11 - Autorità di Bacino del Fiume Arno

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11 - Autorità di Bacino del Fiume Arno
Autorità di Bacino del Fiume Arno
Rassegna stampa di mercoledì 7 dicembre 2016
ID
Data
Quotidiani
Categoria
Ambito
Titolo articolo
11
7-dic-16
La Nazione
Politica
Firenze
Nardella, gelo politico con Rossi: “Non scommetta su quei pochi”
Ulivelli Ilaria
16
7-dic-16
La Repubblica Infrastrutture
Firenze
Infrastrutture, case e sicurezza idraulica. C'è il prestito della Bei
Bologni
Maurizio
16
7-dic-16
Corriere della
Sera
Infrastrutture
Firenze
Due milioni contro i ponti che “tremano”
2
7-dic-16
La Repubblica
Urbanistica
Firenze
Progetto Sant'Orsola, la cordata Bocelli va avanti senza Sire
Ferrara
Ernesto
21
7-dic-16
La Repubblica
Cronaca
Firenze
Non facevano pagare la tassa di soggiorno, accusati 27 albergatori
Selvatici
Franca
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La Repubblica
Politica
Toscana
Rossi e renziani distanti sui futuri scenari elettorali
Vanni
Massimo
11
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Il Tirreno
Politica
Toscana
I renziani toscani avvisano Rossi: non siamo alzapalette
Bonuccelli
Ilaria
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La Nazione
Politica
Toscana
“Basta lobby”. L'affondo di Bambagioni
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Corriere della
Sera
Politica
Toscana
Le prove di forza in Toscana oltre i fronti del 4 dicembre
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Corriere della
Sera
Politica
Toscana
Dalla Ue 250 milioni per infrastrutture e case
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La Nazione
Cronaca
Bilancino Bilancino, morì dopo un tuffo nel lago: “La piramide gonfiabile era fuorilegge”
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Corriere della
Sera
Politica
Sesto F.
11
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Corriere della
Sera
Politica
Renzi: un governo con tutti dentro o alle urne subito
Martirano
Dino
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La Repubblica
Politica
Stop del Colle a urne subito. Renzi fermato anche dal Pd: “Governo di unità nazionale”
Ciriaco
Tommaso
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Il Sole 24 Ore
Politica
Il “freno” del Colle sul premier
Palmerini
Lina
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Corriere della
Sera
Politica
“Elezioni inconcepibili senza legge”. Mattarella preoccupato per la scelta del Pd
11
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Corriere della
Sera
Politica
Gli alleati del premier
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Il Sole 24 Ore
Politica
Esecutivo di scopo, in campo Padoan, Delrio e Gentiloni
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7-dic-16
La Repubblica
Politica
Bersani: il partito non si divida. No al governo con Forza Italia
Casadio
Giovanna
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Corriere della
Sera
Politica
Sorrisi ai fotogradi e post su facebook. Ma Boschi ora resta in disparte
Roncone
Fabrizio
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7-dic-16
Corriere della
Sera
Politica
M5S, oggi il vertice ma già volano i coltelli. E Fico sfida Di Maio
Buzzi
Emanuele
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Corriere della
Sera
Politica
Le due strategie di FI e Lega. Il proporzionale di Berlusconi per aggirare le primarie
Giornalista
C. R.
“No inceneritore”. Dalla giunta Falchi altro ricorso al Tar
Fatucchi
Marzio
Brogioni
Stefano
P. A.
Breda Marzio
Verderami
Francesco
Pa. Em.
Di Caro
Paola
Autorità di Bacino Fiume Arno - Pagina 1 07/12/2016
11
7-dic-16
La Repubblica
Politica
Dietrofront Alfano sul voto a febbraio. Addio dell'Udc, si spaccano i centristi
11
7-dic-16
Italia Oggi
Politica
Nuova legge elettorale e poi voto
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Corriere della
Sera
Politica
L'enigma della legge elettorale
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7-dic-16
La Repubblica
Politica
Perchè non ci sarà l'urna di Carnevale
Folli Stefano
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7-dic-16
Corriere della
Sera
Politica
Cosa resterà al PD di quel 41%?
Trocino
Alessandro
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7-dic-16
Corriere della
Sera
Politica
Florisa: “In quel 44% ci sono pure i moderati , i calcoli vanno rifatti”
11
7-dic-16
Corriere della
Sera
Politica
Il segnale dei giovani
Di Vico Dario
11
7-dic-16
Corriere della
Sera
Politica
L'azzardo e le regole
Polito
Antonio
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7-dic-16
Corriere della
Sera
Politica
Verso le urne in 25 città. E in 21 ha vinto il No
11
7-dic-16
Il Manifesto
Politica
Province in salvo ma al verde: è caccia ai fondi
Pacifico
Francesco
21
7-dic-16
Il Messaggero
Cronaca
l'Ocse dà i voti alla scuola e l'Italia resta insufficiente
Loiacono
Lorena
d'A. G.
Ricciardi
Alessandra
Bendetto
Renato
V. M.
Autorità di Bacino Fiume Arno - Pagina 2 07/12/2016
ANCHE IL SINDACO NARDELLA SARÀ OGGI ALLA
DIREZIONE DEL PD ALLE 15 A ROMA DOVE RENZI
PORTERA LA SUA PROPOSTA PER IL PAESE: NERVI
TESI, IL CLIMA E INCANDESCENTE
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«INSIEME per il bene di Firenze e della Toscana, ma dal
punto di vista politico abbiamo posizioni molto diverse». Il
sindaco Nardella è critico sulla
posizione assunta dal governatore Rossi che, dopo il voto referendario, chiede al Pd di andare a congresso nel 2017, con
un segretario di garanzia modello Epifani ai tempi di Bersani. Dunque con le dimissioni
di Renzi anche alla guida dei
Dem.
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no al referendum è largamente
e assolutamente minoritaria spiega il sindaco - Per questo,
fossi in Rossi, non scommetterei su quella parte».
Oggi Dario Nardella alle 15
prenderà parte alla direzione
del redde rationem, dove le correnti si scontreranno e si conteranno. Siamo sul filo dei voti:
Renzi potrebbe non avere una
maggioranza
schiacciante.
«Ho molti impegni da sindaco
e dopo un mese di campagna
elettorale serrata voglio torna-
« 113,4 milioni di Si
possono tradursi in base
elettorale per il Pd»
re al mio impegno in città a
tempo pieno - spiega - In ogni
caso, se sarò utile per dare una
mano, oggi andrò al Nazareno».
Sa che il suo voto è utile. E sa
anche che la sua posizione si è
rafforzata dopo il risultato elet-
SUL VERSANTE politico,
dunque, si riallungano le distanze tra il sindaco e il governatore. Soprattutto nel fronte
interno al Pd, dice Nardella,
«abbiamo posizioni molto diverse, anche perché noi abbiamo portato al sì 13,5 milioni di
voti. Certo, non solo del Pd,
ma in gran parte nostri». L'analisi del voto «dimostra che quella parte del Pd che ha scelto il
Dario Nardella,
il sindaco oggi
sarà al
Nazareno per
la direzione Pd
in cui il premier
M atteo Renzì
traccerà la sua
linea
torale di Firenze e della provincia, al termine di una campagna referendaria che gli ha dato una notorietà aggiunta presso una più vasta platea. Per questo oggi in direzione potrebbe
anche parlare.
«I VOTI presi sono molti di
più di quelli raccolti alle europee del 2014 e alle politiche del
2013, quando era Bersani segretario del partito», dice Nardella senza sbilanciarsi troppo sul
voto anticipato. Perché dopo la
fuga in avanti di Alfano, ieri
già si cominciava a frenare sui
tempi. «Parleremo in direzione - spiega - Sono sicuro che
ci sarà un confronto pieno e
che il presidente del consiglio
Renzi porterà una proposta
convincente, con la volontà di
non piegarsi a situazioni rabberciate che non sarebbero
comprese dai cittadini, fermo
restando le esigenze di garantire al Paese stabilità».
Ilaria Ulivelli
i re, ca
sicurezza idraulica
c'è il prestito della Bei
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s
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1 250 milioni raddoppiano con i fondi della Regione
Il governatore: ricaduta in termini di occupazione
DALLA BANCA Europea degli Investimenti (Bei) arriva alla Regione un prestito di 250 milioni
di euro per finanziare infrastrutture, opere di messa in sicurezza
idrogeologico e di social housing
previste dal piano regionale
2016-2020. Il budget in realtà,
raddoppia, perché il patto con la
Bei prevede che la Regione metta di tasca propria altri 250 milioni. In totale, dunque, 500 milioni
per opere di grande rilievo soprattutto perla difesa del suolo e
la mobilità.
Prestito a 25 anni, tasso d'interesse mai così basso. «Calcolato ai valori attuali, ma il conto andrà aggiornato man mano che il
denaro verrà erogato da qui al
2018, il tasso d'interesse che pagherà la Regione è di circa lo
0,8-0,9%», ha spiegato il vice presidente della Bei Dario Scannapieco, nel corso dell'incontro con
la stampa in Regione. «Stimiamo di dover restituire ogni anno
8 milioni di euro, una somma assolutamente sostenibile», ha aggiunto il governatore Enrico Rossi, con la Regione che così raggiunge un livello di indebitamento di circa un miliardo di giuro.
Rossi ha indicato in 300 milioni (150 messi dalla Banca e altrettanti dalla Regione) i soldi
destinati a realizzare il piano di
messa in sicurezza idrogeologica, opere come il raddoppio della
Viabilità di Lastra a Signa
il ponte sul Serchio
e il raddoppio della
ferrovia Pistoia-Lucca
linea ferroviaria Pistoia-Montecatini-Lucca, il Ponte sul Serchio, la nuova viabilità di Lastra
a Signa e l'intervento sugli assi
viari di Lucca. Si punta anche ai
trasporti sostenibili e al rinnovamento urbano, alla protezione
dell'ambiente e al patrimonio
culturale. Duecento milioni
(100 dalla Bei e 100 dalla Regione), andranno invece a sostenere i piani di investimento in case
popolari pianificati da Casa Spa
e dalle aziende di edilizia pubblica delle altre nove province.
«Dei finanziamenti si deve calcolare anche la ricaduta in termini di occupazione, considerando
che si stima la creazione di una
unità di lavoro ogni 50.000 euro
investiti», ha detto Rossi, particolarmente soddisfatto del tasso
ottenuto, «particolarmente competitivo, come non ce ne sono in
Europa». È migliore di quello praticato da Cassa depositi e prestiti e prevede il rientro a partire da
quattro anni dopo la firma del
contratto stipulato ieri. «Le nuove regola di bilancio - ha spiegato Rossi -hanno ristretto notevolmente le capacità di indebitamento ed investimento della Regione, e quindi 150 milioni occupano praticamente l'intero spazio di manovra a disposizione della Toscana»,
A proposito dei finanziamenti
all'edilizia popolare, Rossi ha
detto che «la crisi ha creato nuove povertà, anche in Toscana.
Non siamo la Francia, che possiede un patrimonio di edilizia pubblica assai più vasto. In Italia la
Toscana è comunque esempio di
buon governo, anche su questo
fronte, e con 100 milioni potrà essere messo in atto un piano per
realizzare nuovi edifici ed effet-
tuare la necessaria manutenzione di quelli esistenti, in modo da
offrire una risposta adeguate alle difficoltà. C'è dunque - ha concluso il governatore - un'Europa
che ci aiuta, non solo con i fondi
strutturali, ma anche dal punto
di vista degli investimenti,
un'Europa sociale e che guarda
alla crescita».
RIPROCUZIONERISERVFTA
ime mmom contro 1* pontí che «tremano»
La giunta approva i progetti per rafforzare la passerella dell'Isolotto e il Vespucci
Oltre due milioni di euro
per rafforzare e ammodernare
ponti e le passerelle. La giunta
di Palazzzo Vecchio ha approvato i progetti definitivi di tre
interventi che riguardano la
passerella dell'Isolotto, il ponte Vespucci e la passerella sul
torrente Mensola.
L'intervento più importante
è quello per la passerella dell'Isolotto: il progetto definitivo, stanziato un milione di euro, prevede la riqualificazione
strutturale della passerella pedonale che collega il quartiere
dell'Isolotto con il parco delle
Cascine. La struttura è già stato oggetto, nell'estate 2015, di
lavori d'urgenza per la messa
in sicurezza dell'opera: un intervento però temporaneo, realizzato già con una scadenza
(due anni), in attesa dell'operazione risolutiva. Il progetto
approvato prevede il ripristino
delle mensole in cemento armato e la sostituzione della
campata centrale attuale in cemento armato con una più leggera in acciaio e calcestruzzo. I
lavori dovrebbero partire in
estate.
Rilevante anche l'intervento
per rafforzare il ponte Vespucci, grazie ad un altro milione
di euro. Lo studio sulla stabilità del ponte, effettuato da Comune e Università di Firenze,
ha evidenziato una erosione
dell'alveo dell'Arno in corrispondenza della pila in sinistra idraulica del ponte. Il progetto definitivo prevede il consolidamento che consiste nella realizzazione della nuova
palificata di fondazione per la
pila dove è stata riscontrata
l'erosione. Per effettuare l'intervento «all'asciutto» sarà deviato il corso del fiume: anche
in questo caso i lavori dovrebbero partire in estate.
La giunta ha infine stanziato
6o mila euro per la riqualificazione della passerella pedociclabile in zona Settignano, sul
torrente Mensola.
R.C.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
In estate il corso dell'Arno sarà deviato per rifare il pilone
del ponte Vespucci che ha dato segno di cedimenti
Non facevano pagare
la tassa di soggiorno
accusati 27 albergatori
FRANCA SELVATICI
Si è aperto ieri a Firenze il processo contro 27 titolari e gestori di alberghi, ostelli e bed & breakfast, accusati di non aver
versato per periodi più o meno lunghi al
Comune di Firenze la tassa di soggiorno.
Sono tutti accusati di appropriazione indebita aggravata. Il Comune di Firenze
si è costituito parte civile. Le strutture
nelle quali, secondo le accuse, per mesi o
anni si è evitato di versare al comune gli
importi della tassa di soggiorno pagati
dai turisti sono 33, non solo locande a
basso prezzo ma anche alberghi di prestigio a 4 0 5 stelle. Alcuni dei proprietari o
gestori sono accusati di essersi appropriati di somme ingenti. In un caso 330
mila euro, in un altro 174 mila. L'evasione complessiva supera di molto il milione, anche se - dopo essere stati sollecitati dagli uffici comunali e soprattutto dopo essere finiti sotto indagini - molti titolari o gestori hanno versato il dovuto. Ma
c'è anche chi ha chiuso l'attività addirittura senza averla mai denunciata: è il caso di una imprenditrice cinese che gestiva l'Hotel Principessa Lisa in via Santa
Reparata, che non ha mai presentato dichiarazione dei redditi per gli anni 2012,
In qualche caso i gestori si sono
appropriati di somme notevoli,
fino a 330mila euro. In totale
l'evasione supera il milione
2013 e 2014, che ha svolto l'attività alberghiera abusivamente finché l'hotel è
stato chiuso nel 2014 e che non ha mai
versato la tassa di soggiorno. Per cui non
si sa neppure quale sia l'importo evaso.
Un altro albergatore, titolare degli Hotel
Lombardia e Colorado in via Panzani, risulta aver perduto tutte le ricevute dei
clienti che teneva in un deposito presso
la sua abitazione e che sono andate distrutte perché il deposito è stato alluvionato.
La tassa di soggiorno è entrata in vigore il primo luglio 2011 e a Firenze è pari a
1 euro per ospite al giorno per ogni stella
(per ogni chiave nel caso dei residence e
ogni spiga negli agriturismi). Il cliente
di un hotel 5 stelle deve versare 5 euro al
giorno, quello di un hotel a 2 stelle paga
2 euro al giorno. Gli alberghi e tutte le altre strutture turistico-ricettive devono a
loro volta consegnare al Comune gli importi versati dai clienti per la tassa di soggiorno e il Comune è tenuto a utilizzarli
per rendere più accogliente la città.
Che la tassa di soggiorno fosse invisa
GLI HOTEL
Sopra l'hotel Astoria di via del
Giglio e accanto l'hotel della
Pace di via La Marmora. Sono
due degli alberghi i cui titolari
sono processati con l'accusa di
aver evaso la tassa di soggiorno
ad alcuni albergatori sin dalla sua istituzione apparve chiaro dalle intercettazioni eseguite dalla polizia postale nel corso
dell'inchiesta sulle escori all'Hotel Mediterraneo. Le microspie registrarono l'insofferenza di due direttori di albergo
(«sono soldi veramente regalati al Comune», protestava uno): nell'agosto 2011,
a poche settimane dall'entrata in vigore
della tassa, studiavano già come evaderla, per esempio dichiarando la presenza
di bambini (che non la pagano) al posto
degli adulti.
Ieri il giudice si è riservato di decidere
su alcune eccezioni preliminari e ha rin-
viato il processo al 17 gennaio.
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ROSSI e renziani toscani, ognuno per la sua strada. Il Pd toscano di Dario Parrini si schiera prima per le elezioni subito, accarezzate da Renzi fino a metà pomeriggio, poi per il governo istituzionale quando la strada delle elezioni appare sbarrata. Il
governatore Enrico Rossi sceglie invece la strada di un governo di transizione che faccia
quello che c'è da fare: «Va messo in sicurezza il paese», dice.
VANNI A PAGINA II
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Elezioni a breve o governo ponte
renziani e Rossi restano distanti
Sono stati uniti per dire sì alla riforma ma 48 ore dopo il referendum
le strade del Pd toscano e del governatore per ora si allontarro a
ROSSI e renziani toscani, ognuno per la sua strada. Il Pd toscano di Dario Parrini si schiera prima
per le elezioni subito, accarezzate da Renzi fino a
metà pomeriggio, poi per il governo istituzionale
quando la strada delle elezioni appare sbarrata.
Il governatore Enrico Rossi sceglie invece la strada di un governo di transizione che faccia quello
che c'è da fare: «C'è da mettere in sicurezza il Paese, approvare la legge di bilancio e fare la legge
elettorale». Come dire, calma e gesso. E già a 48
ore dal voto che ha incoronato il No, Pd toscano e
governatore, dopo aver condiviso lo stesso fronte
del Si, si trovano su strade opposte.
Lo scontro del giorno prima, con Rossi che chiede «un cambio di leadership nel partito» e Parrini
che addebita le responsabilità della vittoria del
No sulla costa regionale alle politiche regionali,
si trasforma in "divorzio" strategico. «Non mi viene niente di intelligente da replicare», è l'eloquente silenzio di Rossi sulle accuse di Parrini.
A metà pomeriggio però, l'annuncio che la
Consulta si pronuncerà sull'Italicum solo il 24
gennaio, tra un mese e mezzo, complica il piano
veloce dei renziani: se la Corte costituzionale
smonterà la legge elettorale ci sarà bisogno di
tempo per approvarne una nuova. Votare a febbraio è impossibile. E in vista della direzione di
oggi, Renzi ripara sul governo istituzionale con
tutti dentro per preparare le elezioni.
«L'importante è avere un governo», commenta Rossi con i suoi. Ma le strade restano lontane:
se la preoccupazione dei renziani è quella di non
stare sulla graticola (di non essere bombardati
da chi sta fuori dal governo), il governatore guarda al congresso: «C'è bisogno che il Paese sia governato e c'è anche l'esigenza che il Pd abbia il
tempo per fare un congresso vero, che a termini
di statuto non può essere inferiore a 4 mesi». Altroché congresso lampo, come pure si è ipotizzato. Rossi ripesca dall'archivio perfino il referendum sulla scala mobile del 1984, per dire che le
soluzioni brevi possono essere fatali: «Il Pci raccolse il 45% ed eravamo convinti che avremmo
preso più o meno gli stessi voti alle elezioni. Invece prendemmo solo il 26,5». Come dire, chi pensa
di «ripartire dal 40%» di Sì, come ha fatto Luca
Lotti, rischia un abbaglio.
I renziani ribattono che quello fu un referendum abrogativo contro il governo, mentre ora se
n'è avuto uno confermativo su una proposta governativa: «Un'altra storia». Il sindaco Dario Nardella contesta il cambio di leadership chiesto da
Rossi: «Non sono d'accordo con lui dal punto di vista politico». Ma con il governatore si schierano i
dem Andrea Pieroni (era per il Sì) e Paolo Bambagioni (per il No). «Bruciare le tappe verso elezioni anticipate non è utile al Paese e al Pd. Renzi deve avere l'umiltà di ammettere di non aver compreso che non si vive di sola rottamazione e giovanilismo», dice il Pieroni. Con un linguaggio da fan
del No. Mentre Bambagioni: «Servono un nuovo
segretario e anche un congresso per mettere in
minoranza l'area liberai democratica». Se avesse
vinto il Sì, conclude il 'Bamba', avremmo avuto
«una democrazia con una forte leadership espressione di una cerchia ristretta di finanzieri e di lobby politiche affaristiche».
Una rivolta anti-Renzi che la renziana Monia
Monni castiga così: «Parole offensive per tutti i
volontari e militanti». Mentre a nome di Sinistra
dem Filippo Fossati chiede ai fan di Renzi di pensarci su: «Mi aspetterei un'analisi degli errori e
una proposta di ricucitura del Pd e del Paese. Temo però di trovarmi di fronte ad una volontà di rivincita. E intanto i poveri sono al 28,7%».
-PROGUZIONERISERVATA
L DOPO-VOTO
Rossi chiede un
nuovo leader del Pd,
Parrini gli addebita la
sconfitta sulla costa
LE ELEZIONI
renziani chiedono le
elezioni il prima
possibile, la Consulta
complica però tutto
L CONGRESSO
II governatore
respinge il voto
anticipato e chiede il
congresso di 4 mesi
CON ROSSI
A fianco del
governatore si
schierano Pieroni e
Bambagioni
L GOVERNO PONTE
I renziani virano verso
iI governo ponte con
tutti dentro ma le
strade restano divise
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A nome di Sinistra
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renziani di
riconoscere gli errori
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il capogruppo in Regione Marras risponde al governatore
«Si candida a segretario? C'é la fila». E parte un alt lá
i Ilaria Bonuccelli
1 FIRENZE
Il primo segnale arriva sulla
legge sul turismo. In commissione la "maggioranza silenziosa" - renziana - cambia il testo
uscito dalla giunta. Succederà
ancora Probabilmente con la
legge sul credito, anticipa Leonardo Marras, presidente del
gruppo in consiglio regionale.
In aula Enrico Rossi, il governatore della Toscana, non ha la
maggioranza. Non in senso
stretto: non ha il partito con sé.
Dei 24 consiglieri eletti, una
ventina sono vicini a Renzi. Lo
ha sempre saputo. Ora, però,
Marras (a nome del Pd) glielo
ricorda: «Non siamo degli alzapalette». Un messaggio neppure tanto cifrato. Non dopo l'attacco frontale di Dario Parrini, segretario regionale del Pd.
Marras ammette che al Pd toscano e nazionale - non è
piaciuto la critica di Rossi a
Renzi, pochi minuti dopo la
sconfitta elettorale. Tanto meno che gli abbia chiesto le dimissioni da premier e da segretario del partito per rilanciare
la propria candidatura al congresso, come portabandiera
della sinistra Pd. «Ma c'è la fila.
Prima di lui vengono Bersani,
Speranza e, pure Orlando,
sembra. Oggi a Roma, alla direzione nazionale, si chiarirà se
la priorità è il nostro congresso
o il voto politico», ribadisce
Marras.
Presidente Marras, ma la
componente renziana ha preso così male l'uscita di Rossi
su Renzi dopo la sconfitta referendaria?
«É stata una caduta di stile,
più che altro. Rossi nel suo
commento è andato oltre la posizione con i distinguo assunta
sul sì: c'è una critica non confessata a tutta la politica di Renzi. E il rilancio della sua candidatura alla segreteria del partito. Ma oggi il dibattito all'ordine del giorno non è questo: è la
legge di Stabilità che deve stanziare risorse per le Regioni. Poi,
semmai, il voto anticipato, se
non ci sarà una maggioranza
per formare un nuovo governo».
Anche il congresso del partito è in agenda. E Rossi è in corsa da mesi. Non l'ha mai nascosto.
«Il tenia congressuale va aggiornato al giorno dopo il voto.
Oggi il panorama interno al Pd
è particolarmente affollato a sinistra. Sono in molti a volere
assumere la bandiera dell'essere più a sinistra: Speranza, Bersani, Cuperlo, il ministro
uscente Orlando. E molti altri.
Non so se sarà Rossi a portare
quella bandiera al congresso,
quando sarà».
Mi sembra duro. Almeno
quanto il segretario toscano
del Pd, Parrini, che accusa
Rossi di essere responsabile
della sconfitta del sì in Toscana nelle zone dove la Regione
ha governato peggio . Concorda?
«Diciamo che dove siamo intervenuti sulla costa con investimenti importanti, su infrastrutture primarie come il porto di Livorno e Piombino, i risultati si sono visti anche a livello elettorale. Le crisi complesse sono state affrontate in
modo straordinario, nia su altre crisi non ho visto lo stesso
impegno della Regione».
Di quali crisi parla?
«Non voglio essere troppo
severo con Rossi, ma ci sono
crisi complesse che vanno oltre i problemi della deindustrializzazione che non sono
state affrontate in modo adeguato. Io vengo da una di quelle aree, la Maremma, il Grosse-
Enrico ha avuto
una caduta
di stile
E' andato ben oltre
i suoi distinguo sul Si
C'è una critica
non confessata
a tutta la politica di Renzi
tano: sono zone in crisi di identi là territoriale, zone di dispersione rurale, al centro di crisi e
dibattiti internazionali. Le elezioni americane dovrebbero
insegnarci qualche cosa. Non
ci dimentichiamo che, alla fine, anche le "formiche nel loro
piccolo si incazzano", per fare
una citazione dotta. E un segnale lo danno: nel Grossetano, infatti, ha vinto il no».
La gente ha dato un segnale
elettorale. In Regione quale
segnale pensa di dare il gruppo consiliare aRossi?
«Diciamo che abbiamo un
programma elettorale da portare in fondo e che non andiamo in aula ad alzare palette».
Questo cosa significa?
«Che quando discutiamo le
leggi vogliamo lasciare la nostra impronta, dopo esserci
confrontati con i territori. Lo
abbiamo fatto sull'urbanistica,
sulla sanità».
E ora sul turismo.
«Certo. Vogliamo tutelare il
turismo regolamentare dagli
affitti irregolari, soprattutto
nelle città d'arte. Poi passeremo anche alla legge sul credito. E avanti così. Risponderemo alle proposte della giunta
con le idee. Non con le mani alzate in aula».
Enrico Rossi
Leonardo
arras, presidente del gruppo Pd in Regione
,.1.1 Basia
-á-- lobby»
L'affondo
dì Bxnbagíoiìí
«IN TOSCANA alcune province, Massa
Carrara, Pisa, Livorno e Grosseto hanno
votato No alla riforma della Costituzione
proposta dal governo Renzi, che se fosse
stata approvata dagli italiani avrebbe
rappresentato politicamente l'affermarsi
di una democrazia con una forte
leadership espressione di una cerchia
ristretta di finanzieri e di lobby
politica-affaristiche». Lo ha affermato il
consigliere regionale toscano del Pd Paolo
Bambagioni, schierato per il No alla
proposta di riforma costituzionale. «Sono
d'accordo con le dichiarazioni del
presidente della Giunta Regionale Enrico
Rossi che ha chiesto al Pd un nuovo
segretario nazionale (di garanzia) che
traghetti il partito al Congresso», ha detto
Bambagioni, secondo cui una forza come
il Pd «per tornare ad essere veramente
democratica e progressista dovrà mettere
in minoranza l'area liberal moderata,
rappresentata da Matteo Renzi,
allontanando il Partito da Verdini e da
tentazioni di partito della Nazione,
facendosi invece interprete del malessere
dei cittadini più deboli e meno protetti, e
su questa linea costruire un nuovo gruppo
dirigente».
Le prove di forza in Toscana
oltre i fronti. dei 4 dicembre
Renhaffi contro d e ' ', rossia ', le ' ', Giova ' Turchi.. E nel 2017 sì vot
Narciso Buffoni , dalemiano.
Qui il No ha stravinto, massimo risultato in Toscana, nonostante il Pd avesse tra i suoi anche new entry come l'ex Sel
di Marzo Fatucchi
Non si sa quando e se si voterà per le politiche, quando e
se si terrà il congresso, chi saranno tutti i candidati. Ma il
referendum è stato una centrifuga che ha amplificato le divisioni nel Pd. Ed ogni divisione
ha i suoi generali. Tutti noti
quelli del fronte del Sì, come
quelli «ufficiali» del No che
però ne ha altri meno noti o
sottotraccia. C'è chi si lecca le
ferite, in entrambi i campi: i
No «ufficiali», concentrati a
Firenze, hanno sfondato poco
in zona. Sulla costa, dove peraltro erano presenti pochi generali (a volte neanche colonnelli), le truppe sono uscite
dalle trincee andando a far
vincere i contrari alla riforma
Renzi-Boschi. Con alcuni
«blitz» in territori feudi del Pd
renziano, come Lucca o Pisa. E
qualcuno nel «Giglio magico»
si domanda se davvero le difese sono sufficienti, in vista
delle amministrative 2017.
È il caso di Lucca. Qui Andrea Marcucci, senatore e tra i
fidatissimi di Renzi, ha subito
l'onta della sconfitta. Il Pd qui
ha litigato fino al giorno prima
nonostante il sindaco, il prodiano Alessandro Tambellini, avesse dichiarato il suo appoggio alla riforma: troppo
tiepido, secondo i renziani.
Qui si vota, nel 2017. Stefano
Baccelli, altro renziano, punta
puntare alle primarie (che
Tambellini non vuole). Tutto
congelato prima del voto, congelato anche ora in vista di
quello che succederà a Roma.
Ma i litigi proseguono,
Altro fronte, quello di Massa
Carrara. Qui il «big» Andrea
Rigoni (ex Margherita) ha dichiarato ad agosto il suo Sì.
Non si registrano però suoi
grandi appelli al voto, molti
dei suoi pare abbiano sostenuto il No, il cui capofila è stato
l'ex sindaco di Montignoso
Martina Nardi . A Carrara si
vota, nel 2017. E il Pd deve scegliere il sindaco, anche se dà
per persa la città: Enrico Rossi
non la pensa così.
Un «rossiano» (ex dalemiano), Samuele Bertinelli, è sindaco a Pistoia. Pure lui schierato per il Sì «tiepido», ma
molto di più di Tambellini: il
rischio è di fare la stessa fine
del collega di Lucca con la richiesta di primarie arrivata
dall'ala renziana, capitanata da
Massimo Baldi e Edoardo Fanucci, deputato ex consigliere
comunale a Montecatini (dove
il Si ha perso). Meglio è andato
il Si ad Arezzo, dove l'asse renziana è rappresentata da Marco Donati e Luisa De Robertis. Qui il No nel Pd ha solo riservisti: è partito un appello di
decine di ex amministratori
capitanato dall'ex assessore
regionale (oggi scrittore) Tito
Barbini . In altri, come Grosseto e addirittura Livorno, non ci
sono neanche tanti nomi noti,
l'ex bersaniano Luca Sani era
per il Si: «Eppure
spiega Filippo Fossati della sinistra Pd
schierata col No
si è risvegliata gente che non ti aspettavi, vecchi compagni e gente
nuova». E altri che magari
hanno avuto in passato un
ruolo come, in Versilia, Bruna
Dini o a Lucca Cecilia Carmassi (ex membro della segretaria Bersani).
Certo, la Toscana resta un
feudo renziano, compresa Sie-
na. Tutta la segreteria, capitanata da Dario Parrini , si è lanciata per il Sì. C'è, oltre la Firenze del sindaco Dario Nardella (il top per il Si in Italia tra
le grandi città), la Prato di
Matteo Biffoni . Ma ci sono
molte altre componenti: come
i franceschiniani, rappresentati da Antonello Giacomelli,
sottosegretario, e Caterina Bini, deputata. Ci sono pure i lettiani, almeno due: l'ex presidente della Provincia di Pisa e
ora consigliere regionale Andrea Pieroni e il sindaco di
Castelfranco di Sotto Gabriele
Toti. Entrambi schierati per il
Si, ma sia a Pisa che a Castelfranco ha vinto il No. Pieroni
ieri è partito all'attacco di Renzi: «No a elezioni anticipate.
Renzi
scrive
deve avere
ora l'umiltà di ammettere i
propri errori di valutazione, di
non aver capito gli umori autentici della gente, di non aver
compreso che non si vive di
sola rottamazione e giovanilismo!». Un altro ex Margherita
come Paolo Bambagioni, anche lui schierato per il No, par-
la come un «no global»: in
tanti hanno votato contro una
riforma che «avrebbe rappresentato politicamente l'affermarsi di una democrazia con
una forte leadership espressione di una cerchia ristretta
di finanzieri e di lobby politico
affaristiche ». Monia Monni,
collega in Palazzo Bastogi, renziana e anche lei della Piana
(dove ha vinto il Sì), lo rimprovera: la sua dichiarazione è
«offensiva per tutti i volontari
e i militanti che hanno creduto
che la Riforma costituzionale
sarebbe stata un punto di partenza per il rilancio del Paese».
A provare a mediare, su questi fronti, prima del referendum ci aveva provata Elisa Simoni. Vicina ad Andrea Orlando dei Giovani Turchi,si è
schierata per il Si, ma in modo
dialogante con i suoi «compagni-avversari» del No. «Non
dobbiamo ripetere l'errore fatto dopo le regionali, far finta
di nulla. E dire che si riparte
col 40% ottenuto dal Si è incoscienza, significa consegnare
il Paese a Grillo».
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II campo di battaglia
città dove
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CARRARA
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nel 2017
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Regione
Dalla Ue 250 milioni
per infrastrutture e case
Il Piano di investimenti quinquennale della
Regione avrà il sostegno della Banca europea
per gli investimenti. Nel complesso, la Bei
finanzierà i150% del mezzo miliardo di opere
previste nel 2o16-2o nei settori infrastrutturali
e nell'edilizia residenziale pubblica: prestiti
per 250 milioni con durata di 25 anni. La
prima operazione, firmata ieri dal
vicepresidente Bei Dario Scannapieco e dal
governatore Enrico Rossi, è una linea di credito
di 15o milioni per la realizzazione di progetti
nei trasporti strategici e sostenibili, nel
rinnovamento urbano, per il patrimonio
culturale, la protezione dell'ambiente e gli
edifici pubblici. Sarà poi perfezionato anche il
prestito per l'edilizia residenziale pubblica.
MIRKO REALI, STUDENTE, ERA ANDATO AL LAGO
DI BILANCINO CON GLI AMICI: SPARI' IN ACQUA
DOPO IL TUFFO DALLA STRUTTURA GONFIABILE
IL CORPO SENZA VITA DEL GIOVANE STUDENTE
PRATESE VENNE TROVATO A MEZZANOTTE
DAI SOMMOZZATORI A5 METRI DI PROFONDITA'
GLI ACCERTAMENTI DEI CARABINIERI, OLTRE CHE
SULLE TESTIMONIANZE, Si CONCENTRARONO
SUBITO ANCHE SULLA STRUTTURA GONFIABILE
Bilancino, mori dopo un tuffo nel lago
`Ja piramide gonfiabile era fuorilegge'
A r ees s ® due
bagnini e i `t
di STEFANO BR IONI
CI SARA un processo per la morte di Mirko Reali, il19enne pratese che nell'estate del 2015 morì dopo un tuffo dalla piramide gonfiabile installata in uno stabilimento
balneare del lago di Bilancino.
Lo ha deciso il giudice per
l'udienza preliminare, Francesco
Bagnai, che ieri mattina ha accolto la richiesta di rinvio a giudizio,
presentata dal procuratore aggiunto, Luca Turco, nei confronti del
titolare del bagno "Bahia" di Barberino del Mugello e di due bagnini in servizio quel maledetto 29luglio del 2015. Il 17 gennaio la prima udienza.
Secondo le tesi della procura, tutto ruota intorno all"`Iceberg",
una piramide di gomma alta quattro metri, ancorata al fondo
dell'invaso, da cui i frequentatori
del Bahia, tra cui Reali, si tuffavano. Il gonfiabile, che venne sequestrato dai carabinieri, si presentava, secondo le accuse, in condizioni che non garantivano la sicurezza degli utenti. Delle 32 maniglie
necessarie per arrampicarsi al
punto del tuffo, una decina erano
rotte.
Mirko, secondo quanto ricostruito, probabilmente scivolò e prima
di cadere in acqua urtò qualcosa,
forse un altro bagnante, anche se
questo punto rimane ancora da
chiarire.
Ma nell'impatto perse i sensi e scivolò in fondo al lago, dove venne
cercato e ritrovato soltanto alcune
ore dopo, quando ormai era morto. Annegamento, la causa del decesso, stabilita dall'autopsia.
Su questo punto, si concentrano
le contestazioni ai due sorveglianti dei bagnanti, che avrebbero do-
re el stabilimento balneare
vuto accorgersi dell'incidente occorso in acqua.
Ma le contestazioni della procura
vanno anche a monte dell'episodio. E si concentrano soprattutto
sulla posizione del titolare dello
stabilimento. L'Iceberg sarebbe
stato installato senza la necessaria
autorizzazione dell'amministrazione del Comune mugellano.
A carico del legale rappresentante
del Bahia, inoltre, il pubblico ministero Turco ipotizza la responsabilità delle mancate istruzioni ai
M irko Reali , 19 anni, di
P rato , m ori dopo un tuffo
da una struttura
go nfiabile g allegg iante
siste mata nel [a g o di
bilancino . La tra g edia il
29 lug lio 2015
due bagnini, che anziché dedicarsi esclusivamente alla sorveglianza di chi stava facendo il bagno,
dovevano provvedere anche al noleggio di ombrelloni e lettini.
E infatti, al momento dell'incidente, secondo le accuse, i due sorveglianti non erano alla loro postazione.
Reali quel giorno era arrivato a Bilancino con un gruppo di amici,
che si accorsero della sua "assenza" al momento di andare a casa.
Immediatamente si misero in moto le ricerche. I sommozzatori dei
vigili del fuoco ritrovarono il corpo del 19enne adagiato sul fondo
del lago, a circa tre metri di profondita, a qualche metro di distanza dalla piramide gonfiabile.
La
u72'R
Il processo per la morte
di Mirko Reali si aprirà il 17
gennaio. Sotto accusa come
imputati due bagnini e il
titolare dello stabilimento
balneare di Bilancino
La struttura gonfiabile nel lago e i sommozzatori dei vigili del fuoco
I genitori di Mirko Reali e la
sorella si sono costituiti
parte civile. Il rinvio a
giudizio per i due bagnini e il
titolare della struttura è
stato disposto dal giudice
Francesco Bagnai
L'accusa
Secondo il pm Luca Turco la
struttura galleggiante non
era in regola mentre i due
bagnini non avrebbero
assicurato come dovevano il
servizio di sorveglianza
Sesto Fi re ino
«No inceneritore»
Dalla giunta Falchi
altro ricorso al Tar
SESTO La giunta falchi ha
presentato un altro ricorso
al Tar contro il
termovalorizzatore e il
decreto del presidente del
Consiglio dei ministri (lo
agosto) che individuava Case
Passerini tra i siti nazionali in
cui
costruirlo.
«Non siamo
soddisfatti
di dover
ricorrere
ancora una
volta
alle vie
giudiziarie per sopperire
all'assenza della politica commenta l'assessore Silvia
Biechi - Ma non possiamo
avallare l'idea che decisioni
così gravi per il nostro
territorio possano essere
prese sopra i cittadini e i loro
rappresentanti». (A.P.)
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Renzi: un governo
con tutti dentro
o alle urne subito
Oggi sì alla manovra, poi il leader al Quirinale
Italicum, la Consulta deciderà il 24 gennaio
ROMA Una giornata così ricca
di colpi di scena non si vedeva
dal tempi della Prima Repubblica. E quando è sera, alla Camera, la sintesi che si solleva
dai capannelli di deputati è
una sola: la data del voto si allontana (per ora), le elezioni
non sarebbero a febbraio e
forse neanche in primavera.
invece, il secondo nodo non
viene sciolto: con quale governo si amministrerà il Paese fino alle elezioni? L'ultima carta
giocata dal premier dimissionario Matteo Renzi - stoppato dal Quirinale e dalla Consulta sulla strada delle «elezioni subito» - è quella di un
«governo di responsabilità nazionale» che abbia il sostegno
di tutti i partiti, compresa la
Lega e il MSS, come unica alternativa alle elezioni immediate. Una sorta di «dentro
tutti» che, alle orecchie dei
non renziani, suona come una
mossa tattica per prendere
tempo. Un «no» secco arriva
subito dal M5S e da Forza Italia, che chiede di varare prima
la legge elettorale.
La giornata era iniziata secondo il calendario concordato lunedì dal capo dello Stato e
dal premier. Dimissioni di
Renzi congelate fino a oggi
pomeriggio quando il Senato
approverà, con la fiducia tecnica, la legge di Stabilità: voto
secco senza emendamenti.
Così, di mattina, il presidente
della Repubblica, Sergio Mattarella, ha potuto concedersi
un paio di ore di serenità alla
cerimonia per la presentazione della (auto)biografia di
Pierre Carpiti alla quale partecipa il grande popolo della Cisi e anche Romano Prodi che,
per inciso, a proposito di un
suo eventuale coinvolgimento
alla guida del governo, dice
parafrasando l'ex segretario
generale del sindacato cattolico: «Io sono come il prete che
non torna mai nella parrocchia che ha lasciato...». Poi
Mattarella rientra al Quirinale.
E scoppia una grana al Senato
dove ci si accorge, in corso
d'opera, che nella «Finanziaria» non si possono aggiungere alcune promesse fatte da
Renzi prima del referendum:
non ci sono 1,5o milioni per
curare i tarantini che convivono con l'acciaieria Ilva e gli
stanziamenti aggiuntivi per le
zone terremotate.
La «bomba», però, arriva intorno alle 16 quando la Consulta comunica di aver fissato al 24
gennaio l'udienza pubblica sui
profili di incostituzionalità della legge elettorale (Italicum),
scardinando così il calendario
di rito renziano che marciava
più in fretta. A quel punto, si
diffonde tra i parlamentari
l'idea che la linea del Quirinale
di frenare sulle «elezioni subito» possa contare su una sponda alla Corte: «E una follia questo ritardo», tuona Matteo Salvini della Lega. Solo a fine gennaio si saprà l'esito del vaglio di
costituzionalità e solo da quel
momento il Parlamento potrà
mettere mano alle leggi elettorali di Camera e Senato. Così il
calendario aggiornato dalla
Consulta fa intravedere elezioni a maggio (vicine al G7 di Taormina) se non in estate quando però sarà prossima la data
del 15 settembre oltre la quale,
se vive la legislatura, scatta il vitalizio per i parlamentari.
In questa cornice Mattarella
ha annullato gli impegni esterni previsti per oggi (alla Scala,
a Milano) e ha lasciato intendere che le consultazioni perla
formazione del governo verrebbero anticipate (a domani?). Poi Renzi ha messo tutti
davanti a un bivio: elezioni subito o governo di tutti i partiti.
Oltre il bivio, però, già si profilano due strade senza uscita.
Dino Martirano
0 RIPRODUZIONê RISERVATA
Referendum
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CO .
Le tappe
U de, en. to
suiïa leg-;,d Stabïll:
INCARICO Di GOVERNO
uoi
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Renzl
Consul+ " ;."
cr*+ il eppo
& a Stäi i
t;oniexrsffieoto
(anche s lo per man
esplorativo)
Dal voto è venuto tuI bel bagno di zuniltá. Dobbiamo ripartfre ascoltando dï pit3 iI Inalc.ontento della gente.
ßessuna, arroganza. Il nostro messaggio era di fiducia e speranza, Ina sappiamo che c'è gente clle sta Inaie
Graziano Delrio, ministro al Trasporti
LA FIUUCl1
21 GENNAIO2o17
; LALEGGE I7EITORALE
;
FINE LEGISLATURA
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Al governo
si va con il
voto dei
cittadini.
Chiediamo
l'Italicum
corretto per
il Senato
Di Maio
M5S
Non c'è più
spazio per
gli induci:
elezioni
subito con
qualsiasi
legge
elettorale
Meloni
Fdl
Verso l'addio Il premier Matteo Renzi, 4lanni, ha congelato le dimissioni fino all'approvazione della legge di Stabilità
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Il Quirinale: prima la legge elettorale. E offre al premier il bis
Dimissioni venerdì. Franceschini: barra dritta, non si vota
TOMMASO CIRIACO
UMBERTO ROSSO
Nella tela del Quirinale si
impiglia il blitz elettorale progettato da Matteo Renzi. Uno stop
imposto dal Capo dello Stato. E
consolidato da una durissima offensiva che i capicorrente del Pd
scagliano contro il leader. Il resto
lo fa la Consulta, fissando al 24
gennaio la sentenza sulla costituzionalità dell'Italicum: di fatto,
un colpo mortale alle tentazioni
di urne del capo dell'esecutivo.
«Crediamo all'esigenza di avere
un governo di scopo - apre a sera
il renziano Graziano Delrio - che
ci porti alle elezioni, penso in primavera».
La tenaglia si stringe fulminea. Mattarella ricorda a Renzi
che la stabilità non prevede salti
nel buio: se la Corte Costituzionale dovesse bocciare l'Italicum in
piena campagna per le Politiche,
il prossimo Parlamento non nascerebbe già delegittimato? E ancora: è inconcepibile non tentare
di uniformare i sistemi elettorali
di Camera e Senato. Passa poco e
interviene proprio la Consulta.
Con un calendario che non lascia
dubbi: se la sentenza è in agenda
per fine gennaio, la pubblicazione delle motivazioni slitta a febbraio. Impossibile tornare ad elezioni, serve un governo in carica.
Il nuovo scenario disorienta il
sospetti trovano sfogo. Nel mirino finisce innanzitutto la tempistica dell'annuncio della Corte di cui Mattarella era membro fino all'elezione - che i renziani interpretano proprio come un gioco di sponda con il Quirinale. Certo è che il mazzo di carte in mano
al leader di colpo si assottiglia. In
un clima da resa dei conti, le correnti si armano. A organizzare il
partito della continuità è Dario
Franceschini, sostenuto da Andrea Orlando. E un asse solido,
che promette parecchi mesi di legislatura a truppe smarrite. Proprio il ministro dei Beni culturali
è protagonista di un teso colloquio con Renzi. Prima ancora, però, mobilita i suoi con sms lapidario: «Dovete mantenere la barra
diritta, non bisogna votare». L'obiettivo è un governo largo, sostenuto anche da Berlusconi.
Tra summit d'area convocati e
poi sconvocati, si consuma uno
dei giorni più tesi della storia del
Pd. Ma a comandare è soprattutto il pallottoliere. Se in direzione
il premier è forte di una maggioranza stabile, nel gruppo della
Camera lo scenario è assai diverso. Tiene i conti Luca Lotti, mentre un altro ultra renziano come
Francesco Bonifazi si incolla al telefono per arruolare parlamentari. Non sono da meno i "delegati"
delle altre correnti, in una conta
frenetica che cambia di ora in
ora. Dei 301 deputati dem, soltanto una quarantina sono renziani "certificati". Franceschini
ne controlla un'ottantina, vicini
anche alla sensibilità di Mattarella. I Giovani Turchi, invece, vivono ore di fibrillazione. Se Orlando
sta con il Colle, Matteo Orfini e
Maurizio Martina seguono il premier. In tre, si contendono un
centinaio di peones.La dura legge dei numeri parla chiaro, insomma: solo con un nuovo "patto
di sindacato" Renzi può tenere
unito il Pd a Montecitorio, restan-
do anche in sella alla guida del
partito. Senza un accordo, invece, proprio Franceschini e Orlando sono pronti a rilanciare, puntando il primo a Palazzo Chigi e il
secondo alla guida del Pd.
Lo scoglio più immediato resta comunque la casella vacante
di Palazzo Chigi. Già domani - al
più tardi venerdì - sono previste
le consultazioni. Per Mattarella,
la prima scelta resta l'attuale premier. Ma di fronte a dimissioni irrevocabili è Pietro Grasso in pole
per la successione. Più dura che
la spunti Pier Carlo Padoan,
Difficile risolvere il rebus senza spegnere prima l'incendio del
Pd. Se salta l'intesa, si riparte dal
via.
QRIPRODUZIONE RISE-TA
la crisi di governo
or vidi congelarsi
Oggi pomeriggio il Senato vota, con la
fiducia, la legge di Bilancio 2017: è
l'adempimento chiesto dal Quirinale
prima di accettare le dimissioni di Renzi
e aprire la crisi. Le opposizioni avevano
chiesto modifiche al testo arrivato
dalla Camera, contestando "norme
clientelari". La maggioranza ha detto no
' 7.30 di oggi è fissata la direzione
ciel Pd: una resa dei conti dopo che nel
referendum il partito si èdiviso tra Si e
Jo. Renzi proporrà di varare un 'governo
istituzionale" che abbia la priorità
di una legge elettorale condivisa
da uno schieramento più largo possibile.
L'alternativa è il voto anticipato
EX SEGRETARIO
Il ministro dei Beni
Culturali Dario
Franceschini,ex
segretario Pd, è uno
dei più accreditati
candidati per il ruolo
di premier
PRIMO BANCO DI PROVA
Sergio Mattarella, ex ministro
ed ex giudice della Consulta,
è al Quirinale dal febbraio
2015. Quella aperta dall'esito
dei referendum è la prima
crisi di governo che
si trova a gestire
Archiviata la legge di Bilancio, Renzi
salirà al Quirinale per rassegnare le
dimissioni annunciate in tvgià domenica
rotte dopo la sconfitta nel referendum
sulla riforma costituzionale. Mattarella
gli chiederà di garantire un quadro
nel quale varare una legge elettorale
"coerente" per Camera e Senato
_.rrnani, o al massimo venerdì, iniziano
leconsultazioni al Quirinale. I gruppi
parlamentari riferiranno a Mattarella
il loroorientamento sullo sbocco della
crisi. Dichiaratamente a favore dei voto
in tempi stretti sono MSS, Lega e Fratelli
d'Italia. Pd, Ncd, Ala e Forza Italia sono
invece per un nuovo governo
FEDELISSIMO
Graziano Del rio,
ministro delle
Infrastrutture,è uno
dei fedelissimi
del premier Matteo
Renzi. È nella rosa
per Palazzo Chigi
TECNICO
Il titolare del Tesoro,
PierCarlo Padoan,
potrebbe guidare
un governo che
darebbe continuità
alla politica
economica del Paese
La Corte costituzionale ha fissato per
!124 gennaio l'udienza in cui valuterà
ricorsi contro l'Italicum, la legge
,:elettorale con ballottaggio e premio
di maggioranza.I "vizi" indicati dai
ricorrenti sono relativi, tra gli altri,
ai capilista bloccati, alle candidature
in più collegi e al "quantum" del premio
SECONDA CARICA
Il presidente
del Senato, Pietro
Grasso, in quanto
seconda carica dello
Stato, ha il profilo per
guidare un governo
"istituzionale"
Economia & Società
di Lina Palmerini
Il «freno» del Colle s premier
C èun vuoto che si chiamaleg- subito. Una posizione di puro calge elettorale. E che Renzi e i colo politico su cui si è alzato il
partiti di opposizione fingono di «muro» diMattarella che obbliga
ignorare quando invocano il voto al realismo.
a
referendum
«Correttezza isituzionale vuole che si aspetti il giudizio della Consulta»
Il capo dello Stato annulla la visita a Milano: non sarà alla prima della Scala
IL
Il «freno» del Colle su enzi e il gioco tattico delle opposizioni sul voto subito
on c'è solo la propaganda prima delle
elezioni , c'è pure quella del giorno
t
dopo. E puntualmente si è scaricata
sullarichiesta diunvoto subito, senza che nasca un nuovo Governo per fare una nuova
legge elettorale. Lo chiedono i 5 Stelle, lo
chiedelaLegae su questa scia si è messo Matteo Renzi che da premier - seppur dimissionario - ha in mano una responsabilità diversa. E dunque la rincorsa al calcolo politico, a
chiamare di nuovo le urne ha contagiato anche il segretario del partito di maggioranza
da cui dipende il futuro della legislatura. È
E. CO Cl i? 1"l l d & S i? f I P_
di Lina Palmerini
...................................................................
Scadenza della XVII legislatura
Le elezioni si sono tenute nel febbraio 2013
chiaro che laposizione si spiega conl'esigenza di nonfarsi stritolare da Grillo e Salvini e di
non farsi logorare dalla su a minoranza ma c' è
un esercizio di realismo che spetta a chi ha
guidato finora il Governo, benché sconfitto
dal referendum popolare.
Questo esercizio riguardala legge elettorale.Cheinquestomomento èilgrandevuotodi
questa crisi. Nel senso che l'Italicum è sottoposto al giudizio di costituzionalità della
Consulta, che il Consultellumsi applicherebbe solo a Senato e questo rende impraticabile
laviadelleurne subito come chiedono tuttiallavigilia delle consultazioni al Colle. È su questo punto che Sergio Mattarellahatirato ilfreno sulle richieste di Renzi. Nel senso che il
Colle non può accettare una posizione che
prevede unpremierdimissionario che durifino a febbraio, perché il 24gennaio c'è laprima
udienzadella Corte costituzionale sullalegge
elettorale e quindi serviranno almenoun paio
di settimane prima di concludere l'iter. Nel
frattempo il Paese habisogno di un Governo.
È qui che il Quirinale ha fatto muro. Ed è un
muro che ha alzato non solo contro Renzi ma
che diventa un segnale anche su come condurrà le consultazioni. Un messaggio che
prepara i partiti che sfileranno davanti a lui
nei prossimi giorni e ai quali farà una domanda netta: mentre si fa la legge elettorale e prima di andare al voto, chiguidail Paese?Le elezioni entro i prossimi mesi possono essere un
calcolo politico legittimo ma è responsabilità
di ciascun partito indicare con chiarezza la
strada attraverso cui ci si arriva.
In sostanza, in queste ore -prima che si apra
la ritualità formale della crisi - c'è uno scontro
tra convenienze politiche ed esigenze istituzionali.Edè chiaro che i rappresentati di queste due posizioni siano entrati in frizione:
Mattarella e Renzi. Tra l'altro lavigilia di una
crisi sconta un clima di sospetti e diffidenze
che aggiunge tensione, che annebbia la vista
più che schiarirla. Il timore che al Colle si manovri per un Governo di legislatura o per indicare un premier di suo gradimento, è quello
che sta avvelenando il clima. Ma dal `vuoto"
della legge elettorale non si può prescindere.
Ora tocca alla direzione del Pd scegliere con
quale governo rimediare.
Referendum
costituzionale
Elezioni inconcepibili senza la legge»
Mallarella preoccupato per la scelta pd
Secondo il Colle non si può votare se non si rendono omogenei i sistemi elettorali
due Camere, regolate da due leggi elettorali profondamente differenti, l'una del tutto proporzionale, l'altra fortemente maggioritaria con
ltro che prendere tempo per escogitare forti ri schi di e ffetti incompat ibili ri spetto a lun'uscita ordinata dalle crisi più diffi- l'esigenza di governabilità».
Perciò, secondo Sergio Mattarella, una nuova
cili, com'era prassi nella Prima Repubblica (ma pure nella Seconda). La fuga legge elettorale sarebbe «una soluzione obbliin avanti attribuita ieri per molte ore a Matteo gata prima che di buon senso». Per lui in questa
Renzi era il contrario di questo. Prevedeva un ra- complessa partita gioca un ruolo cruciale pure
pidissimo voto del Senato sulla legge di Stabili- la sentenza della Consulta, attesa per il 24 gentà, oggi, con la quasi contestuale direzione di un naio. «Ovvie ragioni di correttezza istituzionale
Pd già descritto tutto sulla sua linea, e successi- richiedono prima di andare a nuove elezioni di
va salita del premier al Quirinale verso sera. Da attendere le conclusioni di quel giudizio il cui
dimissionarlo che, dopo l'insuccesso referenda- esito non è ovviamente prevedibile».
Riferite dall'Huffington Post, le valutazioni
rio, vuole portare lui il Paese alle urne, togliendel Quirinale cadono con un preoccupato peso
do al capo dello Stato ogni altra soluzione.
Un piano bruciante, dal punto di vista del Col- istituzionale su Palazzo Chigi e chissà quanto
le, e non soltanto per la velocità. Ma era un az- hanno contribuito a far lievitare, assieme ad alzardo, uno scatto d'umore o una calcolata prova tre pressioni politico-parlamentari, la variante
di forza per saggiare certe reazioni politiche? I del «bivio» sposata in tarda serata dal Pd e dundubbi sono rimasti in sospeso perché, dopo una que da Renzi: o un governo di responsabilità naserie di confronti e contatti politici, le cose sono zionale sostenuto da tutte le forze politiche o vodi colpo cambiate. Per una decisiva indiscrezio- to subito.
Chiaro che in uno scenario di minacce e rilanne dal Colle: «E inconcepibile indire elezioni
prima che le leggi elettorali di Camera e Senato ci, siamo alle prime battute di una crisi incartata
vengano rese tra loro omogenee. Il risultato del come poche altre. Il presidente della Repubblireferendum ha confermato un Parlamento con ca, che per tenersi pronto a gestirla ha annullato
un viaggio a Milano, è pronto ad aprire le consultazioni con le forze politiche già da domani
(anche se preliminare a questo passo saranno le
crisi
impegni
dimissioni di Renzi, del quale ancora non si sa
Per il capo dello Stato sarà decisiva
quando si presenterà sul Colle). Due le ipotesi di
di Marzio Breda
la sentenza della Consulta. In vista
lavoro prevalenti, per Mattarella. La prima con-
delle consultazioni non sarà
gettura sembra ormai solo «di scuola» e prevedecheilpremïernonformalizzi subito larinuncia e sia inviato alle Camere, per un chiarimento
da cui potrebbe maturare di tutto. La seconda
ipotesi passa attraverso il gran consulto quirinalizio, da cui potrebbero scaturire diverse soluzioni con diversi candidati premier. Non escluso lo stesso Renzi, alla guida dell'esecutivo istituzionale da lui ventilato come estrema chance.
presente alla prima della Scala
RIPRODUZIONE RISERVATA
Prodi:
s pW
premer
II capo dello
Stato Sergio
Mattarella con
Romano Prodi
ieri alla
presentazione
di un libro
al l'Auditorium
Antonianum.
L'ex premier ha
escluso con una
battuta un suo
eventuale
ritorno, anche
temporaneo,
a Palazzo Chigi:
«Un parroco
non deve
tornare nella
propria
parrocchia,
nemmeno per
confessare»
LA DIFFICILE RMUITA
Gli alleati del premier
di Francesco Verderami
enzi è sincero quando dice che vuole consegnare la campanella del presidente del
Consiglio al suo successore . Ma vuole farlo solo
continua a pagina 6
dopo le elezioni.
Il dedalo degli . s chieramenti spaccati
Renzi vuole che B erlu sconi
-9
esca ano scoperto
per far saltare ® patto tacito
con i suoi avversari interni
1
!!
Monti si dimise
il 21 dicembre
e si andò alle urne
due mesi dopo
SEGUE DALLA PRIMA
E il giorno dopo il voto spera
anche di passare quel simbolo
del potere dalla sua mano sinistra alla sua mano destra. Ma il
futuro è un'ipotesi per il leader
del Pd, sfiduciato dal Paese con
il referendum. E già non sarà facile riuscire a completare il primo step, che nel suo schema è
obiettivo necessario e non negoziabile per avere la chance di
presentarsi da candidato premier alle prossime elezioni:
uscisse ora da Palazzo Chigi
non ci rientrerebbe più, dato
che i rottamati lo attendono a
quel varco per rottamarlo. Renzi però non deve dar l'idea di
forzare la mano, e sa che dovranno consumarsi prima una
serie di passaggi . Perciò formalizzerà davanti alla direzione del
Pd la proposta di un governo di
responsabilità nazionale , rivolto a tutte le forze politiche per
varare una nuova legge elettorale.
Scontato il «no» di Cinquestelle e Lega, verrà chiesto a Berlusconi di concludere la legislatura come l'aveva cominciata:
con le larghe intese. È parte della strategia che il premier ha deciso insieme ad Alfano, un modo per far saltare il tacito patto
tra il Cavaliere e l'ala dem non
renziana - «ditta» compresa
- che miravano (e mirano) a
far nascere un altro esecutivo,
così da regolare i conti nei rispettivi schieramenti, per ritrovarsi magari tra un anno a suggellare un governissimo dopo il
voto: «Forza Italia non pensi di
ottenere gratis Il prolungamento della legislatura», ha detto
infatti ü ministro dell'Interno.
Insomma, o Berlusconi
(ri)sale ora sul treno o il treno si
ferma. E questa la manovra, che
sconta però molte avversità.
Non solo perché Renzi, dal momento in cui avrà dato le dimissioni, sarà esposto all'azione di
logoramento di chi - nel suo
partito - si oppone alle elezioni anticipate. Ma anche perché
- giusto il giorno dopo le dichiarazioni di Alfano sulla possibilità di votare a febbraio - la
Consulta ha calendarizzato per
il 24 gennaio l'esame dell'Italicum: un annuncio che impone
al Colle di sottolineare la necessità di attendere il responso della Corte per avere poi una legge
elettorale omogenea per le due
Camere. Una variabile che rischia di far saltare il timing di
Renzi.
Quanto a lungo potrebbe restare a Palazzo Chigi un premier
dimissionario prima di andare
alle urne? In soccorso del leader
democrat viene il «precedente
Monti», dimessosi il 21 dicembre del 2012: allora Napolitano
sciolse il Parlamento il giorno
dopo ma indisse le elezioni per
il 24 febbraio del 2013 . Due mesi
quindi. Per arrivare a fine marzo
del 2017 , che è l'obiettivo di
Renzi, potrebbero tornar utili i
giri di consultazioni al Quirinale e un possibile mandato
esplorativo che constati l'inesi-
CONSULTAZIONI
È la serie di incontri che
il capo dello Stato tiene al
Quirinale per individuare
la persona a cui affidare
l'incarico di formare un
governo e per capire se
esiste una maggioranza
possibile. Vengono sentiti
gli ex capi di Stato, i
presidenti delle Camere, i
senatori a vita e i
presidenti dei gruppi
parlamentari.
stenza di una maggioranza di
governo. Una cosa è certa, il premier sa che il capo dello Stato
eserciterà le sue prerogative fino in fondo, ma sa anche che al
Quirinale non si coltiva il disegno di costituire un governo da
far sfiduciare dalle Camere e a
cui far gestire poi le elezioni.
Com'era scontato il risultato
referendario ha provocato la
crisi del sistema e l'esplosione
di ogni aggregazione. Ncd e Udc
da ieri hanno liquidato l'esperienza di Ap. Berlusconi e Salvini vivono da separati in casa nel
centrodestra. Con il leader di
Forza Italia che punta al 2018, e
con il leader della Lega - determinato a giocarsi le primarie
- che non vuole accollarsi la
paternità della rottura e freme
per gli «imprevisti» che ostacolano il suo disegno, tanto da trasformarsi in un «renziano»
d'ordinanza: «Resti Renzi a Palazzo Chigi e si vada subito al voto. Che è `sta roba della Consulta». Potrà sembrare un paradosso, ma in questa fase i peggiori nemici sono i migliori
amici. E viceversa.
Nel Pd, per esempio, si preparano a una direzione che somiglia ai vecchi Consigli nazionali della Dc: tra riunioni carbonare, documenti preparatori,
dichiarazioni criptiche e persino minacce di carta bollata se il
segretario dovesse porre l'autaut e candidarsi a premier senza prima aver fatto il congresso.
Sarà la ressa fuori dalla sede del
partito e sarà la rissa dentro. Il
preludio di una scissione se
Renzi non mollerà quella campanella. E i Cinque Stelle stanno
a guardare...
Francesco Verderami
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Nel toto-nomi anche il presidente del Senato Grasso
Esecutivo di scopo, in c PO
Padoan, Deirio e Gentiloni
ROMA
Il governo di responsabilità
nazionale che oggi Matteo Renzi
lancerà nella direzione del Pd rivolgendosi all e opposizioni sembra essere tramontato ancoraprima di nascere. Lega, Fratelli d'Italia e Movimento 5 stelle lo hanno
già bocciato. E da Forza Italia arrivano segnali analoghi. Tuttavia
una collaborazione dopo il referendum p errifare insieme la legge
elettorale è dall'inizio della campagnaelettoralel'orizzontepolitico di Silvio Berlusconi, che alla fine potrebbe decidere di essere
della partita sconfessando i suoi.
Tentare una soluzione condivisa
spetteràinogni caso al Capo dello
Stato Sergio Mattarella quando,
forse già venerdì, inizierà le consultazioni dirito dopo ledimissioni di Renzi da Palazzo Chigi. E in
questo caso gli occhi di molti si appuntano sulle due classiche figure
istituzionali: ipresidenti delle Camere Pietro Grasso e Laura Boldrini. Tuttavia da Largo del Nazarenofanno notare che laproposta
che farà Renzi non è esattamente
quella diungoverno istituzionale,
b ensì quella di ungoverno p olitico
con il concorso di una larga maggioranzache abbiatraisuoiprincipali compiti quello di uniformare
le leggi elettorali di Camera e Senato tenendo conto della sentenza della Consulta, proprio ieri fissataper il2çgennaio.Inquesto caso le figure più indicate sarebbero
appunto figure più politiche, come potrebbero essere quelle dei
ministri Graziano Delrio e Paolo
Gentiloni. O, ma meno probabile,
DarioFranceschini.
Ma se lo "scenario A" dovesse
fallire, come sembra al momento
probabile, resta lo "scenario B"
dell c urne anticipate il primapossibile. Si aspettala decisione della
Consulta sull'Italicu m (la sentenza sarà autoapplicativa) - è questa
la fine a di Renzi - e poi si va alle urne a metà marzo. In questo caso
Renzi sarebbe disponibile, se
Mattarell a glielo chiedesse, a restare a Palazzo Chigi per traghettare il Paese alle elezioni politiche. Ma nello schema di Renzi
questo passaggio dovrebbe essere molto breve, tanto da potersi
presentare all'opinione pubblica
come "dimissionario" di fatto.
Tuttavia sono molte le perplessità, dentro lo stesso Pd, sulla percorribilità di tale strada Pur condividendo la necessità di anticipare le elezioni rispetto alla scadenza naturale della legislatura
nel febbraio 2oi8, Franceschini e
altri dellavecchiaAreademritengono che ci voglia più tempo, se
non altro per recepire al meglio la
sentenza della Consulta sulla legge elettorale, di quell o immaginato da Renzi. Insomma elezioni a
giugno e non a marzo. In questo
caso difficilmente Renzi potrebbe accettare di restare così alungo
a Palazzo Chigi dopo aver prima
annunciato e poi presentato solennemente le sue dimissioni. Per
questo ieri sera proprio Delrio,
uno dei possibili candidati, parlava di un «governo di scopo che ci
portialleelezion ».Quisiamoallo
"scenario C": governo di scopo,
appunto, per votare a giugno. E in
questo caso il nome giusto, oltre
allo stesso Delrio, tornerebbe ad
essere quello del ministro dell'EconomiaPier Carlo Padoan.
Em. Pa.
(J RIPRODII ZION E RISERVATA
Ministro delle Infrastrutture
Per le sue doti di mediatore
anche Graziano Delrio viene
indicato come possibile erede
di Renzi a palazzo Chigi. Il
ministro delle Infrastrutture,
tra l'altro, tra i renziani è forse
quello che gode delle migliori
relazioni con tutte le altre
anime del Pd
Ministro dell'Economia
Il ministro Padoan, come possibilesuccessore di Renzi a PalazzoChigi, ha dalla sua il vantaggio
di avere in manotutti i dossier
economici dell'esecutivo uscente ed essere apprezzato a livello
internazionale. Con lui sarebbe
garantita una certa continuità
nell'azione di governo
%"
1,9
ítcu
L'imbarazzo della sinistra Pd: giusto non votare,
Berlusconi resti fuori
L'ex leader: servono politiche sociali. Cuperlo però apre all'allargamento
GIOVANNA
ADIO
ROMA. Silvio Berlusconi, il «giaguaro un po'
smacchiato», potrebbe tornare sulla strada di Bersani e della "ditta". Se sarà archiviata la scelta di elezioni subito, che Renzi
sembrava volere mettere sul tavolo, l'altra
opzione è un governo istituzionale o di scopo. E con chi, se non con le opposizioni? Difficilmente con Alessandro Di Battista con il
quale l'ex segretario del Pd ha da sempre
un buon rapporto: i 5Stelle hanno già detto
che loro mai scenderanno a patti. Si tratterà allora di convincere Berlusconi e di richiamare nei ranghi Denis Verdini, che del
resto fino a qualche settimana fa desiderava entrare in maggioranza dal portone
principale e ora non vuole essere chiamato
a bordo da clandestino.
Alla sinistra Pd non piace l'idea di imbarcare la destra. È un rospo duro da ingoiare.
L'imbarazzo è palpabile. Bersani già annuncia: «Non si capisce il motivo di allargare a
Berlusconi, anche perché le politiche che
vorremmo dal governo di transizione sono
anche politiche sociali, oltre alla legge elettorale. Casomai è verso il centrosinistra
che bisogna andare». La sinistra è li che
guarda. E la riunione ieri sera dei bersaniani guidati da Roberto Speranza consegna
un documento in vista della resa dei conti
oggi nella direzione del Pd: «Noi puntiamo
a un governo che abbia una connotazione
politica, che mentre cerca l'accordo sulla
legge elettorale, mette in campo cambiamenti su Jobs Act e riforma della scuola», è
la sintesi di Speranza. Il 17 dicembre a Roma la sinistra terrà una manifestazione nella quale spera di coinvolgere Anpi, Arci,
Cgil, il fronte della sinistra per il No al referendum.
La stella polare della battaglia della minoranza democratica è «andare avanti con
la maggioranza che c'è». Lo dice Bersani, lo
ribadisce Speranza, lo ripetono in ogni modo i bersaniani Di Traglia, Gotor, Stumpo.
Più cauta la posizione
dell'ex presidente Pd
Gianni Cuperlo, altro
leader della sinistra
che si è schierato per il
Si al referendum: «Si
tratta di garantire la
transizione e quindi è
ovvio aprire a una parte
dell'opposizione».
Una cosa comunque la
sinistra del partito l'ha
incassata: «Niente corda pazza», così era giu-
dicato il voto subito. «Bene, non cerchiamoci il freddo nel letto...»: Bersani usa un proverbio padano per spiegare che è buona regola non mettersi nella posizione più scomoda possibile, continuando a sfidare il
paese, passando da una prova di forza a
un'altra. «Dopo la caduta del governo Letta
non andammo a votare, non è che ora se
Renzi si dimette viene giù l'Italia, ci sono le
condizioni per gestire politicamente questa fase...».
Il rischio delle elezioni immediate sembra scongiurato, Renzi è stato condotto a
più miti consigli dai renziani stessi e dai leader che lo sostengono, da Dario Franceschini ai "giovani turchi" di Verducci, Orfini e
Orlando. Tuttavia la tregua nella direzione
dem di oggi è lontana. Ci si rinfaccia di tutto e in più crescono i sospetti di scissioni, di
epurazioni, di nuovi partiti. Ha detto Bersani a "Di Martedì" su La7: «Renzi spera nella
scissione della sinistra, è chiaro che lo pendiventi il partito dell'avventura, perché allora mi ci sentirei male». Al contrario potrebbe essere Renzi a cambiare strada: «Lascia e si fa un partito suo? Può essere». I
"Giovani turchi" provano a mediare. Commenta Francesco Verducci: «Bisogna coinvolgere le opposizioni in un governo di scopo, andare al voto presto, ma dopo la legge
elettorale e il congresso del Partito democratico». La sinistra dem vuole un Pd
de-renzianizzato, ma è in cerca di una leadership alternativa che goda di un appeal
largo.
maiFaocuzioweaiseevnra
"Anche dopo Letta non si andò
alle urne". La minoranza terrà
una manifestazione il 17 a Roma
con Anpi, Arci e la Cgil
LO GIUDICE
Retedem è la
corrente dei
civatiani rimasti nel
Pd: "Niente azzardi
se prima non c'è
la nuova legge
elettorale e non
si fa il congresso
del Pd»
SPERANZA
Sì al documento
presentato in una
riunione dei
bersaniani da
Roberto Speranza
ieri sera: "Governo di
transizione, ma
politico e di
centrosinistra"
CUPERLO
Più cauta la
posizione del leader
della sinistra dem
schierato per il Si
Gianni Cuperlo:
"Importante un
governo allargato
alle opposizioni per
la legge elettorale"
MARTINA
Il ministro Martina
con Cesare Damiano
è leader della
corrente "Sinistra è
cambiamento":
frena sul voro subito
e punta al governo
di scopo e al
congresso dem
BERSANI
L'ex segretario dei
Pd, Pierluigi Bersani
si è schierato peri I
No al referendum
costituzionale.
Ribadisce che non
intende uscire dal
Pd, a meno che non
diventi "il Pda,
il partito
dell'avventura:
allora ci starei male"
Sorrisi ai fotografi '
e post su Facebook ,
Ma Boschi ora
resta in disparte ,
di Fabrizio Roncone
ov'è Maria Elena Boschi? Unica traccia:
un post su Facebook di lunedì mattina.
Fotografi si mettono d'impegno. Lei
prova a depistarli, poi capisce che sono vecchi
cagnacci: allora decide di arrendersi, ma senza
dar loro un briciolo di soddisfazione. Va davanti ai plotoni di zoom sfoggiando un sorriso
dei suoi (Berlusconi, la prima volta che lo vide,
commentò: «Con un sorriso così non può essere comunista»). Il sorriso adesso dice ai fotografi: tutto a posto, domenica sera ho pianto
però la batosta del referendum, ve lo giuro, è
già assorbita. Fa ciao con la mano. La folla di
curiosi resta immobile: né fischi, né applausi.
Il gelo.
Arriva al Senato come se avesse usato fard grigio antracite. E qui è chiaro: la batosta non l'ha
assorbita proprio per niente. S'intuisce da un
dettaglio. La politica, a volte, è un dettaglio.
Per capirci: quando era la madrina di tutte le
riforme, compresala più importante, quella
della Costituzione, la Boschi compariva circondata da una piccola corte di senatori complimentosi, segretari solerti, portavoce fedeli,
portaborse tremanti, faccendieri sudati. Lei, al
centro: potente, temuta, irraggiungibile. Poco
fa è invece sparita camminando da sola dentro
un corridoio di Palazzo Madama. Un commesso (l'aria ironica del sopravvissuto): «Signor
ministro, ha bisogno d'aiuto?».
Forse sì. Matteo Renzi, domenica sera, non l'ha
citata tra i ringraziamenti nella conferenza
stampa di addio al governo. Ed è pure fuori
dalle roventi trattative all'interno del Pd. E
partito che si era presa sul palco della Leopolda, con scarpe leopardate e aria sfrontata.
Quanto tempo è passato? Un soffio, è stato un
soffio.
OR I PRODUZIONE RISERVATA
r Maria Elena
Boschi, 35 anni,
ministro
delle Riforme
M55, oggi il vertice
ma già volano i coltelli
F Fico sfida Di Majo
Tensione tra gli eletti, le telefonate di Grillo per sedarli
MILANO Una vigilia di fuoco.
Con voci, sospetti, veleni. L'attesa riunione congiunta dei
parlamentari Cinque Stelle
slittata ad oggi - per attendere l'esito della direzione nazionale del Pd - ha le premesse
di uno scontro annunciato.
Nel Movimento c'è chi getta
acqua sul fuoco e rassicura:
«Si parlerà solo di strategie e
contenuti per capire come
muoverci con la crisi di governo». In realtà, sottotraccia
qualcosa si muove. Lo scontro
larvato tra le diverse anime del
Movimento prende forma.
Beppe Grillo per sedare le possibili controversie è intervenuto in prima persona lunedì,
contattando alcuni parlamentari, rassicurando e ascoltando. Il mantra è compattezza e
condivisione degli obiettivi.
Male tensioni restano elevatissime. E i temi della riunione
rischiano di essere disparati.
Una parte dei parlamentari ha
criticato anche il post di Vito
Crimi e Danilo Toninelli sulla
proposta di un Italicum-bis
corretto al Senato. I detrattori
parlano di «decisione calata
dall'alto», ma tra i pentastellati
c'è chi precisa che la scelta è
stata di Grillo e che in materia
di legge elettorale, «per decisioni urgenti la competenza,
essendo strategica e non parlaLa
le indiscrezioni
e il dibattito via chat,
i leader ribadiscono:
ogni alleanza è esclusa
mentare, attiene al garante».
In realtà, però, i riflettori della
congiunta saranno puntati sulla scelta del candidato premier
MSSS. Roberto Fico, ieri, in
un'intervista ad Avvenire ha
annunciato la sua disponibilità
a scendere in campo come
candidato premier. E guanto di
sfida degli ortodossi a Di Maio
è lanciato. Un gesto che ora obbligherà di fatto i suoi sostenitori a prendere posizione.
Non solo. Alcune indiscrezioni
parlano di una serie di telefonate dell'ala ortodossa per mobilitare la base sui territori:
una sorta di pre-campagna
elettorale interna. Una chiamata alle armi (del voto online) in
piena regola. E infatti diventeranno centrali anche in assemblea i criteri per la selezione
delle liste e perla scelta dei potenziali ministri. «Non sarà facile trovare criteri condivisi,
molti di noi hanno paura di essere tagliati fuori da ruoli decisionali», maligna qualche pentastellato.
I parlamentari
del Movimento
5 Stelle
che sono
stati eletti
in questa
legislatura:
91 deputati
e 35 senatori
Le aspirazioni a guidare il
Paese, nel Movimento, sembrano concrete. C'è anche come rivela l'Adnkronos - chi
ha già fatto una stima delle figure che serviranno in caso di
vittoria alle Politiche: 509.
Grillo, sul blog, invoca le elezioni anticipate: «Noi vogliamo andare al voto al più presto. Il Pd che ne pensa? La voce
del suo segretario conta ancora qualcosa? Aspettiamo una
risposta dopo la vostra direzione di domani». E garante e
Davide Casaleggio hanno dovuto affrontare anche il nodoalleanze (e la possibilità di sfatare il tabù che vuole il Movimento correre da solo). Dopo
le dichiarazioni di Massimo
Bugani e, soprattutto, le indiscrezioni filtrate dalle chat interne dei parlamentari, i vertici, spiegano fonti MSS, sono
scesi in campo sollecitando
delle precisazioni. E i big, a
partire proprio da Fico e Di
Maio, hanno ribadito la linea.
In sintesi, il Movimento non fa
alleanze, ma c'è chi spera in
convergenze sul programma
pentastellato. Per i Cinque
Stelle la conferma delle chance di diventare forza di governo è assicurata dall'attenzione
che giunge dalle cancellerie
estere: «I nostri telefoni sono
diventati improvvisamente roventi. Ormai ci chiamano tutti», dicono. Prima, però, ci sarà da affrontare la riunione di
oggi che - nonostante sia stata accantonata la questione
delle sospensioni per il caso
firme false a Palermo - si preannuncia dirimente.
Emanuele Buzzi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
I volti
I due papabili
candidati premier
del M5S: Roberto
Fico (a sinistra)
e Luigi Di Maio
(foto Irrìagoecorornica)
Le due strategie chi FI e Leda
Il proporzionale cli Berlusconi
per aggirare le primarie
L'ex pre °er: Renzi irresponsabile, ha portato il Paese nel caos
ROMA Matteo Salvini chiede,
urla, pretende «il voto subito»,
anche con Renzi ancora in carica se serve, «perché dove lo
trovi uno che fa il premier per
un mese?». Silvio Berlusconi,
con più cautela, vuole per prima cosa «una legge elettorale
che garantisca la governabilità
e una reale corrispondenza
della maggioranza parlamentare e popolare». Al di là dei toni molto diversi, è vero però
che il leader leghista e quello
di Forza Italia in pubblico non
entrano in collisione, consci
che dividersi oggi sulle strategie - con gli scenari politici
tutti apertissimi - sarebbe un
suicidio per entrambi.
Per questo, la parola d'ordine che mette d'accordo tutti è
«nessuna partecipazione a governicchi». Salvini assicura che
l'alleato gli ha promesso che
sarà questa la posizione di M. E
in effetti ieri nel vertice con i
big azzurri tutti sul punto sono
stati molto fermi, respingendo
«le provocazioni di Alfano» a
partire da Berlusconi: Renzi è
«un irresponsabile che ha portato il Paese nel caos», e non si
partecipa a nessun governo in
questa fase, sarebbe controproducente, mentre ci si deve
sedere al tavolo della legge
elettorale perché «sarebbe assurdo votare con sistemi diversi», e per farlo sono stati incaricati Romani e Brunetta.
Quello che invece resta mol-
to vago è come proseguiranno
le strade di Lega e FdI (anche la
Meloni chiede voto subito) e FI.
Berlusconi ha ribadito che il
suo sistema elettorale preferito
è «un proporzionale, magari
con qualche correttivo», perché non si può correre il rischio di consegnare il Paese a
Grillo. Chiaro il sottinteso: andando ciascuno col proprio
simbolo, magari in alleanza
con gli altri del centrodestra, si
potrebbe competere per il governo del Paese, in subordine
essere parte centrale di una
grande coalizione e comunque
si potrebbero evitare le odiate
primarie e «io come gradimento sono pari a Renzi, Di
Maio e Di Battista». Altro che
i deputati
iscritti ai gruppi
parlamentari di
centrodestra
(Forza Italia,
Lega e Fratelli
d'Italia). Al
Senatoi
parlamentari
sono 64
A Montecitorio
Il flash mob
organizzato
davanti alla
Camera da
Matteo Salvini
con i deputati
della Lega e i
cartelli per
chiedere subito
le elezioni
(Benvegnù,
Guaitoli,
Panegrossi)
primarie insomma, quelle che
Salvini continua ad annunciare, per gennaio, anche con una
consultazione nelle piazze per
chiedere «che programma volete e chi volete come leader»,
e «Berlusconi alla fine ci sarà,
credo».
Restano insomma tutti
aperti i nodi nel centrodestra:
«Abbiamo tante cose in comune, ma certo non tutto è risolto» ammette con i suoi Berlusconi, confermando il suo
scetticismo sulla capacità di
Salvini di guidare i moderati. E
resta una FI inquieta ma oggi
ingessata, impossibilitata a
muovere passi in una o nell'altra direzione, verso la costruzione di un partito «sovranista» con Salvini (come vorrebbero Toti e l'ala nordista del
partito) o uno a base centrista
che si giochi la partita nel prossimo Parlamento. Il nodo della
legge elettorale si fa decisivo: i
due capigruppo guardano con
favore al modello proposto da
Verdini (metà collegi uninominali, metà proporzionale), ma
la partita non è ancora iniziata.
E in ogni caso «non parliamo
solo di legge elettorale, gli elettori sono stanchi di alchimie»,
predica Berlusconi, sperando
di guadagnare tempo.
Paola Di Caro
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Dietrofront Alfano sul voto a febbraio
Addio dell'Udc, si spaccano i centristi
RO mA. Angelino Alfano finisce in fuorigioco, chiede le elezioni a febbraio ma
la sua uscita non sfugge al Quirinale,
dove le idee sul futuro politico del Paese sono ben diverse. E le parole del leader del Nuovo Centrodestra non passano certo inosservate: Alfano è ministro dell'Interno, un ruolo istituzionale di primo piano con visibilità all'estero e sui mercati. E così ieri mattina l'inquilino del Viminale ingrana la marcia indietro assicurando che «il riferimento primo sono il Colle e la sua
grande saggezza». Ma l'impossibilità
di votare a febbraio, se non altro perché la Consulta si pronuncerà sull'Italicum il 24 gennaio, non tradisce solo
il calcolo politico dell'Ncd, ma isola il
partito. La scommessa del voto a febbraio portava con sé la scelta di andare alle urne con il Partito democratico
ancora guidato da Matteo Renzi. Ma
ora il futuro è più incerto, metà dei
suoi elettori al referendum si sono
schierati con il No e Alfano si trova in
un'area di mezzo tra il Pd e il centrodestra. Con un possibile ritorno a casa a
Forza Italia che sembra quanto mai
difficile, se non altro per l'ostilità dei
big azzurri verso l'ex delfino di Berlusconi. Verso il quale invece tendono
pezzi del partito. Sul prossimo gover-
no istituzionale comunque Alfano pone un paletto, che sia sostenuto anche da Fi: «E troppo comodo per loro
far proseguire la legislatura e scaricare il peso sugli altri». Ma ieri la solitudine politica dell'Ncd diventata visibile
a occhio nudo con la rottura dell'alleanza da parte dell'Udc di Lorenzo
Cesa. Addio che rompe quell'area centrista che sosteneva il governo Renzi
battezzata Area Popolare. Temi discussi ieri nell'assemblea dei gruppi
dell'Ncd e che saranno approfonditi
alla direzione di oggi. Con Sacconi e
Formigoni contrari al voto lampo sulla manovra e alla rincorsa del voto,
(a.d'a)
-VROCU?IONE RISEFVAI A
NEL GUADO
Angelino Alfano. II
suo Ncd si trova
adesso più isolato
dopo la rottura con i
centristi dell'Udc di
Cesa. Oggi la
direzione dei partito
sulle prospettive dei
dopo referendum
Lo dice Federico Forriaro, rn1noranza Jd. Che avverte: 1140% dei sì al referendum non è
Nuova legge elettorale
di Renzi
poi voto
Non ci sono le con dizio ni p er elez ion i s nb ito. Prima la C ons u lta
DI ALESSANDRA RICCIARDI
oi ci affidiamo a Sergio
Matterella, alla sua
saggezza. E il presidente della repubblica
che deve scegliere il ciclista per
vincere la tappa della montagna». Così Federico Fornaro,
senatore dem, bersaniano doc,
padre del Mattarellum 2.0, la
legge elettorale che la sinistra
del Pd ha contrapposto all'Italicum di Matteo Renzi. Alla
vigilia della direzione del partito, in calendario per oggi, che
deciderà il destino del governo
e forse della legislatura, Fornaro è pronto a ridiscutere anche
quella proposta. «Si possono
trovare delle soluzioni per una
buona legge elettorale che coniughi governabilità e rappresentanza se si ha voglia di farlo,
di mettersi intorno a un tavolo
e di discuterne».
Domanda. Di solito i tavoli
servono a perdere tempo.
R. Non è così se non ci sono
retropensieri.
D. Dalle parti dei renziani
è chiaro che c'è voglia di andare al voto quanto prima.
Voi minoranza frenate.
R. Dobbiamo fare una nuova legge elettorale che valga
per camera e senato, è un dato
di fatto.
D. Una legge c'è già, l'Italicum per la camera. E per
il senato si può ricorrere al
cosiddetto Consultellum,
alle regole che la Consulta
stessa ha stabilito con la
pronuncia sull'illegittimità
della precedente legge.
R. È da irresponsabili andare a votare in questo modo,
con questi due sistemi significa che nel prossimo parlamento
regnerà l'ingovernabilità. Serve
una nuova legge per entrambe
le camere. E prima è necessario attendere la pronuncia della
Corte costituzionale sull'Italicum.
D. Andrea Marcucci, presidente della commissione
istruzione del senato e renziano, ha detto che non c'è
alternativa, al voto subito.
Chi la pensa in modo diverso si cercasse i voti in parlamento.
R. Il Pd ha la maggioranza
assoluta alla camera e relativa
al senato, dovrebbe praticare
maggiore senso di responsabilità. Quella che stiamo vivendo
è una brutta crisi. La linea
dell'uomo solo al comando non
paga.
D. Non vi sentite quanto
meno corresponsabili? Avete spaccato il partito, schierandovi contro la riforma
del vostro governo.
R. Era da tempo che dicevamo che andavano apportati dei
correttivi alla legge elettorale,
che con la riforma costituzionale il risultato non andava. E
che nel paese c'era molto scontento, a partire dal mondo della scuola, per esempio. Siamo
rimasti inascoltati. E ricordo
anche che non siamo stati noi
a personalizzare il referendum,
a trasformarlo in un voto pro
o contro Renzi, non siamo stati noi a dire che nel caso in cui
avesse perso doveva dimetter-
si da presidente del consiglio e
dalla vita politica.
D. Renzi vuole capitalizzare il risultato del referendum. Il fronte frastagliato
del no ha avuto il 60% di
consensi, ma i sì sono stati
il 40%.
R. Serve umiltà nell'analizzare il risultato referendario. Il
40% di sì non è un dato politico, gli elettori non si sono mossi come coorti armate, nessuno
può intestarseli e farli diventare voti politici. Nonostante
la personalizzazione, era una
consultazione costituzionale.
Non vorrei si i ipetesse l'errore
del 2014, quando si pensò che il
40,8% al Pd alle europee fosse
ormai un dato politico acquisto.
Ci furono poi le amministrative, e abbiamo avuto un brutto
risveglio.
D. Pensabili elezioni a febbraio?
R. Guardi che la Consulta
sull'Italicum si pronuncia il
24 gennaio. E prima di quella
data, quantomeno per rispetto
istituzionale, non è pensabile
lavorare a una nuova legge. Io
inviterei a essere più freddi e ad
aspettare le decisioni del capo
dello stato sul nuovo governo.
D. Che tempi ipotizzate
per un accordo sulla legge
elettorale?
R. Prima riprendiamo un
confronto sereno. I tempi poi
verranno.
cC Riproduzione riservata
-I
Attua ente per il Parlamento
esistono due meccanismi diversi
Maggioritario alla Camera
con il premio alla lista vincente
e proporzionale a Palazzo Madama
di Renato Benedetto
Camera
• LItalicum
assegna alla
lista vincitrice
340 seggi su
630: al primo
turno se questa
ottiene almeno
i140% dei voti;
se no, le prime
due liste vanno
al ballottaggio.
Il Paese è
diviso in 100
collegi, ognuno
elegge da 3 a 9
deputati. Qui
ciascuna
formazione
presenta le sue
liste: il capolista
è bloccato, gli
altri, se i seggi
sono più di uno,
sono scelti con
le preferenze
Italicum
Consultellum
Bonus e doppio turno
darebbero al vincitore
una solida maggioranza
Con tre poli equivalenti
solo le larghe intese
eviterebbero lo stallo
E
in vigore dallo scorso luglio, anche se è
stata approvata prima, a maggio 2015.
Perché l'Italicum vale solo per la
Camera e il suo cammino doveva andare di
pari passo con la riforma che avrebbe
cancellato l'elezione diretta dei senatori. E se
la riforma del Senato è stata bocciata
domenica alle urne, la legge elettorale è
sempre in vigore. I suoi pilastri sono due: il
premio alla lista, e non alla coalizione, e il
doppio turno. L'impianto proporzionale è
corretto in senso maggioritario dal premio
di governabilità che assicura alla lista
vincitrice (al primo turno se ottiene il 40%
dei voti o al secondo turno) 340 seggi. Già
prima del referendum, diverse erano le
richieste per cambiare la legge: con un
premio di coalizione, non di lista; o
eliminando il ballottaggio. L'Italicum è poi
sotto la lente della Consulta. Nel mirino dei
ricorsi, il premio di maggioranza e il
ballottaggio: il bonus che porta al 54% il
vincitore, in assenza di soglie minime o di
quorum a) secondo turno, produrrebbe per i
ricorrenti una «distorsione della
rappresentanza». Sarebbe «irrazionale» il
divieto che inc liste si apparentino tra il
primo e secondo turno. Sotto accusa anche i
capi l ista bloccati e la possibilità per un
capolista di correre in dieci collegi.
DRIPRCDUZION RISERVATA
Senato
•II
Consultellum
è un sistema
proporzionale
puro che
assegnaiseggi
su base
regionale (non
conta il totale
dei voti a livello
nazionale).
Prevede uno
sbarramento:
per entrare in
Senato una
lista deve
ottenere l'8%
dei voti se
corre da sola;
se ein
coalizione,
il 3%; ma la
coalizione deve
superare il
20% dei voti
i chiama Consultellum perché è figlio di
una sentenza della Corte costituzionale:
S quella che, a gennaio 2014, ha bocciato
il Porcellum - il sistema di voto battezzato
così dal padre, il leghista Calderoli, con cui si
è votato dal 2006 al 2013 -. Due aspetti del
Porcellum sono stati dichiarati
incostituzionali: il premio di maggioranza,
che dava 340 seggi senza soglie minime ai
primi classificati, e i listini bloccati. Quello
che rimane, è un sistema proporzionale
puro, lievemente corretto da uno
sbarramento che tiene fuori le liste più
piccole, dove i candidati per il Senato sono
scelti dagli elettori con le preferenze. È
quindi esattamente l'opposto dell'Italicum.
Non solo perché prevede le coalizioni. Ma
soprattutto perché restituirebbe in
Parlamento, se si votasse oggi, tre
schieramenti quasi pari (Pd, M5S e
centrodestra), senza nessuna maggioranza
clic non sia di larghe intese, mentre
1`ltalìcum premia con la maggioranza il
vincitore. Il Consultellum è la legge oggi in
vigore per il Senato e sarebbe quindi usata in
caso di elezioni immediate. Prima serve una
legge che «attui» le modifiche indicate dalla
Consulta: «Può essere anche un decreto
legge - spiega Stefano Ceccanti,
costituzionalista -, si può fare in fretta».
J RIPRODUZIOP,E RISERVATA
L'ipotesi di un verdetto
che armonizzi le norme
per deputati e senatori
La data
• Prevista
inizialmente
per i14 ottobre,
l'udienza
sull'italicum
era stata
rinviata a dopo
il referendum
sulla riforma.
La nuova data,
comunicata
ieri, è il 24
gennaio.
I profili di
incostituzionalità sono stati
sollevati dai
tribunali di
Messina,
Torino e
Perugia. Hanno
fatto seguito i
giudici di
Genova e
Trieste
N
il ballottaggio, soprattutto, che rischia
di saltare. Non perché sia in sé
illegittimo, per il costituzionalista
Stefano Ceccanti, ma «perché la Consulta,
con la sentenza di gennaio 2014 (quella che
ha bocciato il Porcellum, ndr) ha chiarito che
le due Camere non possono essere elette con
sistemi troppo differenti». E Consultellum e
Italicum sono opposti: effetto maggioritario
uno, impianto proporzionale l'altro,
disegnerebbero due Camere assai diverse.
«Potrebbe arrivare anche una sentenza
autoapplicativa: che cancella il secondo
turno, il resto rimane valido», prosegue il
costituzionalista. Resterebbe quindi in
vigore l'Italicum, senza doppio turno
(magari con il premio solo oltre il 40%)_ Che
potrebbe, quindi, non dare una maggioranza
al vincitore. Anche le candidature plurime
sono a rischio. Invece per Alessandro Pace,
costituzionalista che ha guidato il Comitato
de] No, il premio, con il secondo turno, è
incostituzionale in sé: «L'Italicum è simile al
Porcellumi. Non è possibile dare il 54% a un
partito che ottiene al primo turno il 30%».
Ma per Pace dalla Consulta non arriverà un
intervento che correggerà il testo: «Non
credo si possa arrivare a tale chirurgia, sarà
bocciato nel complesso». E anche per la
Camera toreerebbe il Consultellum.
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e7
Perché non ci sarà
F urna di Carnevale
ON avremo le elezioni a Carnevale. Mancano le premesse istituzionali, politiche e persino
tecniche di uno scioglimento affrettato. Per rendersene conto bisogna
guardare a tre soggetti: la Corte costituzionale, il Quirinale e il Pd.
SEGUE A PAGINA 33
.Il
rERCHENONCIS
«SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
STEFANO FOLLI
A CORTE si pronuncerà solo verso la fine di gennaio sulla costituzionalità della legge elettorale. E per quanto la sentenza
sia subito applicabile, occorrono tempi non brevi per fissare le procedure
e soprattutto rendere meno disomogenei fra loro il modello della Camera e quello del Senato. Inoltre il capo
dello Stato sta per cominciare le sue
rapide consultazioni volte a rimettere in piedi un governo. Si conoscono
già le priorità: rapporto con l'Europa, garanzie sui conti
pubblici e capacità di
risolvere la crisi delle
banche.
Tutti insieme questi punti riconducono a una cornice co-
mune: la stabilità. Una stabilità fondata sulla maggioranza parlamentare, finché dimostra di esistere; e ovviamente su un presidente del Consiglio in grado di gestire con competenza i passaggi critici. Ieri l'indice
della Borsa di Milano ha avuto sentore che qualcosa si sta sbloccando nel
settore bancario e il rialzo è stato perentorio: segno che il pessimismo
pre-referendum è superato, benché
la soluzione definitiva dei problemi
sia lontana. Non a caso si attende un
governo nel pieno delle sue funzioni,
forte della fiducia del Parlamento.
Terza gamba del tavolo, il Pd. È l'elemento più delicato del quadro. Il segretario del partito, Renzi, si è mosso nei due giorni dopo il voto come se
avesse vinto e non perso la consultazione. Certo, ha annunciato le dimissioni da Palazzo Chigi e si è assunto
orgogliosamente la responsabilità
della sconfitta. Ma subito dopo ha
sventolato il vessillo del 40 per cento, affermando che si deve ripartire
da quella soglia per cercare la rivincita. Nel Regno Unito Cameron aveva
preso il 48 per cento sulla Brexit, ma
non ha ritenuto di attribuirsi quel numero come fosse un merito: al contrario, è uscito di scena perché nei referendum conta la vittoria, non le cifre della disfatta. S'intende, di questo è consapevole anche Renzi. Ma in
lui ha prevalso il desiderio di restare
in campo e di riprendere la battaglia.
Come era prevedibile, l'addio a Pa-
L'URNADICARNEV
lazzo Chigi gli è sembrato, con il passare delle ore, troppo doloroso. Per
questo è maturata la suggestione
delle elezioni subito, una rivincita
immediata per tornare da vincitore.
Magari con l'idea di gestire le elezioni da Palazzo Chigi, così da risultare
allo stesso tempo dimissionario e in
carica "pro tempore". Sono le tipiche
contraddizioni psicologiche dei momenti difficili, quando tutto sembra
perduto. Ma Renzi già ieri ha recuperato lucidità. Anche perché solo una
parte del Pd lo seguirebbe nella forzatura istituzionale. La Consulta si è
già messa di traverso, il Quirinale
cerca la stabilità e di sicuro in Europa sono in molti a condividere la cautela di Mattarella. Un'altra divisione
dentro il partito sarebbe un rischio
per il segretario. E il fatto che al tema delle "elezioni subito" siano contrari non solo la minoranza interna,
ma anche un segmento importante
della maggioranza come il gruppo di
Franceschini, la dice lunga sulle conseguenze del 4 dicembre. Grillo e i
Cinque Stelle non sono mai stati in
così buona salute e nessuno nel centrosinistra vuole commettere l'errore che potrebbe catapultarli al governo del Paese.
In altri termini, Renzi è ancora il
capo ma la coperta del suo potere si è
improvvisamente ristretta. Per lui
non è ora di nuove sfide, bensì di riflessioni. In ogni caso il leader ferito
non può combattere contro i suoi avversari interni e al tempo stesso tentare di condizionare Mattarella circa
la composizione e i tempi del nuovo
governo. Due fronti sono troppi. Certo, il segretario può aver ragione nel
pensare che le elezioni alla scadenza, nel 2018, siano troppo lontane.
Ma non gli conviene oggi passare
per il destabilizzatore di uno scenario politico-istituzionale che invece
ha bisogno di un po' di serenità dopo
mesi di tensioni. Ieri sera è parso che
questo argomento avesse fatto breccia, sfociando nella formula del "governo di responsabilità". Presto ne
avremo la controprova. Perché un
esecutivo Grasso o Padoan avrà la necessità di raccogliere il consenso convinto, non avaro e a termine, del partito di Renzi.
U PIPNODU<IONE RISENVAIl.
Lotti lancia già la sfida:
«Ripartiamo da qui»
Più prudenti i sondaggisti:
«I Sì non sono tutti uguali
Ma il leader può contare
su un 25°ßh di fedelissimi»
ROMA Ripartire da un numero
magico. Da quel 41 per cento
(40,89 per la precisione) che,
associato all'esito referendario, è sconfitta, ma traslato in
un'elezione politica può trasformarsi magicamente in una
vittoria. Le ambizioni di Luca
Lotti, braccio destro di Matteo
Renzi, sono concentrate in
quella cifra. Ma devono passare al vaglio di un paio di domande: chi sono quei 13 milioni 432 mila cittadini che hanno votato Sì? E perché hanno
messo la crocetta sul Sì?
«Reni ha ragione a pensare
di ripartire da quel dato - sostiene Roberto Weber, di Ixè
-. Perché il fronte del No è
composto da diverse famiglie
politiche, che finiranno per dividersi dopo il voto. Invece il
fronte del Sì condivideva un
progetto, un'istanza di modernizzazione. Se da una parte c'è
stato un voto fortemente antirenziano, più che anti-riforma, dall'altra forse non si può
parlare di voto renziano, ma filo renziano sì». Weber avvalora la sensazione con un dato:
«La fiducia in Reni, nel 41 per
cento di Sì, è pari all'8o per
cento. Mentre nel No era al 7
per cento. Da qui a traghettare
quei voti ce ne passa, ma è un
buon punto di ripartenza».
gli elettori
che hanno
votato Si
al referendum:
esclusi i voti
all'estero,
i Sì sono stati
12,7 milioni
Ce ne vuole, a traghettare
quei voti, perché le variabili in
campo sono tante: quando si
andrà al voto, con quale legge
elettorale e con quali alleanze.
Ma intanto, nel disastro della
sconfitta, si può provare a vedere il bicchiere mezzo pieno.
Anche se gli avversari di Renzi
non concedono un millimetro. Massimo D'Alema, per
esempio, giudica «folle» pensare che quella cifra si possa
identificare con un Pd a trazione renziana. E fa un esempio:
«Nel referendum della scala
mobile, il Pci prese il 45,7 per
cento. Alle Politiche, poi, prese il 27 per cento». Lo stesso
esempio ripreso ieri da Pier
Luigi Bersani. Parallelo calzante, ma fino a un certo punto.
Perché nel Sì del 1985 c'era il
Pci ma c'erano altri partiti che
valevano un lo per cento elettorale (Democrazia proletaria,
Verdi e Msi, a proposito di «accozzaglie»). E soprattutto perché le Politiche si tennero ben
due anni dopo, nel giugno
1987, con la sconfitta di Alessandro Natta (contro quel Ciriaco De Mita che oggi, paradossi della storia, era al fianco
di D'Alema nel No).
Nicola Piepoli è più cauto
nell'analisi: «Renzi non si può
intestare tutti quegli elettori.
La realtà è che il Pd ha guadagnato qualcosa e contempora-
neamente ha perso le elezioni.
E stato un suicidio: il partito si
è auto-sconfitto. Ma Renzi
mantiene uno zoccolo duro: di
quel 41 per cento, almeno il 25
per cento è del Pd».
Ancora più scettico Pietro
Vento, di Demopolis: «Il voto è
stato trasversale, una parte degli elettori non ha seguito le
indicazioni dei leader». Anche
per Demopolis tre elettori del
Pd su quattro hanno votato Si.
Ma l'istituto ha indagato anche
le ragioni di questo voto: il 34
per cento di loro motiva il Sì
con l'apprezzamento della riforma, il 25 per dare continuità al governo Renzi, il 41 per
entrambe le ragioni. C'è un ultimo dato utile: «Se si votasse
ora per la Camera - secondo
l'ultimo Barometro politico il Pd otterrebbe il 32 per cento
dei voti. In voti reali, avrebbe
circa 1o milioni di voti». Dati
da prendere sempre con l'inevitabile contrappeso della cautela, causa troppe variabili in
gioco.
Alessandra Ghisleri mette
in fila qualche cifra sui leader
del Pd: «Veltroni nel 2008 prese 12 milioni di voti; Bersani,
alle Politiche del 2013 scese a
otto milioni e mezzo. E Renzi
alle Europee superò gli undici
milioni di voti». Ora, ïl punto è
proprio capire quanti dei 13
milioni e rotti di Si si possono
associare a Renzi. Sicuramen-
te dalla quota Pd vanno detratti i voti di Alfano, Casini, dei
forzisti disobbedienti e persino di un 1o per cento di 5 Stelle. Ma resta un gruzzolo considerevole: «I voti non sono mai
di proprietà di nessuno - sostiene Ghisleri -. E in tempi
di volatilità come questi, ancora meno. Però è vero che Renzi
si è giocato il tutto per tutto. E
molto consenso era personale». Quindi, sarebbe giusto ripartire da qui? «Più che ripartire, direi, capitalizzare questi
voti. Fidelizzare questi elettori
a un progetto».
Anche perché occorre capire se dopo la sconfitta, si vorrà
ancora dar credito a Renzi.
Weber aggiunge un elemento:
«In questo referendum, molti
No erano motivati con la ragione di difendere la Costituzione, con una retorica molto
di sinistra. Ma quel clima non
ci sarà alle Politiche. E quindi
una parte del No potrebbe
riaggregarsi a un Pd a guida
renziana. E un'operazione rischiosissima. Ma Renzi è incredibile: un vero giocatore
d'azzardo». Il 5 dicembre ha
perso l'azzardo, ma la partita
potrebbe non essere finita.
Alessandro Trocino
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Aconrronto
I numeri
Il 25 maggio
del 2014
il Partito
democratico,
guidato da
Matteo Renzi,
alle elezioni
europee ha
ottenuto
11.203.231
voti (40,81 per
cento)
1l24e25
febbraio del
2013 alle
elezioni
politiche, il Pd
- guidato
allora da Pier
Luigi Bersani ha riportato
10.353. 275
voti (29,55
I voti di domenica e quelli del 2014 alle Europee considerando
le formazioni che hanno preso almeno un milione di voti
(risultati Italia)
SI 12.708.927
2016
2014
Pd
L--- Nccl
-1
11.172.861
1.199.703
[M 19.025.863
LOi:
0
2014
o
o c o
MSS5.792.865
L- Fdl
1.103.203
FI
4.605.331
Tsipras
1.004.037
Lega
1.686.556
per cento)
Il Partito
democratico guidato dal
segretario
Walter Veltroni
- al suo
debutto nelle
Politiche dei 13
e 14 aprile
2008 ha
riportato
14.099.747
dei voti (37,52
per cento)
flussi
Astenuti
Si
NO
Come si sono divisi tra Si e No gli elettori che nel 2014 alle Europee avevano scelto:
M5S
PD
9,4
80,6
L_
9,9 --
°fSI€ RA5
16,4
L-
23,
89,6
36,2
FDl
c 3,6
1{3,4
LEGA
FI
90,1
Altre fiste
Astenuti
63,8
31,3
3 -'
40,05
59,95
4C),3°r,
Analisi statistica realizzata da Ipsos PA sulla base di sondaggi condotti presso campioni casuali nazionali rappresentativi della popolazione italiani
maggiorenne con diritto di voto, secondo genere, età , livello di scolarità, area geografica di residenza , dimensione del comune di residenza.
Sono state realizzate 8.889 interviste (su 91.431 contatti), mediante sistema misto (CATI-CAMI-CAWI), fra il 15 novembre e il 2 dicembre 2016
Corriere della Sera
r.r _-.
., Antonio Floridia, esperto di flussi
elettorali, 'flette sul risultato di domenica in regione
"Idon quei _4 percento
ci sono
.
a do
i moderati
i calcoli vanno ïfatti"
«RIPARTIRE dal 40%? Attenzione, quel 40
non è un voto omogeneo. I che voti ci sono
dentro non hanno un unica provenienza».
E l'avvertimento di Antonio Floridia, presidente della società italiana di studi elettorali. Un avvertimento bi-partisan, perché «la
stessa cosa vale per il risultato del Si», aggiunge. La morale però è chiara: se il referendum sulla riforma costituzionale si è trasformato in un voto politico, pro o contro il
governo Renzi, sarebbe a dir poco rischioso
pensare di trasformare il risultato referendario in consenso politico.
L'Istituto Cattaneo, del resto, è stato
chiaro. A Firenze città, in quel 56% ottenuto dal Sì, il più alto risultato raccolto tra i capoluoghi italiani, non c'è solo Pd. Anzi, secondo l'istituto bolognese, ci sarebbero il
44,4% di elettori provenienti dal Pdl. Ovvero, «la riforma è riuscita a fare breccia
nell'elettorato berlusconiano» rileva l'istituto. Ma che questi voti siano replicabili in
caso di elezioni con l'insegna del Pd è tutto
da dimostrare. Anzi.
Specularmente il fronte del No può dire
di avere sottratto una buona fetta di elettorato Pd al Si «Il peso della diaspora verso il
No» a Firenze è stato del 20,3%. In pratica,
un elettore fiorentino dem su cinque non
ha risposto all'appello del proprio segretario nazionale. Una quota minima, nel caso
del capoluogo toscano. Che altrove ha superato però anche il 30% (come ad esempio
Torino).
«Ma va tenuto comunque conto che dentro il No, specie alle nostre latitudini, c'è
una quota di elettorato civico e costituzionalista: ciò che resta di quella che era la'cultura rossa' e che oggi appare sganciata dai
partiti di appartenenza», dice Floridia. Così
come dentro il Si c'è si intravede uri anima
anti-politica: «Anche un antiparlamentarismo tipico della cultura di destra, un riflesso d'ordine», sostiene lo studioso di flussi
elettorali. Convinto che nel voto refendario
valga più l'esame delle culture politiche
piuttosto che quella della mera fedeltà partitica.
Occhio dunque alle equivalenze tra referendum e elezioni politiche, dove gli attori
della scheda elettorale sono i partiti. Dire
che il Pd può adesso ripartire dal40%di Sì,
come fanno molti esponenti renziani, potrebbe rivelarsi inefficace. Anche perché,
insiste Floridia, non si deve dimenticare
che il famoso e fin qui ineguagliato 40% ottenuto dal Pd alle europee si accompagnò
ad una partecipazione del 58%. Mentre
adesso il voto referendario di domenica
scorsa ha spinto l'affluenza al 70. Col risultato, fa notare Floridia, di aver riportato alle urne del referendum elettori che da anni
aveva preferito soprassedere e disertare.
Mentre i sondaggi, che contro ogni attesa e
previsione hanno questa volta colto la sostanza del risultato, continuano ad asse-
L'Istituto Cattaneo sostiene che
nella vittoria ottenuta in città ci sia
una forte componente extra Dem
proveniente in gran parte dal Pdl
gnare al Pd una quota di consenso attorno
a131%.
Come si è distribuito il voto fiorentino?
Nella roccaforte italiana del Sì, il dato che
tanto consola i vertici del Pd fiorentino, l'affluenza è volata al 77%. Una soglia imprevista dagli stessi militanti dem. E se in città i
Si hanno passato la quota del 56%, il quartiere che più di ogni altro ha creduto nella
riforma costituzionale firmata dal ministro
Boschi è quello di Gavinana, il Quartiere 3,
caratterizzato da forti tratti popolari. Qui il
Si ha sfiorato il 60%, l'inverso del dato nazionale: 59,8 secondo gli uffici elettorali di
Palazzo Vecchio.
Al contrario, il quartiere che ha creduto
di meno alla riforma è stato il Centro storico: qui il dato finale dei Si ha fatto registra.
re una percentuale inferiore di tre punti rispetto a quella cittadina: ha scelto il Si il
53,3 degli elettori. Portando così la distanza con 11 No a circa sette punti.
Nel Quartiere 2, quello di Campo di Marte, il consenso per la riforma si è fermato al
57,7. Una quota comunque superiore alla
media cittadina, per un quartiere residenziale un tempo dominio del cosiddetto ceto
medio. Nel Quartiere 5, quello di Novoli e
Rifredi, l'ex zona operaia e popolare oggi rilanciata dall'università e dal palazzo di giustizia, i Si hanno ottenuto invece il55%, un
punto al di sotto del risultato fiorentino.
Mentre nel Quartiere 4, quello di Isolotto e
Legnaia, i fan della riforma Boschi sono stati perfettamente nella media della città:
56,3%, il totale finale. (m.v.)
(dNIPNOOLL>JONE NISFR ATA
IL SEGNALE
DAI GIOVANI
di Dario Di Vico
a generazione
perduta almeno
per un giorno
sembra essersi
ritrovata e ha scelto
di partecipare. Le analisi del
day alter si sono incentrate
sui riflessi politici del voto
referendario ed è giusto che
sia così ma dal punto di vista
sociologico la notizia è
questa. Perla prima volta i
giovani hanno contribuito
fortemente a determinare
un risultato elettorale e in
questo modo si sono
quantomeno candidati a
diventare un nuovo
baricentro del consenso.
continua a pagina 37
DOPO REFERENDUM /2
IL kSEGNALE FORTE ?,
di Dario Di Vico
Autom
iclusione
La generazione
perduta, senza
lavoro, si è palesata
con l'urna
SEGUE DALLA PRIMA
on è una novità da poco per una generazione che non ha una sua rappresentanza né tanto meno un sindacato e che
resta abbondantemente esclusa dal
mercato del lavoro. Tanto da configurarsi come lo zoccolo duro della disuguaglianza italiana. Facciamo però il
classico passo indietro e partiamo dai
dati che gli esperti di demoscopia stanno elaborando in queste ore: analizzando i comportamenti dei giovani dai 18
ai 35 anni la percentuale di chi si è astenuto vale il 28-30%, i Si possono essere
pesati attorno al 23-25% e i No invece
arrivano a una quota oscillante tra il 4748%. La vittoria degli antireferendari è
stata dunque schiacciante ma al di là
del risultato contingente è l'elemento
di partecipazione - forse sarebbe meglio dire di autoinclusione - che va valorizzato e sul quale è giusto investire. E
un segnale forte che non deve essere
piegato a mere ragioni di partito o di
schieramento. La generazione che paga l'esclusione dal lavoro persino con
l'indebolimento del carattere ha scelto
l'urna per palesarsi e anche chi (il Pd)
nella circostanza è stato penalizzato
dalla scelta della maggioranza degli
under 35 non può non guardare con favore alla novità. Pure se nella circostanza ha affossato «le riforme».
È chiaro che la partecipazione dei
giovani è stata favorita domenica scorsa dal format elettorale semplificato Sì o No - che ha evitato agli elettori
meno collaudati di perdersi nei dettagli dei programmi di partito e nella individuazione del candidato giusto. Di
conseguenza non è affatto detto che
questo fenomeno debba necessaria-
mente ripetersi alle prossime Politiche
ma non per questo il segnale va ignorato. A cominciare dal tentativo di capire
l'interazione profonda che si è stabilita
tra mondo giovanile e Rete. E stato già
detto come il web sia diventato una forma di rappresentanza sui generis degli
under 35, una modalità profondamente differente dal passato che ha il vantaggio per chi la usa di far arrivare
ovunque la sua opinione e per chi la
studia di poter essere tracciata culturalmente. La Rete anche nelle sue manifestazioni meno edificanti - all'insegna
dell'antropologia negativa - è comunque un'esperienza di società aperta che
si manifesta in un contesto che non riesce a garantire mobilità e ricambio. In
questa chiave sarà interessante indagare se c'è un rapporto causa-effetto tra la
frequentazione assidua di blog e community e la decisione di usare l'urna
elettorale. Di sicuro i sondaggisti si
aspettavano un maggior tasso di astensione da parte della lost generation e
sono rimasti sorpresi e volendo avventurarsi nel mondo dei numeri si può
addirittura raffrontare il tasso di astensione degli under 35 con il tasso di di-
Gli
35
Gli astenuti sono attorno
al28-3Q%,i Si tra il 23eil
25%, mentre chi ha votato
contro oscilla tra il 47 e il 48%
soccupazione anche se riferito solo ai
giovani tra i i8 e i 29 anni, ebbene l'ultimo dato disponibile riferito al primo
trimestre 2015 ci dà 32% contro
un'astensione - che come già detto si è fermata tra il 28 e il 30%. Si è votato
più di quanto si riesca a lavorare.
È chiaro che nel rapporto tra giovani
e politica non si può ignorare la mediazione del Movimento 5 Stelle, l'unica
offerta politica italiana «non anzianista» e che infatti miete consensi tra gli
under 35. Tra i giovani esclusi, la Rete e
i grillini si è creato un gioco degli specchi che fa rimbalzare la frustrazione e il
rancore sociale dovuti all'apartheid lavorativa e li riveste con la critica della
modernità, vero filo conduttore dei comizi di Beppe Grillo. Interrompere
questo flusso di opinioni e questa produzione di egemonia non sarà facile
per nessuno ma la rincorsa populista
all'insegna del «dagli alla Casta» non si
è rivelata un'arma vincente. A chi ha dimostrato, votando, di non voler aggiungere autoesclusione al disagio esistenziale va offerta una chance. Il riformismo si legittima così.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L'AZZ DO
E LE REGOLE
di Antonio Polito
a troppi anni
dosi massicce di
avventurismo
vengono iniettate
nel nostro sistema
politico. Si è diffusa, dopo che
Berlusconi nel 1994 la importò
dal mondo dell'impresa, una
mistica del gesto rapido e
audace, spregiudicato e in
quanto tale «coraggioso»:
un «arditismo» che celebra
chi agisce con cinica e
arrischiata determinazione.
Asfaltare gli avversari è
diventato così il contenuto
principale della lotta politica,
con il conseguente grave
indebolimento dei vincoli
del bene comune e
dell'interesse generale.
con5nua a pagina 37
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L'AZZARDO, I RI SC HI
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di Antonio Polito
Nuove eleziOM*
In troppi corrono,
tra i vincitori e i vinti,
ma serve prima
una legge con `visa
SEGUE DALLA PRIMA
lcune delle difficoltà
in cui ci dibattiamo
oggi provengono
proprio dal gusto dell'azione di forza. Per
esempio: la bizzarria
di varare una legge
elettorale valevole
per una sola Camera può essere spiegata esclusivamente con il tentativo di
creare il fatto compiuto, e cioè l'abolizione del Senato elettivo. Ma il fatto
non si è compiuto, poiché è stato impedito dalla vittoria del No. E ora ci troviamo nella singolare condizione, unici in
Europa, di non poter nemmeno scegliere la strada delle elezioni anticipate
finché non disporremo di una legge
elettorale praticabile per entrambi i rami del Parlamento.
Però avventura tira avventura. E in-
fatti sono molti oggi, sia tra i vincitori
del referendum come i grillini e i leghisti, sia curiosamente tra gli sconfitti
renziani, ad avere fretta e voglia di fare
il bis, andando a votare subito, così subito da correre perfino il rischio elevatissimo di avere due maggioranze diverse nelle due Camere, o di replicare al
Senato venti ballottaggi regionali
estendendovi una legge (l'Italicum) fino a ieri considerata da buttare e che la
Consulta potrebbe davvero buttare,
quando a fine gennaio deciderà se è incostituzionale. Sarebbe un modo sicuro di garantirci altri anni di instabilità,
ripetendo il caos del 2013.
Intendiamoci: la sconfitta del premier al referendum ha ferito a morte
anche la legislatura. È già un miracolo
che sia arrivata fin qui, per come era nata. Aver fallito l'obiettivo della Grande
Riforma provoca dunque non solo la
crisi del governo Renzi, ma anche del
Parlamento che lo ha espresso facendo
ampio uso di alchimie (un partito che si
chiama Nuovo centrodestra in un governo di centrosinistra) e di trasformismi (i verdiniani seduti insieme con i
transfughi montiani e vendoliani). P,
chiaro che la legislatura difficilmente
troverà sufficiente benzina per arrivare
fino alla scadenza naturale del 2018. E
in ogni caso l'elettorato non sopporterebbe manifestazioni di accanimento al
potere. Però, prima di votare, ci vogliono regole che rendano utile il voto, che
lo traducano in maggioranze e governi.
E questo è lavoro dei politici che non
può essere scaricato sui cittadini, nemmeno chiedendo loro l'ennesimo plebiscito. Soprattutto quando il plebiscito precedente è andato male.
E ragionevole dunque la posizione
che sembra farsi strada nel Pd dopo
molte incertezze, favorevole alla nascita
di un «governo di responsabilità nazionale» che sistemi la legge elettorale prima delle urne. A patto che non si tratti
dell'inizio del famoso gioco del cerino,
e la richiesta che tutti i partiti ne facciano parte non sia solo un espediente per
dichiarare fallito il tentativo di fronte
allo scontato no di Grillo o di Salvini.
Bisogna infatti tener presente che sul
Pd ricade la responsabilità maggiore,
perché dispone di circa quattrocento
parlamentari e perché spetta al partito
Scenario
La responsabilità è del Pd
che deve favorire una
soluzione parlamentare, non
scaricare la sua crisi sul Paese
..
.
i
di maggioranza fare ciò che si deve per
evitare avventure. Già il referendum è
stata una partita mal concepita; sarebbe molto pericoloso per lo stesso Pd se
la sua crisi si scaricasse ora sul Paese.
Si potrebbe obiettare che un governo
non può nascere al solo scopo di fare
una legge elettorale. D'accordo. Ma vedrete che chiunque riuscirà a farne
uno, di lavoro da sbrigare ne troverà in
abbondanza. C'è l'Europa che vorrebbe
una manovra correttiva, grandi e piccole banche bisognose di interventi sul
capitale, un enorme debito pubblico da
gestire in condizioni sempre meno favorevoli, un'ampia fetta del Paese terremotata che aspetta la ricostruzione. I
politici vivono di elezioni, ma il resto
della gente si nutre diversamente. La
democrazia non è una fabbrica di campagne elettorali, non è un «lascia o raddoppia». L'Italia è fragile ed esposta ai
venti, ha bisogno di un governo e chi ha
i numeri in Parlamento può farne uno.
Proviamo a ricordarcene prima di piangere nuove e calde lacrime di coccodrillo sui trionfi del «populismo». La prossima volta potrebbe essere troppo tardi.
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Verso le urne 25 città
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Nella primavera del 2017 saranno 25 i
Comuni capoluogo di Provincia in cui si
andrà a votare per rinnovare i consigli. Di
questi, 16 sono oggi governati da giunte di
centrosinistra, 6 da giunte di centrodestra e 3
da alleanze trasversali. Ebbene, l'esito della
consultazione referendaria del 4 dicembre
sembrerebbe aver rimescolato il consenso
elettorale. Nei 16 Comuni di centrosinistra,
infatti, il No ha prevalso in 13 casi, come a
Belluno, Lucca e La Spezia. Nei 6 Comuni di
centrodestra il No ha fatto il pieno, come a
Padova, Trapani e Lecce. Tra le realtà sostenute
da altre maggioranze, invece, figura quella di
Parma, guidata dal sindaco Federico Pizzarotti,
che dal Movimento Cinque Stelle è uscito lo
scorso ottobre. Voto referendario: Sì.
L'esito del referendum nei capoluoghi al voto nel 2017
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Province in salvo
ma al verde:
è caccia ai fondi
Francesco Pacifico
npiazzaCardelliaRoma, quemattina, si tiene il ProvinI
cia-Pride. Fino alle 22.59 di domenica scorsa 4 dicembre gli 86
enti costituzionali - come prevede l'articolo 114 della Carta vigente - sembravano destinati a
fare la fine del Cnel: cancellate
con un tratto di penna dalla legge Boschi-Renzi rispetto al testo
approvato nel 1948, senza alcun
rimpianto ma conmolta ignominia perché simbolo di sprechi e
della burocrazia più pleonastica
e assurda. Poi la strabordante vittoria del no al referendum ha rimesso in discussione tutto e ridato nuova linfa a questi organi.
Per questo Achille Variati, presidente della provincia di Vicenza
e, soprattutto, dell'Upi, ha convocato la stampa nella sede dell'associazione.
> Segue a pag. 11
Province salve ma al verde
è guerra per riavere i fondi
Dopo la mancata abolizione
gli enti rivendicano 950 milioni
di euro e rinforzi all'organico
Francesco Pacifico
SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
Variati vuole dare sfogo al suo
impeto revanscista e fare i conti
con una politica (vuoi con la legge 56 Delrio del 2014 vuoi con le
ultime Finanziarie) che ha tolto
alle province risorse (circa 3 miliardi), personale (20mila sui
43mila sono finiti alle Regioni,
nelle cancellerie dei Tribunali o
prepensionati) e poteri. Infatti,
da due anni a queste parte, hanno competenze decisive su edilizia scolastica, viabilità, trasporti, politiche sociali, urbanistica e
ambiente.
Negli spot del fronte del Si e in
quelli ufficiali della presidenza
del Consiglio si ripeteva che la
riforma costituzionale «abolisce il Cnel e le province». Per
quanto riguardava quest'ultime, in realtà, non andava oltre
la cancellazione dello status di
ente costituzionale. Passaggio
propedeutico per eliminare con
una successiva legge ordinaria
questi organismi. Cosa che la
legge Delrio, al di là delle promesse e degli intenti del suo autore, si guarda dal fare.
Un tempo si occupavano per
esempio anche di turismo o caccia, creando su queste materie
un federalismo nel federalismo,
con il risultato che le normative
cambiavano a pochi chilometri
di distanza. Oggi, seppure informa minima, le province controllano 130mila chilometri di strade nona pagamento, sono "proprietarie" di oltre Smila scuole.
Per non parlare del controllo
preventivo su parchi, pozzi e corsi d'acqua. C'è un problema normativo, con Variati che, non a
caso, vuole sapere perché l'ultimo governo ha legiferato anche
nelle competenze concorrenti
senza mai utilizzare il termine
"provincia". E c'è, soprattutto,
un problema
economico.
Perché tutte le
attività rimaste costano.
Nell'agosto
scorso la provincia di Lecco, la stessa
che aveva in
concessione il
cavalcavia
crollato
lo
scorso 28 ottobre anche perCanfora
ché alcuni funpresidente
zionari
a Salerno:
dell'ente non
si sarebbero
senza soldi
sentiti di chiuchiusa
derlo, annunla Tramonti
ciò in una noRavello
ta: «L'attuale
grave carenza
di risorse economiche, derivata dai noti tagli
governativi al bilancio ha posto
l'ente in una condizione di seria
difficoltà per continuare a garantire i servizi, anche essenziali,
che la legge attribuisce agli enti
provinciali». I presidenti delle
province delle aree colpite
dall'ultimo sisma hanno chiesto al governo di derogare dal
blocco del turn over, anche con
contratti a termine, per assumere tecnici specializzati per rilevare i danni nelle abitazioni private e negli edifici pubblici, seguiti
alle scosse.
L' assenza di personale e la mancanza di fondi ha spinto Giuseppe Canfora, sindaco di Sarno
ma soprattutto presidente della
provincia di Salerno, «a fare un
monitoraggio sulle strade a rischio e sulle scuole che potreb-
bero subire lesioni infrastrutturali perché qui, se succede una
tragedia, si finisce in galera. E
qui qualcuno deve prendersi le
responsabilità politiche di questa situazione. Io ho dovuto
chiudere la strada panoramica
che porta da Tramonti a Ravello
perché non avevo i soldi perla manutenzione. E non so ancora come chiudere il prossimo bilancio.
Da tre anni a questa parte mando
la stessa lettera per chiedere una
soluzione al presidente della Repubblica e quello del Consiglio e
mai, finora, una risposta». Canfora, che anche presidente dell'Upi
della Campania, ci tiene a sottolineare, «di aver votato sì alla riforma. E credo anche alla bontà della
legge Delrio, ma con questi trasferimenti come possiamo occuparci delle politiche sociali o dei controlli dell'ambiente, che finiscono
per incidere sulla salute della gente?»
Proprio su spinta delle pressioni
della base l'Upi chiederà un primo risarcimento. In primo luogo
sui soldi, che sono stati ridotti di
un terzo attraverso le ultime tre
manovre. Se non bastasse nella
legge di bilancio in discussione ci
sono, all'articolo 63, appena 650
milioni di euro per il loro funzionamento, quando i presidenti di Provincia ne pretendono almeno 950
in più. Per non parlare del fatto
che, come si capisce dall'articolo 64, siccome questi enti erano
destinati alla morte, non avendo la possibilità di fare bilancio
triennale, non avevano neanche la facoltà di inserire nei loro
bilanci di previsione strumenti
per accantonare risorse e fare
una programmazione degna di
questo nome. Durante il passaggio alla Camera il governo si era
impegnato a risolvere la questione al Senato. Ma adesso che con
Renzi dimissionario bisogna approvare velocemente la manovra blindandola con la fiducia,
c'è il rischio di restare a secco.
Nei palazzi della politica si guarda già alla madre di tutte le scappatoie: il Milleproroghe di fine
anno. Ma la cosa non tranquillizza l'Upi. Non a caso Achille Variati ha fatto sapere: «La decisione di porre la fiducia sulla Legge
di Bilancio non consentirà al Parlamento di affrontare le questioni riguardanti l'intero sistema
degli Enti locali (Province, Città
metropolitane e Comuni) che
erano state lasciate indietro con
l'intenzione di portare questi temi alla discussione in Senato. E
necessario che il Governo intervenga con un provvedimento
d'urgenza per adottare quelle
misure correttive che, nel confronto avuto in queste settimane, erano state individuate quali
interventi urgenti a garanzia dei
servizi essenziali erogati dalle
Province».
Questa mattina l'Upi chiederà
anche di poter ampliare gli organici. Due le strade: ricorrere a
contratti a tempo o chiedere di
reimpegnare, anche senza riportarli alla base, su mansioni utili
alle province parte degli oltre
Smila ex dipendenti trasferiti
nelle Regioni e non ancora assegnati a nuovi incarichi.
La Delrio ha inoltre previsto un
sistema elettorale secondario: si
scelgono come presidente e come consiglieri di provincia tra
gli eletti nelle assemblee comunali. Un modello forse poco trasparente e poco rispettoso per
un organo costituzionale. Lo ho
già notato per esempio il governatore del Piemonte, e presidente della Conferenza delle RegioSergio
ni,
Chiamparino,
ricordando
che
«hanno
un rilievo costituzionale
e
quindi bisogna capire come questo si
coniughi con
il fatto che non
sono elette di-
rettamente
I servizi
dai cittadini».
L'allarme
L'ex presidendella provincia
te della Condi Lecco
sulta, Ugo De
Siervo, è andache aveva in
to oltre e hapaconcessione
ventato
il cavalcavia
un'ipotesi che
crollato
all'Upi si sta
perorasoltanto studiando:
una pletora di ricorsi. «Con la
mancata revisione della Costituzione non cambia nulla rispetto
alla legislazione esistente - ha
spiegato il giurista - ma la legge
56 operava delle innovazioni
che sarebbero state rese definitive e radicali con modifiche della
Carta, ma ciò non è avvenuto».
Quindi «rimane nei fatti una situazione che qualcuno potrebbe definire deplorevole e deficitaria, e per questo potrebbe chiedere una verifica sulla legittimità costituzionale di quel testo di
legge». Al riguardo il triestino
Massimiliano Fedriga, capogruppo della Lega Nord alla Camera, ricorda «che in Friuli, siccome la Serracchiani quando le
quattro province sono state cancellate e sostituite in 18 unità territoriali, abbiamo avuto centinaia di ricorsi di dipendenti che si
volavano trasferire in enti a condizioni contrattuali peggiori. Soltanto di manutenzione spendiamo 95 milioni in più. Noi stiamo
già studiando una norma per riportare le preferenze, visto che è
immorale che le Province se le
spartiscano per legge i partiti».
1
1
II giurista
«II Titolo V
II giurista
è
immutato
De Siervo:
«Orala legge quindi restano»
Delrio rischia
molti ricorsi»
«Le Province
restano perché gli
articoli 114 e 118
della Costituzione,
e in generale tutto il
titolo V, sono rimasti
immutati rispetto
alla riforma
del2001
dopo il no al
referendum»,
spiega il professor
Antonio D'Atena docente emerito di
diritto
costituzionale
all'Università Tor
Vergata di Roma e
fino all'anno scorso
presidente
dell'Associazione
italiana
costituzionalisti che così si esprime
in merito alla legge
56, la cosiddetta
Delrio, che ha
riformato gli enti
locali.
L'Ocse dà i voti alla scuola
e l'Italia resta insufficiente
I nostri studenti al 34esimo posto tra i paesi Lieve miglioramento in matematica. Più ore
avanzati: perse due posizioni rispetto al 2014 di studio rispetto agli altri, ma molte assenze
IFI
R 0 MA Un leggero recupero in matematica ma non basta. La sufficienza è ancora troppo lontana. Gli studenti italiani vengono bocciati, per
l'ennesima volta, dalle rilevazioni
sulle competenze dei 15enni in base ai test "Programme for international student assessment", ovvero
Pisa-Invalsi 2015. Al test, della durata di due ore, hanno partecipato
540 mila studenti, scelti tra i 28 milioni di ragazzi di 15 anni, nei 72
paesi partecipanti. Tra questi, i 35
paesi aderenti all'Ocse. Per l'Italia
hanno partecipato 11.583 studenti
di oltre 450 scuole. E i loro punteggi non danno un buon profilo del
rendimento della scuola italiana.
Siamo al 34esimo posto, abbiamo
perso due posizioni.
PAESE DIVISO
In realtà viene rilevata una differenza sostanziale tra gli studenti
del Nord, soprattutto Nord-Est, e
quelli del Sud e le Isole. I primi, come ad esempio Bolzano, Trento e
la Lombardia, raggiungono la media più alta se confrontati con la
graduatoria globale, i secondi affondano in classifica nelle ultime
posizioni. Gli studenti della Campania, infatti, sono nella parte più
bassa della classifica al pari dei ragazzi delle Azzorre e dell'Argentina. Per quanto riguarda il settore
delle scienze, il voto medio dei
15enni italiani è stato di 481 punti
contro una media Ocse di 493: l'Italia si posiziona al 27esimo posto
sui 35 paesi della sfera Ocse, come
Croazia e Ungheria. Andando a
considerare i "top performer", i ragazzi più bravi, la percentuale si
ferma al 4° del totale contro l'8%
dimedia Ocse. Emergono in questo
campo differenze di genere rilevanti: nel 2015 i maschi raggiungono 17
punti in più rispetto alle coetanee,
al Centro 23, nel Nord Est 20 e nel
Sud 15. Rispetto al 2009 e al 2012,
infatti, le femmine fanno registrare
un decremento di oltre 20 punti.
COMPETENZE LINGUISTICHE
Nell'ambito della lettura e delle
competenze linguistiche, gli studenti italiani raggiungono una media di 485 punti, restando sotto la
media Ocse di 8 punti, pari a 493:
così l'Italia si ferma al 26esimo posto, su 35, e solo il 5,7% degli studenti risulta molto preparato nella
comprensione di un testo, contro
l'8,3% medio. Oltre uno su 5, invece, non raggiunge il livello minimo
di competenza: il 21% degli studenti, un dato che resta invariato dal
2009, in media Ocse. Le ragazze,
nonostante abbiano avuto sempre
punteggi più alti rispetto ai ragazzi, vedono diminuire questo divario: nel 2015 hanno raggiunto 16
punti in più sui maschi ma nel
2009 li superavano di oltre 35 punti in tutte le macro aree e a livello
nazionale. Nel 2015 le differenze a
favore delle ragazze si sono attenuate di oltre il 50%.
Per il settore della matematica,
invece, si rileva un miglioramento
che porta gli studenti italiani al pari dei coetanei in Francia e in Gran
Bretagna: con un punteggio medio
di490 punti, restano in linea con la
media Ocse. E la percentuale dei
più bravi raggiunge il 10,5% del totale, mentre scende di 9 punti, arrivando al 23%, la percentuale degli
studenti con le competenze più
basse. Il divario geografico, in que-
sto ambito, è rilevante: a Bolzano
gli studenti raggiungono 518 punti
e a Trento 516 al pari della Svizzera,
superando i coetanei canadesi e gli
asiatici, ad esclusione dei ragazzi
di Singapore che arrivano a un picco di 564 punti. In coda alla classifica, invece, ci sono gli studenti della
Campania con 456 punti come i ragazzi delle Azzorre e dell'Argentina.
Altra nota dolente, però, sono le
assenze. Quelle ingiustificate: in
Italia il 55% degli studenti di 15 anni, quindi più di uno su due, ha marinato la scuola. Quasi il triplo rispetto alla media dei loro coetanei
stranieri che si ferma al 20%. Il risultato? Gli studenti che non frequentano regolarmente le lezioni
hanno in media 31 punti in meno in
scienze, ad esempio, rispetto a
quelli che seguono con continuità.
SEMPRE ENORME
Il DIVARIO NORD-SUO
GLI ALUNNI DI BOLZANO
TRA I MIGLIORI
Al MONDO, 1 CAMPANI
TRAI PEGGIORI
ORARIO LUNGO
Risultati insufficienti, dunque, nonostante gli studenti italiani siano
quelli che trascorrono più tempo
sui libri: 29 ore a settimana sui banchi in classe e 21 a studiare, a casa.
Ben 50 ore complessive rispetto alla media Ocse di 44 ore complessive. In Finlandia e Germania si arriva a 36 ore, in Svizzera a 38. Tutti
con risultati migliori nell'apprendimento. Ma l'Italia, nella classifica
Ocse conquista anche un primato
all'equità
positivo
relativo
nell'istruzione: solo il 10% delle variazioni della performance degli
studenti, infatti, è attribuibile alle
differenze socio-economiche contro una media Ocse del 13%. In Italia, gli studenti avvantaggiati hanno in scienze un voto di 30 punti superiore contro i 38 punti Ocse. Analizzando il rendimento delle scuole
pubbliche rispetto a quelle private
emerge che, considerando le differenze socio-economiche, gli studenti delle scuole pubbliche ottengono ben 40 punti in più in scienze
rispetto ai ragazzi che frequentano
le scuole private.
Lorena Loiacono
l ' f 4.ìr J
Aa
L
rl , 11, m.11111o-
Studenti a confronto
Risultati dei nuovi test Pisa 2015
I MIGLIORI IN CLASSIFICA
556
scienze
italiano
, matematica
564
538
532
51S
534 i
519
520
481
1° Singapore
2° Giappone
3° Estonia
485 490
35° ITALIA
COSÌ GLI EUROPEI IN POLE
5° rr
Finlandia
Slovenia
13°
Gran Bretagna
15°
16°
Germania
Olanda
17°
18°
Svizzera
19°
Irlanda
Belgio
20° I
Danimarca
21°
Polonia
22°
25° Stati Uniti
l 496
29° media Ocse
493
ANSA £ERFime1TI
«Ci vorrebbero i corsi pomeridiani»
Anna Maria Ajello è la presidente
dell'Invalsi, l'ente responsabile
della valutazione nella scuola.
Come si può recuperare il divario tra i nostri studenti e quelli
stranieri?
«Servono maggiori interventi
compensativi. Con i corsi pomeridiani negli istituti: a Trento le
scuole aiutano i ragazzi e i risultati
ci sono. Servono anche al Sud do-
ve le medie sono più basse».
Le scuole del Sud non preparanoadeguatamente i ragazzi?
«Non direi, i nostri test riescono a
scorporare i valori che provengono dal contesto famigliare e dagli
anni scolastici precedenti: possiamo così considerare il valore aggiunto delle singole scuole. Nel
Sud questo valore è molto alto, ma
il rendimento del ragazzo non rag-
giunge la media se il contesto famigliare non è favorevole. Serve
una compensazione».
Gli studenti stanno cambiando?
«Abbiamo rilevato una minore
competenza da parte delle ragazze, che perdono punti e si avvicinano al livello dei ragazzi, in lieve miglioramento».
L.Loi.
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