Cento anni fa cessava la pubblicazione Lacerba, giornale artistico

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Cento anni fa cessava la pubblicazione Lacerba, giornale artistico
ANNO
NUMERO
V
55
il giornale è anche
sul sito
www.williamdimarco.it
DICEMBRE 2015
E-mail:
[email protected]
Approfondimenti culturali e analisi storica
Chorus periodico edito dall’associazione culturale Cerchi Concentrici Promotor - Reg. Tribunale di Teramo n° 641/2010 del 30-12-2010
Direttore Responsabile: William Di Marco - fax. 085.893.34.05 - Stampa: Tipolitorosetana
Cento anni fa cessava la pubblicazione Lacerba, giornale artisticoletterario che, insieme ad altri, diede lustro alla fucina di tali
iniziative: Firenze
Molti periodici del tempo trasbordarono idee solo apparentemente conformiste in un campo minato che era quello della
provocazione. Diverse delle affermazione degli autori di queste testate erano poco condivisibili, in modo particolare
quando prendevano a pretesto il superomismo dannunziano e nietzschiano
di William Di Marco
Il 22 maggio 1915, proprio nel momento in cui l’Italia, dopo aver firmato il Patto di Londra, stava per entrare nel Primo Conflitto
Mondiale da lì a due giorni, cessavano le pubblicazioni di Lacerba, una delle riviste più importanti del movimento avanguardistico
italiano, in edicola dal 1913. La culla di questo proliferare di testate era Firenze e non pochi intellettuali si incontravano su tali fogli
per dare sfogo alla loro visione del mondo, certamente anticonformista e contro lo status quo che si stava delineando. Molti di questi
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Pavone: old-sinistra!
Una volta c’era chi votava Pci, poi Pds, poi Ds, poi… (dopo tanti puntini) Pd, perché dicevano rappresentassero i
lavoratori. Oppure votavano a destra perché dicevano che era il partito dei moderati. Adesso pure i ciechi si accorgono che
non è così, ma continuano a votarli
di Ugo Centi*
E se l’unico “old-sinistra” fosse lui? Quel Pavone Enio dai… socialisti… rosetani? Viene Pallante, filosofo della
decrescita, e lui presenta la cosa in Comune manco fosse un no-global! C’è un bando per accogliere i rifugiati,
ed eccolo approfittarne subito. La spesa pubblica? Tutto un tassa e spendi, come negli anni d’oro del Garofano
Craxiano. Il sociale? Preservato il più possibile (pardon: questo merito va all’assessore Alessandro Recchiuti,
uno davvero bravo). Insomma, di liberale? Nulla. Di destra? Non più di come può essere di destra la politica
del Pd. Di immobilismo politico, di conservatorismo, di zero innovazione politica? Tutto. Come tutto è anche
il Pd, sempre politicamente parlando. Vabbè, li vogliamo chiamare con nomi di fantasia. Nomi non presi (!)
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L’Università italiana: come mai non crea più
smarcamento sociale?
Roseto: gli alberi di via Colombo, il Premio
Attila e le considerazioni del Gran Capo Seattle
Saggio di un ragazzo (come tanti altri) che analizza i dubbi, le
paure, e anche le speranze riposte nei suoi studi
Parla un albero e dice di aver trasformato in materia organica
l’energia radiante del sole e di aver riversato nell’atmosfera
tanto ossigeno a beneficio dei rosetani e dei turisti. Forse
i vicini di casa, che sono riconoscenti e gli vogliono bene,
potrebbero aiutarlo
di Alberto Di Nicola*
di Franco Sbrolla*
“Ah, ma ai miei tempi l’università era tutta
un’altra cosa! I professori spiegavano molto
meglio! Si che, ai miei tempi, l’università era la
culla della cultura, qualcosa su cui investire!”
Bene, questa è una delle frasi più celebri che mi
sono sentito dire da parte di un membro della
mia precedente generazione, la generazione dei
Sono un albero, uno dei maestosi pini da abbattere
in via Colombo, marchiati con la svastica (come
quelle usate dai nazisti per indicare gli ebrei
che venivano poi soppressi nei forni crematori).
Eppure, per tantissimi anni non ho fatto solo da
rifugio degli uccelli e da ornamento e difesa dalla
continua a pag. 3
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Cento anni...
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periodici trasbordarono idee solo
apparentemente
conformiste
in
un campo minato che era quello
della provocazione. Diverse delle
affermazione degli autori di queste
testate erano poco condivisibili, in
modo particolare quando prendevano
a pretesto il superomismo dannunziano
e nietzschiano (spesso travisato e mal
interpretato) per far valere un concetto
di superiorità delle razze, come se fosse
lecito stilare una lista dei più idonei a
comandare il mondo, rispetto invece a
quelli che dovevano essere catalogati
come inferiori e subalterni. Ma bisogna
contestualizzare le posizioni di questi
intellettuali, che erano fortemente
provocatorie.
Si
ammantavano
di iperboli per sconfiggere un
conformismo dato dall’appiattimento
della società le quali, in nome del
progresso fine a se stesso, non avevano
in mente cosa si stava delineando
all’orizzonte. E fu proprio la Grande
Guerra a mettere a tacere qualsiasi
voglia di manifestare una prosecuzione
di crescita basata sul colonialismo e
sull’imperialismo, come d’altronde
anche le avanguardie rimasero attonite
su quelle che inizialmente dovevano
essere delle semplici istigazioni di puro
stampo artistico-formale. Però le cose
andarono diversamente e intorno a
queste riviste si cominciò a parlare più
della complessità di una vita mutante e
piena di prismatiche sfaccettature, che
del ricondurre tutto a una questione
prettamente “estetizzante” e di rilievo
intellettivo che solo l’artista sapeva
comprendere sino in fondo.
Lacerba ebbe un certo seguito, dovuto
alle firme che vi scrissero. Innanzitutto
Giovanni Papini tra i principali
animatori, nonché direttore della
testata. Poi ad affiancarlo troviamo il
pittore Ardengo Soffici e lo scrittorepoeta Aldo Palazzeschi, insieme
all’autore Italo Tavolato. All’inizio si
posero tutti su posizioni che in qualche
modo richiamavano il Futurismo, anche
se di tale movimento non condivisero
l’esagerazione alle volte riluttante
di opporsi alle regole che il passato
comunque ci aveva tramandato. Questo
periodo fu veramente florido per il
capoluogo toscano, che conobbe prima
la pubblicazione Leonardo (in stampa dal
1903 al 1907), poi Il Regno (1903-1906),
Hermes (1904-1906) e La Voce (1908-1916),
quest’ultima forse la più importante e
che comunque fu diretta anche dallo
stesso Papini. In tali fogli c’era un senso
forte di nazionalismo, misto agli ideali
antipositivisti, poiché la scienza applicata
aveva invaso anche il mondo dell’arte,
facendolo diventare molto didascalico
e al servizio di una razionalità che tutto
voleva spiegare. Le riflessioni di Lacerba
sconfinavano anche in atteggiamenti
antidemocratici, che presero sempre
più corpo in una fase in cui l’Europa
stava finendo dritta nelle maglie atroci
e ingarbugliate del conflitto armato.
Tuttavia questo fermento così importante
culturalmente fece da apripista o amplificò
un movimento avanguardistico storico
che vedrà l’Espressionismo, il Futurismo,
il Dadaismo e il Surrealismo tra le forze
creative di nuovo conio, capaci di aprire
uno sguardo diverso e provocatorio sul
mondo della letteratura e dell’arte.
Il primo editoriale della rivista, dal titolo
Introibo, è in sedici punti, ed è un vero
capolavoro di “satanismo fin-de-siècle” per
dirla con Vassalli.
1. Le lunghe dimostrazioni razionali
non convincono quasi mai quelli che non
son convinti prima − per quelli che son
d’accordo bastano accenni, tesi, assiomi.
2. Un pensiero che non può esser detto in
poche parole non merita d’esser detto.
3. Chi non riconosce agli uomini di
ingegno, agli inseguitori, agli artisti il pieno
diritto di contraddirsi da un giorno all’altro
non è degno di guardarti.
4. Tutto è nulla, nel mondo, tranne il
genio. Le nazioni vadano in sfacelo ma
crepino di dolore i popoli se ciò è necessario
perché un uomo creatore viva e vinca.
5. Le religioni, le morali, le leggi hanno
la sola scusa nella fiacchezza e canaglieria
degli uomini e nel loro desidero di star più
tranquilli e di conservare alla meglio i loro
aggruppamenti. Ma c’è un piano superiore −
dell’uomo solo, intelligente e spregiudicato
− in cui tutto è permesso e tutto è legittimo.
Che lo spirito almeno sia libero!
6. Libertà.
Non
chiediamo
altro;
chiediamo soltanto la condizione elementare
perché l’io spirituale possa vivere. E anche
se dovessimo pagarlo coll’imbecillità
saremo liberi.
7. Arte: giustificazione del mondo
− contrappeso nella bilancia tragica
dell’esistenza. Nostra ragione di essere, di
accettare tutto con gioia.
8. Sappiamo troppo, comprendiamo
troppo: siamo a un bivio. O ammazzarsi −
o combattere, ridere e cantare. Scegliamo
questa via − per ora.
9. La vita è tremenda, spesso. Viva la vita!
10. Ogni cosa va chiamata col suo nome.
Le cose di cui non si ha il coraggio di parlare
francamente dinanzi agli altri sono spesso
le più importanti nella vita di tutti.
11. Noi amiamo la verità fino al paradosso
(incluso) − la vita fino al male (incluso) − e
l’arte fino alla stranezza (inclusa).
12. Di serietà e di buon senso si fa oggi
un tal spreco nel mondo, che noi siamo
costretti a farne una rigorosa economia. In
una società di pinzocheri anche il cinico è
necessario.
13. Noi siamo inclini a stimare il bozzetto
più della composizione, il frammento più
della statua, l’aforisma più del trattato, il
genio mancato e disgraziato ai grand’uomini
olimpici e perfetti venerati dai professori.
14. Queste pagine non hanno affatto lo
scopo né di far piacere, né d’istruire, né
di risolvere con ponderatezza le più gravi
questioni del mondo. Sarà questo un foglio
stonato, urtante, spiacevole e personale.
Sarà uno sfogo per nostro beneficio e per
quelli che non sono del tutto rimbecilliti
dagli odierni idealismi, riformismi,
umanitarismi, cristianismi e moralismi”.
15. Si dirà che siamo ritardatari.
Osserveremo soltanto, tanto per fare, che
la verità, secondo gli stessi razionalisti, non
è soggetta al tempo e aggiungeremo che i
Sette Savi, Socrate e Gesù sono ancora un
po’ più vecchi dei sofisti, di Stendhal, di
Nietzsche e di altri “disertori”.
16. Lasciate ogni paura, o voi ch’entrate!
[Lacerba] Ebbe carattere di violenta
polemica contro l’arte e il costume borghesi,
contro il conformismo e quietismo così degli
individui come dei popoli, auspicando la
guerra e la rivoluzione; ma fu polemica non
tanto di idee (che erano in fondo quelle di
un estremo antitradizionalismo da un lato e
di un acceso nazionalismo e interventismo
dall’altro), quanto di parole, che si spinsero
alle maggiori libertà e bizzarrie (come dice
già il titolo, modellato su quello dell’Acerba
di Cecco d’Ascoli), con modi decisamente
futuristi. Segna infatti il momento futurista,
e in certo senso surrealista del vocianesimo,
accogliendo fra i suoi collaboratori, accanto
a quelli più “di punta” de La Voce (Dino
Campana, Aldo Palazzeschi, Corrado
Govoni, Piero Jahier, Giuseppe Ungaretti
ecc.), lo stesso Filippo Tommaso Marinetti
(almeno in un primo tempo), Umberto
Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo e, fra
gli stranieri, Guillaume Apollinaire. (da
l’Enciclopedia Treccani)
Università ...
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professionisti, dei quadri dirigenziali e dei
professori che, grazie all’università e alle
buone prospettive lavorative, è riuscita
a far carriera e a garantire una buona
prima parte di esistenza ai propri figli.
Diciamoci la verità: tra noi giovani esiste
la forte convinzione che la generazione
appena citata sarà la prima ad essere più
ricca di quella successiva. E proprio per
questo, al momento di cominciare un
percorso universitario, così come fatto
dai nostri genitori, ci chiediamo in modo
incalzante se davvero, come spesso ci
sentiamo dire dai nostri predecessori,
il sistema universitario italiano abbia
subito un brusco calo oppure le minori
prospettive economiche per noi giovani
sono dovute esclusivamente alla “crisi”.
Tempo fa lessi una serie di articoli di
uno dei quotidiani più in voga tra i
giovani (probabilmente l’unico, data la
sua attitudine ad andare controcorrente
al modus operandi di tutti gli altri
quotidiani, che possiamo identificare
come gli “storici”) in cui il vicedirettore
di tale testata evidenziava, tra i vari
fenomeni, quello relativo all’incapacità
dell’università nostrana di dare un
particolare quid ai propri laureati.
Anzi, senza utilizzare il formalismo
a cui ho fatto ricorso, l’autore ha
riportato pubblicamente che “il sistema
universitario italiano fa schifo”. Dinnanzi
a una così netta presa di posizione da
parte di una così autorevole figura la
mia reazione, a parte quella di non
scoraggiarmi e sposare la filosofia British
del “Keep Calm & Carry on”, è consistita
nel cercare delle ragioni pratiche, tangibili
ogni giorno, per cui l’istruzione italiana,
eccetto alcune eccellenze, continua a
navigare nella mediocrità, rischiando di
affondare nella nostalgia del Medioevo,
epoca in cui le nostre Città Antiche erano
il faro della cultura in Europa. Tutto ciò
ricorrendo alla mia scarsa esperienza
circa le dinamiche funzionali del sistema
università.
Innanzitutto, bisogna dire che troppo
spesso, specie negli atenei più piccoli,
l’organigramma del personale nelle
varie facoltà e nei dipartimenti è lo
stesso, perfino a distanza di decenni.
Basti pensare che un altro membro
della generazione antecedente la mia,
un commercialista, mi disse di essersi
laureato avendo come relatore un
docente che è andato in pensione...un
anno prima che mi potesse insegnare, e
sottolineo il “mi”, cioè a me, sottoscritto.
Alcuni giorni dopo, al bar della facoltà,
tale professorone me lo sono trovato
dietro e, puntualmente, è stato servito
prima di tutti gli studenti avanti a lui
dalla barista che, vedendola appena, si
è quasi intimorita di essere sgridata. Nel
frattempo, il professorone sbottava con
un suo collega dicendo testualmente
“Questi non si spostano nemmeno con
le cannonate.” A quel punto me ne
sono andato stizzito e mi sono servito
delle macchinette automatiche. Non mi
dilungo poi sui vari feedback in merito
ai suoi metodi di insegnamento, che,
fidatevi, è meglio che taccia! In sostanza,
così come in tanti altri contesti, nel nostro
Paese la gerontocrazia è davvero un
problema di fondo. E con tale termine
non intendo solo quella anagrafica,
ma anche quella metodologica. Infatti
non cito la famigerata percentuale di
professori associati sotto i 35 anni in
Italia, raffrontata con quella dei Paesi
OCSE, piuttosto cito un emblema di
come la seconda concezione di “vecchio”
sia perfino più grave della prima.
Bisogna che tutti siano a conoscenza che
molti “baroni” spesso fanno avanzare
solamente dottorandi e ricercatori che
condividono alla lettera sia la loro idea
accademica che il loro modus operandi:
nel senso che “voglio che la mia scuola
di pensiero permanga nel laboratorio
didattico di questo ateneo e che tu,
giovane, devi inchinarti a questa se vuoi
avere lo stipendio sicuro, altrimenti cuffie
e scrivania di un call center ti attendono”.
Detto ciò, il problema è che questo
fenomeno non ha conseguenze solo
nell’ambiente interno l’ateneo bensì
si ripercuote sull’esterno, causando
in maniera ancor più marcata una
cementificazione
dei
metodi
di
apprendimento e di sviluppo delle
capacità critiche di chi si appresta ad
intraprendere un percorso post scuola
superiore, la quale si denota dal fatto
che troppo spesso, ahimè, ci si ritrova a
studiare su testi obsoleti, che si basano su
teorie troppo retrograde per un contesto
di continua rivoluzione industriale col
quale ci troviamo a far fronte. Questi tomi
vengono imposti perché di convenienza
del professore, che nella maggior parte
dei casi all’esame vuole sentire la farina
tirata fuori dal suo sacco, e che si trova
prevalentemente su questi libri. Dunque
prepararsi sulle nozioni in essi riportate
può garantire qualche punto di giudizio
in più, ma davvero può dare qualcosa a
noi studenti come soldatini che dovranno
dimenarsi nella giungla che ci aspetta
fuori, il mondo del lavoro? Pochi mesi
fa ho vissuto un’esperienza significativa:
intento a preparare il test di ammissione
in una delle facoltà meglio giudicate dalle
varie classifiche, ho consultato la pagina
3
dedicata ai libri sui quali si doveva
preparare il test, rimanendo basito
per il fatto che il libro più aggiornato
risaliva al 2006, ed alcuni avevano quale
prima cifra dell’anno di pubblicazione
il numero uno, essendo quindi dello
scorso millennio! Capirete che specie
per uno studente di economia questo sia
inaccettabile.
Tuttavia c’è purtroppo da dire anche che
sono le stesse Università (con lodevoli
eccezioni) ad essere messe sempre
più ai margini del circuito economicosociale relativo all’area locale in cui esse
sono site. In sintesi, più la situazione
in un determinato centro provinciale e
regionale è difficile, più l’università è
utilizzata come fonte di denaro pubblico
dalla quale succhiare per garantire
sostentamento
alla
nomenclatura
politico-burocratica. Studi e ricerche di
diversa matrice hanno mostrato invece
che un polo universitario, specie negli
ultimi decenni, è sempre più correlato
alla crescita industriale e imprenditoriale
della zona in cui si trova. In sostanza,
se prima il sistema istruttivo preparava
e mostrava i propri talenti al mondo
lavorativo, adesso è quest’ultimo che fa
recruiting negli atenei, il che è una cosa
positiva, ma che per certi versi diviene
negativa nella realtà perdente che ha
preso piede in Italia.
La burocrazia eccessiva, il lobbismo
che ammazza la concorrenza e
l’innovazione, la scarsa efficienza, la
mentalità retrograda e tutti gli altri
difetti che attanagliano la realtà italiana
hanno portato ad una corsa al ribasso,
che mira ad abbattere le risorse umane
verso strutture poco qualificate e poco
retribuite. Ecco che, tenendo conto
dell’appena citato principio, anche il
sistema universitario pone asticelle più
basse da sorvolare, andando a ridurre la
preparazione del capitale umano. Non
c’è da sorprendersi se, appena entrati
dall’azienda dopo aver concluso gli studi,
ci si trova a mettere da parte due terzi, se
non tre quarti, delle competenze assunte
tra le aule d’ateneo, dato che i corsi sono
plasmati su insegnamenti che in linea
di massima sono gli stessi da decenni.
E il tessuto industriale-imprenditoriale?
Molti lamentano, avendo ragione,
che una delle chiavi per un’università
vincente è garantire una continuità
scuola-lavoro. Specie al Nord esistono
atenei, tra i quali quello al quale mi sono
appena iscritto, che hanno un’importante
nomea riguardo la capacità di fornire in
tempi brevi occupazione ai neolaureati.
Tuttavia bisogna ragionare da persone
continua a pag. 4
Università...
segue da pag. 3
esigenti, come gli spagnoli nel calcio
quando vogliono vincere col bel gioco:
“viene comunque mantenuta la finalità
principale
dell’università,
ovvero
creare smarcamento sociale, come
riportato pure dal titolo?” Andando a
vedere il trend in termini di aumento
salariale tra i giovani risulta sussistere
il solito problema della prevalenza
dell’anzianità sulle competenze. In
poche parole, un diplomato, in linea
di massima, troppo spesso ha le stesse
prospettive di crescita professionale di
un laureato magistrale. Questo accade
semplicemente perché il laureato
magistrale ha sì il “pezzo di carta”, ma
in sostanza non è assai più preparato del
diplomato. Purtroppo è proprio questo
il lato triste di chi vuol proseguire gli
studi dopo le Superiori: prendere il
“pezzo di carta”. Non sembra, ma è un
Pavone...
segue da pag. 1
dalla realtà? Vogliamo dire “gruppo
dei tali” e “gruppo dei quali”, senza
andare sul personale? Non gruppo
dei “tali e quali” eh!, che avete capito?
Insomma, con loro non si esce dagli
schemi classici della politica locale!
Con loro le prossime elezioni non
saranno l’occasione per cambiare la
gestione del Comune. Ma lo avete letto
il libro di Federico Rampini, “L’età del
Caos”? Ci dice che siamo alla fine della
civiltà dell’uomo bianco: siamo in una
lunga transizione. Il libro di Eugenio
Scalfari, idem: the end per questa civiltà.
Tanti saggi confermano: siamo ad un
cambio d’epoca come mai c’era stato
negli ultimi cinque secoli. E noi che
facciamo? Ancora ci balocchiamo con
destra-centro-sinistra? Oilà – direbbero
i giovani - ma siamo fuori? Non v’è
chi non veda che destra e sinistra alla
fine tutelano gli stessi interessi. Una
Roseto: gli alberi...
segue da pag. 1
calura, ma ho trasformato in materia
organica l’energia radiante del sole ed ho
riversato nell’atmosfera tanto ossigeno a
beneficio dei rosetani e dei turisti. Forse
i vicini di casa, che sono riconoscenti e
mi vogliono bene, potrebbero aiutarmi.
Li chiamo vicini, ma faccio ormai parte
delle loro famiglie, e li osservo attraverso
i balconi e le finestre, li vedo mangiare,
guardare la tv, litigare e sedersi sul letto
la sera per togliersi le scarpe. Ma so
anche che i mal governati cittadini invano
protestano, fanno riunioni, raccolgono
firme; gli esecutori arrivano quasi sempre,
magari la mattina presto quando tutti
dormono, e in poco tempo si compie lo
scempio. Purtroppo, dopo l’abbattimento,
ci si abituerà alla “riqualificazione” di via
Cristoforo Colombo. E proprio sulla facile
dimenticanza fanno affidamento gli scaltri
bello schiaffo al principio originario
dell’Università.
L’Italia pare attraversare una fase di
risalita sul piano economico, seppur
flebile e con incerte prospettive, viste
le continue turbolenze nell’economia
mondiale e l’improvvisa entrata
di scena di nuovi player pronti a
far concorrenza al nostro Paese, e
uno dei punti basilari per ricreare
un sistema industriale è quello di
preparare manodopera altamente
qualificata in vari ambiti disciplinari,
e capace di dire la propria in un
mondo dove la meccanizzazione e la
materializzazione bruciano senza pietà
quei posti di lavoro “labour intensive”
che erano stati la nostra fortuna
nel periodo del boom economico.
Staremo a vedere se davvero l’Italia
riuscirà nell’intento di tornare una
forza trainante sul piano mondiale.
Nel frattempo, vedo ancora troppe
poche speranze, complici i motivi
precedentemente detti, di ritornare
ad avere un sistema universitario
di primo piano. Alcune soluzioni
seppure parziali le vedo dalla tanto
vituperata e criticata Europa, e i suoi
vari progetti su scala comunitaria
che pare abbiano addirittura una
risonanza curriculare quasi superiore
ai diplomi di laurea, perché danno
l’opportunità di sviluppare sì la
conoscenza di una o più lingue
straniere e dell’informatica, ma anche
quelle che vengono chiamate “soft
skills”, ossia abilità particolari che,
in un contesto di forte concorrenza,
possono rappresentare un importante
viatico per accedere prima al mondo
occupazionale e avere successo nel
corso della carriera.
* Universitario
volta c’era chi votava Pci, poi Pds,
poi Ds, poi… (dopo tanti puntini) Pd,
perché dicevano che rappresentavano
i lavoratori. Oppure votavano a
destra perché dicevano che era il
partito dei moderati. Adesso pure
i ciechi si accorgono che non è così,
ma continuano a votarli. Perché? Per
consuetudine? Per tradizione? Perché
li votava “nonnò”? Insomma, se tutto
rivoluziona, noi possiamo rimanere
ai tempi che… quando una utilitaria
costava 6 milioni (in lire di allora);
che… quando le jeep erano solo mezzi
di lavoro ed al massimo militari e
non auto di lusso da città; che… la
lavatrice… ah! quella aveva l’oblò più
o meno come oggi. POLITICA: TRA VIRGOLETTE
PLEASE - La parola “politica”
andrebbe scritta tra virgolette. Perché
oggi essa assume un significato
diverso da quello storico. Il termine
è continuamente riproposto, specie
nell’approssimarsi delle stagioni
elettorali, più come icona e mito che
nel suo senso reale. D’altro canto
funzione e ruolo – anche sociale e civile
– della politica come la tradizione
novecentesca la conobbe, è da tempo
scomparso. La politica rappresenta
un mondo che sta sparendo. Anzi,
che non c’è più. Politica è oggi
una parola che non è possibile.
È usata in senso scenografico e
spettacolare. È pura iconografia. È
fiction. È discorso confuso. La sua
natura tende a svanire anche nel
senso formale e stilistico, ossia gli
unici che davano forma al discorso
pubblico ed al suo impegno civile.
Insomma, oggi la parola “politica”
è di palese inattualità, inversamente
proporzionale alla frequenza dei
richiami e delle citazioni.
*Direttore del sito
Web
Controaliseo
mandanti delle motoseghe. Guarda caso,
nei Comuni virtuosi, alcuni articoli del
“Regolamento per la gestione e tutela del
verde pubblico”, così si esprimono:
- il Comune garantisce la gestione e
manutenzione del verde comunale allo
scopo di massimizzare la funzione
estetica,
ricreativa,
paesaggistica,
ecologica, igienica e sanitaria;
- l’abbattimento è consentito solo nei casi
comprovati di stretta necessità, e solo dopo
che la doverosa potatura non è riuscita ad
eliminare il rischio incombente;
- per quanto riguarda gli incrementi di
parcheggi pubblici, gli alberi pericolosi
abbattuti dovranno essere sostituiti in
ragione di una nuova pianta ogni tre
automezzi in sosta.
Sicuramente il Comune di Roseto non fa
parte dei Comuni virtuosi, e siccome ha
vinto il Premio Attila, assegnato da Italia
Nostra, invierà le motoseghe e ci sarà la
mattanza del verde pubblico. E pensare
che perfino gli indigeni avevano una ben
diversa considerazione di noi piante.
Infatti, nel 1854, il capo pellerossa Seattle,
durante la sua dichiarazione davanti al
Gran Consiglio, pronunciò le seguenti
frasi: “La linfa che scorre negli alberi
trasporta la memoria dell’uomo rosso.
Mentre i visi pallidi violano la terra dei loro
figli e non se ne curano. L’aria profumata
dal pino pieno di pigne è per noi sacra e
preziosa. L’uomo bianco sembra non far
caso all’aria che respira; come un essere
agonizzante, da molto tempo è insensibile
al cattivo odore che emana. La sua voracità
distruggerà l’ambiente e lascerà solo un
deserto. Dov’è il bosco? È Sparito! Dov’è
l’aquila? È Sparita! È la fine del vivere e
l’inizio della sopravvivenza”.
Franco Sbrolla
http://www.francosbrolla-roseto.it