alla ricerca di colui che ti cerca

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MONS. VINCENZO BERTOLONE
ALLA RICERCA DI COLUI CHE TI CERCA
LETTERA PASTORALE
PER L’ANNO PASTORALE 2008-2009
INTRODUZIONE
Ai carissimi presbiteri, religiosi, religiose, consacrati e laici della Santa Chiesa di
Dio che è in Cassano All’Ionio, amati da Dio Padre in Cristo e nello Spirito, salute e
benedizione nel Signore!
Dal Vangelo secondo Giovanni (4, 5-42)
« 5In quel tempo, il Signore giunse ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina
al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6qui c’era il pozzo di
Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso
mezzogiorno. 7Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse
Gesù: “Dammi da bere”. 8I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista
di cibi. 9Ma la Samaritana gli disse: “Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a
me, che sono una donna samaritana?”. I Giudei infatti non mantengono buone
relazioni con i Samaritani. 10Gesù le rispose: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi
è colui che ti dice: «Dammi da bere!», tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti
avrebbe dato acqua viva”. 11Gli disse la donna: “Signore, tu non hai un mezzo per
attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? 12Sei tu forse
più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i
suoi figli e il suo gregge?”. 13Rispose Gesù: “Chiunque beve di quest’acqua avrà di
nuovo sete; 14ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi,
l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita
eterna”. 15“Signore, gli disse la donna, dammi di quest’acqua, perché non abbia più
sete e non continui a venire qui ad attingere acqua”. 16Le disse: “Va a chiamare tuo
marito e poi ritorna qui”. 17Rispose la donna: “Non ho marito”. Le disse Gesù:
“Hai detto bene «non ho marito»; 18infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai
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ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero”. 19Gli replicò la donna: “Signore,
vedo che tu sei un profeta. 20I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e
voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare”. 21Gesù le dice:
“Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme
adorerete il Padre. 22Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che
conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23Ma è giunto il momento, ed è
questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il
Padre cerca tali adoratori. 24Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo
in spirito e verità”. 25Gli rispose la donna: “So che deve venire il Messia (cioè il
Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa”. 26Le disse Gesù: “Sono io, che
ti parlo”. 27In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse
a discorrere con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: “Che desideri? “, o: “Perché
parli con lei?”. 28La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente:
29“Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il
Messia?”. 30Uscirono allora dalla città e andavano da lui. 31Intanto i discepoli lo
pregavano: “Rabbì, mangia”. 32Ma egli rispose: “Ho da mangiare un cibo che voi
non conoscete”. 33E i discepoli si domandavano l’un l’altro: “Qualcuno forse gli ha
portato da mangiare?”. 34Gesù disse loro: “Mio cibo è fare la volontà di colui che
mi ha mandato e compiere la sua opera. 35Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi
e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che
già biondeggiano per la mietitura. 36E chi miete riceve salario e raccoglie frutto per
la vita eterna, perché ne goda insieme chi semina e chi miete. 37Qui infatti si realizza
il detto: uno semina e uno miete. 38Io vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete
lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro”. 39Molti
Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna che
dichiarava: “Mi ha detto tutto quello che ho fatto”. 40E quando i Samaritani
giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni.
41Molti di più credettero per la sua parola 42e dicevano alla donna: “Non è più per
la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che
questi è veramente il salvatore del mondo”».
1. Ho scelto di aprire la Lettera Pastorale per l’anno 2008-2009 con questo
brano di Giovanni perché mi pare che descriva molto bene la condizione dell’uomo
contemporaneo ed anche perché ci indica come possiamo attingere luce e come
incontrare ed annunciare Gesù Cristo, Verità, Via e Vita.
Siamo chiamati a fare sempre nuovi incontri con Cristo e a “giocare” su di Lui
la nostra vita, sia come singoli individui che come comunità ecclesiale consapevoli,
come ci ricorda Agostino, che «Non lo cercheresti, se Egli no ti avesse cercato per
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primo. Più lo trovi e più il desiderio di cercarlo si fa cocente. Più lo trovi e più lo
cerchi. Lo trovi solo per cercarlo più avidamente»1.
Sono certo, infatti, che il Signore sa ancora stupirci con la sua fedeltà e con
le sue sorprese: «Ecco, faccio una cosa nuova. Non ve ne accorgete?» (Is 43,19).
La nostra fede, d’altronde, ha il privilegio di essere sorretta da una
straordinaria consapevolezza: la salvezza ci viene da Dio per mezzo di Gesù Cristo.
2. Tuttavia, può risultare difficile comprendere e, quindi, accogliere questa
“lieta notizia” in un contesto socio-culturale come il nostro. Infatti, il discorso su
Gesù che la Chiesa propone spazia su uno scenario mondiale, minato dalla crisi di
grandi sistemi ideologici e di valori, dalla rinuncia al senso delle cose,
dall’affievolimento della passione per la verità, dallo scandalo della povertà, da
immensi problemi legati alla nascita ed alle biotecnologie, e molto altro ancora.
Nonostante ciò, si percepisce per fortuna anche la “nostalgia del totalmente Altro”,
per cui alcuni anelano ad essere “mendicanti del cielo”, secondo la bella metafora di
Jaques Maritain.
Rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto, noi siamo costretti a
vivere con un ritmo frenetico che spesso non consente di comprendere quanto accade
intorno a noi e, perciò, di interiorizzare nuovi e coerenti stili e di pensare ai valori
eterni. La Chiesa non sfugge a questo incedere quasi forsennato, concausa di una
condizione esistenziale che soffre per l’impoverimento dei valori di una volta2. La
cultura occidentale, come affermava Giovanni Paolo II3, non ha più interesse –
sembra - a intrattenere buoni rapporti con la verità, con gli storici e grandi dilemmi
etici, sul senso della sofferenza, del sacrificio, della vita e della morte. Tanto
materialismo, insomma, che soffoca la spiritualità.
Dovendo analizzare questa crisi notiamo che una delle sue cause è l’eclissi
del sacro. Circa sessant’anni fa, Simone Weil affermava che «il presente è uno di quei
periodi in cui svanisce quanto normalmente sembra costituire una ragione di vita e,
se non si vuole sprofondare nello smarrimento o nell’incoscienza, tutto va rimesso in
questione. Viviamo un’epoca priva di avvenire. L’attesa di ciò che verrà non è più
speranza, ma angoscia»4. Sergio Quinzio registrava che «l’aria che respira l’uomo
contemporaneo presenta tracce minime di religione. La filosofia è lontana mille
miglia dall’attribuire un senso all’assoluto delle antiche metafisiche, o anche
1
S. AGOSTINO, Commento al Vangelo di Giovanni, 63,1, Ed. Città Nuova, Roma 1968, 1129. Cfr. anche De Trin 15,1,
dove si trovano, in più, due aggettivi preziosi: dulcius e avidius: «Dio lo si cerca per trovarlo con più dolcezza, lo si
trova per cercarlo con più ardore»; cfr. anche Conf. XI, 2.4.
2
Cf. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, Orientamenti pastorali
dell’Episcopato italiano per il primo decennio del Duemila, 41, Edizioni Paoline, Milano, 2001.
3
GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Fides et ratio (14.9.1998), 90: EV,17/1366.
4
S. WEIL, Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale, Editrice Adelphi, Milano 1994, 11.
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soltanto alla sua ricerca»5. È lo sbocco obbligato delle premesse e delle varie tappe
del processo concluso nel secolo appena trascorso. «Non essendovi nulla di durevole,
viene meno il fondamento della vita storica, cioè la fiducia, in tutte le sue forme»6 ha
sintetizzato Dietrich Bonhoeffer.
La nostra è una società culturalmente frammentata in cui chiunque voglia
presentare dottrine di verità assoluta viene bollato come fondamentalista, ostile alla
cultura ed al progresso scientifico. Questa è cecità: l’uomo non può riporre nella
scienza e nella tecnologia una fiducia talmente incondizionata da credere che il
progresso possa spiegare qualsiasi cosa e rispondere pienamente a tutti i suoi bisogni
esistenziali, spirituali ed alle domande più radicali sul significato della vita e della
morte, sui valori ultimi e sulla natura stessa del progresso.
Faccio mio il concetto di Ludwig Wittgenstein: «Noi sentiamo che anche
una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta, i nostri
problemi vitali non sono ancora neppure toccati»7.
Però, per grazia di Dio, accanto e dentro questa realtà che mina il
cuore e i fondamenti della fede cristiana, si registra una sorta di risveglio della fede,
si colgono aspirazioni di ricerca della verità, del bene e segni di sincero bisogno di
spiritualità, di sacro, di preghiera. Molti, specie nel mondo giovanile, come ci
testimoniano le giornate mondiali della gioventù, ricercano punti di riferimento,
ragioni di vita, di speranza. E scoprono la Parola di Cristo.
Giovanni Paolo II lo aveva detto con estrema chiarezza: «Non ci
seduce certo la prospettiva, ingenua, che di fronte alle grandi sfide del nostro
tempo possa esserci una formula magica. No, non una formula ci salverà, ma
una Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi! » 8.
Il Cardinale Joseph Ratzinger - nell’omelia della Messa Pro eligendo
Romano Pontifice, del 18 aprile 2005 – ribadiva che è solo «il Figlio di Dio, il
vero uomo: è Lui la misura del vero umanesimo». Per questo siamo chiamati
ad arrivare alla «misura della pienezza di Cristo per essere realmente adulti
nella fede: adulta non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima
novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con
Cristo»9.
Alla cultura nichilista della società, la Chiesa deve contrapporre
l’Annuncio, il Vangelo dell’amore, della misericordia, della compassione. Deve
additare Cristo Verità, Via e Vita.
5
S. QUINZIO, Religione e futuro, Adelphi, Milano 2001, 13.
D. BONHOEFFER, Etica, a cura di E. Bethge, Milano 1969, 91.
7
L.WITTGENSTEIN, L’Osservatore Romano, 1-2 settembre 2008, 5.
8
GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte, n. 29, (6.1.2001), EV, 20/57-58.
9
Parole di Benedetto. La visione della Chiesa e del mondo negli interventi di J.Ratzinger, Ancora, Milano 2005, 26.
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3. Nella “liquidità”10 di questo nostro contesto socio-culturale, fatto di
sempre nuovi bisogni da soddisfare, ma mai appagati totalmente, la Chiesa continua a
ripetere l’unico messaggio capace di soddisfare pienamente ogni desiderio ed ogni
attesa: Surrexit Christus Spes mea! Cristo, mia (e nostra) Speranza è Risorto!
«Egli è nato, è morto, è risorto per noi; Egli è il centro della storia e del
mondo; Egli è Colui che ci conosce e che ci ama; Egli è il compagno e l’amico della
nostra vita; Egli è l’uomo del dolore e della speranza; è Colui che deve venire e che
deve un giorno essere il nostro giudice e, noi speriamo, la pienezza eterna della
nostra esistenza, la nostra felicità. Io non finirei più di parlare di Lui: Egli è la luce,
è la verità, anzi: Egli è “la via, la verità e la vita” (Gv 14, 6)»11.
Ciò rafforza la mia certezza che Gesù è quanto mai in grado di dare agli
uomini le uniche risposte ai loro interrogativi esistenziali. Da qui la necessità di un
discorso “cristologico” che sia in grado di mettere nella giusta luce la pretesa
salvifica universale di Cristo12.
4. Echeggiano quanto mai valide le parole di Paolo VI: «Cristo è il nostro
liberatore. Cristo ci è necessario, per essere uomini degni e veri nell’ordine
temporale, e uomini salvati ed elevati all’ordine soprannaturale. Qui si presentano
molte domande, che travagliano il nostro tempo, e che io immagino siano presenti
anche nel vostro spirito. Le domande sono: può Cristo essere davvero utile anche per
risolvere i problemi pratici e concreti della vita presente? Non ha Egli detto che il
suo regno non è di questo mondo? Che cosa può fare Egli per noi? Può cioè il
cristianesimo generare un vero umanesimo? Può la concezione cristiana della vita
ispirare un vero rinnovamento sociale? Può essa accordarsi con le esigenze della
vita moderna, e favorire il progresso e il benessere per tutti?»13.
5. Alla luce di quanto sopra accennato e facendo seguito al Convegno “La
Parola della Vita” dello scorso novembre 2007, alla mia prima Lettera Pastorale
“Sulla Tua Parola”, all’Instrumentum laboris, che ho consegnato alla diocesi il giorno
6 settembre u.s. in occasione della Celebrazione inaugurale del nuovo anno pastorale
e come preparazione al Convegno “Il Volto di Cristo: Verità, Via, Vita”, del 26-27
settembre 2008, desidero fornirvi un ulteriore strumento per la riflessione personale e
comunitaria.
Sulla salda roccia della nostra fede che è Cristo dobbiamo edificare le
nostre comunità e, in definitiva, tutta la nostra pastorale diocesana. Anzi, è Cristo il
nostro “piano pastorale” perché «in lui (il Padre) ci ha scelti prima della creazione
10
È l’ormai famosa definizione del sociologo polacco Baumann (che da diverso tempo risiede a Londra) a proposito
della postmodernità. Mentre ciò che afferisce alla civiltà industriale è “solido”, la stessa società entrando nella fase
postindustriale (e postmoderna) diventa “liquida”, cfr. Vita liquida, Editori Laterza Roma-Bari, 2005.
11
PAOLO VI, Omelia al «Quezon Circle», Manila, 29 novembre 1970, cit. da Osservatore Romano del 30.11.1970.
12
M. BORDONI, Gesù di Nazaret. Presenza, Memoria, Attesa, Queriniana, Brescia 1991, 7.
13
PAOLO VI, Omelia al «Quezon Circle», cit.
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del mondo per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci
ad essere suoi figli adottivi» (Ef 1,4-5).
Auspicherei che questa Lettera Pastorale vada sì nelle mani degli “addetti ai
lavori” (sacerdoti, suore, laici impegnati), ma anche in altre innumerevoli mani,
magari di chi non condivide la nostra fede o di chi attualmente ne è lontano. Oso
sperare, comunque, che tutti ne traggano motivo di riflessione e aderire sempre più a
Gesù Cristo, specialmente dopo le pubblicazioni spesso faziose e sensazionalistiche
degli ultimi tempi e di questi giorni. Chissà che dopo la serena lettura di queste mie
briciole di catechesi non si sentano interpellati ed indotti , come la samaritana, ad un
meditato ed obiettivo riesame delle loro posizioni affascinati dalla luce del bel Volto
del Figlio di Dio.
In questa mia seconda Lettera, perciò, offrirò alcune riflessioni sul mistero
di Cristo “Verità, Via,Vita”. Essa consta di tre capitoli.
Nel primo, “Gesù Cristo, la nostra Verità”, dopo una breve riflessione sulla
Rivelazione, saranno presentate alcune tracce circa l’efficacia del nostro annuncio.
Nel secondo, “Gesù Cristo, la nostra Via”, elaborerò delle indicazioni
etiche a partire dal mistero di Cristo.
Nell’ultimo, “Gesù Cristo, la nostra Vita”, offro alcune riflessioni sulla vita
nuova in Cristo, alimentata dai Sacramenti e in particolare dall’Eucaristia.
Lo studioso protestante Adolf von Harnack, nella sua Essenza del
Cristianesimo, cita una frase di John Stuart Mill ed osserva: «Non si ricorda mai
abbastanza all’umanità che un tempo visse un uomo di nome Socrate» (…). È vero,
ma è anche più importante ricordare agli uomini che un tempo visse tra loro un
uomo di nome Gesù Cristo»14.
«È solo Gesù Cristo che dobbiamo presentare al mondo. Fuori di ciò non
avremmo nessuna ragione di parlare: non saremmo, del resto, per la nostra
incapacità, neppure ascoltati» sospirò Papa Luciani al Cardinale Gantin la sera del
28 settembre 1978, poche ore prima di morire. Parole che bene esprimono lo spirito
di questa Lettera Pastorale, che vi propongo come un modesto contributo, offerto con
spirito “bocconista”: spero aiuti tutti ad innamorarci sempre più del Signore Gesù,
nostra verità, nostra via e nostra vita.
14
A. VON HARNACK, Das Wesen des Christentums, Stuttgart 1964 (1900), 15, tr. It. L’essenza del Cristianesimo,
Queriniana, Brescia 2003.
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CAPITOLO PRIMO
GESÙ CRISTO LA NOSTRA VERITÀ
6. «Dove mai si vada chi lo sa? Difficilmente si ricorda perfino donde si sia
venuti». I versi di Goethe esprimono bene il sentimento di incertezza, di dubbio, a
volte di angoscia, che attraversa l’uomo nel suo peregrinare per le strade del mondo e
della storia. Al tempo stesso, racchiudono il desiderio sottile e struggente di sapere
dove queste vie conducano.
È strano che Gesù passasse dalla Galilea alla Giudea attraverso la
15
Samaria (regione montuosa, difficile da attraversare per un giudeo) e non per la
strada lungo il Giordano, molto più comoda e praticabile. Inoltre, c’era una profonda
ostilità tra i samaritani, considerati eretici, scomunicati dai Giudei.
Quella volta Gesù passò per la Samaria, e fece tappa a Sicàr (forse l’antica
Sichene), dove c’era il pozzo di Giacobbe, molto importante per la tradizione ebraica,
tanto che i samaritani, nelle adiacenze, sul monte Garizim vi avevano costruito un
tempio, quasi in concorrenza a quello di Gerusalemme.
Al pozzo, luogo tradizionale per gli incontri e le conversazioni (Gen 24,1027; 29,1-14)16, Gesù trova una donna del luogo. Partendo dal bisogno di bere (la sete)
fa in modo che la donna si senta interpellata. Gesù si fa bisognoso di lei, l’aiuta ad
entrare nel Mistero e le si rivela come il Messia.
L’incontro avviene a mezzogiorno, ora insolita in medio Oriente, dove il
sole picchia martellate tremende e la gente preferisce starsene a casa. Ma
mezzogiorno, nella teologia giovannea, annuncia il momento della luce piena, la
rivelazione della luce al massimo del suo ardore che preannuncia il tempo della piena
Rivelazione, destinata a fugare il buio della vita della samaritana. Nella circostanza
Gesù infrange un’altra barriera: era disdicevole, infatti, per un “Rabbi” interpellare
per strada una donna. Cristo, maestro di libertà, infrange tranquillamente queste
regole codificate da secoli di discriminazione e le chiede da bere, con semplicità,
senza formalismi. Dice don Mazzolari: «Il cerimoniale non ha senso nel vangelo.
Deve cominciare chi ama di più»17. L’amore è quel “quid” che rende pregnante la
nostra esistenza ed è solo tramite il mistero dell’amore che ci si accosta al mistero
della verità.
15
La Samaria, in verità, era parte, con Giudea e Galilea, della «terra promessa» ad Israele e occupata dal popolo eletto
al suo arrivo in Palestina (1200-1000 a.C.). In seguito, però, i samaritani, conquistati da altri popoli, tra cui gli Assiri
(721 a.C.), avevano perso la purezza della loro fede, adorando gli dei pagani..
16
Al pozzo di Nacor avviene l’incontro di Rebecca, futura moglie di Isacco (Gn 24,1-27), come presso un pozzo nel
paese di Madian avviene l’incontro di Mosé con Zippora, che diventerà sua moglie (Es 2, 16-22). Nel libro della Genesi
si narra che Giacobbe, al ritorno dalla Mesopotamia ove aveva prestato servizio presso lo zio Labano, giunto a Sichem,
nel cuore della terra promessa, “aveva eretto un altare e fatto scavare un pozzo per bere lui coi suoi figli e il suo
gregge”. Anche l’incontro di Giacobbe con la sua futura sposa, Rachele, avviene presso un pozzo (Gen 29, 1-6).
17
P. MAZZOLARI, Discorsi, EDB, Bologna 1978, 776.
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Gesù porta il discorso sulla vera sete dell’uomo, che non è quella delle cose
terrene, ma quella che disseta il cuore dell’uomo.
Ci vuole un’altra acqua, un’altra felicità più piena. Thomas Eliot, osservava
che «il cristianesimo è la via che conduce al possesso di ciò che spesso cerchiamo
nel posto sbagliato»18.
«Gesù si rivela alla donna progressivamente, prima come giudeo, poi come
profeta, quindi come il Cristo. La conduce di gradino in gradino fino al livello più
alto, affinché possa scorgere in lui dapprima un giudeo assetato, poi un profeta e
infine il Messia.
Essa persuase colui che aveva sete, ebbe il giudeo in avversione, interrogò il
saggio, fu corretta dal profeta e adorò il Cristo»19.
La Samaritana da “cercatrice” della verità diviene “missionaria” al punto
che può essere considerata come un esempio perfetto dell’evangelizzatore. Quelli che
crederanno, infatti, spinti dal suo annuncio arriveranno a dire: «Non è più per la tua
parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi
è veramente il salvatore del mondo» (Gv 4,42)20.
7. Ogni uomo, credente o non, è un “inguaribile” ricercatore della verità.
Però non tutte quelle che vengono proposte come tali sono autentiche verità. La
ricerca della verità si apre, inevitabilmente, ad un’istanza religiosa: è una prima
vocatio ad credendum. Nell’enciclica Fides et ratio, il Servo di Dio Giovanni Paolo
II scriveva: «L’uomo, essere che cerca la verità, è dunque anche colui che vive di
credenza»21.
La profondità del tema della verità, che ho già definito mistero, potrebbe
indurre a pensare che stiamo per intraprendere un viaggio per il “mondo delle
nuvole”. Non è così: diversamente dalle apparenze, l’argomento in discussione non
appartiene al dominio dell’astrattezza o dell’astrazione22: la verità non è un bel cesto
di idee e progetti, ma è una vita in cammino. Tanto è vero che gli uomini possono
pure straparlare di verità e poi avere le armi in pugno.
La Rivelazione cristiana proclama che la verità sta in primo luogo in una
Persona: nel Signore Gesù Cristo. La verità della Rivelazione non è solo il risultato
dello sforzo intellettuale dell’uomo, ma è essenzialmente l’azione di Dio che si
manifesta pienamente in Gesù.
18
Cfr. T.S. ELIOT, Cori da “La Rocca”, “I libri dello spirito cristiano” Rizzoli, Milano 1994.,15.
S. EFREM SIRO, Diatessaron, 12,16-18.
20
Mi piace richiamare ancora la splendida espressione di sant’Agostino: «Tu non mi cercheresti se non mi avessi già
trovato» in Le confessioni, Libro IX, 21,15.
21
GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Fides et ratio, 3: EV, 17/1239.
22
P. CODA – E. SEVERINO, La verità e il Nulla. Il rischio della libertà, Edizioni San Paolo, Milano 2000, 22.
19
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«Nel mistero di Gesù Cristo, Figlio di Dio incarnato, il quale è la via, la
verità e la vita (Gv 14,6), si dà la rivelazione della pienezza della verità divina:
nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio
e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare (Mt 11,27); Dio nessuno l’ha mai visto:
proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato (Gv 1,18); è in
Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità e voi avete in lui parte
alla sua pienezza (Col 2,9-10)»23.
L’atteggiamento moderno nei confronti della verità attinge le proprie origini
nel confronto drammatico tra Pilato e Gesù: «Che cos’è la verità?» (Gv 18,38).
Chi con la propria vita, con la parola e con l’azione afferma di essere al servizio della
verità, deve essere preparato a venir classificato come sognatore o come fanatico24.
«Ben lo avevano compreso i Medioevali, che, anagrammando il latino “Quid est
veritas?”, vi coglievano l’indicazione del paradosso: “Est vir qui adest”. È Lui in
persona la verità. (…) La verità non è più qualcosa da possedere, quanto piuttosto
Qualcuno, che appella alla sequela con radicalità assoluta: “Io sono la via, la verità
e la vita” (Gv 14,6). Nel Verbo fatto carne la fede riconosce l’irruzione dell’Altro,
l’affacciarsi del Silenzio nella Parola abbandonata fino al supremo grido dell’ora
nona, l’estasi non dell’io, ma di Dio, e precisamente del Dio vivente innamorato
della Sua creatura. (…) Questa concezione della verità, per cui essa è irruzione del
Tutto nel frammento, (…) è la verità che nell’ascolto che le presti viene e ti rapisce a
te stesso. Non qualcosa che si possiede, ma qualcuno che ci possiede è il Vero»25.
8. La verità come autorivelazione di Dio nella persona del Cristo e nel suo
Spirito per la Costituzione Conciliare Dei Verbum è «racchiusa nel mistero di
Cristo»26. È palese il fondamento cristologico della verità: «Il Cristo è la verità e la
via, che la predicazione evangelica svela a tutti»27. Per questo, il termine verità
addita fondamentalmente la rivelazione divina che «risplende a noi... nel Cristo»28.
Il proprio e lo specifico della religione cristiana sta qui. Nel contesto delle
religioni definite “rivelate”, compreso il giudaismo, il cristianesimo è la sola in cui la
rivelazione si storicizza nella carne di una Persona che non solo trasmette una
dottrina, ma si autopresenta come verità e giustizia.
«Nel mistero di Gesù di Nazaret, la verità è stata offerta all’uomo una volta
per tutte: non ci si può aspettare una rivelazione ulteriore. Ogni ricerca della verità è
23
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiarazione circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo
e della Chiesa, Dominus Jesus, n. 5, (6 agosto 2000), EV, 19/1151.
24
J. RATZINGER, La via della fede. Le ragioni dell’etica nell’epoca presente, Edizioni Ares, Milano 2005, 13-14.
25
B. FORTE, La porta della bellezza. Per un’estetica teologica, Editrice Morcelliana, Brescia 1999, 121-124-125.
26
CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione, Dei Verbum n. 24,
(18.11.1965), EV, 1/907.
27
IDEM, Ad Gentes, Decreto sull’attività missionaria della Chiesa, (7.12.1965), EV, 1/1107.
28
IDEM, Dei Verbum, 2: EV 1/873.
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obiettivamente destinata al paragone con l’evento storico di Gesù Cristo: solo nel
Mistero pasquale di Cristo è possibile conoscere la verità in pienezza (…) ed è nella
storia che questo evento permane e si fa incontro ad ogni uomo di ogni tempo: la
categoria di evento indica un fatto che inizia nel passato e giunge fino all’oggi,
rendendosi presente qui ed ora»29.
9. Gesù Cristo è il rivelatore del Padre, la Parola fatta carne. Interrogarsi sul
significato della verità cristiana comporta prendere sul serio la rivelazione di Dio in
Cristo, la sua pretesa di avere un’importanza decisiva per la storia30. Pertanto, la
verità cristiana assume ad un tempo il carattere del riconoscimento e quello
dell’annuncio.
Questo annuncio oggi viene rivolto ad un mondo che ritiene di potere e
dover spiegare tutto con il parametro della razionalità scientifica. Ma Cristo non si
stanca di ripetere: “Sono Io la verità”. Una verità da difendere e da testimoniare con
forza. Sembra essere tornati al tempo di Fëdor Dostojevski e del suo celebre «Se
dovessi scegliere tra la verità e Cristo, sceglierei Cristo».
10. Credere che Cristo è la verità assoluta, significa anche credere che la
storia dell’uomo è storia della salvezza, perché vi si realizza il piano di Dio nel
Cristo, Salvatore e Signore della storia. È Cristo, infatti, che ricapitola in sé tutta la
storia dell’uomo e la conduce alla sua totale divinizzazione31.
Ciò presuppone che al centro della storia non vi sia più l’uomo con i suoi
desideri materiali, che generano divisioni, abusi, sopraffazioni e violenze di ogni
genere, di cui questa nostra amata terra di Calabria è spesso vittima32, ma Dio, la
verità assoluta che si è rivelata a noi in Cristo, la verità che lo Spirito ripropone
instancabilmente al mondo in tutta la sua pienezza attraverso l’opera costante della
Chiesa, che la comunica attraverso la Parola e i Sacramenti.
ha
11. Come possiamo essere salvati? A questo interrogativo l’uomo nel tempo
dato diverse risposte. Per alcuni la salvezza significa abbracciare un credo
29
Cit. da A. SCOLA, Libertà umana e verità, in P. Coda – G. Sgubbi, Il risveglio della ragione. Proposte per un
pensiero credente, Edizioni Città Nuova, Roma 2000, 102.
30
R. GUARDINI, L’essenza del cristianesimo,Editrice Morcelliana, Brescia, 1999, 36-38. È apprezzabile anche la
prospettiva della concezione della verità che ci offre la sintesi di Andrea Milano: «A suo avviso, la verità non può essere compresa in
maniera appropriata dalla teologia, se non ponendosi davanti a Gesù di Nazareth, interrogandosi, o forse meglio, lasciandosi
interrogare dalla sua persona, tentando di ascoltare la sua voce: solo lui, secondo la testimonianza giovannea (Gv
14,6), è la verità, la verità fatta carne e sangue, tempo e storia»; in A. MILANO, Quale verità. Per una critica della
ragione teologica, EDB, Bologna, 1989, 91-161.
31
Cfr. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et
spes, 22, (7.12.1965), EV, 1/1385.
32
Cf. CONFERENZA EPISCOPALE CALABRA, “Se non vi convertirete perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,5).
Annunciare il Vangelo della vita nella nostra terra per un futuro di giustizia e carità, n. 4, 2007.
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religioso, non importa quale, e cercare di vivere conformemente ai suoi precetti. Per
altri, essa è il frutto di una condotta esemplare: più ci si dedica a fare del bene e ad
andare incontro alle necessità di chi soffre e più si è certi della propria giustizia
dinanzi a Dio. Altri, ancora, confidano nell’intercessione di famosi personaggi vissuti
come santi di Dio.
Le Sacre Scritture ci dicono, però, che nessuna di queste “risposte” può
procurare il perdono dei peccati e la vita eterna al di fuori del solo vero Dio, del solo
Mediatore, l’Unico in grado di redimere l’uomo: Cristo Gesù, il Signore.
Egli può salvare pienamente quanti si accostano a Dio per mezzo di Lui,
perchè con la Sua morte ha subito la condanna che spettava ad ogni uomo a causa del
peccato. «Egli è la salvezza e non soltanto la insegna e la promette»33.
12. La Chiesa può affrontare il compito dell’evangelizzazione solo
ponendosi, di fronte a Gesù Cristo, parola di Dio fatta carne, «grande sorpresa di
Dio»34, che è presente tra noi e parla, insegna, attesta ciò che ha visto e sentito in seno
al Padre.
Con la venuta di Gesù sulla terra si è creato un legame nuovo fra Dio e
l’uomo, per il quale il Signore onnipotente prende dimora nel tempio del corpo di
Cristo e, per suo mezzo, nell’uomo. Ed è per questo che il Concilio Vaticano II ha
sottolineato con decisione che in Cristo si rivela non solo il mistero del Padre, ma
anche il mistero dello stesso uomo e della sua altissima vocazione35. «In Cristo
entrambi i mondi sono conciliati, e il cielo è sceso in terra e vi ha messo radici» dice
Hans Küng.36 Per Bruno Forte, «La Trinità entra nel tempo quando l’uomo si decide
a vivere nella libertà e nell’amore: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il
Padre mio lo amerà e noi verremo a Lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv
14,23). La decisione dell’uomo per Cristo apre dunque l’esistenza nel tempo
all’accoglienza della vita eterna: nella storia presente viene a narrarsi la storia
eterna dell’amore»37.
I Vangeli insistono su questa “dimensione trinitaria”, nel senso che Gesù –
Figlio si lascia condurre dalla parola di Dio e vive nello Spirito. Per Rino Fisichella
dire che « … Gesù è profezia del Padre significa affermare e riconoscere che lui è la
parola di Dio. Una parola definitiva che entra nella storia; parola che non è più
33
Cit. da, B. SESBOÜE, Gesù Cristo l’unico mediatore. Saggio sulla redenzione e la salvezza – 1, Edizioni Paoline,
(Cinisello Balsamo) Milano, 1991, 11.
34
GIOVANNI PAOLO II, Novo millennio ineunte, n. 4, EV, 20/16.
35
Cf. GAUDIUM ET SPES, 22, EV, 1/1385.
36
H. KÜNG, Incarnazione di Dio. Introduzione al pensiero teologico di Hegel. Prolegomeni ad una futura cristologia,
tr. it. di F. JANOWSKI, Queriniana, Brescia 1972, 550.
37
B. FORTE, Trinità come storia. Saggio sul Dio cristiano, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, Milano 1988, 188.
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distinguibile dall’essenza e dal contenuto che pone in atto, perché in lui Parola e
Verbo coincidono e permettono la rivelazione della vita divina»38.
13. Gesù il Signore è al centro della proposta e dell’annuncio della Chiesa.
Anzi, è proprio la riscoperta quotidiana e grata della presenza di Gesù Cristo fra noi a
rendere necessario, oggi come duemila anni fa, l’annuncio a tutti gli uomini di una
salvezza che non cessa di rendersi vicina ed accessibile all’uomo. È la presenza
salvifica di Gesù Cristo la grande speranza che muove la Chiesa incontro al mondo.
Per questo la Nota dottrinale della Congregazione per la Dottrina della Fede su
alcuni aspetti dell’evangelizzazione ammonisce che evangelizzare non vuol dire
insegnare una dottrina, bensì annunciare il Signore Gesù con parole ed azioni, cioè
farsi strumento della sua presenza operante nel mondo39.
La Chiesa ha dunque come suo compito precipuo quello
dell’evangelizzazione. Perciò Paolo VI nell’esortazione apostolica Evangelii
nuntiandi poteva affermare: «Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della
Chiesa, la sua identità più profonda»40.
Nessuna obiezione può dunque ragionevolmente frenare l’impeto della
Chiesa che, come fuoco di carità, muove i nostri cuori ad annunciare, con parole ed
opere, Colui che è la speranza attesa segretamente da ogni cuore.
Annunciare e vivere Gesù Cristo è anche l’indicazione del Convegno
Ecclesiale di Verona, che ci aiuta a individuare le soluzioni più adatte per la nostra
vita di cristiani. La “Nota Pastorale” dei vescovi italiani ha indicato tre scelte di
fondo, che costituiscono anche un metodo di lavoro. La prima consiste nel dare il
primato a Dio nella vita e nella pastorale della Chiesa; la seconda nella fede in Cristo
risorto, quale forza di trasformazione dell’uomo e dell’intera realtà; la terza nella
centralità della Parola, quale guida della progettualità pastorale e del discernimento
comunitario. Tale metodo di lavoro evidenzia che nella vita di fede della comunità
ecclesiale non si realizza un’iniziativa personale, non ci si pone al servizio di una
scelta propria, ma si segue la vocazione che è stata donata da Dio, e si lavora per la
missione che è stata affidata da Lui.
L’unico fondamento della Chiesa è Gesù Cristo, il suo Signore, il centro di
ogni atto e messaggio cristiano. Per questo la Chiesa ritorna continuamente
all’incontro con il suo Signore. “Aprite le porte a Cristo” è stato il grido costante del
pontificato di Giovanni Paolo II. Quell’invito echeggia ora tra le colonne di Piazza
san Pietro per bocca di papa Benedetto XVI: «Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi
38
R. FISICHELLA, Gesù di Nazaret profezia del Padre, Paoline Editoriale Libri, Milano 2000, 145.
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione, n. 2, LEV,
Roma 03.12.2007.
40
PAOLO VI, Lettera apostolica, Evangelii nuntiandi, n. 14, (8.12.1975), EV 5/1601.
39
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si dona a lui, riceve il centuplo»41, perché non c’è altra salvezza per l’umanità al di
fuori di nostro Signore Gesù Cristo, morto e risorto per noi.
A questo impegno di annuncio e di testimonianza della verità cristiana
come salvezza per il mondo sono chiamati tutti i credenti, nessuno escluso. È un
dovere missionario che nasce dalla profondità della stessa fede: la fede, infatti,
confessa in Gesù di Nazaret il Figlio di Dio nella carne umana, il Signore e il
Maestro, portatore di una nuova speranza per il futuro della storia e del mondo,
venuto a rivelare la volontà salvifica universale del Padre per tutti gli uomini.
14. È necessario quindi superare la tendenza a fare del Vangelo di Cristo
solo una dottrina: questa deve essere continuamente rimandata alla Persona di Cristo,
ai fatti fondanti della fede, primo (e anche ultimo) tra i quali la sua morte e
risurrezione.
La Sua forza ci costituirà testimoni della verità, a vantaggio dei nostri
fratelli, e quindi anche di questa cara terra di Calabria, e non ci farà tirare indietro, se
necessario, neanche davanti al martirio.
È compito di ciascuno di noi credere fermamente che Cristo è la verità, e
testimoniare la nostra fede in Lui con la santità della vita, la preghiera e le opere.
Come nostro ausilio c’è la pratica dei Sacramenti, la quale corrobora e rende fiduciosi
che il Signore, morto e risorto per noi, ci è accanto in tutte le difficoltà che
incontreremo ed i dubbi che genererà la nostra ragione.
Diletta Chiesa di Cassano, e con te tutto il Sud, non demordere, non
demoralizzarti, e continua a sperare, perché la speranza è il fondamento del vivere
civile e religioso. E contrariamente alle apparenze, essa è virtù concretissima,
esercizio quotidiano di uno sguardo diverso sulle persone e sul mondo. Dunque, non
permettere al male di occupare il campo, di guadagnare terreno, di mettere radici nel
cuore di altri uomini.
Pensa, mia Diocesi, alla parabola del grano e della zizzania (Mt 13, 24-43).
Vigila, affinché il maligno non prevarichi sul buon seminatore e faccia crescere
accanto alle spighe benedette l’erba cattiva. Ricorda che il Signore ha sguardo lungo:
saprà ben intervenire al momento opportuno. È per questo che ti esorto dal profondo
del cuore, Diocesi amata: spera sempre! «Cristiani non si nasce, si diventa», ha
scritto Tertulliano. «Non si può dare per scontato che si sappia chi è Gesù Cristo, che
si conosca il Vangelo, che si abbia una grande esperienza di Chiesa. C’è bisogno di
un rinnovato primo annuncio della fede»42.
41
BENEDETTO XVI, Omelia per l’inizio del ministero petrino, 24 aprile 2005, cit. da Osservatore Romano del
25.4.2008.
42
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Il Volto missionario delle Parrocchie in un mondo che cambia. Nota Pastorale,
Edizioni Paoline, Milano, 2004, n. 6.
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C’è bisogno di uno slancio missionario nella nostra comunità diocesana,
anzitutto per acquisire una mentalità nuova, aperta (e con essa guardare a ciò che già
esiste e si fa) e poi per vivificare la convinzione che lo Spirito di Gesù abita già tra di
noi perché ha deciso che dovrà portare l’annuncio del Vangelo al mondo vicino e
lontano.
15. Riguardo all’annuncio e al primato di Dio, mi piace qui richiamare la
testimonianza del professore alessandrino Carlo Carretto e del medico veneziano
Luigi Gedda43, morti non molti anni fa. Il primo crebbe alla scuola del secondo ed
insieme furono impegnati nell’Azione Cattolica, prima piemontese poi nazionale.
Dopo si separarono per diversità di ideali e di afflato spirituale. Ma ecco come
Carretto ricorda l’incontro con Gedda nel 1930, all’ospedale di Torino:
«E mi capitò una grande avventura, la più grande della mia vita. Conobbi
un medico di 28 anni: forte, bello, leale, dominatore. Stare con lui era per me un
paradiso. Quando guardava i miei occhi sentivo il bisogno di essere buono. Un
giorno m’invitò in clinica dove era assistente. Lo trovai in un reparto. Mi fece
indossare un camice bianco come se fossi anch’io un medico e capii che faceva così
per essere più tranquillo a parlarmi lungo le corsie senza turbare i malati e le suore.
Mi condusse nella chiesetta dell’ospedale e la nostra intimità incominciò facendo
assieme la Via Crucis. Poi mi parlò della Gioventù di Azione Cattolica lungo i letti
degli ammalati.
Io bevevo le sue parole come il morente aspira l’ossigeno. Diventati amici,
m’invitò a colloquio a sera quando usciva dall’ospedale. Andavo a lui col cuore che
mi batteva come un innamorato. Difatti s’accendeva in me un grande amore. Il
giovane medico mi parlava di Dio come nessuno mi aveva mai parlato, mi parlava di
Gesù come del suo primo amico al quale mi avrebbe presentato. Ricordo tutte le
parole che mi disse in quell’inverno lungo la spalletta del Po in quei colloqui.
Con lui il soprannaturale prendeva consistenza nel mio animo. Dio mi
pareva di toccarlo; soprattutto Gesù diventava reale; a tratti mi sembrava di vederlo
passeggiare con noi. Hai mai pensato – mi diceva – che anche noi professionisti,
medici, ingegneri, avvocati possiamo desiderare la santità? Hai mai pensato che
anche noi laici dobbiamo essere assetati di anime e buttarci all’apostolato con
l’ardore dei primi cristiani? Trasformare la nostra casa in cella dove dobbiamo
santificarci e le vie della nostra città in corridoi del nostro convento?
Che colpi mi dava al cuore all’aprirsi di sì vasti orizzonti! Così mi parlava
e io m’innamorai dell’apostolato. Non passai più un sol giorno festivo a casa:
43
Così egli si rivolgeva ai laici: “Che tu sia lavoratore dei campi o dell’officina, artigiano, diplomato, laureato o altro
ancora, è giunta l’ora nella quale puoi misurare la tua posizione spirituale di fronte al mondo”. L. GEDDA, Il libro del
senior della Giac, Roma, 1942.
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bisognava andare andare andare. Conobbi migliaia e migliaia di giovani, contadini,
operai, studenti, professionisti: il nostro ideale era di far cristiano il mondo.
Parlai di apostolato come di una cosa oramai mia, come di una cosa che mi
avrebbe riempito totalmente la vita. Il giovane medico mi disse: solo Dio riempie
totalmente la vita. Solo Lui ci basta. Neanche del bene dobbiamo innamorarci, ma
solo di Dio.
Innamorarci solo di Dio! Questa frase detta laggiù lungo il viale del Po,
sotto i fanali che di notte conoscevano solo le coppie degli innamorati, mi si piantò in
testa e non volle più uscirne. Innamorarmi di Dio? Quale avventura prodigiosa per
un povero cuore di uomo! Cercai il volto di Dio servendomi di due lampade che
m’aveva indicato l’amico: la comunione quotidiana e la meditazione. Mangiare Dio
e pensare a Dio…» 44.
16. La Chiesa si trova oggi a dover rinsaldare ed approfondire la
coscienza e la professione della verità di Cristo come unico redentore.
Sia il fenomeno della proliferazione delle sette, di nuovi movimenti
religiosi e di tante tendenze sincretistiche, sia l’atmosfera di relativismo che
caratterizza la nostra società, debbono essere un segnale di allarme, un
“codice rosso” per tutti i cristiani, specialmente per quelli che hanno
responsabilità di guida e di insegnamento nella comunità ecclesiale (vescovi,
presbiteri, diaconi, teologi e catechisti) e nella società: insieme siamo
chiamati a testimoniare e a diffondere capillarmente la verità cristiana:
spesso l’ostacolo è lo scoraggiamento perché fidiamo solo sulle nostre forze.
Il primo avversario da sconfiggere è l’opinione purtroppo crescente
che Gesù Cristo è stato soltanto una delle tante manifestazioni del Verbo di
Dio nella storia religiosa dell’umanità. Poi va messa alle “corde” anche l’altra
opinione che lo Spirito Santo non è altro che il nome cristiano di un
universale spirito divino, testimoniato nelle diverse esperienze religiose; e poi,
che la Chiesa va messa tra parentesi, a favore di una vaga concezione del
regno di Dio che affratella tutte le religioni.
Per noi fedeli – e per tutti – deve essere chiaro che grazie alla Chiesa
l’uomo ha la possibilità di conoscere Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, e di
partecipare alla vita divina. Cristo, infatti, l’ha dotata della pienezza dei beni e
dei mezzi di salvezza; lo Spirito Santo dimora in essa, la vivifica con i suoi
doni e carismi, la santifica, la guida e la rinnova continuamente. Ne deriva
una relazione singolare e unica, che pur non escludendo l’opera di Cristo e
44
C. CARRETTO, Incontro al domani, Editrice AVE, Roma, 1943, 10.
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dello Spirito Santo fuori dei confini visibili della Chiesa, le conferisce un ruolo
specifico e necessario.
Prendere definitivamente coscienza di ciò implica che tutti gli uomini
sono chiamati all’unità cattolica della Chiesa e che questa è necessaria alla
salvezza. Di qui l’impegno e il debito di amore, verso Dio e verso i fratelli, di
annunciare il Vangelo a tutte le genti (cfr. Mt 28,19-20). La volontà salvifica
universale di Dio, Padre amoroso e misericordioso, fa sì che quelli che senza
colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa e tuttavia cercano
sinceramente Dio, e sotto l’influsso della grazia si sforzano di compierne con
le opere la volontà, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possano
conseguire la salvezza eterna. Ma ciò avviene sempre in virtù di una grazia
che proviene da Cristo, è comunicata dallo Spirito Santo ed ha una
misteriosa relazione con la Chiesa45.
17. All’inizio del terzo millennio, Giovanni Paolo II rinnovò l’invito di
Gesù a tutta la Chiesa perché assumesse, con coraggio ed «un dinamismo nuovo»46, la
propria responsabilità verso il Vangelo e verso l’umanità in un mondo in
cambiamento.
Oggi più di allora la questione cruciale per la Chiesa è proprio questa.
L’impegno che nasce dal comando del Signore: «Andate e rendete discepoli tutti i
popoli» (Mt 28,19), è quello di sempre, eppure appare nuovo. Da esso dipendono il
volto del cristianesimo, come pure il futuro della nostra società. Negli orientamenti
pastorali per questo decennio si afferma che «la missione ad gentes non è soltanto il
punto conclusivo dell’impegno pastorale, ma il suo costante orizzonte e il suo
paradigma per eccellenza»47. Nella vita delle nostre comunità deve esserci un solo
desiderio: che tutti conoscano Cristo, che lo scoprano per la prima volta o lo
riscoprano se ne hanno perduto memoria, per fare esperienza del suo amore nella
fraternità dei suoi discepoli48.
Se la Diocesi di Cassano vuole porsi veramente alla sequela di Cristo, deve
farlo a partire da una pastorale precisa, che abbia come punto di partenza e di arrivo
Cristo.
Bisogna investire in una pastorale capace di garantire ad ogni
battezzato di rispondere alla chiamata di Dio senza indugio, come ha fatto la
Vergine Maria, per testimoniare con gioia la verità che è Cristo.
45
Cf. M. BORDONI, La cristologia nell’orizzonte dello Spirito, Queriniana, Brescia 1995, 201-280.
GIOVANNI PAOLO II, Novo millennio ineunte, 15, EV, 20/35.
47
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n. 32.
48
IDEM, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia ,n. 1.
46
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L’uomo, infatti, deve saper confidare in Dio, perché quando ci
chiamerà darà anche modo alla nostra richiesta di trovare adeguato ascolto.
Al profeta Geremia che recalcitrava davanti alla chiamata di Dio trincerandosi
dietro la giovane età (e perciò affermando di non sentirsi in grado di parlare,
cfr. Ger 1,5-6), il Signore risponde: «Non dire sono giovane: andrai da coloro
a cui ti manderò e annunzierai quanto ti ordinerò. Non temere di fronte a
loro, perché io sarò con te per proteggerti» (Ger 1,8).
Non temete, dunque, miei amati fedeli, di non poter testimoniare
Cristo a causa della vostra debolezza: la forza non proviene da voi, ma da
Dio49 e da Cristo che vi guida!
Questa forza conferita da Dio a tutti i battezzati attraverso l’azione
dello Spirito, deve essere intesa come strumento di servizio: tutti, uomini e
donne, siamo stati chiamati in Cristo per ricevere l’adozione a figli, per
metterci a servizio l’uno dell’altro e cooperare a migliorare la stessa
creazione, deturpata nella sua bellezza originale dall’irrompere del peccato.
Per tale motivo, mi rivolgo a voi con le stesse parole di uno tra i più grandi
Padri della Chiesa, san Giovanni Crisostomo: «La vostra vita sia degna della grazia e
della verità che avete ricevuto»50.
Se saremo fedeli a tale mandato, Cristo sarà la verità per un numero sempre
più grande di persone, che, redente dalla Sua Croce, entreranno entusiaste a far parte
del suo popolo.
49
Ci ricorda l’apostolo Paolo che «lo stesso Dio che ha detto la luce deve sorgere dalle tenebre, è entrato come luce nei
nostri cuori per far irradiare la conoscenza della sua gloria che splende sul volto di Cristo. Ma noi portiamo questo
tesoro in vasi fragili; è evidente, dunque, che la forza sovrabbondante non proviene da noi, ma da Dio»; 2 Cor 4, 5-7.
50
S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul Vangelo di Giovanni, Roma, Città Nuova Ed., XV 7.
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CAPITOLO SECONDO
GESÙ CRISTO LA NOSTRA VIA
18. «Trovo che la cosa importante nel mondo è non tanto dove stiamo,
quanto in che direzione stiamo andando». L’espressione di Oliver_Wendell_Holmes
ci dice che non si può navigare senza bussola e senza meta, ne che si può vivere
senza sapere dove si sta andando. Per noi allora è importante conoscere il percorso, il
segno che Dio ha tracciato per noi. Per questo il salmista implora: «Mostrami,
Signore, la tua via» (86,11), che è una via di sapienza e di pace, da raggiungere
attraverso la meditazione e l’ascolto. E stato detto: «la Bibbia è un libro pieno di
strade e di vento, nel quale Dio appare come il grande viaggiatore da sempre in
cerca dell’uomo, da quando nel giardino dell’Eden alla brezza della sera scendeva a
conversare con Adamo»51
Non è infrequente incontrare uomini o donne interiormente a pezzi, gravati
da problemi giudicati insolubili; avviliti e rinchiusi nel proprio mondo nel quale non
penetra neppure un filo di luce. Le cause? Un matrimonio fallito, una morte
imprevista, un dissesto finanziario possono distruggere progetti o prospettive di
futuro, e togliere la voglia di vivere. Si subisce tutto nell’oppressione di una routine,
nell’indifferenza generale. Un po’ come nella pagina della Samaritana: una donna
spenta nelle sue chiusure; bloccata dal complesso d’inferiorità; chiusa in una
meschina idea di Dio. È vittima del suo disordine morale: una “povera donna” di tanti
uomini, se non di tutti. L’incontro con il Signore squarcia le nuvole e libera
l’orizzonte: la scoperta dell’«acqua viva».
Il pozzo di Sicar è per tutta l’umanità metafora dell’incontro con Gesù.
L’uomo sarà sempre insoddisfatto finché non scoprirà Cristo, la via unica per
accedere alla felicità ed alla salvezza.
Nel suo “Cammino di perfezione” S. Teresa d’Avila scriveva: «La sete
esprime il desiderio di una cosa, ma un desiderio talmente intenso che ne moriamo se
ne restiamo privi». Uno dei Padri della Chiesa, San Gregorio di Nazianzo esclamava:
«Dio ha sete che si abbia sete di Lui»52.
La Samaritana è simbolo di ogni uomo che cerca, magari inconsciamente,
Dio e spera di incontrarlo partendo dalla realtà di sé e del proprio quotidiano.
51
E. RONCHI, Sulla soglia della vita, San Paolo, Cinisello Balsamo, (MI), 2008,77
Al pozzo di Giacobbe si sono incontrati due desideri, perché, come osserva il filosofo russo Berdjaev, «esiste un
desiderio umano di Dio, ma anche un desiderio divino dell’uomo. Dio è l’idea più grande, il tema, il desiderio più
grande dell’uomo. Ma l’uomo è altrettanto per Dio». L’incontro di questo duplice desiderio emerge anche dal Prefazio
di questa Domenica: «Egli chiese alla Samaritana l’acqua da bere, per farle il grande dono della fede, e di questa fede
ebbe sete così ardente da accendere in lei la fiamma del tuo amore». La Samaritana che «uscì nel sudiciume, e ritornò
immagine della Chiesa, senza macchia. Uscì ed attinse la vita come una spugna; uscì portando la brocca, rientrò
portando Dio» (Romano il Melode). Gesù si rivela Messia alla Samaritana e ne fa un’apostola. La trasfigura, le fa
sgorgare dall’intimo quella fonte di acqua viva che toglie ogni sete e la lancia a dire: “ho trovato il Messia”.
52
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“Dammi da bere”: lasciati amare da me, per essere capace, a tua volta, di amare.
Anche noi abbiamo “tanti mariti”: le viltà, i compromessi, i rancori.
L’incontro di Gesù con la samaritana è un racconto esemplare del cammino
di fede: dalla non credenza, mista a diffidenza e ostilità, alla confessione esplicita di
Gesù quale Messia. Ma è un capolavoro anche sotto il profilo psicologico 53.
19. Solo l’incontro, non la legge, cambia la vita. In principio è l’incontro:
con chi ti parla come nessuno, con chi “ti dice tutto”, con il Dio che ha sete della
nostra sete di lui, ha desiderio del nostro desiderio.
Gesù illumina contemporaneamente le coscienze e la nostra vita. Questo
perché l’incontro con Cristo, quando è vero, coinvolge l’esistenza di qualunque uomo
e di qualunque donna disposti a lasciarsi incontrare da Lui. È ciò che accade anche
nella narrazione lucana degli Atti degli Apostoli, quando – dopo aver ascoltato
l’annuncio cristiano – i pagani «all’udir tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e
dissero a Pietro e agli altri apostoli: “Che cosa dobbiamo fare?” e Pietro disse
“pentitevi…”» (At 2,37), ovvero imboccate la via che conduce a Cristo e poi tornate
con Lui, tenendovi per mano, perché «Su questa via che conduce da Cristo all’uomo,
su questa via sulla quale Cristo si unisce ad ogni uomo, la Chiesa non può essere
fermata da nessuno»54.
20. Il tema della strada e del viaggio è uno dei più pregnanti e penetranti del
nostro immaginario collettivo, con tutte le sue interpretazioni religiose, artistiche e
letterarie: dal mito di Ulisse, che ha ispirato generazioni di autori, alla precarietà della
condizione umana descritta da Samuel Beckett in “En attendant Godot”.
L’evangelista Luca ci dice che sulla strada da Gerusalemme a Emmaus, si incontra
Uno che da sempre, dall’eternità, è accanto all’uomo, ospite silenzioso e premuroso.
Nella pagina del Vangelo (Lc 24,13 ss.), Cleopa e il suo compagno - alla fine del loro
parlare, che serve solo a riempire l’interminabile vuoto creatosi quando è venuta
meno la Parola che è scesa a cercare l’uomo - credono di fare spazio al personaggio
misterioso che ha incrociato la loro libertà in cammino; e invece scoprono di essere
già stati abitati dalla compagnia di Dio, dalla sua volontà di prendere dimora tra gli
53
La donna di Samaria è maestra di seduzione, ma non lo è di meno per la bravura dialettica e per la notevole
conoscenza della teologia. Gesù non solo accetta, ma provoca la disputa storica scritturistica. Realizza una svolta ad
“U” nella collocazione della donna nella società e nella comunità credente, a costo di suscitare scandalo. Un Rabbì non
solo non accettava simili dispute, ma in pubblico si rifiutava persino di salutare una donna. In privato le cose potevano
andare anche diversamente. Gli stessi apostoli si meravigliarono anche se non lo manifestarono apertamente. Prima di
arrendersi questa donna eccezionale che i Padri della Chiesa non esitano a definire santa, sguscia come un’anguilla, fino
a che non viene inchiodata dalla rivelazione: il Messia sono io! Allora la pubblica peccatrice si trasforma in missionaria,
anche se non riesce a scalfire i suoi concittadini. Il cammino di fede della samaritana sfocia in un coro di fede,
professata dai molti samaritani che credettero in Gesù: “Non è per la tua parola (quella della Samaritana) che noi
crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo”.
54
GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica, Redemptor hominis, n. 13, (4.3.1979), EV, 6/1207.
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uomini ed essere in comunione con loro. Nella sua essenza più profonda. Emmaus ci
richiama alla sequela di Cristo e alla sua imitazione55.
Gesù è la Via: questo è uno dei dati più significanti del Nuovo Testamento e
della religione cristiana. Egli non ha mai detto “Io sono via, verità e vita”, ma “Io
sono la via, la verità e la vita”. Non “una” delle tante, ma “la” via, l’unica che può
condurci alla porta della casa del Padre. San Simeone precisa: «E lo dirò ancora: la
porta è il Figlio - “Io sono la porta” dice egli (Gv 10,7.9) -: la chiave della porta è
lo Spirito Santo - “Ricevete lo Spirito santo; a chi rimetterete i peccati saranno
rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”, (Gv 20,22-23) -: la casa,
il Padre - “Nella casa del Padre mio vi sono molti posti” dice egli (Gv 14,2). Fa’,
dunque, molta attenzione al senso spirituale della parola. Se la chiave non apre perché “il guardiano gli apre” (10,3) -, la porta non viene aperta: ma se la porta
non si apre, nessuno entra nella casa del Padre, come dice il Cristo: “Nessuno viene
al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,6). Ora, che lo Spirito Santo, per primo,
apre il nostro spirito (cfr. Lc 24,45) e ci insegna le cose del Padre e del Figlio, è Lui
che lo ha detto»56.
21. Se l’anelito che trova una nicchia nei nostri cuori è quello di giungere
all’unione con Dio, non possiamo evitare di appartenere in tutto e per tutto a Cristo.
Clemente Rèbora, uno dei più interessanti poeti del ventesimo secolo,
meditando su Gesù Cristo e sulla sua importanza per la vita dell’uomo, scriveva:
«Speravo in me stesso: ma il nulla mi afferra. / Speravo nel tempo: ma passa,
trapassa; / in cosa creata; non basta, ci lascia. / Speravo nel ben che verrà, sulla
terra: / ma tutto finisce, travolto, in ambascia. / Ho peccato, ho sofferto, cercato,
ascoltato / la Voce d’Amore che chiama e non langue, / ed ecco la certa speranza: la
Croce. / Ho trovato Chi prima mi ha amato / e mi ama e mi lava, nel Sangue che è
fuoco, / Gesù, l’Ogni bene, l’Amore infinito, / l’Amore che dona l’Amore, / l’Amore
che vive ben dentro nel cuore»57.
Questi versi aprono al significato di Cristo, che è la meta verso cui tende il
nostro desiderio di infinito giungere alla casa di Dio Padre, la nostra casa, quella
abbandonata dai nostri progenitori Adamo ed Eva; ad essa faremo ritorno grazie
all’opera salvifica di Cristo; perché è scritto: «Nessuno viene al Padre se non per
mezzo di me» (Gv 14,6).
22. Scrive Benedetto XVI nella sua prima enciclica: «La vera novità del
Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà
carne e sangue ai concetti - un realismo inaudito. Già nell’Antico Testamento la
55
Cf. V. BERTOLONE, Sulle orme del Divino Viandate, Ed. Velar, Gorle (BG) 2007, 49.
Cit. da, Y. CONGAR, Credo nello Spirito Santo 1, Queriniana, Brescia, 1981, 114.
57
C. REBORA, La speranza, in Le Poesie, Garzanti, Milano 1993.
56
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novità biblica non consiste semplicemente in nozioni astratte, ma nell’agire
imprevedibile e in certo senso inaudito di Dio. Questo agire di Dio acquista ora la
sua forma drammatica nel fatto che, in Gesù Cristo, Dio stesso insegue la pecorella
smarrita, l’umanità sofferente e perduta. Quando Gesù nelle sue parabole parla del
pastore che va dietro alla pecorella smarrita, della donna che cerca la dracma, del
padre che va incontro al figliol prodigo e lo abbraccia, queste non sono soltanto
parole, ma costituiscono la spiegazione del suo stesso essere ed operare. Nella sua
morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona
per rialzare l’uomo e salvarlo - amore, questo, nella sua forma più radicale. Lo
sguardo rivolto al fianco squarciato di Cristo, di cui parla Giovanni (cfr 19, 37),
comprende ciò che è stato il punto di partenza di questa Lettera enciclica: “Dio è
amore” (1 Gv 4, 8). È lì che questa verità può essere contemplata. E partendo da lì
deve ora definirsi che cosa sia l’amore. A partire da questo sguardo il cristiano trova
la strada del suo vivere e del suo amare»58.
È necessario incamminarci sulla strada dell’amore: «Amiamoci l’un l’altro,
poiché l’amore è da Dio, e chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio. Colui che non
ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore… Nessuno ha mai conosciuto Dio;
se ci amiamo l’un l’altro, Dio abita in noi e il suo amore in noi è perfetto» (1Gv 4, 78.12).
Secondo Romano Guardini, «l’attitudine amante allarga lo sguardo della
fede e, reciprocamente, più questo sguardo si afferma, più l’amore s’accresce e
guadagna in chiarezza. Si può anche dire che la fede procede dall’amore e che
l’amore procede dalla fede, perché a livello più profondo i due non fanno che uno:
l’affermarsi del Dio vivente e pieno di grazia, nell’uomo vivente»59.
A Tommaso che gli chiedeva «Signore, non sappiamo dove vai e come
possiamo conoscere la via?», Gesù rispose: «Io sono la via». Dobbiamo, dunque,
camminare con Lui, e come Lui imparare prima a familiarizzare, poi, ad amare le
persone che si incontrano lungo la strada, pur nelle contraddizioni e nelle
conflittualità della quotidianità, ispirandoci al modello dell’amore cristiano, chiamato
a concretizzarsi sempre nel gesto del buon samaritano.
23. Il cristianesimo non è una religione statica né promette tranquillità. La
vocazione cristiana aspira piuttosto ad essere sequela Christi, un camminare con il
Dio viandante. Quando Gesù dichiara di essere la “via” insieme alla “verità” e alla
“vita” (Gv 14,6) esprime e spiega la profondità dell’espressione “essere pellegrino di
Dio”, in cammino verso la vita, con la vita. A ragione il salmista dice: «Beato chi
58
BENEDETTO XVI, Lettera enciclica, Deus caritas est, (25.12.2005), n.12, EV, 23/1561.
Cit. da R. FISICHELLA, La fede come risposta di senso. Abbandonarsi al mistero, Paoline Editoriale Libri, Milano,
2005, 63.
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decide nel suo cuore il santo viaggio» (Sl 84, 6): a questi il Signore non rifiuta la
grazia, la gloria, il bene (Sl 84, 12).
Il comportamento personale e sociale del cristiano deve essere conforme
alla via amoris, a Cristo, cioè tendere alla santità, che è il fine della Chiesa e di
ciascun fedele.
L’uomo santificato fa a meno della propria volontà, del “particolare”,
perché sceglie di donarsi e rinuncia ad esistere per se stesso, lasciando entrare in lui
ogni altra vita, «stimando dopo Dio tutti gli uomini come Dio stesso»60.
È quello che dice l’Apostolo Pietro: «Ad immagine del Santo (Cristo) che vi
ha chiamati, diventate santi anche voi nella vostra condotta, poiché sta scritto: voi
sarete santi, perché io sono santo» (1Pt 15,16): questo invito deve incarnarsi nella
storia di tutti noi affinché diventiamo testimoni di Cristo attraverso il nostro amore
verso il prossimo, amore che è conforme alla volontà di Dio, e così operando vivremo
secondo Dio e ci assimileremo sempre di più a Lui, cercando di raggiungere la Sua
perfezione: «Siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste» (Mt 5,46).
Miei cari figli e fratelli, essere chiamati alla santità sia per ciascuno di noi il
vanto più grande; ricordate, però, che per essere santi bisogna vivere profondamente
Cristo e testimoniarlo con le proprie opere.
Il Concilio ci ricorda che «beni quali la dignità dell’uomo, la fraternità e la
libertà, cioè tutti i frutti buoni della natura e della nostra operosità, dopo che li
avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li
ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, purificati e trasfigurati
quando Cristo rimetterà al Padre il regno eterno e universale»61.
C’è una conversione a Dio che porta alla conversione al mondo, perché
ogni cambiamento reale della persona ha una dimensione storica e una dimensione
universale: «non dobbiamo aspirare soltanto alla nostra salvezza personale, ma alla
trasfigurazione dell’universo»62.
24. La nostra epoca vive una profonda crisi perché al posto dei valori si sono
affermati i cosiddetti “disvalori”. Questa è la cartina di tornasole di un modo di
vivere, di una cultura non conforme a Cristo, che sgomenta e scoraggia spesso una
qualsiasi reazione, confinandoci nella spiacevole sensazione di rassegnata impotenza.
Questo disagio è aggravato dalla presenza malavitosa nella nostra Regione, la quale
deve fare i conti con i quotidiani soprusi delle organizzazioni mafiose, favorite dal
problema della disoccupazione, piaga che sta negativamente caratterizzando, in questi
ultimi anni, la vita di tutto il Meridione63.
60
SAN NILO DEL SINAI, PG 79, 1193 C
Cf. GAUDIUM ET SPES, 39, EV, 1/1441.
62
N. BERDJAEV, Spirito e libertà, Milano 1947, 444-445.
63
Cf. CONFERENZA EPISCOPALE CALABRA, “Se non vi convertirete perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,5),19.
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«Certi fenomeni dell’attuale sociocultura stordiscono, impedendo di
entrare in profondità nella valutazione dei fatti della vita, di cui sempre meno si
vuole attingere il senso interiore, l’appello alla propria libertà, la promessa divina
che vi si svela. Il rischio, per i cristiani, è che si giri su se stessi, inoltrandosi in avventure senza progetti o in arroccamenti senza novità. La giovinezza dello spirito – a
cui la fede cristiana è chiamata - è garantita dalla presenza dello Spirito Santo di
Dio all’opera nei giorni dell’uomo: questo Spirito spinge verso forme nuove di
testimonianza, autenticamente cristiane perché portano il segno di Cristo, ovvero la
forza onnipotente della sua croce, del suo dono d’amore nell’effusione del sangue
versato per tutti, perché tutto - lavato dal sangue di un’alleanza nuova - potesse
essere rivestito di una novità permanente, che dura e non passa mai e sempre
rinnova i progetti degli uomini per la costruzione di un futuro buono e felice, cui
ogni uomo ha diritto su questa terra e a cui ogni agire ecclesiale (predicazione,
liturgia, carità) va orientato»64.
Ed allora? Allora siamo chiamati a rimboccarci le maniche per contrastare,
bloccare i mali del mondo in generale e quelli della nostra terra in particolare,
cominciando dalla famiglia, per giungere ai tanti soprusi che vengono perpetrati a
scopo di profitto e di potenza65, per sopraffare e mortificare i più deboli.
All’inoperosità piagnucolona di «quelli che non hanno speranza» (2Ts
4,13), dobbiamo saper opporre la via di Cristo che può anche comportare il rischio
di sentirsi abbandonati, come fu per Cristo stesso nell’orto degli ulivi e sulla Croce,
ma che non cede mai alla tentazione della disperazione, perché saper sopportare la
sofferenza, fisica e morale, è dono dello Spirito ed è certezza che Gesù Risorto è con
noi, tutti i giorni della nostra vita.
25. Mi piace qui richiamare di Ignazio Silone una delle opere maggiori:
“Uscita di sicurezza”66. Lo scrittore, di formazione umanistica, si trovò per varie
vicissitudini, tristi, umilianti, mortificanti, a fare un esame di coscienza della propria
vita, delle proprie azioni, del modo di pensare. Ne concluse che non si possono
servire contemporaneamente due padroni: la propria coscienza e un’ideologia politica
materialista e disumanizzante. Scelse di ritirarsi, rinunziando a tutto quello che una
lunga militanza politica e partitica gli avrebbe garantito, in termini di successo, onore,
carriera. Si ritirò, attirandosi la malevolenza, l’odio, le accuse di tradimento da parte
dei suoi ex compagni. Non poté farne a meno: fu la sua uscita di sicurezza per vivere
da cristiano autentico.
64
A. STAGLIANÒ, Pensare la fede, cristianesimo e formazione teologica in un mondo che cambia, Città Nuova, Roma
2004, 49-50.
65
Cf. CONFERENZA EPISCOPALE CALABRA, “Se non vi convertirete perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,5), 12.
66
IGNAZIO SILONE, Uscita di sicurezza. Mondadori, I Meridiani, Milano 199.
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«Questa infatti è veramente la perfezione: staccarsi della vita di peccato non
più per il servile timore di venire punito, né fare il bene per la speranza delle
ricompense, mercanteggiando la vita virtuosa con intendimento affaristico e
interessato; ma trascurando anche tutti i beni che speriamo conseguire secondo la
promessa, ritenere temibile soltanto il decadere dall’amicizia di Dio e giudicare per
noi onorevole e desiderabile solo il divenire amici di Dio»67.
Da quando il Signore si è incarnato per noi, suoi figli, l’uscita di sicurezza
dalla mediocrità, dal torpore, dal grigiore della rassegnazione del particolare, del
materialismo e dell’egoismo è una sola: conoscere e testimoniare senza vergogna
Gesù Cristo.
26. Compito primario della pastorale della nostra Diocesi è condurre i fedeli
a testimoniare Cristo, in ogni circostanza reale.
Siamo chiamati, in altre parole, come tante volte ha sottolineato il
68
Concilio , a liberarci dal legame con un mondo dominato e schiavizzato dal peccato,
per incamminarci sulla via di Cristo per rendere testimonianza all’Amore di Dio. E
questo senza separare la morale cristiana da quella naturale, perché la prima contiene
in sé la seconda, fondata sull’essere uomo69, altrimenti non comprenderemmo il
messaggio della Rivelazione nella realtà umana e di quei valori come il matrimonio,
la famiglia, la società e lo Stato, oggi spesso messi in discussione, o, quantomeno,
ridimensionati. Parimenti, non saremmo in grado di testimoniarne tanti altri,
altrettanto importanti, come l’onestà, la giustizia, la solidarietà, la fratellanza.
Come credenti, dobbiamo essere convinti che nessuna nostra azione che
corrisponde solo alla legge naturale, e nessuna virtù, per quanto buona ed elevata,
può condurre l’uomo alla salvezza. C’è sempre bisogno che tutto questo venga
assunto e garantito dalla carità di Cristo, al quale apparteniamo.
Questa appartenenza deve spingerci, attraverso la preghiera, al confronto
con il Magistero e all’unione fra tutti i cristiani, anche con i fratelli delle Chiese
separate, perché il mondo ha bisogno di una Chiesa Universale idonea a testimoniare
Cristo come la “via-verità”.
Alle nostre comunità spetta quindi di far risuonare, in tutta la loro ricchezza,
le verità “morali” universali e innegabili. Proprio da questo ci riconosceranno.
27. Porsi alla sequela di Cristo implica la fedeltà ad una chiamata,
coerentemente con gli insegnamenti del Nuovo Testamento e del Magistero della
67
GREGORIO DI NISSA, Vita di Mosè, Mondadori, 1984, Libro II, 320.
Cf. GAUDIUM ET SPES, 22, EV, 1/1388.
69
Cf. IBIDEM, 36, EV, 1/1431.
68
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Chiesa, da cui l’urgenza di un’adeguata educazione della coscienza morale70, nella
quale è presente ed agisce lo Spirito di Dio.
In definitiva, il dinamismo che è presente nella coscienza dell’uomo, creato
ad immagine e somiglianza di Dio e immerso con il battesimo nel mistero trinitario, è
il mistero pasquale di Gesù Cristo71.
28. Seguendo Gesù nostra via, il battezzato vive in modo coerente la sua
condizione di figlio di Dio. Forte di questa consapevolezza, la nostra pastorale deve
indirizzare il popolo verso nostro Signore Gesù Cristo, che potrebbe anche chiederci
di salire con Lui il Calvario.
Questa è la sequela radicale che intendo proporre alla Diocesi, perché nutro
la convinzione che soprattutto le nuove generazioni (destinate ad una identità
“liquida” se non interverremo in tempo), sapranno essere capaci di slanci di amore e
di altruismo encomiabili per Cristo e per la Chiesa.
70
E’ stato Giovanni Paolo II a lanciare questo interrogativo: «Qual è il ruolo della coscienza nella formazione del
profilo morale dell’uomo?», in GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica, Veritatis splendor, n. 30, (6.8.1993), EV,
13/2615.
71
«È dunque il Cristo crocifisso e risorto l’unico e definitivo luogo e orizzonte in cui io posso accedere, nello Spirito, a
un’ontologia trinitaria della persona che si compie nella grazia-caritas» (P. CODA, Per un’ontologia trinitaria della
carità. Una riflessione introduttiva, in “Lateranum” 51 (1985), 74).
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CAPITOLO TERZO
GESÙ CRISTO LA NOSTRA VITA
29. “Vita”: questa parola è il phil rouge che avvolge tutte le pagine
veterotestamentarie dall’incipit della creazione al lungo cammino dell’esodo, dai
canti gioiosi o tristi del salterio, dalle lamentazioni di Giobbe alle visioni dei profeti.
La venuta di Cristo spezza il filo, non tacita la parola “vita”, anzi la integra con
“verità” e “via”. Ma ora ritorniamo alla pagina evangelica di Gesù che si ferma,
perché ha sete, al pozzo di Giacobbe e incomincia a parlare con la Samaritana come
colui che possiede l’acqua viva, capace di togliere la sete più profonda dell’uomo. La
donna si meraviglia, non capisce, continua a pensare all’acqua, che normalmente
attinge al pozzo. Gesù le spiega: «Chiunque beve di questa acqua [l’acqua di questo
pozzo] avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete
in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che
zampilla per la vita eterna» (Gv 4, 13-14).
Chiediamoci: che significa “acqua della vita eterna”? Che cosa è
quest’acqua?Attraverso la successione dei fatti raccontati riceviamo l’illuminazione:
questa «acqua», significa la verità, e in particolare la verità della coscienza. Gesù,
parlando alla Samaritana le illumina la coscienza. Pensate allo scambio di parole:
«Va’ a chiamare tuo marito». «Non ho marito». «Hai detto bene “non ho marito”;
infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai
detto il vero» (Gv 4, 16-18).
Nello stesso tempo, quest’acqua è la verità dello stare in intimità con il Dio
che deve essere adorato “in spirito e verità”72.
La Samaritana replica: «So che deve venire il Messia (cioè il Cristo):
quando egli verrà ci annunzierà ogni cosa». Gesù: «Sono io, che ti parlo» (Gv 4, 2526).
30. Il cammino millenario dell’umanità, un giorno è stato incrociato da
Cristo. Egli rivela in se stesso la “sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”.
Egli la “dà” ai suoi apostoli nel giorno della risurrezione e nel giorno della
Pentecoste.
31. È acqua viva, acqua di vita: «L’uomo che vuol comprender se
stesso fino in fondo, non soltanto secondo immediati, parziali, spesso
superficiali, e perfino apparenti criteri e misure del proprio essere, deve, con
la sua inquietudine e incertezza e anche con la sua debolezza e
72
“Il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità” (Gv 4, 23-24).
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peccaminosità, con la sua vita e morte, avvicinarsi a Cristo. Egli deve, per
così dire, entrare in lui con tutto se stesso, deve “appropriarsi” e assimilare
tutta la realtà dell’incarnazione e della redenzione per ritrovare se stesso»73.
Vanno ricercate in Cristo le origini dell’uomo: creato, infatti, «per
mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1,16); «il Verbo (che è) la vita […] è la luce
che illumina ogni uomo che viene nel mondo» (Gv 1,3-4,9). Se è vero che
l’uomo è stato creato ex nihilo, è anche possibile affermare che è creato dalla
pienezza (ex plenitudine) di Cristo. Il Padre ci ha destinato ad essere suoi figli
e figlie e «ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il
primogenito tra molti fratelli» (Rm 8, 29).
32. Riflettiamo: essere cristiani oggi come ieri significa prendere
coscienza che Cristo chiede a ciascuno di noi di offrirgli la vita perché essa
trova senso e realizzazione solo in Lui.
L’autore della Prima Lettera di Pietro, nel confortare i cristiani di
fronte al pericolo della persecuzione, li esortava ad adorare Cristo nei loro
cuori, ma anche ad essere «pronti sempre a rispondere a chiunque vi
domandi ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,15)74.
È necessario che il vero cristiano sappia distinguere tra la religiosità
innata e la fede in Cristo. L’essere religioso non implica necessariamente la
fede in Cristo: i pagani erano e sono religiosi, non credenti.
La fede è un rapporto reale, vivo dell’uomo con Dio, in risposta ad
un rapporto di uguale intensità e natura che Dio ha voluto istituire con
l’uomo. È una rivelazione di Dio fatta all’uomo, un suo ingresso cioè nella vita
e nella storia dell’uomo.
In Cristo noi abbiamo un rapporto vivo, reale con Dio. L’incontro con
Cristo è sempre un’avventura nuova, in cui nulla è scontato. È questo il
rischio e la bellezza della nostra libertà, l’audacia a cui siamo continuamente
chiamati, perché la nostra vita abbia significato e passione.
33. Sostenere il binomio “Gesù-vita” è lo stesso che attestare che
Gesù è la grazia. Si possono, infatti, operare tante suddivisioni sistematiche
del De gratia e si possono anche utilmente richiamare i ricchi insegnamenti
della Tradizione al riguardo. Non si può, d’altra parte, ignorare quanto questo
tema centrale della fede cristiana sia presente nello studio e nella ricerca
73
GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica, Redemptor hominis, n. 10, EV, 6/1194.
Per un breve commento esegetico-teologico a questa pagina, cf. E. COTHENET, Le réalisme de l’espérance chrétienne
selon 1 Pierre, «New Testament Studies» 27 (1981) 564-572.
74
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della teologia. Ma l’ultimo fondamento di ogni trattato è Gesù stesso, la
rivelazione personale dell’amore del Padre; colui che ha ridato all’uomo
l’amicizia di Dio e, morendo e resuscitando, gli ha dato la vita eterna. Perciò
vogliamo considerare, seppur brevemente, l’ultima radice della grazia
prescindendo da un’esposizione sistematica delle linee classiche del De gratia.
Il tema della vita ritorna con frequenza, soprattutto in san Giovanni
ed in san Paolo, e ci fa toccare con mano come Gesù-Vita trasformi il
cristiano in una nuova creatura mediante il dono dello Spirito, e lo abiliti ad
un’esistenza di fede, amore e speranza, preludio della vita eterna.
Nel NT il concetto di vita come tale rimane nel solco della tradizione:
quasi sempre indica la vita eterna. La predicazione di Gesù è tutta orientata
in senso escatologico e sottolinea che il valore della vita futura rende stolta
ogni tendenza sfrenata al possesso della terra75. Dice Cristo di sé: «Io sono
venuto perché tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).
Secondo Paolo, Gesù risorto è il principio e la fonte della vita in
quanto nuovo Adamo: «Come in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti
saremo vivificati» (1 Cor 15,22), ma con una differenza enorme: la vita
portata da Cristo, considerata negativamente, è redenzione dalla colpa e dalla
condanna (Rm 8,1); dalla forza malvagia del peccato (Rm 6, 22); dalla legge,
precetto che pesa senza aiutare (Gal 3,13); dalla morte fisica, mediante la
risurrezione.
Se, invece, la consideriamo positivamente, la vita cristiana possiede
un principio interiore: lo Spirito Santo, che abita nel cuore dei cristiani (Gal
4,6), i quali diventano così «il tempio di Dio e la dimora dello Spirito di Dio»
(1Cor 3,16). L’effetto primo e fondamentale della presenza personale,
continua e attiva dello Spirito Santo è la relazione di intimità ontologica con
Cristo, sicché il cristiano diviene anch’egli figlio di Dio (Rm 8,14-17), coerede
con lui, nuova creazione (Gal 6,15), uomo nuovo (Ef 4,21-24) che si è
rivestito di Cristo e che, rigenerato e rinnovato per mezzo del battesimo, vive
la stessa vita di Cristo e fa parte di quel corpo mistico di cui Cristo è il capo
(Col 1,18; Ef 4,11-16).
Volendo riassumere il messaggio sottostante alle molteplici
testimonianze circa la vita, possiamo dire che Gesù è la vita perché salva
l’uomo ed il proprio popolo dai peccati (Mt 1,21). Egli trasferisce i suoi fratelli
75
Scrive François Mauriac: «C’è stato bisogno che Dio s’immergesse nell’umanità e che a un preciso momento della
storia, sopra un determinato punto del globo, un essere umano, fatto di carne e di sangue, pronunciasse certe parole,
compisse certi atti, perché io mi gettassi in ginocchio»; in F. MAURIAC, Vita di Gesù, Milano 1937, Prefazione.
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da una sfera di isolamento ed abbandono in una di salvezza di Dio, perché li
fa passare dalla morte alla vita (Gv 5,24).
È convinzione costante del NT che l’evento definitivo di grazia è
entrato in azione per mezzo di Gesù Cristo. Ma questi non è solamente colui
che dà avvio a quest’evento, ne è la ragione. Il regno di Dio esiste già ora,
perché Egli, il Messia, è già presente. È Lui che salva l’uomo dalla rovina. È
Lui stesso la vita. La grazia, dal punto di vista neotestamentario, non è altro
che l’introduzione, donata da Dio, dell’uomo e del mondo nell’evento di
salvezza di Cristo, evento che è anche la radicale comunicazione di sé del
Dio trinitario76.
34. L’uomo in Cristo è definito “creatura nuova”77. Questa
espressione descrive, in termini molto originali, espliciti e pertinenti, quanto la
figura personale di Gesù Cristo costituisca davvero il punto focale
dell’esperienza cristiana, il suo autentico ed irrinunciabile epicentro. Dire che
Cristo vive in noi equivale a dire che tra noi e Cristo esiste un rapporto di
causalità, cioè che il Cristo risorto è l’origine della nostra nuova vita. L’ultimo
Adamo, Cristo risorto, è diventato spirito datore di vita e tutti gli uomini
riceveranno la vita da lui (1Cor 15,22)78.
Si può dunque dire, secondo il NT, che vivere una nuova vita,
abbraccia l’essere uniti a Dio, esistere in Cristo Gesù e appartenere al popolo
della nuova alleanza, cioè alla Chiesa, sono vari aspetti della medesima
realtà.
Per sant’Agostino, Cristo «ci ha incorporati a sé, ci ha fatto suoi
membri. Eccoci in lui divenuti Cristo. Siamo realmente il suo corpo; in lui
dipendiamo dal Cristo, Christi sumus; più ancora Christus sumus, non
solamente di Cristo, ma Cristo medesimo»79. Il Santo Padre, considerando il
dono della vita che ci viene da Nostro Signore, specifica: «Gesù ci dà la vita
perché ci dà Dio. Ce la può dare perché è Egli stesso una cosa sola con Dio.
Perché è il Figlio. Egli è il dono. Egli è la vita»80.
Mi piace qui richiamare alcune espressioni del mio fondatore, il Beato
76
Cf. F.MUSSNER, Lineamenti fondamentali della teologia della grazia nel N.T., in Mysterium salutis, IX, Queriniana,
Brescia, 1975, 52.
77
Secondo il testo paolino della seconda lettera ai Corinzi «Se uno è in Cristo è una nuova creatura» (2 Cor 5,17). La
stessa realtà è indicata dalle espressioni paoline: «in Cristo»,«nel Signore» (Rm 6,11; Gal 3,20). In un passo della lettera
ai Galati (2,20) inoltre, «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me; questa vita
che vivo nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me».
78
R. PENNA, Essere cristiani secondo Paolo, Marietti, Torino, 1982, 23.
79
S. AGOSTINO, Enar. in Psal. 26, 11, 2.
80
J. RATZINGER- BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, milano, 2007, 404.
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Giacomo Cusmano. Egli vede con chiarezza le proprie scorie e attraverso l’ascesi, la
purificazione, la mortificazione, l’“agere contra”, la lotta al cuore81, ed il
superamento della dolorosa “notte della desolazione”82 maturata appié del Crocifisso,
è tutto proteso a realizzare in sé la salesiana metafora della “trasformazione del
bruco in farfalla”83, l’uomo nuovo in Cristo. L’illuminazione interiore, l’anelito al
Volto di Dio, il vivere la vita del Cristo umanato copiata dalla SS. Vergine, la
presenza di Dio, l’adorazione, l’adesione totale a Dio, e l’unione e l’abbandono in
Dio e nella Sua adorabile volontà, l’Eucaristia, il povero, la presenza di “Gesù nel
Povero”, l’aspirazione alla pace in Dio, lo zelo per la gloria di Dio, l’apostolato della
carità lo portano a considerare Dio il suo “tutto”84: «Costi Dio quanto vuol, non è mai
caro»; «Si perda tutto e non si perda Dio»85.
Questo anelito gli mette in corpo la nostalgia, il desiderio di Dio, del bene,
della santità.
Il 23 febbraio 1888 (diciannove giorni prima della morte) scrive ad una
suora riecheggiando San Bernardo: «Tutto ciò che non è eterno è niente», ed ancora:
«La morte è il principio di quella vera vita che durerà in eterno». Siamo al “cupio
dissolvi” per essere con Cristo, espressione del cammino spirituale di santità del
Cusmano, un itinerario di “vita secondo lo Spirito”, vissuto e proposto con originalità86.
L’approdo di questo travagliato e misterioso cammino di conversione è la
Vita Nuova in Cristo, solo libro della sua vita, unica norma ed “unico amore
dell’anima mia”, che gli dà la forza per lottare il peccato, di mettere un piede sul
cuore, di mortificarsi, di umiliarsi e di vivere di fede e di carità.
Ispiratore di questa rinascita è l’«Apostolo delle genti», e fonte privilegiata
l’Epistola ai Romani, nella quale Paolo asserisce che è necessario per l’uomo nuovo
in Cristo “edificare la fede”, seguire le parole di Dio che sono “vive ed eterne”. Per
questo progetto di “rifondazione” è requisito necessario, forse indispensabile, la
risolutezza e l’impegno con i quali l’uomo si applica “docilmente” ad attuare il
comando di Dio in Cristo. «Se uno è in Cristo – afferma Paolo – è una creatura
nuova; le cose vecchie sono passate» (2Cor 5,7). Se si è convinti, fermi, costanti non
sarà difficile abbandonare la vecchia esistenza basata sull’egoismo e sull’incertezza:
non si può temere (“noli timère”) se solo si pensa alla Redenzione di Cristo!
Vita nuova in Cristo, dunque. Questa la folgorazione di Giacomo Cusmano
che, pure, ancora non si fida delle proprie forze, teme di sbagliare, ritiene di essere
81
Lettera a Mons. Turano, 24 settembre 1874, LeF I, 220-221.
Lettera a Mons. Turano, del 10 settembre 1878, ivi 326-330.
83
LeF II, 455-457.
84
Lettera a Sr. Calascibetta del 24 novembre 1880, LeA I/1, 210.
85
LeA I/1, 62.
86
LeA I/3, 454.
82
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indegno, di dover restare chissà per quanto tempo ancora “bruco” senza poter
completare la metamorfosi dell’essere compiuto, perfetto, pronto a spiccare il volo
alla nuova vita.
Ecco un altro valido esempio di uscita di sicurezza: abbandonarsi
docilmente a Dio scegliendo sempre ciò che è a lui gradito, con libera decisione, dalla
quale dipende, però, la realizzazione del progetto di Dio su di noi, quella che si
chiama la sua volontà. La spiritualità cusmaniana parte, dunque, dalla volontà di Dio
e dalla sua attuazione: attuazione segnata dalla dialettica iam nunc et nondum, che
considera tutto una perdita e guarda a Cristo come a principio, via, cammino, mèta,
speranza dell’umanità e della Chiesa in cammino, che coinvolge gli uomini a
maturare i grandi progetti per il Signore nella linea del Risorto.
35. «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna!»
(Gv 6,52). Queste parole, pronunciate da Pietro, testimoniano efficacemente
quale tipo di atteggiamento debba assumere il cristiano davanti a Cristo. Non
c’è, infatti, altra vita se non quella di Colui che ha parole di vita eterna. Ma
credere in ciò significa che Cristo-Vita deve diventare la nostra regola di
comportamento. E se frutto principale della vita è l’amore, conseguentemente
vivere Cristo significa aprirsi all’amore e quindi alla totale donazione di sé87, il
cui gesto più alto è testimoniato dalla Croce di Cristo: saper salire il Calvario
con Lui per amore del prossimo significa saper spendere bene la propria vita
alla luce della volontà del Padre.
Vivere Cristo-Vita vuol dire vivere per gli altri, promuovendo e
difendendo la vita a tutti i livelli. La strada maestra per saper dispensare e
preservare la vita è imitare Cristo, modello ideale del nostro comportamento
storico.
36. Carissimi figli e fratelli, so che anche voi, come tutti, cercate la
vita piena, in cui dimorino la gioia e la felicità. Questa vita non è un’utopia.
C’è scritto negli Atti degli Apostoli: «In nessun altro c’è salvezza, non vi è
altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo
essere salvati» (At 4,12), e questo nome è quello di Gesù, il Cristo.
Quindi per vivere la vita in pienezza bisogna abbandonarsi
totalmente a Cristo. Così metteremo a frutto e valorizzeremo la nostra
87
Osserva Nicola Ciola: «Non solo la Croce di Cristo è diventata locus theologicus, ma ha aiutato a scoprire un nuovo
volto di Dio-Trinità come colui che si china sulle sofferenze dell’uomo. Guardare alla croce significava ricuperare la
rilevanza soteriologica del mistero trinitario, per troppo tempo piuttosto trascurata»; in N. CIOLA, Teologia trinitaria,
Storia – Metodo – Prospettive, EDB, Bologna, 1996, 168.
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esistenza. La vita che i cristiani sono chiamati a vivere e che ha in Cristo il
suo prototipo è quella che si apre alla speranza, all’amore verso il prossimo e
verso il creato. Aprendosi all’amore, si apre a Dio-Amore.
37. Parlando della vita, dobbiamo far riferimento a quella eterna,
cioè all’escatologia, che tratta delle “cose ultime”. Ma il fatto di rinviare le
“cose ultime”
all’ultimo giorno le «privava del loro significato di
orientamento, di incoraggiamento e di istanza critica nei confronti dei giorni
che si vivono qui sulla terra, prima della fine, nella storia. Perciò queste
dottrine sulle cose ultime costituivano gli sterili capitoli finali della dogmatica
cristiana; erano come un’appendice disorganica divenuta apocrifa e
irrilevante»88.
Invece, interpretandola alla luce della teologia della speranza
cristiana, l’escatologia comprende non soltanto “la cosa sperata” ma anche
“l’atto dello sperare”. Il cristianesimo stesso è escatologico: «E’ speranza, è
orientamento e movimento in avanti e perciò è anche rivoluzionamento e
trasformazione del presente»89.
Essa ci parla di Gesù Cristo, riconosce la realtà della risurrezione e
annuncia il futuro del risorto: a motivo della sua risurrezione, il Cristo
crocifisso ha un futuro90.
Scrive Benedetto XVI: «Noi abbiamo bisogno delle speranze – più
piccole o più grandi – che, giorno per giorno, ci mantengono in cammino. Ma
senza la grande speranza, che deve superare tutto il resto, esse non bastano.
Questa grande speranza può essere solo Dio, che abbraccia l’universo e che
può proporci e donarci ciò che, da soli, non possiamo raggiungere »91.
In questi termini, lo spessore antropologico e sociale della speranza
cristiana appare indiscutibile: non proietta in un “oltre vuoto”, né aliena o
distoglie dalle responsabilità della storia; piuttosto, immerge totalmente il
credente nel mondo con la testimonianza della carità.
Una fede che opera attraverso la carità è la verifica più probante del
modo cristiano di sperare. Per vivere questa vita di amore nell’orizzonte della
speranza, è necessario però assimilarsi a Cristo attraverso la preghiera, la
meditazione della Parola ( Lectio divina personale comunitaria)92 e,
88
J. MOLTMANN, Teologia della speranza, Queriniana, Brescia 1970, 9.
IBIDEM, 10.
90
IBIDEM, 11.
91
BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Spe salvi, (30.11. 2007), n. 31, LEV, Roma 2007.
92
A riguardo ho predisposto un libretto sulla lectio che viene consegnato contestualmente alla presente lettera.
89
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soprattutto, i sacramenti, in particolare l’Eucaristia. Mangiando infatti la carne
di Nostro Signore e bevendo il suo sangue, l’uomo viene assimilato
misteriosamente a Lui e reso intimamente partecipe della sua natura.
In una parola, l’Eucaristia ci rende partecipi della stessa vita di
Cristo, in grado quindi di vivere come Egli ha vissuto: amando.
38. L’evento della perfetta comunicazione della premurosa cura di
Dio ci viene trasmesso nell’Eucaristia, per un rinnovato impegno cristiano. Il
rito non è l’evento, ma pone la vita dell’uomo in comunicazione con l’evento,
permettendogli di entrare nella vita umana ed a questa di parteciparvi
realmente. Dice Giovanni Paolo II «Nell’Eucaristia Ti sei fatto farmaco
d’immortalità: dacci il gusto di una vita piena, che ci faccia camminare su
questa terra come pellegrini fiduciosi e gioiosi, guardando sempre al
traguardo della vita che non ha fine. Rimani con noi, Signore! Rimani con
noi»93: abbiamo estremo bisogno che Dio entri nella nostra vita.
Nell’Eucaristia Dio è entrato in essa, e se noi lo desidereremo vi entrerà ogni
giorno, prenderà possesso della nostra carne, liberandola dal peccato e
trasfigurandola.
Sia nel Cristo storico che ha camminato con gli uomini, sia nel Cristo
Eucaristia si rivela il volto di Dio che si pone alla ricerca dell’uomo,
mostrandosi come l’infaticabile pastore alla continua ricerca della pecora
smarrita (cfr. Lc 15, 4), il Padre amorevole intento ad aspettare fiducioso il
ritorno del figlio prodigo per poterlo accogliere fra le sue braccia (cfr. Lc 15,
11-32).
L’Eucaristia “impianta” in noi la cultura del dono, ed immette nella
storia la gratuità dell’amore, caratteristiche della vita trinitaria.
Gesù con l’Eucaristia ci consegna la sintesi del Vangelo: amare
sempre tutti sino alla fine: «nessuno ha un amore più grande di questo: dare
la vita per i propri amici!» (Gv 15,13). Questo è l’unico modo di gareggiare
con l’amore infinito di Dio: amare anche noi totalmente. Perciò l’evangelista
Giovanni non riporta l’istituzione dell’Eucaristia ma il gesto della lavanda dei
piedi (cfr Gv 13), come se esso costituisse il senso vero e profondo di questo
mirabile Sacramento.
Dall’Eucaristia deve scaturire il “miracolo” del servizio. Il cristiano
non può starsene con le mani in mano, a guardare: egli è chiamato a servire i
fratelli nelle loro necessità, materiali e spirituali. L’amore fraterno, cari
93
GIOVANNI PAOLO II, Omelia per l’apertura dell’Anno dell’Eucaristia, 17 ottobre 2004, cit. da Osservatore Romano
del 18.10.2004.
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figliuoli, è un precetto sommo. Ce lo ricorda la parabola del giudizio finale,
dove leggiamo che il Figlio dell’uomo farà entrare nella beatitudine eterna chi
ha donato un bicchiere d’acqua all’assetato, un boccone all’affamato, un
vestito all’ignudo, perché tutte le volte che tali gesti di carità furono compiuti
a favore di «uno solo di questi miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me!»
(Mt 25,31-46).
Per Giovanni Paolo II, la via della solidarietà è perciò «espressione di
comunione nella vita della Chiesa e progetto di solidarietà per l’intera
umanità. Il cristiano che partecipa all’Eucaristia apprende da essa a farsi
promotore di comunione, di pace, di solidarietà., in tutte le circostanze della
vita. L’immagine lacerata del nostro mondo, che ha iniziato il nuovo Millennio
con lo spettro del terrorismo e la tragedia della guerra, chiama più che mai i
cristiani a vivere l’Eucaristia come una grande scuola di pace, dove si
formano uomini e donne che, a vari livelli di responsabilità nella vita sociale,
culturale, politica, si fanno tessitori di dialogo e di comunione»94.
39. Dalla risurrezione di Gesù dipende il nostro essere “pietre vive”.
L’intimità dei battezzati con lui permette la costruzione di un edificio
spirituale: è questa la condizione di coloro che sono stati rigenerati nella
morte e risurrezione di Gesù. La “pietra viva” è l’inizio del nuovo tempio che il
Padre si sta costruendo. È segno definitivo della sua presenza. E, sempre per
iniziativa del Padre, coloro che ricevono il battesimo, cioè aderiscono a Cristo,
sono una comunità che forma il nuovo tempio, quello spazio sacro della
presenza del Padre.
«La risurrezione di Cristo - afferma Benedetto XVI - non è un
semplice ritorno alla vita terrena; è la più grande mutazione mai accaduta, il
salto decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova. L’ingresso
in un ordine completamente diverso, che riguarda anzitutto Gesù, ma con Lui
anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo»95. E Pietro:
«Stringendovi a Lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta preziosa
davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione
di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali
graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo» (1Pt 2, 4-5)» 96.
94
GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Mane nobiscum Domine, n. 27, (7.10.2004), EV,22/3069.
BENEDETTO XVI, Discorso al Convegno ecclesiale di Verona, 19 ottobre 2006, Notiziario della Conferenza
Episcopale Italiana, 2006, 232
96
Mi piace qui riportare un significativo pensiero di Carlo Carretto: «Quanto mi sei contestabile, o Chiesa, eppure
quanto ti amo! La credibilità non è degli uomini, è solo di Dio e del Cristo. Solo lo Spirito Santo è capace di fare la
Chiesa con delle pietre così mal tagliate come siamo noi!»
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Queste espressioni sulla comunione, fiore all’occhiello del popolo di
Dio, mi danno modo di preannunciarvi che vorrei dedicare proprio all’essere
Chiesa la mia terza Lettera Pastorale.
40. Il mondo ha bisogno di uomini di comunione. Nel discorso sul
monte si parla di “costruttori di pace”: in quest’ottica ora vi dico che
dobbiamo diventarlo anche noi, costruendo ponti fra famiglie divise, fra classi
divise, fra popoli divisi, fra comunità ecclesiali tra loro indifferenti, fra diverse
confessioni religiose.
Essere veri uomini di comunione presuppone un grande coraggio e
una conquista: quella di non aver più paura della paura, e significa obliarsi di
sé per avere occhi solo per gli altri. Certo, ci sono dei rischi…
Dimentichiamoci subito che essere uomini di comunione voglia dire essere
bravi a organizzare incontri, a creare organismi dove le persone sono viste,
magari inconsciamente, come dei “pezzi” da mettere insieme: la comunione
ha bisogno di un’aura che viene da più lontano, da Cristo e si estrinseca con
gli sguardi, le mani, i gesti, l’infinitamente feconda benignità e umanità di
Dio.
Ci vuole tanta “compassione”, cioè la capacità di essere aperti,
sempre e comunque, agli altri. Dobbiamo fare della compassione l’elemento
di fondo della vita, essere aperti agli altri, mettere al centro la vita
comunitaria, lasciare che la preghiera sia il respiro della tua vita, tutto ciò
richiede la disponibilità ad abbattere gli innumerevoli muri che abbiamo
eretto tra noi e gli altri per mantenere il nostro isolamento sicuro. È una
battaglia spirituale assai lunga e ardua, perché abbattendo i muri con una
mano ne costruiamo di nuovi con l’altra.
Forse, uno dei simboli più significativi della comunità, scuola e
sorgente di comunione, è il mosaico: la comunità è come un grande mosaico.
Ogni tassello sembra così insignificante. Quando tutte queste pietruzze
vengono messe insieme in un grande mosaico che rappresenta il volto di
Cristo, chi metterebbe in questione l’importanza di ciascuna di esse?
In questo senso, è significativo il nostro modo di fare comunione con
i poveri, che sono l’espressione primaria della presenza di Cristo: essi sono il
centro della Chiesa. Ma chi sono i poveri? La prima risposta è che si tratta di
persone che non sono come noi: persone che vivono nelle baracche, che
mangiano nelle mense della Caritas, che dormono in strada, persone recluse
in prigione negli ospedali psichiatrici, eccetera. Questo è tutto vero, però tanti
poveri possono esserci molto vicini, addirittura nelle nostre famiglie, nelle
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chiese o nei luoghi di lavoro. Poveri sono pure e soprattutto i peccatori,
perché “poveri di Dio”.
È proprio quando vediamo e sperimentiamo la povertà - sia essa
lontana, vicina o nel nostro stesso cuore - che abbiamo bisogno di diventare
Chiesa, vale a dire di tenerci per mano come fratelli e sorelle, di confessare le
nostre lacerazioni e i nostri bisogni, di perdonarci a vicenda, di guarire le
ferite gli uni degli altri e di radunarci attorno alla mensa di Gesù per spezzare
il pane. In tal modo, come poveri, noi riconosciamo Gesù, che si è fatto
povero per noi.
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CONCLUSIONE
Sant’Agostino era affascinato dal dialogo tra Gesù e la Samaritana e ne fece
un commento memorabile soffermandosi sulla sete di Gesù97.
Il tema della sete attraversa tutto il Vangelo di Giovanni: dall’incontro con
la Samaritana, alla grande profezia durante la festa delle Capanne (Gv 7,37-38), fino
alla Croce, quando Gesù, prima di morire, disse per adempiere la Scrittura: «Ho sete»
(Gv 19,28).
La sete di Cristo è una porta di accesso al mistero di Dio, che si è fatto
assetato per dissetarci, così come si è fatto povero per arricchirci (cfr 2 Cor 8,9).
Dio ha sete della nostra fede e del nostro amore. Come un padre buono e
misericordioso desidera per noi tutto il bene possibile e questo bene è Egli stesso.
La donna di Samaria, invece, è metafora dell’insoddisfazione esistenziale di
chi non ha ancora trovato ciò che cerca: ha avuto “cinque mariti” ed ora convive con
un altro uomo; il suo andare e venire dal pozzo per prendere acqua è metafora di un
vivere ripetitivo, rassegnato, spento.
Per sua fortuna, tutto cambiò quel giorno, grazie al colloquio con il Signore
Gesù, che la sconvolse a tal punto da indurla a lasciare la brocca dell’acqua e a
correre per dire alla gente del villaggio: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto
tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?» (Gv 4,28-29).
Anche per noi tutti, miei carissimi figli e fratelli, in un contesto come il
nostro, ha ancora senso l’annuncio cristiano: essere pietre angolari capaci di reggere
la costruzione, essere assetati di comunione e di amore. Mi piace trascrivere una parte
della relazione di Mons. Ravasi al recente convegno diocesano: «È forse
sorprendente, ma è ancora oggi la Bibbia a indicarci meglio le tre tipologie di non
credenza che attualmente possiamo classificare a livello culturale. L’ateismo rigoroso
sopra descritto è da ricercare nell’idolatria che genera pagine veementi nelle
Scritture. È la tentazione di sostituire se stessi o un dato storico immanente alla
trascendenza divina: pensiamo al materialismo dialettico marxista, ma anche allo
Spirito immanente all’essere e alla storia nella concezione idealistica hegeliana o
all’umanesimo ateo che pone l’uomo come misura e senso esclusivo di tutto l’essere
e l’esistere. San Paolo nel primo capitolo della Lettera ai Romani vede nella
sostituzione della verità divina con un sistema a propria immagine e interesse la
sorgente della degradazione morale.
C’è, però, un secondo modello biblico da considerare: è l’incredulità di
Israele nel deserto, è quella dello “stolto” che grida: «Non c’è Dio» (Sal 14, 1; 53, 2),
o quella dei giudei che “mormorano” contro Gesù, e persino degli stessi discepoli che
97
S. AGOSTINO, In Io. Ev. tr. 15, 6.10-17.
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rigettano il paradosso della croce e della risurrezione, («Non essere incredulo!», dice
il Risorto a Tommaso). Non è la negazione teorica e programmatica di Dio quanto
l’affermazione della sua distanza o irrilevanza nella storia. Sotto questo schema
potremmo rubricare la vera forma dominante di non credenza, la cosiddetta
indifferenza religiosa. La figura di Dio non deve interferire nelle vicende umane, non
dev’essere principio di scelte esistenziali, deve rimanere nel limbo della sua remota
trascendenza. Dio non lo si combatte, ma lo si ignora perché considerato una realtà
inattuale e, comunque, disturbante. Come scriveva ironicamente il filosofo canadese
Charles Taylor nel suo saggio sulla Secular Age (2007) contemporanea: se Dio
dovesse entrare nella nostra società, al massimo gli si chiederebbero i documenti.
È paradossale, ma a questa particolare tipologia di “incredulità” dev’essere
associata anche una certa forma di religiosità contemporanea, fluida e sottile, che
produce surrogati spirituali e cocktail religiosi che fondono sincretisticamente spezie
di fedi diverse, miscele di esperienze somatico-mistiche, messaggio e massaggio,
yoga e yogurt, fitness dell’anima e dei corpi, emozioni panteistiche ed elevazioni
intimistiche. Forse il modello più espressivo è quello della “New Age”, divenuta poi
“Next Age”, un percorso che evita ogni discorso serio e severo, un itinerario
consolatorio che esclude l’inquietudine agostiniana della ricerca (“finché si è inquieti,
si può stare tranquilli”, ammoniva lo scrittore cattolico francese Julien Green),
un’esaltazione della spiritualità eterea che ignora il peso del peccato e le insorgenze
del reale drammatico e del tragico della storia.
La terza tipologia biblica è quella dell’assenza misteriosa di Dio, Essa,
però, fa parte della stessa esperienza di fede e ruota attorno alla domanda che sale
verso l’alto di fronte allo sconcerto degli scandali del male, del dolore, della morte:
«Dov’è Dio?». Questo interrogativo rivolto al Dio muto e apparentemente assente
scandisce l’intero itinerario di Giobbe, che è in verità un vero credente anche quando
le sue parole acquistano iridescenze blasfeme e quando ripete: «Io grido a te e tu non
rispondi!». È la situazione di Qohelet che si sente coinvolto e avvolto dal non-senso
(habel, “vuoto, vanità”) della storia e dell’essere e si trova di fronte a un cielo muto e
a un Dio taciturno. È, allora, necessario – quando si affronta il fenomeno dell’ateismo
– operare una serie di distinzioni, ricordando che il confronto anche culturalmente più
arduo non è tanto con l’idolatria-ateismo autentico, che è vissuto con sincerità come
una vera visione della vita, quanto piuttosto con l’indifferenza-incredulità, realtà
sfuggente e ambigua.
Essa è simile a una nebbia difficile da diradare, non conosce ansietà e
domande, si nutre di stereotipi e di banalità, si accontenta di vivere in superficie,
sfiorando i problemi fondamentali, secondo l’ormai notissima immagine del Diario di
Soeren Kierkegaard: «La nave è in mano al cuoco di bordo e ciò che trasmette il
megafono del comandante non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani». I
mezzi di comunicazione di massa, infatti, ci insegnano tutto sulle mode e i modi di
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vivere, ma ignorano il significato ultimo dell’esistere, l’inquietudine della ricerca
interiore, le interrogazioni radicali sull’“oltre” e sull’“altro” rispetto a noi e al nostro
orizzonte. Un conto è avere a che fare con la notte dello spirito dell’ateo o del
credente (come Giovanni della Croce o Meister Eckhart o Angelo Silesio) e un conto
è avere a che fare con quella che già il filosofo Martin Heidegger, nei Sentieri
interrotti, chiamava «il tempo della notte del mondo, ossia il tempo della povertà del
mondo, quella di non riconoscere più la mancanza di Dio come mancanza». Ed è
purtroppo questa la dominante della non credenza nell’attuale mondo secolarizzato.
Quale strategia sia da adottare di fronte a una simile temperie culturale
“grigia” è piuttosto difficile da programmare. Certo è che le Chiese non devono
rassegnarsi a inseguire questa deriva, scegliendo la strada dell’adattamento,
riducendo la religiosità a una spiritualità debole e inoffensiva, che si accontenti del
minimo, sia pure con la continua consapevolezza che non si deve spegnere la
fiammella vacillante. È, invece, da calibrare innanzitutto un linguaggio che sia
percepibile a queste orecchie ostruite dai rumori di fondo della società, dal brusio
informatico, dalla distrazione superficiale. Un linguaggio che sappia anche ricorrere
alle categorie “deboli” di questa cultura, ma ne induca altre “forti”, quasi come una
spina nel fianco, una provocazione nella mente.
Fuor di metafora, è necessario procedere verso la proposta di alcuni
contenuti radicali che riescano ad artigliare la coscienza intorpidita, anche se per un
istante, aprendole una ferita»98.
Questa, dunque, la sfida che ci aspetta, ma non dobbiamo temere, come ci
ricorda il Servo di Dio Giovanni Paolo II: «Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è
dentro l’uomo”. Solo lui lo sa! Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro,
nel profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è incerto del senso della sua
vita su questa terra. È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete,
quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare
all’uomo. Solo lui ha parole di vita, di vita eterna»99.
Già intorno agli anni Cinquanta del secolo appena trascorso, dopo la fine
della seconda Guerra mondiale e dopo il crollo di regimi che avevano imposto la
barbarie razzista, era stato affermato che l’identità europea avrebbe ritrovato se stessa
guardando a Cristo, liberatore del cuore dell’uomo100.
Allo stesso modo oggi, dopo la caduta dell’ideologia marxista e dei regimi
che avevano tentato di realizzarla nell’Europa centrorientale e di fronte all’insorgere
98
G. RAVASI, Custodisci il buon deposito. Tradizione e sfide culturali, Conferenza tenuta al Convegno teologicopastorale della Diocesi di Cassano All’Ionio, 27 settembre 2008 in corso di pubblicazione.
99
GIOVANNI PAOLO II, Omelia per l’inizio del ministero petrino, 22 ottobre 1978, cit. da Osservatore Romano del
23.10.1978.
100
R. GUARDINI, Natura, cultura, cristianesimo. Saggi filosofici. trad. ital., Brescia 1953, 295.
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di movimenti neofascisti e neonazisti e di schieramenti terroristici, è necessario
ritornare a riproporre con impegno critico e sapienza spirituale il Vangelo di Cristo!
Mi piace concludere la mia Lettera con questa bellissima preghiera:
C’è anche nella mia vita, Signore, un pozzo come a Sicar,
un pozzo a cui devo recarmi, di tanto in tanto,
con la corda ed il secchio, per attingere un po’ d’acqua.
È una strada che affronto ogni giorno,
a prezzo di fatica e di sudore,
per assicurarmi qualcosa di necessario.
È la strada del mio lavoro e del mio impegno,
delle mie qualità e delle mie risorse,
una strada che devo ripetere spesso
perché l’acqua che bevo non mi basta per molto.
Poi torno a sentire un’arsura che mi divora il corpo e l’anima.
Tu, Gesù, mi parli di un’acqua che zampilla per sempre,
tu mi offri un’acqua fresca, che soddisfa ogni sete,
tu dici di poter strapparmi una volta per tutte al bisogno
di andare e di venire continuamente
a questo pozzo che mi offre solo un’acqua morta.
Tu, Gesù, un poco alla volta, parlandomi,
fai uscire tutta la mia vita,
con il suo carico di luce e di ombra, con le sue ferite e le certezze.
Nessuno mi ha mai parlato come te.
Nessuno riesce a scandagliare questo mio cuore
come ora stai facendo tu,
nessuno ha mai risvegliato in me un desiderio così intenso
di una vita nuova, diversa, libera.
Così un poco alla volta
io mi accorgo che tu non sei come tutti gli altri,
quello che fai per me, quello che dici
è così grande e bello che può venire unicamente da Dio.
Anche nella mia vita, Signore, c’è un pozzo come a Sicar,
ma solo tu puoi donarmi un’acqua viva,
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che zampilla per sempre dentro di me101.
Che quest’acqua che è Cristo, Verità, Via e Vita, zampilli abbondante nel
cuore di ciascuno di voi!
E la Benedizione del Signore scenda su di voi e con voi rimanga sempre!
+Vincenzo Vescovo
101
ROBERTO LAURITA, Servizio della Parola 335 (2002), 101.
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APPENDICE
IL CRISTO CONTESTATO
«Chi dice la gente che io sia?» (Mc 8,27), domandò un giorno Gesù ai suoi
discepoli. Le loro risposte stanno a dimostrare come si possa indicare e descrivere
Gesù. Da allora le curiosità su di Lui si sono moltiplicate esponenzialmente, sia
all’interno che all’esterno del cristianesimo.
«Gesù è un personaggio singolare e affascinante. Magnanimo e umile.
Forte e mite. Totalmente libero e totalmente a servizio. Vicino al Dio santo e vicino
all’uomo peccatore. Di viva intelligenza e squisita sensibilità. Elevato nel pensiero e
semplice nell’esprimersi. Contemplativo e impegnato nell’azione. (…) Aperto
all’amicizia e ai valori della vita e pronto ad accettare la solitudine e la morte. Soprattutto singolare, incomparabile nell’autorità e nel dono di sé. (…) Già al suo
tempo la gente, presa dallo stupore, si domandava: da dove gli viene questa autorità,
questa potenza nell’operare e questa sapienza nel parlare? qual è la vera identità di
quest’uomo? I discepoli stessi non finivano di meravigliarsi e si dicevano tra loro:
“Chi è dunque costui?” (Mc 4, 41)»102.
Questa lunga citazione mi è stata molto utile per non dimenticare un
efficace strumento di catechesi su Gesù Cristo, cioè La Verità vi farà liberi,
pubblicato dopo la Pasqua del 1995 quale definitivo Catechismo degli Adulti per le
Chiese in Italia. Al mistero di Cristo sono dedicate circa 140 pagine, che si leggono
tutte di un fiato, da proporre allo studio ed alla conoscenza dei sacerdoti e del popolo.
Nella nostra società, che rifugge da ogni dichiarazione di convinzione
riguardante Dio, ma allo stesso tempo ideologizza le opinioni riguardanti la caducità
e la fugacità delle cose, la professione di fede in Cristo richiede coraggio civile e
fermezza interiore. Proprio perché vi sono questi nodi da sciogliere, ho maturato
l’opinione che per poterci avvicinare a Gesù in modo corretto, integro e realistico, sia
utile e prezioso il Documento CEI anche per questa lettera pastorale.
I. Strabismo religioso
Il primo dei nodi da sciogliere è quel fenomeno che può definirsi come lo
“strabismo religioso” di coloro che conoscono superficialmente e poco Gesù e sono
esposti ad altri messaggi fuorvianti su di Lui, col risultato di dar vita, nel proprio
pensiero, ad una figura confusa, che va a sostituirsi a quella chiara e semplice
proposta dalla fede cattolica.
102
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, “La Verità vi farà liberi” Catechismo degli Adulti, LEV, Roma 1995, 119120.
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Si pensi al libro di Augias e Pesce, Inchiesta su Gesù. Chi era l’uomo che
ha cambiato il mondo103, nel quale gli autori rifiutano il Personaggio della Scrittura e
della Tradizione, perché basato esclusivamente su pochi dati, ritenuti scarsi ed
inconsistenti, riportati dai testi evangelici, ed ai quali sostituiscono ipotesi (queste sì
fantasiose!) quale quella per cui Gesù era un rabbino che, animato dalla sete di
conoscenza, aveva girato il medio ed estremo Oriente per una dozzina d’anni per poi
rientrare in Palestina a svolgere una funzione sociale.
A questo filone va ricondotto anche il “Gesù gnostico”, di E. Pagels, che
divulga scoperte “sensazionali”...104
Viviamo insomma in pieno opinionismo transculturale, e non sempre ne
abbiamo contezza. L’espansione dei mass media, televisione ed internet in testa,
incrementa il sapere in ogni ambito, anche religioso, per via dell’assunzione di
prestiti e recensioni varie dalle diverse tradizioni, in una sorta di sincretismo in cui
l’uomo postmoderno appare più tollerante verso credenze panteistiche, tecniche
psicologiche, pratiche esoteriche e religioni monoteistiche che, insieme, formano una
gratificante miscela in cui Buddha, Confucio, Visnù, Gesù Cristo, Maometto possono
essere invocati come dèi del nuovo Pantheon!105
Il bisogno di Dio e la necessità di dare senso alla vita fanno da collante dei
cocci raccolti, che ognuno organizza come crede. In tal modo, si sfugge
all’assolutezza del Cristianesimo in quanto religione della rivelazione storica del Dio
vivente.
Sperimentiamo quotidianamente la difficoltà di presentare il messaggio
cristiano in un contesto culturale attraversato dal crescente divario tra annuncio di
verità eterne e strapotere mediatico della comunicazione massiva e manipolata. Tutto
è ridotto a messaggio breve ma imperioso, subliminale, angosciante e ricattatorio.
Quale la conseguenza? Che l’annuncio evangelico, oggi, o si traduce in immagine o
si rende incomunicabile e quindi si autoannulla. Si ignora la luminosa certezza di Dio
che si incarna nella natura umana, parla una nostra lingua e ci dona se stesso
nell’Eucaristia. L’uomo si crea un dio su misura, cioè un idolo. E attorno vi tesse le
trame dei suoi desideri: la solitudine viene vinta attraverso la comunicazione
103
AUGIAS-PESCE ,inchiesta su Gesù. Chi era l’uomo che ha cambiato il mondo, Mondadori,2007.Ed al successivo,
in vendita da Ottobre 2008, “Storia del cristianesimo”, Mondadori,2008.
104
divulga scoperte sensazionali subito smentite, supposizione di complotti per nascondere la verità di Gesù che
risulterebbe dai documenti di Qumran o di Nag Hammadi, mentre, al contrario, questi testi “gettano una luce nuova
sul giudaismo del primo secolo scoprendo un mondo fino ad allora in gran parte ignoto, e in questo senso ha di riflesso
illuminato meglio anche alcuni passi evangelici, permettendo di tracciare con maggiore l’ambiente giudaico nel quale si è svolta gran
parte della predicazione e dell’azione di Gesù. E. Castellucci, Il “Gesù storico” e il “Cristo della fede”. Presentazione del
volume di J. Ratzinger ( Benedetto XVI) “Gesù di Nazaret”, in Orientamenti Pastorali, EDB, Bologna 10/2007, 11.
Sfogliando il libro di quasi duemila anni di storia del cristianesimo, incontriamo una quantità innumerevole di
risposte personali, nuove e sconvolgenti. Talvolta si è notato che la figura di Buddha, illustrata da migliaia di immagini
e statue, conserva una fissità statica, ha sempre i medesimi tratti, mentre una sconcertante diversità segna gli sforzi di
tracciare il Volto di Cristo. Michelangelo e Dalì, il pittore d’una icona e l’architetto di una cattedrale medievale,
sembrano non aver nulla in comune quando tentano di rendere visibile il Volto del Verbo incarnato.
105
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planetaria, lo spettro della morte esorcizzato con l’idea della reincarnazione.
Attraverso ripetuti tentativi, l’uomo sfocia nell’oceano cosmico!
Si tratta di religiosità vaga e confusa, che si connette in mille modi
con pratiche superstiziose, decisamente da condannare. Questa lettera
pastorale si prefigge di ribadire e rimotivare la unicità di Gesù Cristo in ordine
alla salvezza: «Gesù è la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata
testata d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato
agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At
4, 11-12).
La centralità di Cristo come volto da contemplare pone in primo
piano una cristologia della contemplazione che è sia svelamento della figura
trinitaria di Dio, il Dio dell’Amore assoluto, tripersonale; sia principio di una
pedagogia pastorale da attuare con semplicità e immediatezza. La missione
della Chiesa trova la sua ragion d’essere e il suo dinamismo in una sequela
coerente e partecipativa del modo con cui Dio, in Cristo, sceglie di farsi parte
della storia per un progetto di salvezza che riguarda ogni uomo. Se
guarderemo a Lui troveremo il tutto, perché Egli è la nostra locuzione e
risposta, ogni nostra visione e rivelazione.
Il grande vescovo di Aquisgrana, K. Hemmerle, prematuramente
scomparso, sosteneva che «nella definitività della Rivelazione divina della
salvezza in Gesù, tutto diventa lo spazio santo unico e comprensivo (cfr. per
esempio At 10 e 17; 1 Cor 3,22;10,26) e al tempo stesso viene disincantato,
messo a disposizione degli uomini in quanto sono essi i veramente santificati.
Sacralità e profanità del mondo sotto il profilo cristiano diventano la stessa
cosa»106.
In Gesù di Nazaret Dio ha parlato in modo definitivo all’uomo: «Dio,
che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi per
mezzo dei profeti, ultimamente, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha
costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il
mondo» (Eb 1, 1-2).
In Cristo, Dio raggiunge l’uomo e gli offre la salvezza, cioè la vita
eterna, che si consegue mediante la sequela di Lui nell’esodo sino al Padre:
«Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo
di me» (Gv 13, 6). E’ una proposta chiara e forte: «Io sono la risurrezione e
la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me,
106
Cit. da C. DOTOLO, Un cristianesimo possibile. Tra postmodernità e ricerca teologica, Queriniana, Brescia 2007,
199.
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non morrà in eterno!» (Gv 11, 25-26). «Credi tu?» (Gv 11, 26). A questa
proposta va data risposta.
II. Facili sicurezze
Il secondo nodo è la presunzione di avere la salvezza in tasca. Forse
abbiamo dato l’impressione che determinate pratiche religiose abbiano un esito
infallibile. Ne deriva un impegno ansioso per “fare” le scelte pratiche, cui segue uno
stato di rilassamento penoso e pericoloso.
Molti “fedeli” vivono questa religiosità blasfema e intrisa di devozioni
senza spessore e senza fede. La fede è un dono di Dio, credere è un privilegio: «Beati
gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi dico che molti profeti e re hanno
desiderato di vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro, e udire ciò che voi udite,
ma non l’udirono» (Lc 10, 24).
Questa valutazione non implica condanna verso i non credenti, soprattutto
se in stato di ricerca. Nei loro riguardi deve nutrirsi una sana trepidazione per
stimolare in essi il desiderio della verità come segno del lavorio della grazia nel loro
cuore, perché «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi!» (1 Tm 2, 4).
La fede, del resto, difficile da praticarsi perché tenuta a passare per lo
scandalo della croce (cfr Mt 16, 21-23 e paralleli), è l’incontro dell’umano andare e
del divino venire. Essa non è riposo tranquillo, ma lotta come per Giacobbe al guado
dello Jabbok (Gen 32, 23-33), perché Dio si rivela come l’Altro, irriducibile alla
misura umana. Sant’Agostino ammoniva: «Nessuno pretenda di avere già scoperta la
Verità. Cerchiamola invece come qualcosa che non si conosce ancora. Soltanto se
non pretendiamo di averla già scoperta, possiamo cercarla con amore e sincerità!».
In sintesi, si può affermare che la fede è sempre risposta ad un gesto previo
di Dio, che consente il salto oltre i fenomeni e gli avvenimenti e che, con un atto di
filiazione, costituisce nel credente la struttura adeguata che fa sì che l’amore-agape
venga ad esistenza e si conservi. La fede è anche sorpresa, nel senso che l’uomo non
ha alcuna possibilità di divinizzare il tempo: solo all’Eterno è consentito entrare nel
tempo e renderlo un’occasione favorevole, ovvero un kairòs che può schiudere
l’opportunità di dilatare ogni istante fino all’eternità. Infine, l’abbandono di Gesù nel
fare fino in fondo la volontà del Padre in tutta la sua drammaticità, è il momento
culminante, il più intenso e, nello stesso tempo, rivelativo del suo atteggiamento di
fede. In altri termini, «Gesù abbandonato è la fede»107.
Cercare è, dunque, l’operazione che accomuna tutti gli uomini di buona
volontà. Il fedele non deve ritenersi come uno che ha scavato e trovato nella sua terra
una falda freatica dalla quale pompare acqua per l’orto, né uno che, avendo costruito
il pozzo, instaura con i vicini un rapporto di potere, pretendendo che essi paghino per
107
P. CODA-C. HENNECHE, La Fede, Città Nuova, Roma 2000, 17.
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la “sua” acqua. Rispetto alla fede, dobbiamo sentirci destinatari di un bene che
dobbiamo dividere con gli altri in “perfetta letizia”.
III.
Ricerca stanca
Il terzo nodo da sciogliere preliminarmente è la nostra stanchezza
concettuale. E’ un’esigenza che può toccare tutti i sacerdoti, sia gli anziani che i
giovani. A quelli preconciliari fu fatta studiare una cristologia speculativa e
discendente, schematizzata attorno all’”unione ipostatica” con i conseguenti corollari,
una cristologia che dona ragione della fede nel Figlio venuto a redimerci, ma sorvola
tout court sullo spessore concreto del mistero di Gesù, che pure è una fonte che
alimenta la nostra passione per Lui. Ai più giovani, invece, è stata data una
formazione atta a ricercare i dati biblici in modo più scientifico e vasto. Ciò
nonostante, anche essi dovranno prestare attenzione a non lasciar sbiadire questo
patrimonio di approcci moderni a Gesù, ripensandolo in chiave orante nelle pause
del ministero, perché la preghiera trasforma l’orizzonte culturale in forza volitiva,
necessaria per investire nella storia la nostra fede in Lui.
Quanto alla formazione dei futuri presbiteri, nel contesto della Chiesa
italiana che sta celebrando un progetto culturale orientato in senso cristiano, forse
sarà utile avere a mente le parole del Servo di Dio Giovanni Paolo II: «La formazione
intellettuale dei candidati al sacerdozio trova la sua specifica giustificazione nella
natura stessa del ministero ordinato e manifesta la sua urgenza attuale di fronte alla
sfida della nuova evangelizzazione alla quale il Signore chiama la Chiesa alle soglie
del terzo millennio. “Se già ogni cristiano - scrivono i Padri sinodali - deve essere
pronto a difendere la fede e a rendere ragione della speranza che vive in noi, molto
di più i candidati al sacerdozio e i presbiteri devono avere diligente cura del valore
della formazione intellettuale nell’educazione e nell’attività pastorale, dal momento
che per la salvezza dei fratelli e delle sorelle devono cercare una più profonda
conoscenza dei misteri divini”. La situazione attuale poi, pesantemente segnata
dall’indifferenza religiosa e insieme da una sfiducia diffusa nei riguardi della reale
capacità della ragione di raggiungere la verità oggettiva e universale, e da problemi
e interrogativi inediti provocati dalle scoperte scientifiche e tecnologiche, esige con
forza un livello eccellente di formazione intellettuale, tale cioè da rendere i sacerdoti
capaci di annunciare, proprio in un simile contesto, l’immutabile Vangelo di Cristo e
di renderlo credibile di fronte alle legittime esigenze della ragione umana. Si
aggiunga, inoltre, che l’attuale fenomeno del pluralismo quanto mai accentuato,
nell’ambito non solo della società umana ma anche della stessa comunità ecclesiale,
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chiede una particolare attitudine al discernimento critico: è un ulteriore motivo che
dimostra la necessità di una formazione intellettuale quanto mai seria»108.
IV.
La questione del Gesù storico
L’espressione “Gesù è il Signore” rappresenta la più sintetica e antica
professione di fede cristiana. In essa vengono congiunti due nomi: il primo si riferisce
alla figura storica del profeta Gesù di Nazaret, vissuto in Palestina venti secoli fa; il
secondo appartiene alla sfera della fede ed attiene a Colui che il Padre ha glorificato e
che il credente considera Salvatore universale.
Nella luce dell’esperienza pasquale, veicolata nelle formule di fede e nei
racconti delle apparizioni, si rilegge all’indietro e in avanti, retrospettivamente e in
modo prolettico, la storia del Nazareno, d’Israele, della Chiesa e del mondo. Si pone
preliminarmente il problema del rapporto fra l’esperienza pasquale e il passato di
Gesù: in che relazione sono i due momenti espressi nella formula “Gesù è il Signore”,
e cioè la storia dell’Umiliato e la condizione del Resuscitato da Dio? Il Cristo della
fede pasquale è in continuità o in discontinuità col Gesù della storia?
Se la verità di esistenza della fede si fonda sulla verità di fatto delle cose
che vanno credute, si capisce come questo interrogativo investa il fondamento stesso
della fede cristiana: è il problema critico di essa109. La fede cristiana è legata alla
storia in quanto professa che l’autorivelazione di Dio è avvenuta in un modo speciale,
attraverso una serie di eventi storici particolari e grazie ad un gruppo di persone
particolari: i profeti, gli apostoli e, soprattutto, la persona di Gesù e gli avvenimenti
nei quali egli fu coinvolto. Difatti, il tema più discusso nell’approccio alla persona di
Gesù di Nazaret è l’opportunità di accostarsi alla penetrazione della sua figura e del
suo mistero attraverso quella movenza ondeggiante che va dalla storia alla fede e
viceversa.
Gesù Cristo è un’entità d’importanza storica mondiale. Gesù visse in
Palestina tra il 7 a.C. e il 30 d.C. La sua comparsa segna l’inizio di una storia
effettuale che ha trasformato radicalmente il mondo dal punto di vista non solo
religioso, ma morale e sociale. Questa storia ha esercitato grandissima influenza sui
cristiani, sulle chiese e sulle loro comunità fino al presente. Ma la sfera d’influenza di
Gesù si dilata anche al di fuori del cristianesimo ufficiale, coinvolgendo l’intera
civiltà occidentale e mondiale.
Gesù di Nazaret e la sua opera sono, quindi, in senso storico-universale,
immediatamente presenti anche ai nostri giorni. Il problema storico, che ha per
oggetto ciò che noi possiamo conoscere della sua vita, apparizione, predicazione e
108
GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica postsinodale Pastores dabo vobis, n. 51, ( 25.03.1992), EV,13/1412.
B. FORTE, Gesù di Nazaret, storia di Dio, Dio della storia. Saggio di una cristologia come storia, San Paolo,
Cinisello Balsamo (Mi), 1981, 103-104.
109
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morte, ci interessa direttamente, perché ha delle ripercussioni anche sul cristianesimo
contemporaneo, sulle chiese attuali e sulla cultura direttamente o indirettamente
condizionata dal cristianesimo. Se così non fosse, la maggioranza degli uomini
mostrerebbe per Gesù l’interesse - notevole o scarso a seconda dei casi – riservato a
Socrate, Buddha o Lao tse110.
Non desta stupore, allora, come attorno a questa istanza si sia raccolta
entusiasticamente la riflessione cristiana degli ultimi due secoli. Si possono indicare
tre tappe, cronologicamente susseguenti, che sono anche tre tipi di risposta111, di
questa ricerca.
V.
Le varie tappe della ricerca
Nel tentativo di ricostruire le varie tappe della ricerca, inizierò dagli albori
dell’era cristiana.
Durante la prima evoluzione della fede cristiana, il fenomeno più rilevante
di opposizione al Cristianesimo sul piano culturale fu il succedersi incalzante di
movimenti ereticali. La parola “eresia” richiama un’operazione di selezione per cui
un gruppo di credenti, spinto da particolari circostanze e ispirato da peculiari
concezioni filosofiche, sceglie una parte del messaggio, facendone l’elemento più
importante della fede.
È naturale che nei primi secoli gli attacchi fossero rivolti sia alla figura del
Cristo con il mistero della sua incarnazione, sia alla veridicità dei Vangeli. Ricordo, a
questo proposito il Discorso veritiero di Celso (scritto tra il 170 e il 180 d.C.) ed i
quindici libri di Contro i cristiani, di Porfirio (270 d.C.), che rappresentano un’ampia
raccolta di obiezioni, di difficoltà e di accuse contro l’opera e la dottrina di Cristo,
presentato come un uomo arrogante, empio, bugiardo e millantatore, un mago che
spacciava per straordinarie cose le guarigioni che, invece, erano solo frutto di astuzia
o di tecniche apprese solo con lo studio e l’esperienza.
I Vangeli subirono lo stesso attacco contro Cristo: fu negato loro qualsiasi
valore di veridicità e di attendibilità storica e, quindi liquidabili.
Sia le eresie, sia le altre accuse furono combattute e sconfitte dagli scrittori
ecclesiastici dei primi secoli del cristianesimo. Nella difesa e nell’approfondimento
della fede essi fecero prevalere la novità e l’originalità del “kérygma”
neotestamentario sulla visione filosofico-religiosa della cultura del tempo, la quale,
pur diventando strumento espressivo del cristianesimo, subì un vero e proprio
processo di purificazione o, per meglio dire, di de-ellenizzazione, e di conversione.
110
111
Cf. W. KASPER, Gesù il Cristo, Queriniana, Brescia, 1996, 25.
Cf. R. LATOURELLE, A Gesù attraverso i Vangeli, Cittadella, Assisi, 1979, 15-46, 133-270.
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Nei secoli successivi, di fondamentale importanza per la tutela
dell’ortodossia fu l’opera delle prime assise ecumeniche contro coloro che mettevano
in discussione le verità che la Tradizione della Chiesa aveva riconosciuto a Gesù
Cristo: Figlio dell’Uomo, Verbo, Salvatore, Messia. Il Concilio di Nicea (325)
proclamò contro Ario che il Verbo è consustanziale al Padre; i Concili di
Costantinopoli e di Aquileia, (381) e quello di Efeso (431) ribadirono, contro
Nestorio, l’unicità della persona di Cristo e del Verbo; il Concilio di Calcedonia
(451) condannò il monofisismo del monaco Eutiche.
A questi primi attacchi contro il cristianesimo seguì un lungo periodo di
quiete, per tutto il Medioevo ed il Rinascimento, fino al secolo XVIII, detto “dei
Lumi”.
L’indagine moderna sul Gesù storico si può dire inizi nel 1778, con la
pubblicazione postuma di parti degli scritti di Hermann Reimarus (1694-1768), che
parlano di Gesù come un sedicente rivoluzionario politico fallito miseramente. I suoi
discepoli ne trafugarono il cadavere e, inventata la storia della risurrezione,
costituirono una nuova Chiesa: la cristiana. Questa teoria sollevò una prevedibile
valanga di critiche che la sommersero, almeno per un po’!112
Tuttavia, Reimarus, con la sua tesi «stolta e dilattentistica»113, ebbe il
merito di dare il via all’indagine su Gesù e sull’attendibilità storica delle fonti
cristiane, con una notevole eco negli ambienti protestanti mitteleuropei, fino a
sfiorare il cattolicesimo con il modernismo114. Dall’indagine sulla vita di Gesù
nacquero infiniti ritratti del Messia, tutti offuscati dal pregiudizio e
dall’antidogmatismo prettamente illuministi e razionalisti. Il risultato fu che ogni
epoca, ogni teologia, ogni autore ritrovava nella personalità di Gesù il proprio ideale.
Tra le opere più note di questo periodo, la Vita di Gesù di Georg W. F. Hegel (1795)
e quelle, con titolo analogo, di David F. Strauss (1835) e di Ernest Renan (1863).
Altri ricercatori accettarono solo il Cristo della fede, annunciato e
proclamato dai Vangeli, non curandosi dello spaccato storico di Gesù, asserendo che i
testi evangelici non permettevano da soli di arrivare a Cristo in chiave storica.
In questo contesto, autore di spicco fu R. Bultmann (1884-1976), il quale
sostenne che il Gesù presentato dai Vangeli sarebbe stato un Gesù nato e morto, ma
del quale, dal punto di vista storico, sarebbe stato impossibile dire di più. «Io sono
indubbiamente del parere - scriveva - che noi non possiamo sapere più nulla della
vita e della personalità di Gesù, poiché le fonti cristiane non si sono interessate al
riguardo se non in modo molto frammentario e con taglio leggendario»115. Ed
112
Cf. G. O’COLLINS, Gesù oggi. Linee fondamentali di cristologia, Edizioni Paoline, (Cinisello Balsamo), Milano,
1993, 40.
113
J. JEREMIAS, Il problema del Gesù storico, Paideia, Brescia, 1974, 12.
114
Cf., C. PORRO, La controversia cristologica nel periodo modernista (1902-1910), La Scuola Cattolica, Venegono
Inferiore 1971.
115
R.BULTMANN, Jesus, Berlin, Deutsche Bibliothek, 1929; trad. ital. Gesù, Queriniana, Brescia, 1972, 103.
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inoltre: «Ciò che è avvenuto nel cuore di Gesù non lo so, né m’importa saperlo»116.
Muovendo dal postulato che il Nuovo Testamento è stato scritto con una
mentalità mitico-metafisica, anziché storico-scientifica, Bultmann giunge alla
conclusione che Cristo non può avere per noi alcun interesse, sotto il profilo storico,
dato che nulla di quanto ci viene riferito dagli autori del Nuovo Testamento ha valore
storicamente rilevante. Perciò Gesù potrebbe interessarci soltanto come portatore del
kérygma, cioè dell’annuncio salvifico. «La predicazione cristiana – sottolineava
ancora Bultmann - è un kérygma ossia una proclamazione che non si rivolge alla
ragione speculativa, ma all’uditore preso nella sua ipseità. E così che Paolo si
raccomanda ad ogni coscienza umana davanti a Dio (2 Cor 4,2). La demitizzazione
vuole mettere in evidenza questa funzione della predicazione come messaggio
personale: facendo ciò essa eliminerà il falso scandalo e metterà in piena luce il vero
scandalo, la parola della croce»117.
In sintesi, il processo della demitizzazione nell’ottica bultmanniana intende
operare la trasposizione del messaggio di Cristo in un sistema filosofico
comprensibile anche dall’uomo della strada: Bultmann, sulla scia di Heidegger,
riteneva che la filosofia esistenzialista fosse in grado di corrispondere a siffatto
compito118.
Questa seconda ricerca è caratterizzata dall’opposizione al razionalismo
liberale degli esponenti della teologia dialettica, che più che puntare sul Gesù della
storia, fecero leva sul Cristo del kérygma. La premessa filosofica di tale fase è
riconducibile alla teologia dialettica di Karl Barth, che intendeva opporsi al tentativo
razionalistico e storicistico della teologia liberale. Per Barth, infatti, la credibilità del
kérygma era tutta concentrata nella sua radicale alterità rispetto alle aspettative
umane. Il divino è “totalmente Altro” rispetto all’umano.
Sono stati, però, numerosi gli studiosi che hanno riconosciuto piena valenza
al dato storico, tra i quali il Jeremias, Ernst Käsemann, Günther Bornkamm, Heinz
Conzelmann, inclini a rivalutare in modo sostanziale il Gesù della storia come
importante per la fede, dal momento che la comunità cristiana primitiva non
intendeva far sfumare nel mito la persona del suo Maestro119.
Tra i menzionati studiosi, per il contributo peculiare offerto nel ridefinire i
sentieri della ricerca, mi pare opportuno citare solo il Käsemann, che osservava: «La
questione del Gesù storico è, legittimamente, la questione della comunità
dell’evangelo nella discontinuità dei tempi e nella variazione del kerygma.
116
IDEM, Glauben und Verstehen, I-IV, Tubingen 1933, 1952, 1960, 1965, 101, 251; tr. it. Credere e comprendere,
Queriniana, Brescia 1990.
117
Idem, Jesus Christ and Mythology, New York Scribner, 1958, 205.
118
Cf. R. FISICHELLA, La rivelazione: evento e credibilità. Saggio di Teologia Fondamentale, EDB, Bologna, 1985,
210. La rivelazione: evento e credibilità. Saggio di Teologia Fondamentale, EDB, Bologna, 1985, 210.
119
Cf. A. AMATO, La questione cristologica odierna, Giornate per le questioni pastorali del Centro Sacerdotale
Montalegre, in Osservatore romano dell’11-12 febbraio 2008.
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L’evangelo è legato a colui che, prima e dopo pasqua, si è rivelato ai suoi come
Signore, ponendoli davanti al Dio vicino e di conseguenza nella libertà e
responsabilità della fede. Per questo, alla fin fine non è possibile classificarlo né in
una prospettiva storico-religiosa, né in una prospettiva psicologica o storica. Se
proprio dev’essere classificato, occorre parlare nel suo caso di contingenza storica.
In questo senso, il problema del Gesù storico non è un’invenzione nostra, ma è
l’enigma che egli stesso ci propone»120. Nella famosa conferenza del 1953, ritenne
necessario un recupero della storicità di Gesù, per tornare ad una riconciliazione tra
storia e fede, dal momento che la fede richiede proprio la storicità di quanto viene
creduto, altrimenti non sarebbe più fede, ma illusione, mito, leggenda.
All’inizio dell’ultimo decennio del Novecento si è delineata una nuova fase
nell’ambito della ricerca storica su Gesù, denominata «Third Quest»121. La sua
caratteristica più rilevante è la collocazione dei fatti e dei detti di Gesù nell’ambiente
ebraico (diremmo meglio giudaico)122 in cui egli visse. Afferma ad esempio
Charlesworth: «Gesù di Nazareth, in quanto uomo della storia, deve essere visto
all’interno del giudaismo del suo tempo»123. Se questo è vero, in questa nuova fase,
anche la criteriologia storica – con i suoi aspetti più significativi (attestazione
multipla, continuità, discontinuità) – subisce una revisione critica. Si riafferma il
criterio della continuità e della coerenza storica di Gesù con il suo ambiente, mentre il
criterio di discontinuità viene ridimensionano sia per evitare che Gesù diventi un
“estraneo” al suo ambiente, sia per non ridurre il suo mistero a quanto risulta essere
esclusivo solo a lui.
Questa fase, che intende quindi recuperare alcuni elementi sostanziali del
Gesù storico a partire dalla fede delle prime comunità, si avvale della ricerca esperita
dal Castellucci nel riassumere in quattro posizioni fondamentali il rapporto tra il
“Gesù storico” e il “Cristo della fede”: due si possono ritenere estreme, e due moderate. Definirei estreme le due posizioni della «storia senza dogma e dogma senza
storia». Moderate, invece, quelle che sostengono «una storia aperta o almeno non
chiusa al dogma e quella che prospetta un dogma innestato nella storia»124.
120
E. KÄSEMANN, Il problema del Gesù storico, in ID, Saggi esegetici, Marietti, Casale Monferrato 1985, 56-57.
Per quanto riguarda tutta la nuova impostazione relativa al problema del “Gesù storico” segnalo i tre volumi, editi in
italiano dall’editrice Queriniana di Brescia tra gli anni 2001-2003, dell’opera colossale di JOHN P. MEIER, Un ebreo
marginale – Ripensare il Gesù storico.
122
Con il termine giudaismo (che compare per la prima volta in 2Mac 2,21 in contrapposizione ad ellenismo) si suole
designare la tradizione di Israele quale si configurò dopo l’esilio. Dicendo giudaismo biblico (o veterotestamentario) si
intende quello testimoniato negli scritti dell’AT. Dicendo giudaismo post-biblico (o post-veterotestamentario) si intende
globalmente quello attestato da una molteplice e varia schiera di testimoni, quali il NT, Filone, Giuseppe Flavio, la
letteratura rabbinica e gli scritti apocrifi dell’AT.
123
J. H. CHARLESWORTH, Gesù nel giudaismo del suo tempo alla luce delle più recenti scoperte, Claudiana, Torino
1994, 11.
124
E. CASTELLUCCI, Il “Gesù storico” e il “Cristo della fede”. Presentazione del volume di J. Ratzinger ( Benedetto
XVI) “Gesù di Nazaret”, in Orientamenti Pastorali, EDB, Bologna 10/2007.
121
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Il Gesù storico è affascinante perché è tema centrale, tanto da essere stato
sempre oggetto di controversie piuttosto accese e di conflitti interpretativi. Vale a dire
che dinanzi alla figura di un personaggio che corrisponde al nome di Gesù di Nazaret,
detto il Cristo, si è data origine ad una serie di prospettive diversificate che hanno
tentato, in qualche modo, o di sminuire il valore significativo che ha per la storia
dell’uomo, o di ridurne la peculiarità125.
Dire Gesù storico non equivale a dire semplicemente Gesù o Gesù di
Nazaret o Gesù della storia o, ancora, Gesù terrestre. L’aggettivo storico, dato a
Gesù, è prettamente tecnico e qualificativo. Il problema del Gesù storico è quindi ciò
che costituisce oggetto della critica storica; è tutto quello che, mediante una ricerca
oggettiva dei dati, si può acquisire scientificamente sulla persona di Gesù di Nazaret,
senza avere la pretesa che il risultato ottenuto sia esaustivo della realtà studiata: le
scienze storiche non potranno mai arrivare ad un puro dato oggettivo nella
descrizione di Gesù perché, oltre alla dimensione storica verificabile, si incontra in
Lui la definitività dell’agire di Dio che, come ben evidenzia anche il teologo
Fisichella, non è solo oggetto di scienza126.
La questione, allora, non sta tanto nel dilemma se il personaggio Gesù sia
storicamente esistito, quanto piuttosto nel perché quel personaggio storico sia stato
interpretato come Cristo e come si possa affermare che Egli sia Dio. Ecco il vero
punctum quaestionis127. L’ideale per una possibile ma non esaustiva soluzione
sarebbe l’equilibrio tra una ricerca storica ed una intelligenza teologica che evitassero
sia le strettoie di uno storicismo inadeguato, sia la riduzione a un discorso mitico o
simbolico.
Il lungo percorso aperto dalla storia della ricerca su Gesù porta a una
conclusione: la formula primitiva “Gesù è il Signore” non è un’invenzione dei primi
cristiani per architettare una frode, ma è la comprensione determinante della figura
storica di Gesù, una personalità fuori dal comune. I Vangeli e gli scritti del Nuovo
Testamento, quando parlano di Gesù e della novità paradossale del Regno, lasciano
emergere i tratti della Sua personalità e del Suo messaggio: l’assoluta libertà; la
proclamazione dell’uguaglianza tra gli uomini; l’attenzione a coloro che vivono ai
margini della cultura, della società, della religione; l’annuncio di un Dio-Padre che
oltrepassa qualsiasi idea di divinità statica e disinteressata del destino della storia.
In tal senso Gesù non è esauribile in una formula, né racchiudibile in uno
schema interpretativo prestabilito. Ciò è evidenziato con insistenza e non senza
qualche forzatura interpretativa, dagli studiosi riconducibili nell’alveo della terza
125
Cf. C. DOTOLO La questione del Gesù storico, Conferenza tenuta presso il Centro Culturale L’Areopago della
Parrocchia di S. Melania l’11 marzo 2005, in corso di stampa.
126
Cf. R. FISICHELLA, La rivelazione: evento e credibilità, 202.
127
Cf. C. DOTOLO, La questione del Gesù storico,o.cit.
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ricerca128.
VI. Il Gesù della storia è il Cristo della fede
Secondo il Peláez, «agli albori del XXI secolo, la figura di Gesù continua a
presentarsi per molti aspetti come un enigma che, forse, può essere decifrato solo se
alla luce della storia sommiamo l’esperienza della fede, per poter confessare insieme
e come i primi cristiani che “Gesù è il Cristo”, e chiamarlo “Gesù Cristo”»129,
puntando sulla non contraddizione tra storia e fede. Quest’ultima, infatti, non è un
mito senza fondamento storico, né un paradosso senza fondamento razionale, mentre
la storia non è solo l’ambito di eventi intramondani, ma ospita anche il dialogo
salvifico di Dio con l’uomo130.
Ancora Fisichella ribadisce che «quanto detto sulla storia di Gesù e sulla
continuità personale tra il Gesù della storia e il Cristo della fede costituisce in
rapida, sintesi quella che oggi viene chiamata cristologia fondamentale»131.
Sostenendo tale tesi, R. Penna parla di «due inizi della cristologia neotestamentaria:
uno è fornito dall’azione e dalla predicazione di Gesù in Galilea; l’altro dalla sua
gloriosa risurrezione a Gerusalemme. In effetti il primo non si potrebbe comprendere
appieno (e storicamente non fu compreso), se non sulla base della luce pasquale; il
secondo poi sarebbe privo di consistenza, se colui che è proclamato risorto dal
sepolcro non fosse lo stesso Gesù che parlò e operò precedentemente nella terra
d’Israele. Tutta la successiva cristologia ecclesiale poggia i piedi su questo doppio
fondamento, e di questa dualità si nutre e si sostanzia»132.
Germoglia così con la risurrezione, per confermarsi sempre più, la
cristologia, ovvero la fede completa in Gesù come Figlio Unigenito del Padre, suo
Verbo eterno, scopritore del senso della vita e della storia, nuovo Capo dell’umanità
riscattata e liberata. Lorenzo Rossetti, commentando la Dominus Jesus precisa:
«Soltanto nell’uomo storico Gesù Dio si è rivelato totalmente. C’è un’identità reale
tra Gesù, nato da Maria, nella storia e il Figlio eterno che conosce tutto il mistero di
luce e di amore del Padre. Non si può dire che altre manifestazioni siano altrettante
incarnazioni del Figlio di Dio»133.
Alla fine di questo percorso viene spontaneo chiedersi quale sia l’utilità del
128
IDEM, Gesù storico e Cristo della fede: tappe di una ricerca in Ricerca maggio 2007, 19-21.
J. PELÁEZ, Un lungo viaggio verso il Gesù della storia, in J. J. TAMAYO-ACOSTA (ed.), 10 parole chiave su Gesù di
Nazaret dalle ‘vite’ di Gesù al Gesù della ‘vita’, Cittadella Editrice, Assisi 2002, 103.
130
Cf. A. AMATO, Gesù il Signore. Saggio di cristologia, EDB, Bologna, 1988, 42.
131
FISICHELLA, La rivelazione: evento e credibilità, 229-239.
132
R. PENNA, I ritratti originali di Gesù il Cristo. Inizi e sviluppi della cristologia neotestamentaria, I. Gli inizi, San
129
Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 1996, 27.
133
C. L. ROSSETTI, Il paradosso di un’umile pretesa. Riflessioni sulla dichiarazione “Dominus Iesus” e sulla sua
ricezione, in L’attuale controversia sull’universalità di Gesù Cristo (a cura di Massimo Serretti) Lateran University
Press, Roma 2002,181.
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Gesù storico per i credenti. Risposta: nessuna, se ci si interroga solo sull’oggetto
diretto della fede cristiana. È invece Gesù, Cristo, crocifisso, risorto e presente oggi
nella sua Chiesa, accessibile a tutti i credenti, inclusi quelli che non studieranno mai
teologia! Però, anche se la ricerca sul Gesù storico non è l’oggetto diretto e l’essenza
della fede, essa deve essere parte integrante della moderna riflessione credente come
condizione di possibilità. Infatti il Gesù storico è un’arma contro ogni riduzione della
fede cristiana ad una ideologia fuori della storia, giacché si rifiuta di essere afferrato o
rinchiuso in una sola scuola di pensiero, sia di “destra” che di “sinistra”, e spinge i
teologi a procedere per nuove vie per avvicinarsi alla costante e sorprendente novità
del Gesù storico, stimolo costante per il rinnovamento teologico. Si può affermare
con irrefutabile certezza che tra il Gesù prepasquale ed il Cristo della gloria
annunciato dalla Chiesa non esiste alcuno iato, in quanto tra le due esperienze di
questa medesima persona c’è perfetta sintonia, continuità e identità, nel senso che il
Gesù dell’ultima cena (eucaristia del dolore) è lo stesso, identico e medesimo Gesù
della colazione postpasquale consumata sulla riva del lago di Tiberiade (eucaristia
della gloria).
A rinsaldare inscindibilmente questo concetto, la Dominus Jesus riafferma
gli elementi dottrinali centrali dell’identità cattolica: «Il Signore Gesù, unico
salvatore, non stabilì una semplice comunità di discepoli, ma costituì la Chiesa come
mistero salvifico: egli stesso è nella Chiesa e la Chiesa è in lui (cfr. Gv 15,1ss; Gal
3,28; Ef 4,15-16; At 9,5); perciò, la pienezza del mistero salvifico di Cristo
appartiene anche alla Chiesa, inseparabilmente unita al suo Signore. Gesù Cristo,
infatti, continua la sua presenza e la sua opera di salvezza nella Chiesa e attraverso
la Chiesa (cfr. Col 1,24-27), che è suo Corpo (cfr. 1Cor 12,12-13.27; Col1,18). (…)
Perciò, in connessione con l’unicità e l’universalità della mediazione salvifica di
Gesù Cristo, deve essere fermamente creduta come verità di fede cattolica l’unicità
della Chiesa da lui fondata. (…) I fedeli sono tenuti a professare che esiste una
continuità storica – radicata nella successione apostolica – tra la comunità dei
dodici e la Chiesa cattolica: «E’ questa l’unica Chiesa di Cristo (…) che il Salvatore
nostro, dopo la risurrezione (cfr. Gv 21,17), diede da pascere a Pietro, affidandone a
lui e agli altri apostoli la diffusione e la guida (cfr. MI: 28,18ss); egli l’ha eretta per
sempre come colonna e fondamento della verità (cfr. 1Tm 3,15)»134.
Vincenzo, Vescovo
134
Cf. DOMINUS JESUS, n. 16, EV, 19/1180-1181-1182.
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