DARIO RUSSO, Suite d`autore. Viaggio nella storia del design

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DARIO RUSSO, Suite d`autore. Viaggio nella storia del design
DARIO RUSSO, Suite d’autore. Viaggio nella storia del design, Biblioteca del Cenide, 2008, pp. 127
Per il viaggiatore, che giunge in Sicilia alla scoperta di un’isola densa di arcane atmosfere e ricca
di contrasti culturali, Piazza Armerina è sicuramente tappa obbligata. Infatti, nella cittadina della
provincia ennese, già nota per i resti della famosa Villa del Casale di epoca romana, dal 2007
sorge Suite d’autore, su progetto di Dario Russo e Cesare Sposito, e una sosta consente al
viaggiatore un insolito percorso…nella storia del design. Non si tratta di un nuovo museo, dove
gli oggetti d’uso perderebbero la loro essenza costitutiva e funzionale per essere fonte solo di
piacere estetico, ma di un Art design gallery hotel, ovvero un albergo che ospita opere d’arte e di
design e che consente l’esperienza (non solo estetica) di vivere tra le opere d’arte e “usare” gli
oggetti creati da famosi designer.
L’albergo s’inserisce nella nuova tendenza degli Art hotel, strutture ricettive di lusso
rivolte a un’élite culturale, e ha un precedente siciliano in Atelier sul mare, presso Castel di Tusa,
ma rispetto agli altri alberghi-museo, Suite d’autore - secondo le intenzioni dei suoi art director,
Russo e Sposito - mira a sottolineare la valenza artistica del design. Inoltre - e questa è l’intuizione
innovativa dei progettisti - oltre a svolgere la sua naturale funzione ricettiva, Suite d'Autore
assurge a un ruolo culturale: gli ambienti, infatti, sono organizzati secondo categorie estetiche che
consentono di ripercorrere i momenti salienti della storia del design e delle tendenze
contemporanee.
Lungo questo percorso ci guida il bel catalogo bilingue (italiano/inglese) di Dario Russo:
Suite d’autore. Viaggio nella storia del design, presentandoci un albergo ricco di opere d’arte,
progettate o scelte per illustrare un determinato periodo o movimento. Come spiega Russo, i vari
ambienti sono vere e proprie Gesamtkunstwerk, opere d’arte totali, dove ogni elemento è
concepito in rapporto armonico col tutto per creare suggestioni straordinarie. Di conseguenza,
benché il volume si presenti, d’acchito, come un catalogo, in realtà, l’esame degli oggetti diviene
solo un pretesto per intraprendere, come recita il sottotitolo, un viaggio nella storia del design.
Infatti, con chiarezza ed essenzialità Dario Russo rivela le chiavi di lettura per interpretare
oggetti e artefatti e inserirli in un percorso storico evolutivo. Si parte dal tema della “Geometria”,
dominante nelle avanguardie del primo Novecento: in questa stanza l’armadio richiama le
geometrie colorate di Mondrian, la libreria si ispira alla pittura di Bart van der Leck con i suoi
peculiari segmenti rossi, gialli e blu. Il principio estetico cui s’ispirano gli artefatti della seconda
camera è “Leggerezza”, «un tema», come suggerisce Russo, «che richiama le esperienze
progettuali tra gli anni Venti e Trenta (e poi di riflesso nel dopoguerra) contrassegnate da rigore
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formale e funzionalismo non disgiunto da intenti estetici». L’opera più rappresentativa della
camera è la sedia a oscillazione libera (o a sbalzo) di Marcel Breuer, una delle icone del
Movimento Moderno e certamente l’oggetto più noto del Bauhaus. “Magia e ironia” sono le
parole chiave del design italiano tra gli anni Cinquanta e Settanta, animato da una profonda
creatività. Achille Castiglioni ne è una delle figure principali, con Ettore Sottsass, Vico Magistretti
e Gio Ponti, le cui opere fanno da protagoniste in questa camera ironicamente magica. Di
Castiglioni si può apprezzare il tavolino Cumano che, quando non serve, può essere piegato e
appeso come un quadro; mentre la Valentine di Sottsass, mitica macchina per scrivere Olivetti,
campeggia sul comodino col suo design Pop. L’ironia di Magistretti rivive qui nella sedia Selene,
una delle prime interamente in plastica e altrettanto arguta e ironica è la Superleggera di Ponti.
La camera sulla “Stravaganza” suggerisce lo scenario ricco e variopinto degli anni Sessanta, ma
anche del Postmodern e di molto design emozionale dei nostri giorni, in cui il valore degli oggetti
si misura, più che per la loro utilità, per la carica simbolico-evocativa che rapisce in un gioco di
riferimenti culturali e iconici. In quest’ambiente domina il gusto per la sorpresa e per l’emozione,
e lo spirito citazionistico tipico del Postmodern. Così il Cork Stool di Pierfrancesco Arnone, uno
sgabello-tappo di champagne, suscita emozioni collegate all’esperienza della festa e il lampadario
Campari Light, di Raffaele Celentano, allude alla famosa bottiglia progettata da Depero negli anni
Trenta. Il Movimento Pop ispira un design frizzante e accattivante, ne è un esempio la Panton
Chair di Verner Panton, una sedia interamente in plastica che trasforma il rigido rigore della Zig
zag di Rietvelt (la sedia a forma di zeta nella camera Geometria) in una serpentina morbida e
sensuale. Un altro oggetto cult del design Pop è il Sacco (Piero Gatti, Cesare Paolini, Franco
Teodoro), la poltrona informe resa celebre dal Fracchia cinematografico. Il riferimento ai mass
media e al cinema, tipico del Pop ma anche del Postmodern e del design odierno, si ritrova in
altri oggetti come il parallelepipedo-comodino (Dario Russo e Antonio Scontrino) le cui facce
sono rivestite da locandine di famosi film di fantascienza. Infine l’ultima camera s’ispira a un tema
(“Fluidità”) che taglia trasversalmente la storia del design dall’Art nouveau ad alcune esperienze
contemporanee. Questo è sicuramente l’ambiente più suggestivo dell’hotel; guidati da Dario
Russo ci lasciamo “sciogliere” dalle emozioni. Una citazione del Modernismo catalano (versione
spagnola dell’Art nouveau) è lo pseudo specchio di Beppe Madaudo, ispirato a Gaudì, che “cola”
dalla parete con allusione anche al surrealismo di Dalì. E ancora a Dalì – in particolare al ritratto
dell’attrice hollywoodiana Mae West, 1935 – si riferisce uno degli oggetti più accattivanti dello
scenario Pop: il divano Bocca - progettato dallo Studio 65 - che seduce con le sue morbide
sinuosità. Nella parete al di sopra, la libreria Bookworm, di Ron Arad, assume forme fluide
richiamando sulla Bocca l’immagine di due occhi dalle grandi ciglia, che completano il curioso
ritratto postmoderno. Al centro della camera il letto tondo Round Bed sembra emergere
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dall’acqua, poiché il pavimento azzurro reagisce morbidamente alla pressione del piede, grazie ad
un liquido interno, confermando il principio estetico della fluidità.
Leit motiv di tutte le camere è lo specchio “Nessun dorma” (Andrea Gianni e Concetta
Modica) in cui la frase-slogan (tratta dalla Turandot di Puccini) viene realizzata con delle
variazioni inerenti ai differenti temi e costituisce un appello a perseverare in un godimento
estetico infinito senza cedere all’oblio del sonno. Lo specchio, simbolo dell’imitazione artistica e
icona dell’origine delle arti, ricorrendo pur in modo diverso nelle varie camere, tradisce le
dinamiche estetiche fondative dell’albergo-museo: la contraddizione tra oggetto d’uso quotidiano
e l’opera d’arte destinata alla pura contemplazione estetica. Si tratta di una dialettica insita nel
design, nella sua eterna conflittualità con l’arte, una conflittualità che tuttavia tende sempre più a
scomparire; ormai, infatti, il design si confonde e si sostituisce sempre più alle opere d’arte.
Dall’esposizione di Memphis del 1981, dove alcuni designer capeggiati da Ettore Sottsass
presentarono pezzi unici e costosissimi, gli oggetti d’uso si caricano di un quoziente estetico
rilevante, sono spesso creati da artisti famosi e lontani dal concetto di serie. Oggi il sorgere di una
nuova estetica, pregna di implicazioni mercantili, non disdegna di allargare i suoi orizzonti verso
campi un tempo emarginati dalla filosofia: la moda, la comunicazione (mass media), la tecnologia
informatica, e naturalmente il disegno industriale. L’oggetto d’uso si leva dalla banale
quotidianità per assurgere a opera d’arte, in virtù di una sua peculiare aura che lo rende unico e
irripetibile. Come mette in rilievo l’autore a conclusione del volume, questo è lo scopo di tutti
quelli che hanno collaborato al progetto dell’albergo-museo, dal proprietario/imprenditore agli
art director ai vari artisti e designer. Le camere, infatti, benché non siano in realtà molto grandi,
sono Suite d’autore, poiché l’oggetto d’uso lungi dallo spersonalizzarsi nella produzione seriale
rivendica la dignità di opera d’arte e la paternità di un progettista come indica persino il logo
dell’hotel con l’immagine dell’impronta digitale, la traccia più identificativa dell’uomo.
Elisabetta Di Stefano
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