Geografia Economica e Politica

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Geografia Economica e Politica
Intervento di Maria Prezioso Tor Vergata TV
I corsi di Geografia economica e politica sono organizzati in cicli di lezioni “a tema”
(moduli) ed è dedicato alla trattazione di alcuni aspetti attuali della più vasta disciplina geograficoeconomica, che hanno come campo di studio i sistemi economici dell’Unione Europea e delle sue
regioni. Si colloca al terzo anno dei corsi di laurea di I livello offrendo una visione interdisciplinare
dell’offerta formativa di base all’interno degli indirizzi CLESAR (5 cfu), CLEM (5/6 cfu),
CLECMT (6 cfu). Il corso prevede lo svolgimento di lezioni di approfondimento per favorire
l’inserimento degli studenti nel mondo del lavoro. Il tutto corredato dall’esame di casi concreti e di
eccellenza per consentire agli studenti frequentanti di misurarsi con l’economia reale del territorio.
In questo ambito vengono anche forniti i primi rudimenti di GIS e per l’utilizzo di alcuni software.
Alcune testimonianze qualificate sono previste durante lo svolgimento del corso.
Il corso di “Geografia economica II - Economia e pianificazione del territorio si colloca al 2° anno
del biennio specialistico tra gli esami a scelta. I temi trattati per moduli generali e specialistici
definiscono un’evoluzione in chiave fortemente interdisciplinare ed operativo/progettuale della
disciplina geografico-economica-politica offerta negli indirizzi de triennio ed del biennio
(propedeuticità obbligatoria). Il corso sviluppa l’interazione territoriale ed economica sulla base di
una metodologia sistemico-qualitativa e secondo i principi della sostenibilità a diverse scale: da
quella europea a quella locale. I temi trattati hanno l’obiettivo di mettere in condizione lo studente
di operare per settori e per problemi, coniugando strumenti economico-finanziari e della
pianificazione urbana e territoriale secondo un modello/brevetto di IV generazione, chiamato
STeMA, sviluppato nell’ambito della ricerca condotta presso questa Facoltà. Un certo spazio viene
inoltre riservato alle tecniche di valutazione (VIA, VAS, TIA), ai piani di marketing territoriale e
per il business plan, alle tecniche di scelta come il benchmarking, ma anche a strumenti e progetti
(Fondi Strutturali) della politica europea per la gestione di territori anche metropolitani policentrici.
Sono previste lezioni specialistiche e seminari con la partecipazione di esperti nei temi trattati.
Premessa: sulla geografia europea
Il processo di “europeizzazione”, leggibile nelle politiche territoriali della Commissione
europea, che per alcuni appare come una sorta di omologazione culturale, deve molto alla ricerca
geografica sviluppata nei vari paesi e regioni dell’Unione. Anche a quella italiana, che, con i suoi
molteplici indirizzi, anche storici, ha concentrato, nel secolo, scorso proposte di indirizzo e
sperimentazioni nell’area mediterranea e sulla città risultate utili anche alla definizione del primo
Schema di Sviluppo Spaziale Europeo (SSSE, 1998).
Con il programma 2000-2006 prima, e con la Territorial Agenda 2007 ora,
l’europeizzazione della ricerca geografica italiana – soprattutto nel confronto con quanto si è
prodotto nel “Pentagono” -, è divenuto un obiettivo molto rilevante e tuttavia “perdente” rispetto
all’attuale background disciplinare, che, con poche eccezioni, ha in parte mancato o disatteso gli
scopi della programmazione 2000-2006.
In quest’ambito la geografia era riuscita a posizionarsi e a esercitare, anche se per poco
(1994-1998), un chiaro governo di indirizzo: essere cioè considerata “scienza” di portata transnazionale per la sua spiccata attitudine al locale (inteso nelle sue molteplici accezioni), mettendo a
disposizione quelle leve fondamentali della ricerca per l'attivazione dello sviluppo economico e
sociale, per l’esercizio, il controllo e la gestione del territorio, con la possibilità di programmare il
suo futuro sviluppo, competitivo e sostenibile.
Per questo, alcune rinunce non erano sembrate eccessive: accettare che “lo spazio”,
indifferenziato ed isomorfo, e non il territorio fosse il nostro dominio di indagine, riducendo con ciò
la distanza tra geografia ed economia regionale; rinunciare ad una visione ed una metodologia
d’indagine sistemica a favore di un più utile e sedimentato approccio funzionalista; ridurre il
numero di variabili, dunque di scale geografiche, in cui operare.
La ricerca europea, sempre più competitiva e “rigida” nell’adozione di parametri di eccellenza
dopo l’allargamento, domanda alle nuove generazioni di geografi di affrontare temi quali la misura
della competitività, della sostenibilità, della convergenza, della cooperazione; in una visione
integrata che prescinde dalle divisioni culturali tipiche del nostro Paese.
L’arte del geografo, esercitata in Europa anche da pianificatori/urbanisti, economisti regionali,
sociologi, statistici economici, econometrici, ha incluso dal 2000 campi applicativi e progettuali
sempre più complessi, come ad esempio quelli che ruotano intorno alla coesione sociale ed
economica, alla cooperazione trans-regionale (Lipsia, 2007), ai modelli di valutazione strategica, a
indicatori di dinamica delle strutture regionali, ai GIS (Dir. INSPIRE, 2007), ecc., in una costante
peer to peer tra ricercatori secondo cui verranno valutati (impact factor) i progressi ottenuti
nell’offrire a stati, regioni, città contributi ad alto valore aggiunto sui temi cruciali delle scelte
politiche 2007-2013.
Accanto a queste macro problematiche, ne compaiono altre, di portata trans-europea, discusse in
altrettanti Congressi e Meeting internazionali (European Regional Science Association – ERSA,
Internationa Union of Geography – IGU, European Spatial Programme Observatory Network ESPON).
In un documento della Commissione delle Comunità europee del 2005 gran parte di questi temi
sono già presenti:
- la politica di coesione – sociale ed economica che avrebbe guidato l’approccio strategico del
periodo 2007-2013 per rinnovare la base della competitività europea (misurata con 3 macro
indicatori: conoscenza, innovazione, ottimizzazione del capitale umano);
- il peso da dare ad una “rinnovata” agenda di Lisbona e Gothenburg nelle politiche nazionali
(PON) e regionali (POR);
- la particolare attenzione da prestare alla domanda dei territori urbani e rurali per rimuoverne
gli ostacoli alla crescita promuovendo un approccio integrato alla politica di coesione
(crescita + occupazione + sociale + ambiente)
- la misura della coesione per lo sviluppo urbano sostenibile da inserire tra le priorità della
dimensione UE dell’allargamento mettendo per questo a disposizione fondi strutturali, per la
coesione, programmi di finanza complessa come JESSICA, JASPER, ecc., per coniugare gli
obiettivi economici, sociali ed ambientali attraverso un’offerta di “buoni” servizi pubblici,
includendo quelli privati, l’interesse dei singoli e della collettività
- l’implementazione delle attuali azioni nelle aree urbane (il documento UrbanAudit di
riferimento esaminava solo 258 città medio-grandi dell’UE a 27), quali risorse strutturali
impiegare (ad esempio in termini di R&S), considerando le città e le aree metropolitane
motori dello sviluppo economico dove gli attori locali giocano un ruolo chiave per
l’occupazione e la crescita.
I nuovi itinerari
Per dare avvio alla nuova fase 2007-2013, si asseverava inizialmente un modello policentrico
europeo sostanzialmente formato da città grandi, medie, piccole (al di là di Londra e Parigi) e che la
competitività (intesa in termini di crescita ed occupazione) potesse realizzarsi solo se tutte le regioni
europee (specialmente quelle ad alta produttività ed elevati tassi di occupazione) avessero fatto
proprio questo modello di città-luoghi/centralità di scambi basati sull’innovazione imprenditoriale e
commerciale.
Poche le voci italiane che hanno confutato questo approccio, rivelatosi ora perdente, perché
basato più su un’intuizione, su una metafora comprensibile dai policy maker, che su una reale
misura dell’esistente.
Tra il 2005 ed il 2007 è valsa comunque la pena essere versus i modelli dominanti la ricerca
geografica europea, cioè parlare in termini territoriali e non spaziali di città, inserendo il termine
sistema urbano-rurale, ad indicare un’organizzazione complessa, sostenuta nelle sue capacità
(diverse) di crescita (meglio sarebbe di sviluppo, cioè di accrescimento progressivo) da un
territorio che ri-comprende, in un’unica dizione, ambiente-economia-società-cultura.
Si è così evidenziato come la politica nazionale ed europea abbiano bisogno di una dimensione
territoriale data da una precisa scala geografica, a cui far corrispondere il livello della governance e
del government più appropriati piuttosto che la sola quantità di popolazione, di PIL, di occupati;
così come si è dimostrato che sostenere lo scambio di best practice che contrastino la
disoccupazione e l’esclusione sociale anche attraendo nuovi investimenti non significa poterle
automaticamente applicare.
Il 2007-2008 si apre con una richiesta precisa ai ricercatori: How making sustainable growth by
social cohesion and environmental quality; ossia come rendere integrate variabili come economia,
ambiente e società per ridurre la povertà, contrastare l’esclusione sociale, evidenziandone la matrice
socio-economica.
Molta geografia italiana – non servono ulteriori aggettivi per identificarla – ha prestato
attenzione a questo quadro in divenire, senza tuttavia esporsi al punto da identificare percorsi
formativi e di ricerca comuni (uno “zoccolo duro” tutto da ricostruire per le nostre generazioni
future) o aderire volontariamente al rinnovamento delineando un processo di integrazione culturale
tra politiche, mezzi di azione e strumenti di tipo non legislativo.
Aumento della conoscenza ed interazione con il locale sono rimasti in questo biennio i punti
fermi connotanti la nostra partecipazione all’arena scientifica europea, finendo per escluderci dal
dibattito/processo che ridisegna il percorso della pianificazione per il miglioramento continuo delle
politiche, delle normative e dei risultati, pur tenendo conto delle specificità regionali e locali.
In quest’ultimo anno, l’Unione ha fissato alcune precise regole che hanno avuto un forte impatto
modificatore sul comportamento delle istituzioni pubbliche di ricerca e sulla concezione della
geografia e sarebbe auspicabile anche per l’Italia acquisire definitivamente queste condizioni,
ridefinendo i propri sistemi di governance interna1.
Tra i programmi più sensibili al contributo geografico, vale la pena ricordare quelli che più
vedono la partecipazione italiana2, dal punto di vista sia istituzionale (coordinamento MIT e MISE)
sia scientifico, come ESPON, Interreg IV B e C, URBACT.
In particolare, l’European Spatial Programme Observatory Network (ESPON) ha messo in
campo 5 “priorità”, che rappresentano altrettanti temi di studio per la geografia italiana, soprattutto
“giovane”:
• Priorità 1: Ricerca applicata sullo sviluppo territoriale, competitività e coesione
• Priorità 2: Targeted analysis basate sulla domanda degli utilizzatori evidenziando in una
prospettiva europea i diversi tipi di territorio
• Priorità 3: Piattaforma scientific e modelli/ indicatori territoriali, dati, modelli analitici e
supporto scientifico
• Priorità 4: Capitalizzazione, proprietà intellettuale e partecipazione/capacità costruttiva,
dialogo e network relazionale
• Priorità 5: Assistenza tecnica, supporto alle analisi e piano di comunicazione
Come Programma operativo, ESPON viene adottato direttamente dalla Commissione europea, e
coinvolge gli stakeholder regionali nella discussione sui risultati della ricerca applicata, tematica e
trasversale:
• Indagine continua sulle nuove fenomenologie emergenti nelle regioni europee
• Individuazione dei principali cambiamenti territoriali e valutazione delle conseguenze in
ambito regionale
• Produzione di un’informazione regionale comparabile e di opzioni di polcy per indurre
effetti tendenziali positivi contrastando quelli negativi
• Supporto alla valutazione d’impatto territoriale (TIA) delle politiche
1
essa ha un senso se è capace di aumentare la partecipazione e la diversità degli attori,, incoraggiare il sistema degli
accordi alla partecipazione allargata alle politiche, ai programmi, ai progetti.
2
Maria Prezioso ha partecipato, nell’ambito della passata programmazione, ai progetti 1.1.2 (Urban-rural), 3.3
(Lisbon/Gothenburg, di cui e stata Lead Partner), 3.4.2 (Economic policies); il Politecnico di Torino ha partecipato ai
progetti 1.1.1 (Polycentricity), 2.3.1 (ESDP), 2.3.2 (Governance).
• Supporto nell’identificazione di sinergie e/o conflitti tra politiche e opportunità di sviluppo
Le prime call hanno riguardato temi cari al nostro background, e messo a disposizione
consistenti finanziamenti di ricerca:
• Cities and urban agglomerations: their functionality and development opportunities for
European competitiveness and cohesion (max 1 Mio. €)
• Development opportunities in different types of rural areas (max 700.000 €)
• Demographic and migratory flows affecting European regions and cities (max 800.000 €)
• Climate change and territorial effects on regions and local economies (max 1Mio. €)
• Effects of rising energy prices on regional competitiveness (max 700.000 €)
• Territorial impact assessment of policies (max 350.000 €)
Altri temi possono essere più agevolmente affrontati all’interno del 7° Programma Quadro. Tra
questi, il policentrismo attraverso le sue due principali componenti:
• morfologica (distribuzione delle aree urbane su un territorio, gerarchia, distribuzione,
dimensione, numero, ecc.)
• delle relazioni tra aree urbane, ad esempio, rete di scambi sulla base della prossimità e
progetti di cooperazione
e forme:
- della distribuzione equilibrata di relazioni complementari tra città (due o più)
- della città dominio urbano
ricordando che le policy sul policentrismo urbano hanno sempre lo scopo di stimolare la
crescita/sviluppo (dimensionale), la divisione equilibrata del lavoro, aumentare i livelli di
cooperazione tra aree urbane.
Un'altra direzione di investimento è rappresentato dai cosiddetti indicatori ed indici di stato,
di correlazione (ad esempio, l’indice di policentrismo correlato al PIL mostra che dove il
policentrismo è più alto la crescita economica è maggiore, come maggiore è l’attenzione alla
sostenibilità e alla diminuzione dei consumi energetici), di sintesi, come pure la revisione delle liste
di indicatori di struttura e/o di performance.
Ulteriori studi possono riguardare alcune variabili sostanziali per stabilire il successo ed il ruolo
(performance) delle aree urbano-rurali in una visione policentrica:
- popolazione, per favorire o limitare gli investimenti nei settori pubblico-privato
- trasporti, per valutare l’accessibilità e la connessione
- turismo
- industrializzazione vs. produttività
- peso del decision-making nel settore pubblico ed in quello privato
- conoscenza
Anche queste linee di ricerca settoriali si rapportano a quelle (composite) relative alle macro
determinanti della competitività, della sostenibilità, della coesione:
- capitale umano
- R&S
- Qualità della vita
- ICT
Si è detto che l’attuale tendenza dell’UE è quella di favorire la cooperazione nella ricerca tra
aree oltre i confini amministrativi, considerando i ricercatori uno strumento di push, ossia di spinta
per la circolazione di modelli cooperativi/competitivi, dal basso, sostenibili.
Per questo, anche il tema della governance è ancora attuale e c’è ancora bisogno di integrarne i
contenuti, pur restando fermi alcuni punti:
- strumento fondamentale per la realizzazione di forme di sviluppo sostenibile;
- strumento per una più ampia relazione con i cittadini e le cittadinanze;
che permettono di cominciare a discutere sul concetto di governance comunitaria, etica entro le
regole,e sui i principi regolatori della sua attuazione.
Paesi extra comunitari, come la Tunisia, si sono fatti portatori proprio attraverso i contributi
geografici di istanze etiche utili soprattutto a scala comunale e provinciale, incentrando il discorso
sulla responsabilità delle cosiddette “collettività pubbliche locali”.
Questo ruolo si accentua con i processi di decentralizzazione, che impongono nuove
responsabilità, accordi sull’autonomia gestionale, controllo di attività che si manifestano come
interessi locali.
Distinte dalle istituzioni, le “collettivita” sono chiamate a razionalizzare i loro interessi, e
per farlo coniugano compliance e governance. Da qui la necessità di nuove regole e strumenti al di
là delle indicazioni comunitarie, utili soprattutto per la gestione di contesti “ostili” (ad esempio, su
come applicare le regole europee in materia di Impatto Ambientale), regolamentando i dispositivi di
controllo messi in atto dalle autorità di tutela.
Anche sui sistemi economici, soprattutto regionali, si sofferma l’attenzione della geografia
europea, per comprendere come, ad esempio, la governance economica urbana e metropolitana sia
un elemento centrale nell’interpretazione dei nuovi processi di regionalizzazione politica
(federalismo) che investono i territori europei. Dunque anche qui si rimanda alla coesione, ritenuta
dai geografi francesi insieme alla governance una specie di “concetto plastico” di derivazione “neoweberiana”, che consente ad una parte degli attori di massimizzare i propri obiettivi. Gli stessi
distinguno tra governance istituzionale, economica, sociale, fiscale, definendola “eterarchica” (cosa
ben diversa dalla multilevel governance).
Questo è ancora più vero nelle aree metropolitane, in cui l’influenza dei livelli nazionali e
regionali rende difficile affrontare in modo “reale” le questioni di sostenibilità e di impatto dei piani
e progetti territoriali, e confusa appare la scala di misura del capitale territoriale sotto l’influenza di
input localizzativi europei (Cfr. il caso di Atene o della Polonia).
Che dire poi, in geografia, dei giusti ruoli da attribuire agli attori che partecipano allo
sviluppo, alcuni dei quali operano a livello sub-comunale (Cfr. il caso della Gran Bretagna), o in un
territorio perturbano, o della relazione tra questo e la spesa pubblica (dunque governance fiscale),
che tra i suoi più recenti effetti ha visto l’avvio di un dibattito sui sussidi e gli sgravi fiscali di tasse
e contributi alle imprese che localizzano le proprie attività economiche in regioni di piccola
dimensione (es. Molise)?
Come non parlare di disparità regionali nella localizzazione roduttiva e nel welfare, secondo
il cosiddetto “footloose capital model” senza tener conto del reddito nominale su cui agire – in
termini intra ed interregionali (territoriali) – per realizzare un processo economico integrato?
In Francia e Belgio restano attuali anche territorial analysis applicate campo della
cosiddetta “ecologcal connettivity” associata alla pianificazione territoriale (es. la regione di
Grenoble e la regione Wallon), dove le autorità locali e regionali agiscono congiuntamente con i
geografi attraverso piani di conservazione e riqualificazione delle aree naturali, integrando in un
unico atto piano, investimenti, regole, gestione, poteri.
Al contrario, si sconsiglia di intraprendere – se non accompagnati - strade di ricerca troppo
“ingegneristiche” come quella della certificazione di qualità dell’azione territoriale ed ambientale
della produzione (ISO 9000:2000; 14000; EMAS), o della Corporate Social Responsability, che
collocherebbero la geografia ad una scala di lavoro aziendale, limitatamente territorializzabile.
Suggerimenti conclusivi
Qual è allora il problema che impedisce alla geografia italiana di essere fattivamente
presente e riconoscibile nell’arena della ricerca europea?
Il momento, cruciale per alcuni versi, obbliga alla sincerità, anche disarmante, se lo scopo di
questo dibattito è rispondere alla domanda perché la Geografia italiana è poco visibile nel contesto
europeo e quali potrebbero essere le linee di indirizzo attraverso cui colmare questo vuoto.
Alla seconda parte del quesito è stato dedicato gran parte dell’intervento. Perché credo che
ricerca significhi prima di tutto mettere a disposizione della comunità scientifica le proprie
conoscenze, senza riserve, affinché ognuno possa, liberamente cercare stimoli da ricondurre,
riconoscendosi, in un ambito proprio di interesse.
Alla prima parte, più politica e dunque insidiosa, riservo i pensieri, le riflessioni, i giudizi
che hanno accompagnato le mie esperienze, a volte incursive, nella ricerca europea.
Le categorie sono molte e certo di seguito saranno presentate disordinatamente, o alcune
sfuggiranno, anche se non per importanza.
Si entra nella rete della ricerca geografica europea per riconoscibilità della propria
appartenenza geografica istituzionale o per avere come riferimento scientifico un leader, un chef
che si sia reso visibile pubblicando a livello internazionale e con un sufficiente impact factor.
Si permane nella rete se si è affidabili, innovativi, collaborativi.
Si cresce nella rete se si ha il coraggio di discutere anche posizioni di rendita acquisita, sul
piano sia dei contenuti, sia dei ruoli. L’umiltà, la generosità, la disponibilità sono doti essenziali.
Questo consente a tutti di dare un po’, senza che nessuno se ne appropri, pervenendo a
prodotti originali e condivisi, da trasferire, disseminare nei diversi contesti.
Si lavora nella rete per sostenere la crescita dei giovani (dottorati, contrattisti), non quella
dei senior, cui è riservata la scelta della metodologia e della validazione dei risultati.
Si opera nella rete con livelli strumentali, tecnologie, cognizioni, dati comuni,
sufficientemente avanzati, certi e certificati. La literature review è solo un punto di partenza, non il
punto di arrivo; il GIS è uno strumento non uno scopo; l’indagine empirica consente la verifica e la
sperimentazione di un metodo di lavoro che accomuna, non marca le differenze; le policy
reccomandations sono per tutti, non per un solo territorio.
I risultati ottenuti in questi anni hanno permesso di affinare un lessico geografico comune
difficilmente riscontrabile al momento in Italia. Molto bisognerà lavorare per crearlo. Così come
molto bisognerà lavorare per ricreare uno “zoccolo duro” e comune della conoscenza geografica
che dia ai ricercatori italiani pari dignità rispetto a quelli europei.
Ma molto bisognerà lavorare perché la geografia ricordi che fare scienza significa anche
ricercare, innovare, brevettare senza dimenticare quanto si è già prodotto. Non per se stessi ma per
una società che ci accoglierà come centrali nel proprio processo di sviluppo solo se sapremo
accompagnarne il cambiamento equilibrato, con il rigore e la fermezza dovuti a chi fa ricerca.
Dedico queste poche note conclusive, con ottimismo e fiducia, alle mie generazioni future.
Per loro, abbiamo l’obbligo morale di vedere un futuro europeo. Per loro dobbiamo mettere a
disposizione le nostre risorse. L’abbiamo fatto attraverso l’AGeI. Io m’impegno a continuare.