Elezioni regionali in Francia. Front National al 30
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Elezioni regionali in Francia. Front National al 30
Elezioni regionali in Francia. Front National al 30% Parigi, 6 dicembre 2015 – Boom del Front National alle elezioni regionali in Francia. Il partito di Marine Le Pen e della nipote Marion Le Pen-Marechal, candidate al Nord rispettivamente Pas de Calais e Provenza, Alpi, Costa azzurra, risulta, dai primi dati degli exit poll, il primo partito. Il Front National avrebbe ottenuto il 29,5% dei voti, seguito dai repubblicani di Sarkozy con il 27% e i socialisti di Francois Hollande con il 23%. Per l’ex presidente Sarkozy, il voto sarebbe stato deciso, soprattutto dalla paura e della disperazione dei francesi. Dopo 3 settimane dagli attentati di Parigi infatti, buona parte dei francesi avrebbe riposto le speranze nell’estrema destra della Le Pen. “La Francia rialza la testa. Siamo il primo partito – ha detto la leader del Front National, Marine Le Pen – . E’ un risultato magnifico. Nulla potrà fermare la profonda volontà del popolo”. Al ballottaggio si prospetta un’alleanza di socialisti e repubblicani per ostacolare il FN. di Francesco Iacopetti Aereo russo abbattuto dai turchi, ecco come i ribelli anti-Assad hanno ucciso il pilota / VIDEO Ankara, 25 novembre 2015 – In un video apparso su youtube si vedono diversi ribelli antiAssad sparare in aria con delle mitragliatrici e prendere la mira contro un uomo in paracadute. Secondo chi ha postato il video si tratterebbe proprio del pilota russo del jet abbattuto dai caccia turchi in Siria. Più fortunato il secondo pilota del jet russo: è stato messo in salvo e si trova al momento a Hmeymim, base russa vicino Lattakia, in Sira. ATTENZIONI LE IMMAGINI SONO FORTI: Jet russo abbattuto dalla Turchia, le mosse di Putin Mosca, 26 novembre – Fonti USA fanno sapere che lo sconfinamento del Su-24 russo sarebbe durato 17 secondi, entrando nello spazio aereo turco per una distanza di 2 chilometri. In quel momento un caccia F-16 turco avrebbe sparato un missile, colpendo il jet russo quando questo già si trovava in territorio siriano. Nonostante le scuse del governo di Ankara, lo stato maggiore dell’esercito russo ha annunciato che verranno prese le seguenti misure di sicurezza per proteggere le proprie forze armate in Siria: 1. Dislocamento dell’incrociatore lanciamissili Moskva della flotta del Mar Nero, nel porto di Tartus (Siria) 2. Scorta di caccia armati per tutte le future missioni di bombardamento 3. Dislocamento sul territorio siriano controllato dalle forze armate russe, del sistema missilistico anti-aereo S-400 Triumph. Francia, commando sequestra intera famiglia a Roubaix. In ostaggio anche bambini Parigi, 24 novembre 2015 – Alcuni individui armati a Roubaix , nel nord della Francia, vicino al Belgio hanno preso in ostaggio un gruppo di uomini tra cui dei bambini. Secondo l’emittente I-Tele il commando di uomini “diversi uomini sono asserragliati in una villetta e tengono una famiglia in ostaggio”. “Non si tratterebbe di un atto terroristico ma di un tentativo di rapina finito male“. Il commando avrebbe anche aperto il fuoco contro la polizia con armi da guerra. Aereo da guerra russo abbattuto dalla Turchia, tensione tra Mosca e Ankara / VIDEO Mosca, 24 novembre 2015 – Un Sukhoi-24 russo, impegnato nei bombardamenti in Siria è stato abbattuto dalla Turchia. Secondo la Ankara l’aereo da guerra russo aveva sconfinato nello spazio aereo turco. Mosca ha confermato l’abbattimento, ma ha sottolineato che il Sukhoi-24 è stato colpito mentre si trovava nello spazio aereo siriano a seimila metri di altitudine e non in quello turco. Secondo fonti turche il caccia sarebbe stato abbattuto da due F-16 dell’aviazione di Ankara, mentre per Mosca l’aereo sarebbe stato abbattuto da un missile terra-aria. Il Consiglio del Nord Atlantico – che riunisce i 28 rappresentanti dei Paesi membri della Nato – si riunirà alle 17 ora italiana in seduta straordinaria su richiesta della Turchia: lo hanno reso noto fonti diplomatiche dell’Alleanza, precisando che Ankara vuole informare gli alleati sull’abbattimento del cacciabombardiere russo al confine con la Siria. Il pilota del Sukhoi-24 sarebbe riuscito a paracadutarsi, ma sarebbe stato catturato dai ribelli turcomanni in Siria. In un video apparso sul web ed inviato alla Reuters alcuni ribelli mostrano il corpo senza vita di un pilota. IL VIDEO, L’emittente turca privata ‘Haberturk’ ha subito diffuso il video dell’aereo abbattuto: Catalogna indipendente, Spagna al bivio Barcellona, 22 novembre 2015 – In questi giorni convulsi è passato alquanto in sordina un avvenimento che rischia di creare una crisi istituzionale all’interno dell’UE e che potrebbe stravolgere molti equilibri: il 27 settembre infatti, si sono tenute le elezioni anticipate del parlamento catalano, che hanno confermato al potere la coalizione separatista di Artur Mas (Ciu) con 72 seggi su 135. La vittoria con conferma di Artur Mas apre così una frattura tra il governo centrale di Madrid e la Generalitat de Catalunya, la quale ha annunciato che entro diciotto mesi, la Catalogna concluderà il percorso che la porterà ad essere uno Stato indipendente e sovrano. Ecco la questione catalana a confronto dei nostri due analisti Iacopetti e Di Nino: “Catalogna indipendente, primo verso una nuova idea di Europa” passo di Nicola Iacopetti Partirò da un presupposto “antipatico”: L’arresto di Andreu Viloca, tesoriere del partito di Mas accusato di tangenti, che segue di un paio di anni le accuse a Jordi Pujol, padre dell’indipendentismo catalano, sul possesso di svariate centinaia di milioni di euro depositati su conti offshore, a pochi giorni dal voto sulla “desconnexiò democràtica” nel parlamento catalano, deve far riflettere sulla puntualità di una magistratura che come in Italia siamo abituati a vedere, arriva sempre con precisione svizzera nel cercare metodi “alternativi” per gettare discredito sui partiti che mirano in qualche modo a destabilizzare lo status quo. Stavolta però l’effetto non è stato di quelli sperati, e con 72 voti favorevoli e 63 contrari, il processo di transizione può iniziare. Oltre a ragioni prettamente storiche, l’indipendentismo catalano ha radici che affondano nel tessuto socio economico dell’intera Spagna. Da sola, produce 1/5 della ricchezza nazionale, mentre il PIL pro capite è superiore al resto del paese iberico, in linea con quello di regioni italiane dalla forte spinta autonomistica come il Piemonte. Insomma, una Regione ricca, che ha avuto la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. La crisi economica infatti, oltre a travolgere l’intera economia spagnola, ha avuto grandi ripercussioni anche all’ombra dei Pirenei, dove la disoccupazione è salita al 19,7 % (sempre meno che nel resto del paese dove adesso è attestata al 22,4 %) e per mantenere in piedi struttura ed investimenti, Mas ha chiesto (forse in maniera provocatoria) 5 miliardi di euro al Governo centrale. Possiamo comunque definire l’assetto istituzionale spagnolo come un “regionalismo asimmetrico”, dove non tutte le comunità autonome godono di eguali prerogative. Se lo Statuto del 2006 (che ha sostituito quello del ’79, dopo gli anni di oppressione centralista franchista) ha aumentato la sfera di competenze catalane, non ha però soddisfatto le aspettative di chi si attendeva un nuovo patto fiscale modellato sul sistema dei fueros basco-navarresi. Ai catalani non è andato giù il comportamento dei socialisti di Zapatero, i quali, prima approvarono la richiesta di referendum per l’indipendenza, poi, travolti dalla crisi economica, iniziarono un’opera di allontanamento dalle spinte centrifughe, culminato con il ricorso del PP (allora all’opposizione) alla Corte Costituzionale (a maggioranza di membri di nomina socialista) che di fatto, ha rigettato ogni velleità di separarsi dalla Spagna, né ora, né mai. Ad oggi, le minacce del Premier Rajoy, leader del PP, sull’eventuale sospensione del Fondo de liquidez autonòmica che bloccherebbe di fatto ogni trasferimento a Barcellona, bloccando stipendi statali e forniture, così come il ricorrere all’art.155 della Costituzione che prevede, in casi estremi, la sospensione di ogni autonomia, l’invio dell’esercito ed il passaggio della polizia regionale (Mossos d’Esquadra) sotto controllo del Ministero degli Interni, compreso il ricorrere alle accuse di reato di disobbedienza civile, dimostrano quanto sia grande il timore della Spagna. Certo, con l’indipendenza catalana si aprirebbero scenari economici forse disastrosi per il popolo castigliano e per l’intera zona euro, e probabilmente si aprirebbe un contenzioso sull’ingresso in UE del nuovo Stato (dev’essere avvallato da tutti gli Stati membri, tra cui anche Madrid) così come per ciò che riguarda la qualifica di membro di altre organizzazione internazionali tra cui la Nato, ma la domanda che mi sorge è questa: è mai possibile che ad oggi, un popolo d’Europa (culla della “democrazia”), non abbia il diritto di scegliere con chi e dove stare? Prigionieri di Costituzioni figlie di antiche congiunture storiche, sottomessi a ricatti economici dai governi centralisti, risorse risucchiate nei vari calderoni per affrontare sfide e crisi impreviste, omogeneizzazione culturale, enorme bacino elettorale da cui attingere voti (proprio come fecero i socialisti con le loro false promesse referendarie in Catalogna). Nel nuovo scacchiere globale post sovietico, l’Europa dovrebbe trovare la sua missione, il proprio ruolo guida dell’Occidente in ottica di “Grandi Spazi”, di Grossraum, superando così la crisi del modello westfaliano e dello jus publicum europaeum, partendo proprio dalla disgregazione inevitabile dello Stato ‘moderno’ e da una riorganizzazione per aree omogenee economicamente e culturalmente, da un riassetto federale dell’Europa in grado di dare risposte più convincenti alle varie sfide del Nuovo Millennio. La Catalogna potrà diventare così il primo tassello, verso un’Europa libera, federale, forte e consapevole di sé stessa, della propria identità e delle proprie radici, oggi più che mai messe a rischio della modernità e dalla sua “figliastra”: la globalizzazione. “Il lato oscuro dell’indipendentismo” di Andrea Di Nino Il progetto del presidente catalano Artur Mas è stato chiaro fin da subito. Anzi, no. Il partito di cui è leader da più di dieci anni, Convergència i Unió, ha sempre mantenuto una linea sì identitaria, sì nazionalista, ma mai secessionista. Al punto che lo storico leader catalano Jordi Pujol, che con CiU ha governato la Generalitat dal 1980 al 2003 (!), ha fatto parte dal 1996 al 2000 della coalizione del premier spagnolo di centrodestra Aznar, che dell’unità nazionale ha sempre fatto uno dei fondamenti della sua azione politica e che proprio in queste settimane tuona contro ogni ipotesi scissionistica. Le principali motivazioni addotte da Mas alle sue mire separatiste -oltre a quelle che culturalmente dividerebbero la tradizione catalana da quella castigliana e spagnola- sono soprattutto di stampo economico: la Catalogna è una delle comunità autonome più ricche, dinamiche e produttive della Spagna, e si accusa Madrid di essere troppo rigida nel prelievo fiscale dalle tasche dei catalani. Prelievo fiscale che poi non fa -a detta di CiU- quasi mai ritorno sul territorio sotto forma di investimenti pubblici. I detrattori, molti dei quali tra l’altro catalani, accusano invece Mas di usare l’indipendenza come fantoccio per distrarre l’opinione pubblica dall’ondata di scandali e inchieste che ha travolto la “cupola” catalana, con lui e proprio la famiglia Pujol in testa, che dovranno rispondere di numerose accuse di corruzione e peculato. E’ evidente come la Spagna, a seguito della grave e non ancora smaltita crisi economica del 2008, risulti oggi un Paese con spinte centrifughe rispetto ai valori fondanti della propria democrazia, ovvero il bipartitismo che da sempre la caratterizza e la stabilità delle istituzioni che risalgono alla costituzione del 1978. Queste spinte hanno gonfiato praticamente dal nulla l’impeto di movimenti di protesta (ricordate gli Indignados?) che mirano a un cambiamento radicale, mettendo in discussione i dettami costituzionali, alla cui redazione hanno partecipato i rappresentanti di tutto il popolo spagnolo e che mediante il voto democratico sono stati approvati. In Spagna si parla da anni di crisi della monarchia e di crisi della forma di stato, un regionalismo asimmetrico che garantisce ampie libertà di negoziazione bilaterale a tutte le comunità autonome – e di cui la stessa Catalogna beneficia ampiamente. La verità è che però l’effettivo minimo comune multiplo della protesta sono la disoccupazione, il disagio sociale, la sfiducia nei confronti della politica. In una parola, il malcontento. Negli anni ruggenti della Spagna, una quindicina d’anni a cavallo del 2000, mai infatti si erano messi in discussione i pilastri su cui poggiava la convivenza del Paese: la monarchia, il bipartitismo, le realtà autonome locali. Anzi, lo stesso re Juan Carlos era ritenuto il simbolo di una nazione finalmente pacificata e che non doveva più guardare i partner europei dal basso. Un Paese finalmente normale. Il malcontento, si sa, ha mille sfaccettature, e in virtù del suo carattere meramente negativo e distruttivo risulta facilmente manipolabile: Mas è stato astuto a dirottare quello dei catalani non sulla sua famiglia politica, ma sulle istutizioni di Madrid. A dimostrazione del fatto che l’indipendenza non risulti una priorità per i catalani vi sono i numeri delle ultime elezioni locali, trasformate in un referendum per l’indipendenza dallo stesso Mas: i partiti indipendentisti non hanno raggiunto nemmeno il 50%, e l’attuale presidente in funzione non riesce a trovare una maggioranza parlamentare tale da ottenere la fiducia necessaria a governare. E dire che Mas le sta tentando tutte, liquefando il proprio partito e svendendo posti di potere agli estremisti di sinistra della CUP, che però al momento non sembrano acconsentire alla riproposizione della sua leadership, lasciando la comunità autonoma in uno stallo pericoloso, che rischia di riportarla al voto per la quarta volta negli ultimi cinque anni. Il risultato è una Catalogna divisa socialmente e politicamente, incapace di darsi un governo e un presidente. La prospettiva di una secessione unilaterale dalla Spagna -e quindi dall’Europa, dall’€uro, dalla Nato e dai restanti organismi internazionali- spaventa molti catalani; Mas, di fatto, viola la legge sostenendo di non voler rispettare lo stop impostogli dal tribunale costituzionale: una situazione tesa è quanto di meglio possa ottenere per radicalizzare il dibattito e tentare di portare anche i catalani più moderati con sé. Ma è quanto di peggio possa ottenere la Catalogna, che, senza i fondi di Madrid, domani non sarebbe in grado di pagare autonomamente i propri dipendenti in settori chiave come l’amministrazione pubblica e la sanità. Di fatto la Generalitat è in default, e forse le inchieste su Pujol e Mas sapranno dirci di più in merito. Di certo, nelle attuali situazioni finanziarie non sembra realistico aspirare a maggiori spazi di autonomia, anzi, c’è il rischio che del governo centrale ci sia ancor più bisogno. E inoltre: quanto costerebbe ai catalani, in termini temporali, economici e politici, ristipulare ogni singolo contratto e trattato internazionale? Soprattutto considerando che non è affatto scontato -anzi- il riconoscimento di un nuovo stato catalano da parte di numerosissimi Paesi che subiscono a loro volta spinte autonomiste al loro interno. Si pensi -solo per citare esempi europei- a Francia, Belgio, Germania, Russia, Regno Unito e alla stessa Italia. Nell’Europa dell’inclusione e delle opportunità per tutti, delle differenze e dell’arricchimento reciproco, dell’Erasmus e della libera circolazione, rivendicazioni autonomiste paiono forse fuori dal nostro tempo: anche culturalmente, la diversità altro non può che arricchire quello che è il variegato ecosistema spagnolo. Le culture devono completarsi e valorizzarsi in modo armonico, non conflittuale, altrimenti smettono di essere culture e diventano esasperati etnicismi, diventano rivendicazioni politiche che non rappresentano nessuno se non chi le scandisce. Anche perché, a livello strettamente logico, “c’è sempre qualcuno più puro, che ti epura”: in politica non si sa mai, un giorno Girona potrebbe chiedere la separazione da Barcellona. E allora Mas come potrebbe obiettare? Allarme terrorismo a Bruxelles. Capitale blindata Bruxelles, 22 novembre 2015 – Massimo livello d’allarme a Bruxelles. Aumenta la paura nella capitale belga dove secondo fonti attendibili sarebbe nascosto, forse munito di cintura esplosiva, Salah Abdeslam, ricercato per la strage di Parigi. Alcuni complici e amici di Salah, arrestati proprio a Bruxelles avrebbero prelevato il pericoloso terrorista da Parigi per portarlo in Belgio. A preoccupare ancora di più le autorità sarebbe però la presenza nella città di altri uomini legati allo Stato Islamico, forse dieci, pronti a colpire. Il premier belga Michel ha annunciato la chiusura delle scuole e dalla metropolitana per la giornata di lunedi 23 novembre. Il ministro della Giustizia Koen Geens d’altro canto ha espresso il suo rifiuto a bloccare la città affermando che, sicurezza permettendo, deve essere garantita l’attività lavorativa per non causare danni economici. Intanto sale l’allarme terrorismo anche in Italia, dove sui social network dilagano le minacce al nostro paese e alla capitale, proprio in vista del Giubileo. Anche oggi Papa Francesco ha rilanciato il suo appello alla pace e ha dichiarato che non annullerà il viaggio “a rischio”, previsto nei prossimi giorni in Africa. Perché la Russia ha bisogno di una Siria alleata Latakia, 22 novembre 2015 – Per capire il perché il presidente Vladimir Putin abbia deciso di intervenire militarmente in un teatro bellico drammaticamente difficile come quello siriano, è necessario analizzare la situazione geopolitica del Medio Oriente e della Federazione Russa. Anzitutto la Siria è l’alleato più antico che la Russia abbia nella zona mediorientale dai primi anni 70, tempi in cui governava Hafiz Al-Assad (padre dell’attuale presidente siriano). Sin dall’inizio della guerra civile (giugno 2011) il presidente Bashar Al-Assad ha ricevuto appoggio diplomatico e forniture militari dal governo russo ed è proprio grazie a queste che può ancora giocare un ruolo politico attivo in Siria, visto che la maggior parte delle altre potenze mondiali (fatta eccezione per la Cina) si sono dichiarate favorevoli ad un regime change. In secondo luogo la Siria è un paese con un modesto, ma importante, sbocco sul Mar Mediterraneo. Questo permette il trasporto del prezioso petrolio, di cui il Golfo Persico è ricco, direttamente sulle coste del Mediterraneo, bypassando così il canale di Suez. Inoltre, il porto siriano di Tartus costituisce l’unica base nel Mediterraneo che la marina militare russa può utilizzare. Insomma, con la Siria le forze armate russe perderebbero qualsiasi capacità di operare nel mediterraneo, o quanto meno queste sarebbero pesantemente limitate. Purtroppo per le forze governative siriane la protezione diplomatica e le forniture militari non sono state sufficienti. Le forze ribelli (ISIS, al-Nusra e le forze coalizzate dell’opposizione anti-Assad) con il passare dei mesi hanno preso il controllo della maggior parte del territorio e delle vie di comunicazione, costringendo i governativi in una stretta fascia di terra tra il Libano e la costa. E’ a questo punto che il governo russo decide di inviare mezzi aerei nella base aerea di Lakatia, nell’ovest dellla Siria, per fermare l’avanzata dei ribelli ed evitare la disfatta definitiva delle forze di Assad. L’intervento militare viene giustificato agli occhi del mondo come una lotta contro il terrorismo islamico dell’Islamic State, dando così un fine nobile all’operazione. Con questa mossa Putin ha così rivendicato il ruolo di protettore dell’occidente, dell’Europa e della cristianità. Appare però logico che l’intento di Putin sia quello di riavvicinarsi all’Unione Europea e far revocare le sanzioni economiche che stanno danneggiando l’economia russa, successivamente alla crisi ucraina. Lo schieramento dei russi non è certo imponente. A Latakia vengono schierati per lo più aerei da attacco al suolo: 12 Su-25, 12 Su-24 (equivalente russo del Tornado europeo), più alcuni Su-30, Su-34, droni da ricognizione (mezzi moderni di recente produzione) ed elicotteri d’assalto Mi-24. Da non dimenticare le navi da guerra della Flotta del Mar Caspio e i bombardieri strategici di base nel Caucaso, che sin dall’inizio hanno preso parte all’operazione con il lancio di nuovi missili cruise a lungo raggio. Completano lo schieramento in Siria una squadra dei reparti speciali Spetsnaz e uomini adibiti alla logistica e alla difesa della base. E’ ancora troppo presto per dire se queste forze saranno sufficienti a far prevalere Assad. Molto probabilmente no. Un intervento con la sola aeronautica militare potevano salvarlo, fermando l’avanzata dei ribelli , ma per riconquistare i territori servono tanti uomini (addestrati alla guerra in zona urbana) e mezzi terrestri, che Assad non ha, ed è ancora tutto da vedere se i governi di Russia e degli altri paesi che stanno portano avanti la guerra al terrorismo islamico, avranno veramente il coraggio di introdurre migliaia di soldati in Siria ed prendersi la responsabilità del futuro di questo paese. Ad ogni modo l’intervento russo sta assestando duri colpi alle forze dell’ISIS in Siria e sta dimostrando come le riforme volute dal presidente Putin siano state efficaci anche nel settore della Difesa; riorganizzando l’esercito, facendolo diventare una macchina moderna, efficace e pronta ad eseguire i compiti che il governo russo e la comunità internazionale vorrà affidargli, per il mantenimento della pace nel mondo. di Emanuele Bazzichi Parigi, blitz nel covo jihadista a Saint-Denis: donna kamikaze si fa esplodere / VIDEO Parigi, 18 novembre 2015 – Blitz all’alba delle teste di cuoio francesi nella banlieue SaintDenis, una delle più ‘dure’ di Parigi. A condurre la polizia nel sobborgo un cellulare dei kamikaze trovato in un cestino davanti al Bataclan dopo l’attentato del 13 novembre scorso. Grazie ai dati recuperati dal telefonino le autorità francesi sono riuscite a localizzare il covo dei terroristi, che stando ad alcuni sms stavano progettando altri due attentati: uno alla Defense, zona d’affari nella capitale francese, e un altro all’aeroporto di Roissy Charles de Gaulle . Durante il blitz, scattato questa mattina alle 4 e 20 e terminato alle terminato alle 11.30, sono morti due jihadisti, tra cui una donna kamikaze che si è fatta saltare in aria all’interno di un appartamento per non essere catturata. Le teste di cuoio hanno così passato al setaccio due appartamenti con l’obbiettivo di trovare Abdelhamid Abaaoud, 28 anni, nato a Molenbeek, ritenuto ‘mente’ delle stragi del 13 novembre. Ma forze dell’ordine e fonti giudiziarie hanno poi affermato che Abaaoud non è tra gli arrestati. In un appartamento c’erano sette terroristi, secondo quanto affermato da Francois Molins, procuratore di Parigi, arrivato sul posto assieme al ministro dell’Interno, Bernard Cazeneuve. “Tre terroristi sono stati arrestati – ha detto Molins – una ragazza si è fatta esplodere, un uomo è stato trovato morto, colpito da proiettili e bombe. Altre due persone che si nascondevano fra le macerie sono state arrestate”. “Non possiamo rivelare l’identità di queste persone – ha detto il procuratore – solo in funzione degli esami saremo in grado di farlo prossimamente”. Tsipras tratta con l’UE, con lo sguardo verso Mosca Bruxelles 12 luglio 2015 – “Se tutti vogliono accordo anche stasera”. Sono queste le parole di Aleksis Tsipras riguardo all’Eurosummit a 19, tra i paesi dell’Eurozona di domenica 12 luglio. Il raggiungimento di un accordo è però ancora in salita, infatti il ministro delle finanze tedesco Schaeuble ha proposto un “grexit” a tempo mentre Francia, Italia e Lussenburgo hanno criticato la Germania perchè l’uscita forzata della Grecia causerebbe una frattura troppo grande in tutta l’Unione Europea. Mentre i ministri delle Finanze dell’Unione Europea trattano sull’eventuale accettazione del piano di riforme presentato dal governo ellenico, che comporterebbe un rinnovo del progetto di aiuti e un possibile alleggerimento riguardante la restituzione dei debiti, la cancelliera Merkel si è detta contraria all’accordo ad ogni costo. Nel frattempo, la Grecia stringe importanti rapporti con la Russia di Vladimir Putin. Il ministro greco alle politiche energetiche Panagiotis Lafazanis ha presentato al governo il progetto per la costruzione della sezione greca del gasdotto “Turkish Stream”, un’opera dal valore di 2 miliardi di euro. Da quanto è stato fatto intendere, la Grecia non interpellerà l’Unione Europea a riguardo. Per il ministro Lafazanis il progetto porterà benessere al popolo greco e creerà 20’ooo nuovi posti di lavoro. Il colosso energetico russo Gazprom ha dichiarato che attraverso il gasdotto greco transiteranno 47 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Il corrispondente russo di Lafazanis, il ministro Novak, ha dichiarato alla stampa russa che il governo russo sosterrà la Grecia non attraverso prestiti, i quali sarebbero troppo gravosi, ma collaborando con essa, egli ha detto “La Federazione Russa è intenzionata a sostenere la ricostruzione dell’economia greca estendendo la cooperazione nel settore energetico. In questo contesto esaminiamo la possibilità di organizzare forniture dirette di materie prime energetiche per la Grecia nel prossimo futuro”. di Francesco Iacopetti