View - Accademia Apuana della Pace

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Notiziario settimanale n. 497 del 29/08/2014
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Questa versione stampabile del notiziario settimanale contiene, in forma integrale, gli articoli più significativi pubblicati nella
versione on-line, che è consultabile sul sito dell'Accademia Apuana della Pace
centro")...................................................................................................... 3
21a Marcia per la Giustizia Agliana - Quarrata: "Urge una nuova
POLITICA: come passione di vita e pratica condivisa" (di Casa della
Solidarietà - Rete Radié Resch di Quarrata (PT), Comuni di Quarrata e di
Agliana (PT), Libera, associazioni, nomi e numeri contro le Mafie) ..........3
Approfondimenti.............................................4
Renzi inadeguato (di Massimo Michelucci)............................................... 4
Martini: due anni dopo (di Angelo Levati)................................................. 5
Saluto del Cardinale CARLO MARIA MARTINI al Congresso
provinciale delle ACLI - sabato 22 gennaio 2000 (di Carlo Maria Martini)
................................................................................................................... 5
Notizie dal mondo........................................... 6
L'altro Iraq che resiste, con il pane e le rose (di Un ponte per ...)...............6
Rete Disarmo: niente armi in Iraq, sì a forze di “peace enforcing” (di Rete
Disarmo).................................................................................................... 7
Israele - Territori Palestinesi Occupati: la Corte penale internazionale deve
indagare sui crimini di guerra (di Amnesty International).......................... 8
L’incubo di Gaza (di Noam Chomsky)..................................................... 11
Corsi / strumenti........................................... 13
Scuola Estiva di Alta Formazione VIII Edizione: "Diritto e Diritti" - Invito
................................................................................................................. 13
Associazioni................................................... 13
SOS Volontari turni di notte Casa di Accoglienza di via Godola a Massa
(di AVAA)................................................................................................ 13
La segreteria della Rete della pace si riconosce appieno nel comunicato
di Rete italiana disarmo (pubblicato anche in questo notiziario) a
commento della decisione presa dalle commissioni di Camera e Senato,
lo assume, lo promuove e ne sostiene fortemente le proposte e le
richieste.
La manifestazione del 21 settembre a Firenze sarà anche un'occasione per
rilanciarle.
la segreteria di rete della pace
Basta guerre! Mai più vittime! Fermiamo le stragi di civili indifesi a
Gaza, in Palestina e Israele, in Siria, Iraq, Libia, Afghanistan,
Ucraina, ....
Per Pace, Libertà, Giustizia, Democrazia
Costruiamo insieme un passo di pace !
Manifestazione Nazionale
Firenze, 21 settembre 2014
Indice generale
Editoriale......................................................... 1
Rete Disarmo: sbagliata scelta invio di armi in Iraq, monitoreremo questa
consegna (di Rete Disarmo)....................................................................... 1
Evidenza...........................................................2
Basta guerre! Mai più vittime! Fermiamo le stragi di civili indifesi a
Gaza, in Palestina e Israele, in Siria, Iraq, Libia, Afghanistan, Ucraina, ....
(di Rete della Pace).................................................................................... 2
Fermare l'Isis con il diritto internazionale, non fornendo armi ai Curdi (di
Gianni Bottalico, presidente nazionale ACLI)............................................ 3
Periferie al centro: Castagnara in festa! - sabato 30 agosto, ore 18.00 parco pubblico di Castagnara (di AAdP, Rete associazioni "Periferie al
1
Editoriale
Rete Disarmo: sbagliata scelta invio di armi in Iraq,
monitoreremo questa consegna (di Rete Disarmo)
Il voto avvenuto ieri nella Commissioni di Camera e Senato, pur
rispettando la forma della legge, configura una scelta sbagliata e
politicamente grave. Confermiamo la nostra posizione: la responsabilità di
proteggere le popolazioni minacciate del Nord dell'Iraq non si esercita
fornendo armi alle forze armate curde o irachene ma creando le condizioni
per interventi di pace.
Rete Italiana per il Disarmo chiede comunque al Governo massima
trasparenza sul tipo e la quantità di questa fornitura d'armi ed eserciterà
tutte le pressioni in tal senso anche sul Parlamento, nel rispetto della legge
185/90 e del suo spirito.
Il voto avvenuto ieri nelle Commissioni Esteri e Difesa di Camera e
Senato per l'invio di armi dall'Italia alla milizia curda è valutato
negativamente da Rete Italiana per il Disarmo. Con sorpresa e disappunto
apprendiamo che per il nostro Governo la politica estera, nei confronti di
una situazione drammatica, si fa solo con invio dei armi e non con azioni
forti umanitarie a difesa delle popolazioni. La nostra Rete conferma la
posizione già espressa verso un no all'invio di armi in Iraq, in particolare
se derivanti da depositi segreti.
ll fatto che siano avvenuti in Parlamento i passaggi formali di copertura
politica con una consultazione delle Camere, seppur solo in Commissione,
rende ai nostri occhi ancor più grave e preoccupante la decisione politica
assunta: per la prima volta in trent'anni l'Italia decide di inviare armi ad un
paese in conflitto e lo giustifica sulla base della richiesta del governo
locale e del via libera da parte dell'UE. Si tratta - come spiegato dal Min.
Pinotti - in gran parte di armi in disuso o di armi sequestrate a trafficanti
che avrebbero dovuto essere distrutte. Si immettono così sulla piazza armi
facili da smerciare e possono alimentare il mercato illegale: e questo in
una regione dove già la gran parte delle armi proviene da traffici illeciti.
Alcune delle armi che verranno inviate derivano da un sequestro della
magistratura, che ha poi portato ad un ordine di distruzione mai reso
operativo: chiediamo perciò che venga subito aperta un'inchiesta
parlamentare considerato che una parte di quelle armi pare sia stata inviata
nel 2011 agli insorti di Bengasi apponendo da parte dell'allora governo in
carica (Berlusconi IV) il segreto di stato".
Saremo quindi pronti a verificare ogni passaggio di questa consegna e
chiediamo formalmente al Governo un incontro per valutare nella
massima trasparenza l'intera operazione, per allinearla allo spirito della
legge 185/90 e del Trattato Internazionale sul Commercio di Armi che il
nostro Paese ha ratificato lo scorso anno con voto parlamentare unanime.
Questa decisione ci spinge inoltre a reiterare la nostra richiesta di un
incontro con il Governo sulla legge 185/90 che regola export d'armi. Da
anni denunciamo una sempre minore trasparenza - per come i dati sono
esposti - confermata anche nella recente pubblicazione della Relazione
relativa all'anno 2013. Riteniamo gravissimo inoltre che il Parlamento da
sei anni non discuta questo documento, che dovrebbe invece fornire
elementi fondamentali per la nostra politica estera.
Tutte queste nostre richieste e prese di posizioni verranno rilanciate dalla
nostra Rete nel corso della manifestazione "Un passo di Pace" in
programma a Firenze per il prossimo 21 settembre.
Le richieste di questi giorni della Rete Disarmo (valide nonostante il voto
di ieri)
Al Governo:
1. Attivarsi prontamente con i competenti organi delle Nazioni
Unite per l'invio di un contingente di "peace enforcement"
sostenuto dall'Unione europea che si attenga strettamente
alle regole del diritto internazionale e non alimenti il conflitto.
2. Astenersi dall'inviare armi e sistemi militari alle parti in
conflitto in particolar modo le armi confiscate (come il
cosiddetto "arsenale Zhukov") o non utilizzabili dalle nostre
forze armate e bloccare23 l'invio di armi e sistemi militari verso
tutti i paesi in conflitto.
3. Predisporre, in dialogo con le organizzazioni umanitarie
internazioni e le Ong nazionali, tutti gli aiuti necessari per un
invio di materiali idonei all'effettivo soccorso delle popolazioni
ed evitare l'invio di materiali non necessari e/o di fondi di
magazzino, senza ricorrere alla cooperazione civile-militare
nelle attività umanitarie.
4. Facilitare, in dialogo con le associazioni nazionali e
internazionali, misure di protezione delle popolazioni di tipo
non militare e di lungo periodo, che prevedano anche quote di
ingresso in Italia per minoranze a rischio di genocidio e
difensori dei diritti umani minacciati nelle zone di conflitto
5. Sottoporre, prima di attuare iniziative governative, tutte le
proprie proposte al confronto nelle Camere, richiederne il parere
con voto consultivo e attenersi al voto espresso dal parlamento
Al Parlamento:
1. Promuovere e sostenere le iniziative sopra esposte.
2. Richiedere, qualora il Governo intenda inviare armi e sistemi
militari in Iraq, un resoconto preventivo dettagliato di tutti i
sistemi militari e di armi che si intende inviare e sottoporre al
parere consultivo delle Camere ogni invio di armi.
3. Porre all'esame, nelle competenti commissioni parlamentari di
Camera e Senato, le recenti Relazioni sulle esportazioni di
sistemi militari italiani, valutare attentamente le autorizzazioni
rilasciate dagli ultimi governi e il grado di trasparenza della
Relazioni governativa in confronto anche con le associazioni
impegnate da anni nel controllo del commercio degli armamenti.
4. Favorire un'inchiesta parlamentare su tutte le armi confiscate e
detenute nei vari arsenali militari e predisporre tutte le misure
necessarie per la loro pronta distruzione
Alle associazioni:
1. Sostenere tutte le iniziative governative e parlamentari sopra
esposte
2. Rifiutare, qualora il governo decida di inviare armi e sistemi
militari in Iraq senza aver tenuto conto del parere espresso dalla
2
3.
Camere o in aperto contrasto con esso, di effettuare distribuzioni
di aiuti umanitari governativi, soprattutto se giunti in loco
tramite canali militari.
Collaborare per predisporre misure di assistenza umanitaria e
interventi civili di pace, non armati e nonviolenti, di tutela delle
popolazioni locali nel nord dell'Iraq, rafforzando la società civile
locale nella denuncia delle violazioni e nella costruzione di
percorsi di dialogo tra etnie e comunità.
Per contatti stampa
Rete Italiana per il Disarmo: [email protected] - 328/3399267
(fonte: Rete della Pace)
link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2125
Evidenza
Basta guerre! Mai più vittime! Fermiamo le stragi di
civili indifesi a Gaza, in Palestina e Israele, in Siria,
Iraq, Libia, Afghanistan, Ucraina, .... (di Rete della
Pace)
Libertà, Giustizia, Democrazia per tutti i popoli
Costruiamo insieme un passo di pace !
Manifestazione Nazionale
Firenze, 21 settembre 2014
Orario (11:00 – 16:00) e Piazza (da definire)
La Rete della Pace conferma la convocazione della manifestazione
nazionale di Firenze, segnalando che il programma e le indicazioni
organizzative saranno rese pubbliche entro i primi di settembre, in accordo
con le diverse reti che promuovono l'evento.
La mobilitazione nazionale continuerà partecipando all'iniziativa
promossa dalla Comunità Palestinese, a Roma, sabato 27 settembre.
Roma, 22 agosto 2014
La Segreteria della Rete della Pace
link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2128
Fermare l'Isis con il diritto internazionale, non
fornendo armi ai Curdi (di Gianni Bottalico,
presidente nazionale ACLI)
Il mondo non ignori il grave pericolo indicato da Papa Francesco: i singoli
conflitti in corso sono pezzi di un nuova guerra mondiale.
"L'Isis non si ferma fornendo armi ai curdi: lo può fare solo la Comunità
internazionale, attraverso l'Onu, facendo luce e mettendo di fronte alle
loro responsabilità quanti hanno finanziato ed armato questa orda di
violenti dell'Isis, che ha tratto enorme giovamento dalla destabilizzazione
della Libia e da quella in corso della Siria, e che si è radicata nell'Iraq
disastrato in seguito alla lunga guerra di occupazione americana". Lo
afferma Gianni Bottalico, presidente nazionale delle ACLI, alla vigilia
dell'informativa dei ministri degli Esteri e della Difesa alle relative
commissioni parlamentari.
"Le ACLI -prosegue Bottalico - rivolgono un appello a tutti i parlamentari
delle commissioni Esteri e Difesa delle Camere ad esprimere un parere
negativo sull'invio di armi italiane ai Curdi, e chiedono che una decisione
così grave passi necessariamente da un voto delle assemblee parlamentari.
È un segno dei tempi - sottolinea il presidente delle ACLI - che sia stato
un pontefice, papa Francesco, durante l'incontro con i giornalisti sul volo
di ritorno dalla Corea, a denunciare il rischio, purtroppo molto concreto,
che il mondo corre oggi riguardo al mantenimento della pace.
Una crisi economica che viene affrontata rafforzando le cause che l'hanno
prodotta, anziché con una nuova politica economica che ridia centralità al
lavoro, e la strategia occidentale che pare prevalere, che mira ad impedire
con tutti i mezzi, anche quello militare, il passaggio dall'unilateralismo
americano al multipolarismo nella gestione della politica mondiale,
costituiscono un mix potenzialmente in grado di innescare un conflitto
dalle proporzioni inimmaginabili.
L'incapacità dell'Europa di collocarsi autorevolmente ed autonomamente
sulla scena internazionale, favorisce la strategia delle forze che, pur di
salvaguardare i loro attuali smisurati vantaggi economici e di scongiurare
una loro bancarotta, mirano a ricompattare l'Occidente contro il resto del
mondo, in particolare contro i grandi Paesi emergenti che costituiscono il
club dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) non escludendo
più alcuna opzione, compresa la più infausta, quella di un conflitto
generalizzato, il cui rischio cresce con il dilagare della strategia del caos
che ormai accerchia l'Europa, dall'Ucraina, al Medio Oriente, al Nord
Africa.
Le ACLI - conclude Bottalico - si sentono impegnate a sensibilizzare le
coscienze sulla gravita di questa fase storica, per fare in modo che in
questo difficile presente "non si ripetano gli sbagli del passato, ma si
tengano presenti le lezioni della storia, facendo sempre prevalere le
ragioni della pace mediante un dialogo paziente e coraggioso", secondo
l'auspicio di Papa Francesco formulato alla vigilia del centenario dello
scoppio della Grande Guerra. Nonostante tutto, guardiamo con fiducia e
speranza al futuro. Siamo artefici del nostro destino, ma in fasi come
l'attuale risulta decisivo su quale versante della storia collocarsi sui temi
del lavoro, della democrazia, della pace. Non assisteremo passivamente ad
una strategia economica e geopolitica che rischia di far precipitare il
mondo in un nuovo grande conflitto".
(fonte: Rete della Pace)
link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2124
Iniziative
Periferie al centro: Castagnara in festa! - sabato 30
agosto, ore 18.00 - parco pubblico di Castagnara (di
AAdP, Rete associazioni "Periferie al centro")
"Periferie al centro": Castagnara in festa
passiamo insieme una serata
di giochi, musica, solidarietà, osservazioni astronomiche...
Sabato 30 agosto, dalle 18.00 alle 24.00, presso il parco pubblico di
Castagnara, a Massa, avrà luogo la manifestazione conclusiva,
3
"Castagnara in festa", del ciclo di iniziative, culturali e ludiche (a costo
zero per il Comune, completamente autofinanziato dalle associazioni), che
l'Accademia Apuana della Pace, insieme alla rete di associazioni "Periferie
al Centro" e ad alcuni abitanti e commercianti del quartiere di Castagnara,
ha realizzato questa estate nel parco pubblico di questa frazione di Massa.
Il programma della serata prevede:
 18.00: animazione, giochi e laboratori per bambine e bambini di
tutte le età;
 20.00: cena condivisa a cura delle associazioni organizzatrici, con la
collaborazione dei cittadini e delle attività commerciali di
Castagnara;
 dalle 21.00: Karaoke, musica e balli popolari;
 dalle 21.30: "osserviamo il cielo", con il Gruppo Astrofili di Massa
Tutti, residente e non residenti a Castagnara, sono invitati a partecipare a
questo momento di festa e condivisione.
"L'iniziativa – ha dichiarato la prof. Stella Buratti, presidente
dell'Associazione AVAA – va nella direzione di quella città solidale che
noi vorremmo fosse costruita: una città che sia viva ed è vitale proprio a
partire dalle periferie, che invece sono sempre state abbandonate".
"In tale ottica – prosegue Paolo Panni di Legambiente Massa-Montignoso
– concluso il ciclo di iniziative culturali e ludiche, nell'ottica di affermare
la centralità delle periferie, la rete di associazioni Periferie al centro,
organizzerà, a Castagnara, entro la fine del mese di settembre, un
convegno-seminario sull'animazione sociale delle periferie, invitando
diverse esperienze nazionali per un confronto che sia di stimolo anche al
nostro territorio e alla politica locale".
Locandina: http://www.aadp.it/dmdocuments/evento1811.pdf
AAdP e "Periferie al centro"
link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2132
21a Marcia per la Giustizia Agliana - Quarrata:
"Urge una nuova POLITICA: come passione di vita
e pratica condivisa" (di Casa della Solidarietà - Rete
Radié Resch di Quarrata (PT), Comuni di Quarrata
e di Agliana (PT), Libera, associazioni, nomi e
numeri contro le Mafie)
Sabato 13 settembre 2014 si svolgerà la 21a Marcia per la Giustizia
Agliana - Quarrata. Quest'anno verrà trattatoil tema: "Urge una nuova
POLITICA: come passione di vita e pratica condivisa"
Saranno presenti: Antonietta POTENTE, teologa; Cecile Kyenge, deputata
europea PD; Curzio MALTESE, deputato europeo TSIPRAS; don Luigi
CIOTTI, Gruppo Abele, Libera; Martina ROMANELLO, studentessa
universitaria Napoli, Renato ACCORINTI, sindaco di Messina.
L’ anima umana ha bisogno per un verso di solitudine, per l’altro di vita
sociale. … L’anima umana ha bisogno di partecipazione disciplinata a un
compito condiviso di pubblica utilità, e ha bisogno di iniziativa personale
in questa partecipazione … L’anima ha bisogno sopra ogni altra cosa di
essere radicata in molteplici ambienti naturali e di comunicare tramite loro
con l’universo.” (Simone Weil, Dichiarazione degli obblighi verso l’essere
umano, 2003, 30-31
“La nostra paura più profonda non è quella di essere inadeguati. La nostra
paura più profonda è quella di essere potenti oltre ogni limite. E’ la nostra
luce, non la nostra ombra a spaventarci di più. Ci domandiamo: chi sono
io per essere così brillante, pieno di talento, favoloso? In realtà: chi sei tu
per non esserlo? Il nostro giocare in piccolo, non serve al mondo. Non c’è
nulla di illuminante nello sminuire se stessi, cosicché gli altri non si
sentano insicuri intorno a noi. Siamo tutti nati per risplendere, come fanno
i bambini. Non solo per alcuni di noi, ma in ognuno di noi. Quando
permettiamo alla nostra luce di risplendere, inconsapevolmente diamo agli
altri la possibilità di fare lo stesso. E quando ci liberiamo delle nostre
paure, la nostra presenza, automaticamente, libera gli altri.” (Nelson
Mandela)
La questione politica, a questo punto, è una questione dell’anima.
Ciò che abbiamo perso, o stiamo perdendo non è solo un certo tenore di
vita a cui tutti eravamo abituati; servizi sociali, garanzie economiche,
sicurezze riguardo al nostro futuro. Ciò che stiamo perdendo o abbiamo
perso è una delle dimensioni più reali della vita umana, che ci avrebbe
garantito di non cadere nella superficialità, nella distrazione e nella
prepotenza delle relazioni umane e con tutto l’ecosistema.
La politica non è merce di scambio, fonte di ricchezza privata e nemmeno
pubblica; la politica non è costituire uno stato fantasma supportato da
singoli cittadini senza partecipazione. Non è nemmeno la costituzione di
uno stato separato dalla fatica quotidiana di uomini e donne che hanno
inventato le proprie storie e per questo hanno resistito, oramai da anni,
nonostante le offerte dello stato – perché di offerte si tratta- siano
totalmente insufficienti.
La questione politica parte dall’anima, dalla consapevolezza e dal riscatto
di questa sensibilità interiore che ispira la vita dal di dentro, in cui le cose,
gli esseri umani, l’ecosistema, non si riconoscono solo come merce di
scambio; come fonte di accumulo di quello che prima si chiamava potere e
oggi è totalmente identificato con il denaro.
Ogni crisi dell’umanità, in questo momento storico, è crisi interiore, crisi e
tradimento dell’anima che invece è matrice dei sogni, di quelle sensibilità
ispiratrici dell’umano più bello e dell’umano più capace di vivere
nell’ecosistema; matrice di quei diritti che vengono ancora prima di ogni
legge, anzi, ispirano la creazione di un ordinamento condivisibile, per
tutti.
Chi sostiene di ripartire dall’anima, non è un illuso o illusa, che ha un
visione idilliaca dell’essere umano e del cosmo, ma piuttosto chi si è
stancato o stancata di pensarsi incapace di rifare la storia in un altro modo,
di partecipare alla costruzione di un ambiente in cui la vita si sviluppa e
non viene mortificata da progressivi processi di esclusione.
La politica deve tornare ad essere passione filo-sofica, cioè passioneamore alla sapienza della vita; ricerca di stili di vita che garantiscano la
vita stessa e non una mortificante sopravvivenza. Al contrario: La politica
non può essere passione di denaro; passione di chissà quale frustante
riscatto personale. Sono questi gli aspetti che portano la politica
all’illegalità, alle mafie di ogni genere: politico, sociale e persino
religioso, sia locali che mondiali.
L’antico detto cristiano è chiaro, anche per chi non si ricorda più: “non si
possono servire due padroni …” perché lasciare che la nostra esistenza
serva contemporaneamente due ispirazioni: il denaro-potere e l’anima
della vita e delle cose, ci romperà dal di dentro; frantumerà la storia in
mille pezzi, polverizzando tutto: passato, presente e un ipotetico futuro.
Siamo stufi di essere trattati come i conquistatori spagnoli nel XV secolo,
trattarono le popolazioni indigene del continente Amerindio, quando con
solennità proclamavano: “questi [gli indigeni] non hanno anima. Noi, così
come rivendicavano gli indigeni, abbiamo un’anima, qualunque essa sia,
in ogni cultura, in ogni storia personale e collettiva, è l’anima della nostra
creatività umana che è partecipazione. Cfr. La canzone di Gaber: Libertà è
partecipazione …
Note organizzative
per le adesioni da parte di associazioni, comunità, parrocchie, enti ecc...
scrivere a: [email protected]
Ritrovo ore 18,00 ad Agliana, Piazza Gramsci - Arrivo a Quarrata - Piazza
Risorgimento ore 21
Per informazioni: Tel. 0573-750539; 339-5910178
E-Mail: [email protected] - [email protected]
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Alle ore 17 è prevista la partenza da Quarrata di un autobus per Agliana al
fine di portare i partecipanti che desiderano lasciare la macchina a
Quarrata.
Al termine della Marcia i bus navetta provvederanno a riportare ad
Agliana i partecipanti
Chi è provvisto di sacco a pelo sarà ospitato presso il Palazzetto dello
Sport di Quarrata g.c.
(fonte: Casa della Solidarietà - Rete Radié Resch di Quarrata (PT))
link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2097
Approfondimenti
Politica e democrazia
Renzi inadeguato (di Massimo Michelucci)
Alessandro Volpi, professore pisano, su Il Tirreno del 14 agosto, ha
spiegato bene la situazione di deflazione che attanaglia l’Italia, facendoci
capire che essa riguarda anche l’Europa. Il risultato di una analisi così
dettagliata è stato quello di fare vieppiù apparire come Renzi sia
inadeguato a guidare la risposta italiana, a dir la verità ai miei occhi
appare addirittura ridicolo.
Chiosa bene infatti Volpi che la risposta sta in un cambiamento reale.
L’anacronismo di Renzi sta nel fatto che parla di superamento di fasi, o di
cambiamento di epoca, o di risposta alla crisi non avvertendo che il
problema vero è il cambiamento del mondo. Mi sembra che Volpi, nella
sua conclusione, avverta questa profondità della questione.
Più il problema è grande più la soluzione riguarda tutti, e può avvenire
quindi anche nel singolo, nel piccolo, perché insiste sulla coscienza e sul
metodo. Fuor di metafore, più che dalla Stato la risposta può venire dal
territorio e da quegli enti che ai cittadini sono più vicini e che nessuna
riforma pseudo costituzionale potrà mai far sparire, in quanto la
sussidiarietà è un comandamento oggettivo che emerge di per sé nella vita
di una società.
Volpi è anche sindaco di una piccola città di provincia, ha spessore morale
e culturale di certo superiore a Renzi, qualità che sono i fondamenti
dell’onestà intellettuale che è virtù latente nella nostra classe politica,
almeno dai costituenti in poi.
Anche dallo spazio ristretto dell’ente locale può essere esempio di
cambiamento vero ed esempio trainante. Capace cioè di dar inizio allo
sviluppo di quel federalismo, sempre proclamato e mai realizzato, che si
fonda sulle comunità e sui territori, e che non è calato dall’alto.
Ciò può avvenire benissimo ( anzi io credo che debba), senza bisogno di
patenti, di lasciapassare, di vidimazioni, di nulla osta da parte di alcuna
autorità.
Questo credo del resto fosse il progetto di Volpi politico che la comunità
ha scelto come Sindaco.
Io ho sempre creduto che il mondo si possa e si debba cambiare dal basso,
ogni altro cambiamento sarà sempre fasullo.
link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2123
Religioni
Martini: due anni dopo (di Angelo Levati)
Il 31 agosto cade il secondo anniversario della morte del card. Carlo Maria
Martini, Arcivescovo di Milano. Per l’occasione invio un documento che
non è molto noto, è un intervento che ha tenuto durante il Congresso delle
ACLI Milanesi nel gennaio 2000.
E’ un discorso che, a mio parere, è un po’ la concretizzazione delle due
prime lettere pastorali che scrisse da Arcivescovo di Milano: “la
dimensione contemplativa della vita” e “In principio la parola”, è un
intervento riservato agli aclisti ma che può andare bene per tutti coloro che
sono in ricerca o, come diceva lui, “essere pensanti”.
Ricordo quando, una quindicina di anni fa, credo nel 1999, ero a Praga
con una delegazione delle ACLI Lombarde in visita ai nostri partner della
KAP (Cristo e Lavoro) e, dopo aver partecipato ad un loro convegno
tenuto all’Università di Praga, vollero farci visitare la città portandoci in
alcuni posti non visitabili dal grande pubblico, visitammo il Centro
Strahof con una biblioteca di 120.000 volumi tenuta dai Monaci
Premonstratensi e poi ci federo visitare l’Arcivescovado di Praga che si
trova vicino al Castello. Dopo averne visitato il secondo piano (una
reggia!) che contiene la quadreria degli Arcivescovi di Praga e ci
raccontarono che per molto tempo ci fu una diatriba con Vienna perché
ambedue le città volevano diventare la sede dell’impero. Alla fine a
Vienna toccò l’impero e a Praga l’Università della quale l’Arcivescovo è il
Gran Cancelliere.
Poi ci incontrammo con un dignitario della curia che ci disse: “lo scorso
anno il vostro Arcivescovo venne a predicare ai nostri seminaristi un corso
di esercizi spirituali sul tema “chiesa piccolo gregge”. Poi soggiunse “Ah,
Card. Martini, Giovanni XXIV”.
Martini, al compimento dei 75 anni, disse che:
“un tempo avevo sogni sulla Chiesa
Una chiesa che non dipende
Dai potenti di questo mondo
Una chiesa che dà spazio alle persone
Capaci di pensare in modo più aperto
Sognavo una chiesa giovane.
Oggi non ho più questi sogni
Dopo i settantacinque anni
Ho deciso di pregare per la chiesa”.
Forse anche per la sua preghiera di intercessione e dopo sei mesi dalla
morte di Martini, che CHI è sopra di noi ha pensato bene di donare alla
Chiesa Cattolica Romana e al mondo PAPA FRANCESCO.
Buona riflessione!
Angelo Levati
Le edizioni Paoline e il Corriere della Sera hanno realizzato un DVD di 55
minuti dal titolo “Carlo Maria Martini, l’uomo di Dio”.
link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2126
Saluto del Cardinale CARLO MARIA MARTINI al
Congresso provinciale delle ACLI - sabato 22
gennaio 2000 (di Carlo Maria Martini)
"Vorrei esprimermi nella maniera più semplice possibile, consegnandovi
quattro cose: un motto, un monito, un compito ed un auspicio.
1. Un MOTTO: lo prendo da Ger. 6,16-17. E' un oracolo con cui Dio
vuole aiutare il popolo a non smarrirsi del tutto ed a evitare una catastrofe.
Dice: "Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri del
passato, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le
vostre anime" (Ger. 6,16). E malgrado la resistenza del popolo a munirsi
di punti precisi di riferimento, aggiunge: "io ho posto sentinelle presso di
voi" (Ger. 6,17).
Ecco quello che potrebbe essere il vostro motto in questo tempo: "siate
sentinelle". Il Signore costituisce a favore del suo popolo sensori capaci di
percepire pericoli e difficoltà. Così Israele era presidiato da profeti, da
sentinelle, da pastori, da Re. Mi pare che oggi voi siate chiamati a questo
ruolo di sostegno e di riferimento, ad essere sentinelle, in particolare per
chi non sa orientarsi e non sa vedere pericoli ed opportunità.
Come ACLI voi ricercate il senso delle cose e degli avvenimenti, non vi
accontentate di spiegazioni superficiali. Cercate i valori veri e non il
quieto vivere, il servizio della giustizia e non i privilegi. La vostra
5
presenza opera sul territorio gratuitamente, senza attese di ritorno o di
ricompensa, senza secondi fini. Perciò la vostra operosità genera fiducia.
Certamente il vostro servizio si compie in un mondo che, spesso presenta
durezze, contrapposizioni e differenze tali da scoraggiare e rendere
difficile un'operosità coerente.
Essere sentinelle in vita allora, oltre che a segnalare, anche a rintracciare
vie nuove nella scelta e nella ricerca del bene comune, sapendo che, nel
nostro mondo complesso ed attraversato da esigenze molteplici e culture
nuove, sono necessarie competenze profonde e formazione continua.
Servono allora persone che reggano la fatica di pensare più in profondità,
al di là dei luoghi comuni. Persone che siano disponibili a cogliere la
realtà in movimento in tutta la sua complessità, che sappiano farsi carico
di chi è più debole anche culturalmente e rischia di venire abbagliato da
slogan e da mezze verità.
2. Un MONITO: "vigilate"
Nell'ultimo discorso di S. Ambrogio ho evocato il pericolo della paura,
dell'accidia e della pavidità che irrigidiscono, restringono gli orizzonti e
fanno fuggire da impegni collettivi.
Mi pare che la parola chiave del Vangelo in questi frangenti per voi, che
dovete essere sentinelle, sia: "vigilate". Richiamate al rispetto delle
persone e nello stesso tempo alla valenza diversificata delle diverse
opinioni sul piano etico. Ispirandovi alla dottrina sociale della chiesa
saprete trovare quei riferimenti essenziali alla persona umana, ai suoi
diritti e ai suoi valori che permettono di dire a tempo opportuno la parola
giusta.
3. Un COMPITO: operate sul territorio
Le reti dei vostri circoli costituiscono una preziosa realtà di richiami, di
collaborazioni, di presidi per il bene comune.
La vostra particolare attenzione al mondo del lavoro, all'operosità politica
e culturale e nello stesso tempo il vostro radicarvi nella comunità cristiana
vi obbligano ogni volta a riportarvi alle vostre radici originarie, che vi
costituirono come una presenza di credenti in Cristo all'interno di un
mondo in profonda evoluzione. Non è dunque una novità per voi il
trovarsi all'interno di un vortice di fatti nuovi né vi manca il coraggio per
affrontare le sfide. Quella che era alle origini presenza e mediazione tra il
mondo credente e il mondo operaio, diviene oggi anche presenza e
mediazione tra il mondo credente e la trasformazione sociale.
Per fare questo è necessaria una robusta ricerca religiosa. Il coraggio della
fede sostiene la coerenza mentre la lucidità dell'analisi è offerta dalla
conoscenza e dalla formazione dal dialogo e dalla pazienza attiva. Tutto il
mondo del lavoro è in difficoltà e ne subiscono le conseguenze giovani,
donne, persone ultraquarantenni, persone fragili di vario genere richiamate
dalla dizione globale di "fasce deboli".
In questi giorni si sta sviluppando una seria ricerca sul problema del
lavoro in cui è interessata tutta la realtà milanese. A me sembra importante
che tutti insieme ci si impegni per sostenere tali "fasce deboli", quelle
persone che non hanno spazio e forza per imporsi nel mondo del lavoro,
che sono incapaci di reggere se non accompagnati così da entrare a far
parte di un tessuto di rapporti e di risorse. La civiltà di un popolo, a cui voi
date un contributo alto di riflessione e di operosità, si valuta dalla capacità
di saper rendere le persone libere ed autonome: persone che, da assistite
diventino una risorsa ed acquisiscano dignità agli occhi di tutti e
soprattutto di sé. E naturalmente penso qui in particolare a categorie come
i lavoratori extracomunitari ed anche agli ex carcerati.
Per la vostra azione capillare sul territorio vi incoraggio anche a
sviluppare la vostra rete di scuole professionali e di formazione
permanente, mentre vi chiedo di impegnarvi sul versante dei giovani e del
mondo povero la cui diseguaglianza con il mondo dei benestanti si sta
allargando. Occorre promuovere quel patrimonio di competenze e di
capacità che danno fiducia alle nuove generazioni. Esse si presentano alla
ribalta della storia con tanti problemi, alcuni dati dall'età, ma altri indotti
dalla frantumazione degli ideali, dalla sfiducia nel mondo adulto, dalla
suggestione di modelli di vita troppo facili e di gratificazione immediata.
Non è un caso che stia venendo alla luce una mistura pericolosa e talora
micidiale tra momenti di svago e di musica ed estasi artificiali e traditrici.
Vorrei anche esprimere la sofferenza che sento emergere per i problemi
gravi della casa. Si deve provvedere ad una politica di affitti accessibili
alle persone con un solo reddito o in situazioni di precarietà. Se non si
risolve tale problema non si può parlare alla leggera di flessibilità, di
mobilità, di adattamento a lavori diversi. C'è il rischio di provocare paure,
insicurezze e tragedie. Chiedo perciò a voi di farvi operatori di speranza
proponendo ed incoraggiando sul territorio reti di sostegno, iniziative e
proposte che coinvolgano tutte le persone di buona volontà.
4. Infine, un AUSPICIO: Meditate il Vangelo
Per tutto questo la comunità Cristiana ha bisogno di sostegno, di
chiarezza, di intuizioni, di incoraggiamento. Vi chiedo di essere
disponibili con intelligenza e maturità. Lo sarete se, come laici adulti e
formati saprete coniugare la robustezza della Parola di Dio con la
coscienza dei problemi della società. Non abbiate timore di perdere tempo
nei momenti formativi e contemplativi. Ricordo la parola spesso ripetuta
da un grande prete che vi amava molto, Mons. Sandro Mezzanotti.
Continuava a dire: formazione, formazione. E fonte privilegiata della
nostra formazione è la meditazione silenziosa del Vangelo.
Potrete così con autorevolezza aggiornare la comunità cristiana di ciò che
sta avvenendo nel mondo della trasformazione sociale e del lavoro.
Sappiate anche coordinare le vostre forze, che non sono mai bastevoli, con
le persone di altri movimenti ed associazioni, non per scopi di potere ma
per trovare soluzioni, per promuovere solidarietà, per sostenere realtà in
difficoltà e fragili.
Le vostre città e i vostri paesi hanno bisogno della vostra presenza per una
ricerca di senso, per itinerari comuni, per analisi coerenti, per non far
cadere solidarietà costruite nella fatica. Non contatevi se siete molti o
pochi. Siate incisivi e coraggiosi.
Ma per questo rifatevi continuamente alla parola di colui che ha detto:
"Non temere, piccolo gregge….ecco, io sono con voi sino alla fine dei
tempi!".
(fonte: Angelo Levati)
link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2127
Notizie dal mondo
Iraq
L'altro Iraq che resiste, con il pane e le rose (di Un
ponte per ...)
La societa' civile irachena chiede aiuti, diritti, protezione, coraggio della
politica, non armi.
Mentre il Governo italiano preparava e - solo in seguito - faceva approvare
dal Parlamento l'invio di armi ai combattenti kurdi, questa settimana, gli
operatori di Un ponte per... in Iraq assistevano a una mobilitazione
straordinaria della societa' civile irachena negli aiuti umanitari.
Scherzando, i nostri partner locali ci dicevano che il governo italiano
farebbe meglio a trasferire i vecchi armamenti in disuso allo Stato
Islamico, cosi' se si inceppano risparmiano qualche vittima. Ben altro
chiedono in questo momento coloro che in Iraq sono piu' attenti alla
salvaguardia dei diritti umani: beni alimentari, acqua, interventi
internazionali focalizzati alla protezione di popolazioni a rischio di
genocidio, e ponti aerei per portare in zone sicure le minoranze ancora
assediate nelle montagne di Sinjar e in altre zone del governatorato di
Mosul.
Certamente un ponte aereo di C-130 dell'Esercito Italiano non era
necessario per portare a Erbil acqua e biscotti facilmente acquistabili in
loco, che appaiono quindi strumentali a giustificare la successiva
distribuzione dei kalashnikov. Questa scelta non chiarisce chi svolgera' il
lavoro diplomatico per sostenere il dialogo nazionale con i politici
iracheni e kurdi, che coinvolga tutti gli attori regionali a partire dall'Iran, e
il lavoro di polizia internazionale per fermare traffico di armi e
finanziamenti allo Stato Islamico. Ne' e' chiaro al momento chi si
adoperera' per costruire una forza di interposizione ONU all'altezza dello
slogan "Responsabilita' di Proteggere", riferito alla popolazione civile, che
6
finora e' stato usato dalla NATO come paravento di operazioni di guerra.
Lo abbiamo ribadito in questi giorni con Rete Italiana Disarmo.
Le associazioni del Kurdistan iracheno hanno - come noi - da giugno
stravolto le loro attivita' ordinarie per alleviare le sofferenze degli 800.000
rifugiati interni giunti dal Nord dell'Iraq, che si aggiungono ai 200.000
curdi scappati dalla guerra in Siria. Le ONG che rappresentano le
minoranze, come la Yazidi Solidarity League, si affannano per dare anche
sostegno morale e politico ad un popolo che sta subendo un vero e proprio
genocidio. I volontari delle chiese cristiane, caldei e siriaci, sfornano
miglia di pasti al giorno per le famiglie fuggite dalle enclave cristiane
della piana di Ninive. Le associazioni di donne denunciano a piena voce i
crimini di schiavitu' e stupro di cui si e' macchiato lo Stato Islamico e
sostengono le vittime. Chi lavora e lotta senza armi nel resto del paese non
ha visto significativi cambiamenti, e qualche giorno fa un altro operatore
umanitario iracheno e' stato ucciso da sconosciuti per il proprio attivismo,
nella provincia di Dyala: piangiamo anche noi Saad Abdul Wahab Ahmed
dell'associazione al-Amal.
Il fondamentalismo e i crimini delle bande armate, che poco o nulla hanno
di islamico, sono cresciuti nel paese nell'ultimo decennio in entrambi i
fronti: quello sciita con esplicito sostegno del governo di al-Maliki, quello
sunnita con un ampio spettro di gruppi di opposizione. Crimini contro i
civili sono stati registrati da entrambe le parti, e non possiamo dimenticare
che il governo iracheno e' stato ripetutamente accusato di crimini di guerra
per i propri bombardamenti indiscriminati su quartieri delle citta' in
rivolta, o per l'uccisione extra-giudiziale di prigionieri. Non ha fatto
nemmeno notizia, il 12 luglio, l'uccisione in pieno centro di Baghdad, alla
luce del giorno, di quasi 30 prostitute irachene da parte di una banda
armata sciita coperta da al-Maliki. I corpi si accumulavano sulla strada, e
la polizia non e' intervenuta. In questo clima, era inevitabile che frange
della popolazione irachena avrebbero lasciato permeare l'estremismo di
segno opposto.
E' quindi, ora, necessario lavorare con massima energia a sostegno del
processo politico iracheno e del dialogo nazionale, perche' il nuovo Primo
Ministro al-Abadi cambi corso rispetto al suo compagno di partito alMaliki, ascoltando non solo le opposizioni ma anche la societa' civile
irachena. Ci stanno provando gli attivisti dell'Iraqi Social Forum,
composto da decine di associazioni, sindacati e reti di tutto il paese, che
stanno impostando un piano strategico di partecipazione della societa'
civile al dialogo nazionale, e di lotta alla discriminazione tra tutte le
comunita' linguistiche e religiose. Hanno lanciato in questi giorni
campagne come "Ministri senza quote" contro la pianificazione della
politica su basi etniche. Chiedono che almeno quattro ministri vengano
scelti in base al merito e alle proprie conoscenze della materia, non su basi
settarie. E' il primo tentativo di mettere in discussione il sistema di quote
non scritto ma varato e consolidato dalle autorita' USA dell'occupazione,
che gravano ancora sulla politica irachena. Seguiamo con attenzione e
sosteniamo queste iniziative, perche' solo da qui puo' nascere un altro Iraq.
Cosa puoi fare:
•
sostieni le nostre attivita' umanitarie per i profughi iracheni, che
realizziamo in stretta collaborazione con le associazioni locali...
dona e informati qui: http://www.unponteper.it/emergenza-iraq
•
organizza attivita' di informazione e raccolta fondi nella tua
citta' sulla situazione irachena... scrivici se vuoi un nostro
intervento: [email protected]
•
attiva un sostegno a distanza per un/a bambino/a iracheno/a
delle
minoranze
con
il
progetto
Farah
(Gioia):http://www.sostegniadistanza.unponteper.it/iraq
•
firma e diffondi la petizione sostenuta dall'Iraqi Civil Society
Solidarity Initiative per portare i crimini di schiavitu' dell'IS
davanti
alla
Corte
Penale
Internazionale:
http://www.iraqicivilsociety.org/archives/3460
•
partecipa alla conferenza annuale dell'Iraqi Civil Society
Solidarity Initiative che si terra' ad Oslo dal 2 al 4 novembre
2014, con una delegazione di attivisti dell'Iraqi Social Forum,
per
info
e
iscrizioni:
http://www.iraqicivilsociety.org/archives/3330
•
conosci l'Iraq, a partire dallo straordinario mosaico di culture
che lo compongono. Acquistando il testo in inglese "Books and
documents, heritage of Iraqi minorities" pubblicato da Un ponte
per... sosterrai gli acquisti di beni di prima necessita' che stiamo
distribuendo
in
questi
giorni:
http://www.unponteper.it/prodotto/books-documents-iraqiminorities/
link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2129
Rete Disarmo: niente armi in Iraq, sì a forze di
“peace enforcing” (di Rete Disarmo)
La responsabilità di proteggere le popolazioni minacciate del Nord
dell’Iraq non si esercita fornendo armi alle forze armate curde o irachene,
ma semmai inviando una forza di interposizione militare a difesa delle
popolazioni e creando le condizioni per interventi di pace.
Rete Italiana per il Disarmo chiede pertanto al Governo di promuovere
iniziative efficaci affinché il nostro paese eserciti, in accordo con gli
organismi internazionali, il suo dovere alla responsabilità di proteggere e
al Parlamento di svolgere un ruolo propositivo e di controllo delle
iniziative dell’esecutivo in particolar modo sull’invio di armi e sistemi
militari nella regione.
“Conferma della posizione già espressa verso un no all’invio di armi in
Iraq, in particolare se derivanti da depositi segreti” è la posizione espressa
da Rete Italiana per il Disarmo in vista del dibattito previsto per domani,
mercoledì 20 agosto, nelle Commissioni riunite Affari Esteri e Difesa di
Camera e Senato, durante il quale i Ministri degli Esteri, Federica
Mogherini, e della Difesa, Roberta Pinotti, svolgeranno le comunicazioni
del Governo sui recenti sviluppi della situazione in Iraq con riferimento
anche agli esiti del Consiglio straordinario dei Ministri degli esteri della
Unione europea del 15 agosto 2014.
Rete Disarmo sottolinea, come già evidenziato in precedenti comunicati,
che la “responsabilità nella protezione” (responsibility while protecting)
delle popolazioni dal pericolo di massacri non ricade solamente sul
governo iracheno, ma sull’intera comunità internazionale.
Per questo il nostro Paese deve rispondere con prontezza ed efficacia
valutando anche la possibilità, insieme ad altri paesi dell’Unione europea,
di inviare una forza di interposizione con mandato ONU e funzioni di
“peace enforcement” che si attenga strettamente alle regole del diritto
internazionale, senza alimentare il conflitto. Le forze armate irachene e
curde hanno purtroppo dimostrato di non essere in grado di proteggere da
sole le popolazioni e non solo perché non sono fornite degli armamenti
necessari.
Di fronte ad una crisi che viene definita dagli organismi dell’Onu di
‘pulizia culturale’, la risposta dell’Unione europea non può limitarsi
all’invio – pur drammaticamente necessario – di aiuti umanitari ed è per
questo che la Rete italiana per il Disarmo chiede al governo Renzi di
astenersi dall’invio di sistemi militari nella regione. “Ogni invio di armi
nella regione va assolutamente impedito – afferma Giorgio Beretta
dell’Osservatorio OPAL di Brescia - ancor più se il governo intende
inviare ai militari curdi delle armi in disuso per svuotare i magazzini delle
nostre aziende armiere o peggio ancora quelle armi di fabbricazione
sovietica sequestrate al trafficante Zhukov e detenute per anni nelle
riservette dell’isola sarda della Maddalena. Quelle armi, come prevede
una sentenza del Tribunale di Torino del 2006 mai resa operativa, vanno
distrutte: chiediamo perciò che venga subito aperta un’inchiesta
parlamentare considerato che una parte di quelle armi pare sia stata inviata
nel 2011 agli insorti di Bengasiapponendo da parte dell’allora governo in
carica (Berlusconi IV) il segreto di stato”.
Rete Italiana per il Disarmo chiede inoltre a tutte le organizzazioni
umanitarie e Ong impegnate nei soccorsi in Iraq di valutare attentamente
quale sarà l’iniziativa promossa dal governo e di astenersi dall’effettuare
distribuzioni di aiuti governativi italiani giunti tramite canali militari, con
un coinvolgimento del Ministero della Difesa che non era assolutamente
7
necessario per far giungere a Erbil beni alimentari facilmente acquistabili
localmente.
“Dopo l’invio di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza e la persistente
emergenza dei profughi siriani – afferma Martina Pignatti
dell’associazione Un ponte per… – questa è la terza urgenza umanitaria
che il Governo italiano affronta quest’anno nella regione mediorientale,
ma con stanziamenti insufficienti e senza nemmeno valutare l’opportunità
di sospendere l’invio di armi e sistemi militari verso tutte le parti in
conflitto. Lo consideriamo molto grave: il messaggio che la Farnesina
sembra voler inviare è che nel nuovo modello di cooperazione le armi e
gli aiuti umanitari possono andare a braccetto senza scomodare nessuno”.
Rete Disarmo evidenzia infine la necessità di evitare l’escalation del
conflitto e di creare le condizioni perché si possa giungere ad una
convivenza pacifica tra le popolazioni della regione.
“Papa Francesco, sull’aereo di ritorno a Roma, è stato molto chiaro –
sottolinea don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi - Ha
detto che quando c’è un’aggressione ingiusta è lecito fermare l’aggressore,
non bombardare o fare la guerra, ma fermarlo. Papa Francesco ha inoltre
ricordato che 'Una sola nazione non può giudicare come si ferma
l’aggressione, questo compito è delle Nazioni Unite. Dobbiamo avere
memoria di quante volte con questa scusa di fermare un’aggressione
ingiusta le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto vere
guerre di conquista'; noi dobbiamo evitare l’escalation del conflitto e
creare le condizioni perché si possa giungere ad una convivenza pacifica,
anche per le minoranze, in quella regione", conclude don Renato Sacco.
Rete Italiana per il Disarmo chiede:
Al Governo
1.
2.
3.
4.
5.
Attivarsi prontamente con i competenti organi delle Nazioni
Unite per l’invio di un contingente di “peace enforcement”
sostenuto dall’Unione europea che si attenga strettamente alle
regole del diritto internazionale e non alimenti il conflitto.
Astenersi dall’inviare armi e sistemi militari alle parti in
conflitto in particolar modo le armi confiscate (come il
cosiddetto “arsenale Zhukov”) o non utilizzabili dalle nostre
forze armate e bloccare l'invio di armi e sistemi militari verso
tutti i paesi in conflitto.
Predisporre, in dialogo con le organizzazioni umanitarie
internazionali e le Ong nazionali, tutti gli aiuti necessari per un
invio di materiali idonei all’effettivo soccorso delle popolazioni
ed evitare l’invio di materiali non necessari e/o di fondi di
magazzino, senza ricorrere alla cooperazione civile-militare
nelle attività umanitarie.
Facilitare, in dialogo con le associazioni nazionali e
internazionali, misure di protezione delle popolazioni di tipo
non militare e di lungo periodo, che prevedano anche quote di
ingresso in Italia per minoranze a rischio di genocidio e
difensori dei diritti umani minacciati nelle zone di conflitto
Sottoporre, prima di attuare iniziative governative, tutte le
proprie proposte al confronto nelle Camere, richiederne il parere
con voto consultivo e attenersi al voto espresso dal parlamento
Al Parlamento
1.
2.
3.
Promuovere e sostenere le iniziative sopra esposte.
Richiedere, qualora il Governo intenda inviare armi e sistemi
militari in Iraq, un resoconto preventivo dettagliato di tutti i
sistemi militari e di armi che si intende inviare e sottoporre al
parere consultivo delle Camere ogni invio di armi.
Porre all’esame, nelle competenti commissioni parlamentari di
Camera e Senato, le recenti Relazioni sulle esportazioni di
sistemi militari italiani, valutare attentamente le autorizzazioni
rilasciate dagli ultimi governi e il grado di trasparenza della
Relazioni governativa in confronto anche con le associazioni
4.
impegnate da anni nel controllo del commercio degli armamenti.
Favorire un’inchiesta parlamentare su tutte le armi confiscate e
detenute nei vari arsenali militari e predisporre tutte le misure
necessarie per la loro pronta distruzione
Questo documento elenca le misure che potrebbero e dovrebbero essere
prese per istituire la giurisdizione della Cpi e descrive le violazioni
commesse durante l'attuale conflitto, evidenziando alcuni crimini che
Amnesty International ritiene potrebbero essere indagati dalla Cpi.
Alle associazioni
L'iniziativa del Consiglio Onu dei diritti umani
1.
2.
3.
Sostenere tutte le iniziative governative e parlamentari sopra
esposte
Rifiutare, qualora il governo decida di inviare armi e sistemi
militari in Iraq senza aver tenuto conto del parere espresso dalla
Camere o in aperto contrasto con esso, di effettuare distribuzioni
di aiuti umanitari governativi, soprattutto se giunti in loco
tramite canali militari.
Collaborare per predisporre misure di assistenza umanitaria e
interventi civili di pace, non armati e nonviolenti, di tutela delle
popolazioni locali nel nord dell’Iraq, rafforzando la società
civile locale nella denuncia delle violazioni e nella costruzione
di percorsi di dialogo tra etnie e comunità.
(fonte: Unimondo)
link:
http://www.unimondo.org/Notizie/Rete-Disarmo-niente-armi-in-Iraq-si-aforze-di-peace-enforcing-147403
Palestina e Israele
Israele - Territori Palestinesi Occupati: la Corte
penale internazionale deve indagare sui crimini di
guerra (di Amnesty International)
Il 1° agosto, in una lettera aperta al Consiglio di sicurezza delle Nazioni
Unite, Amnesty International ha chiesto ai suoi stati membri di agire
immediatamente per deferire la situazione in Israele e nei Territori
Occupati Palestinesi (Tpo) alla procuratrice della Corte penale
internazionale (Cpi) affinché i responsabili di crimini di guerra e contro
l'umanità commessi nel conflitto in corso siano portati davanti alla
giustizia; ha inoltre sollecitato altre azioni quali l'imposizione di un
embargo totale sulle armi verso tutte le parti in conflitto.
Amnesty International ha inoltre chiesto alle autorità palestinesi e
israeliane di esprimersi a favore di un deferimento del Consiglio di
sicurezza e altre misure che potrebbero permettere alla Cpi di intervenire e
di collaborare con essa. In particolare, le autorità palestinesi dovrebbero
sottoporre una dichiarazione di accettazione della giurisdizione della Cpi
sui crimini di diritto internazionale commessi dal 1° luglio 2002, quando
la Cpi fu istituita.
Un'indagine della Cpi è essenziale per spezzare la cultura dell'impunità
che favorisce i crimini di guerra e contro l'umanità in Israele e nei Tpo.
Quest'indagine si fa ancora più necessaria alla luce delle gravi violazioni
del diritto internazionale umanitario commesse da tutte le parti coinvolte
nell'attuale conflitto a Gaza e in Israele.
Amnesty International documenta da molti anni crimini di guerra e contro
l'umanità da parte delle forze israeliane, di Hamas e dei gruppi armati
palestinesi. L'immenso numero di vittime civili, così come la distruzione e
lo sfollamento nella Striscia di Gaza a causa degli intensi bombardamenti
iniziati da Israele l'8 luglio 2014 e il continuo lancio indiscriminato di
razzi da parte dei gruppi armati palestinesi contro i civili israeliani
rendono ancora più urgente la fine dell'impunità.
Né Israele né le autorità palestinesi hanno assunto iniziative degne di nota
per porre fine alle gravi violazioni del diritto internazionale umanitario
che costituiscono la norma durante i ciclici conflitti, né hanno portato i
responsabili di fronte alla giustizia. Porre fine alla sistematica impunità
per i crimini commessi nel passato potrebbe essere un deterrente contro la
loro reiterazione e dunque un elemento fondamentale per assicurare, nel
lungo periodo, la protezione delle popolazioni civili su ambo i lati del
conflitto.
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Amnesty International ha apprezzato la decisione del Consiglio Onu dei
diritti umani d'istituire una commissione d'inchiesta sulle violazioni
commesse "nel contesto delle operazioni militari a partire dal 13 giugno
2014" e ha notato che il testo della risoluzione autorizza la commissione a
esaminare le violazioni commesse da ogni parte. Il rapporto della
commissione, previsto nel marzo 2015, dovrebbe includere
raccomandazioni concrete per assicurare giustizia per le vittime del
conflitto e la fine del ciclo dell'impunità.
La Cpi dovrebbe contrastare l'impunità per fermare l'ondata di gravi
violazioni
La Cpi è stata istituita, tra le varie ragioni, per assicurare che coloro che
hanno commesso crimini di guerra e contro l'umanità andranno incontro
alla giustizia, a prescindere dal loro rango o status. La continua assenza di
provvedimenti da parte di Israele, delle autorità palestinesi e della
comunità internazionale per assicurare la fine delle uccisioni e dei
ferimenti illegali di civili e la distruzione di proprietà civili, così come di
altri crimini, è inconcepibile.
La Cpi deve essere messa in grado di esercitare la sua giurisdizione sulla
situazione in Israele e in Palestina. La procuratrice della Cpi deve decidere
rapidamente se avviare un'indagine con l'obiettivo di portare di fronte alla
giustizia i responsabili di crimini di guerra e contro l'umanità. In questo
modo, potrebbe inviare un messaggio forte e chiaro a tutte le parti: crimini
del genere non potranno più essere commessi impunemente.
La Cpi potrebbe esercitare giurisdizione sui crimini di guerra e contro
l'umanità commessi da ogni parte in Israele e nei Tpo se la procuratrice
della Cpi, l'Autorità palestinese, Israele o il Consiglio di sicurezza
prendessero le necessarie iniziative. Data la drammatica situazione attuale,
AI chiede a ciascuno di questi quattro attori di attuare le misure descritte
di seguito, integralmente e simultaneamente, per istituire la giurisdizione
della Cpi al più presto possibile. Una volta istituita la giurisdizione della
Cpi, la procuratrice dovrebbe determinare rapidamente se aprire
un'indagine.
La procuratrice della Cpi dovrebbe chiedere un parere giudiziario
sulla validità della dichiarazione del 2009 dell'Autorità palestinese
Alla fine del gennaio 2009, dopo l'operazione israeliana "Piombo fuso"
contro la Striscia di Gaza, l'Autorità palestinese emise una dichiarazione ai
sensi dell'art. 12.3 dello Statuto di Roma della Cpi, accettando la
giurisdizione della corte sui crimini commessi "sul territorio della
Palestina a partire dal 1° luglio 2002".
Se venisse accettata dalla Camera pre-processuale della Cpi, questa
dichiarazione darebbe alla Cpi la giurisdizione sui crimini commessi da
ambo le parti durante l'operazione "Piombo fuso" e in altre circostanze a
partire dal 1° luglio 2002.
Dopo quella dichiarazione, il procuratore della Cpi avviò un esame
preliminare, riguardante in particolare se la Palestina fosse uno stato ai
sensi dello Statuto di Roma (uno dei quattro criteri che il procuratore/la
procuratrice deve prendere in considerazione per decidere se aprire o
meno un'indagine).
Meno di tre anni dopo, nell'aprile 2012, l'ufficio del procuratore decise sulla base di motivazioni controverse - che la dichiarazione del 2009 non
era valida e chiuse l'esame preliminare. La decisione si basò sul fatto che
lo statuto riconosciuto alla Palestina dall'Assemblea generale delle
Nazioni Unite all'epoca della dichiarazione era quello di "osservatore" e
non di "stato non membro". Poiché l'essere stato membro o meno delle
Nazioni Unite non determina la qualità di stato, Amnesty International
criticò la decisione del procuratore di non riportare la questione ai giudici
della Cpi, come previsto dall'art. 19.3 dello Statuto di Roma, per una
decisione approfondita e trasparente. Si ricorda qui che il 29 novembre
2012 l'Assemblea generale delle Nazoni Unite riconobbe la Palestina
come stato osservatore non membro.
Alla fine del luglio 2014 un avvocato che rappresenta il ministro della
Giustizia palestinese Saleem al-Suqqa avrebbe presentato una denuncia
alla procuratrice della Cpi sui crimini commessi prima e durante
l'operazione "Margine protettivo", lanciata da Israele l'8 luglio.
Amnesty International chiede all'ufficio della procuratrice di rivedere
immediatamente la decisione sulla non validità della dichiarazione del
2009 e di riferire la questione alla Camera pre-processuale per una
decisione urgente.
L'Autorità palestinese dovrebbe emanare un'ulteriore dichiarazione
di accettazione della giurisdizione della Cpi sui crimini commessi a
partire dal 1° luglio 2002 e accedere allo Statuto di Roma
Considerando le differenti interpretazioni sul valore legale della
dichiarazione del 2009, l'Autorità palestinese dovrebbe presentarne
un'altra all'Ufficio del registro della Cpi. In questa nuova dichiarazione,
l'Autorità palestinese dovrebbe accettare la giurisdizione della Cpi sui
crimini commessi a partire dal 1° luglio 2002. Dovrebbe
contemporaneamente sottoporre al Segretario generale delle Nazioni Unite
la documentazione per accedere allo Statuto di Roma.
Negli ultimi giorni, alti funzionari palestinesi hanno fatto capire che
l'Autorità palestinese ha deciso di accedere allo Statuto di Roma ma che
nessuno strumento di accessione è stato ancora depositato.
Mentre un milione e 800.000 palestinesi della Striscia di Gaza stanno
subendo le conseguenze della terza massiccia operazione militare
israeliana in sei anni e le massicce distruzioni che ha comportato, di fronte
a una lista di possibili crimini di guerra in crescita ogni giorno che
richiederebbero un'indagine, l'Autorità palestinese deve depositare
l'ulteriore dichiarazione e accedere allo Statuto di Roma senza ritardo.
Sebbene Amnesty International ritenga che la procuratrice dovrebbe
comunque trasmettere la dichiarazione del 2009 alla Camera preprocessuale per una valutazione nel merito, una seconda dichiarazione
palestinese porrebbe la questione di nuovo di fronte alla procuratrice. In
questo modo, la stessa procuratrice potrebbe valutare gli sviluppi
successivi al 2009 che potrebbero confermare la capacità della Palestina di
depositare una dichiarazione valida e accedere allo Statuto di Roma.
In particolare, il 29 novembre 2012 l'Assemblea generale delle Nazioni
Unite ha adottato una risoluzione che conferma lo status della Palestina
come "stato osservatore non membro". Inoltre, il 2 aprile 2014, la
Palestina ha depositato gli strumenti di accessione alle Convenzioni di
Ginevra e a 15 trattati, tra cui importanti trattati sui diritti umani. La
richiesta è stata accolta dai soggetti competenti. A oggi solo tre dei 193
stati membri delle Nazioni Unite (Canada, Israele e Usa) hanno posto
obiezioni a queste accessioni.
Israele dovrebbe accedere allo Statuto di Roma e dichiarare di
accettare la giurisdizione della Cpi a partire dal 1° luglio 2002
Storicamente, Israele ha sostenuto le iniziative per sviluppare meccanismi
di giustizia internazionale, tra cui la giurisdizione universale e gli iniziali
tentativi per istituire una corte internazionale, in parte sulla base della
considerazione che i tribunali ad hoc - come quelli di Norimberga e Tokyo
istituiti dopo la Seconda guerra mondiale - non avrebbero un effettivo
9
potere deterrente rispetto ai futuri genocidi, crimini di guerra e crimini
contro l'umanità.
Israele ha sottoscritto lo Statuto di Roma il 31 dicembre 2000 ma,
nell'agosto 2002, ha ritirato la firma affermando che non intendeva
diventare stato parte del trattato.
Amnesty International sollecita Israele a riconsiderare la sua posizione
contraria alla Cpi e a impegnarsi verso lo stato di diritto accedendo allo
Statuto di Roma. La Cpi costituisce una possibilità di giustizia per le
vittime israeliane dei crimini di guerra commessi dai gruppi armati
palestinesi.
Inoltre, Amnesty International sollecita Israele a fare una dichiarazione di
accettazione della giurisdizione della Cpi a partire dal 1° luglio 2002, ai
sensi dell'art. 12.3 dello Statuto di Roma, per poter conferire alla Cpi
giurisdizione sui passati crimini di guerra e contro l'umanità.
L'opposizione di Israele alla Cpi e ai meccanismi di giustizia
internazionale protegge i responsabili di crimini di diritto internazionale e
non va incontro agli interessi delle vittime, che hanno diritto a un rimedio
effettivo, e a quelli dei cittadini israeliani, che continuano a vivere sotto la
minaccia dei razzi indiscriminati.
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe deferire la
situazione alla procuratrice della Cpi
A sua volta, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite potrebbe favorire
la giurisdizione della Cpi deferendo la situazione alla procuratrice. Nel
settembre 2009, il rapporto della commissione d'accertamento dei fatti
relativa al conflitto di Gaza del 2008-9 promossa dalle Nazioni Unite e
diretta dal giudice Richard Goldstone, raccomandò al Consiglio di
sicurezza di deferire la situazione al procuratore della Cpi se, entro sei
mesi, le autorità nazionali non avessero avviato un'indagine indipendente e
in buona fede sui crimini di guerra e contro l'umanità documentati dalla
commissione. Quasi cinque anni dopo, nonostante le schiaccianti prove
che indagini in linea con gli standard internazionale non siano state svolte,
il Consiglio di sicurezza non ha ancora agito. Gli stati membri, e in
particolare quelli permanenti, dovrebbero mettere da parte i loro interessi
geopolitici e agire in favore degli interessi delle vittime israeliane e
palestinesi di crimini di diritto internazionale.
L'Autorità palestinese è stata costantemente pressata, da parte degli Usa e
di Israele che non sono stati parte dello Statuto di Roma, a non prendere
alcuna iniziativa che potesse conferire giurisdizione alla Cpi. Inoltre,
alcuni stati parte dello Statuto di Roma e che a parole affermano di
sostenere la Cpi - tra cui Canada, Regno Unito e altri stati dell'Unione
europea - si oppongono all'accessione della Palestina alla Cpi o ad altre
misure che le darebbero giurisdizione sui crimini di diritto internazionale.
L'opposizione da parte del Regno Unito e di altri stati dell'Unione europea
alle iniziative per accertare le responsabilità dei crimini di guerra
commessi in Israele e nei Tpo contraddice la loro politica ufficiale di
sostegno alla Cpi come strumento chiave per porre fine all'impunità.
Alcuni di questi stati hanno in passato minacciato di condizionare
l'appoggio diplomatico e finanziario all'Autorità palestinese alla rinuncia,
di quest'ultima, ad accedere agli strumenti giuridici internazionali o
almeno al rinvio di misure che potrebbero dare giurisdizione alla Cpi,
sostenendo che passi del genere avrebbero potuto pregiudicare i negoziati
israelo-palestinesi sponsorizzati dagli Usa. L'Autorità palestinese dipende
notevolmente dall'assistenza internazionale degli stati donatori, ivi
compresa la fornitura di servizi essenziali nel campo sanitario e
dell'istruzione e di infrastrutture.
Amnesty International si oppone a ogni tentativo d'impedire all'Autorità
palestinese di presentare una dichiarazione per accedere allo Statuto di
Roma. Questi tentativi rafforzano l'impunità per i crimini di diritto
internazionale commessi in Israele e nei Tpo e impediscono alle vittime
israeliane e palestinesi di chiedere giustizia attraverso la Cpi.
Piuttosto, tutti gli stati - compresi gli Usa, il Canada e gli stati dell'Unione
europea - dovrebbero chiedere pubblicamente a Israele e all'Autorità
palestinese di accedere alla Cpi. Come minimo, tutti gli stati che
forniscono assistenza all'Autorità palestinese dovrebbero affermare
pubblicamente che la loro assistenza e il loro sostegno diplomatico non
sarebbero compromessi a seguito dell'accesso alla Cpi.
Nel marzo 2011, sia gli Usa e che il Regno Unito hanno votato contro una
risoluzione del Consiglio Onu dei diritti umani che chiedeva
all'Assemblea generale di sottoporre al Consiglio di sicurezza il rapporto
della commissione d'accertamento dei fatti del 2009, in modo che
quest'ultimo potesse valutare se deferire la situazione alla Cpi. Il Consiglio
Onu dei diritti umani aveva adottato la risoluzione dopo che il rapporto
della commissione aveva stabilito che sia le forze israeliane che Hamas
avevano commesso crimini di guerra durante il conflitto del 2008-9 e
dopo che due rapporti di un comitato di esperti indipendenti avevano
concluso che sia le autorità israeliane che l'amministrazione di fatto di
Hamas nella Striscia di Gaza non avevano condotto indagini credibili ed
efficaci. Amnesty International e molte altre organizzazioni per i diritti
umani sono giunte alla stessa conclusione. Il rapporto presentato nel
febbraio 2013 dalla commissione Turkel, nominata dal governo israeliano,
ha riscontrato gravi lacune nel sistema israeliano d'indagine sulle
violazioni commesse dalle forze armate. La commissione Turkel ha
presentato 18 raccomandazioni per rimediare a queste lacune ma, sulla
base delle informazioni di Amnesty International, quasi nessuna di esse è
stata attuata.
A questo punto, oltre tre anni dopo la risoluzione del Consiglio Onu dei
diritti umani, di fronte all'assenza di alcuna azione significativa
dell'Assemblea generale sul rapporto della commissione del 2009 e al
nuovo mortale conflitto che coinvolge i civili di Gaza e d'Israele, Amnesty
International sollecita il Consiglio di sicurezza ad agire e a fornire
giurisdizione alla Cpi.
Questa volta, il Consiglio di sicurezza deve agire con determinazione
deferendo alla procuratrice della Cpi la situazione in Israele e nei Tpo a
partire dal 1° luglio 2002 e chiedendo che tutti gli stati forniscano piena
cooperazione alla Cpi.
Amnesty International chiede a tutti gli stati membri del Consiglio di
sicurezza che detengono il potere di veto - tra cui gli Usa e il Regno Unito
- di non bloccare questo deferimento.
L'organizzazione per i diritti umani ricorda che gli Usa e il Regno Unito
hanno duramente criticato la decisione di Russia e Cina di porre in veto a
una risoluzione del maggio 2014 sul deferimento alla procuratrice della
Cpi della situazione in Siria e chiede che non usino due pesi e due misure,
bloccando - questa volta loro - il deferimento di una situazione molto
grave per proteggere i loro interessi geopolitici.
Amnesty International ricorda che l'esperienza ha dimostrato che porre
fine all'impunità e assicurare il rispetto per i diritti umani e per il diritto
internazionale umanitario è assolutamente essenziale per ottenere una pace
giusta e durevole in Israele e nei Tpo.
Violazioni del diritto internazionale umanitario durante l'attuale
conflitto Israele/Gaza
Da quando, l'8 luglio 2014, Israele ha lanciato l'operazione "Margine
protettivo", nella Striscia di Gaza sono morti oltre 1800 palestinesi (circa
tre quarti dei quali - secondo dati delle Nazioni Unite - civili) e oltre 9400
sono rimasti feriti, molti dei quali in modo grave. Le forze israeliane
hanno condotto attacchi indiscriminati in aree densamente popolate e
attacchi diretti contro abitazioni e altri obiettivi civili, violando il diritto
internazionale e, come prevedibile, uccidendo e ferendo molti civili.
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Alcuni di questi attacchi costituiscono probabilmente crimini di guerra. Le
forniture umanitarie e sanitarie sono state fortemente compromesse e, in
alcuni casi, attaccate e infrastrutture fondamentali per i servizi idrici,
igienici ed elettrici sono state gravemente danneggiate.
In tutta la Striscia di Gaza, migliaia di abitazioni, almeno 23 strutture
mediche, uffici governativi e di organi d'informazione nonché
infrastrutture idriche e igieniche sono state distrutte o seriamente
danneggiate. Gli abitanti della Striscia di Gaza - 1.800.000 persone ricevono forniture minime di acqua insalubre; in alcune zone, l'acqua è
venuta a mancare del tutto per giorni a causa dei continui attacchi. Il 29
luglio, le forze israeliane hanno colpito l'unica centrale elettrica di Gaza,
mettendola fuori uso e distruggendo la fonte primaria di elettricità, in un
attacco che molto probabilmente costituisce un crimine di guerra e una
punizione collettiva nei confronti dell'intera popolazione di Gaza.
Gli ospedali, già sovraffollati, attaccati e privi di medicinali e attrezzature
fondamentali, stanno subendo anche la mancanza di energia elettrica e
carburante per i generatori mentre continuano a ricevere decine e decine di
feriti.
Le forze israeliane hanno dato istruzioni a centinaia di migliaia di abitanti
di intere aree della Striscia di Gaza di muoversi verso i rifugi o altre zone,
provocando uno sfollamento di massa dei civili palestinesi. Secondo
l'Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha), al 31 luglio
2014 i profughi interni erano circa 485.000, rifugiati nelle scuole
dell'Agenzia per i rifugiati palestinesi (Unrwa) e del ministero
dell'Istruzione o in altre strutture pubbliche. Almeno altre 200.000 persone
si sono rifugiate presso parenti e abitazioni private.
Almeno sei scuole dell'Unrwa sono state colpite da attacchi diretti, che in
alcuni casi hanno causato la morte e il ferimento di persone che si erano
rifugiate al loro interno. Circa 137 scuole della Striscia di Gaza sono state
danneggiate. A Gaza non esistono rifugi antiaerei e i ripetuti attacchi
contro le scuole dell'Unrwa che fungevano da rifugi hanno dimostrato che
a Gaza non c'è alcun posto sicuro per i civili.
Le dichiarazioni dell'esercito e di esponenti politici israeliani, secondo le
quali le abitazioni di persone associate ad Hamas e quelle dei suoi leader
politici sono obiettivi legittimi, indicano che Israele ha adottato regole
d'ingaggio non conformi al diritto internazionale umanitario e potrebbero
costituire la prova che almeno alcuni degli attacchi contro le abitazioni
civili facciano parte di una politica deliberata. Sebbene le autorità
israeliane abbiano dichiarato di aver avvertito i civili, è emerso uno
schema secondo il quale le loro azioni non hanno costituito un "avviso
effettivo" sulla base del diritto internazionale umanitario. Destano
ulteriore preoccupazione i rapporti sempre più numerosi su medici che
cercavano di evacuare morti e feriti, operai impegnati a riparare le
infrastrutture idriche e igieniche danneggiate e giornalisti finiti sotto il
fuoco israeliano e in alcuni casi feriti o uccisi. Gli attacchi diretti contro la
popolazione civile e gli obiettivi civili, così come gli attacchi
indiscriminati o sproporzionati che sono intenzionali e che uccidono o
feriscono civili, costituiscono crimini di guerra.
Durante le prime tre settimane di conflitto, l'ala militare di Hamas e altri
gruppi armati palestinesi hanno lanciato oltre 2900 razzi e mortai
indiscriminati in territorio israeliano. I razzi e i mortai non possono essere
diretti in modo preciso contro obiettivi militari, il ché significa che
lanciarli è di per sé un crimine di guerra.
Secondo dichiarazioni rilasciate da Hamas e dai gruppi armati palestinesi,
alcuni degli attacchi avevano l'intenzione di uccidere e ferire civili.
Secondo fonti mediche israeliane, tre civili israeliani sono stati uccisi e
almeno altri 29 - bambini inclusi - sono rimasti feriti a causa di schegge
dei razzi o di vetri andati in frantumi. Le strutture sanitarie israeliane
hanno anche fornito cure a centinaia di persone ricoverate per lievi ferite e
soprattutto per attacchi di panico.
In Israele sono state anche danneggiate abitazioni e altre proprietà civili.
In ampie parti del paese la popolazione è stata costretta a correre nei rifugi
più volte al giorno e molti abitanti delle città e dei villaggi del sud hanno
lasciato le loro case. In altre comunità israeliane, come i villaggi beduini
"non riconosciuti", la popolazione è priva di rifugi e del tutto priva di
protezione rispetto agli attacchi indiscriminati.
I gruppi armati palestinesi della Striscia di Gaza stanno violando il diritto
internazionale umanitario anche lanciando razzi da zone abitate, in alcuni
casi da siti molti civili a edifici civili e ammassano munizioni in zone
abitate, in alcuni casi all'interno di edifici civili. Ciò mette in pericolo la
popolazione civile di Gaza e viola l'obbligo di prendere tutte le opportune
precauzioni per proteggere i civili dalle conseguenze degli attacchi nelle
aree sotto il loro controllo.
Alle vittime israeliane si devono aggiungere 64 militari uccisi dal 17
luglio 2014, giorno dell'inizio delle operazioni di terra nella Striscia di
Gaza.
L'impunità per pregressi crimini di guerra e contro l'umanità e altre
gravi violazioni del diritto internazionale umanitario
Prima dell'attuale conflitto, Amnesty International ha documentato per
molti anni crimini di guerra, crimini contro l'umanità e altre persistenti e
gravi violazioni del diritto internazionale umanitario da parte di Israele, di
Hamas e dei gruppi armati palestinesi.
Durante l'operazione "Pilastro di difesa", lanciata da Israele contro la
Striscia di Gaza nel novembre 2012 e durata otto giorni, furono uccisi
oltre 165 palestinesi tra cui oltre 30 bambini e altri 70 civili. Amnesty
International registrò almeno 18 attacchi coi missili in cui vennero uccisi
civili che non stavano direttamente prendendo parte alle ostilità e ulteriori
attacchi indiscriminati e sproporzionati, come quelli contro sedi di organi
d'informazione. Quattro civili israeliani furono uccisi dai razzi
indiscriminati lanciati da Gaza.
Per quanto sia a conoscenza di Amnesty International, l'avvocatura
generale militar israeliana non aprì alcuna indagine sulle violazioni
commesse durante l'offensiva e altrettanto fece l'amministrazione di fatto
di Hamas rispetto al lancio indiscriminato di razzi e all'uccisione
sommaria di sette palestinesi arrestati per presunto "collaborazionismo"
con Israele.
L'operazione "Piombo fuso", terminata il 19 gennaio 2009 dopo 22 giorni
di offensiva militare contro la Striscia di Gaza, provocò la morte di circa
1400 palestinesi, in maggior parte civili. Durante il conflitto vennero
uccisi anche 13 israeliani, inclusi tre civili.
Entrambe le parti commisero gravi violazioni del diritto internazionale
umanitario, compresi crimini di guerra. Le forze israeliane uccisero civili
palestinesi usando armi di precisione o lanciando attacchi indiscriminati
che non fecero distinzione tra legittimi obiettivi militari e civili, e
colpirono proprietà e infrastrutture civili, centri delle Nazioni Unite,
personale e strutture mediche.
Le forze israeliane, inoltre, usarono tipi di armamento con modalità che
costituiscono attacchi indiscriminati, come l'uso del fosforo bianco in aree
densamente popolate. L'ala militare di Hamas e gli altri gruppi armati
palestinesi lanciarono razzi e mortai indiscriminati contro il sud d'Israele.
Sia Israele che l'amministrazione di fatto di Hamas a Gaza non condussero
indagini credibili e indipendenti in linea con gli standard internazionali.
L'amministrazione di fatto di Hamas mancò del tutto di punire i
responsabili di crimini di diritto internazionale, mentre l'avvocatura
generale militare israeliana si limitò a incriminare quattro soldati in
relazione a tre distinti casi.
Il periodo tra l'inizio della seconda intifada (settembre 2000) e la guerra
del 2008-9, soprattutto i primi cinque anni, fu caratterizzato da violazioni
di massa dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, compresi
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crimini di guerra e contro l'umanità.
Durante quel periodo, le forze israeliane uccisero circa 4000 palestinesi, la
maggior parte dei quali civili non armati, tra cui circa 800 bambini. Molte
vittime furono uccise dai raid aerei, dai colpi d'artiglieria e da altri attacchi
contro i campi rifugiati e altre aree densamente abitate dei Tpo. Altri
palestinesi furono vittime di esecuzioni extragiudiziali in attacchi che
uccisero decine di persone del tutto estranee a quanto stava accadendo.
Migliaia di palestinesi durono arrestati e condannati a lunghi periodi di
detenzione amministrativa, senza accusa né processo. Molti detenuti
furono sottoposti a torture e altri maltrattamenti.
Le autorità israeliane inoltre eseguirono demolizioni illegali di massa di
abitazioni palestinesi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania e costruirono
una barriera difensiva (secondo terminologia israeliane; muro, secondo
quella palestinese) di 700 chilometri lungo la Cisgiordania e parti di
Gerusalemme, causando ingenti danni a lungo termine ai palestinesi e
pregiudicando la possibilità degli abitanti di decine di villaggi e comunità
di beneficiare di un'ampia gamma di diritti umani. Le autorità israeliane
proseguirono a costruire ed espandere gli insediamenti illegali. Queste
politiche e azioni illegali proseguono tutt'oggi.
Nello stesso periodo, i gruppi armati palestinesi uccisero oltre 1100
israeliani, circa 750 dei quali civili compresi 120 bambini, in attacchi
suicidi e sparatorie contro autobus, ristoranti, centri commerciali e altre
aree frequentate dalla popolazione civile.
(fonte: Amnesty Italia - segnalato da: Giorgio Beretta)
link: http://www.amnesty.it/Israele-Territori-Palestinesi-Occupati-la-Corte-penaleinternazionale-deve-indagare-sui-crimini-di-guerra
L’incubo di Gaza (di Noam Chomsky)
Lo scopo di tutti gli orrori a cui stiamo assistendo durante l’ultima
offensiva israeliana contro Gaza è semplice: tornare alla normalità.
Per la Cisgiordania, la normalità è che Israele continui a costruire
insediamenti e infrastrutture illegali per inglobare nel suo territorio tutto
quello che ha un minimo di valore, lasciando ai palestinesi i luoghi meno
vivibili e sottoponendoli a repressioni e violenze. Per Gaza, la normalità è
tornare a una vita insopportabile sotto un assedio crudele e devastante che
non consente nulla di più della mera sopravvivenza.
La scintilla che ha provocato l’ultimo attacco israeliano è stato il brutale
assassinio di tre ragazzi di un insediamento della Cisgiordania occupata.
Un mese prima, a Ramallah erano stati uccisi due ragazzi palestinesi, ma
la loro morte aveva fatto poco scalpore. Cosa comprensibile, visto che è la
norma. “Il disinteresse istituzionalizzato di tutto l’occidente non solo ci
aiuta a capire perché i palestinesi ricorrono alla violenza”, dice l’esperto di
questioni mediorientali Mouin Rabbani, “ma spiega anche l’ultimo attacco
di Israele contro la Striscia di Gaza”.
L’attivista per i diritti umani Raji Sourani, che vive a Gaza da anni
nonostante l’atmosfera di terrore e i continui episodi di violenza, ha
dichiarato in un’intervista: “Quando si comincia a parlare di cessate il
fuoco, la frase che sento dire più spesso è: ‘Per noi è meglio morire che
tornare alla situazione in cui eravamo prima di questa guerra. Non
vogliamo che sia di nuovo così. Non abbiamo più né dignità né orgoglio,
siamo bersagli facili, la nostra vita non vale nulla. O la situazione migliora
sul serio o preferiamo morire’. E sto parlando di intellettuali, accademici,
persone comuni. Tutti dicono la stessa cosa”.
Nel gennaio del 2006, quando si sono svolte elezioni libere e attentamente
monitorate, i palestinesi hanno commesso un terribile crimine: hanno
votato nel modo sbagliato, dando il controllo del parlamento a Hamas.
I mezzi d’informazione continuano a ripetere che Hamas vuole la
distruzione di Israele. In realtà i suoi leader hanno chiarito più di una volta
che accetterebbero la soluzione dei due stati che è stata proposta dalla
comunità internazionale e che Stati Uniti e Israele bloccano da
quarant’anni. Israele, invece, a parte gli occasionali discorsi vuoti, vuole la
distruzione della Palestina e sta mettendo in atto il suo piano.
I palestinesi sono stati immediatamente puniti per il crimine commesso nel
2006. Stati Uniti e Israele, con il vergognoso consenso dell’Europa, hanno
imposto durissime sanzioni alla popolazione colpevole e Israele ha alzato
il livello della violenza. Con l’appoggio degli Stati Uniti ha subito
progettato un colpo di stato militare per rovesciare il governo eletto.
Quando Hamas ha avuto la sfrontatezza di sventare quel piano, gli attacchi
si sono intensificati.
Non dovrebbe essere necessario ricordare tutto quello che è successo da
allora. L’assedio e i violenti attacchi sono stati intervallati da momenti in
cui “si falciava il prato”, per usare la simpatica espressione con cui Israele
definisce gli omicidi indiscriminati nell’ambito di quella che chiama la sua
“guerra di difesa”. Una volta che il prato è stato falciato e la popolazione
indifesa cerca di ricostruire qualcosa dalle rovine, di solito si arriva a un
accordo per il cessate il fuoco. L’ultimo è stato deciso dopo l’attacco
israeliano dell’ottobre 2012, chiamato Operazione pilastro di difesa.
Anche se ha continuato il suo assedio, Israele ha ammesso che Hamas ha
rispettato quel cessate il fuoco. La situazione è cambiata nell’aprile del
2014, quando Hamas e Al Fatah hanno stretto un patto di unità nazionale
che prevedeva la formazione di un governo di tecnocrati non associati a
nessuno dei due partiti. Naturalmente Israele si è infuriato, e la sua rabbia
è cresciuta quando gli Stati Uniti e il resto dell’occidente hanno approvato
il patto, che non solo indebolisce l’affermazione di Israele secondo cui è
impossibile trattare con una Palestina divisa, ma anche il suo obiettivo a
lungo termine di dividere la Striscia di Gaza dalla Cisgiordania.
Bisognava fare qualcosa, e l’occasione si è presentata il 12 giugno,
quando in Cisgiordania sono stati uccisi i tre ragazzi israeliani. Il governo
di Benjamin Netanyahu sapeva dall’inizio che erano morti, ma ha finto di
ignorarlo fino a quando non sono stati ritrovati i corpi, così da avere
l’opportunità di attaccare la Cisgiordania. Il primo ministro Netanyahu ha
affermato di sapere con certezza che Hamas era responsabile di quelle
morti. Ma anche quella era una bugia.
Uno dei maggiori esperti israeliani di Hamas, Shlomi Eldar, ha dichiarato
quasi immediatamente che gli assassini dei ragazzi probabilmente
appartenevano a un gruppo dissidente di Hebron che da tempo è una spina
nel fianco per Hamas. E ha aggiunto: “Sono sicuro che non sono stati
autorizzati dai leader di Hamas, hanno solo pensato che fosse il momento
giusto per agire”.
Ma i 18 giorni di offensiva seguiti al rapimento sono riusciti a mettere in
crisi il tanto temuto governo di unità e hanno consentito a Israele di
intensificare la repressione, sferrando decine di attacchi anche contro
Gaza. In quello del 7 luglio sono morti cinque membri di Hamas, che poi
ha reagito lanciando razzi (i primi da 19 mesi) e fornendo così il pretesto
per lanciare l’Operazione margine di protezione dell’8 luglio.
Alla fine di luglio i morti palestinesi erano già 1.400, quasi tutti civili, tra
cui centinaia di donne e bambini, mentre solo tre civili israeliani erano
morti. Vaste zone di Gaza sono ridotte in macerie e quattro ospedali sono
stati bombardati, il che costituisce un crimine di guerra.
Le autorità israeliane si vantano dell’umanità di quello che definiscono
“l’esercito più virtuoso del mondo”, perché prima di bombardare una casa
avverte le persone che ci abitano. In realtà si tratta solo di “sadismo
ipocritamente travestito da clemenza”, per usare le parole della giornalista
israeliana Amira Hass, “un messaggio registrato che chiede a centinaia di
migliaia di persone di lasciare le loro abitazioni già prese di mira, per
andare in un altro posto altrettanto pericoloso a dieci chilometri di
distanza”. Non esiste nessun posto nella prigione di Gaza in cui si può
essere al sicuro dal sadismo israeliano, che potrebbe anche superare i
terribili crimini dell’Operazione piombo fuso del 2008-2009.
Tanto orrore ha suscitato la solita reazione dal parte del presidente più
virtuoso del mondo, Barack Obama, che ha espresso grande simpatia per
12
gli israeliani, ha condannato duramente Hamas e invitato alla moderazione
entrambe le parti.
Quando questa ondata di attacchi avrà fine, Israele spera di essere libero di
riprendere la sua politica criminale nei territori occupati senza alcuna
interferenza e con il sostegno che gli Stati Uniti gli hanno sempre
garantito. Gli abitanti della Striscia di Gaza saranno invece liberi di
tornare alla normalità della loro prigione, mentre i palestinesi che vivono
in Cisgiordania potranno stare tranquillamente a guardare Israele che
smantella quel che resta dei loro possedimenti.
Questo è quanto probabilmente succederà se gli Stati Uniti continueranno
a fornire il loro appoggio decisivo e praticamente unilaterale a Israele e a
respingere una soluzione diplomatica a lungo sostenuta dalla comunità
internazionale. Ma se gli Stati Uniti ritirassero quell’appoggio, il futuro
sarebbe molto diverso.
In quel caso si potrebbe andare verso quella “soluzione duratura” per la
Striscia di Gaza che il segretario di stato John Kerry ha auspicato
suscitando reazioni isteriche da parte di Israele, perché quell’espressione
poteva essere interpretata come un invito a mettere fine al loro assedio e,
orrore degli orrori, addirittura come un invito ad applicare il diritto
internazionale nel resto dei territori occupati.
Quarant’anni fa Israele prese la fatale decisione di preferire l’espansione
alla sicurezza, respingendo il trattato di pace offerto dall’Egitto in cambio
dell’evacuazione dal Sinai, che Israele aveva occupato e dove stava dando
il via ai suoi insediamenti. Da allora non ha mai abbandonato questa
politica.
Se gli Stati Uniti decidessero di schierarsi con il resto del mondo, le cose
cambierebbero molto. Più di una volta Israele ha rinunciato ai suoi piani
quando Washington glielo ha chiesto. Questi sono i rapporti di potere tra i
due paesi.
Dopo aver adottato politiche che l’hanno trasformato da paese ammirato
da tutti a stato temuto e disprezzato, politiche che ancora oggi persegue
con cieca determinazione nella sua marcia verso la decadenza morale e
forse la distruzione finale, ormai Israele non ha molte alternative.
È possibile che la politica statunitense cambi? Forse. In questi ultimi anni
l’opinione pubblica, soprattutto tra i giovani, si è notevolmente spostata e
non può essere ignorata del tutto. Già da alcuni anni i cittadini chiedono a
Washington di rispettare le sue stesse leggi, che proibiscono di “fornire
alcuna assistenza a paesi il cui governo viola costantemente i diritti umani
internazionalmente riconosciuti”, e impongono quindi di ridurre gli aiuti
militari a Israele.
Israele è di sicuro colpevole di queste costanti violazioni, e lo è da molti
anni. Il senatore del Vermont Patrick Leahy, che ha proposto questa legge,
ha sollevato l’ipotesi che possa essere applicata a Israele in alcuni casi
specifici. Con una campagna educativa ben organizzata si potrebbe
lanciare un’iniziativa in questo senso, che già in sé avrebbe un notevole
impatto e potrebbe costituire un trampolino di lancio per ulteriori azioni
volte a costringere Washington a schierarsi con “la comunità
internazionale” e a rispettare le sue leggi.
Non c’è niente di più importante per i palestinesi, vittime di anni di
violenza e repressione.
(Traduzione di Bruna Tortorella)
(fonte: Internazionale - segnalato da: Centro Studi Sereno Regis)
link: http://www.internazionale.it/opinioni/noam-chomsky/2014/08/04/lincubo-digaza/
Corsi / strumenti
Scuola Estiva di Alta Formazione VIII Edizione:
"Diritto e Diritti" - Invito
Siamo lieti di invitarvi alla inaugurazione dell’ottava edizione del
seminario di Scuola Estiva di Alta Formazione che si svolgerà a Viareggio
il prossimo 28 agosto alle ore 18 presso la sala APT del Palazzo delle
Muse Piazza Mazzini piano 2 alla presenza dei rappresentanti delle
autorità, delle associazioni partecipanti e del comitato scientifico.
Introdurrà i lavori il Dott. Gianni Tognoni ,direttore Istituto Negri Sud e
Segretario Generale del Tribunale Permanente dei Popoli con la relazione:
“Storia ed implicazioni di una difficile-indefinibile relazione tra un
singolare ed un plurale”
Vi alleghiamo il programma del seminario e ci auguriamo che possiate
essere presenti alla inaugurazione con preghiera di darcene cortese
conferma.
Distinti saluti
link: http://www.aadp.it/dmdocuments/evento1781.pdf
Associazioni
SOS Volontari turni di notte Casa di Accoglienza di
via Godola a Massa (di AVAA)
Dopo la chiusura estiva consueta, nei mesi di luglio e agosto, la casa di
Accoglienza di via Godola, a Massa, che da 30 anni è un rifugio
provvisorio per le persone senza casa, non può riaprire il 1° settembre
prossimo, come previsto, a causa della mancanza di volontari per il turno
di notte.
E' previsto, infatti, che due volontari dormano alla Casa di Accoglienza (in
una camera con bagno riservata a loro), con turni a cadenza quindicinale,
provvedendo a svegliare gli ospiti la mattina e preparare la colazione,
secondo le esigenze lavorative degli operatori (generalmente gli ospiti
escono tra le 7.00 e le 7.30).
Trovandoci nella necessità di sostituire alcuni volontari che finora
avevano assicurato il servizio notturno, ci vediamo impossibilitati a poter
assicurare la riapertura della casa fin tanto che non troveremo persone
disposte a donare un pò dle loro tempo.
Per questo motivo facciamo appello a quanti vogliano vivere questa
esperienza di servizio e di volontariato accanto agli ultimi a darci una
mano ogni quindici giorni, permettendoci così di riaprire la Casa di
Accoglienza, permettendo a moltisisme perosne di trovare un rifugio
provvisorio per qualche giorno.
La Casa di Accoglienza è gestita da 30 anni dall'Associazione Volontari
Ascolto e Accoglienza, che, fin dalla sua fondazione, opera nelle
situaizoni di marginalità estrema e disagio.
Per ulteriori informazioni: [email protected], Gino: 339-5829566
link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2131
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