11 - Autorità di Bacino del Fiume Arno
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Autorità di Bacino del Fiume Arno Rassegna stampa di mercoledì 7 dicembre 2016 ID Data Quotidiani Categoria Ambito Titolo articolo 11 7-dic-16 La Nazione Politica Firenze Nardella, gelo politico con Rossi: “Non scommetta su quei pochi” Ulivelli Ilaria 16 7-dic-16 La Repubblica Infrastrutture Firenze Infrastrutture, case e sicurezza idraulica. C'è il prestito della Bei Bologni Maurizio 16 7-dic-16 Corriere della Sera Infrastrutture Firenze Due milioni contro i ponti che “tremano” 2 7-dic-16 La Repubblica Urbanistica Firenze Progetto Sant'Orsola, la cordata Bocelli va avanti senza Sire Ferrara Ernesto 21 7-dic-16 La Repubblica Cronaca Firenze Non facevano pagare la tassa di soggiorno, accusati 27 albergatori Selvatici Franca 11 7-dic-16 La Repubblica Politica Toscana Rossi e renziani distanti sui futuri scenari elettorali Vanni Massimo 11 7-dic-16 Il Tirreno Politica Toscana I renziani toscani avvisano Rossi: non siamo alzapalette Bonuccelli Ilaria 11 7-dic-16 La Nazione Politica Toscana “Basta lobby”. L'affondo di Bambagioni 11 7-dic-16 Corriere della Sera Politica Toscana Le prove di forza in Toscana oltre i fronti del 4 dicembre 11 7-dic-16 Corriere della Sera Politica Toscana Dalla Ue 250 milioni per infrastrutture e case 21 7-dic-16 La Nazione Cronaca Bilancino Bilancino, morì dopo un tuffo nel lago: “La piramide gonfiabile era fuorilegge” 11 7-dic-16 Corriere della Sera Politica Sesto F. 11 7-dic-16 Corriere della Sera Politica Renzi: un governo con tutti dentro o alle urne subito Martirano Dino 11 7-dic-16 La Repubblica Politica Stop del Colle a urne subito. Renzi fermato anche dal Pd: “Governo di unità nazionale” Ciriaco Tommaso 11 7-dic-16 Il Sole 24 Ore Politica Il “freno” del Colle sul premier Palmerini Lina 11 7-dic-16 Corriere della Sera Politica “Elezioni inconcepibili senza legge”. Mattarella preoccupato per la scelta del Pd 11 7-dic-16 Corriere della Sera Politica Gli alleati del premier 11 7-dic-16 Il Sole 24 Ore Politica Esecutivo di scopo, in campo Padoan, Delrio e Gentiloni 11 7-dic-16 La Repubblica Politica Bersani: il partito non si divida. No al governo con Forza Italia Casadio Giovanna 11 7-dic-16 Corriere della Sera Politica Sorrisi ai fotogradi e post su facebook. Ma Boschi ora resta in disparte Roncone Fabrizio 11 7-dic-16 Corriere della Sera Politica M5S, oggi il vertice ma già volano i coltelli. E Fico sfida Di Maio Buzzi Emanuele 11 7-dic-16 Corriere della Sera Politica Le due strategie di FI e Lega. Il proporzionale di Berlusconi per aggirare le primarie Giornalista C. R. “No inceneritore”. Dalla giunta Falchi altro ricorso al Tar Fatucchi Marzio Brogioni Stefano P. A. Breda Marzio Verderami Francesco Pa. Em. Di Caro Paola Autorità di Bacino Fiume Arno - Pagina 1 07/12/2016 11 7-dic-16 La Repubblica Politica Dietrofront Alfano sul voto a febbraio. Addio dell'Udc, si spaccano i centristi 11 7-dic-16 Italia Oggi Politica Nuova legge elettorale e poi voto 11 7-dic-16 Corriere della Sera Politica L'enigma della legge elettorale 11 7-dic-16 La Repubblica Politica Perchè non ci sarà l'urna di Carnevale Folli Stefano 11 7-dic-16 Corriere della Sera Politica Cosa resterà al PD di quel 41%? Trocino Alessandro 11 7-dic-16 Corriere della Sera Politica Florisa: “In quel 44% ci sono pure i moderati , i calcoli vanno rifatti” 11 7-dic-16 Corriere della Sera Politica Il segnale dei giovani Di Vico Dario 11 7-dic-16 Corriere della Sera Politica L'azzardo e le regole Polito Antonio 11 7-dic-16 Corriere della Sera Politica Verso le urne in 25 città. E in 21 ha vinto il No 11 7-dic-16 Il Manifesto Politica Province in salvo ma al verde: è caccia ai fondi Pacifico Francesco 21 7-dic-16 Il Messaggero Cronaca l'Ocse dà i voti alla scuola e l'Italia resta insufficiente Loiacono Lorena d'A. G. Ricciardi Alessandra Bendetto Renato V. M. Autorità di Bacino Fiume Arno - Pagina 2 07/12/2016 ANCHE IL SINDACO NARDELLA SARÀ OGGI ALLA DIREZIONE DEL PD ALLE 15 A ROMA DOVE RENZI PORTERA LA SUA PROPOSTA PER IL PAESE: NERVI TESI, IL CLIMA E INCANDESCENTE rdella, Ta voto `cl «INSIEME per il bene di Firenze e della Toscana, ma dal punto di vista politico abbiamo posizioni molto diverse». Il sindaco Nardella è critico sulla posizione assunta dal governatore Rossi che, dopo il voto referendario, chiede al Pd di andare a congresso nel 2017, con un segretario di garanzia modello Epifani ai tempi di Bersani. Dunque con le dimissioni di Renzi anche alla guida dei Dem. to ? « po t co li ï 1 ..írí quals ias i soluzione rabberciala » no al referendum è largamente e assolutamente minoritaria spiega il sindaco - Per questo, fossi in Rossi, non scommetterei su quella parte». Oggi Dario Nardella alle 15 prenderà parte alla direzione del redde rationem, dove le correnti si scontreranno e si conteranno. Siamo sul filo dei voti: Renzi potrebbe non avere una maggioranza schiacciante. «Ho molti impegni da sindaco e dopo un mese di campagna elettorale serrata voglio torna- « 113,4 milioni di Si possono tradursi in base elettorale per il Pd» re al mio impegno in città a tempo pieno - spiega - In ogni caso, se sarò utile per dare una mano, oggi andrò al Nazareno». Sa che il suo voto è utile. E sa anche che la sua posizione si è rafforzata dopo il risultato elet- SUL VERSANTE politico, dunque, si riallungano le distanze tra il sindaco e il governatore. Soprattutto nel fronte interno al Pd, dice Nardella, «abbiamo posizioni molto diverse, anche perché noi abbiamo portato al sì 13,5 milioni di voti. Certo, non solo del Pd, ma in gran parte nostri». L'analisi del voto «dimostra che quella parte del Pd che ha scelto il Dario Nardella, il sindaco oggi sarà al Nazareno per la direzione Pd in cui il premier M atteo Renzì traccerà la sua linea torale di Firenze e della provincia, al termine di una campagna referendaria che gli ha dato una notorietà aggiunta presso una più vasta platea. Per questo oggi in direzione potrebbe anche parlare. «I VOTI presi sono molti di più di quelli raccolti alle europee del 2014 e alle politiche del 2013, quando era Bersani segretario del partito», dice Nardella senza sbilanciarsi troppo sul voto anticipato. Perché dopo la fuga in avanti di Alfano, ieri già si cominciava a frenare sui tempi. «Parleremo in direzione - spiega - Sono sicuro che ci sarà un confronto pieno e che il presidente del consiglio Renzi porterà una proposta convincente, con la volontà di non piegarsi a situazioni rabberciate che non sarebbero comprese dai cittadini, fermo restando le esigenze di garantire al Paese stabilità». Ilaria Ulivelli i re, ca sicurezza idraulica c'è il prestito della Bei nu s e 1 250 milioni raddoppiano con i fondi della Regione Il governatore: ricaduta in termini di occupazione DALLA BANCA Europea degli Investimenti (Bei) arriva alla Regione un prestito di 250 milioni di euro per finanziare infrastrutture, opere di messa in sicurezza idrogeologico e di social housing previste dal piano regionale 2016-2020. Il budget in realtà, raddoppia, perché il patto con la Bei prevede che la Regione metta di tasca propria altri 250 milioni. In totale, dunque, 500 milioni per opere di grande rilievo soprattutto perla difesa del suolo e la mobilità. Prestito a 25 anni, tasso d'interesse mai così basso. «Calcolato ai valori attuali, ma il conto andrà aggiornato man mano che il denaro verrà erogato da qui al 2018, il tasso d'interesse che pagherà la Regione è di circa lo 0,8-0,9%», ha spiegato il vice presidente della Bei Dario Scannapieco, nel corso dell'incontro con la stampa in Regione. «Stimiamo di dover restituire ogni anno 8 milioni di euro, una somma assolutamente sostenibile», ha aggiunto il governatore Enrico Rossi, con la Regione che così raggiunge un livello di indebitamento di circa un miliardo di giuro. Rossi ha indicato in 300 milioni (150 messi dalla Banca e altrettanti dalla Regione) i soldi destinati a realizzare il piano di messa in sicurezza idrogeologica, opere come il raddoppio della Viabilità di Lastra a Signa il ponte sul Serchio e il raddoppio della ferrovia Pistoia-Lucca linea ferroviaria Pistoia-Montecatini-Lucca, il Ponte sul Serchio, la nuova viabilità di Lastra a Signa e l'intervento sugli assi viari di Lucca. Si punta anche ai trasporti sostenibili e al rinnovamento urbano, alla protezione dell'ambiente e al patrimonio culturale. Duecento milioni (100 dalla Bei e 100 dalla Regione), andranno invece a sostenere i piani di investimento in case popolari pianificati da Casa Spa e dalle aziende di edilizia pubblica delle altre nove province. «Dei finanziamenti si deve calcolare anche la ricaduta in termini di occupazione, considerando che si stima la creazione di una unità di lavoro ogni 50.000 euro investiti», ha detto Rossi, particolarmente soddisfatto del tasso ottenuto, «particolarmente competitivo, come non ce ne sono in Europa». È migliore di quello praticato da Cassa depositi e prestiti e prevede il rientro a partire da quattro anni dopo la firma del contratto stipulato ieri. «Le nuove regola di bilancio - ha spiegato Rossi -hanno ristretto notevolmente le capacità di indebitamento ed investimento della Regione, e quindi 150 milioni occupano praticamente l'intero spazio di manovra a disposizione della Toscana», A proposito dei finanziamenti all'edilizia popolare, Rossi ha detto che «la crisi ha creato nuove povertà, anche in Toscana. Non siamo la Francia, che possiede un patrimonio di edilizia pubblica assai più vasto. In Italia la Toscana è comunque esempio di buon governo, anche su questo fronte, e con 100 milioni potrà essere messo in atto un piano per realizzare nuovi edifici ed effet- tuare la necessaria manutenzione di quelli esistenti, in modo da offrire una risposta adeguate alle difficoltà. C'è dunque - ha concluso il governatore - un'Europa che ci aiuta, non solo con i fondi strutturali, ma anche dal punto di vista degli investimenti, un'Europa sociale e che guarda alla crescita». RIPROCUZIONERISERVFTA ime mmom contro 1* pontí che «tremano» La giunta approva i progetti per rafforzare la passerella dell'Isolotto e il Vespucci Oltre due milioni di euro per rafforzare e ammodernare ponti e le passerelle. La giunta di Palazzzo Vecchio ha approvato i progetti definitivi di tre interventi che riguardano la passerella dell'Isolotto, il ponte Vespucci e la passerella sul torrente Mensola. L'intervento più importante è quello per la passerella dell'Isolotto: il progetto definitivo, stanziato un milione di euro, prevede la riqualificazione strutturale della passerella pedonale che collega il quartiere dell'Isolotto con il parco delle Cascine. La struttura è già stato oggetto, nell'estate 2015, di lavori d'urgenza per la messa in sicurezza dell'opera: un intervento però temporaneo, realizzato già con una scadenza (due anni), in attesa dell'operazione risolutiva. Il progetto approvato prevede il ripristino delle mensole in cemento armato e la sostituzione della campata centrale attuale in cemento armato con una più leggera in acciaio e calcestruzzo. I lavori dovrebbero partire in estate. Rilevante anche l'intervento per rafforzare il ponte Vespucci, grazie ad un altro milione di euro. Lo studio sulla stabilità del ponte, effettuato da Comune e Università di Firenze, ha evidenziato una erosione dell'alveo dell'Arno in corrispondenza della pila in sinistra idraulica del ponte. Il progetto definitivo prevede il consolidamento che consiste nella realizzazione della nuova palificata di fondazione per la pila dove è stata riscontrata l'erosione. Per effettuare l'intervento «all'asciutto» sarà deviato il corso del fiume: anche in questo caso i lavori dovrebbero partire in estate. La giunta ha infine stanziato 6o mila euro per la riqualificazione della passerella pedociclabile in zona Settignano, sul torrente Mensola. R.C. © RIPRODUZIONE RISERVATA In estate il corso dell'Arno sarà deviato per rifare il pilone del ponte Vespucci che ha dato segno di cedimenti Non facevano pagare la tassa di soggiorno accusati 27 albergatori FRANCA SELVATICI Si è aperto ieri a Firenze il processo contro 27 titolari e gestori di alberghi, ostelli e bed & breakfast, accusati di non aver versato per periodi più o meno lunghi al Comune di Firenze la tassa di soggiorno. Sono tutti accusati di appropriazione indebita aggravata. Il Comune di Firenze si è costituito parte civile. Le strutture nelle quali, secondo le accuse, per mesi o anni si è evitato di versare al comune gli importi della tassa di soggiorno pagati dai turisti sono 33, non solo locande a basso prezzo ma anche alberghi di prestigio a 4 0 5 stelle. Alcuni dei proprietari o gestori sono accusati di essersi appropriati di somme ingenti. In un caso 330 mila euro, in un altro 174 mila. L'evasione complessiva supera di molto il milione, anche se - dopo essere stati sollecitati dagli uffici comunali e soprattutto dopo essere finiti sotto indagini - molti titolari o gestori hanno versato il dovuto. Ma c'è anche chi ha chiuso l'attività addirittura senza averla mai denunciata: è il caso di una imprenditrice cinese che gestiva l'Hotel Principessa Lisa in via Santa Reparata, che non ha mai presentato dichiarazione dei redditi per gli anni 2012, In qualche caso i gestori si sono appropriati di somme notevoli, fino a 330mila euro. In totale l'evasione supera il milione 2013 e 2014, che ha svolto l'attività alberghiera abusivamente finché l'hotel è stato chiuso nel 2014 e che non ha mai versato la tassa di soggiorno. Per cui non si sa neppure quale sia l'importo evaso. Un altro albergatore, titolare degli Hotel Lombardia e Colorado in via Panzani, risulta aver perduto tutte le ricevute dei clienti che teneva in un deposito presso la sua abitazione e che sono andate distrutte perché il deposito è stato alluvionato. La tassa di soggiorno è entrata in vigore il primo luglio 2011 e a Firenze è pari a 1 euro per ospite al giorno per ogni stella (per ogni chiave nel caso dei residence e ogni spiga negli agriturismi). Il cliente di un hotel 5 stelle deve versare 5 euro al giorno, quello di un hotel a 2 stelle paga 2 euro al giorno. Gli alberghi e tutte le altre strutture turistico-ricettive devono a loro volta consegnare al Comune gli importi versati dai clienti per la tassa di soggiorno e il Comune è tenuto a utilizzarli per rendere più accogliente la città. Che la tassa di soggiorno fosse invisa GLI HOTEL Sopra l'hotel Astoria di via del Giglio e accanto l'hotel della Pace di via La Marmora. Sono due degli alberghi i cui titolari sono processati con l'accusa di aver evaso la tassa di soggiorno ad alcuni albergatori sin dalla sua istituzione apparve chiaro dalle intercettazioni eseguite dalla polizia postale nel corso dell'inchiesta sulle escori all'Hotel Mediterraneo. Le microspie registrarono l'insofferenza di due direttori di albergo («sono soldi veramente regalati al Comune», protestava uno): nell'agosto 2011, a poche settimane dall'entrata in vigore della tassa, studiavano già come evaderla, per esempio dichiarando la presenza di bambini (che non la pagano) al posto degli adulti. Ieri il giudice si è riservato di decidere su alcune eccezioni preliminari e ha rin- viato il processo al 17 gennaio. (dNIPNOOLL>JONE NISFR ATA Ross í e Y' 1 1 1 d ìstantì r ROSSI e renziani toscani, ognuno per la sua strada. Il Pd toscano di Dario Parrini si schiera prima per le elezioni subito, accarezzate da Renzi fino a metà pomeriggio, poi per il governo istituzionale quando la strada delle elezioni appare sbarrata. Il governatore Enrico Rossi sceglie invece la strada di un governo di transizione che faccia quello che c'è da fare: «Va messo in sicurezza il paese», dice. VANNI A PAGINA II 1 Alft po t li ico Elezioni a breve o governo ponte renziani e Rossi restano distanti Sono stati uniti per dire sì alla riforma ma 48 ore dopo il referendum le strade del Pd toscano e del governatore per ora si allontarro a ROSSI e renziani toscani, ognuno per la sua strada. Il Pd toscano di Dario Parrini si schiera prima per le elezioni subito, accarezzate da Renzi fino a metà pomeriggio, poi per il governo istituzionale quando la strada delle elezioni appare sbarrata. Il governatore Enrico Rossi sceglie invece la strada di un governo di transizione che faccia quello che c'è da fare: «C'è da mettere in sicurezza il Paese, approvare la legge di bilancio e fare la legge elettorale». Come dire, calma e gesso. E già a 48 ore dal voto che ha incoronato il No, Pd toscano e governatore, dopo aver condiviso lo stesso fronte del Si, si trovano su strade opposte. Lo scontro del giorno prima, con Rossi che chiede «un cambio di leadership nel partito» e Parrini che addebita le responsabilità della vittoria del No sulla costa regionale alle politiche regionali, si trasforma in "divorzio" strategico. «Non mi viene niente di intelligente da replicare», è l'eloquente silenzio di Rossi sulle accuse di Parrini. A metà pomeriggio però, l'annuncio che la Consulta si pronuncerà sull'Italicum solo il 24 gennaio, tra un mese e mezzo, complica il piano veloce dei renziani: se la Corte costituzionale smonterà la legge elettorale ci sarà bisogno di tempo per approvarne una nuova. Votare a febbraio è impossibile. E in vista della direzione di oggi, Renzi ripara sul governo istituzionale con tutti dentro per preparare le elezioni. «L'importante è avere un governo», commenta Rossi con i suoi. Ma le strade restano lontane: se la preoccupazione dei renziani è quella di non stare sulla graticola (di non essere bombardati da chi sta fuori dal governo), il governatore guarda al congresso: «C'è bisogno che il Paese sia governato e c'è anche l'esigenza che il Pd abbia il tempo per fare un congresso vero, che a termini di statuto non può essere inferiore a 4 mesi». Altroché congresso lampo, come pure si è ipotizzato. Rossi ripesca dall'archivio perfino il referendum sulla scala mobile del 1984, per dire che le soluzioni brevi possono essere fatali: «Il Pci raccolse il 45% ed eravamo convinti che avremmo preso più o meno gli stessi voti alle elezioni. Invece prendemmo solo il 26,5». Come dire, chi pensa di «ripartire dal 40%» di Sì, come ha fatto Luca Lotti, rischia un abbaglio. I renziani ribattono che quello fu un referendum abrogativo contro il governo, mentre ora se n'è avuto uno confermativo su una proposta governativa: «Un'altra storia». Il sindaco Dario Nardella contesta il cambio di leadership chiesto da Rossi: «Non sono d'accordo con lui dal punto di vista politico». Ma con il governatore si schierano i dem Andrea Pieroni (era per il Sì) e Paolo Bambagioni (per il No). «Bruciare le tappe verso elezioni anticipate non è utile al Paese e al Pd. Renzi deve avere l'umiltà di ammettere di non aver compreso che non si vive di sola rottamazione e giovanilismo», dice il Pieroni. Con un linguaggio da fan del No. Mentre Bambagioni: «Servono un nuovo segretario e anche un congresso per mettere in minoranza l'area liberai democratica». Se avesse vinto il Sì, conclude il 'Bamba', avremmo avuto «una democrazia con una forte leadership espressione di una cerchia ristretta di finanzieri e di lobby politiche affaristiche». Una rivolta anti-Renzi che la renziana Monia Monni castiga così: «Parole offensive per tutti i volontari e militanti». Mentre a nome di Sinistra dem Filippo Fossati chiede ai fan di Renzi di pensarci su: «Mi aspetterei un'analisi degli errori e una proposta di ricucitura del Pd e del Paese. Temo però di trovarmi di fronte ad una volontà di rivincita. E intanto i poveri sono al 28,7%». -PROGUZIONERISERVATA L DOPO-VOTO Rossi chiede un nuovo leader del Pd, Parrini gli addebita la sconfitta sulla costa LE ELEZIONI renziani chiedono le elezioni il prima possibile, la Consulta complica però tutto L CONGRESSO II governatore respinge il voto anticipato e chiede il congresso di 4 mesi CON ROSSI A fianco del governatore si schierano Pieroni e Bambagioni L GOVERNO PONTE I renziani virano verso iI governo ponte con tutti dentro ma le strade restano divise SINISTRA DEM A nome di Sinistra dem Fossati chiede ai renziani di riconoscere gli errori i} '..:.....,.. : 2 è -.9f ,ii 4 , .; ! r G ì1 r XA Y ( y'Ÿ \ , . ., .r • 1` iY" .,. • e,ra':., / t Y Y y 5 a-MS GF ¡ . ,}' t lk # Á ✓ 5 : y'F ~ • /e -l 1,4v +..• .. . ' "F • r ,. "%a -11 '% ?'//////'%/'/''/// '%Oí '%'%/ Gio. /..''//GG,,////0. %/ "'/ /G, // G /..''////G,,.,,. %/% 'r,A ,,,,,,/, e 'or, // f. % EI' V/// ,. ///✓///,J//%- !o %% f ,// ,, / 01 _« f , a//,_% / , /G//. ' %. % il capogruppo in Regione Marras risponde al governatore «Si candida a segretario? C'é la fila». E parte un alt lá i Ilaria Bonuccelli 1 FIRENZE Il primo segnale arriva sulla legge sul turismo. In commissione la "maggioranza silenziosa" - renziana - cambia il testo uscito dalla giunta. Succederà ancora Probabilmente con la legge sul credito, anticipa Leonardo Marras, presidente del gruppo in consiglio regionale. In aula Enrico Rossi, il governatore della Toscana, non ha la maggioranza. Non in senso stretto: non ha il partito con sé. Dei 24 consiglieri eletti, una ventina sono vicini a Renzi. Lo ha sempre saputo. Ora, però, Marras (a nome del Pd) glielo ricorda: «Non siamo degli alzapalette». Un messaggio neppure tanto cifrato. Non dopo l'attacco frontale di Dario Parrini, segretario regionale del Pd. Marras ammette che al Pd toscano e nazionale - non è piaciuto la critica di Rossi a Renzi, pochi minuti dopo la sconfitta elettorale. Tanto meno che gli abbia chiesto le dimissioni da premier e da segretario del partito per rilanciare la propria candidatura al congresso, come portabandiera della sinistra Pd. «Ma c'è la fila. Prima di lui vengono Bersani, Speranza e, pure Orlando, sembra. Oggi a Roma, alla direzione nazionale, si chiarirà se la priorità è il nostro congresso o il voto politico», ribadisce Marras. Presidente Marras, ma la componente renziana ha preso così male l'uscita di Rossi su Renzi dopo la sconfitta referendaria? «É stata una caduta di stile, più che altro. Rossi nel suo commento è andato oltre la posizione con i distinguo assunta sul sì: c'è una critica non confessata a tutta la politica di Renzi. E il rilancio della sua candidatura alla segreteria del partito. Ma oggi il dibattito all'ordine del giorno non è questo: è la legge di Stabilità che deve stanziare risorse per le Regioni. Poi, semmai, il voto anticipato, se non ci sarà una maggioranza per formare un nuovo governo». Anche il congresso del partito è in agenda. E Rossi è in corsa da mesi. Non l'ha mai nascosto. «Il tenia congressuale va aggiornato al giorno dopo il voto. Oggi il panorama interno al Pd è particolarmente affollato a sinistra. Sono in molti a volere assumere la bandiera dell'essere più a sinistra: Speranza, Bersani, Cuperlo, il ministro uscente Orlando. E molti altri. Non so se sarà Rossi a portare quella bandiera al congresso, quando sarà». Mi sembra duro. Almeno quanto il segretario toscano del Pd, Parrini, che accusa Rossi di essere responsabile della sconfitta del sì in Toscana nelle zone dove la Regione ha governato peggio . Concorda? «Diciamo che dove siamo intervenuti sulla costa con investimenti importanti, su infrastrutture primarie come il porto di Livorno e Piombino, i risultati si sono visti anche a livello elettorale. Le crisi complesse sono state affrontate in modo straordinario, nia su altre crisi non ho visto lo stesso impegno della Regione». Di quali crisi parla? «Non voglio essere troppo severo con Rossi, ma ci sono crisi complesse che vanno oltre i problemi della deindustrializzazione che non sono state affrontate in modo adeguato. Io vengo da una di quelle aree, la Maremma, il Grosse- Enrico ha avuto una caduta di stile E' andato ben oltre i suoi distinguo sul Si C'è una critica non confessata a tutta la politica di Renzi tano: sono zone in crisi di identi là territoriale, zone di dispersione rurale, al centro di crisi e dibattiti internazionali. Le elezioni americane dovrebbero insegnarci qualche cosa. Non ci dimentichiamo che, alla fine, anche le "formiche nel loro piccolo si incazzano", per fare una citazione dotta. E un segnale lo danno: nel Grossetano, infatti, ha vinto il no». La gente ha dato un segnale elettorale. In Regione quale segnale pensa di dare il gruppo consiliare aRossi? «Diciamo che abbiamo un programma elettorale da portare in fondo e che non andiamo in aula ad alzare palette». Questo cosa significa? «Che quando discutiamo le leggi vogliamo lasciare la nostra impronta, dopo esserci confrontati con i territori. Lo abbiamo fatto sull'urbanistica, sulla sanità». E ora sul turismo. «Certo. Vogliamo tutelare il turismo regolamentare dagli affitti irregolari, soprattutto nelle città d'arte. Poi passeremo anche alla legge sul credito. E avanti così. Risponderemo alle proposte della giunta con le idee. Non con le mani alzate in aula». Enrico Rossi Leonardo arras, presidente del gruppo Pd in Regione ,.1.1 Basia -á-- lobby» L'affondo dì Bxnbagíoiìí «IN TOSCANA alcune province, Massa Carrara, Pisa, Livorno e Grosseto hanno votato No alla riforma della Costituzione proposta dal governo Renzi, che se fosse stata approvata dagli italiani avrebbe rappresentato politicamente l'affermarsi di una democrazia con una forte leadership espressione di una cerchia ristretta di finanzieri e di lobby politica-affaristiche». Lo ha affermato il consigliere regionale toscano del Pd Paolo Bambagioni, schierato per il No alla proposta di riforma costituzionale. «Sono d'accordo con le dichiarazioni del presidente della Giunta Regionale Enrico Rossi che ha chiesto al Pd un nuovo segretario nazionale (di garanzia) che traghetti il partito al Congresso», ha detto Bambagioni, secondo cui una forza come il Pd «per tornare ad essere veramente democratica e progressista dovrà mettere in minoranza l'area liberal moderata, rappresentata da Matteo Renzi, allontanando il Partito da Verdini e da tentazioni di partito della Nazione, facendosi invece interprete del malessere dei cittadini più deboli e meno protetti, e su questa linea costruire un nuovo gruppo dirigente». Le prove di forza in Toscana oltre i fronti. dei 4 dicembre Renhaffi contro d e ' ', rossia ', le ' ', Giova ' Turchi.. E nel 2017 sì vot Narciso Buffoni , dalemiano. Qui il No ha stravinto, massimo risultato in Toscana, nonostante il Pd avesse tra i suoi anche new entry come l'ex Sel di Marzo Fatucchi Non si sa quando e se si voterà per le politiche, quando e se si terrà il congresso, chi saranno tutti i candidati. Ma il referendum è stato una centrifuga che ha amplificato le divisioni nel Pd. Ed ogni divisione ha i suoi generali. Tutti noti quelli del fronte del Sì, come quelli «ufficiali» del No che però ne ha altri meno noti o sottotraccia. C'è chi si lecca le ferite, in entrambi i campi: i No «ufficiali», concentrati a Firenze, hanno sfondato poco in zona. Sulla costa, dove peraltro erano presenti pochi generali (a volte neanche colonnelli), le truppe sono uscite dalle trincee andando a far vincere i contrari alla riforma Renzi-Boschi. Con alcuni «blitz» in territori feudi del Pd renziano, come Lucca o Pisa. E qualcuno nel «Giglio magico» si domanda se davvero le difese sono sufficienti, in vista delle amministrative 2017. È il caso di Lucca. Qui Andrea Marcucci, senatore e tra i fidatissimi di Renzi, ha subito l'onta della sconfitta. Il Pd qui ha litigato fino al giorno prima nonostante il sindaco, il prodiano Alessandro Tambellini, avesse dichiarato il suo appoggio alla riforma: troppo tiepido, secondo i renziani. Qui si vota, nel 2017. Stefano Baccelli, altro renziano, punta puntare alle primarie (che Tambellini non vuole). Tutto congelato prima del voto, congelato anche ora in vista di quello che succederà a Roma. Ma i litigi proseguono, Altro fronte, quello di Massa Carrara. Qui il «big» Andrea Rigoni (ex Margherita) ha dichiarato ad agosto il suo Sì. Non si registrano però suoi grandi appelli al voto, molti dei suoi pare abbiano sostenuto il No, il cui capofila è stato l'ex sindaco di Montignoso Martina Nardi . A Carrara si vota, nel 2017. E il Pd deve scegliere il sindaco, anche se dà per persa la città: Enrico Rossi non la pensa così. Un «rossiano» (ex dalemiano), Samuele Bertinelli, è sindaco a Pistoia. Pure lui schierato per il Sì «tiepido», ma molto di più di Tambellini: il rischio è di fare la stessa fine del collega di Lucca con la richiesta di primarie arrivata dall'ala renziana, capitanata da Massimo Baldi e Edoardo Fanucci, deputato ex consigliere comunale a Montecatini (dove il Si ha perso). Meglio è andato il Si ad Arezzo, dove l'asse renziana è rappresentata da Marco Donati e Luisa De Robertis. Qui il No nel Pd ha solo riservisti: è partito un appello di decine di ex amministratori capitanato dall'ex assessore regionale (oggi scrittore) Tito Barbini . In altri, come Grosseto e addirittura Livorno, non ci sono neanche tanti nomi noti, l'ex bersaniano Luca Sani era per il Si: «Eppure spiega Filippo Fossati della sinistra Pd schierata col No si è risvegliata gente che non ti aspettavi, vecchi compagni e gente nuova». E altri che magari hanno avuto in passato un ruolo come, in Versilia, Bruna Dini o a Lucca Cecilia Carmassi (ex membro della segretaria Bersani). Certo, la Toscana resta un feudo renziano, compresa Sie- na. Tutta la segreteria, capitanata da Dario Parrini , si è lanciata per il Sì. C'è, oltre la Firenze del sindaco Dario Nardella (il top per il Si in Italia tra le grandi città), la Prato di Matteo Biffoni . Ma ci sono molte altre componenti: come i franceschiniani, rappresentati da Antonello Giacomelli, sottosegretario, e Caterina Bini, deputata. Ci sono pure i lettiani, almeno due: l'ex presidente della Provincia di Pisa e ora consigliere regionale Andrea Pieroni e il sindaco di Castelfranco di Sotto Gabriele Toti. Entrambi schierati per il Si, ma sia a Pisa che a Castelfranco ha vinto il No. Pieroni ieri è partito all'attacco di Renzi: «No a elezioni anticipate. Renzi scrive deve avere ora l'umiltà di ammettere i propri errori di valutazione, di non aver capito gli umori autentici della gente, di non aver compreso che non si vive di sola rottamazione e giovanilismo!». Un altro ex Margherita come Paolo Bambagioni, anche lui schierato per il No, par- la come un «no global»: in tanti hanno votato contro una riforma che «avrebbe rappresentato politicamente l'affermarsi di una democrazia con una forte leadership espressione di una cerchia ristretta di finanzieri e di lobby politico affaristiche ». Monia Monni, collega in Palazzo Bastogi, renziana e anche lei della Piana (dove ha vinto il Sì), lo rimprovera: la sua dichiarazione è «offensiva per tutti i volontari e i militanti che hanno creduto che la Riforma costituzionale sarebbe stata un punto di partenza per il rilancio del Paese». A provare a mediare, su questi fronti, prima del referendum ci aveva provata Elisa Simoni. Vicina ad Andrea Orlando dei Giovani Turchi,si è schierata per il Si, ma in modo dialogante con i suoi «compagni-avversari» del No. «Non dobbiamo ripetere l'errore fatto dopo le regionali, far finta di nulla. E dire che si riparte col 40% ottenuto dal Si è incoscienza, significa consegnare il Paese a Grillo». © RIPRODUZIONE RISERVATA II campo di battaglia città dove R A CARRARA PISTOIA PRATO AsivoteràCa nel 2017 Forte dei Marmi ')plnAlÍ PC?ai"do Camaiore Lucca !, ont hel entur a Flren-aì :IarTÍna IIardÍ I.a,-,a Carrara! T a -bInl Gi"a-lano JOrìl FÍr-n-- ndrea Pieronl ,abri---Tot !Plr,a1 Paolo Banaba-iorìi Piarìa Fior-rìtirìa' Filippo Fo„ati ,t-fama olle ,a,Í, „Ío F)rr,,Í Fit-ric-I Paolo Fontanelll Frane ,eo I Ioni i, IarÍa Gra_-ia Gatti (Pisa) Bruna Dini, Stefano Maestrelli (Versilia) Cecilia Carmassi ( Lucca) Elia inaonl Fir-ric.agi rida-a Pi-orìi (I .a„a Carrara! „andro Tanabelllnl Lucca! amualc E-rtinelh PÍ,toÍaì ttono Eu ll Empoll! r en-o arclli e--oì -ntonello Clacom-lli Prato! aterir a Blnl Pi-Toia! ntonÍo I, la---o F'Í,a! Carie Pattini Luca Lotti Fir-r Iarco Donati Lucia E- RoL rTi , _ ! =r Jr-a I:Iar,_u,_ci `te FanoEa,_celli Lucca ,la-,-,inno BaI J Iatteo Fanucci PÍ,toÍa! o! Bruno 'al ntr i Í-rIai I.Iatteo DIFFnril Prato! Lo r- rì o Eacci Ll,orno! 'C2mimetr9 Regione Dalla Ue 250 milioni per infrastrutture e case Il Piano di investimenti quinquennale della Regione avrà il sostegno della Banca europea per gli investimenti. Nel complesso, la Bei finanzierà i150% del mezzo miliardo di opere previste nel 2o16-2o nei settori infrastrutturali e nell'edilizia residenziale pubblica: prestiti per 250 milioni con durata di 25 anni. La prima operazione, firmata ieri dal vicepresidente Bei Dario Scannapieco e dal governatore Enrico Rossi, è una linea di credito di 15o milioni per la realizzazione di progetti nei trasporti strategici e sostenibili, nel rinnovamento urbano, per il patrimonio culturale, la protezione dell'ambiente e gli edifici pubblici. Sarà poi perfezionato anche il prestito per l'edilizia residenziale pubblica. MIRKO REALI, STUDENTE, ERA ANDATO AL LAGO DI BILANCINO CON GLI AMICI: SPARI' IN ACQUA DOPO IL TUFFO DALLA STRUTTURA GONFIABILE IL CORPO SENZA VITA DEL GIOVANE STUDENTE PRATESE VENNE TROVATO A MEZZANOTTE DAI SOMMOZZATORI A5 METRI DI PROFONDITA' GLI ACCERTAMENTI DEI CARABINIERI, OLTRE CHE SULLE TESTIMONIANZE, Si CONCENTRARONO SUBITO ANCHE SULLA STRUTTURA GONFIABILE Bilancino, mori dopo un tuffo nel lago `Ja piramide gonfiabile era fuorilegge' A r ees s ® due bagnini e i `t di STEFANO BR IONI CI SARA un processo per la morte di Mirko Reali, il19enne pratese che nell'estate del 2015 morì dopo un tuffo dalla piramide gonfiabile installata in uno stabilimento balneare del lago di Bilancino. Lo ha deciso il giudice per l'udienza preliminare, Francesco Bagnai, che ieri mattina ha accolto la richiesta di rinvio a giudizio, presentata dal procuratore aggiunto, Luca Turco, nei confronti del titolare del bagno "Bahia" di Barberino del Mugello e di due bagnini in servizio quel maledetto 29luglio del 2015. Il 17 gennaio la prima udienza. Secondo le tesi della procura, tutto ruota intorno all"`Iceberg", una piramide di gomma alta quattro metri, ancorata al fondo dell'invaso, da cui i frequentatori del Bahia, tra cui Reali, si tuffavano. Il gonfiabile, che venne sequestrato dai carabinieri, si presentava, secondo le accuse, in condizioni che non garantivano la sicurezza degli utenti. Delle 32 maniglie necessarie per arrampicarsi al punto del tuffo, una decina erano rotte. Mirko, secondo quanto ricostruito, probabilmente scivolò e prima di cadere in acqua urtò qualcosa, forse un altro bagnante, anche se questo punto rimane ancora da chiarire. Ma nell'impatto perse i sensi e scivolò in fondo al lago, dove venne cercato e ritrovato soltanto alcune ore dopo, quando ormai era morto. Annegamento, la causa del decesso, stabilita dall'autopsia. Su questo punto, si concentrano le contestazioni ai due sorveglianti dei bagnanti, che avrebbero do- re el stabilimento balneare vuto accorgersi dell'incidente occorso in acqua. Ma le contestazioni della procura vanno anche a monte dell'episodio. E si concentrano soprattutto sulla posizione del titolare dello stabilimento. L'Iceberg sarebbe stato installato senza la necessaria autorizzazione dell'amministrazione del Comune mugellano. A carico del legale rappresentante del Bahia, inoltre, il pubblico ministero Turco ipotizza la responsabilità delle mancate istruzioni ai M irko Reali , 19 anni, di P rato , m ori dopo un tuffo da una struttura go nfiabile g allegg iante siste mata nel [a g o di bilancino . La tra g edia il 29 lug lio 2015 due bagnini, che anziché dedicarsi esclusivamente alla sorveglianza di chi stava facendo il bagno, dovevano provvedere anche al noleggio di ombrelloni e lettini. E infatti, al momento dell'incidente, secondo le accuse, i due sorveglianti non erano alla loro postazione. Reali quel giorno era arrivato a Bilancino con un gruppo di amici, che si accorsero della sua "assenza" al momento di andare a casa. Immediatamente si misero in moto le ricerche. I sommozzatori dei vigili del fuoco ritrovarono il corpo del 19enne adagiato sul fondo del lago, a circa tre metri di profondita, a qualche metro di distanza dalla piramide gonfiabile. La u72'R Il processo per la morte di Mirko Reali si aprirà il 17 gennaio. Sotto accusa come imputati due bagnini e il titolare dello stabilimento balneare di Bilancino La struttura gonfiabile nel lago e i sommozzatori dei vigili del fuoco I genitori di Mirko Reali e la sorella si sono costituiti parte civile. Il rinvio a giudizio per i due bagnini e il titolare della struttura è stato disposto dal giudice Francesco Bagnai L'accusa Secondo il pm Luca Turco la struttura galleggiante non era in regola mentre i due bagnini non avrebbero assicurato come dovevano il servizio di sorveglianza Sesto Fi re ino «No inceneritore» Dalla giunta Falchi altro ricorso al Tar SESTO La giunta falchi ha presentato un altro ricorso al Tar contro il termovalorizzatore e il decreto del presidente del Consiglio dei ministri (lo agosto) che individuava Case Passerini tra i siti nazionali in cui costruirlo. «Non siamo soddisfatti di dover ricorrere ancora una volta alle vie giudiziarie per sopperire all'assenza della politica commenta l'assessore Silvia Biechi - Ma non possiamo avallare l'idea che decisioni così gravi per il nostro territorio possano essere prese sopra i cittadini e i loro rappresentanti». (A.P.) © RIPRODUZIONE RISERVATA Renzi: un governo con tutti dentro o alle urne subito Oggi sì alla manovra, poi il leader al Quirinale Italicum, la Consulta deciderà il 24 gennaio ROMA Una giornata così ricca di colpi di scena non si vedeva dal tempi della Prima Repubblica. E quando è sera, alla Camera, la sintesi che si solleva dai capannelli di deputati è una sola: la data del voto si allontana (per ora), le elezioni non sarebbero a febbraio e forse neanche in primavera. invece, il secondo nodo non viene sciolto: con quale governo si amministrerà il Paese fino alle elezioni? L'ultima carta giocata dal premier dimissionario Matteo Renzi - stoppato dal Quirinale e dalla Consulta sulla strada delle «elezioni subito» - è quella di un «governo di responsabilità nazionale» che abbia il sostegno di tutti i partiti, compresa la Lega e il MSS, come unica alternativa alle elezioni immediate. Una sorta di «dentro tutti» che, alle orecchie dei non renziani, suona come una mossa tattica per prendere tempo. Un «no» secco arriva subito dal M5S e da Forza Italia, che chiede di varare prima la legge elettorale. La giornata era iniziata secondo il calendario concordato lunedì dal capo dello Stato e dal premier. Dimissioni di Renzi congelate fino a oggi pomeriggio quando il Senato approverà, con la fiducia tecnica, la legge di Stabilità: voto secco senza emendamenti. Così, di mattina, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha potuto concedersi un paio di ore di serenità alla cerimonia per la presentazione della (auto)biografia di Pierre Carpiti alla quale partecipa il grande popolo della Cisi e anche Romano Prodi che, per inciso, a proposito di un suo eventuale coinvolgimento alla guida del governo, dice parafrasando l'ex segretario generale del sindacato cattolico: «Io sono come il prete che non torna mai nella parrocchia che ha lasciato...». Poi Mattarella rientra al Quirinale. E scoppia una grana al Senato dove ci si accorge, in corso d'opera, che nella «Finanziaria» non si possono aggiungere alcune promesse fatte da Renzi prima del referendum: non ci sono 1,5o milioni per curare i tarantini che convivono con l'acciaieria Ilva e gli stanziamenti aggiuntivi per le zone terremotate. La «bomba», però, arriva intorno alle 16 quando la Consulta comunica di aver fissato al 24 gennaio l'udienza pubblica sui profili di incostituzionalità della legge elettorale (Italicum), scardinando così il calendario di rito renziano che marciava più in fretta. A quel punto, si diffonde tra i parlamentari l'idea che la linea del Quirinale di frenare sulle «elezioni subito» possa contare su una sponda alla Corte: «E una follia questo ritardo», tuona Matteo Salvini della Lega. Solo a fine gennaio si saprà l'esito del vaglio di costituzionalità e solo da quel momento il Parlamento potrà mettere mano alle leggi elettorali di Camera e Senato. Così il calendario aggiornato dalla Consulta fa intravedere elezioni a maggio (vicine al G7 di Taormina) se non in estate quando però sarà prossima la data del 15 settembre oltre la quale, se vive la legislatura, scatta il vitalizio per i parlamentari. In questa cornice Mattarella ha annullato gli impegni esterni previsti per oggi (alla Scala, a Milano) e ha lasciato intendere che le consultazioni perla formazione del governo verrebbero anticipate (a domani?). Poi Renzi ha messo tutti davanti a un bivio: elezioni subito o governo di tutti i partiti. Oltre il bivio, però, già si profilano due strade senza uscita. Dino Martirano 0 RIPRODUZIONê RISERVATA Referendum ìt,= CO . Le tappe U de, en. to suiïa leg-;,d Stabïll: INCARICO Di GOVERNO uoi del 90 =rno Renzl Consul+ " ;." cr*+ il eppo & a Stäi i t;oniexrsffieoto (anche s lo per man esplorativo) Dal voto è venuto tuI bel bagno di zuniltá. Dobbiamo ripartfre ascoltando dï pit3 iI Inalc.ontento della gente. ßessuna, arroganza. Il nostro messaggio era di fiducia e speranza, Ina sappiamo che c'è gente clle sta Inaie Graziano Delrio, ministro al Trasporti LA FIUUCl1 21 GENNAIO2o17 ; LALEGGE I7EITORALE ; FINE LEGISLATURA ,1 , Al governo si va con il voto dei cittadini. Chiediamo l'Italicum corretto per il Senato Di Maio M5S Non c'è più spazio per gli induci: elezioni subito con qualsiasi legge elettorale Meloni Fdl Verso l'addio Il premier Matteo Renzi, 4lanni, ha congelato le dimissioni fino all'approvazione della legge di Stabilità (Eidon) e Re lÁz i ✓ ,, a P ,,, u ito 7ii 41, '' 11 ìn ,% ,,1 , n /a Il Quirinale: prima la legge elettorale. E offre al premier il bis Dimissioni venerdì. Franceschini: barra dritta, non si vota TOMMASO CIRIACO UMBERTO ROSSO Nella tela del Quirinale si impiglia il blitz elettorale progettato da Matteo Renzi. Uno stop imposto dal Capo dello Stato. E consolidato da una durissima offensiva che i capicorrente del Pd scagliano contro il leader. Il resto lo fa la Consulta, fissando al 24 gennaio la sentenza sulla costituzionalità dell'Italicum: di fatto, un colpo mortale alle tentazioni di urne del capo dell'esecutivo. «Crediamo all'esigenza di avere un governo di scopo - apre a sera il renziano Graziano Delrio - che ci porti alle elezioni, penso in primavera». La tenaglia si stringe fulminea. Mattarella ricorda a Renzi che la stabilità non prevede salti nel buio: se la Corte Costituzionale dovesse bocciare l'Italicum in piena campagna per le Politiche, il prossimo Parlamento non nascerebbe già delegittimato? E ancora: è inconcepibile non tentare di uniformare i sistemi elettorali di Camera e Senato. Passa poco e interviene proprio la Consulta. Con un calendario che non lascia dubbi: se la sentenza è in agenda per fine gennaio, la pubblicazione delle motivazioni slitta a febbraio. Impossibile tornare ad elezioni, serve un governo in carica. Il nuovo scenario disorienta il sospetti trovano sfogo. Nel mirino finisce innanzitutto la tempistica dell'annuncio della Corte di cui Mattarella era membro fino all'elezione - che i renziani interpretano proprio come un gioco di sponda con il Quirinale. Certo è che il mazzo di carte in mano al leader di colpo si assottiglia. In un clima da resa dei conti, le correnti si armano. A organizzare il partito della continuità è Dario Franceschini, sostenuto da Andrea Orlando. E un asse solido, che promette parecchi mesi di legislatura a truppe smarrite. Proprio il ministro dei Beni culturali è protagonista di un teso colloquio con Renzi. Prima ancora, però, mobilita i suoi con sms lapidario: «Dovete mantenere la barra diritta, non bisogna votare». L'obiettivo è un governo largo, sostenuto anche da Berlusconi. Tra summit d'area convocati e poi sconvocati, si consuma uno dei giorni più tesi della storia del Pd. Ma a comandare è soprattutto il pallottoliere. Se in direzione il premier è forte di una maggioranza stabile, nel gruppo della Camera lo scenario è assai diverso. Tiene i conti Luca Lotti, mentre un altro ultra renziano come Francesco Bonifazi si incolla al telefono per arruolare parlamentari. Non sono da meno i "delegati" delle altre correnti, in una conta frenetica che cambia di ora in ora. Dei 301 deputati dem, soltanto una quarantina sono renziani "certificati". Franceschini ne controlla un'ottantina, vicini anche alla sensibilità di Mattarella. I Giovani Turchi, invece, vivono ore di fibrillazione. Se Orlando sta con il Colle, Matteo Orfini e Maurizio Martina seguono il premier. In tre, si contendono un centinaio di peones.La dura legge dei numeri parla chiaro, insomma: solo con un nuovo "patto di sindacato" Renzi può tenere unito il Pd a Montecitorio, restan- do anche in sella alla guida del partito. Senza un accordo, invece, proprio Franceschini e Orlando sono pronti a rilanciare, puntando il primo a Palazzo Chigi e il secondo alla guida del Pd. Lo scoglio più immediato resta comunque la casella vacante di Palazzo Chigi. Già domani - al più tardi venerdì - sono previste le consultazioni. Per Mattarella, la prima scelta resta l'attuale premier. Ma di fronte a dimissioni irrevocabili è Pietro Grasso in pole per la successione. Più dura che la spunti Pier Carlo Padoan, Difficile risolvere il rebus senza spegnere prima l'incendio del Pd. Se salta l'intesa, si riparte dal via. QRIPRODUZIONE RISE-TA la crisi di governo or vidi congelarsi Oggi pomeriggio il Senato vota, con la fiducia, la legge di Bilancio 2017: è l'adempimento chiesto dal Quirinale prima di accettare le dimissioni di Renzi e aprire la crisi. Le opposizioni avevano chiesto modifiche al testo arrivato dalla Camera, contestando "norme clientelari". La maggioranza ha detto no ' 7.30 di oggi è fissata la direzione ciel Pd: una resa dei conti dopo che nel referendum il partito si èdiviso tra Si e Jo. Renzi proporrà di varare un 'governo istituzionale" che abbia la priorità di una legge elettorale condivisa da uno schieramento più largo possibile. L'alternativa è il voto anticipato EX SEGRETARIO Il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini,ex segretario Pd, è uno dei più accreditati candidati per il ruolo di premier PRIMO BANCO DI PROVA Sergio Mattarella, ex ministro ed ex giudice della Consulta, è al Quirinale dal febbraio 2015. Quella aperta dall'esito dei referendum è la prima crisi di governo che si trova a gestire Archiviata la legge di Bilancio, Renzi salirà al Quirinale per rassegnare le dimissioni annunciate in tvgià domenica rotte dopo la sconfitta nel referendum sulla riforma costituzionale. Mattarella gli chiederà di garantire un quadro nel quale varare una legge elettorale "coerente" per Camera e Senato _.rrnani, o al massimo venerdì, iniziano leconsultazioni al Quirinale. I gruppi parlamentari riferiranno a Mattarella il loroorientamento sullo sbocco della crisi. Dichiaratamente a favore dei voto in tempi stretti sono MSS, Lega e Fratelli d'Italia. Pd, Ncd, Ala e Forza Italia sono invece per un nuovo governo FEDELISSIMO Graziano Del rio, ministro delle Infrastrutture,è uno dei fedelissimi del premier Matteo Renzi. È nella rosa per Palazzo Chigi TECNICO Il titolare del Tesoro, PierCarlo Padoan, potrebbe guidare un governo che darebbe continuità alla politica economica del Paese La Corte costituzionale ha fissato per !124 gennaio l'udienza in cui valuterà ricorsi contro l'Italicum, la legge ,:elettorale con ballottaggio e premio di maggioranza.I "vizi" indicati dai ricorrenti sono relativi, tra gli altri, ai capilista bloccati, alle candidature in più collegi e al "quantum" del premio SECONDA CARICA Il presidente del Senato, Pietro Grasso, in quanto seconda carica dello Stato, ha il profilo per guidare un governo "istituzionale" Economia & Società di Lina Palmerini Il «freno» del Colle s premier C èun vuoto che si chiamaleg- subito. Una posizione di puro calge elettorale. E che Renzi e i colo politico su cui si è alzato il partiti di opposizione fingono di «muro» diMattarella che obbliga ignorare quando invocano il voto al realismo. a referendum «Correttezza isituzionale vuole che si aspetti il giudizio della Consulta» Il capo dello Stato annulla la visita a Milano: non sarà alla prima della Scala IL Il «freno» del Colle su enzi e il gioco tattico delle opposizioni sul voto subito on c'è solo la propaganda prima delle elezioni , c'è pure quella del giorno t dopo. E puntualmente si è scaricata sullarichiesta diunvoto subito, senza che nasca un nuovo Governo per fare una nuova legge elettorale. Lo chiedono i 5 Stelle, lo chiedelaLegae su questa scia si è messo Matteo Renzi che da premier - seppur dimissionario - ha in mano una responsabilità diversa. E dunque la rincorsa al calcolo politico, a chiamare di nuovo le urne ha contagiato anche il segretario del partito di maggioranza da cui dipende il futuro della legislatura. È E. CO Cl i? 1"l l d & S i? f I P_ di Lina Palmerini ................................................................... Scadenza della XVII legislatura Le elezioni si sono tenute nel febbraio 2013 chiaro che laposizione si spiega conl'esigenza di nonfarsi stritolare da Grillo e Salvini e di non farsi logorare dalla su a minoranza ma c' è un esercizio di realismo che spetta a chi ha guidato finora il Governo, benché sconfitto dal referendum popolare. Questo esercizio riguardala legge elettorale.Cheinquestomomento èilgrandevuotodi questa crisi. Nel senso che l'Italicum è sottoposto al giudizio di costituzionalità della Consulta, che il Consultellumsi applicherebbe solo a Senato e questo rende impraticabile laviadelleurne subito come chiedono tuttiallavigilia delle consultazioni al Colle. È su questo punto che Sergio Mattarellahatirato ilfreno sulle richieste di Renzi. Nel senso che il Colle non può accettare una posizione che prevede unpremierdimissionario che durifino a febbraio, perché il 24gennaio c'è laprima udienzadella Corte costituzionale sullalegge elettorale e quindi serviranno almenoun paio di settimane prima di concludere l'iter. Nel frattempo il Paese habisogno di un Governo. È qui che il Quirinale ha fatto muro. Ed è un muro che ha alzato non solo contro Renzi ma che diventa un segnale anche su come condurrà le consultazioni. Un messaggio che prepara i partiti che sfileranno davanti a lui nei prossimi giorni e ai quali farà una domanda netta: mentre si fa la legge elettorale e prima di andare al voto, chiguidail Paese?Le elezioni entro i prossimi mesi possono essere un calcolo politico legittimo ma è responsabilità di ciascun partito indicare con chiarezza la strada attraverso cui ci si arriva. In sostanza, in queste ore -prima che si apra la ritualità formale della crisi - c'è uno scontro tra convenienze politiche ed esigenze istituzionali.Edè chiaro che i rappresentati di queste due posizioni siano entrati in frizione: Mattarella e Renzi. Tra l'altro lavigilia di una crisi sconta un clima di sospetti e diffidenze che aggiunge tensione, che annebbia la vista più che schiarirla. Il timore che al Colle si manovri per un Governo di legislatura o per indicare un premier di suo gradimento, è quello che sta avvelenando il clima. Ma dal `vuoto" della legge elettorale non si può prescindere. Ora tocca alla direzione del Pd scegliere con quale governo rimediare. Referendum costituzionale Elezioni inconcepibili senza la legge» Mallarella preoccupato per la scelta pd Secondo il Colle non si può votare se non si rendono omogenei i sistemi elettorali due Camere, regolate da due leggi elettorali profondamente differenti, l'una del tutto proporzionale, l'altra fortemente maggioritaria con ltro che prendere tempo per escogitare forti ri schi di e ffetti incompat ibili ri spetto a lun'uscita ordinata dalle crisi più diffi- l'esigenza di governabilità». Perciò, secondo Sergio Mattarella, una nuova cili, com'era prassi nella Prima Repubblica (ma pure nella Seconda). La fuga legge elettorale sarebbe «una soluzione obbliin avanti attribuita ieri per molte ore a Matteo gata prima che di buon senso». Per lui in questa Renzi era il contrario di questo. Prevedeva un ra- complessa partita gioca un ruolo cruciale pure pidissimo voto del Senato sulla legge di Stabili- la sentenza della Consulta, attesa per il 24 gentà, oggi, con la quasi contestuale direzione di un naio. «Ovvie ragioni di correttezza istituzionale Pd già descritto tutto sulla sua linea, e successi- richiedono prima di andare a nuove elezioni di va salita del premier al Quirinale verso sera. Da attendere le conclusioni di quel giudizio il cui dimissionarlo che, dopo l'insuccesso referenda- esito non è ovviamente prevedibile». Riferite dall'Huffington Post, le valutazioni rio, vuole portare lui il Paese alle urne, togliendel Quirinale cadono con un preoccupato peso do al capo dello Stato ogni altra soluzione. Un piano bruciante, dal punto di vista del Col- istituzionale su Palazzo Chigi e chissà quanto le, e non soltanto per la velocità. Ma era un az- hanno contribuito a far lievitare, assieme ad alzardo, uno scatto d'umore o una calcolata prova tre pressioni politico-parlamentari, la variante di forza per saggiare certe reazioni politiche? I del «bivio» sposata in tarda serata dal Pd e dundubbi sono rimasti in sospeso perché, dopo una que da Renzi: o un governo di responsabilità naserie di confronti e contatti politici, le cose sono zionale sostenuto da tutte le forze politiche o vodi colpo cambiate. Per una decisiva indiscrezio- to subito. Chiaro che in uno scenario di minacce e rilanne dal Colle: «E inconcepibile indire elezioni prima che le leggi elettorali di Camera e Senato ci, siamo alle prime battute di una crisi incartata vengano rese tra loro omogenee. Il risultato del come poche altre. Il presidente della Repubblireferendum ha confermato un Parlamento con ca, che per tenersi pronto a gestirla ha annullato un viaggio a Milano, è pronto ad aprire le consultazioni con le forze politiche già da domani (anche se preliminare a questo passo saranno le crisi impegni dimissioni di Renzi, del quale ancora non si sa Per il capo dello Stato sarà decisiva quando si presenterà sul Colle). Due le ipotesi di di Marzio Breda la sentenza della Consulta. In vista lavoro prevalenti, per Mattarella. La prima con- delle consultazioni non sarà gettura sembra ormai solo «di scuola» e prevedecheilpremïernonformalizzi subito larinuncia e sia inviato alle Camere, per un chiarimento da cui potrebbe maturare di tutto. La seconda ipotesi passa attraverso il gran consulto quirinalizio, da cui potrebbero scaturire diverse soluzioni con diversi candidati premier. Non escluso lo stesso Renzi, alla guida dell'esecutivo istituzionale da lui ventilato come estrema chance. presente alla prima della Scala RIPRODUZIONE RISERVATA Prodi: s pW premer II capo dello Stato Sergio Mattarella con Romano Prodi ieri alla presentazione di un libro al l'Auditorium Antonianum. L'ex premier ha escluso con una battuta un suo eventuale ritorno, anche temporaneo, a Palazzo Chigi: «Un parroco non deve tornare nella propria parrocchia, nemmeno per confessare» LA DIFFICILE RMUITA Gli alleati del premier di Francesco Verderami enzi è sincero quando dice che vuole consegnare la campanella del presidente del Consiglio al suo successore . Ma vuole farlo solo continua a pagina 6 dopo le elezioni. Il dedalo degli . s chieramenti spaccati Renzi vuole che B erlu sconi -9 esca ano scoperto per far saltare ® patto tacito con i suoi avversari interni 1 !! Monti si dimise il 21 dicembre e si andò alle urne due mesi dopo SEGUE DALLA PRIMA E il giorno dopo il voto spera anche di passare quel simbolo del potere dalla sua mano sinistra alla sua mano destra. Ma il futuro è un'ipotesi per il leader del Pd, sfiduciato dal Paese con il referendum. E già non sarà facile riuscire a completare il primo step, che nel suo schema è obiettivo necessario e non negoziabile per avere la chance di presentarsi da candidato premier alle prossime elezioni: uscisse ora da Palazzo Chigi non ci rientrerebbe più, dato che i rottamati lo attendono a quel varco per rottamarlo. Renzi però non deve dar l'idea di forzare la mano, e sa che dovranno consumarsi prima una serie di passaggi . Perciò formalizzerà davanti alla direzione del Pd la proposta di un governo di responsabilità nazionale , rivolto a tutte le forze politiche per varare una nuova legge elettorale. Scontato il «no» di Cinquestelle e Lega, verrà chiesto a Berlusconi di concludere la legislatura come l'aveva cominciata: con le larghe intese. È parte della strategia che il premier ha deciso insieme ad Alfano, un modo per far saltare il tacito patto tra il Cavaliere e l'ala dem non renziana - «ditta» compresa - che miravano (e mirano) a far nascere un altro esecutivo, così da regolare i conti nei rispettivi schieramenti, per ritrovarsi magari tra un anno a suggellare un governissimo dopo il voto: «Forza Italia non pensi di ottenere gratis Il prolungamento della legislatura», ha detto infatti ü ministro dell'Interno. Insomma, o Berlusconi (ri)sale ora sul treno o il treno si ferma. E questa la manovra, che sconta però molte avversità. Non solo perché Renzi, dal momento in cui avrà dato le dimissioni, sarà esposto all'azione di logoramento di chi - nel suo partito - si oppone alle elezioni anticipate. Ma anche perché - giusto il giorno dopo le dichiarazioni di Alfano sulla possibilità di votare a febbraio - la Consulta ha calendarizzato per il 24 gennaio l'esame dell'Italicum: un annuncio che impone al Colle di sottolineare la necessità di attendere il responso della Corte per avere poi una legge elettorale omogenea per le due Camere. Una variabile che rischia di far saltare il timing di Renzi. Quanto a lungo potrebbe restare a Palazzo Chigi un premier dimissionario prima di andare alle urne? In soccorso del leader democrat viene il «precedente Monti», dimessosi il 21 dicembre del 2012: allora Napolitano sciolse il Parlamento il giorno dopo ma indisse le elezioni per il 24 febbraio del 2013 . Due mesi quindi. Per arrivare a fine marzo del 2017 , che è l'obiettivo di Renzi, potrebbero tornar utili i giri di consultazioni al Quirinale e un possibile mandato esplorativo che constati l'inesi- CONSULTAZIONI È la serie di incontri che il capo dello Stato tiene al Quirinale per individuare la persona a cui affidare l'incarico di formare un governo e per capire se esiste una maggioranza possibile. Vengono sentiti gli ex capi di Stato, i presidenti delle Camere, i senatori a vita e i presidenti dei gruppi parlamentari. stenza di una maggioranza di governo. Una cosa è certa, il premier sa che il capo dello Stato eserciterà le sue prerogative fino in fondo, ma sa anche che al Quirinale non si coltiva il disegno di costituire un governo da far sfiduciare dalle Camere e a cui far gestire poi le elezioni. Com'era scontato il risultato referendario ha provocato la crisi del sistema e l'esplosione di ogni aggregazione. Ncd e Udc da ieri hanno liquidato l'esperienza di Ap. Berlusconi e Salvini vivono da separati in casa nel centrodestra. Con il leader di Forza Italia che punta al 2018, e con il leader della Lega - determinato a giocarsi le primarie - che non vuole accollarsi la paternità della rottura e freme per gli «imprevisti» che ostacolano il suo disegno, tanto da trasformarsi in un «renziano» d'ordinanza: «Resti Renzi a Palazzo Chigi e si vada subito al voto. Che è `sta roba della Consulta». Potrà sembrare un paradosso, ma in questa fase i peggiori nemici sono i migliori amici. E viceversa. Nel Pd, per esempio, si preparano a una direzione che somiglia ai vecchi Consigli nazionali della Dc: tra riunioni carbonare, documenti preparatori, dichiarazioni criptiche e persino minacce di carta bollata se il segretario dovesse porre l'autaut e candidarsi a premier senza prima aver fatto il congresso. Sarà la ressa fuori dalla sede del partito e sarà la rissa dentro. Il preludio di una scissione se Renzi non mollerà quella campanella. E i Cinque Stelle stanno a guardare... Francesco Verderami © RIPRODUZIONE RISERVATA Nel toto-nomi anche il presidente del Senato Grasso Esecutivo di scopo, in c PO Padoan, Deirio e Gentiloni ROMA Il governo di responsabilità nazionale che oggi Matteo Renzi lancerà nella direzione del Pd rivolgendosi all e opposizioni sembra essere tramontato ancoraprima di nascere. Lega, Fratelli d'Italia e Movimento 5 stelle lo hanno già bocciato. E da Forza Italia arrivano segnali analoghi. Tuttavia una collaborazione dopo il referendum p errifare insieme la legge elettorale è dall'inizio della campagnaelettoralel'orizzontepolitico di Silvio Berlusconi, che alla fine potrebbe decidere di essere della partita sconfessando i suoi. Tentare una soluzione condivisa spetteràinogni caso al Capo dello Stato Sergio Mattarella quando, forse già venerdì, inizierà le consultazioni dirito dopo ledimissioni di Renzi da Palazzo Chigi. E in questo caso gli occhi di molti si appuntano sulle due classiche figure istituzionali: ipresidenti delle Camere Pietro Grasso e Laura Boldrini. Tuttavia da Largo del Nazarenofanno notare che laproposta che farà Renzi non è esattamente quella diungoverno istituzionale, b ensì quella di ungoverno p olitico con il concorso di una larga maggioranzache abbiatraisuoiprincipali compiti quello di uniformare le leggi elettorali di Camera e Senato tenendo conto della sentenza della Consulta, proprio ieri fissataper il2çgennaio.Inquesto caso le figure più indicate sarebbero appunto figure più politiche, come potrebbero essere quelle dei ministri Graziano Delrio e Paolo Gentiloni. O, ma meno probabile, DarioFranceschini. Ma se lo "scenario A" dovesse fallire, come sembra al momento probabile, resta lo "scenario B" dell c urne anticipate il primapossibile. Si aspettala decisione della Consulta sull'Italicu m (la sentenza sarà autoapplicativa) - è questa la fine a di Renzi - e poi si va alle urne a metà marzo. In questo caso Renzi sarebbe disponibile, se Mattarell a glielo chiedesse, a restare a Palazzo Chigi per traghettare il Paese alle elezioni politiche. Ma nello schema di Renzi questo passaggio dovrebbe essere molto breve, tanto da potersi presentare all'opinione pubblica come "dimissionario" di fatto. Tuttavia sono molte le perplessità, dentro lo stesso Pd, sulla percorribilità di tale strada Pur condividendo la necessità di anticipare le elezioni rispetto alla scadenza naturale della legislatura nel febbraio 2oi8, Franceschini e altri dellavecchiaAreademritengono che ci voglia più tempo, se non altro per recepire al meglio la sentenza della Consulta sulla legge elettorale, di quell o immaginato da Renzi. Insomma elezioni a giugno e non a marzo. In questo caso difficilmente Renzi potrebbe accettare di restare così alungo a Palazzo Chigi dopo aver prima annunciato e poi presentato solennemente le sue dimissioni. Per questo ieri sera proprio Delrio, uno dei possibili candidati, parlava di un «governo di scopo che ci portialleelezion ».Quisiamoallo "scenario C": governo di scopo, appunto, per votare a giugno. E in questo caso il nome giusto, oltre allo stesso Delrio, tornerebbe ad essere quello del ministro dell'EconomiaPier Carlo Padoan. Em. Pa. (J RIPRODII ZION E RISERVATA Ministro delle Infrastrutture Per le sue doti di mediatore anche Graziano Delrio viene indicato come possibile erede di Renzi a palazzo Chigi. Il ministro delle Infrastrutture, tra l'altro, tra i renziani è forse quello che gode delle migliori relazioni con tutte le altre anime del Pd Ministro dell'Economia Il ministro Padoan, come possibilesuccessore di Renzi a PalazzoChigi, ha dalla sua il vantaggio di avere in manotutti i dossier economici dell'esecutivo uscente ed essere apprezzato a livello internazionale. Con lui sarebbe garantita una certa continuità nell'azione di governo %" 1,9 ítcu L'imbarazzo della sinistra Pd: giusto non votare, Berlusconi resti fuori L'ex leader: servono politiche sociali. Cuperlo però apre all'allargamento GIOVANNA ADIO ROMA. Silvio Berlusconi, il «giaguaro un po' smacchiato», potrebbe tornare sulla strada di Bersani e della "ditta". Se sarà archiviata la scelta di elezioni subito, che Renzi sembrava volere mettere sul tavolo, l'altra opzione è un governo istituzionale o di scopo. E con chi, se non con le opposizioni? Difficilmente con Alessandro Di Battista con il quale l'ex segretario del Pd ha da sempre un buon rapporto: i 5Stelle hanno già detto che loro mai scenderanno a patti. Si tratterà allora di convincere Berlusconi e di richiamare nei ranghi Denis Verdini, che del resto fino a qualche settimana fa desiderava entrare in maggioranza dal portone principale e ora non vuole essere chiamato a bordo da clandestino. Alla sinistra Pd non piace l'idea di imbarcare la destra. È un rospo duro da ingoiare. L'imbarazzo è palpabile. Bersani già annuncia: «Non si capisce il motivo di allargare a Berlusconi, anche perché le politiche che vorremmo dal governo di transizione sono anche politiche sociali, oltre alla legge elettorale. Casomai è verso il centrosinistra che bisogna andare». La sinistra è li che guarda. E la riunione ieri sera dei bersaniani guidati da Roberto Speranza consegna un documento in vista della resa dei conti oggi nella direzione del Pd: «Noi puntiamo a un governo che abbia una connotazione politica, che mentre cerca l'accordo sulla legge elettorale, mette in campo cambiamenti su Jobs Act e riforma della scuola», è la sintesi di Speranza. Il 17 dicembre a Roma la sinistra terrà una manifestazione nella quale spera di coinvolgere Anpi, Arci, Cgil, il fronte della sinistra per il No al referendum. La stella polare della battaglia della minoranza democratica è «andare avanti con la maggioranza che c'è». Lo dice Bersani, lo ribadisce Speranza, lo ripetono in ogni modo i bersaniani Di Traglia, Gotor, Stumpo. Più cauta la posizione dell'ex presidente Pd Gianni Cuperlo, altro leader della sinistra che si è schierato per il Si al referendum: «Si tratta di garantire la transizione e quindi è ovvio aprire a una parte dell'opposizione». Una cosa comunque la sinistra del partito l'ha incassata: «Niente corda pazza», così era giu- dicato il voto subito. «Bene, non cerchiamoci il freddo nel letto...»: Bersani usa un proverbio padano per spiegare che è buona regola non mettersi nella posizione più scomoda possibile, continuando a sfidare il paese, passando da una prova di forza a un'altra. «Dopo la caduta del governo Letta non andammo a votare, non è che ora se Renzi si dimette viene giù l'Italia, ci sono le condizioni per gestire politicamente questa fase...». Il rischio delle elezioni immediate sembra scongiurato, Renzi è stato condotto a più miti consigli dai renziani stessi e dai leader che lo sostengono, da Dario Franceschini ai "giovani turchi" di Verducci, Orfini e Orlando. Tuttavia la tregua nella direzione dem di oggi è lontana. Ci si rinfaccia di tutto e in più crescono i sospetti di scissioni, di epurazioni, di nuovi partiti. Ha detto Bersani a "Di Martedì" su La7: «Renzi spera nella scissione della sinistra, è chiaro che lo pendiventi il partito dell'avventura, perché allora mi ci sentirei male». Al contrario potrebbe essere Renzi a cambiare strada: «Lascia e si fa un partito suo? Può essere». I "Giovani turchi" provano a mediare. Commenta Francesco Verducci: «Bisogna coinvolgere le opposizioni in un governo di scopo, andare al voto presto, ma dopo la legge elettorale e il congresso del Partito democratico». La sinistra dem vuole un Pd de-renzianizzato, ma è in cerca di una leadership alternativa che goda di un appeal largo. maiFaocuzioweaiseevnra "Anche dopo Letta non si andò alle urne". La minoranza terrà una manifestazione il 17 a Roma con Anpi, Arci e la Cgil LO GIUDICE Retedem è la corrente dei civatiani rimasti nel Pd: "Niente azzardi se prima non c'è la nuova legge elettorale e non si fa il congresso del Pd» SPERANZA Sì al documento presentato in una riunione dei bersaniani da Roberto Speranza ieri sera: "Governo di transizione, ma politico e di centrosinistra" CUPERLO Più cauta la posizione del leader della sinistra dem schierato per il Si Gianni Cuperlo: "Importante un governo allargato alle opposizioni per la legge elettorale" MARTINA Il ministro Martina con Cesare Damiano è leader della corrente "Sinistra è cambiamento": frena sul voro subito e punta al governo di scopo e al congresso dem BERSANI L'ex segretario dei Pd, Pierluigi Bersani si è schierato peri I No al referendum costituzionale. Ribadisce che non intende uscire dal Pd, a meno che non diventi "il Pda, il partito dell'avventura: allora ci starei male" Sorrisi ai fotografi ' e post su Facebook , Ma Boschi ora resta in disparte , di Fabrizio Roncone ov'è Maria Elena Boschi? Unica traccia: un post su Facebook di lunedì mattina. Fotografi si mettono d'impegno. Lei prova a depistarli, poi capisce che sono vecchi cagnacci: allora decide di arrendersi, ma senza dar loro un briciolo di soddisfazione. Va davanti ai plotoni di zoom sfoggiando un sorriso dei suoi (Berlusconi, la prima volta che lo vide, commentò: «Con un sorriso così non può essere comunista»). Il sorriso adesso dice ai fotografi: tutto a posto, domenica sera ho pianto però la batosta del referendum, ve lo giuro, è già assorbita. Fa ciao con la mano. La folla di curiosi resta immobile: né fischi, né applausi. Il gelo. Arriva al Senato come se avesse usato fard grigio antracite. E qui è chiaro: la batosta non l'ha assorbita proprio per niente. S'intuisce da un dettaglio. La politica, a volte, è un dettaglio. Per capirci: quando era la madrina di tutte le riforme, compresala più importante, quella della Costituzione, la Boschi compariva circondata da una piccola corte di senatori complimentosi, segretari solerti, portavoce fedeli, portaborse tremanti, faccendieri sudati. Lei, al centro: potente, temuta, irraggiungibile. Poco fa è invece sparita camminando da sola dentro un corridoio di Palazzo Madama. Un commesso (l'aria ironica del sopravvissuto): «Signor ministro, ha bisogno d'aiuto?». Forse sì. Matteo Renzi, domenica sera, non l'ha citata tra i ringraziamenti nella conferenza stampa di addio al governo. Ed è pure fuori dalle roventi trattative all'interno del Pd. E partito che si era presa sul palco della Leopolda, con scarpe leopardate e aria sfrontata. Quanto tempo è passato? Un soffio, è stato un soffio. OR I PRODUZIONE RISERVATA r Maria Elena Boschi, 35 anni, ministro delle Riforme M55, oggi il vertice ma già volano i coltelli F Fico sfida Di Majo Tensione tra gli eletti, le telefonate di Grillo per sedarli MILANO Una vigilia di fuoco. Con voci, sospetti, veleni. L'attesa riunione congiunta dei parlamentari Cinque Stelle slittata ad oggi - per attendere l'esito della direzione nazionale del Pd - ha le premesse di uno scontro annunciato. Nel Movimento c'è chi getta acqua sul fuoco e rassicura: «Si parlerà solo di strategie e contenuti per capire come muoverci con la crisi di governo». In realtà, sottotraccia qualcosa si muove. Lo scontro larvato tra le diverse anime del Movimento prende forma. Beppe Grillo per sedare le possibili controversie è intervenuto in prima persona lunedì, contattando alcuni parlamentari, rassicurando e ascoltando. Il mantra è compattezza e condivisione degli obiettivi. Male tensioni restano elevatissime. E i temi della riunione rischiano di essere disparati. Una parte dei parlamentari ha criticato anche il post di Vito Crimi e Danilo Toninelli sulla proposta di un Italicum-bis corretto al Senato. I detrattori parlano di «decisione calata dall'alto», ma tra i pentastellati c'è chi precisa che la scelta è stata di Grillo e che in materia di legge elettorale, «per decisioni urgenti la competenza, essendo strategica e non parlaLa le indiscrezioni e il dibattito via chat, i leader ribadiscono: ogni alleanza è esclusa mentare, attiene al garante». In realtà, però, i riflettori della congiunta saranno puntati sulla scelta del candidato premier MSSS. Roberto Fico, ieri, in un'intervista ad Avvenire ha annunciato la sua disponibilità a scendere in campo come candidato premier. E guanto di sfida degli ortodossi a Di Maio è lanciato. Un gesto che ora obbligherà di fatto i suoi sostenitori a prendere posizione. Non solo. Alcune indiscrezioni parlano di una serie di telefonate dell'ala ortodossa per mobilitare la base sui territori: una sorta di pre-campagna elettorale interna. Una chiamata alle armi (del voto online) in piena regola. E infatti diventeranno centrali anche in assemblea i criteri per la selezione delle liste e perla scelta dei potenziali ministri. «Non sarà facile trovare criteri condivisi, molti di noi hanno paura di essere tagliati fuori da ruoli decisionali», maligna qualche pentastellato. I parlamentari del Movimento 5 Stelle che sono stati eletti in questa legislatura: 91 deputati e 35 senatori Le aspirazioni a guidare il Paese, nel Movimento, sembrano concrete. C'è anche come rivela l'Adnkronos - chi ha già fatto una stima delle figure che serviranno in caso di vittoria alle Politiche: 509. Grillo, sul blog, invoca le elezioni anticipate: «Noi vogliamo andare al voto al più presto. Il Pd che ne pensa? La voce del suo segretario conta ancora qualcosa? Aspettiamo una risposta dopo la vostra direzione di domani». E garante e Davide Casaleggio hanno dovuto affrontare anche il nodoalleanze (e la possibilità di sfatare il tabù che vuole il Movimento correre da solo). Dopo le dichiarazioni di Massimo Bugani e, soprattutto, le indiscrezioni filtrate dalle chat interne dei parlamentari, i vertici, spiegano fonti MSS, sono scesi in campo sollecitando delle precisazioni. E i big, a partire proprio da Fico e Di Maio, hanno ribadito la linea. In sintesi, il Movimento non fa alleanze, ma c'è chi spera in convergenze sul programma pentastellato. Per i Cinque Stelle la conferma delle chance di diventare forza di governo è assicurata dall'attenzione che giunge dalle cancellerie estere: «I nostri telefoni sono diventati improvvisamente roventi. Ormai ci chiamano tutti», dicono. Prima, però, ci sarà da affrontare la riunione di oggi che - nonostante sia stata accantonata la questione delle sospensioni per il caso firme false a Palermo - si preannuncia dirimente. Emanuele Buzzi © RIPRODUZIONE RISERVATA I volti I due papabili candidati premier del M5S: Roberto Fico (a sinistra) e Luigi Di Maio (foto Irrìagoecorornica) Le due strategie chi FI e Leda Il proporzionale cli Berlusconi per aggirare le primarie L'ex pre °er: Renzi irresponsabile, ha portato il Paese nel caos ROMA Matteo Salvini chiede, urla, pretende «il voto subito», anche con Renzi ancora in carica se serve, «perché dove lo trovi uno che fa il premier per un mese?». Silvio Berlusconi, con più cautela, vuole per prima cosa «una legge elettorale che garantisca la governabilità e una reale corrispondenza della maggioranza parlamentare e popolare». Al di là dei toni molto diversi, è vero però che il leader leghista e quello di Forza Italia in pubblico non entrano in collisione, consci che dividersi oggi sulle strategie - con gli scenari politici tutti apertissimi - sarebbe un suicidio per entrambi. Per questo, la parola d'ordine che mette d'accordo tutti è «nessuna partecipazione a governicchi». Salvini assicura che l'alleato gli ha promesso che sarà questa la posizione di M. E in effetti ieri nel vertice con i big azzurri tutti sul punto sono stati molto fermi, respingendo «le provocazioni di Alfano» a partire da Berlusconi: Renzi è «un irresponsabile che ha portato il Paese nel caos», e non si partecipa a nessun governo in questa fase, sarebbe controproducente, mentre ci si deve sedere al tavolo della legge elettorale perché «sarebbe assurdo votare con sistemi diversi», e per farlo sono stati incaricati Romani e Brunetta. Quello che invece resta mol- to vago è come proseguiranno le strade di Lega e FdI (anche la Meloni chiede voto subito) e FI. Berlusconi ha ribadito che il suo sistema elettorale preferito è «un proporzionale, magari con qualche correttivo», perché non si può correre il rischio di consegnare il Paese a Grillo. Chiaro il sottinteso: andando ciascuno col proprio simbolo, magari in alleanza con gli altri del centrodestra, si potrebbe competere per il governo del Paese, in subordine essere parte centrale di una grande coalizione e comunque si potrebbero evitare le odiate primarie e «io come gradimento sono pari a Renzi, Di Maio e Di Battista». Altro che i deputati iscritti ai gruppi parlamentari di centrodestra (Forza Italia, Lega e Fratelli d'Italia). Al Senatoi parlamentari sono 64 A Montecitorio Il flash mob organizzato davanti alla Camera da Matteo Salvini con i deputati della Lega e i cartelli per chiedere subito le elezioni (Benvegnù, Guaitoli, Panegrossi) primarie insomma, quelle che Salvini continua ad annunciare, per gennaio, anche con una consultazione nelle piazze per chiedere «che programma volete e chi volete come leader», e «Berlusconi alla fine ci sarà, credo». Restano insomma tutti aperti i nodi nel centrodestra: «Abbiamo tante cose in comune, ma certo non tutto è risolto» ammette con i suoi Berlusconi, confermando il suo scetticismo sulla capacità di Salvini di guidare i moderati. E resta una FI inquieta ma oggi ingessata, impossibilitata a muovere passi in una o nell'altra direzione, verso la costruzione di un partito «sovranista» con Salvini (come vorrebbero Toti e l'ala nordista del partito) o uno a base centrista che si giochi la partita nel prossimo Parlamento. Il nodo della legge elettorale si fa decisivo: i due capigruppo guardano con favore al modello proposto da Verdini (metà collegi uninominali, metà proporzionale), ma la partita non è ancora iniziata. E in ogni caso «non parliamo solo di legge elettorale, gli elettori sono stanchi di alchimie», predica Berlusconi, sperando di guadagnare tempo. Paola Di Caro © RIPRODUZIONE RISERVATA - ... , ... .. I. .._ . . .. .._..... .. r ., _ . ... ` ... . . ' - r. - ,.. i .. ,. _ . . - .. . .. . .. . . . _ _ . . . Y„' . . _ _ .. i . . . ... . .. - . .. . .. ::, .,. ♦ . r I . .. . . i , F _ -: •' t . l ¡ r _ 1 1r __.• _.. .-, r. F . . .__ . 1.. . :! r ,. ..- _ .. _ • -. ` Dietrofront Alfano sul voto a febbraio Addio dell'Udc, si spaccano i centristi RO mA. Angelino Alfano finisce in fuorigioco, chiede le elezioni a febbraio ma la sua uscita non sfugge al Quirinale, dove le idee sul futuro politico del Paese sono ben diverse. E le parole del leader del Nuovo Centrodestra non passano certo inosservate: Alfano è ministro dell'Interno, un ruolo istituzionale di primo piano con visibilità all'estero e sui mercati. E così ieri mattina l'inquilino del Viminale ingrana la marcia indietro assicurando che «il riferimento primo sono il Colle e la sua grande saggezza». Ma l'impossibilità di votare a febbraio, se non altro perché la Consulta si pronuncerà sull'Italicum il 24 gennaio, non tradisce solo il calcolo politico dell'Ncd, ma isola il partito. La scommessa del voto a febbraio portava con sé la scelta di andare alle urne con il Partito democratico ancora guidato da Matteo Renzi. Ma ora il futuro è più incerto, metà dei suoi elettori al referendum si sono schierati con il No e Alfano si trova in un'area di mezzo tra il Pd e il centrodestra. Con un possibile ritorno a casa a Forza Italia che sembra quanto mai difficile, se non altro per l'ostilità dei big azzurri verso l'ex delfino di Berlusconi. Verso il quale invece tendono pezzi del partito. Sul prossimo gover- no istituzionale comunque Alfano pone un paletto, che sia sostenuto anche da Fi: «E troppo comodo per loro far proseguire la legislatura e scaricare il peso sugli altri». Ma ieri la solitudine politica dell'Ncd diventata visibile a occhio nudo con la rottura dell'alleanza da parte dell'Udc di Lorenzo Cesa. Addio che rompe quell'area centrista che sosteneva il governo Renzi battezzata Area Popolare. Temi discussi ieri nell'assemblea dei gruppi dell'Ncd e che saranno approfonditi alla direzione di oggi. Con Sacconi e Formigoni contrari al voto lampo sulla manovra e alla rincorsa del voto, (a.d'a) -VROCU?IONE RISEFVAI A NEL GUADO Angelino Alfano. II suo Ncd si trova adesso più isolato dopo la rottura con i centristi dell'Udc di Cesa. Oggi la direzione dei partito sulle prospettive dei dopo referendum Lo dice Federico Forriaro, rn1noranza Jd. Che avverte: 1140% dei sì al referendum non è Nuova legge elettorale di Renzi poi voto Non ci sono le con dizio ni p er elez ion i s nb ito. Prima la C ons u lta DI ALESSANDRA RICCIARDI oi ci affidiamo a Sergio Matterella, alla sua saggezza. E il presidente della repubblica che deve scegliere il ciclista per vincere la tappa della montagna». Così Federico Fornaro, senatore dem, bersaniano doc, padre del Mattarellum 2.0, la legge elettorale che la sinistra del Pd ha contrapposto all'Italicum di Matteo Renzi. Alla vigilia della direzione del partito, in calendario per oggi, che deciderà il destino del governo e forse della legislatura, Fornaro è pronto a ridiscutere anche quella proposta. «Si possono trovare delle soluzioni per una buona legge elettorale che coniughi governabilità e rappresentanza se si ha voglia di farlo, di mettersi intorno a un tavolo e di discuterne». Domanda. Di solito i tavoli servono a perdere tempo. R. Non è così se non ci sono retropensieri. D. Dalle parti dei renziani è chiaro che c'è voglia di andare al voto quanto prima. Voi minoranza frenate. R. Dobbiamo fare una nuova legge elettorale che valga per camera e senato, è un dato di fatto. D. Una legge c'è già, l'Italicum per la camera. E per il senato si può ricorrere al cosiddetto Consultellum, alle regole che la Consulta stessa ha stabilito con la pronuncia sull'illegittimità della precedente legge. R. È da irresponsabili andare a votare in questo modo, con questi due sistemi significa che nel prossimo parlamento regnerà l'ingovernabilità. Serve una nuova legge per entrambe le camere. E prima è necessario attendere la pronuncia della Corte costituzionale sull'Italicum. D. Andrea Marcucci, presidente della commissione istruzione del senato e renziano, ha detto che non c'è alternativa, al voto subito. Chi la pensa in modo diverso si cercasse i voti in parlamento. R. Il Pd ha la maggioranza assoluta alla camera e relativa al senato, dovrebbe praticare maggiore senso di responsabilità. Quella che stiamo vivendo è una brutta crisi. La linea dell'uomo solo al comando non paga. D. Non vi sentite quanto meno corresponsabili? Avete spaccato il partito, schierandovi contro la riforma del vostro governo. R. Era da tempo che dicevamo che andavano apportati dei correttivi alla legge elettorale, che con la riforma costituzionale il risultato non andava. E che nel paese c'era molto scontento, a partire dal mondo della scuola, per esempio. Siamo rimasti inascoltati. E ricordo anche che non siamo stati noi a personalizzare il referendum, a trasformarlo in un voto pro o contro Renzi, non siamo stati noi a dire che nel caso in cui avesse perso doveva dimetter- si da presidente del consiglio e dalla vita politica. D. Renzi vuole capitalizzare il risultato del referendum. Il fronte frastagliato del no ha avuto il 60% di consensi, ma i sì sono stati il 40%. R. Serve umiltà nell'analizzare il risultato referendario. Il 40% di sì non è un dato politico, gli elettori non si sono mossi come coorti armate, nessuno può intestarseli e farli diventare voti politici. Nonostante la personalizzazione, era una consultazione costituzionale. Non vorrei si i ipetesse l'errore del 2014, quando si pensò che il 40,8% al Pd alle europee fosse ormai un dato politico acquisto. Ci furono poi le amministrative, e abbiamo avuto un brutto risveglio. D. Pensabili elezioni a febbraio? R. Guardi che la Consulta sull'Italicum si pronuncia il 24 gennaio. E prima di quella data, quantomeno per rispetto istituzionale, non è pensabile lavorare a una nuova legge. Io inviterei a essere più freddi e ad aspettare le decisioni del capo dello stato sul nuovo governo. D. Che tempi ipotizzate per un accordo sulla legge elettorale? R. Prima riprendiamo un confronto sereno. I tempi poi verranno. cC Riproduzione riservata -I Attua ente per il Parlamento esistono due meccanismi diversi Maggioritario alla Camera con il premio alla lista vincente e proporzionale a Palazzo Madama di Renato Benedetto Camera • LItalicum assegna alla lista vincitrice 340 seggi su 630: al primo turno se questa ottiene almeno i140% dei voti; se no, le prime due liste vanno al ballottaggio. Il Paese è diviso in 100 collegi, ognuno elegge da 3 a 9 deputati. Qui ciascuna formazione presenta le sue liste: il capolista è bloccato, gli altri, se i seggi sono più di uno, sono scelti con le preferenze Italicum Consultellum Bonus e doppio turno darebbero al vincitore una solida maggioranza Con tre poli equivalenti solo le larghe intese eviterebbero lo stallo E in vigore dallo scorso luglio, anche se è stata approvata prima, a maggio 2015. Perché l'Italicum vale solo per la Camera e il suo cammino doveva andare di pari passo con la riforma che avrebbe cancellato l'elezione diretta dei senatori. E se la riforma del Senato è stata bocciata domenica alle urne, la legge elettorale è sempre in vigore. I suoi pilastri sono due: il premio alla lista, e non alla coalizione, e il doppio turno. L'impianto proporzionale è corretto in senso maggioritario dal premio di governabilità che assicura alla lista vincitrice (al primo turno se ottiene il 40% dei voti o al secondo turno) 340 seggi. Già prima del referendum, diverse erano le richieste per cambiare la legge: con un premio di coalizione, non di lista; o eliminando il ballottaggio. L'Italicum è poi sotto la lente della Consulta. Nel mirino dei ricorsi, il premio di maggioranza e il ballottaggio: il bonus che porta al 54% il vincitore, in assenza di soglie minime o di quorum a) secondo turno, produrrebbe per i ricorrenti una «distorsione della rappresentanza». Sarebbe «irrazionale» il divieto che inc liste si apparentino tra il primo e secondo turno. Sotto accusa anche i capi l ista bloccati e la possibilità per un capolista di correre in dieci collegi. DRIPRCDUZION RISERVATA Senato •II Consultellum è un sistema proporzionale puro che assegnaiseggi su base regionale (non conta il totale dei voti a livello nazionale). Prevede uno sbarramento: per entrare in Senato una lista deve ottenere l'8% dei voti se corre da sola; se ein coalizione, il 3%; ma la coalizione deve superare il 20% dei voti i chiama Consultellum perché è figlio di una sentenza della Corte costituzionale: S quella che, a gennaio 2014, ha bocciato il Porcellum - il sistema di voto battezzato così dal padre, il leghista Calderoli, con cui si è votato dal 2006 al 2013 -. Due aspetti del Porcellum sono stati dichiarati incostituzionali: il premio di maggioranza, che dava 340 seggi senza soglie minime ai primi classificati, e i listini bloccati. Quello che rimane, è un sistema proporzionale puro, lievemente corretto da uno sbarramento che tiene fuori le liste più piccole, dove i candidati per il Senato sono scelti dagli elettori con le preferenze. È quindi esattamente l'opposto dell'Italicum. Non solo perché prevede le coalizioni. Ma soprattutto perché restituirebbe in Parlamento, se si votasse oggi, tre schieramenti quasi pari (Pd, M5S e centrodestra), senza nessuna maggioranza clic non sia di larghe intese, mentre 1`ltalìcum premia con la maggioranza il vincitore. Il Consultellum è la legge oggi in vigore per il Senato e sarebbe quindi usata in caso di elezioni immediate. Prima serve una legge che «attui» le modifiche indicate dalla Consulta: «Può essere anche un decreto legge - spiega Stefano Ceccanti, costituzionalista -, si può fare in fretta». J RIPRODUZIOP,E RISERVATA L'ipotesi di un verdetto che armonizzi le norme per deputati e senatori La data • Prevista inizialmente per i14 ottobre, l'udienza sull'italicum era stata rinviata a dopo il referendum sulla riforma. La nuova data, comunicata ieri, è il 24 gennaio. I profili di incostituzionalità sono stati sollevati dai tribunali di Messina, Torino e Perugia. Hanno fatto seguito i giudici di Genova e Trieste N il ballottaggio, soprattutto, che rischia di saltare. Non perché sia in sé illegittimo, per il costituzionalista Stefano Ceccanti, ma «perché la Consulta, con la sentenza di gennaio 2014 (quella che ha bocciato il Porcellum, ndr) ha chiarito che le due Camere non possono essere elette con sistemi troppo differenti». E Consultellum e Italicum sono opposti: effetto maggioritario uno, impianto proporzionale l'altro, disegnerebbero due Camere assai diverse. «Potrebbe arrivare anche una sentenza autoapplicativa: che cancella il secondo turno, il resto rimane valido», prosegue il costituzionalista. Resterebbe quindi in vigore l'Italicum, senza doppio turno (magari con il premio solo oltre il 40%)_ Che potrebbe, quindi, non dare una maggioranza al vincitore. Anche le candidature plurime sono a rischio. Invece per Alessandro Pace, costituzionalista che ha guidato il Comitato de] No, il premio, con il secondo turno, è incostituzionale in sé: «L'Italicum è simile al Porcellumi. Non è possibile dare il 54% a un partito che ottiene al primo turno il 30%». Ma per Pace dalla Consulta non arriverà un intervento che correggerà il testo: «Non credo si possa arrivare a tale chirurgia, sarà bocciato nel complesso». E anche per la Camera toreerebbe il Consultellum. © RIPRODUZIONE RISERVATO e7 Perché non ci sarà F urna di Carnevale ON avremo le elezioni a Carnevale. Mancano le premesse istituzionali, politiche e persino tecniche di uno scioglimento affrettato. Per rendersene conto bisogna guardare a tre soggetti: la Corte costituzionale, il Quirinale e il Pd. SEGUE A PAGINA 33 .Il rERCHENONCIS «SEGUE DALLA PRIMA PAGINA STEFANO FOLLI A CORTE si pronuncerà solo verso la fine di gennaio sulla costituzionalità della legge elettorale. E per quanto la sentenza sia subito applicabile, occorrono tempi non brevi per fissare le procedure e soprattutto rendere meno disomogenei fra loro il modello della Camera e quello del Senato. Inoltre il capo dello Stato sta per cominciare le sue rapide consultazioni volte a rimettere in piedi un governo. Si conoscono già le priorità: rapporto con l'Europa, garanzie sui conti pubblici e capacità di risolvere la crisi delle banche. Tutti insieme questi punti riconducono a una cornice co- mune: la stabilità. Una stabilità fondata sulla maggioranza parlamentare, finché dimostra di esistere; e ovviamente su un presidente del Consiglio in grado di gestire con competenza i passaggi critici. Ieri l'indice della Borsa di Milano ha avuto sentore che qualcosa si sta sbloccando nel settore bancario e il rialzo è stato perentorio: segno che il pessimismo pre-referendum è superato, benché la soluzione definitiva dei problemi sia lontana. Non a caso si attende un governo nel pieno delle sue funzioni, forte della fiducia del Parlamento. Terza gamba del tavolo, il Pd. È l'elemento più delicato del quadro. Il segretario del partito, Renzi, si è mosso nei due giorni dopo il voto come se avesse vinto e non perso la consultazione. Certo, ha annunciato le dimissioni da Palazzo Chigi e si è assunto orgogliosamente la responsabilità della sconfitta. Ma subito dopo ha sventolato il vessillo del 40 per cento, affermando che si deve ripartire da quella soglia per cercare la rivincita. Nel Regno Unito Cameron aveva preso il 48 per cento sulla Brexit, ma non ha ritenuto di attribuirsi quel numero come fosse un merito: al contrario, è uscito di scena perché nei referendum conta la vittoria, non le cifre della disfatta. S'intende, di questo è consapevole anche Renzi. Ma in lui ha prevalso il desiderio di restare in campo e di riprendere la battaglia. Come era prevedibile, l'addio a Pa- L'URNADICARNEV lazzo Chigi gli è sembrato, con il passare delle ore, troppo doloroso. Per questo è maturata la suggestione delle elezioni subito, una rivincita immediata per tornare da vincitore. Magari con l'idea di gestire le elezioni da Palazzo Chigi, così da risultare allo stesso tempo dimissionario e in carica "pro tempore". Sono le tipiche contraddizioni psicologiche dei momenti difficili, quando tutto sembra perduto. Ma Renzi già ieri ha recuperato lucidità. Anche perché solo una parte del Pd lo seguirebbe nella forzatura istituzionale. La Consulta si è già messa di traverso, il Quirinale cerca la stabilità e di sicuro in Europa sono in molti a condividere la cautela di Mattarella. Un'altra divisione dentro il partito sarebbe un rischio per il segretario. E il fatto che al tema delle "elezioni subito" siano contrari non solo la minoranza interna, ma anche un segmento importante della maggioranza come il gruppo di Franceschini, la dice lunga sulle conseguenze del 4 dicembre. Grillo e i Cinque Stelle non sono mai stati in così buona salute e nessuno nel centrosinistra vuole commettere l'errore che potrebbe catapultarli al governo del Paese. In altri termini, Renzi è ancora il capo ma la coperta del suo potere si è improvvisamente ristretta. Per lui non è ora di nuove sfide, bensì di riflessioni. In ogni caso il leader ferito non può combattere contro i suoi avversari interni e al tempo stesso tentare di condizionare Mattarella circa la composizione e i tempi del nuovo governo. Due fronti sono troppi. Certo, il segretario può aver ragione nel pensare che le elezioni alla scadenza, nel 2018, siano troppo lontane. Ma non gli conviene oggi passare per il destabilizzatore di uno scenario politico-istituzionale che invece ha bisogno di un po' di serenità dopo mesi di tensioni. Ieri sera è parso che questo argomento avesse fatto breccia, sfociando nella formula del "governo di responsabilità". Presto ne avremo la controprova. Perché un esecutivo Grasso o Padoan avrà la necessità di raccogliere il consenso convinto, non avaro e a termine, del partito di Renzi. U PIPNODU<IONE RISENVAIl. Lotti lancia già la sfida: «Ripartiamo da qui» Più prudenti i sondaggisti: «I Sì non sono tutti uguali Ma il leader può contare su un 25°ßh di fedelissimi» ROMA Ripartire da un numero magico. Da quel 41 per cento (40,89 per la precisione) che, associato all'esito referendario, è sconfitta, ma traslato in un'elezione politica può trasformarsi magicamente in una vittoria. Le ambizioni di Luca Lotti, braccio destro di Matteo Renzi, sono concentrate in quella cifra. Ma devono passare al vaglio di un paio di domande: chi sono quei 13 milioni 432 mila cittadini che hanno votato Sì? E perché hanno messo la crocetta sul Sì? «Reni ha ragione a pensare di ripartire da quel dato - sostiene Roberto Weber, di Ixè -. Perché il fronte del No è composto da diverse famiglie politiche, che finiranno per dividersi dopo il voto. Invece il fronte del Sì condivideva un progetto, un'istanza di modernizzazione. Se da una parte c'è stato un voto fortemente antirenziano, più che anti-riforma, dall'altra forse non si può parlare di voto renziano, ma filo renziano sì». Weber avvalora la sensazione con un dato: «La fiducia in Reni, nel 41 per cento di Sì, è pari all'8o per cento. Mentre nel No era al 7 per cento. Da qui a traghettare quei voti ce ne passa, ma è un buon punto di ripartenza». gli elettori che hanno votato Si al referendum: esclusi i voti all'estero, i Sì sono stati 12,7 milioni Ce ne vuole, a traghettare quei voti, perché le variabili in campo sono tante: quando si andrà al voto, con quale legge elettorale e con quali alleanze. Ma intanto, nel disastro della sconfitta, si può provare a vedere il bicchiere mezzo pieno. Anche se gli avversari di Renzi non concedono un millimetro. Massimo D'Alema, per esempio, giudica «folle» pensare che quella cifra si possa identificare con un Pd a trazione renziana. E fa un esempio: «Nel referendum della scala mobile, il Pci prese il 45,7 per cento. Alle Politiche, poi, prese il 27 per cento». Lo stesso esempio ripreso ieri da Pier Luigi Bersani. Parallelo calzante, ma fino a un certo punto. Perché nel Sì del 1985 c'era il Pci ma c'erano altri partiti che valevano un lo per cento elettorale (Democrazia proletaria, Verdi e Msi, a proposito di «accozzaglie»). E soprattutto perché le Politiche si tennero ben due anni dopo, nel giugno 1987, con la sconfitta di Alessandro Natta (contro quel Ciriaco De Mita che oggi, paradossi della storia, era al fianco di D'Alema nel No). Nicola Piepoli è più cauto nell'analisi: «Renzi non si può intestare tutti quegli elettori. La realtà è che il Pd ha guadagnato qualcosa e contempora- neamente ha perso le elezioni. E stato un suicidio: il partito si è auto-sconfitto. Ma Renzi mantiene uno zoccolo duro: di quel 41 per cento, almeno il 25 per cento è del Pd». Ancora più scettico Pietro Vento, di Demopolis: «Il voto è stato trasversale, una parte degli elettori non ha seguito le indicazioni dei leader». Anche per Demopolis tre elettori del Pd su quattro hanno votato Si. Ma l'istituto ha indagato anche le ragioni di questo voto: il 34 per cento di loro motiva il Sì con l'apprezzamento della riforma, il 25 per dare continuità al governo Renzi, il 41 per entrambe le ragioni. C'è un ultimo dato utile: «Se si votasse ora per la Camera - secondo l'ultimo Barometro politico il Pd otterrebbe il 32 per cento dei voti. In voti reali, avrebbe circa 1o milioni di voti». Dati da prendere sempre con l'inevitabile contrappeso della cautela, causa troppe variabili in gioco. Alessandra Ghisleri mette in fila qualche cifra sui leader del Pd: «Veltroni nel 2008 prese 12 milioni di voti; Bersani, alle Politiche del 2013 scese a otto milioni e mezzo. E Renzi alle Europee superò gli undici milioni di voti». Ora, ïl punto è proprio capire quanti dei 13 milioni e rotti di Si si possono associare a Renzi. Sicuramen- te dalla quota Pd vanno detratti i voti di Alfano, Casini, dei forzisti disobbedienti e persino di un 1o per cento di 5 Stelle. Ma resta un gruzzolo considerevole: «I voti non sono mai di proprietà di nessuno - sostiene Ghisleri -. E in tempi di volatilità come questi, ancora meno. Però è vero che Renzi si è giocato il tutto per tutto. E molto consenso era personale». Quindi, sarebbe giusto ripartire da qui? «Più che ripartire, direi, capitalizzare questi voti. Fidelizzare questi elettori a un progetto». Anche perché occorre capire se dopo la sconfitta, si vorrà ancora dar credito a Renzi. Weber aggiunge un elemento: «In questo referendum, molti No erano motivati con la ragione di difendere la Costituzione, con una retorica molto di sinistra. Ma quel clima non ci sarà alle Politiche. E quindi una parte del No potrebbe riaggregarsi a un Pd a guida renziana. E un'operazione rischiosissima. Ma Renzi è incredibile: un vero giocatore d'azzardo». Il 5 dicembre ha perso l'azzardo, ma la partita potrebbe non essere finita. Alessandro Trocino © RIPRODUZIONE RISERVATA Aconrronto I numeri Il 25 maggio del 2014 il Partito democratico, guidato da Matteo Renzi, alle elezioni europee ha ottenuto 11.203.231 voti (40,81 per cento) 1l24e25 febbraio del 2013 alle elezioni politiche, il Pd - guidato allora da Pier Luigi Bersani ha riportato 10.353. 275 voti (29,55 I voti di domenica e quelli del 2014 alle Europee considerando le formazioni che hanno preso almeno un milione di voti (risultati Italia) SI 12.708.927 2016 2014 Pd L--- Nccl -1 11.172.861 1.199.703 [M 19.025.863 LOi: 0 2014 o o c o MSS5.792.865 L- Fdl 1.103.203 FI 4.605.331 Tsipras 1.004.037 Lega 1.686.556 per cento) Il Partito democratico guidato dal segretario Walter Veltroni - al suo debutto nelle Politiche dei 13 e 14 aprile 2008 ha riportato 14.099.747 dei voti (37,52 per cento) flussi Astenuti Si NO Come si sono divisi tra Si e No gli elettori che nel 2014 alle Europee avevano scelto: M5S PD 9,4 80,6 L_ 9,9 -- °fSI€ RA5 16,4 L- 23, 89,6 36,2 FDl c 3,6 1{3,4 LEGA FI 90,1 Altre fiste Astenuti 63,8 31,3 3 -' 40,05 59,95 4C),3°r, Analisi statistica realizzata da Ipsos PA sulla base di sondaggi condotti presso campioni casuali nazionali rappresentativi della popolazione italiani maggiorenne con diritto di voto, secondo genere, età , livello di scolarità, area geografica di residenza , dimensione del comune di residenza. Sono state realizzate 8.889 interviste (su 91.431 contatti), mediante sistema misto (CATI-CAMI-CAWI), fra il 15 novembre e il 2 dicembre 2016 Corriere della Sera r.r _-. ., Antonio Floridia, esperto di flussi elettorali, 'flette sul risultato di domenica in regione "Idon quei _4 percento ci sono . a do i moderati i calcoli vanno ïfatti" «RIPARTIRE dal 40%? Attenzione, quel 40 non è un voto omogeneo. I che voti ci sono dentro non hanno un unica provenienza». E l'avvertimento di Antonio Floridia, presidente della società italiana di studi elettorali. Un avvertimento bi-partisan, perché «la stessa cosa vale per il risultato del Si», aggiunge. La morale però è chiara: se il referendum sulla riforma costituzionale si è trasformato in un voto politico, pro o contro il governo Renzi, sarebbe a dir poco rischioso pensare di trasformare il risultato referendario in consenso politico. L'Istituto Cattaneo, del resto, è stato chiaro. A Firenze città, in quel 56% ottenuto dal Sì, il più alto risultato raccolto tra i capoluoghi italiani, non c'è solo Pd. Anzi, secondo l'istituto bolognese, ci sarebbero il 44,4% di elettori provenienti dal Pdl. Ovvero, «la riforma è riuscita a fare breccia nell'elettorato berlusconiano» rileva l'istituto. Ma che questi voti siano replicabili in caso di elezioni con l'insegna del Pd è tutto da dimostrare. Anzi. Specularmente il fronte del No può dire di avere sottratto una buona fetta di elettorato Pd al Si «Il peso della diaspora verso il No» a Firenze è stato del 20,3%. In pratica, un elettore fiorentino dem su cinque non ha risposto all'appello del proprio segretario nazionale. Una quota minima, nel caso del capoluogo toscano. Che altrove ha superato però anche il 30% (come ad esempio Torino). «Ma va tenuto comunque conto che dentro il No, specie alle nostre latitudini, c'è una quota di elettorato civico e costituzionalista: ciò che resta di quella che era la'cultura rossa' e che oggi appare sganciata dai partiti di appartenenza», dice Floridia. Così come dentro il Si c'è si intravede uri anima anti-politica: «Anche un antiparlamentarismo tipico della cultura di destra, un riflesso d'ordine», sostiene lo studioso di flussi elettorali. Convinto che nel voto refendario valga più l'esame delle culture politiche piuttosto che quella della mera fedeltà partitica. Occhio dunque alle equivalenze tra referendum e elezioni politiche, dove gli attori della scheda elettorale sono i partiti. Dire che il Pd può adesso ripartire dal40%di Sì, come fanno molti esponenti renziani, potrebbe rivelarsi inefficace. Anche perché, insiste Floridia, non si deve dimenticare che il famoso e fin qui ineguagliato 40% ottenuto dal Pd alle europee si accompagnò ad una partecipazione del 58%. Mentre adesso il voto referendario di domenica scorsa ha spinto l'affluenza al 70. Col risultato, fa notare Floridia, di aver riportato alle urne del referendum elettori che da anni aveva preferito soprassedere e disertare. Mentre i sondaggi, che contro ogni attesa e previsione hanno questa volta colto la sostanza del risultato, continuano ad asse- L'Istituto Cattaneo sostiene che nella vittoria ottenuta in città ci sia una forte componente extra Dem proveniente in gran parte dal Pdl gnare al Pd una quota di consenso attorno a131%. Come si è distribuito il voto fiorentino? Nella roccaforte italiana del Sì, il dato che tanto consola i vertici del Pd fiorentino, l'affluenza è volata al 77%. Una soglia imprevista dagli stessi militanti dem. E se in città i Si hanno passato la quota del 56%, il quartiere che più di ogni altro ha creduto nella riforma costituzionale firmata dal ministro Boschi è quello di Gavinana, il Quartiere 3, caratterizzato da forti tratti popolari. Qui il Si ha sfiorato il 60%, l'inverso del dato nazionale: 59,8 secondo gli uffici elettorali di Palazzo Vecchio. Al contrario, il quartiere che ha creduto di meno alla riforma è stato il Centro storico: qui il dato finale dei Si ha fatto registra. re una percentuale inferiore di tre punti rispetto a quella cittadina: ha scelto il Si il 53,3 degli elettori. Portando così la distanza con 11 No a circa sette punti. Nel Quartiere 2, quello di Campo di Marte, il consenso per la riforma si è fermato al 57,7. Una quota comunque superiore alla media cittadina, per un quartiere residenziale un tempo dominio del cosiddetto ceto medio. Nel Quartiere 5, quello di Novoli e Rifredi, l'ex zona operaia e popolare oggi rilanciata dall'università e dal palazzo di giustizia, i Si hanno ottenuto invece il55%, un punto al di sotto del risultato fiorentino. Mentre nel Quartiere 4, quello di Isolotto e Legnaia, i fan della riforma Boschi sono stati perfettamente nella media della città: 56,3%, il totale finale. (m.v.) (dNIPNOOLL>JONE NISFR ATA IL SEGNALE DAI GIOVANI di Dario Di Vico a generazione perduta almeno per un giorno sembra essersi ritrovata e ha scelto di partecipare. Le analisi del day alter si sono incentrate sui riflessi politici del voto referendario ed è giusto che sia così ma dal punto di vista sociologico la notizia è questa. Perla prima volta i giovani hanno contribuito fortemente a determinare un risultato elettorale e in questo modo si sono quantomeno candidati a diventare un nuovo baricentro del consenso. continua a pagina 37 DOPO REFERENDUM /2 IL kSEGNALE FORTE ?, di Dario Di Vico Autom iclusione La generazione perduta, senza lavoro, si è palesata con l'urna SEGUE DALLA PRIMA on è una novità da poco per una generazione che non ha una sua rappresentanza né tanto meno un sindacato e che resta abbondantemente esclusa dal mercato del lavoro. Tanto da configurarsi come lo zoccolo duro della disuguaglianza italiana. Facciamo però il classico passo indietro e partiamo dai dati che gli esperti di demoscopia stanno elaborando in queste ore: analizzando i comportamenti dei giovani dai 18 ai 35 anni la percentuale di chi si è astenuto vale il 28-30%, i Si possono essere pesati attorno al 23-25% e i No invece arrivano a una quota oscillante tra il 4748%. La vittoria degli antireferendari è stata dunque schiacciante ma al di là del risultato contingente è l'elemento di partecipazione - forse sarebbe meglio dire di autoinclusione - che va valorizzato e sul quale è giusto investire. E un segnale forte che non deve essere piegato a mere ragioni di partito o di schieramento. La generazione che paga l'esclusione dal lavoro persino con l'indebolimento del carattere ha scelto l'urna per palesarsi e anche chi (il Pd) nella circostanza è stato penalizzato dalla scelta della maggioranza degli under 35 non può non guardare con favore alla novità. Pure se nella circostanza ha affossato «le riforme». È chiaro che la partecipazione dei giovani è stata favorita domenica scorsa dal format elettorale semplificato Sì o No - che ha evitato agli elettori meno collaudati di perdersi nei dettagli dei programmi di partito e nella individuazione del candidato giusto. Di conseguenza non è affatto detto che questo fenomeno debba necessaria- mente ripetersi alle prossime Politiche ma non per questo il segnale va ignorato. A cominciare dal tentativo di capire l'interazione profonda che si è stabilita tra mondo giovanile e Rete. E stato già detto come il web sia diventato una forma di rappresentanza sui generis degli under 35, una modalità profondamente differente dal passato che ha il vantaggio per chi la usa di far arrivare ovunque la sua opinione e per chi la studia di poter essere tracciata culturalmente. La Rete anche nelle sue manifestazioni meno edificanti - all'insegna dell'antropologia negativa - è comunque un'esperienza di società aperta che si manifesta in un contesto che non riesce a garantire mobilità e ricambio. In questa chiave sarà interessante indagare se c'è un rapporto causa-effetto tra la frequentazione assidua di blog e community e la decisione di usare l'urna elettorale. Di sicuro i sondaggisti si aspettavano un maggior tasso di astensione da parte della lost generation e sono rimasti sorpresi e volendo avventurarsi nel mondo dei numeri si può addirittura raffrontare il tasso di astensione degli under 35 con il tasso di di- Gli 35 Gli astenuti sono attorno al28-3Q%,i Si tra il 23eil 25%, mentre chi ha votato contro oscilla tra il 47 e il 48% soccupazione anche se riferito solo ai giovani tra i i8 e i 29 anni, ebbene l'ultimo dato disponibile riferito al primo trimestre 2015 ci dà 32% contro un'astensione - che come già detto si è fermata tra il 28 e il 30%. Si è votato più di quanto si riesca a lavorare. È chiaro che nel rapporto tra giovani e politica non si può ignorare la mediazione del Movimento 5 Stelle, l'unica offerta politica italiana «non anzianista» e che infatti miete consensi tra gli under 35. Tra i giovani esclusi, la Rete e i grillini si è creato un gioco degli specchi che fa rimbalzare la frustrazione e il rancore sociale dovuti all'apartheid lavorativa e li riveste con la critica della modernità, vero filo conduttore dei comizi di Beppe Grillo. Interrompere questo flusso di opinioni e questa produzione di egemonia non sarà facile per nessuno ma la rincorsa populista all'insegna del «dagli alla Casta» non si è rivelata un'arma vincente. A chi ha dimostrato, votando, di non voler aggiungere autoesclusione al disagio esistenziale va offerta una chance. Il riformismo si legittima così. © RIPRODUZIONE RISERVATA L'AZZ DO E LE REGOLE di Antonio Polito a troppi anni dosi massicce di avventurismo vengono iniettate nel nostro sistema politico. Si è diffusa, dopo che Berlusconi nel 1994 la importò dal mondo dell'impresa, una mistica del gesto rapido e audace, spregiudicato e in quanto tale «coraggioso»: un «arditismo» che celebra chi agisce con cinica e arrischiata determinazione. Asfaltare gli avversari è diventato così il contenuto principale della lotta politica, con il conseguente grave indebolimento dei vincoli del bene comune e dell'interesse generale. con5nua a pagina 37 DO O . P . ..i .° J a L'AZZARDO, I RI SC HI ELE e . . di Antonio Polito Nuove eleziOM* In troppi corrono, tra i vincitori e i vinti, ma serve prima una legge con `visa SEGUE DALLA PRIMA lcune delle difficoltà in cui ci dibattiamo oggi provengono proprio dal gusto dell'azione di forza. Per esempio: la bizzarria di varare una legge elettorale valevole per una sola Camera può essere spiegata esclusivamente con il tentativo di creare il fatto compiuto, e cioè l'abolizione del Senato elettivo. Ma il fatto non si è compiuto, poiché è stato impedito dalla vittoria del No. E ora ci troviamo nella singolare condizione, unici in Europa, di non poter nemmeno scegliere la strada delle elezioni anticipate finché non disporremo di una legge elettorale praticabile per entrambi i rami del Parlamento. Però avventura tira avventura. E in- fatti sono molti oggi, sia tra i vincitori del referendum come i grillini e i leghisti, sia curiosamente tra gli sconfitti renziani, ad avere fretta e voglia di fare il bis, andando a votare subito, così subito da correre perfino il rischio elevatissimo di avere due maggioranze diverse nelle due Camere, o di replicare al Senato venti ballottaggi regionali estendendovi una legge (l'Italicum) fino a ieri considerata da buttare e che la Consulta potrebbe davvero buttare, quando a fine gennaio deciderà se è incostituzionale. Sarebbe un modo sicuro di garantirci altri anni di instabilità, ripetendo il caos del 2013. Intendiamoci: la sconfitta del premier al referendum ha ferito a morte anche la legislatura. È già un miracolo che sia arrivata fin qui, per come era nata. Aver fallito l'obiettivo della Grande Riforma provoca dunque non solo la crisi del governo Renzi, ma anche del Parlamento che lo ha espresso facendo ampio uso di alchimie (un partito che si chiama Nuovo centrodestra in un governo di centrosinistra) e di trasformismi (i verdiniani seduti insieme con i transfughi montiani e vendoliani). P, chiaro che la legislatura difficilmente troverà sufficiente benzina per arrivare fino alla scadenza naturale del 2018. E in ogni caso l'elettorato non sopporterebbe manifestazioni di accanimento al potere. Però, prima di votare, ci vogliono regole che rendano utile il voto, che lo traducano in maggioranze e governi. E questo è lavoro dei politici che non può essere scaricato sui cittadini, nemmeno chiedendo loro l'ennesimo plebiscito. Soprattutto quando il plebiscito precedente è andato male. E ragionevole dunque la posizione che sembra farsi strada nel Pd dopo molte incertezze, favorevole alla nascita di un «governo di responsabilità nazionale» che sistemi la legge elettorale prima delle urne. A patto che non si tratti dell'inizio del famoso gioco del cerino, e la richiesta che tutti i partiti ne facciano parte non sia solo un espediente per dichiarare fallito il tentativo di fronte allo scontato no di Grillo o di Salvini. Bisogna infatti tener presente che sul Pd ricade la responsabilità maggiore, perché dispone di circa quattrocento parlamentari e perché spetta al partito Scenario La responsabilità è del Pd che deve favorire una soluzione parlamentare, non scaricare la sua crisi sul Paese .. . i di maggioranza fare ciò che si deve per evitare avventure. Già il referendum è stata una partita mal concepita; sarebbe molto pericoloso per lo stesso Pd se la sua crisi si scaricasse ora sul Paese. Si potrebbe obiettare che un governo non può nascere al solo scopo di fare una legge elettorale. D'accordo. Ma vedrete che chiunque riuscirà a farne uno, di lavoro da sbrigare ne troverà in abbondanza. C'è l'Europa che vorrebbe una manovra correttiva, grandi e piccole banche bisognose di interventi sul capitale, un enorme debito pubblico da gestire in condizioni sempre meno favorevoli, un'ampia fetta del Paese terremotata che aspetta la ricostruzione. I politici vivono di elezioni, ma il resto della gente si nutre diversamente. La democrazia non è una fabbrica di campagne elettorali, non è un «lascia o raddoppia». L'Italia è fragile ed esposta ai venti, ha bisogno di un governo e chi ha i numeri in Parlamento può farne uno. Proviamo a ricordarcene prima di piangere nuove e calde lacrime di coccodrillo sui trionfi del «populismo». La prossima volta potrebbe essere troppo tardi. R ferendum e CoSfit ì0iiale e A mîn%.str°atïi°e cti primavera Verso le urne 25 città Ein21havintoilNo Nella primavera del 2017 saranno 25 i Comuni capoluogo di Provincia in cui si andrà a votare per rinnovare i consigli. Di questi, 16 sono oggi governati da giunte di centrosinistra, 6 da giunte di centrodestra e 3 da alleanze trasversali. Ebbene, l'esito della consultazione referendaria del 4 dicembre sembrerebbe aver rimescolato il consenso elettorale. Nei 16 Comuni di centrosinistra, infatti, il No ha prevalso in 13 casi, come a Belluno, Lucca e La Spezia. Nei 6 Comuni di centrodestra il No ha fatto il pieno, come a Padova, Trapani e Lecce. Tra le realtà sostenute da altre maggioranze, invece, figura quella di Parma, guidata dal sindaco Federico Pizzarotti, che dal Movimento Cinque Stelle è uscito lo scorso ottobre. Voto referendario: Sì. L'esito del referendum nei capoluoghi al voto nel 2017 COSÌ NEI COMUNI centrosinistra centrodestra altro altro centrocestra Como Monza Alessandria il Lodi :. . m N N Y7 ri- aa '!!UrlO ,-Gorizia Verona Padova Parma Pistoia Lucca Aquila Frosinone 0 istano COSÌ AL VOTO Si NO T< . ir CatanZ.,wo Lecce ce! N sLn` ( O m nD ó Ñ C } e O? O? co Ln`1 oi re 0 -u m d Ú J t6 o á `1 N -Zt 0) i,o Ln (D ñ In(nh .Zr, Co 001 N" r6 0 c v CD m á N o- CL J Trapani ' ;î'er no coalizione di appartenenza ä o E á M a C O Q Ñ C M M Cu F v N C o c Li ó O N t° Ln 'C'a, o E J o ¢ u J r r- [in -1-L r tn y Ñ i m ra C 'I N ' c á n A0. _ flco o Q Lrï r- LÇ') ISS N c v N Ú o C O C Ÿ J r O Province in salvo ma al verde: è caccia ai fondi Francesco Pacifico npiazzaCardelliaRoma, quemattina, si tiene il ProvinI cia-Pride. Fino alle 22.59 di domenica scorsa 4 dicembre gli 86 enti costituzionali - come prevede l'articolo 114 della Carta vigente - sembravano destinati a fare la fine del Cnel: cancellate con un tratto di penna dalla legge Boschi-Renzi rispetto al testo approvato nel 1948, senza alcun rimpianto ma conmolta ignominia perché simbolo di sprechi e della burocrazia più pleonastica e assurda. Poi la strabordante vittoria del no al referendum ha rimesso in discussione tutto e ridato nuova linfa a questi organi. Per questo Achille Variati, presidente della provincia di Vicenza e, soprattutto, dell'Upi, ha convocato la stampa nella sede dell'associazione. > Segue a pag. 11 Province salve ma al verde è guerra per riavere i fondi Dopo la mancata abolizione gli enti rivendicano 950 milioni di euro e rinforzi all'organico Francesco Pacifico SEGUE DALLA PRIMA PAGINA Variati vuole dare sfogo al suo impeto revanscista e fare i conti con una politica (vuoi con la legge 56 Delrio del 2014 vuoi con le ultime Finanziarie) che ha tolto alle province risorse (circa 3 miliardi), personale (20mila sui 43mila sono finiti alle Regioni, nelle cancellerie dei Tribunali o prepensionati) e poteri. Infatti, da due anni a queste parte, hanno competenze decisive su edilizia scolastica, viabilità, trasporti, politiche sociali, urbanistica e ambiente. Negli spot del fronte del Si e in quelli ufficiali della presidenza del Consiglio si ripeteva che la riforma costituzionale «abolisce il Cnel e le province». Per quanto riguardava quest'ultime, in realtà, non andava oltre la cancellazione dello status di ente costituzionale. Passaggio propedeutico per eliminare con una successiva legge ordinaria questi organismi. Cosa che la legge Delrio, al di là delle promesse e degli intenti del suo autore, si guarda dal fare. Un tempo si occupavano per esempio anche di turismo o caccia, creando su queste materie un federalismo nel federalismo, con il risultato che le normative cambiavano a pochi chilometri di distanza. Oggi, seppure informa minima, le province controllano 130mila chilometri di strade nona pagamento, sono "proprietarie" di oltre Smila scuole. Per non parlare del controllo preventivo su parchi, pozzi e corsi d'acqua. C'è un problema normativo, con Variati che, non a caso, vuole sapere perché l'ultimo governo ha legiferato anche nelle competenze concorrenti senza mai utilizzare il termine "provincia". E c'è, soprattutto, un problema economico. Perché tutte le attività rimaste costano. Nell'agosto scorso la provincia di Lecco, la stessa che aveva in concessione il cavalcavia crollato lo scorso 28 ottobre anche perCanfora ché alcuni funpresidente zionari a Salerno: dell'ente non si sarebbero senza soldi sentiti di chiuchiusa derlo, annunla Tramonti ciò in una noRavello ta: «L'attuale grave carenza di risorse economiche, derivata dai noti tagli governativi al bilancio ha posto l'ente in una condizione di seria difficoltà per continuare a garantire i servizi, anche essenziali, che la legge attribuisce agli enti provinciali». I presidenti delle province delle aree colpite dall'ultimo sisma hanno chiesto al governo di derogare dal blocco del turn over, anche con contratti a termine, per assumere tecnici specializzati per rilevare i danni nelle abitazioni private e negli edifici pubblici, seguiti alle scosse. L' assenza di personale e la mancanza di fondi ha spinto Giuseppe Canfora, sindaco di Sarno ma soprattutto presidente della provincia di Salerno, «a fare un monitoraggio sulle strade a rischio e sulle scuole che potreb- bero subire lesioni infrastrutturali perché qui, se succede una tragedia, si finisce in galera. E qui qualcuno deve prendersi le responsabilità politiche di questa situazione. Io ho dovuto chiudere la strada panoramica che porta da Tramonti a Ravello perché non avevo i soldi perla manutenzione. E non so ancora come chiudere il prossimo bilancio. Da tre anni a questa parte mando la stessa lettera per chiedere una soluzione al presidente della Repubblica e quello del Consiglio e mai, finora, una risposta». Canfora, che anche presidente dell'Upi della Campania, ci tiene a sottolineare, «di aver votato sì alla riforma. E credo anche alla bontà della legge Delrio, ma con questi trasferimenti come possiamo occuparci delle politiche sociali o dei controlli dell'ambiente, che finiscono per incidere sulla salute della gente?» Proprio su spinta delle pressioni della base l'Upi chiederà un primo risarcimento. In primo luogo sui soldi, che sono stati ridotti di un terzo attraverso le ultime tre manovre. Se non bastasse nella legge di bilancio in discussione ci sono, all'articolo 63, appena 650 milioni di euro per il loro funzionamento, quando i presidenti di Provincia ne pretendono almeno 950 in più. Per non parlare del fatto che, come si capisce dall'articolo 64, siccome questi enti erano destinati alla morte, non avendo la possibilità di fare bilancio triennale, non avevano neanche la facoltà di inserire nei loro bilanci di previsione strumenti per accantonare risorse e fare una programmazione degna di questo nome. Durante il passaggio alla Camera il governo si era impegnato a risolvere la questione al Senato. Ma adesso che con Renzi dimissionario bisogna approvare velocemente la manovra blindandola con la fiducia, c'è il rischio di restare a secco. Nei palazzi della politica si guarda già alla madre di tutte le scappatoie: il Milleproroghe di fine anno. Ma la cosa non tranquillizza l'Upi. Non a caso Achille Variati ha fatto sapere: «La decisione di porre la fiducia sulla Legge di Bilancio non consentirà al Parlamento di affrontare le questioni riguardanti l'intero sistema degli Enti locali (Province, Città metropolitane e Comuni) che erano state lasciate indietro con l'intenzione di portare questi temi alla discussione in Senato. E necessario che il Governo intervenga con un provvedimento d'urgenza per adottare quelle misure correttive che, nel confronto avuto in queste settimane, erano state individuate quali interventi urgenti a garanzia dei servizi essenziali erogati dalle Province». Questa mattina l'Upi chiederà anche di poter ampliare gli organici. Due le strade: ricorrere a contratti a tempo o chiedere di reimpegnare, anche senza riportarli alla base, su mansioni utili alle province parte degli oltre Smila ex dipendenti trasferiti nelle Regioni e non ancora assegnati a nuovi incarichi. La Delrio ha inoltre previsto un sistema elettorale secondario: si scelgono come presidente e come consiglieri di provincia tra gli eletti nelle assemblee comunali. Un modello forse poco trasparente e poco rispettoso per un organo costituzionale. Lo ho già notato per esempio il governatore del Piemonte, e presidente della Conferenza delle RegioSergio ni, Chiamparino, ricordando che «hanno un rilievo costituzionale e quindi bisogna capire come questo si coniughi con il fatto che non sono elette di- rettamente I servizi dai cittadini». L'allarme L'ex presidendella provincia te della Condi Lecco sulta, Ugo De Siervo, è andache aveva in to oltre e hapaconcessione ventato il cavalcavia un'ipotesi che crollato all'Upi si sta perorasoltanto studiando: una pletora di ricorsi. «Con la mancata revisione della Costituzione non cambia nulla rispetto alla legislazione esistente - ha spiegato il giurista - ma la legge 56 operava delle innovazioni che sarebbero state rese definitive e radicali con modifiche della Carta, ma ciò non è avvenuto». Quindi «rimane nei fatti una situazione che qualcuno potrebbe definire deplorevole e deficitaria, e per questo potrebbe chiedere una verifica sulla legittimità costituzionale di quel testo di legge». Al riguardo il triestino Massimiliano Fedriga, capogruppo della Lega Nord alla Camera, ricorda «che in Friuli, siccome la Serracchiani quando le quattro province sono state cancellate e sostituite in 18 unità territoriali, abbiamo avuto centinaia di ricorsi di dipendenti che si volavano trasferire in enti a condizioni contrattuali peggiori. Soltanto di manutenzione spendiamo 95 milioni in più. Noi stiamo già studiando una norma per riportare le preferenze, visto che è immorale che le Province se le spartiscano per legge i partiti». 1 1 II giurista «II Titolo V II giurista è immutato De Siervo: «Orala legge quindi restano» Delrio rischia molti ricorsi» «Le Province restano perché gli articoli 114 e 118 della Costituzione, e in generale tutto il titolo V, sono rimasti immutati rispetto alla riforma del2001 dopo il no al referendum», spiega il professor Antonio D'Atena docente emerito di diritto costituzionale all'Università Tor Vergata di Roma e fino all'anno scorso presidente dell'Associazione italiana costituzionalisti che così si esprime in merito alla legge 56, la cosiddetta Delrio, che ha riformato gli enti locali. L'Ocse dà i voti alla scuola e l'Italia resta insufficiente I nostri studenti al 34esimo posto tra i paesi Lieve miglioramento in matematica. Più ore avanzati: perse due posizioni rispetto al 2014 di studio rispetto agli altri, ma molte assenze IFI R 0 MA Un leggero recupero in matematica ma non basta. La sufficienza è ancora troppo lontana. Gli studenti italiani vengono bocciati, per l'ennesima volta, dalle rilevazioni sulle competenze dei 15enni in base ai test "Programme for international student assessment", ovvero Pisa-Invalsi 2015. Al test, della durata di due ore, hanno partecipato 540 mila studenti, scelti tra i 28 milioni di ragazzi di 15 anni, nei 72 paesi partecipanti. Tra questi, i 35 paesi aderenti all'Ocse. Per l'Italia hanno partecipato 11.583 studenti di oltre 450 scuole. E i loro punteggi non danno un buon profilo del rendimento della scuola italiana. Siamo al 34esimo posto, abbiamo perso due posizioni. PAESE DIVISO In realtà viene rilevata una differenza sostanziale tra gli studenti del Nord, soprattutto Nord-Est, e quelli del Sud e le Isole. I primi, come ad esempio Bolzano, Trento e la Lombardia, raggiungono la media più alta se confrontati con la graduatoria globale, i secondi affondano in classifica nelle ultime posizioni. Gli studenti della Campania, infatti, sono nella parte più bassa della classifica al pari dei ragazzi delle Azzorre e dell'Argentina. Per quanto riguarda il settore delle scienze, il voto medio dei 15enni italiani è stato di 481 punti contro una media Ocse di 493: l'Italia si posiziona al 27esimo posto sui 35 paesi della sfera Ocse, come Croazia e Ungheria. Andando a considerare i "top performer", i ragazzi più bravi, la percentuale si ferma al 4° del totale contro l'8% dimedia Ocse. Emergono in questo campo differenze di genere rilevanti: nel 2015 i maschi raggiungono 17 punti in più rispetto alle coetanee, al Centro 23, nel Nord Est 20 e nel Sud 15. Rispetto al 2009 e al 2012, infatti, le femmine fanno registrare un decremento di oltre 20 punti. COMPETENZE LINGUISTICHE Nell'ambito della lettura e delle competenze linguistiche, gli studenti italiani raggiungono una media di 485 punti, restando sotto la media Ocse di 8 punti, pari a 493: così l'Italia si ferma al 26esimo posto, su 35, e solo il 5,7% degli studenti risulta molto preparato nella comprensione di un testo, contro l'8,3% medio. Oltre uno su 5, invece, non raggiunge il livello minimo di competenza: il 21% degli studenti, un dato che resta invariato dal 2009, in media Ocse. Le ragazze, nonostante abbiano avuto sempre punteggi più alti rispetto ai ragazzi, vedono diminuire questo divario: nel 2015 hanno raggiunto 16 punti in più sui maschi ma nel 2009 li superavano di oltre 35 punti in tutte le macro aree e a livello nazionale. Nel 2015 le differenze a favore delle ragazze si sono attenuate di oltre il 50%. Per il settore della matematica, invece, si rileva un miglioramento che porta gli studenti italiani al pari dei coetanei in Francia e in Gran Bretagna: con un punteggio medio di490 punti, restano in linea con la media Ocse. E la percentuale dei più bravi raggiunge il 10,5% del totale, mentre scende di 9 punti, arrivando al 23%, la percentuale degli studenti con le competenze più basse. Il divario geografico, in que- sto ambito, è rilevante: a Bolzano gli studenti raggiungono 518 punti e a Trento 516 al pari della Svizzera, superando i coetanei canadesi e gli asiatici, ad esclusione dei ragazzi di Singapore che arrivano a un picco di 564 punti. In coda alla classifica, invece, ci sono gli studenti della Campania con 456 punti come i ragazzi delle Azzorre e dell'Argentina. Altra nota dolente, però, sono le assenze. Quelle ingiustificate: in Italia il 55% degli studenti di 15 anni, quindi più di uno su due, ha marinato la scuola. Quasi il triplo rispetto alla media dei loro coetanei stranieri che si ferma al 20%. Il risultato? Gli studenti che non frequentano regolarmente le lezioni hanno in media 31 punti in meno in scienze, ad esempio, rispetto a quelli che seguono con continuità. SEMPRE ENORME Il DIVARIO NORD-SUO GLI ALUNNI DI BOLZANO TRA I MIGLIORI Al MONDO, 1 CAMPANI TRAI PEGGIORI ORARIO LUNGO Risultati insufficienti, dunque, nonostante gli studenti italiani siano quelli che trascorrono più tempo sui libri: 29 ore a settimana sui banchi in classe e 21 a studiare, a casa. Ben 50 ore complessive rispetto alla media Ocse di 44 ore complessive. In Finlandia e Germania si arriva a 36 ore, in Svizzera a 38. Tutti con risultati migliori nell'apprendimento. Ma l'Italia, nella classifica Ocse conquista anche un primato all'equità positivo relativo nell'istruzione: solo il 10% delle variazioni della performance degli studenti, infatti, è attribuibile alle differenze socio-economiche contro una media Ocse del 13%. In Italia, gli studenti avvantaggiati hanno in scienze un voto di 30 punti superiore contro i 38 punti Ocse. Analizzando il rendimento delle scuole pubbliche rispetto a quelle private emerge che, considerando le differenze socio-economiche, gli studenti delle scuole pubbliche ottengono ben 40 punti in più in scienze rispetto ai ragazzi che frequentano le scuole private. Lorena Loiacono l ' f 4.ìr J Aa L rl , 11, m.11111o- Studenti a confronto Risultati dei nuovi test Pisa 2015 I MIGLIORI IN CLASSIFICA 556 scienze italiano , matematica 564 538 532 51S 534 i 519 520 481 1° Singapore 2° Giappone 3° Estonia 485 490 35° ITALIA COSÌ GLI EUROPEI IN POLE 5° rr Finlandia Slovenia 13° Gran Bretagna 15° 16° Germania Olanda 17° 18° Svizzera 19° Irlanda Belgio 20° I Danimarca 21° Polonia 22° 25° Stati Uniti l 496 29° media Ocse 493 ANSA £ERFime1TI «Ci vorrebbero i corsi pomeridiani» Anna Maria Ajello è la presidente dell'Invalsi, l'ente responsabile della valutazione nella scuola. Come si può recuperare il divario tra i nostri studenti e quelli stranieri? «Servono maggiori interventi compensativi. Con i corsi pomeridiani negli istituti: a Trento le scuole aiutano i ragazzi e i risultati ci sono. Servono anche al Sud do- ve le medie sono più basse». Le scuole del Sud non preparanoadeguatamente i ragazzi? «Non direi, i nostri test riescono a scorporare i valori che provengono dal contesto famigliare e dagli anni scolastici precedenti: possiamo così considerare il valore aggiunto delle singole scuole. Nel Sud questo valore è molto alto, ma il rendimento del ragazzo non rag- giunge la media se il contesto famigliare non è favorevole. Serve una compensazione». Gli studenti stanno cambiando? «Abbiamo rilevato una minore competenza da parte delle ragazze, che perdono punti e si avvicinano al livello dei ragazzi, in lieve miglioramento». L.Loi. RIPRODUZIONE RISERVATA