Riassunto interventi

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Riassunto interventi
“Comunità alpine” vent’anni dopo.
Percorsi e prospettive di ricerca nelle Alpi,
tra antropologia e storia
Workshop, Mendrisio, 3-4 settembre 2009
Riassunti degli interventi
Jon Mathieu, Transitory and long-lasting differences in the Alps
1) Among the many intellectual merits of Pier Paolo Viazzo’s Upland communities are his
findings about regional diversity in the Alps, and his insistence on methodological
reflexion. Instead of accepting the idea that the Alps should be considered a priori a
homogeneous entity of research because of environmental constraints, he points to a
surprising number of differences between alpine regions. Some of them were
transitory and more superficial, while some were long-lasting and more profound. In
the discussion we could chart the differences according to certain criteria (family forms,
communal structure, mobility patterns, etc), and try to compile a sort of priority list.
Parallel to that empirical exercise, the explanatory models concerning regional diversity
should be listed and compared. One such model which has begun to make an
appearance in social research during the “venti anni dopo” is the model of pathdependent development. To what degree does it help us to understand the captivating
scenery of different structures and trajectories in alpine regions?
2) At the center of the Upland communities are the relationships between environment,
population and social structure and – at the level of scientific disciplines – the contact
zone between anthropology and historical demography. An important starting point for
Pier Paolo’s research strategy and reflection was the work of the Cambridge Group for
the History of Population and Social Structure. The work of that group was also
instrumental for the development for the Eurasian Project on Population and Family
History which stated in the late 1980s and envisaged comparisons over a wide area
from Western Europe to the Far East. To my mind, the Eurasian Project belongs to the
most productive experiments in the field during the “venti anni dopo”, not least
because it had, and still has, to cope seriously with the cultural factor. It would be
interesting to invite an active participant to the project (Michel Oris of Marco Breschi
for example) in order to bring their experience together with the alpine experience of
Pier Paolo before and after 1989.
Alessio Fornasin, Il patrimonio zootecnico della Carnia tra XVIII e XIX secolo
Per tutta l’età moderna, l’economia di molte aree alpine si reggeva principalmente
sull’emigrazione, ma le più importanti risorse del territorio erano il bosco e
l’allevamento. Questi tre diversi aspetti dell’economia convivevano e tra loro si
armonizzavano attraverso una serie di complesse interazioni.
Nel caso della Carnia, l’area che intendo trattare nel mio intervento, il tema
dell’allevamento è di gran lunga il meno studiato. In questo lavoro, propongo una
ricostruzione della entità del patrimonio zootecnico di questo territorio tra la fine
dell’età moderna e i primi decenni dell’Unità per indagare sulle ragioni che possono
aver modificato nel tempo la sua quantità e composizione.
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Nell’ambito della ricerca storica su questo argomento, ricostruire l’evoluzione della
popolazione animale nel tempo non è, però, che uno degli aspetti del problema.
Estendendo la riflessione a tutto l’arco alpino, si può dire che altre e più intricate
questioni rimangono sul tappeto e qui le propongo come possibile tema di discussione:
1) Dal punto di vista economico c’è ancora molto da indagare sulle tecniche di
allevamento, sui prezzi del bestiame, sulla produzione, il commercio e il consumo delle
materie prime di origine animale e sulla produzione, il commercio e il consumo
dell’energia fornita dal bestiame per l’alimentazione, il trasporto e la concimazione.
2) Dal punto di vista demografico, sebbene per alcune aree alpine sia in qualche misura
nota la consistenza del patrimonio zootecnico nel lungo periodo, rimangono pressoché
totalmente oscure le dinamiche della fecondità (come cioè veniva regolata la
riproduzione del bestiame), della mortalità (vale a dire l’età e il momento in cui gli
animali venivano abbattuti) e della migratorietà (in altre parole il commercio – o gli
spostamenti – del bestiame vivo a fini di utilizzazione della forza-lavoro e riproduzione).
3) La questione economica e quella demografica rimandano, direttamente o
indirettamente, al cuore di un più vasto problema storico, ovvero di capire come
l’allevamento, che può essere definito come quella parte dell’economia che si basa
sullo sfruttamento e la regolazione demografica di esseri viventi non umani, possa
sostenersi e perpetuarsi stabilmente nel tempo.
Claudio Lorenzini, Giuseppina Bernardin, Assenti – più o meno – illustri: il bosco. Il
caso delle Alpi orientali
La necessità di considerare i villaggi delle Alpi come ‘ecosistemi’ per meglio
comprendere le interazioni fra caratteri ambientali ed organizzazione sociale, è una
delle prime sollecitazioni che emergono da Comunità alpine; fin dal primo capitolo.
Nel computare le risorse a disposizione delle comunità – le basi materiali sulle quali
poter costruire l’equilibrio con la popolazione – si sommano le poche porzioni di spazi
coltivati, le più ampie aree di prato-pascolo, e le estensioni di pascoli in quota e di
bosco. La vera ricchezza naturale delle Alpi, assieme ai giacimenti minerari (ove ve ne
fossero), sono i boschi e i pascoli. Attorno alla volontà di valorizzazione di queste
risorse, si innervano mobilità di uomini, animali e merci, che hanno costituito parte
rilevante delle economie alpine.
Gli aspetti economici e sociali che si sono sviluppati attorno ai boschi, in Comunità
alpine si intravedono ma non sono stati esplicitati. Come per la “fabbrica di uomini”,
che Viazzo ha così bene rivisto e corretto, anche questo scarto può ricondursi a
Braudel: l’“onnipresenza” del legno, un dato strutturale delle società di antico regime,
ha annullato la possibilità di far emergere la diversa importanza che ha assunto il bosco,
ed il gioco degli scambi che il commercio del legname determina, nelle aree alpine.
Il caso delle Alpi orientali, che sulla spinta propulsiva di Comunità alpine in questi ultimi
due decenni ha riscoperto anche l’importanza del suo bosco nel tempo, si offre come
possibile contributo alla discussione.
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Dionigi Albera, Familles alpines : modèles, typologies, configurations
Dans la discussion consacrée à la sphère domestique, qui occupait un chapitre entier de
Comunità Alpine et débordait aussi sur d’autres parties du livre, Viazzo s’opposait aux
théories, de matrices différentes, qui avaient souligné les avantages adaptifs de la
transmission indivise des patrimoines - et donc de la diffusion de la famille-souche dans la région alpine. L’examen de la littérature disponible lui semblait prouver que,
dans l’ensemble, il n’y avait pas une seule organisation familiale typique des Alpes,
mais qu’on avait affaire à une multiplicité de situations.
En insistant sur cette diversité des solutions, son exploration comparative pointait les
limites de certaines généralisations concernant l’organisation domestique dans les
sociétés de montagne. Elle brossait un portrait à trois visages de l’organisation
domestique à l’échelle des Alpes, en ayant recours à la distinction d’origine le
playsienne entre famille souche, famille communautaire (joint) et famille nucléaire.
Sans prétendre dresser un cadre exhaustif de la répartition de ces formes de famille
dans l’espace alpin, vu l’état encore fragmentaire de la documentation dont il disposait,
Viazzo indiquait cependant certaines divergences entre des ensembles régionaux,
comme celles entre les Alpes orientales, le Valais et les Alpes occidentales. En
prolongeant plusieurs questionnements de Comunità Alpine, l’intervention s’efforcera
de rendre compte des recherches menées depuis sur ces questions et d’esquisser un
regard d’ensemble sur l’organisation domestique alpine.
Anne-Lise Head-König, Les changements structurels dans le monde alpin et leur
impact sur la structure familiale et les formes de prise en charge (milieu 19 e s.- milieu
20e siècle)
Cette contribution a pour objectif d’examiner la lenteur du processus d’ajustement des
sociétés alpines face aux transformations importantes qu’elles ont subies dès la
seconde moitié du 19e siècle jusqu’au milieu du 20e siècle – voire leur incapacité à y
faire face.
La modification des structures économiques, combinée avec l’impact de certains types
d’émigration, a affecté très diversement le monde alpin. Dans les régions
essentiellement agricoles et pastorales, la population restée sur place a été davantage
confrontée à des problèmes de déséquilibres démographiques et socio-économiques.
Démographiques, du fait du vieillissement, de parents «délaissés» du fait de
l’émigration des enfants, etc., socio-économiques: du fait de «laissés pour compte» sur
place souvent moins entreprenants que les membres émigrés de la fratrie, de
rentabilité insuffisante des exploitations et endettement croissant du fait des formes
de transmission, etc. En même temps, on observe dans ces régions une inadéquation
croissante des ressources communales, notamment celles des petites communes, pour
faire face à leurs diverses obligations, la faiblesse des ressources répercutant celle des
familles.
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Je me propose d’examiner les raisons d’un appauvrissement certain de certaines aires
alpines, le rôle qu’a joué souvent l’émigration comme facteur aggravant de
l’appauvrissement de ceux restés sur place en raison de certaines modalités du système
d’assistance et notamment des systèmes d’assistance reposant sur le principe de la
commune d’origine (Heimatprinzip), alors que les attaches au lieu d’origine sont
fortement relâchées les institutions d’assistance susceptibles de se substituer en
partie aux liens familiaux relâchés. Mais, en fait, ce n’est qu’avec l’intervention
d’institutions plus centralisées, cantonales et fédérales, de ratifications de concordats
entre cantons réglant les questions d’assistance de ceux établis hors de leurs
communes et de leurs cantons, d’acceptation de normes de péréquation financière que
la situation des communautés du monde alpin s’améliorera lentement après la
Première Guerre mondiale.
Sandro Guzzi-Heeb, Parentela, politica e trasformazioni sociali (1700-1900): alcune
piste di riflessione
Una delle innovazioni rilevanti nella ricerca degli ultimi 20 anni ha coinciso con la
ridefinizione del ruolo della famiglia o del nucleo famigliare („Household“), e con la
maggiore attenzione prestata ai suoi rapporti mutevoli con reti parentali più estese.
Prendendo spunto dai contributi recenti su questa tematica e da ricerche condotte in
Vallese, il mio contributo si ripropone di riflettere sul ruolo della famiglia e della
parentela nelle trasformazioni politiche e sociali che coinvolgono il mondo alpino fra
Sette e Ottocento.
Il fenomeno, riscontrabile anche nelle comunità alpine, dell’aumento dei matrimoni
consanguinei suggerisce che rapporti più stretti con i parenti abbiano rappresentato
uno strumento essenziale per affrontare le incertezze del cambiamento e abbiano
favorito l’innovazione.
Ma in realtà i modelli di riproduzione della parentela che si riscontrano nelle varie
comunità alpine sono differenti: tale variabilità impone anche una riflessione sul
rapporto fra strutturazione del territorio, organizzazione politica e costruzione della
parentela – allontanandosi da modelli rigidi di ispirazione strutturalista per mettere a
fuoco l’adattabilità a situazioni locali e a contesti politici mutevoli.
D’altro canto, l’analisi dettagliata delle reti sociali nella valle di Bagnes (VS) mette in
luce il ruolo flessibile della parentela, ma anche di fattori largamente trascurati come la
parentela spirituale nella mobilitazione e nell’organizzazione di fazioni politiche e di
ambienti (o “milieux”) socio-culturali differenti.
In sostanza, il mio contributo propone una riflessione sul rapporto fra famiglia e
parentela nei processi di trasformazione, soffermandosi anche sulla trasformazione dei
rapporti fra donne e uomini.
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Corinne Maitte, Différenciations sociales et gestion politique des communautés de
migrants
Ma proposition est un peu en dehors du champ de spécialité « alpine » annoncé par le
workshop, puisque les communautés que j’ai étudiées récemment n’appartiennent pas
à cette aire géographique, mais à l’actuelle Ligurie, ou à Venise (Maitte, 2009).
Néanmoins, ce sont tous les travaux sur les communautés alpines qui ont le plus
nourrie ma recherche et c’est dans ce sens, et surtout parce que l’on peut repérer des
similitudes entre les communautés de montagne, alpines au sens strict ou non
(Fontaine, 2005), que ma participation acquiert sens.
En relation avec les thèmes annoncés par l’appel, mais aussi en complément, il me
semble qu’un thème un peu délaissé, et qui pourtant peut être au carrefour de
questionnements problématiques d’origines différentes, est celui des différenciations
sociales internes et de la gestion politique des communautés. De nombreux travaux ont
montré que les communautés alpines étaient loin de constituer ces « républiques
d’égaux » longtemps imaginées, que les rapports de pouvoir étaient au contraire au
centre de leurs fonctionnements sociaux et économiques. Mais la façon dont les
migrations modifient les structures et les rapports sociaux et politiques restent, selon
moi, à approfondir. Ainsi, l’exemple sans doute « limite » de la communauté de Altare,
spécialisée dans le travail du verre depuis le Moyen Âge et animée par d’intenses
mouvements migratoires au moins depuis le XVe siècle, voit à l’œuvre un processus de
stratification sociale tout à fait intéressant, lié aux migrations et à la gestion politique
de la communauté. En effet, les familles migrantes verrières ont, entre autres, ramené
de leurs contacts avec les gentilshommes verriers français la revendication de leur
appartenance à la noblesse et, quand leur pouvoir économique et politique est remis
en cause dans la communauté, sans doute en relation avec un processus de
développement de la culture des terres, ces familles tentent de réaffirmer un pouvoir
symbolique et politique. De fait, les phénomènes de différenciation sociale
s’accentuent dans la communauté d’Altare à la fin de l’époque moderne. Ils
contribuent à animer une vie politique intense, qui doit également prendre en compte
la politique d’uniformisation et de centralisation menée par l’État piémontais au XVIII e
siècle. Dans le cadre du jeu politique et social local, le travail du verre devient une
source d’identité qui, de professionnelle, se transforme en identité sociale et politique
(nobles et responsables de la communauté), notamment par l’intermédiaire de
l’appartenance corporative. Les responsables piémontais, peu au fait des enjeux locaux,
interviennent constamment, mais de façon peu cohérente, favorisant tantôt l’une ou
l’autre des factions locales avant de supprimer la corporation en 1823, pour tenter de
mettre fin aux conflits politiques incessants qui ravagent la communauté d’Altare.
En partant de cet exemple, il me semble que l’on peut voir comment il faut aborder de
front des problèmes importants trop souvent dissociés. Entre l’histoire économique et
sociale, l’histoire des techniques, l’histoire politique et juridique, l’étude des
communautés migrantes doit rétablir des ponts que les spécialisations excessives ont
tendance à couper.
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Cristina Grasseni, La dimensione identitaria del mondo alpino alla luce della "Tipicità
glocale"
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Anche nell'arco alpino, la dialettica tra globale e locale ha prodotto meccanismi
complessi e non privi di contraddizioni. Soprattutto in riferimento alla costruzione di un
immaginario condiviso della montagna come riserva di "tipicità", anche a usi
commerciali, la costruzione identitaria alpina sembra adattarsi a legislazione, reti di
distribuzione e modelli mediatici standardizzanti, volti a promuovere "strutture di
comune differenza", come ebbe a definirle Richard Wilk (1995).
Il mercato tende a premiare quanto può definirsi biologico o tradizionale (o, nel
migliore dei casi, entrambe le cose, per l’origine certificata delle materie prime, la
naturalità e tradizionalità dei trattamenti e la brevità della filiera), e l'arco alpino
sembra naturale candidato a proporsi come scrigno di questi tesori della diversità. La
diffusione di questa tendenza, tuttavia, ne fa un fenomeno "globale". Lo straordinario
successo di mercato dei prodotti agroalimentari “di nicchia”, in altre parole, conferma
la natura “ossimorica” dei prodotti tipici (Papa, 2002).
Il profondo bisogno di saperi "glocali" (Piero Bassetti, Globus et Locus
www.globusetlocus.org ) si manifesta per esempio nella "reinvenzione del cibo"
(Grasseni, 2007) cioè in operazioni di riscoperta del gusto, di rilettura della storia e del
territorio locale, di rivalorizzazione del patrimonio immateriale. Ma la complessità
dell’attuale sistema agroalimentare richiede di comprenderne gli aspetti economici e
giuridici, e quelli scientifici-produttivi, congiuntamente con quelli culturali e politici. Nel
caso dei prodotti caseari di montagna, come riassume efficacemente Stuart Woolf, “è
evidente che un’economia interamente di autoconsumo non è mai esistita in Europa,
almeno dopo il periodo della preistoria”, e che quindi non avrebbe senso parlare di
transizione dall'una (economia di sussistenza) all'altra (economia di mercato) come se
fossero separate o antitetiche (2002, p. 13).
Tuttavia ha comunque senso interrogarsi su quali siano gli effetti del passaggio “da una
produzione di discreta varietà per consumo soprattutto locale, alla produzione per il
mercato di qualità riconosciuta a livello nazionale e internazionale” (2002: 9).
In particolare, vale la pena enucleare alcuni tra i possibili fili tematici per coglierne le
reciproche interazioni:
la vita sociale dei prodotti tipici (il loro significato simbolico e culturale per clienti,
amici, allevatori, conduttori di aziende, la loro rete di scambio, le vie di trasmissione dei
saperi loro associati);
ripercorrere, analizzandoli criticamente, i passaggi necessari a descrivere la “tecnologia
della localizzazione” (come cambiano ambienti, gesti, routines e protocolli di
produzione nei passaggi di standardizzazione e calibrazione della politica industriale;
l'analisi comparativa delle forme di regolamentazione e formalizzazione dei processi
produttivi;
la costruzione simbolica del cibo attraverso la sua iconizzazione, virtualizzazione e la
ritualizzazione del suo consumo.
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Grasseni, C., 2007 La reinvenzione del cibo. Culture del gusto fra tradizione e globalizzazione ai piedi delle Alpi.
Verona: Qui Edit.
Papa, C. 2002 “Il prodotto tipico come ossimoro: il caso dell’olio extravergine di oliva umbro”, in V. Siniscalchi (a
cura) Frammenti di economie. Ricerche di antropologia economica in Italia. Cosenza: Luigi Pellegrini Editore.
Wilk, R. (1995) "Learning to be local in Belize: global systems of common difference", in D. Miller (ed.) Worlds Apart.
Modernity through the prism of the local, pp. 110-133. London: Routledge.
Woolf, S. 2002. “Introduzione”, in Formaggi e mercati. Economie d’alpeggio in Valle d’Aosta e Haute-Savoie, a cura di
Stuart Woolf e Pier Paolo Viazzo, Aosta, LeChâteau, 2002, pp. 7-15.
Jaro Stacul, Localismo e globabalizzazione nelle Alpi
L'intervento si propone di affrontare il tema della relazione tra localismo e processi di
globalizzazione in area alpina. L'ultimo ventennio ha visto la nascita di numerosi
movimenti regionalisti nella regione alpina che hanno ridimensionato il significato di
riferimento storico e culturale del territorio in risposta alla globalizzazione. Tuttavia, in
che modo le 'ideologie' di tali movimenti sono interpretate da quanti si identificano con
essi, ed in quale misura i valori del localismo di cui molti movimenti regionalisti si fanno
interpreti si contrappongono a quelli del neo-liberismo globale sono domande alle quali
si devono ancora dare delle risposte. Sulla base di dati etnografici raccolti nella valle
trentina del Vanoi negli ultimi quindici anni, l'intervento analizza uno dei paradossi
della dialettica tra locale e globale, vale a dire i modi in cui la 'cultura locale' alimenta la
popolarità del neo-liberismo globale in una valle che deve il proprio impoverimento e
conseguente spopolamento soprattutto ai processi di globalizzazione stessi.
L'intervento si propone quindi come sollecitazione per una riconsiderazione del ruolo
della human agency nel contesto dello studio della 'localizzazione' della globalizzazione
stessa, e soprattutto per uno studio più approfondito dei modi in cui processi a livello
nazionale, sovra-nazionale e globale vengono interpretati dagli attori sociali.
Anne-Marie Granet-Abisset, P.P. Viazzo et la remise en cause du discours normé sur
les sociétés alpines
Les sociétés de montagne ont comme particularité d’être des sociétés sans histoire et
leurs territoires celle d’être des pourvoyeurs d’hommes pour les plaines et les villes.
Pauvres, enclavés, peu soumis aux changements associés à la modernisation
industrielle, ils ne pouvaient que générer un exode rural massif. Ce dernier les a vidés
pour en faire des territoires destinés à d’autres usages : un territoire de jeu pour des
urbains argentés en mal d’air pur.
Tels étaient, sans vraiment forcer le trait, les discours habituels tenus sur les sociétés et
les territoires de montagne à la fois par les scientifiques comme dans le grand public.
Certes le propos est plus nuancé depuis les recherches et les ouvrages qui se sont
succédé depuis une vingtaine d’années. Sur cette question les travaux de P.P. Viazzo
ont été et restent fondamentaux dans la critique précise de cette doxa. Il a en
particulier remis en cause le paradigme alpin tel que résumé plus haut, initié par F.
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Braudel, pour le remplacer par le « paradoxe alpin ». Derrière ce changement de
concept, c’est bien plus qu’un simple intitulé. En effet, en montrant que les territoires
alpins présentent la particularité de garder bien après les villages de plaine des
populations nombreuses alors qu’ils sont particulièrement répulsifs – et le sont
d’autant plus avec les changements du XIXe – il ne remet pas seulement en cause la
notion d’exode rural. C’est toute la conception des migrations mais aussi de
l’organisation économique, sociale et culturelle de ces sociétés qui est analysée.
Je voudrais dans cette table ronde revenir non pas sur ces apports de la recherche,
maintenant acquis dans le milieu des scientifiques travaillant sur les sociétés alpines. Je
voudrais plutôt m’interroger sur le maintien très fort de la doxa et de la norme
descriptive de ces territoires, chez les historiens français et au-delà, dans les récits
portés sur ces sociétés par les outils de vulgarisation (valorisation) de la connaissance.
Un moyen d’ouvrir à la comparaison avec ce qui se passe dans les autres pays de l’arc
alpin et à la discussion sur la force des normes dans la représentation des sociétés et
l’écriture de leur histoire.
Giovanni Kezich, Comunità alpine Premio ITAS 1991: Pier Paolo Viazzo e Mario Rigoni
Stern
Episodio di non poca importanza nella vicenda ventennale di "Comunità alpine" è il
conferimento a Trento, nel 1991, del prestigioso Premio ITAS per la letteratura di
montagna, a cura di una giuria presieduta da Mario Rigoni Stern, il grande scrittore
italiano scomparso nel 2008. Un'analisi a distanza delle motivazioni del Premio rivela
una affinità segreta ma tutt'altro che superficiale tra la prospettiva proposta da Viazzo
con il suo "paradosso alpino" e alcuni dei motivi fondanti dell'opera di Rigoni Stern.
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