Cento di questi giorni Il colonnello Franz sedeva ritto e fiero

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Cento di questi giorni Il colonnello Franz sedeva ritto e fiero
Cento di questi giorni
Il colonnello Franz sedeva ritto e fiero, impettito e altezzoso, senza curarsi delle decine di
persone che lo circondavano. Con la stessa espressione con cui aveva guidato le truppe in
guerra, adesso se ne stava immobile sulla sedia a rotelle nel giorno del suo centesimo
compleanno.
La figlia settantenne, con l’aiuto dei nipoti, era riuscita a fargli indossare l’alta uniforme
degli alpini, che poltriva in un armadio da una remota rimpatriata con gli ex commilitoni,
di quasi vent’anni prima. La divisa gli cadeva male sulle spalle, diventate troppo ossute, e
non si chiudeva a causa del ventre troppo rilassato, ma nel complesso faceva la sua figura.
Il colonnello si era lasciato vestire senza dire niente, e sempre senza dire niente aveva
assistito alla processione di figli, nipoti, pronipoti e progenie varia; d’altronde erano anni
che il vecchio militare non pronunciava parola, non si muoveva e si limitava a vegetare,
come deluso perché la morte si era dimenticata di lui.
Con quel convitato di pietra a capotavola, la festa si era trascinata sui binari della blanda
convivialità: chiacchiere di circostanza tra gruppetti annoiati e variamente assortiti. A
spezzare l’imbarazzo arrivò un cesto di vini, omaggio di un’associazione di alpini.
Gli invitati si spartirono le bottiglie, i tappi saltarono uno via l’altro. Unica superstite, una
bottiglia di Merlot finì sotto il naso del colonnello; nessuno si accorse dell’insolito languore
che si impossessò degli occhi del centenario, e nessuno si chiese a cosa fosse dovuto.
Peccato, perché in quel momento un ricordo emerse nella mente del colonnello,
solitamente immemore del passato, disinteressata del presente e incurante del futuro.
Il ricordo del primo giorno negli alpini: una schiera di giovani rubizzi ed euforici che
festeggiavano la nuova vita con la piuma sul cappello, tra carne e cibi montanari innaffiati
da fiumi di vino. Assieme alle reclute, i commilitoni più anziani approfittavano
dell’occasione per una sana bevuta: un alpino può bere fino allo stordimento, ma nessuno
lo chiamerà mai ubriaco.
Tuttavia il giovane Franz, lungi dal conquistare i gradi, sedeva in disparte alle prese con un
segreto inconfessabile: nonostante avesse voluto con tutto il cuore far parte degli alpini,
non poteva partecipare a quel rito iniziatico perché era astemio.
Fino a quel momento aveva solo finto di bere i bicchieri che gli avevano offerto ma la
sceneggiata non poteva durare a lungo, man mano che i compagni diventavano alticci e il
vino rosso aveva ormai surclassato in proporzioni il cibo.
Poi un alpino più anziano, un reduce della Grande Guerra, si andò a sedere vicino a lui e gli
porse una bottiglia.
«È un Merlot, per me è il re dei vini rossi» gli disse, come se fossero vecchi confidenti.
Incurante della confusione che li circondava, aprì la bottiglia e la svuotò in una coppa ben
diversa dai bicchieri usati dagli altri. Fece decantare il liquido rosso lucente soppesando il
calice a mezz’aria, lo avvicinò al naso di Franz e a questi sembrò la cosa più naturale del
mondo mandarne giù un sorso, poi un altro e un altro ancora.
In quel momento Franz capì che saper bere è una cosa che va insegnata. Fin quando fece
parte del corpo degli alpini, si prese l’incarico di educare le nuove reclute, ereditando il
compito da quell’ignoto reduce che mai più avrebbe rivisto.
Intorno a lui la festa continuava, ma tutti si bloccarono quando il colonnello si allungò
verso la bottiglia e versò con mano ferma il Merlot nel suo bicchiere ancora intatto. Poi,
prima che gli altri si riprendessero dalla sorpresa, lo mandò giù augurando a se stesso
cento di questi giorni.