteca di 120.000 volumi tenuta dai Monaci Premonstratensi e poi ci federo visitare l’Arcivescovado di Praga che si trova vicino al Castello. Dopo averne visitato il secondo piano (una reggia!) che contiene la quadreria degli Arcivescovi di Praga e ci raccontarono che per molto tempo ci fu una diatriba con Vienna perché ambedue le città volevano diventare la sede dell’impero. Alla fine a Vienna toccò l’impero e a Praga l’Università della quale l’Arcivescovo è il Gran Cancelliere. Poi ci incontrammo con un dignitario della curia che ci disse: “lo scorso anno il vostro Arcivescovo venne a predicare ai nostri seminaristi un corso di esercizi spirituali sul tema “chiesa piccolo gregge”. Poi soggiunse “Ah, Card. Martini, Giovanni XXIV”. Martini, al compimento dei 75 anni, disse che: “un tempo avevo sogni sulla Chiesa Una chiesa che non dipende Dai potenti di questo mondo Una chiesa che dà spazio alle persone Capaci di pensare in modo più aperto Sognavo una chiesa giovane. Oggi non ho più questi sogni Dopo i settantacinque anni Ho deciso di pregare per la chiesa”. Forse anche per la sua preghiera di intercessione e dopo sei mesi dalla morte di Martini, che CHI è sopra di noi ha pensato bene di donare alla Chiesa Cattolica Romana e al mondo PAPA FRANCESCO. Buona riflessione! Angelo Levati Le edizioni Paoline e il Corriere della Sera hanno realizzato un DVD di 55 minuti dal titolo “Carlo Maria Martini, l’uomo di Dio”. link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2126 Saluto del Cardinale CARLO MARIA MARTINI al Congresso provinciale delle ACLI - sabato 22 gennaio 2000 (di Carlo Maria Martini) "Vorrei esprimermi nella maniera più semplice possibile, consegnandovi quattro cose: un motto, un monito, un compito ed un auspicio. 1. Un MOTTO: lo prendo da Ger. 6,16-17. E' un oracolo con cui Dio vuole aiutare il popolo a non smarrirsi del tutto ed a evitare una catastrofe. Dice: "Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri del passato, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le vostre anime" (Ger. 6,16). E malgrado la resistenza del popolo a munirsi di punti precisi di riferimento, aggiunge: "io ho posto sentinelle presso di voi" (Ger. 6,17). Ecco quello che potrebbe essere il vostro motto in questo tempo: "siate sentinelle". Il Signore costituisce a favore del suo popolo sensori capaci di percepire pericoli e difficoltà. Così Israele era presidiato da profeti, da sentinelle, da pastori, da Re. Mi pare che oggi voi siate chiamati a questo ruolo di sostegno e di riferimento, ad essere sentinelle, in particolare per chi non sa orientarsi e non sa vedere pericoli ed opportunità. Come ACLI voi ricercate il senso delle cose e degli avvenimenti, non vi accontentate di spiegazioni superficiali. Cercate i valori veri e non il quieto vivere, il servizio della giustizia e non i privilegi. La vostra 5 presenza opera sul territorio gratuitamente, senza attese di ritorno o di ricompensa, senza secondi fini. Perciò la vostra operosità genera fiducia. Certamente il vostro servizio si compie in un mondo che, spesso presenta durezze, contrapposizioni e differenze tali da scoraggiare e rendere difficile un'operosità coerente. Essere sentinelle in vita allora, oltre che a segnalare, anche a rintracciare vie nuove nella scelta e nella ricerca del bene comune, sapendo che, nel nostro mondo complesso ed attraversato da esigenze molteplici e culture nuove, sono necessarie competenze profonde e formazione continua. Servono allora persone che reggano la fatica di pensare più in profondità, al di là dei luoghi comuni. Persone che siano disponibili a cogliere la realtà in movimento in tutta la sua complessità, che sappiano farsi carico di chi è più debole anche culturalmente e rischia di venire abbagliato da slogan e da mezze verità. 2. Un MONITO: "vigilate" Nell'ultimo discorso di S. Ambrogio ho evocato il pericolo della paura, dell'accidia e della pavidità che irrigidiscono, restringono gli orizzonti e fanno fuggire da impegni collettivi. Mi pare che la parola chiave del Vangelo in questi frangenti per voi, che dovete essere sentinelle, sia: "vigilate". Richiamate al rispetto delle persone e nello stesso tempo alla valenza diversificata delle diverse opinioni sul piano etico. Ispirandovi alla dottrina sociale della chiesa saprete trovare quei riferimenti essenziali alla persona umana, ai suoi diritti e ai suoi valori che permettono di dire a tempo opportuno la parola giusta. 3. Un COMPITO: operate sul territorio Le reti dei vostri circoli costituiscono una preziosa realtà di richiami, di collaborazioni, di presidi per il bene comune. La vostra particolare attenzione al mondo del lavoro, all'operosità politica e culturale e nello stesso tempo il vostro radicarvi nella comunità cristiana vi obbligano ogni volta a riportarvi alle vostre radici originarie, che vi costituirono come una presenza di credenti in Cristo all'interno di un mondo in profonda evoluzione. Non è dunque una novità per voi il trovarsi all'interno di un vortice di fatti nuovi né vi manca il coraggio per affrontare le sfide. Quella che era alle origini presenza e mediazione tra il mondo credente e il mondo operaio, diviene oggi anche presenza e mediazione tra il mondo credente e la trasformazione sociale. Per fare questo è necessaria una robusta ricerca religiosa. Il coraggio della fede sostiene la coerenza mentre la lucidità dell'analisi è offerta dalla conoscenza e dalla formazione dal dialogo e dalla pazienza attiva. Tutto il mondo del lavoro è in difficoltà e ne subiscono le conseguenze giovani, donne, persone ultraquarantenni, persone fragili di vario genere richiamate dalla dizione globale di "fasce deboli". In questi giorni si sta sviluppando una seria ricerca sul problema del lavoro in cui è interessata tutta la realtà milanese. A me sembra importante che tutti insieme ci si impegni per sostenere tali "fasce deboli", quelle persone che non hanno spazio e forza per imporsi nel mondo del lavoro, che sono incapaci di reggere se non accompagnati così da entrare a far parte di un tessuto di rapporti e di risorse. La civiltà di un popolo, a cui voi date un contributo alto di riflessione e di operosità, si valuta dalla capacità di saper rendere le persone libere ed autonome: persone che, da assistite diventino una risorsa ed acquisiscano dignità agli occhi di tutti e soprattutto di sé. E naturalmente penso qui in particolare a categorie come i lavoratori extracomunitari ed anche agli ex carcerati. Per la vostra azione capillare sul territorio vi incoraggio anche a sviluppare la vostra rete di scuole professionali e di formazione permanente, mentre vi chiedo di impegnarvi sul versante dei giovani e del mondo povero la cui diseguaglianza con il mondo dei benestanti si sta allargando. Occorre promuovere quel patrimonio di competenze e di capacità che danno fiducia alle nuove generazioni. Esse si presentano alla ribalta della storia con tanti problemi, alcuni dati dall'età, ma altri indotti dalla frantumazione degli ideali, dalla sfiducia nel mondo adulto, dalla suggestione di modelli di vita troppo facili e di gratificazione immediata. Non è un caso che stia venendo alla luce una mistura pericolosa e talora micidiale tra momenti di svago e di musica ed estasi artificiali e traditrici. Vorrei anche esprimere la sofferenza che sento emergere per i problemi gravi della casa. Si deve provvedere ad una politica di affitti accessibili alle persone con un solo reddito o in situazioni di precarietà. Se non si risolve tale problema non si può parlare alla leggera di flessibilità, di mobilità, di adattamento a lavori diversi. C'è il rischio di provocare paure, insicurezze e tragedie. Chiedo perciò a voi di farvi operatori di speranza proponendo ed incoraggiando sul territorio reti di sostegno, iniziative e proposte che coinvolgano tutte le persone di buona volontà. 4. Infine, un AUSPICIO: Meditate il Vangelo Per tutto questo la comunità Cristiana ha bisogno di sostegno, di chiarezza, di intuizioni, di incoraggiamento. Vi chiedo di essere disponibili con intelligenza e maturità. Lo sarete se, come laici adulti e formati saprete coniugare la robustezza della Parola di Dio con la coscienza dei problemi della società. Non abbiate timore di perdere tempo nei momenti formativi e contemplativi. Ricordo la parola spesso ripetuta da un grande prete che vi amava molto, Mons. Sandro Mezzanotti. Continuava a dire: formazione, formazione. E fonte privilegiata della nostra formazione è la meditazione silenziosa del Vangelo. Potrete così con autorevolezza aggiornare la comunità cristiana di ciò che sta avvenendo nel mondo della trasformazione sociale e del lavoro. Sappiate anche coordinare le vostre forze, che non sono mai bastevoli, con le persone di altri movimenti ed associazioni, non per scopi di potere ma per trovare soluzioni, per promuovere solidarietà, per sostenere realtà in difficoltà e fragili. Le vostre città e i vostri paesi hanno bisogno della vostra presenza per una ricerca di senso, per itinerari comuni, per analisi coerenti, per non far cadere solidarietà costruite nella fatica. Non contatevi se siete molti o pochi. Siate incisivi e coraggiosi. Ma per questo rifatevi continuamente alla parola di colui che ha detto: "Non temere, piccolo gregge….ecco, io sono con voi sino alla fine dei tempi!". (fonte: Angelo Levati) link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2127 Notizie dal mondo Iraq L'altro Iraq che resiste, con il pane e le rose (di Un ponte per ...) La societa' civile irachena chiede aiuti, diritti, protezione, coraggio della politica, non armi. Mentre il Governo italiano preparava e - solo in seguito - faceva approvare dal Parlamento l'invio di armi ai combattenti kurdi, questa settimana, gli operatori di Un ponte per... in Iraq assistevano a una mobilitazione straordinaria della societa' civile irachena negli aiuti umanitari. Scherzando, i nostri partner locali ci dicevano che il governo italiano farebbe meglio a trasferire i vecchi armamenti in disuso allo Stato Islamico, cosi' se si inceppano risparmiano qualche vittima. Ben altro chiedono in questo momento coloro che in Iraq sono piu' attenti alla salvaguardia dei diritti umani: beni alimentari, acqua, interventi internazionali focalizzati alla protezione di popolazioni a rischio di genocidio, e ponti aerei per portare in zone sicure le minoranze ancora assediate nelle montagne di Sinjar e in altre zone del governatorato di Mosul. Certamente un ponte aereo di C-130 dell'Esercito Italiano non era necessario per portare a Erbil acqua e biscotti facilmente acquistabili in loco, che appaiono quindi strumentali a giustificare la successiva distribuzione dei kalashnikov. Questa scelta non chiarisce chi svolgera' il lavoro diplomatico per sostenere il dialogo nazionale con i politici iracheni e kurdi, che coinvolga tutti gli attori regionali a partire dall'Iran, e il lavoro di polizia internazionale per fermare traffico di armi e finanziamenti allo Stato Islamico. Ne' e' chiaro al momento chi si adoperera' per costruire una forza di interposizione ONU all'altezza dello slogan "Responsabilita' di Proteggere", riferito alla popolazione civile, che 6 finora e' stato usato dalla NATO come paravento di operazioni di guerra. Lo abbiamo ribadito in questi giorni con Rete Italiana Disarmo. Le associazioni del Kurdistan iracheno hanno - come noi - da giugno stravolto le loro attivita' ordinarie per alleviare le sofferenze degli 800.000 rifugiati interni giunti dal Nord dell'Iraq, che si aggiungono ai 200.000 curdi scappati dalla guerra in Siria. Le ONG che rappresentano le minoranze, come la Yazidi Solidarity League, si affannano per dare anche sostegno morale e politico ad un popolo che sta subendo un vero e proprio genocidio. I volontari delle chiese cristiane, caldei e siriaci, sfornano miglia di pasti al giorno per le famiglie fuggite dalle enclave cristiane della piana di Ninive. Le associazioni di donne denunciano a piena voce i crimini di schiavitu' e stupro di cui si e' macchiato lo Stato Islamico e sostengono le vittime. Chi lavora e lotta senza armi nel resto del paese non ha visto significativi cambiamenti, e qualche giorno fa un altro operatore umanitario iracheno e' stato ucciso da sconosciuti per il proprio attivismo, nella provincia di Dyala: piangiamo anche noi Saad Abdul Wahab Ahmed dell'associazione al-Amal. Il fondamentalismo e i crimini delle bande armate, che poco o nulla hanno di islamico, sono cresciuti nel paese nell'ultimo decennio in entrambi i fronti: quello sciita con esplicito sostegno del governo di al-Maliki, quello sunnita con un ampio spettro di gruppi di opposizione. Crimini contro i civili sono stati registrati da entrambe le parti, e non possiamo dimenticare che il governo iracheno e' stato ripetutamente accusato di crimini di guerra per i propri bombardamenti indiscriminati su quartieri delle citta' in rivolta, o per l'uccisione extra-giudiziale di prigionieri. Non ha fatto nemmeno notizia, il 12 luglio, l'uccisione in pieno centro di Baghdad, alla luce del giorno, di quasi 30 prostitute irachene da parte di una banda armata sciita coperta da al-Maliki. I corpi si accumulavano sulla strada, e la polizia non e' intervenuta. In questo clima, era inevitabile che frange della popolazione irachena avrebbero lasciato permeare l'estremismo di segno opposto. E' quindi, ora, necessario lavorare con massima energia a sostegno del processo politico iracheno e del dialogo nazionale, perche' il nuovo Primo Ministro al-Abadi cambi corso rispetto al suo compagno di partito alMaliki, ascoltando non solo le opposizioni ma anche la societa' civile irachena. Ci stanno provando gli attivisti dell'Iraqi Social Forum, composto da decine di associazioni, sindacati e reti di tutto il paese, che stanno impostando un piano strategico di partecipazione della societa' civile al dialogo nazionale, e di lotta alla discriminazione tra tutte le comunita' linguistiche e religiose. Hanno lanciato in questi giorni campagne come "Ministri senza quote" contro la pianificazione della politica su basi etniche. Chiedono che almeno quattro ministri vengano scelti in base al merito e alle proprie conoscenze della materia, non su basi settarie. E' il primo tentativo di mettere in discussione il sistema di quote non scritto ma varato e consolidato dalle autorita' USA dell'occupazione, che gravano ancora sulla politica irachena. Seguiamo con attenzione e sosteniamo queste iniziative, perche' solo da qui puo' nascere un altro Iraq. Cosa puoi fare: • sostieni le nostre attivita' umanitarie per i profughi iracheni, che realizziamo in stretta collaborazione con le associazioni locali... dona e informati qui: http://www.unponteper.it/emergenza-iraq • organizza attivita' di informazione e raccolta fondi nella tua citta' sulla situazione irachena... scrivici se vuoi un nostro intervento: [email protected] • attiva un sostegno a distanza per un/a bambino/a iracheno/a delle minoranze con il progetto Farah (Gioia):http://www.sostegniadistanza.unponteper.it/iraq • firma e diffondi la petizione sostenuta dall'Iraqi Civil Society Solidarity Initiative per portare i crimini di schiavitu' dell'IS davanti alla Corte Penale Internazionale: http://www.iraqicivilsociety.org/archives/3460 • partecipa alla conferenza annuale dell'Iraqi Civil Society Solidarity Initiative che si terra' ad Oslo dal 2 al 4 novembre 2014, con una delegazione di attivisti dell'Iraqi Social Forum, per info e iscrizioni: http://www.iraqicivilsociety.org/archives/3330 • conosci l'Iraq, a partire dallo straordinario mosaico di culture che lo compongono. Acquistando il testo in inglese "Books and documents, heritage of Iraqi minorities" pubblicato da Un ponte per... sosterrai gli acquisti di beni di prima necessita' che stiamo distribuendo in questi giorni: http://www.unponteper.it/prodotto/books-documents-iraqiminorities/ link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2129 Rete Disarmo: niente armi in Iraq, sì a forze di “peace enforcing” (di Rete Disarmo) La responsabilità di proteggere le popolazioni minacciate del Nord dell’Iraq non si esercita fornendo armi alle forze armate curde o irachene, ma semmai inviando una forza di interposizione militare a difesa delle popolazioni e creando le condizioni per interventi di pace. Rete Italiana per il Disarmo chiede pertanto al Governo di promuovere iniziative efficaci affinché il nostro paese eserciti, in accordo con gli organismi internazionali, il suo dovere alla responsabilità di proteggere e al Parlamento di svolgere un ruolo propositivo e di controllo delle iniziative dell’esecutivo in particolar modo sull’invio di armi e sistemi militari nella regione. “Conferma della posizione già espressa verso un no all’invio di armi in Iraq, in particolare se derivanti da depositi segreti” è la posizione espressa da Rete Italiana per il Disarmo in vista del dibattito previsto per domani, mercoledì 20 agosto, nelle Commissioni riunite Affari Esteri e Difesa di Camera e Senato, durante il quale i Ministri degli Esteri, Federica Mogherini, e della Difesa, Roberta Pinotti, svolgeranno le comunicazioni del Governo sui recenti sviluppi della situazione in Iraq con riferimento anche agli esiti del Consiglio straordinario dei Ministri degli esteri della Unione europea del 15 agosto 2014. Rete Disarmo sottolinea, come già evidenziato in precedenti comunicati, che la “responsabilità nella protezione” (responsibility while protecting) delle popolazioni dal pericolo di massacri non ricade solamente sul governo iracheno, ma sull’intera comunità internazionale. Per questo il nostro Paese deve rispondere con prontezza ed efficacia valutando anche la possibilità, insieme ad altri paesi dell’Unione europea, di inviare una forza di interposizione con mandato ONU e funzioni di “peace enforcement” che si attenga strettamente alle regole del diritto internazionale, senza alimentare il conflitto. Le forze armate irachene e curde hanno purtroppo dimostrato di non essere in grado di proteggere da sole le popolazioni e non solo perché non sono fornite degli armamenti necessari. Di fronte ad una crisi che viene definita dagli organismi dell’Onu di ‘pulizia culturale’, la risposta dell’Unione europea non può limitarsi all’invio – pur drammaticamente necessario – di aiuti umanitari ed è per questo che la Rete italiana per il Disarmo chiede al governo Renzi di astenersi dall’invio di sistemi militari nella regione. “Ogni invio di armi nella regione va assolutamente impedito – afferma Giorgio Beretta dell’Osservatorio OPAL di Brescia - ancor più se il governo intende inviare ai militari curdi delle armi in disuso per svuotare i magazzini delle nostre aziende armiere o peggio ancora quelle armi di fabbricazione sovietica sequestrate al trafficante Zhukov e detenute per anni nelle riservette dell’isola sarda della Maddalena. Quelle armi, come prevede una sentenza del Tribunale di Torino del 2006 mai resa operativa, vanno distrutte: chiediamo perciò che venga subito aperta un’inchiesta parlamentare considerato che una parte di quelle armi pare sia stata inviata nel 2011 agli insorti di Bengasiapponendo da parte dell’allora governo in carica (Berlusconi IV) il segreto di stato”. Rete Italiana per il Disarmo chiede inoltre a tutte le organizzazioni umanitarie e Ong impegnate nei soccorsi in Iraq di valutare attentamente quale sarà l’iniziativa promossa dal governo e di astenersi dall’effettuare distribuzioni di aiuti governativi italiani giunti tramite canali militari, con un coinvolgimento del Ministero della Difesa che non era assolutamente 7 necessario per far giungere a Erbil beni alimentari facilmente acquistabili localmente. “Dopo l’invio di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza e la persistente emergenza dei profughi siriani – afferma Martina Pignatti dell’associazione Un ponte per… – questa è la terza urgenza umanitaria che il Governo italiano affronta quest’anno nella regione mediorientale, ma con stanziamenti insufficienti e senza nemmeno valutare l’opportunità di sospendere l’invio di armi e sistemi militari verso tutte le parti in conflitto. Lo consideriamo molto grave: il messaggio che la Farnesina sembra voler inviare è che nel nuovo modello di cooperazione le armi e gli aiuti umanitari possono andare a braccetto senza scomodare nessuno”. Rete Disarmo evidenzia infine la necessità di evitare l’escalation del conflitto e di creare le condizioni perché si possa giungere ad una convivenza pacifica tra le popolazioni della regione. “Papa Francesco, sull’aereo di ritorno a Roma, è stato molto chiaro – sottolinea don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi - Ha detto che quando c’è un’aggressione ingiusta è lecito fermare l’aggressore, non bombardare o fare la guerra, ma fermarlo. Papa Francesco ha inoltre ricordato che 'Una sola nazione non può giudicare come si ferma l’aggressione, questo compito è delle Nazioni Unite. Dobbiamo avere memoria di quante volte con questa scusa di fermare un’aggressione ingiusta le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto vere guerre di conquista'; noi dobbiamo evitare l’escalation del conflitto e creare le condizioni perché si possa giungere ad una convivenza pacifica, anche per le minoranze, in quella regione", conclude don Renato Sacco. Rete Italiana per il Disarmo chiede: Al Governo 1. 2. 3. 4. 5. Attivarsi prontamente con i competenti organi delle Nazioni Unite per l’invio di un contingente di “peace enforcement” sostenuto dall’Unione europea che si attenga strettamente alle regole del diritto internazionale e non alimenti il conflitto. Astenersi dall’inviare armi e sistemi militari alle parti in conflitto in particolar modo le armi confiscate (come il cosiddetto “arsenale Zhukov”) o non utilizzabili dalle nostre forze armate e bloccare l'invio di armi e sistemi militari verso tutti i paesi in conflitto. Predisporre, in dialogo con le organizzazioni umanitarie internazionali e le Ong nazionali, tutti gli aiuti necessari per un invio di materiali idonei all’effettivo soccorso delle popolazioni ed evitare l’invio di materiali non necessari e/o di fondi di magazzino, senza ricorrere alla cooperazione civile-militare nelle attività umanitarie. Facilitare, in dialogo con le associazioni nazionali e internazionali, misure di protezione delle popolazioni di tipo non militare e di lungo periodo, che prevedano anche quote di ingresso in Italia per minoranze a rischio di genocidio e difensori dei diritti umani minacciati nelle zone di conflitto Sottoporre, prima di attuare iniziative governative, tutte le proprie proposte al confronto nelle Camere, richiederne il parere con voto consultivo e attenersi al voto espresso dal parlamento Al Parlamento 1. 2. 3. Promuovere e sostenere le iniziative sopra esposte. Richiedere, qualora il Governo intenda inviare armi e sistemi militari in Iraq, un resoconto preventivo dettagliato di tutti i sistemi militari e di armi che si intende inviare e sottoporre al parere consultivo delle Camere ogni invio di armi. Porre all’esame, nelle competenti commissioni parlamentari di Camera e Senato, le recenti Relazioni sulle esportazioni di sistemi militari italiani, valutare attentamente le autorizzazioni rilasciate dagli ultimi governi e il grado di trasparenza della Relazioni governativa in confronto anche con le associazioni 4. impegnate da anni nel controllo del commercio degli armamenti. Favorire un’inchiesta parlamentare su tutte le armi confiscate e detenute nei vari arsenali militari e predisporre tutte le misure necessarie per la loro pronta distruzione Questo documento elenca le misure che potrebbero e dovrebbero essere prese per istituire la giurisdizione della Cpi e descrive le violazioni commesse durante l'attuale conflitto, evidenziando alcuni crimini che Amnesty International ritiene potrebbero essere indagati dalla Cpi. Alle associazioni L'iniziativa del Consiglio Onu dei diritti umani 1. 2. 3. Sostenere tutte le iniziative governative e parlamentari sopra esposte Rifiutare, qualora il governo decida di inviare armi e sistemi militari in Iraq senza aver tenuto conto del parere espresso dalla Camere o in aperto contrasto con esso, di effettuare distribuzioni di aiuti umanitari governativi, soprattutto se giunti in loco tramite canali militari. Collaborare per predisporre misure di assistenza umanitaria e interventi civili di pace, non armati e nonviolenti, di tutela delle popolazioni locali nel nord dell’Iraq, rafforzando la società civile locale nella denuncia delle violazioni e nella costruzione di percorsi di dialogo tra etnie e comunità. (fonte: Unimondo) link: http://www.unimondo.org/Notizie/Rete-Disarmo-niente-armi-in-Iraq-si-aforze-di-peace-enforcing-147403 Palestina e Israele Israele - Territori Palestinesi Occupati: la Corte penale internazionale deve indagare sui crimini di guerra (di Amnesty International) Il 1° agosto, in una lettera aperta al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, Amnesty International ha chiesto ai suoi stati membri di agire immediatamente per deferire la situazione in Israele e nei Territori Occupati Palestinesi (Tpo) alla procuratrice della Corte penale internazionale (Cpi) affinché i responsabili di crimini di guerra e contro l'umanità commessi nel conflitto in corso siano portati davanti alla giustizia; ha inoltre sollecitato altre azioni quali l'imposizione di un embargo totale sulle armi verso tutte le parti in conflitto. Amnesty International ha inoltre chiesto alle autorità palestinesi e israeliane di esprimersi a favore di un deferimento del Consiglio di sicurezza e altre misure che potrebbero permettere alla Cpi di intervenire e di collaborare con essa. In particolare, le autorità palestinesi dovrebbero sottoporre una dichiarazione di accettazione della giurisdizione della Cpi sui crimini di diritto internazionale commessi dal 1° luglio 2002, quando la Cpi fu istituita. Un'indagine della Cpi è essenziale per spezzare la cultura dell'impunità che favorisce i crimini di guerra e contro l'umanità in Israele e nei Tpo. Quest'indagine si fa ancora più necessaria alla luce delle gravi violazioni del diritto internazionale umanitario commesse da tutte le parti coinvolte nell'attuale conflitto a Gaza e in Israele. Amnesty International documenta da molti anni crimini di guerra e contro l'umanità da parte delle forze israeliane, di Hamas e dei gruppi armati palestinesi. L'immenso numero di vittime civili, così come la distruzione e lo sfollamento nella Striscia di Gaza a causa degli intensi bombardamenti iniziati da Israele l'8 luglio 2014 e il continuo lancio indiscriminato di razzi da parte dei gruppi armati palestinesi contro i civili israeliani rendono ancora più urgente la fine dell'impunità. Né Israele né le autorità palestinesi hanno assunto iniziative degne di nota per porre fine alle gravi violazioni del diritto internazionale umanitario che costituiscono la norma durante i ciclici conflitti, né hanno portato i responsabili di fronte alla giustizia. Porre fine alla sistematica impunità per i crimini commessi nel passato potrebbe essere un deterrente contro la loro reiterazione e dunque un elemento fondamentale per assicurare, nel lungo periodo, la protezione delle popolazioni civili su ambo i lati del conflitto. 8 Amnesty International ha apprezzato la decisione del Consiglio Onu dei diritti umani d'istituire una commissione d'inchiesta sulle violazioni commesse "nel contesto delle operazioni militari a partire dal 13 giugno 2014" e ha notato che il testo della risoluzione autorizza la commissione a esaminare le violazioni commesse da ogni parte. Il rapporto della commissione, previsto nel marzo 2015, dovrebbe includere raccomandazioni concrete per assicurare giustizia per le vittime del conflitto e la fine del ciclo dell'impunità. La Cpi dovrebbe contrastare l'impunità per fermare l'ondata di gravi violazioni La Cpi è stata istituita, tra le varie ragioni, per assicurare che coloro che hanno commesso crimini di guerra e contro l'umanità andranno incontro alla giustizia, a prescindere dal loro rango o status. La continua assenza di provvedimenti da parte di Israele, delle autorità palestinesi e della comunità internazionale per assicurare la fine delle uccisioni e dei ferimenti illegali di civili e la distruzione di proprietà civili, così come di altri crimini, è inconcepibile. La Cpi deve essere messa in grado di esercitare la sua giurisdizione sulla situazione in Israele e in Palestina. La procuratrice della Cpi deve decidere rapidamente se avviare un'indagine con l'obiettivo di portare di fronte alla giustizia i responsabili di crimini di guerra e contro l'umanità. In questo modo, potrebbe inviare un messaggio forte e chiaro a tutte le parti: crimini del genere non potranno più essere commessi impunemente. La Cpi potrebbe esercitare giurisdizione sui crimini di guerra e contro l'umanità commessi da ogni parte in Israele e nei Tpo se la procuratrice della Cpi, l'Autorità palestinese, Israele o il Consiglio di sicurezza prendessero le necessarie iniziative. Data la drammatica situazione attuale, AI chiede a ciascuno di questi quattro attori di attuare le misure descritte di seguito, integralmente e simultaneamente, per istituire la giurisdizione della Cpi al più presto possibile. Una volta istituita la giurisdizione della Cpi, la procuratrice dovrebbe determinare rapidamente se aprire un'indagine. La procuratrice della Cpi dovrebbe chiedere un parere giudiziario sulla validità della dichiarazione del 2009 dell'Autorità palestinese Alla fine del gennaio 2009, dopo l'operazione israeliana "Piombo fuso" contro la Striscia di Gaza, l'Autorità palestinese emise una dichiarazione ai sensi dell'art. 12.3 dello Statuto di Roma della Cpi, accettando la giurisdizione della corte sui crimini commessi "sul territorio della Palestina a partire dal 1° luglio 2002". Se venisse accettata dalla Camera pre-processuale della Cpi, questa dichiarazione darebbe alla Cpi la giurisdizione sui crimini commessi da ambo le parti durante l'operazione "Piombo fuso" e in altre circostanze a partire dal 1° luglio 2002. Dopo quella dichiarazione, il procuratore della Cpi avviò un esame preliminare, riguardante in particolare se la Palestina fosse uno stato ai sensi dello Statuto di Roma (uno dei quattro criteri che il procuratore/la procuratrice deve prendere in considerazione per decidere se aprire o meno un'indagine). Meno di tre anni dopo, nell'aprile 2012, l'ufficio del procuratore decise sulla base di motivazioni controverse - che la dichiarazione del 2009 non era valida e chiuse l'esame preliminare. La decisione si basò sul fatto che lo statuto riconosciuto alla Palestina dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite all'epoca della dichiarazione era quello di "osservatore" e non di "stato non membro". Poiché l'essere stato membro o meno delle Nazioni Unite non determina la qualità di stato, Amnesty International criticò la decisione del procuratore di non riportare la questione ai giudici della Cpi, come previsto dall'art. 19.3 dello Statuto di Roma, per una decisione approfondita e trasparente. Si ricorda qui che il 29 novembre 2012 l'Assemblea generale delle Nazoni Unite riconobbe la Palestina come stato osservatore non membro. Alla fine del luglio 2014 un avvocato che rappresenta il ministro della Giustizia palestinese Saleem al-Suqqa avrebbe presentato una denuncia alla procuratrice della Cpi sui crimini commessi prima e durante l'operazione "Margine protettivo", lanciata da Israele l'8 luglio. Amnesty International chiede all'ufficio della procuratrice di rivedere immediatamente la decisione sulla non validità della dichiarazione del 2009 e di riferire la questione alla Camera pre-processuale per una decisione urgente. L'Autorità palestinese dovrebbe emanare un'ulteriore dichiarazione di accettazione della giurisdizione della Cpi sui crimini commessi a partire dal 1° luglio 2002 e accedere allo Statuto di Roma Considerando le differenti interpretazioni sul valore legale della dichiarazione del 2009, l'Autorità palestinese dovrebbe presentarne un'altra all'Ufficio del registro della Cpi. In questa nuova dichiarazione, l'Autorità palestinese dovrebbe accettare la giurisdizione della Cpi sui crimini commessi a partire dal 1° luglio 2002. Dovrebbe contemporaneamente sottoporre al Segretario generale delle Nazioni Unite la documentazione per accedere allo Statuto di Roma. Negli ultimi giorni, alti funzionari palestinesi hanno fatto capire che l'Autorità palestinese ha deciso di accedere allo Statuto di Roma ma che nessuno strumento di accessione è stato ancora depositato. Mentre un milione e 800.000 palestinesi della Striscia di Gaza stanno subendo le conseguenze della terza massiccia operazione militare israeliana in sei anni e le massicce distruzioni che ha comportato, di fronte a una lista di possibili crimini di guerra in crescita ogni giorno che richiederebbero un'indagine, l'Autorità palestinese deve depositare l'ulteriore dichiarazione e accedere allo Statuto di Roma senza ritardo. Sebbene Amnesty International ritenga che la procuratrice dovrebbe comunque trasmettere la dichiarazione del 2009 alla Camera preprocessuale per una valutazione nel merito, una seconda dichiarazione palestinese porrebbe la questione di nuovo di fronte alla procuratrice. In questo modo, la stessa procuratrice potrebbe valutare gli sviluppi successivi al 2009 che potrebbero confermare la capacità della Palestina di depositare una dichiarazione valida e accedere allo Statuto di Roma. In particolare, il 29 novembre 2012 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione che conferma lo status della Palestina come "stato osservatore non membro". Inoltre, il 2 aprile 2014, la Palestina ha depositato gli strumenti di accessione alle Convenzioni di Ginevra e a 15 trattati, tra cui importanti trattati sui diritti umani. La richiesta è stata accolta dai soggetti competenti. A oggi solo tre dei 193 stati membri delle Nazioni Unite (Canada, Israele e Usa) hanno posto obiezioni a queste accessioni. Israele dovrebbe accedere allo Statuto di Roma e dichiarare di accettare la giurisdizione della Cpi a partire dal 1° luglio 2002 Storicamente, Israele ha sostenuto le iniziative per sviluppare meccanismi di giustizia internazionale, tra cui la giurisdizione universale e gli iniziali tentativi per istituire una corte internazionale, in parte sulla base della considerazione che i tribunali ad hoc - come quelli di Norimberga e Tokyo istituiti dopo la Seconda guerra mondiale - non avrebbero un effettivo 9 potere deterrente rispetto ai futuri genocidi, crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Israele ha sottoscritto lo Statuto di Roma il 31 dicembre 2000 ma, nell'agosto 2002, ha ritirato la firma affermando che non intendeva diventare stato parte del trattato. Amnesty International sollecita Israele a riconsiderare la sua posizione contraria alla Cpi e a impegnarsi verso lo stato di diritto accedendo allo Statuto di Roma. La Cpi costituisce una possibilità di giustizia per le vittime israeliane dei crimini di guerra commessi dai gruppi armati palestinesi. Inoltre, Amnesty International sollecita Israele a fare una dichiarazione di accettazione della giurisdizione della Cpi a partire dal 1° luglio 2002, ai sensi dell'art. 12.3 dello Statuto di Roma, per poter conferire alla Cpi giurisdizione sui passati crimini di guerra e contro l'umanità. L'opposizione di Israele alla Cpi e ai meccanismi di giustizia internazionale protegge i responsabili di crimini di diritto internazionale e non va incontro agli interessi delle vittime, che hanno diritto a un rimedio effettivo, e a quelli dei cittadini israeliani, che continuano a vivere sotto la minaccia dei razzi indiscriminati. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe deferire la situazione alla procuratrice della Cpi A sua volta, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite potrebbe favorire la giurisdizione della Cpi deferendo la situazione alla procuratrice. Nel settembre 2009, il rapporto della commissione d'accertamento dei fatti relativa al conflitto di Gaza del 2008-9 promossa dalle Nazioni Unite e diretta dal giudice Richard Goldstone, raccomandò al Consiglio di sicurezza di deferire la situazione al procuratore della Cpi se, entro sei mesi, le autorità nazionali non avessero avviato un'indagine indipendente e in buona fede sui crimini di guerra e contro l'umanità documentati dalla commissione. Quasi cinque anni dopo, nonostante le schiaccianti prove che indagini in linea con gli standard internazionale non siano state svolte, il Consiglio di sicurezza non ha ancora agito. Gli stati membri, e in particolare quelli permanenti, dovrebbero mettere da parte i loro interessi geopolitici e agire in favore degli interessi delle vittime israeliane e palestinesi di crimini di diritto internazionale. L'Autorità palestinese è stata costantemente pressata, da parte degli Usa e di Israele che non sono stati parte dello Statuto di Roma, a non prendere alcuna iniziativa che potesse conferire giurisdizione alla Cpi. Inoltre, alcuni stati parte dello Statuto di Roma e che a parole affermano di sostenere la Cpi - tra cui Canada, Regno Unito e altri stati dell'Unione europea - si oppongono all'accessione della Palestina alla Cpi o ad altre misure che le darebbero giurisdizione sui crimini di diritto internazionale. L'opposizione da parte del Regno Unito e di altri stati dell'Unione europea alle iniziative per accertare le responsabilità dei crimini di guerra commessi in Israele e nei Tpo contraddice la loro politica ufficiale di sostegno alla Cpi come strumento chiave per porre fine all'impunità. Alcuni di questi stati hanno in passato minacciato di condizionare l'appoggio diplomatico e finanziario all'Autorità palestinese alla rinuncia, di quest'ultima, ad accedere agli strumenti giuridici internazionali o almeno al rinvio di misure che potrebbero dare giurisdizione alla Cpi, sostenendo che passi del genere avrebbero potuto pregiudicare i negoziati israelo-palestinesi sponsorizzati dagli Usa. L'Autorità palestinese dipende notevolmente dall'assistenza internazionale degli stati donatori, ivi compresa la fornitura di servizi essenziali nel campo sanitario e dell'istruzione e di infrastrutture. Amnesty International si oppone a ogni tentativo d'impedire all'Autorità palestinese di presentare una dichiarazione per accedere allo Statuto di Roma. Questi tentativi rafforzano l'impunità per i crimini di diritto internazionale commessi in Israele e nei Tpo e impediscono alle vittime israeliane e palestinesi di chiedere giustizia attraverso la Cpi. Piuttosto, tutti gli stati - compresi gli Usa, il Canada e gli stati dell'Unione europea - dovrebbero chiedere pubblicamente a Israele e all'Autorità palestinese di accedere alla Cpi. Come minimo, tutti gli stati che forniscono assistenza all'Autorità palestinese dovrebbero affermare pubblicamente che la loro assistenza e il loro sostegno diplomatico non sarebbero compromessi a seguito dell'accesso alla Cpi. Nel marzo 2011, sia gli Usa e che il Regno Unito hanno votato contro una risoluzione del Consiglio Onu dei diritti umani che chiedeva all'Assemblea generale di sottoporre al Consiglio di sicurezza il rapporto della commissione d'accertamento dei fatti del 2009, in modo che quest'ultimo potesse valutare se deferire la situazione alla Cpi. Il Consiglio Onu dei diritti umani aveva adottato la risoluzione dopo che il rapporto della commissione aveva stabilito che sia le forze israeliane che Hamas avevano commesso crimini di guerra durante il conflitto del 2008-9 e dopo che due rapporti di un comitato di esperti indipendenti avevano concluso che sia le autorità israeliane che l'amministrazione di fatto di Hamas nella Striscia di Gaza non avevano condotto indagini credibili ed efficaci. Amnesty International e molte altre organizzazioni per i diritti umani sono giunte alla stessa conclusione. Il rapporto presentato nel febbraio 2013 dalla commissione Turkel, nominata dal governo israeliano, ha riscontrato gravi lacune nel sistema israeliano d'indagine sulle violazioni commesse dalle forze armate. La commissione Turkel ha presentato 18 raccomandazioni per rimediare a queste lacune ma, sulla base delle informazioni di Amnesty International, quasi nessuna di esse è stata attuata. A questo punto, oltre tre anni dopo la risoluzione del Consiglio Onu dei diritti umani, di fronte all'assenza di alcuna azione significativa dell'Assemblea generale sul rapporto della commissione del 2009 e al nuovo mortale conflitto che coinvolge i civili di Gaza e d'Israele, Amnesty International sollecita il Consiglio di sicurezza ad agire e a fornire giurisdizione alla Cpi. Questa volta, il Consiglio di sicurezza deve agire con determinazione deferendo alla procuratrice della Cpi la situazione in Israele e nei Tpo a partire dal 1° luglio 2002 e chiedendo che tutti gli stati forniscano piena cooperazione alla Cpi. Amnesty International chiede a tutti gli stati membri del Consiglio di sicurezza che detengono il potere di veto - tra cui gli Usa e il Regno Unito - di non bloccare questo deferimento. L'organizzazione per i diritti umani ricorda che gli Usa e il Regno Unito hanno duramente criticato la decisione di Russia e Cina di porre in veto a una risoluzione del maggio 2014 sul deferimento alla procuratrice della Cpi della situazione in Siria e chiede che non usino due pesi e due misure, bloccando - questa volta loro - il deferimento di una situazione molto grave per proteggere i loro interessi geopolitici. Amnesty International ricorda che l'esperienza ha dimostrato che porre fine all'impunità e assicurare il rispetto per i diritti umani e per il diritto internazionale umanitario è assolutamente essenziale per ottenere una pace giusta e durevole in Israele e nei Tpo. Violazioni del diritto internazionale umanitario durante l'attuale conflitto Israele/Gaza Da quando, l'8 luglio 2014, Israele ha lanciato l'operazione "Margine protettivo", nella Striscia di Gaza sono morti oltre 1800 palestinesi (circa tre quarti dei quali - secondo dati delle Nazioni Unite - civili) e oltre 9400 sono rimasti feriti, molti dei quali in modo grave. Le forze israeliane hanno condotto attacchi indiscriminati in aree densamente popolate e attacchi diretti contro abitazioni e altri obiettivi civili, violando il diritto internazionale e, come prevedibile, uccidendo e ferendo molti civili. 10 Alcuni di questi attacchi costituiscono probabilmente crimini di guerra. Le forniture umanitarie e sanitarie sono state fortemente compromesse e, in alcuni casi, attaccate e infrastrutture fondamentali per i servizi idrici, igienici ed elettrici sono state gravemente danneggiate. In tutta la Striscia di Gaza, migliaia di abitazioni, almeno 23 strutture mediche, uffici governativi e di organi d'informazione nonché infrastrutture idriche e igieniche sono state distrutte o seriamente danneggiate. Gli abitanti della Striscia di Gaza - 1.800.000 persone ricevono forniture minime di acqua insalubre; in alcune zone, l'acqua è venuta a mancare del tutto per giorni a causa dei continui attacchi. Il 29 luglio, le forze israeliane hanno colpito l'unica centrale elettrica di Gaza, mettendola fuori uso e distruggendo la fonte primaria di elettricità, in un attacco che molto probabilmente costituisce un crimine di guerra e una punizione collettiva nei confronti dell'intera popolazione di Gaza. Gli ospedali, già sovraffollati, attaccati e privi di medicinali e attrezzature fondamentali, stanno subendo anche la mancanza di energia elettrica e carburante per i generatori mentre continuano a ricevere decine e decine di feriti. Le forze israeliane hanno dato istruzioni a centinaia di migliaia di abitanti di intere aree della Striscia di Gaza di muoversi verso i rifugi o altre zone, provocando uno sfollamento di massa dei civili palestinesi. Secondo l'Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha), al 31 luglio 2014 i profughi interni erano circa 485.000, rifugiati nelle scuole dell'Agenzia per i rifugiati palestinesi (Unrwa) e del ministero dell'Istruzione o in altre strutture pubbliche. Almeno altre 200.000 persone si sono rifugiate presso parenti e abitazioni private. Almeno sei scuole dell'Unrwa sono state colpite da attacchi diretti, che in alcuni casi hanno causato la morte e il ferimento di persone che si erano rifugiate al loro interno. Circa 137 scuole della Striscia di Gaza sono state danneggiate. A Gaza non esistono rifugi antiaerei e i ripetuti attacchi contro le scuole dell'Unrwa che fungevano da rifugi hanno dimostrato che a Gaza non c'è alcun posto sicuro per i civili. Le dichiarazioni dell'esercito e di esponenti politici israeliani, secondo le quali le abitazioni di persone associate ad Hamas e quelle dei suoi leader politici sono obiettivi legittimi, indicano che Israele ha adottato regole d'ingaggio non conformi al diritto internazionale umanitario e potrebbero costituire la prova che almeno alcuni degli attacchi contro le abitazioni civili facciano parte di una politica deliberata. Sebbene le autorità israeliane abbiano dichiarato di aver avvertito i civili, è emerso uno schema secondo il quale le loro azioni non hanno costituito un "avviso effettivo" sulla base del diritto internazionale umanitario. Destano ulteriore preoccupazione i rapporti sempre più numerosi su medici che cercavano di evacuare morti e feriti, operai impegnati a riparare le infrastrutture idriche e igieniche danneggiate e giornalisti finiti sotto il fuoco israeliano e in alcuni casi feriti o uccisi. Gli attacchi diretti contro la popolazione civile e gli obiettivi civili, così come gli attacchi indiscriminati o sproporzionati che sono intenzionali e che uccidono o feriscono civili, costituiscono crimini di guerra. Durante le prime tre settimane di conflitto, l'ala militare di Hamas e altri gruppi armati palestinesi hanno lanciato oltre 2900 razzi e mortai indiscriminati in territorio israeliano. I razzi e i mortai non possono essere diretti in modo preciso contro obiettivi militari, il ché significa che lanciarli è di per sé un crimine di guerra. Secondo dichiarazioni rilasciate da Hamas e dai gruppi armati palestinesi, alcuni degli attacchi avevano l'intenzione di uccidere e ferire civili. Secondo fonti mediche israeliane, tre civili israeliani sono stati uccisi e almeno altri 29 - bambini inclusi - sono rimasti feriti a causa di schegge dei razzi o di vetri andati in frantumi. Le strutture sanitarie israeliane hanno anche fornito cure a centinaia di persone ricoverate per lievi ferite e soprattutto per attacchi di panico. In Israele sono state anche danneggiate abitazioni e altre proprietà civili. In ampie parti del paese la popolazione è stata costretta a correre nei rifugi più volte al giorno e molti abitanti delle città e dei villaggi del sud hanno lasciato le loro case. In altre comunità israeliane, come i villaggi beduini "non riconosciuti", la popolazione è priva di rifugi e del tutto priva di protezione rispetto agli attacchi indiscriminati. I gruppi armati palestinesi della Striscia di Gaza stanno violando il diritto internazionale umanitario anche lanciando razzi da zone abitate, in alcuni casi da siti molti civili a edifici civili e ammassano munizioni in zone abitate, in alcuni casi all'interno di edifici civili. Ciò mette in pericolo la popolazione civile di Gaza e viola l'obbligo di prendere tutte le opportune precauzioni per proteggere i civili dalle conseguenze degli attacchi nelle aree sotto il loro controllo. Alle vittime israeliane si devono aggiungere 64 militari uccisi dal 17 luglio 2014, giorno dell'inizio delle operazioni di terra nella Striscia di Gaza. L'impunità per pregressi crimini di guerra e contro l'umanità e altre gravi violazioni del diritto internazionale umanitario Prima dell'attuale conflitto, Amnesty International ha documentato per molti anni crimini di guerra, crimini contro l'umanità e altre persistenti e gravi violazioni del diritto internazionale umanitario da parte di Israele, di Hamas e dei gruppi armati palestinesi. Durante l'operazione "Pilastro di difesa", lanciata da Israele contro la Striscia di Gaza nel novembre 2012 e durata otto giorni, furono uccisi oltre 165 palestinesi tra cui oltre 30 bambini e altri 70 civili. Amnesty International registrò almeno 18 attacchi coi missili in cui vennero uccisi civili che non stavano direttamente prendendo parte alle ostilità e ulteriori attacchi indiscriminati e sproporzionati, come quelli contro sedi di organi d'informazione. Quattro civili israeliani furono uccisi dai razzi indiscriminati lanciati da Gaza. Per quanto sia a conoscenza di Amnesty International, l'avvocatura generale militar israeliana non aprì alcuna indagine sulle violazioni commesse durante l'offensiva e altrettanto fece l'amministrazione di fatto di Hamas rispetto al lancio indiscriminato di razzi e all'uccisione sommaria di sette palestinesi arrestati per presunto "collaborazionismo" con Israele. L'operazione "Piombo fuso", terminata il 19 gennaio 2009 dopo 22 giorni di offensiva militare contro la Striscia di Gaza, provocò la morte di circa 1400 palestinesi, in maggior parte civili. Durante il conflitto vennero uccisi anche 13 israeliani, inclusi tre civili. Entrambe le parti commisero gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, compresi crimini di guerra. Le forze israeliane uccisero civili palestinesi usando armi di precisione o lanciando attacchi indiscriminati che non fecero distinzione tra legittimi obiettivi militari e civili, e colpirono proprietà e infrastrutture civili, centri delle Nazioni Unite, personale e strutture mediche. Le forze israeliane, inoltre, usarono tipi di armamento con modalità che costituiscono attacchi indiscriminati, come l'uso del fosforo bianco in aree densamente popolate. L'ala militare di Hamas e gli altri gruppi armati palestinesi lanciarono razzi e mortai indiscriminati contro il sud d'Israele. Sia Israele che l'amministrazione di fatto di Hamas a Gaza non condussero indagini credibili e indipendenti in linea con gli standard internazionali. L'amministrazione di fatto di Hamas mancò del tutto di punire i responsabili di crimini di diritto internazionale, mentre l'avvocatura generale militare israeliana si limitò a incriminare quattro soldati in relazione a tre distinti casi. Il periodo tra l'inizio della seconda intifada (settembre 2000) e la guerra del 2008-9, soprattutto i primi cinque anni, fu caratterizzato da violazioni di massa dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, compresi 11 crimini di guerra e contro l'umanità. Durante quel periodo, le forze israeliane uccisero circa 4000 palestinesi, la maggior parte dei quali civili non armati, tra cui circa 800 bambini. Molte vittime furono uccise dai raid aerei, dai colpi d'artiglieria e da altri attacchi contro i campi rifugiati e altre aree densamente abitate dei Tpo. Altri palestinesi furono vittime di esecuzioni extragiudiziali in attacchi che uccisero decine di persone del tutto estranee a quanto stava accadendo. Migliaia di palestinesi durono arrestati e condannati a lunghi periodi di detenzione amministrativa, senza accusa né processo. Molti detenuti furono sottoposti a torture e altri maltrattamenti. Le autorità israeliane inoltre eseguirono demolizioni illegali di massa di abitazioni palestinesi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania e costruirono una barriera difensiva (secondo terminologia israeliane; muro, secondo quella palestinese) di 700 chilometri lungo la Cisgiordania e parti di Gerusalemme, causando ingenti danni a lungo termine ai palestinesi e pregiudicando la possibilità degli abitanti di decine di villaggi e comunità di beneficiare di un'ampia gamma di diritti umani. Le autorità israeliane proseguirono a costruire ed espandere gli insediamenti illegali. Queste politiche e azioni illegali proseguono tutt'oggi. Nello stesso periodo, i gruppi armati palestinesi uccisero oltre 1100 israeliani, circa 750 dei quali civili compresi 120 bambini, in attacchi suicidi e sparatorie contro autobus, ristoranti, centri commerciali e altre aree frequentate dalla popolazione civile. (fonte: Amnesty Italia - segnalato da: Giorgio Beretta) link: http://www.amnesty.it/Israele-Territori-Palestinesi-Occupati-la-Corte-penaleinternazionale-deve-indagare-sui-crimini-di-guerra L’incubo di Gaza (di Noam Chomsky) Lo scopo di tutti gli orrori a cui stiamo assistendo durante l’ultima offensiva israeliana contro Gaza è semplice: tornare alla normalità. Per la Cisgiordania, la normalità è che Israele continui a costruire insediamenti e infrastrutture illegali per inglobare nel suo territorio tutto quello che ha un minimo di valore, lasciando ai palestinesi i luoghi meno vivibili e sottoponendoli a repressioni e violenze. Per Gaza, la normalità è tornare a una vita insopportabile sotto un assedio crudele e devastante che non consente nulla di più della mera sopravvivenza. La scintilla che ha provocato l’ultimo attacco israeliano è stato il brutale assassinio di tre ragazzi di un insediamento della Cisgiordania occupata. Un mese prima, a Ramallah erano stati uccisi due ragazzi palestinesi, ma la loro morte aveva fatto poco scalpore. Cosa comprensibile, visto che è la norma. “Il disinteresse istituzionalizzato di tutto l’occidente non solo ci aiuta a capire perché i palestinesi ricorrono alla violenza”, dice l’esperto di questioni mediorientali Mouin Rabbani, “ma spiega anche l’ultimo attacco di Israele contro la Striscia di Gaza”. L’attivista per i diritti umani Raji Sourani, che vive a Gaza da anni nonostante l’atmosfera di terrore e i continui episodi di violenza, ha dichiarato in un’intervista: “Quando si comincia a parlare di cessate il fuoco, la frase che sento dire più spesso è: ‘Per noi è meglio morire che tornare alla situazione in cui eravamo prima di questa guerra. Non vogliamo che sia di nuovo così. Non abbiamo più né dignità né orgoglio, siamo bersagli facili, la nostra vita non vale nulla. O la situazione migliora sul serio o preferiamo morire’. E sto parlando di intellettuali, accademici, persone comuni. Tutti dicono la stessa cosa”. Nel gennaio del 2006, quando si sono svolte elezioni libere e attentamente monitorate, i palestinesi hanno commesso un terribile crimine: hanno votato nel modo sbagliato, dando il controllo del parlamento a Hamas. I mezzi d’informazione continuano a ripetere che Hamas vuole la distruzione di Israele. In realtà i suoi leader hanno chiarito più di una volta che accetterebbero la soluzione dei due stati che è stata proposta dalla comunità internazionale e che Stati Uniti e Israele bloccano da quarant’anni. Israele, invece, a parte gli occasionali discorsi vuoti, vuole la distruzione della Palestina e sta mettendo in atto il suo piano. I palestinesi sono stati immediatamente puniti per il crimine commesso nel 2006. Stati Uniti e Israele, con il vergognoso consenso dell’Europa, hanno imposto durissime sanzioni alla popolazione colpevole e Israele ha alzato il livello della violenza. Con l’appoggio degli Stati Uniti ha subito progettato un colpo di stato militare per rovesciare il governo eletto. Quando Hamas ha avuto la sfrontatezza di sventare quel piano, gli attacchi si sono intensificati. Non dovrebbe essere necessario ricordare tutto quello che è successo da allora. L’assedio e i violenti attacchi sono stati intervallati da momenti in cui “si falciava il prato”, per usare la simpatica espressione con cui Israele definisce gli omicidi indiscriminati nell’ambito di quella che chiama la sua “guerra di difesa”. Una volta che il prato è stato falciato e la popolazione indifesa cerca di ricostruire qualcosa dalle rovine, di solito si arriva a un accordo per il cessate il fuoco. L’ultimo è stato deciso dopo l’attacco israeliano dell’ottobre 2012, chiamato Operazione pilastro di difesa. Anche se ha continuato il suo assedio, Israele ha ammesso che Hamas ha rispettato quel cessate il fuoco. La situazione è cambiata nell’aprile del 2014, quando Hamas e Al Fatah hanno stretto un patto di unità nazionale che prevedeva la formazione di un governo di tecnocrati non associati a nessuno dei due partiti. Naturalmente Israele si è infuriato, e la sua rabbia è cresciuta quando gli Stati Uniti e il resto dell’occidente hanno approvato il patto, che non solo indebolisce l’affermazione di Israele secondo cui è impossibile trattare con una Palestina divisa, ma anche il suo obiettivo a lungo termine di dividere la Striscia di Gaza dalla Cisgiordania. Bisognava fare qualcosa, e l’occasione si è presentata il 12 giugno, quando in Cisgiordania sono stati uccisi i tre ragazzi israeliani. Il governo di Benjamin Netanyahu sapeva dall’inizio che erano morti, ma ha finto di ignorarlo fino a quando non sono stati ritrovati i corpi, così da avere l’opportunità di attaccare la Cisgiordania. Il primo ministro Netanyahu ha affermato di sapere con certezza che Hamas era responsabile di quelle morti. Ma anche quella era una bugia. Uno dei maggiori esperti israeliani di Hamas, Shlomi Eldar, ha dichiarato quasi immediatamente che gli assassini dei ragazzi probabilmente appartenevano a un gruppo dissidente di Hebron che da tempo è una spina nel fianco per Hamas. E ha aggiunto: “Sono sicuro che non sono stati autorizzati dai leader di Hamas, hanno solo pensato che fosse il momento giusto per agire”. Ma i 18 giorni di offensiva seguiti al rapimento sono riusciti a mettere in crisi il tanto temuto governo di unità e hanno consentito a Israele di intensificare la repressione, sferrando decine di attacchi anche contro Gaza. In quello del 7 luglio sono morti cinque membri di Hamas, che poi ha reagito lanciando razzi (i primi da 19 mesi) e fornendo così il pretesto per lanciare l’Operazione margine di protezione dell’8 luglio. Alla fine di luglio i morti palestinesi erano già 1.400, quasi tutti civili, tra cui centinaia di donne e bambini, mentre solo tre civili israeliani erano morti. Vaste zone di Gaza sono ridotte in macerie e quattro ospedali sono stati bombardati, il che costituisce un crimine di guerra. Le autorità israeliane si vantano dell’umanità di quello che definiscono “l’esercito più virtuoso del mondo”, perché prima di bombardare una casa avverte le persone che ci abitano. In realtà si tratta solo di “sadismo ipocritamente travestito da clemenza”, per usare le parole della giornalista israeliana Amira Hass, “un messaggio registrato che chiede a centinaia di migliaia di persone di lasciare le loro abitazioni già prese di mira, per andare in un altro posto altrettanto pericoloso a dieci chilometri di distanza”. Non esiste nessun posto nella prigione di Gaza in cui si può essere al sicuro dal sadismo israeliano, che potrebbe anche superare i terribili crimini dell’Operazione piombo fuso del 2008-2009. Tanto orrore ha suscitato la solita reazione dal parte del presidente più virtuoso del mondo, Barack Obama, che ha espresso grande simpatia per 12 gli israeliani, ha condannato duramente Hamas e invitato alla moderazione entrambe le parti. Quando questa ondata di attacchi avrà fine, Israele spera di essere libero di riprendere la sua politica criminale nei territori occupati senza alcuna interferenza e con il sostegno che gli Stati Uniti gli hanno sempre garantito. Gli abitanti della Striscia di Gaza saranno invece liberi di tornare alla normalità della loro prigione, mentre i palestinesi che vivono in Cisgiordania potranno stare tranquillamente a guardare Israele che smantella quel che resta dei loro possedimenti. Questo è quanto probabilmente succederà se gli Stati Uniti continueranno a fornire il loro appoggio decisivo e praticamente unilaterale a Israele e a respingere una soluzione diplomatica a lungo sostenuta dalla comunità internazionale. Ma se gli Stati Uniti ritirassero quell’appoggio, il futuro sarebbe molto diverso. In quel caso si potrebbe andare verso quella “soluzione duratura” per la Striscia di Gaza che il segretario di stato John Kerry ha auspicato suscitando reazioni isteriche da parte di Israele, perché quell’espressione poteva essere interpretata come un invito a mettere fine al loro assedio e, orrore degli orrori, addirittura come un invito ad applicare il diritto internazionale nel resto dei territori occupati. Quarant’anni fa Israele prese la fatale decisione di preferire l’espansione alla sicurezza, respingendo il trattato di pace offerto dall’Egitto in cambio dell’evacuazione dal Sinai, che Israele aveva occupato e dove stava dando il via ai suoi insediamenti. Da allora non ha mai abbandonato questa politica. Se gli Stati Uniti decidessero di schierarsi con il resto del mondo, le cose cambierebbero molto. Più di una volta Israele ha rinunciato ai suoi piani quando Washington glielo ha chiesto. Questi sono i rapporti di potere tra i due paesi. Dopo aver adottato politiche che l’hanno trasformato da paese ammirato da tutti a stato temuto e disprezzato, politiche che ancora oggi persegue con cieca determinazione nella sua marcia verso la decadenza morale e forse la distruzione finale, ormai Israele non ha molte alternative. È possibile che la politica statunitense cambi? Forse. In questi ultimi anni l’opinione pubblica, soprattutto tra i giovani, si è notevolmente spostata e non può essere ignorata del tutto. Già da alcuni anni i cittadini chiedono a Washington di rispettare le sue stesse leggi, che proibiscono di “fornire alcuna assistenza a paesi il cui governo viola costantemente i diritti umani internazionalmente riconosciuti”, e impongono quindi di ridurre gli aiuti militari a Israele. Israele è di sicuro colpevole di queste costanti violazioni, e lo è da molti anni. Il senatore del Vermont Patrick Leahy, che ha proposto questa legge, ha sollevato l’ipotesi che possa essere applicata a Israele in alcuni casi specifici. Con una campagna educativa ben organizzata si potrebbe lanciare un’iniziativa in questo senso, che già in sé avrebbe un notevole impatto e potrebbe costituire un trampolino di lancio per ulteriori azioni volte a costringere Washington a schierarsi con “la comunità internazionale” e a rispettare le sue leggi. Non c’è niente di più importante per i palestinesi, vittime di anni di violenza e repressione. (Traduzione di Bruna Tortorella) (fonte: Internazionale - segnalato da: Centro Studi Sereno Regis) link: http://www.internazionale.it/opinioni/noam-chomsky/2014/08/04/lincubo-digaza/ Corsi / strumenti Scuola Estiva di Alta Formazione VIII Edizione: "Diritto e Diritti" - Invito Siamo lieti di invitarvi alla inaugurazione dell’ottava edizione del seminario di Scuola Estiva di Alta Formazione che si svolgerà a Viareggio il prossimo 28 agosto alle ore 18 presso la sala APT del Palazzo delle Muse Piazza Mazzini piano 2 alla presenza dei rappresentanti delle autorità, delle associazioni partecipanti e del comitato scientifico. Introdurrà i lavori il Dott. Gianni Tognoni ,direttore Istituto Negri Sud e Segretario Generale del Tribunale Permanente dei Popoli con la relazione: “Storia ed implicazioni di una difficile-indefinibile relazione tra un singolare ed un plurale” Vi alleghiamo il programma del seminario e ci auguriamo che possiate essere presenti alla inaugurazione con preghiera di darcene cortese conferma. Distinti saluti link: http://www.aadp.it/dmdocuments/evento1781.pdf Associazioni SOS Volontari turni di notte Casa di Accoglienza di via Godola a Massa (di AVAA) Dopo la chiusura estiva consueta, nei mesi di luglio e agosto, la casa di Accoglienza di via Godola, a Massa, che da 30 anni è un rifugio provvisorio per le persone senza casa, non può riaprire il 1° settembre prossimo, come previsto, a causa della mancanza di volontari per il turno di notte. E' previsto, infatti, che due volontari dormano alla Casa di Accoglienza (in una camera con bagno riservata a loro), con turni a cadenza quindicinale, provvedendo a svegliare gli ospiti la mattina e preparare la colazione, secondo le esigenze lavorative degli operatori (generalmente gli ospiti escono tra le 7.00 e le 7.30). Trovandoci nella necessità di sostituire alcuni volontari che finora avevano assicurato il servizio notturno, ci vediamo impossibilitati a poter assicurare la riapertura della casa fin tanto che non troveremo persone disposte a donare un pò dle loro tempo. Per questo motivo facciamo appello a quanti vogliano vivere questa esperienza di servizio e di volontariato accanto agli ultimi a darci una mano ogni quindici giorni, permettendoci così di riaprire la Casa di Accoglienza, permettendo a moltisisme perosne di trovare un rifugio provvisorio per qualche giorno. La Casa di Accoglienza è gestita da 30 anni dall'Associazione Volontari Ascolto e Accoglienza, che, fin dalla sua fondazione, opera nelle situaizoni di marginalità estrema e disagio. Per ulteriori informazioni: [email protected], Gino: 339-5829566 link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2131 13