Elezioni regionali in Francia. Front National al 30

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Elezioni regionali in Francia. Front National al 30
Elezioni
regionali
in
Francia. Front National al
30%
Parigi, 6 dicembre 2015 – Boom
del Front National alle elezioni
regionali in Francia. Il partito
di Marine Le Pen e della nipote
Marion
Le
Pen-Marechal,
candidate
al
Nord
rispettivamente
Pas
de
Calais
e Provenza, Alpi, Costa azzurra, risulta, dai primi dati degli
exit poll, il primo partito. Il Front National avrebbe
ottenuto il 29,5% dei voti, seguito dai repubblicani di
Sarkozy con il 27% e i socialisti di Francois Hollande con il
23%. Per l’ex presidente Sarkozy, il voto sarebbe stato
deciso, soprattutto dalla paura e della disperazione dei
francesi. Dopo 3 settimane dagli attentati di Parigi infatti,
buona parte dei francesi avrebbe riposto le speranze
nell’estrema destra della Le Pen. “La Francia rialza la testa.
Siamo il primo partito – ha detto la leader del Front
National, Marine Le Pen – . E’ un risultato magnifico. Nulla
potrà fermare la profonda volontà del popolo”. Al ballottaggio
si prospetta un’alleanza di socialisti e repubblicani per
ostacolare il FN.
di Francesco Iacopetti
Aereo russo abbattuto dai
turchi, ecco come i ribelli
anti-Assad hanno ucciso il
pilota / VIDEO
Ankara, 25 novembre 2015 – In un
video apparso su youtube si
vedono diversi ribelli antiAssad sparare in aria con delle
mitragliatrici e prendere la
mira
contro
un
uomo
in
paracadute. Secondo chi ha
postato il video si tratterebbe proprio del pilota russo del
jet abbattuto dai caccia turchi in Siria.
Più fortunato il secondo pilota del jet russo: è stato messo
in salvo e si trova al momento a Hmeymim, base russa vicino
Lattakia, in Sira.
ATTENZIONI LE IMMAGINI SONO FORTI:
Jet russo abbattuto dalla
Turchia, le mosse di Putin
Mosca, 26 novembre – Fonti USA
fanno
sapere
che
lo
sconfinamento del Su-24 russo
sarebbe durato 17 secondi,
entrando nello spazio aereo
turco per una distanza di 2
chilometri. In quel momento un
caccia F-16 turco avrebbe
sparato un missile, colpendo il jet russo quando questo già si
trovava in territorio siriano.
Nonostante le scuse del governo di Ankara, lo stato maggiore
dell’esercito russo ha annunciato che verranno prese le
seguenti misure di sicurezza per proteggere le proprie forze
armate in Siria:
1. Dislocamento
dell’incrociatore
lanciamissili
Moskva
della flotta del Mar Nero, nel porto di Tartus (Siria)
2. Scorta di caccia armati per tutte le future missioni di
bombardamento
3. Dislocamento sul territorio siriano controllato dalle
forze armate russe, del sistema missilistico anti-aereo
S-400 Triumph.
Francia, commando sequestra
intera famiglia a Roubaix. In
ostaggio anche bambini
Parigi, 24 novembre 2015 – Alcuni individui armati a Roubaix ,
nel nord della Francia, vicino
al Belgio hanno preso in
ostaggio un gruppo di uomini tra
cui dei bambini.
Secondo l’emittente I-Tele il commando di uomini
“diversi
uomini sono asserragliati in una villetta e tengono una
famiglia in ostaggio”. “Non si tratterebbe di un atto
terroristico ma di un tentativo di rapina finito male“. Il
commando avrebbe anche aperto il fuoco contro la polizia con
armi da guerra.
Aereo
da
guerra
russo
abbattuto
dalla
Turchia,
tensione tra Mosca e Ankara /
VIDEO
Mosca, 24 novembre 2015 – Un
Sukhoi-24 russo, impegnato nei
bombardamenti in Siria è stato
abbattuto dalla Turchia. Secondo
la Ankara l’aereo da guerra
russo aveva sconfinato nello
spazio aereo turco.
Mosca ha confermato l’abbattimento, ma ha sottolineato che il
Sukhoi-24 è stato colpito mentre si trovava nello spazio aereo
siriano a seimila metri di altitudine e non in quello turco.
Secondo fonti turche il caccia sarebbe stato abbattuto da due
F-16 dell’aviazione di Ankara, mentre per Mosca l’aereo
sarebbe stato abbattuto da un missile terra-aria.
Il Consiglio del Nord Atlantico – che riunisce i 28
rappresentanti dei Paesi membri della Nato – si riunirà alle
17 ora italiana in seduta straordinaria su richiesta della
Turchia: lo hanno reso noto fonti diplomatiche dell’Alleanza,
precisando che Ankara vuole informare gli alleati
sull’abbattimento del cacciabombardiere russo al confine con
la Siria.
Il pilota del Sukhoi-24 sarebbe riuscito a paracadutarsi, ma
sarebbe stato catturato dai ribelli turcomanni in Siria. In un
video apparso sul web ed inviato alla Reuters alcuni ribelli
mostrano il corpo senza vita di un pilota.
IL VIDEO, L’emittente turca privata ‘Haberturk’ ha subito
diffuso il video dell’aereo abbattuto:
Catalogna
indipendente,
Spagna al bivio
Barcellona, 22 novembre 2015 –
In questi giorni convulsi è
passato alquanto in sordina un
avvenimento che rischia di
creare una crisi istituzionale
all’interno dell’UE e che
potrebbe
stravolgere
molti
equilibri: il 27 settembre
infatti, si sono tenute le elezioni anticipate del parlamento
catalano, che hanno confermato al potere la coalizione
separatista di Artur Mas (Ciu) con 72 seggi su 135. La
vittoria con conferma di Artur Mas apre così una frattura tra
il governo centrale di Madrid e la Generalitat de Catalunya,
la quale ha annunciato che entro diciotto mesi, la Catalogna
concluderà il percorso che la porterà ad essere uno Stato
indipendente e sovrano.
Ecco la questione catalana a confronto dei nostri due analisti
Iacopetti e Di Nino:
“Catalogna indipendente, primo
verso una nuova idea di Europa”
passo
di Nicola Iacopetti
Partirò da un presupposto “antipatico”: L’arresto di Andreu
Viloca, tesoriere del partito di Mas accusato di tangenti, che
segue di un paio di anni le accuse a Jordi Pujol, padre
dell’indipendentismo catalano, sul possesso di svariate
centinaia di milioni di euro depositati su conti offshore, a
pochi giorni dal voto sulla “desconnexiò democràtica” nel
parlamento catalano, deve far riflettere sulla puntualità di
una magistratura che come in Italia siamo abituati a vedere,
arriva sempre con precisione svizzera nel cercare metodi
“alternativi” per gettare discredito sui partiti che mirano in
qualche modo a destabilizzare lo status quo. Stavolta però
l’effetto non è stato di quelli sperati, e con 72 voti
favorevoli e 63 contrari, il processo di transizione può
iniziare.
Oltre
a
ragioni
prettamente
storiche,
l’indipendentismo catalano ha radici che affondano nel tessuto
socio economico dell’intera Spagna. Da sola, produce 1/5 della
ricchezza nazionale, mentre il PIL pro capite è superiore al
resto del paese iberico, in linea con quello di regioni
italiane dalla forte spinta autonomistica come il Piemonte.
Insomma, una Regione ricca, che ha avuto la sfortuna di
trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. La crisi
economica infatti, oltre a travolgere l’intera economia
spagnola, ha avuto grandi ripercussioni anche all’ombra dei
Pirenei, dove la disoccupazione è salita al 19,7 % (sempre
meno che nel resto del paese dove adesso è attestata al 22,4
%) e per mantenere in piedi struttura ed investimenti, Mas ha
chiesto (forse in maniera provocatoria) 5 miliardi di euro al
Governo centrale. Possiamo comunque definire l’assetto
istituzionale spagnolo come un “regionalismo asimmetrico”,
dove non tutte le comunità autonome godono di eguali
prerogative. Se lo Statuto del 2006 (che ha sostituito quello
del ’79, dopo gli anni di oppressione centralista franchista)
ha aumentato la sfera di competenze catalane, non ha però
soddisfatto le aspettative di chi si attendeva un nuovo patto
fiscale modellato sul sistema dei fueros basco-navarresi. Ai
catalani non è andato giù il comportamento dei socialisti di
Zapatero, i quali, prima approvarono la richiesta di
referendum per l’indipendenza, poi, travolti dalla crisi
economica, iniziarono un’opera di allontanamento dalle spinte
centrifughe, culminato con il ricorso del PP (allora
all’opposizione) alla Corte Costituzionale (a maggioranza di
membri di nomina socialista) che di fatto, ha rigettato ogni
velleità di separarsi dalla Spagna, né ora, né mai. Ad oggi,
le minacce del Premier Rajoy, leader del PP, sull’eventuale
sospensione del Fondo de liquidez autonòmica che bloccherebbe
di fatto ogni trasferimento a Barcellona, bloccando stipendi
statali e forniture, così come il ricorrere all’art.155 della
Costituzione che prevede, in casi estremi, la sospensione di
ogni autonomia, l’invio dell’esercito ed il passaggio della
polizia regionale (Mossos d’Esquadra) sotto controllo del
Ministero degli Interni, compreso il ricorrere alle accuse di
reato di disobbedienza civile, dimostrano quanto sia grande il
timore della Spagna. Certo, con l’indipendenza catalana si
aprirebbero scenari economici forse disastrosi per il popolo
castigliano e per l’intera zona euro, e probabilmente si
aprirebbe un contenzioso sull’ingresso in UE del nuovo Stato
(dev’essere avvallato da tutti gli Stati membri, tra cui anche
Madrid) così come per ciò che riguarda la qualifica di membro
di altre organizzazione internazionali tra cui la Nato, ma la
domanda che mi sorge è questa: è mai possibile che ad oggi, un
popolo d’Europa (culla della “democrazia”), non abbia il
diritto di scegliere con chi e dove stare? Prigionieri di
Costituzioni figlie di antiche congiunture storiche,
sottomessi a ricatti economici dai governi centralisti,
risorse risucchiate nei vari calderoni per affrontare sfide e
crisi impreviste, omogeneizzazione culturale, enorme bacino
elettorale da cui attingere voti (proprio come fecero i
socialisti con le loro false promesse referendarie in
Catalogna). Nel nuovo scacchiere globale post sovietico,
l’Europa dovrebbe trovare la sua missione, il proprio ruolo
guida dell’Occidente in ottica di “Grandi Spazi”, di
Grossraum, superando così la crisi del modello westfaliano e
dello jus publicum europaeum, partendo proprio dalla
disgregazione inevitabile dello Stato ‘moderno’ e da una
riorganizzazione per aree omogenee economicamente e
culturalmente, da un riassetto federale dell’Europa in grado
di dare risposte più convincenti alle varie sfide del Nuovo
Millennio. La Catalogna potrà diventare così il primo
tassello, verso un’Europa libera, federale, forte e
consapevole di sé stessa, della propria identità e delle
proprie radici, oggi più che mai messe a rischio della
modernità e dalla sua “figliastra”: la globalizzazione.
“Il lato oscuro dell’indipendentismo”
di Andrea Di Nino
Il progetto del presidente catalano Artur Mas è stato chiaro
fin da subito. Anzi, no. Il partito di cui è leader da più di
dieci anni, Convergència i Unió, ha sempre mantenuto una linea
sì identitaria, sì nazionalista, ma mai secessionista. Al
punto che lo storico leader catalano Jordi Pujol, che con CiU
ha governato la Generalitat dal 1980 al 2003 (!), ha fatto
parte dal 1996 al 2000 della coalizione del premier spagnolo
di centrodestra Aznar, che dell’unità nazionale ha sempre
fatto uno dei fondamenti della sua azione politica e che
proprio in queste settimane tuona contro ogni ipotesi
scissionistica.
Le principali motivazioni addotte da Mas alle sue mire
separatiste -oltre a quelle che culturalmente dividerebbero la
tradizione catalana da quella castigliana e spagnola- sono
soprattutto di stampo economico: la Catalogna è una delle
comunità autonome più ricche, dinamiche e produttive della
Spagna, e si accusa Madrid di essere troppo rigida nel
prelievo fiscale dalle tasche dei catalani. Prelievo fiscale
che poi non fa -a detta di CiU- quasi mai ritorno sul
territorio sotto forma di investimenti pubblici.
I detrattori, molti dei quali tra l’altro catalani, accusano
invece Mas di usare l’indipendenza come fantoccio per
distrarre l’opinione pubblica dall’ondata di scandali e
inchieste che ha travolto la “cupola” catalana, con lui e
proprio la famiglia Pujol in testa, che dovranno
rispondere di numerose accuse di corruzione e peculato.
E’ evidente come la Spagna, a seguito della grave e non ancora
smaltita crisi economica del 2008, risulti oggi un Paese con
spinte centrifughe rispetto ai valori fondanti della propria
democrazia, ovvero il bipartitismo che da sempre la
caratterizza e la stabilità delle istituzioni che risalgono
alla costituzione del 1978. Queste spinte hanno gonfiato
praticamente dal nulla l’impeto di movimenti di protesta
(ricordate gli Indignados?) che mirano a un cambiamento
radicale, mettendo in discussione i dettami costituzionali,
alla cui redazione hanno partecipato i rappresentanti di tutto
il popolo spagnolo e che mediante il voto democratico sono
stati approvati.
In Spagna si parla da anni di crisi della monarchia e di crisi
della forma di stato, un regionalismo asimmetrico che
garantisce ampie libertà di negoziazione bilaterale a tutte le
comunità autonome – e di cui la stessa Catalogna beneficia
ampiamente. La verità è che però l’effettivo minimo comune
multiplo della protesta sono la disoccupazione, il disagio
sociale, la sfiducia nei confronti della politica. In una
parola, il malcontento.
Negli anni ruggenti della Spagna, una quindicina d’anni a
cavallo del 2000, mai infatti si erano messi in discussione i
pilastri su cui poggiava la convivenza del Paese: la
monarchia, il bipartitismo, le realtà autonome locali. Anzi,
lo stesso re Juan Carlos era ritenuto il simbolo di una
nazione finalmente pacificata e che non doveva più guardare i
partner europei dal basso. Un Paese finalmente normale.
Il malcontento, si sa, ha mille sfaccettature, e in virtù del
suo carattere meramente negativo e distruttivo risulta
facilmente manipolabile: Mas è stato astuto a dirottare quello
dei catalani non sulla sua famiglia politica, ma sulle
istutizioni di Madrid. A dimostrazione del fatto che
l’indipendenza non risulti una priorità per i catalani vi sono
i numeri delle ultime elezioni locali, trasformate in un
referendum per l’indipendenza dallo stesso Mas: i
partiti indipendentisti non hanno raggiunto nemmeno il 50%, e
l’attuale presidente in funzione non riesce a trovare una
maggioranza parlamentare tale da ottenere la fiducia
necessaria a governare. E dire che Mas le sta tentando tutte,
liquefando il proprio partito e svendendo posti di potere agli
estremisti di sinistra della CUP, che però al momento non
sembrano acconsentire alla riproposizione della sua
leadership, lasciando la comunità autonoma in uno stallo
pericoloso, che rischia di riportarla al voto per la quarta
volta negli ultimi cinque anni.
Il risultato è una Catalogna divisa socialmente e
politicamente, incapace di darsi un governo e un presidente.
La prospettiva di una secessione unilaterale dalla Spagna -e
quindi dall’Europa, dall’€uro, dalla Nato e dai restanti
organismi internazionali- spaventa molti catalani; Mas, di
fatto, viola la legge sostenendo di non voler rispettare lo
stop impostogli dal tribunale costituzionale: una situazione
tesa è quanto di meglio possa ottenere per radicalizzare il
dibattito e tentare di portare anche i catalani più moderati
con sé. Ma è quanto di peggio possa ottenere la Catalogna,
che, senza i fondi di Madrid, domani non sarebbe in grado di
pagare autonomamente i propri dipendenti in settori chiave
come l’amministrazione pubblica e la sanità. Di fatto la
Generalitat è in default, e forse le inchieste su Pujol e Mas
sapranno dirci di più in merito.
Di certo, nelle attuali situazioni finanziarie non sembra
realistico aspirare a maggiori spazi
di autonomia, anzi, c’è il rischio che del governo centrale ci
sia ancor
più bisogno. E inoltre: quanto costerebbe ai catalani, in
termini temporali, economici e politici, ristipulare ogni
singolo contratto e trattato internazionale? Soprattutto
considerando che non è affatto scontato -anzi- il
riconoscimento di un nuovo stato catalano da parte di
numerosissimi Paesi che subiscono a loro volta spinte
autonomiste al loro interno. Si pensi -solo per citare esempi
europei- a Francia, Belgio, Germania, Russia, Regno Unito e
alla stessa Italia.
Nell’Europa dell’inclusione e delle opportunità per tutti,
delle differenze e dell’arricchimento reciproco, dell’Erasmus
e della libera circolazione, rivendicazioni autonomiste paiono
forse fuori dal nostro tempo: anche culturalmente, la
diversità altro non può che arricchire quello che è il
variegato ecosistema spagnolo. Le culture devono completarsi e
valorizzarsi in modo armonico, non conflittuale, altrimenti
smettono di essere culture e diventano esasperati etnicismi,
diventano rivendicazioni politiche che non rappresentano
nessuno se non chi le scandisce. Anche perché, a livello
strettamente logico, “c’è sempre qualcuno più puro, che ti
epura”: in politica non si sa mai, un giorno Girona potrebbe
chiedere la separazione da Barcellona. E allora Mas come
potrebbe obiettare?
Allarme
terrorismo
a
Bruxelles. Capitale blindata
Bruxelles, 22 novembre 2015 –
Massimo livello d’allarme a
Bruxelles. Aumenta la paura nella
capitale belga dove secondo fonti
attendibili sarebbe nascosto, forse
munito di cintura esplosiva, Salah
Abdeslam, ricercato per la strage di
Parigi. Alcuni complici e amici di
Salah, arrestati proprio a Bruxelles avrebbero prelevato il
pericoloso terrorista da Parigi per portarlo in Belgio. A
preoccupare ancora di più le autorità sarebbe però la presenza
nella città di altri uomini legati allo Stato Islamico, forse
dieci, pronti a colpire. Il premier belga Michel ha annunciato
la chiusura delle scuole e dalla metropolitana per la giornata
di lunedi 23 novembre. Il ministro della Giustizia Koen Geens
d’altro canto ha espresso il suo rifiuto a bloccare la città
affermando che, sicurezza permettendo, deve essere garantita
l’attività lavorativa per non causare danni economici.
Intanto sale l’allarme terrorismo anche in Italia, dove sui
social network dilagano le minacce al nostro paese e alla
capitale, proprio in vista del Giubileo. Anche oggi Papa
Francesco ha rilanciato il suo appello alla pace e ha
dichiarato che non annullerà il viaggio “a rischio”, previsto
nei prossimi giorni in Africa.
Perché la Russia ha bisogno
di una Siria alleata
Latakia, 22 novembre 2015 – Per
capire il perché il presidente
Vladimir Putin abbia deciso di
intervenire militarmente in un
teatro bellico drammaticamente
difficile come quello siriano, è
necessario
analizzare
la
situazione geopolitica del Medio
Oriente e della Federazione Russa.
Anzitutto la Siria è l’alleato più antico che la Russia abbia
nella zona mediorientale dai primi anni 70, tempi in cui
governava Hafiz Al-Assad (padre dell’attuale presidente
siriano). Sin dall’inizio della guerra civile (giugno 2011) il
presidente Bashar Al-Assad ha ricevuto appoggio diplomatico e
forniture militari dal governo russo ed è proprio grazie a
queste che può ancora giocare un ruolo politico attivo in
Siria, visto che la maggior parte delle altre potenze mondiali
(fatta eccezione per la Cina) si sono dichiarate favorevoli ad
un regime change.
In secondo luogo la Siria è un paese con un modesto, ma
importante, sbocco sul Mar Mediterraneo. Questo permette il
trasporto del prezioso petrolio, di cui il Golfo Persico è
ricco, direttamente sulle coste del Mediterraneo, bypassando
così il canale di Suez.
Inoltre, il porto siriano di Tartus costituisce l’unica base
nel Mediterraneo che la marina militare russa può utilizzare.
Insomma, con la Siria le forze armate russe perderebbero
qualsiasi capacità di operare nel mediterraneo, o quanto meno
queste sarebbero pesantemente limitate.
Purtroppo per le forze governative siriane la protezione
diplomatica e le forniture militari non sono state
sufficienti. Le forze ribelli (ISIS, al-Nusra e le forze
coalizzate dell’opposizione anti-Assad) con il passare dei
mesi hanno preso il controllo della maggior parte del
territorio e delle vie di comunicazione, costringendo i
governativi in una stretta fascia di terra tra il Libano e la
costa.
E’ a questo punto che il governo russo decide di inviare mezzi
aerei nella base aerea di Lakatia, nell’ovest dellla Siria,
per fermare l’avanzata dei ribelli ed evitare la disfatta
definitiva delle forze di Assad. L’intervento militare viene
giustificato agli occhi del mondo come una lotta contro il
terrorismo islamico dell’Islamic State, dando così un fine
nobile all’operazione. Con questa mossa Putin ha così
rivendicato il ruolo di protettore dell’occidente, dell’Europa
e della cristianità. Appare però logico che l’intento di Putin
sia quello di riavvicinarsi all’Unione Europea e far revocare
le sanzioni economiche che stanno danneggiando l’economia
russa, successivamente alla crisi ucraina.
Lo schieramento dei russi non è certo imponente. A Latakia
vengono schierati per lo più aerei da attacco al suolo: 12
Su-25, 12 Su-24 (equivalente russo del Tornado europeo), più
alcuni Su-30, Su-34, droni da ricognizione (mezzi moderni di
recente produzione) ed elicotteri d’assalto Mi-24. Da non
dimenticare le navi da guerra della Flotta del Mar Caspio e i
bombardieri strategici di base nel Caucaso, che sin
dall’inizio hanno preso parte all’operazione con il lancio di
nuovi missili cruise a lungo raggio. Completano lo
schieramento in Siria una squadra dei reparti speciali
Spetsnaz e uomini adibiti alla logistica e alla difesa della
base.
E’ ancora troppo presto per dire se queste forze saranno
sufficienti a far prevalere Assad. Molto probabilmente no. Un
intervento con la sola aeronautica militare potevano salvarlo,
fermando l’avanzata dei ribelli , ma per riconquistare i
territori servono tanti uomini (addestrati alla guerra in zona
urbana) e mezzi terrestri, che Assad non ha, ed è ancora tutto
da vedere se i governi di Russia e degli altri paesi che
stanno portano avanti la guerra al terrorismo islamico,
avranno veramente il coraggio di introdurre migliaia di
soldati in Siria ed prendersi la responsabilità del futuro di
questo paese.
Ad ogni modo l’intervento russo sta assestando duri colpi alle
forze dell’ISIS in Siria e sta dimostrando come le riforme
volute dal presidente Putin siano state efficaci anche nel
settore della Difesa; riorganizzando l’esercito, facendolo
diventare una macchina moderna, efficace e pronta ad eseguire
i compiti che il governo russo e la comunità internazionale
vorrà affidargli, per il mantenimento della pace nel mondo.
di Emanuele Bazzichi
Parigi,
blitz
nel
covo
jihadista
a
Saint-Denis:
donna
kamikaze
si
fa
esplodere / VIDEO
Parigi, 18 novembre 2015 – Blitz
all’alba delle teste di cuoio
francesi nella banlieue SaintDenis, una delle più ‘dure’ di
Parigi.
A condurre la polizia
nel sobborgo un cellulare dei
kamikaze trovato in un cestino
davanti al Bataclan dopo l’attentato del 13 novembre scorso.
Grazie ai dati recuperati dal telefonino le autorità francesi
sono riuscite a localizzare il covo dei terroristi, che stando
ad alcuni sms stavano progettando altri due attentati: uno
alla Defense, zona d’affari nella capitale francese, e un
altro all’aeroporto di Roissy Charles de Gaulle .
Durante il blitz, scattato questa mattina alle
4 e 20 e
terminato alle terminato alle 11.30, sono morti due jihadisti,
tra cui una donna kamikaze che si è fatta saltare in aria
all’interno di un appartamento per non essere catturata.
Le teste di cuoio hanno così passato al setaccio due
appartamenti con l’obbiettivo di trovare Abdelhamid Abaaoud,
28 anni, nato a Molenbeek, ritenuto ‘mente’ delle stragi del
13 novembre. Ma forze dell’ordine e fonti giudiziarie hanno
poi affermato che Abaaoud non è tra gli arrestati.
In un appartamento c’erano sette terroristi, secondo quanto
affermato da Francois Molins, procuratore di Parigi, arrivato
sul posto assieme al ministro dell’Interno, Bernard Cazeneuve.
“Tre terroristi sono stati arrestati – ha detto Molins – una
ragazza si è fatta esplodere, un uomo è stato trovato morto,
colpito da proiettili e bombe. Altre due persone che si
nascondevano fra le macerie sono state arrestate”. “Non
possiamo rivelare l’identità di queste persone – ha detto il
procuratore – solo in funzione degli esami saremo in grado di
farlo prossimamente”.
Tsipras tratta con l’UE, con
lo sguardo verso Mosca
Bruxelles 12 luglio 2015 – “Se tutti vogliono accordo anche
stasera”. Sono queste le parole di Aleksis Tsipras riguardo
all’Eurosummit a 19, tra i paesi dell’Eurozona di domenica 12
luglio. Il raggiungimento di un accordo è però ancora in
salita, infatti il ministro delle finanze tedesco Schaeuble ha
proposto un “grexit” a tempo mentre Francia, Italia e
Lussenburgo hanno criticato la Germania perchè l’uscita
forzata della Grecia causerebbe una frattura troppo grande in
tutta l’Unione Europea. Mentre i ministri delle Finanze
dell’Unione Europea trattano sull’eventuale accettazione del
piano di riforme presentato dal governo ellenico, che
comporterebbe un rinnovo del progetto di aiuti e un possibile
alleggerimento riguardante la restituzione dei debiti, la
cancelliera Merkel si è detta contraria all’accordo ad ogni
costo.
Nel frattempo, la Grecia stringe importanti rapporti con la
Russia di Vladimir Putin. Il ministro greco alle politiche
energetiche Panagiotis Lafazanis ha presentato al governo il
progetto per la costruzione della sezione greca del gasdotto
“Turkish Stream”, un’opera dal valore di 2 miliardi di euro.
Da quanto è stato fatto intendere, la Grecia non interpellerà
l’Unione Europea a riguardo. Per il ministro Lafazanis il
progetto porterà benessere al popolo greco e creerà 20’ooo
nuovi posti di lavoro. Il colosso energetico russo Gazprom ha
dichiarato che attraverso il gasdotto greco transiteranno 47
miliardi di metri cubi di gas all’anno. Il corrispondente
russo di Lafazanis, il ministro Novak, ha dichiarato alla
stampa russa che il governo russo sosterrà la Grecia non
attraverso prestiti, i quali sarebbero troppo gravosi, ma
collaborando con essa, egli ha detto “La Federazione Russa è
intenzionata a sostenere la ricostruzione dell’economia greca
estendendo la cooperazione nel settore energetico. In questo
contesto esaminiamo la possibilità di organizzare forniture
dirette di materie prime energetiche per la Grecia nel
prossimo futuro”.
di Francesco Iacopetti