Cento anni fa cessava la pubblicazione Lacerba, giornale artistico
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Cento anni fa cessava la pubblicazione Lacerba, giornale artistico
ANNO NUMERO V 55 il giornale è anche sul sito www.williamdimarco.it DICEMBRE 2015 E-mail: [email protected] Approfondimenti culturali e analisi storica Chorus periodico edito dall’associazione culturale Cerchi Concentrici Promotor - Reg. Tribunale di Teramo n° 641/2010 del 30-12-2010 Direttore Responsabile: William Di Marco - fax. 085.893.34.05 - Stampa: Tipolitorosetana Cento anni fa cessava la pubblicazione Lacerba, giornale artisticoletterario che, insieme ad altri, diede lustro alla fucina di tali iniziative: Firenze Molti periodici del tempo trasbordarono idee solo apparentemente conformiste in un campo minato che era quello della provocazione. Diverse delle affermazione degli autori di queste testate erano poco condivisibili, in modo particolare quando prendevano a pretesto il superomismo dannunziano e nietzschiano di William Di Marco Il 22 maggio 1915, proprio nel momento in cui l’Italia, dopo aver firmato il Patto di Londra, stava per entrare nel Primo Conflitto Mondiale da lì a due giorni, cessavano le pubblicazioni di Lacerba, una delle riviste più importanti del movimento avanguardistico italiano, in edicola dal 1913. La culla di questo proliferare di testate era Firenze e non pochi intellettuali si incontravano su tali fogli per dare sfogo alla loro visione del mondo, certamente anticonformista e contro lo status quo che si stava delineando. Molti di questi continua a pag. 2 Pavone: old-sinistra! Una volta c’era chi votava Pci, poi Pds, poi Ds, poi… (dopo tanti puntini) Pd, perché dicevano rappresentassero i lavoratori. Oppure votavano a destra perché dicevano che era il partito dei moderati. Adesso pure i ciechi si accorgono che non è così, ma continuano a votarli di Ugo Centi* E se l’unico “old-sinistra” fosse lui? Quel Pavone Enio dai… socialisti… rosetani? Viene Pallante, filosofo della decrescita, e lui presenta la cosa in Comune manco fosse un no-global! C’è un bando per accogliere i rifugiati, ed eccolo approfittarne subito. La spesa pubblica? Tutto un tassa e spendi, come negli anni d’oro del Garofano Craxiano. Il sociale? Preservato il più possibile (pardon: questo merito va all’assessore Alessandro Recchiuti, uno davvero bravo). Insomma, di liberale? Nulla. Di destra? Non più di come può essere di destra la politica del Pd. Di immobilismo politico, di conservatorismo, di zero innovazione politica? Tutto. Come tutto è anche il Pd, sempre politicamente parlando. Vabbè, li vogliamo chiamare con nomi di fantasia. Nomi non presi (!) continua a pag. 4 L’Università italiana: come mai non crea più smarcamento sociale? Roseto: gli alberi di via Colombo, il Premio Attila e le considerazioni del Gran Capo Seattle Saggio di un ragazzo (come tanti altri) che analizza i dubbi, le paure, e anche le speranze riposte nei suoi studi Parla un albero e dice di aver trasformato in materia organica l’energia radiante del sole e di aver riversato nell’atmosfera tanto ossigeno a beneficio dei rosetani e dei turisti. Forse i vicini di casa, che sono riconoscenti e gli vogliono bene, potrebbero aiutarlo di Alberto Di Nicola* di Franco Sbrolla* “Ah, ma ai miei tempi l’università era tutta un’altra cosa! I professori spiegavano molto meglio! Si che, ai miei tempi, l’università era la culla della cultura, qualcosa su cui investire!” Bene, questa è una delle frasi più celebri che mi sono sentito dire da parte di un membro della mia precedente generazione, la generazione dei Sono un albero, uno dei maestosi pini da abbattere in via Colombo, marchiati con la svastica (come quelle usate dai nazisti per indicare gli ebrei che venivano poi soppressi nei forni crematori). Eppure, per tantissimi anni non ho fatto solo da rifugio degli uccelli e da ornamento e difesa dalla continua a pag. 3 continua a pag. 4 Cento anni... segue da pag. 1 periodici trasbordarono idee solo apparentemente conformiste in un campo minato che era quello della provocazione. Diverse delle affermazione degli autori di queste testate erano poco condivisibili, in modo particolare quando prendevano a pretesto il superomismo dannunziano e nietzschiano (spesso travisato e mal interpretato) per far valere un concetto di superiorità delle razze, come se fosse lecito stilare una lista dei più idonei a comandare il mondo, rispetto invece a quelli che dovevano essere catalogati come inferiori e subalterni. Ma bisogna contestualizzare le posizioni di questi intellettuali, che erano fortemente provocatorie. Si ammantavano di iperboli per sconfiggere un conformismo dato dall’appiattimento della società le quali, in nome del progresso fine a se stesso, non avevano in mente cosa si stava delineando all’orizzonte. E fu proprio la Grande Guerra a mettere a tacere qualsiasi voglia di manifestare una prosecuzione di crescita basata sul colonialismo e sull’imperialismo, come d’altronde anche le avanguardie rimasero attonite su quelle che inizialmente dovevano essere delle semplici istigazioni di puro stampo artistico-formale. Però le cose andarono diversamente e intorno a queste riviste si cominciò a parlare più della complessità di una vita mutante e piena di prismatiche sfaccettature, che del ricondurre tutto a una questione prettamente “estetizzante” e di rilievo intellettivo che solo l’artista sapeva comprendere sino in fondo. Lacerba ebbe un certo seguito, dovuto alle firme che vi scrissero. Innanzitutto Giovanni Papini tra i principali animatori, nonché direttore della testata. Poi ad affiancarlo troviamo il pittore Ardengo Soffici e lo scrittorepoeta Aldo Palazzeschi, insieme all’autore Italo Tavolato. All’inizio si posero tutti su posizioni che in qualche modo richiamavano il Futurismo, anche se di tale movimento non condivisero l’esagerazione alle volte riluttante di opporsi alle regole che il passato comunque ci aveva tramandato. Questo periodo fu veramente florido per il capoluogo toscano, che conobbe prima la pubblicazione Leonardo (in stampa dal 1903 al 1907), poi Il Regno (1903-1906), Hermes (1904-1906) e La Voce (1908-1916), quest’ultima forse la più importante e che comunque fu diretta anche dallo stesso Papini. In tali fogli c’era un senso forte di nazionalismo, misto agli ideali antipositivisti, poiché la scienza applicata aveva invaso anche il mondo dell’arte, facendolo diventare molto didascalico e al servizio di una razionalità che tutto voleva spiegare. Le riflessioni di Lacerba sconfinavano anche in atteggiamenti antidemocratici, che presero sempre più corpo in una fase in cui l’Europa stava finendo dritta nelle maglie atroci e ingarbugliate del conflitto armato. Tuttavia questo fermento così importante culturalmente fece da apripista o amplificò un movimento avanguardistico storico che vedrà l’Espressionismo, il Futurismo, il Dadaismo e il Surrealismo tra le forze creative di nuovo conio, capaci di aprire uno sguardo diverso e provocatorio sul mondo della letteratura e dell’arte. Il primo editoriale della rivista, dal titolo Introibo, è in sedici punti, ed è un vero capolavoro di “satanismo fin-de-siècle” per dirla con Vassalli. 1. Le lunghe dimostrazioni razionali non convincono quasi mai quelli che non son convinti prima − per quelli che son d’accordo bastano accenni, tesi, assiomi. 2. Un pensiero che non può esser detto in poche parole non merita d’esser detto. 3. Chi non riconosce agli uomini di ingegno, agli inseguitori, agli artisti il pieno diritto di contraddirsi da un giorno all’altro non è degno di guardarti. 4. Tutto è nulla, nel mondo, tranne il genio. Le nazioni vadano in sfacelo ma crepino di dolore i popoli se ciò è necessario perché un uomo creatore viva e vinca. 5. Le religioni, le morali, le leggi hanno la sola scusa nella fiacchezza e canaglieria degli uomini e nel loro desidero di star più tranquilli e di conservare alla meglio i loro aggruppamenti. Ma c’è un piano superiore − dell’uomo solo, intelligente e spregiudicato − in cui tutto è permesso e tutto è legittimo. Che lo spirito almeno sia libero! 6. Libertà. Non chiediamo altro; chiediamo soltanto la condizione elementare perché l’io spirituale possa vivere. E anche se dovessimo pagarlo coll’imbecillità saremo liberi. 7. Arte: giustificazione del mondo − contrappeso nella bilancia tragica dell’esistenza. Nostra ragione di essere, di accettare tutto con gioia. 8. Sappiamo troppo, comprendiamo troppo: siamo a un bivio. O ammazzarsi − o combattere, ridere e cantare. Scegliamo questa via − per ora. 9. La vita è tremenda, spesso. Viva la vita! 10. Ogni cosa va chiamata col suo nome. Le cose di cui non si ha il coraggio di parlare francamente dinanzi agli altri sono spesso le più importanti nella vita di tutti. 11. Noi amiamo la verità fino al paradosso (incluso) − la vita fino al male (incluso) − e l’arte fino alla stranezza (inclusa). 12. Di serietà e di buon senso si fa oggi un tal spreco nel mondo, che noi siamo costretti a farne una rigorosa economia. In una società di pinzocheri anche il cinico è necessario. 13. Noi siamo inclini a stimare il bozzetto più della composizione, il frammento più della statua, l’aforisma più del trattato, il genio mancato e disgraziato ai grand’uomini olimpici e perfetti venerati dai professori. 14. Queste pagine non hanno affatto lo scopo né di far piacere, né d’istruire, né di risolvere con ponderatezza le più gravi questioni del mondo. Sarà questo un foglio stonato, urtante, spiacevole e personale. Sarà uno sfogo per nostro beneficio e per quelli che non sono del tutto rimbecilliti dagli odierni idealismi, riformismi, umanitarismi, cristianismi e moralismi”. 15. Si dirà che siamo ritardatari. Osserveremo soltanto, tanto per fare, che la verità, secondo gli stessi razionalisti, non è soggetta al tempo e aggiungeremo che i Sette Savi, Socrate e Gesù sono ancora un po’ più vecchi dei sofisti, di Stendhal, di Nietzsche e di altri “disertori”. 16. Lasciate ogni paura, o voi ch’entrate! [Lacerba] Ebbe carattere di violenta polemica contro l’arte e il costume borghesi, contro il conformismo e quietismo così degli individui come dei popoli, auspicando la guerra e la rivoluzione; ma fu polemica non tanto di idee (che erano in fondo quelle di un estremo antitradizionalismo da un lato e di un acceso nazionalismo e interventismo dall’altro), quanto di parole, che si spinsero alle maggiori libertà e bizzarrie (come dice già il titolo, modellato su quello dell’Acerba di Cecco d’Ascoli), con modi decisamente futuristi. Segna infatti il momento futurista, e in certo senso surrealista del vocianesimo, accogliendo fra i suoi collaboratori, accanto a quelli più “di punta” de La Voce (Dino Campana, Aldo Palazzeschi, Corrado Govoni, Piero Jahier, Giuseppe Ungaretti ecc.), lo stesso Filippo Tommaso Marinetti (almeno in un primo tempo), Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo e, fra gli stranieri, Guillaume Apollinaire. (da l’Enciclopedia Treccani) Università ... segue da pag. 1 professionisti, dei quadri dirigenziali e dei professori che, grazie all’università e alle buone prospettive lavorative, è riuscita a far carriera e a garantire una buona prima parte di esistenza ai propri figli. Diciamoci la verità: tra noi giovani esiste la forte convinzione che la generazione appena citata sarà la prima ad essere più ricca di quella successiva. E proprio per questo, al momento di cominciare un percorso universitario, così come fatto dai nostri genitori, ci chiediamo in modo incalzante se davvero, come spesso ci sentiamo dire dai nostri predecessori, il sistema universitario italiano abbia subito un brusco calo oppure le minori prospettive economiche per noi giovani sono dovute esclusivamente alla “crisi”. Tempo fa lessi una serie di articoli di uno dei quotidiani più in voga tra i giovani (probabilmente l’unico, data la sua attitudine ad andare controcorrente al modus operandi di tutti gli altri quotidiani, che possiamo identificare come gli “storici”) in cui il vicedirettore di tale testata evidenziava, tra i vari fenomeni, quello relativo all’incapacità dell’università nostrana di dare un particolare quid ai propri laureati. Anzi, senza utilizzare il formalismo a cui ho fatto ricorso, l’autore ha riportato pubblicamente che “il sistema universitario italiano fa schifo”. Dinnanzi a una così netta presa di posizione da parte di una così autorevole figura la mia reazione, a parte quella di non scoraggiarmi e sposare la filosofia British del “Keep Calm & Carry on”, è consistita nel cercare delle ragioni pratiche, tangibili ogni giorno, per cui l’istruzione italiana, eccetto alcune eccellenze, continua a navigare nella mediocrità, rischiando di affondare nella nostalgia del Medioevo, epoca in cui le nostre Città Antiche erano il faro della cultura in Europa. Tutto ciò ricorrendo alla mia scarsa esperienza circa le dinamiche funzionali del sistema università. Innanzitutto, bisogna dire che troppo spesso, specie negli atenei più piccoli, l’organigramma del personale nelle varie facoltà e nei dipartimenti è lo stesso, perfino a distanza di decenni. Basti pensare che un altro membro della generazione antecedente la mia, un commercialista, mi disse di essersi laureato avendo come relatore un docente che è andato in pensione...un anno prima che mi potesse insegnare, e sottolineo il “mi”, cioè a me, sottoscritto. Alcuni giorni dopo, al bar della facoltà, tale professorone me lo sono trovato dietro e, puntualmente, è stato servito prima di tutti gli studenti avanti a lui dalla barista che, vedendola appena, si è quasi intimorita di essere sgridata. Nel frattempo, il professorone sbottava con un suo collega dicendo testualmente “Questi non si spostano nemmeno con le cannonate.” A quel punto me ne sono andato stizzito e mi sono servito delle macchinette automatiche. Non mi dilungo poi sui vari feedback in merito ai suoi metodi di insegnamento, che, fidatevi, è meglio che taccia! In sostanza, così come in tanti altri contesti, nel nostro Paese la gerontocrazia è davvero un problema di fondo. E con tale termine non intendo solo quella anagrafica, ma anche quella metodologica. Infatti non cito la famigerata percentuale di professori associati sotto i 35 anni in Italia, raffrontata con quella dei Paesi OCSE, piuttosto cito un emblema di come la seconda concezione di “vecchio” sia perfino più grave della prima. Bisogna che tutti siano a conoscenza che molti “baroni” spesso fanno avanzare solamente dottorandi e ricercatori che condividono alla lettera sia la loro idea accademica che il loro modus operandi: nel senso che “voglio che la mia scuola di pensiero permanga nel laboratorio didattico di questo ateneo e che tu, giovane, devi inchinarti a questa se vuoi avere lo stipendio sicuro, altrimenti cuffie e scrivania di un call center ti attendono”. Detto ciò, il problema è che questo fenomeno non ha conseguenze solo nell’ambiente interno l’ateneo bensì si ripercuote sull’esterno, causando in maniera ancor più marcata una cementificazione dei metodi di apprendimento e di sviluppo delle capacità critiche di chi si appresta ad intraprendere un percorso post scuola superiore, la quale si denota dal fatto che troppo spesso, ahimè, ci si ritrova a studiare su testi obsoleti, che si basano su teorie troppo retrograde per un contesto di continua rivoluzione industriale col quale ci troviamo a far fronte. Questi tomi vengono imposti perché di convenienza del professore, che nella maggior parte dei casi all’esame vuole sentire la farina tirata fuori dal suo sacco, e che si trova prevalentemente su questi libri. Dunque prepararsi sulle nozioni in essi riportate può garantire qualche punto di giudizio in più, ma davvero può dare qualcosa a noi studenti come soldatini che dovranno dimenarsi nella giungla che ci aspetta fuori, il mondo del lavoro? Pochi mesi fa ho vissuto un’esperienza significativa: intento a preparare il test di ammissione in una delle facoltà meglio giudicate dalle varie classifiche, ho consultato la pagina 3 dedicata ai libri sui quali si doveva preparare il test, rimanendo basito per il fatto che il libro più aggiornato risaliva al 2006, ed alcuni avevano quale prima cifra dell’anno di pubblicazione il numero uno, essendo quindi dello scorso millennio! Capirete che specie per uno studente di economia questo sia inaccettabile. Tuttavia c’è purtroppo da dire anche che sono le stesse Università (con lodevoli eccezioni) ad essere messe sempre più ai margini del circuito economicosociale relativo all’area locale in cui esse sono site. In sintesi, più la situazione in un determinato centro provinciale e regionale è difficile, più l’università è utilizzata come fonte di denaro pubblico dalla quale succhiare per garantire sostentamento alla nomenclatura politico-burocratica. Studi e ricerche di diversa matrice hanno mostrato invece che un polo universitario, specie negli ultimi decenni, è sempre più correlato alla crescita industriale e imprenditoriale della zona in cui si trova. In sostanza, se prima il sistema istruttivo preparava e mostrava i propri talenti al mondo lavorativo, adesso è quest’ultimo che fa recruiting negli atenei, il che è una cosa positiva, ma che per certi versi diviene negativa nella realtà perdente che ha preso piede in Italia. La burocrazia eccessiva, il lobbismo che ammazza la concorrenza e l’innovazione, la scarsa efficienza, la mentalità retrograda e tutti gli altri difetti che attanagliano la realtà italiana hanno portato ad una corsa al ribasso, che mira ad abbattere le risorse umane verso strutture poco qualificate e poco retribuite. Ecco che, tenendo conto dell’appena citato principio, anche il sistema universitario pone asticelle più basse da sorvolare, andando a ridurre la preparazione del capitale umano. Non c’è da sorprendersi se, appena entrati dall’azienda dopo aver concluso gli studi, ci si trova a mettere da parte due terzi, se non tre quarti, delle competenze assunte tra le aule d’ateneo, dato che i corsi sono plasmati su insegnamenti che in linea di massima sono gli stessi da decenni. E il tessuto industriale-imprenditoriale? Molti lamentano, avendo ragione, che una delle chiavi per un’università vincente è garantire una continuità scuola-lavoro. Specie al Nord esistono atenei, tra i quali quello al quale mi sono appena iscritto, che hanno un’importante nomea riguardo la capacità di fornire in tempi brevi occupazione ai neolaureati. Tuttavia bisogna ragionare da persone continua a pag. 4 Università... segue da pag. 3 esigenti, come gli spagnoli nel calcio quando vogliono vincere col bel gioco: “viene comunque mantenuta la finalità principale dell’università, ovvero creare smarcamento sociale, come riportato pure dal titolo?” Andando a vedere il trend in termini di aumento salariale tra i giovani risulta sussistere il solito problema della prevalenza dell’anzianità sulle competenze. In poche parole, un diplomato, in linea di massima, troppo spesso ha le stesse prospettive di crescita professionale di un laureato magistrale. Questo accade semplicemente perché il laureato magistrale ha sì il “pezzo di carta”, ma in sostanza non è assai più preparato del diplomato. Purtroppo è proprio questo il lato triste di chi vuol proseguire gli studi dopo le Superiori: prendere il “pezzo di carta”. Non sembra, ma è un Pavone... segue da pag. 1 dalla realtà? Vogliamo dire “gruppo dei tali” e “gruppo dei quali”, senza andare sul personale? Non gruppo dei “tali e quali” eh!, che avete capito? Insomma, con loro non si esce dagli schemi classici della politica locale! Con loro le prossime elezioni non saranno l’occasione per cambiare la gestione del Comune. Ma lo avete letto il libro di Federico Rampini, “L’età del Caos”? Ci dice che siamo alla fine della civiltà dell’uomo bianco: siamo in una lunga transizione. Il libro di Eugenio Scalfari, idem: the end per questa civiltà. Tanti saggi confermano: siamo ad un cambio d’epoca come mai c’era stato negli ultimi cinque secoli. E noi che facciamo? Ancora ci balocchiamo con destra-centro-sinistra? Oilà – direbbero i giovani - ma siamo fuori? Non v’è chi non veda che destra e sinistra alla fine tutelano gli stessi interessi. Una Roseto: gli alberi... segue da pag. 1 calura, ma ho trasformato in materia organica l’energia radiante del sole ed ho riversato nell’atmosfera tanto ossigeno a beneficio dei rosetani e dei turisti. Forse i vicini di casa, che sono riconoscenti e mi vogliono bene, potrebbero aiutarmi. Li chiamo vicini, ma faccio ormai parte delle loro famiglie, e li osservo attraverso i balconi e le finestre, li vedo mangiare, guardare la tv, litigare e sedersi sul letto la sera per togliersi le scarpe. Ma so anche che i mal governati cittadini invano protestano, fanno riunioni, raccolgono firme; gli esecutori arrivano quasi sempre, magari la mattina presto quando tutti dormono, e in poco tempo si compie lo scempio. Purtroppo, dopo l’abbattimento, ci si abituerà alla “riqualificazione” di via Cristoforo Colombo. E proprio sulla facile dimenticanza fanno affidamento gli scaltri bello schiaffo al principio originario dell’Università. L’Italia pare attraversare una fase di risalita sul piano economico, seppur flebile e con incerte prospettive, viste le continue turbolenze nell’economia mondiale e l’improvvisa entrata di scena di nuovi player pronti a far concorrenza al nostro Paese, e uno dei punti basilari per ricreare un sistema industriale è quello di preparare manodopera altamente qualificata in vari ambiti disciplinari, e capace di dire la propria in un mondo dove la meccanizzazione e la materializzazione bruciano senza pietà quei posti di lavoro “labour intensive” che erano stati la nostra fortuna nel periodo del boom economico. Staremo a vedere se davvero l’Italia riuscirà nell’intento di tornare una forza trainante sul piano mondiale. Nel frattempo, vedo ancora troppe poche speranze, complici i motivi precedentemente detti, di ritornare ad avere un sistema universitario di primo piano. Alcune soluzioni seppure parziali le vedo dalla tanto vituperata e criticata Europa, e i suoi vari progetti su scala comunitaria che pare abbiano addirittura una risonanza curriculare quasi superiore ai diplomi di laurea, perché danno l’opportunità di sviluppare sì la conoscenza di una o più lingue straniere e dell’informatica, ma anche quelle che vengono chiamate “soft skills”, ossia abilità particolari che, in un contesto di forte concorrenza, possono rappresentare un importante viatico per accedere prima al mondo occupazionale e avere successo nel corso della carriera. * Universitario volta c’era chi votava Pci, poi Pds, poi Ds, poi… (dopo tanti puntini) Pd, perché dicevano che rappresentavano i lavoratori. Oppure votavano a destra perché dicevano che era il partito dei moderati. Adesso pure i ciechi si accorgono che non è così, ma continuano a votarli. Perché? Per consuetudine? Per tradizione? Perché li votava “nonnò”? Insomma, se tutto rivoluziona, noi possiamo rimanere ai tempi che… quando una utilitaria costava 6 milioni (in lire di allora); che… quando le jeep erano solo mezzi di lavoro ed al massimo militari e non auto di lusso da città; che… la lavatrice… ah! quella aveva l’oblò più o meno come oggi. POLITICA: TRA VIRGOLETTE PLEASE - La parola “politica” andrebbe scritta tra virgolette. Perché oggi essa assume un significato diverso da quello storico. Il termine è continuamente riproposto, specie nell’approssimarsi delle stagioni elettorali, più come icona e mito che nel suo senso reale. D’altro canto funzione e ruolo – anche sociale e civile – della politica come la tradizione novecentesca la conobbe, è da tempo scomparso. La politica rappresenta un mondo che sta sparendo. Anzi, che non c’è più. Politica è oggi una parola che non è possibile. È usata in senso scenografico e spettacolare. È pura iconografia. È fiction. È discorso confuso. La sua natura tende a svanire anche nel senso formale e stilistico, ossia gli unici che davano forma al discorso pubblico ed al suo impegno civile. Insomma, oggi la parola “politica” è di palese inattualità, inversamente proporzionale alla frequenza dei richiami e delle citazioni. *Direttore del sito Web Controaliseo mandanti delle motoseghe. Guarda caso, nei Comuni virtuosi, alcuni articoli del “Regolamento per la gestione e tutela del verde pubblico”, così si esprimono: - il Comune garantisce la gestione e manutenzione del verde comunale allo scopo di massimizzare la funzione estetica, ricreativa, paesaggistica, ecologica, igienica e sanitaria; - l’abbattimento è consentito solo nei casi comprovati di stretta necessità, e solo dopo che la doverosa potatura non è riuscita ad eliminare il rischio incombente; - per quanto riguarda gli incrementi di parcheggi pubblici, gli alberi pericolosi abbattuti dovranno essere sostituiti in ragione di una nuova pianta ogni tre automezzi in sosta. Sicuramente il Comune di Roseto non fa parte dei Comuni virtuosi, e siccome ha vinto il Premio Attila, assegnato da Italia Nostra, invierà le motoseghe e ci sarà la mattanza del verde pubblico. E pensare che perfino gli indigeni avevano una ben diversa considerazione di noi piante. Infatti, nel 1854, il capo pellerossa Seattle, durante la sua dichiarazione davanti al Gran Consiglio, pronunciò le seguenti frasi: “La linfa che scorre negli alberi trasporta la memoria dell’uomo rosso. Mentre i visi pallidi violano la terra dei loro figli e non se ne curano. L’aria profumata dal pino pieno di pigne è per noi sacra e preziosa. L’uomo bianco sembra non far caso all’aria che respira; come un essere agonizzante, da molto tempo è insensibile al cattivo odore che emana. La sua voracità distruggerà l’ambiente e lascerà solo un deserto. Dov’è il bosco? È Sparito! Dov’è l’aquila? È Sparita! È la fine del vivere e l’inizio della sopravvivenza”. Franco Sbrolla http://www.francosbrolla-roseto.it