Daily_News_n0._35_del_22.02.2016 - Studio Professionale Lorena
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N. 35 del 22.02.2016 Le Daily News A cura di Gianfranco Antico La violazione del principio di competenza costa meno Le dichiarazioni infedeli in conseguenza di errata imputazione di componenti economici – in violazione del principio di competenza, disciplinato dall’art.109, comma 1, del T.U.n.917/86 – godono di sanzioni più favorevoli, a partire dal 1° gennaio 2016, per l’anticipo effettuato dalla cd. Legge di stabilità 2016 (art.1, comma 133, della L.n.208 del 28 dicembre 2015) alle norme contenute nell’art.32, commi 1 e 2, del D.Lgs.n.158/2015, che vanno dalla misura fissa se non vi è danno per l’Erario ovvero ad una riduzione al 60% della maggiore imposta dovuta (invece del 90%). Premessa Il principio di competenza risulta, in linea di principio, inderogabile, in quanto risponde all’esigenza di non lasciare il contribuente arbitro dell’imputazione, in un periodo di imposta o in un altro, degli elementi reddituali positivi e negativi. In questo nostro intervento, dopo aver delineato il quadro giuridico complessivo relativo al principio di competenza e la posizione assunta nel corso di questi anni da parte della giurisprudenza, dell’Amministrazione finanziaria e della dottrina, verifichiamo le modifiche apportate dal D.Lgs.n.158 del 24 settembre 2015 alle sanzioni per violazione dell’errata imputazione. La posizione della giurisprudenza La giurisprudenza, nel corso di questi anni, in particolare quella della Corte di Cassazione – che qui evidenziamo nei suoi interventi di principio -, si è attestata su posizioni realiste, ha cioè applicato la norma. 1 Estremi di Principi giuridici espressi riferimento Sent.n.74774/2002 “le regole sull’imputazione temporale dei componenti di reddito sono inderogabili, sia per il contribuente che per l’ufficio finanziario e, pertanto, il recupero a tassazione dei ricavi nell’esercizio di competenza non può trovare ostacolo nella circostanza che essi siano stati dichiarati in un diverso esercizio….nè per altro verso può ritenersi che la rettifica della dichiarazione presentata per tale annualità d’imposta implichi l’automatica rettifica ( a favore del contribuente) della dichiarazione presentata per l’anno successivo in cui i proventi a tassazione sono stati erroneamente inclusi…”. Sent.n. 6084/2001 “ le determinazioni dell’Amministrazione tributaria con riferimento ad uno specifico periodo d’imposta non possono avere alcun riflesso sulle sue determinazioni rispetto ad altri periodi. La circostanza che l’ufficio non abbia rettificato la dichiarazione relativa ad un determinato esercizio non preclude, cioè, l’autonoma valutazione della denuncia relativa all’esercizio successivo…Neppure giova osservare che il fisco non ha ricevuto comportamento del danni ma contribuente, tratto beneficio essendosi dal prodotta un’anticipazione degli utili rispetto alla loro potenziale realizzazione”. Sent.n. 9756/2003 “I vari elementi (positivi e negativi) di reddito vanno imputati, secondo la regola generale, all'anno di competenza, con l'eccezione che quando la loro esistenza non sia ancora certa o il loro ammontare non sia ancora determinabile vanno imputati all'anno in cui appunto la loro esistenza, e/o il loro ammontare, divengono certi”. Sent. n. 6331/2007 “Posto che l'imputazione di un determinato costo ad un esercizio anziché ad un altro ben può, in astratto, comportare l'alterazione dei risultati della dichiarazione, mediante i meccanismi di compensazione dei ricavi e dei costi nei singoli esercizi - deve ritenersi rigorosamente preclusa in tema di reddito d'impresa, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, la detrazione di costi in esercizi diversi da quello di competenza, giacché il contribuente non può essere lasciato arbitro della scelta del periodo in cui registrare le passività (v. Cass. 3809/07, 16198/01, 7912/00)”. Prosegue la Corte: “la pratica conseguenza di una vietata (v. D.P.R. n. 917 del 1986, art. 127) doppia imposizione, paventata dalla società 2 ricorrente in rapporto alle circostanze del caso concreto, non risulta evento irrimediabilmente connesso all'applicazione del criterio sopra enunciato (del resto, immediatamente scaturente dalla legge), giacché, in base ai principi generali, può essere evitata (cfr., in materia di iva, Cass. 8965/07) mediante l'esercizio da parte del contribuente - con istanza di rimborso e conseguente impugnazione, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, del silenzio rifiuto su di esso eventualmente formatosi - dell'azione di restituzione della maggior imposta indebitamente corrisposta per la mancata esposizione nell'annualità di competenza dei costi negati in relazione a diversa imputazione temporale. Ciò, a decorrere dal perfezionamento del giudicato sulla legittimità del recupero dei costi in relazione all'annualità non di competenza, che, nella prospettiva di cui all'art. 2935 c.c. (applicabile, anche in tema di decadenza: v. Cass. 9151/91), segna - pur in presenza di termini per l'emendabilità della dichiarazione (cfr. il D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis, ratione temporis peraltro inapplicabile alla fattispecie) - il momento in cui il diritto al rimborso può essere fatto valere”. Sent.n. 23987/2008 “ il recupero a tassazione dei ricavi nell’esercizio di competenza non può pertanto trovare ostacolo nella circostanza che essi siano stati dichiarati in un diverso esercizio, non potendosi lasciare il contribuente arbitro della scelta del periodo più conveniente in cui dichiarare i propri componenti di reddito, con innegabili riflessi sulla determinazione del proprio reddito imponibile (Cass. n. 17195/2006)”. Sent.n. 10981/2009 Le regole sull’imputazione temporale dei componenti negativi “ sono inderogabili, non essendo consentito al contribuente scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza, così da alterare il risultato della dichiarazione. Ne l’applicazione di detto criterio implica di per se la conseguenza, parimenti vietata, della doppia imposizione, che è evitabile dal contribuente con la richiesta di restituzione della maggior imposta, la quale è proponibile, nei limiti ordinari della prescrizione ex art. 2935 cod. civ., a far data dal formarsi del giudicato sulla legittimità del recupero dei costi in relazione alla annualità non di competenza (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 16819 del 3 30/07/2007, n. 24474 del 2006, n. 16198 del 2001)”. Sent.n. 2213/2011 “le regole sull’imputazione temporale dei componenti negativi sono inderogabili, non essendo consentito al contribuente scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza, così da alterare il risultato della dichiarazione (Cass., 10 marzo 2008, n. 6331)”. Ord.n.9317/2014 Il contribuente non può essere “lasciato arbitro della scelta del periodo in cui registrare le passività, in quanto l'imputazione di un determinato costo ad un esercizio anzichè ad un altro può, in astratto, comportare l'alterazione dei risultati della dichiarazione, mediante i meccanismi di compensazione dei ricavi e dei costi nei singoli esercizi". Sent.n.7841/2015 Non è “lasciata al contribuente la facoltà di decidere a quale anno imputare tali costi - tutte le volte in cui siano divenuti noti, in quanto certi e precisi nell'ammontare, prima della delibera approvativa del risultato d'esercizio”. Sent.n.19418/2015 Il principio di competenza mira a "contemperare la necessità di computare tutte le componenti nell'esercizio di competenza con l'esigenza di non addossare al contribuente un onere troppo difficile da rispettare. Quindi essa va interpretata nel senso che il dovere di conteggiare tali componenti nell'anno di riferimento si arresta soltanto di fronte a quei ricavi ed a quei costi che non siano ancora noti all'atto della determinazione del reddito, e cioè al momento della redazione e presentazione della dichiarazione". Gli interventi interpretativi dell’ amministrazione finanziaria Nel corso dell’ultimo periodo l’Amministrazione finanziaria è intervenuta più volte per fornire degli importanti chiarimenti interpretativi in merito al trattamento fiscale da applicare, nell’ipotesi in cui, nel rispetto delle indicazioni contenute nei principi contabili1, i contribuenti procedano alla correzione di errori contabili derivanti da mancata imputazione di componenti negativi ovvero positivi nel corretto esercizio di competenza: 1 Le regole contabili, nazionali o internazionali, individuano le fattispecie che rilevano come “correzioni di errori contabili”. Per i soggetti che adottano i principi contabili nazionali, “ gli errori contabili - che non debbono essere confusi con i cambiamenti di stima, né con i cambiamenti di principi contabili -:consistono nella impropria o mancata applicazione di un principio contabile (se le informazioni ed i dati necessari per la sua corretta applicazione sono disponibili);possono verificarsi a causa di errori matematici, di erronee interpretazioni di fatti, negligenza nel raccogliere tutte le informazioni ed i dati disponibili per un corretto trattamento contabile”. 4 con la circolare n. 23/E del 4 maggio 2010 l’Agenzia delle Entrate ha affermato che nel caso in cui l’ufficio, in sede di accertamento, abbia imputato per competenza un componente negativo di reddito ad un periodo d’imposta diverso da quello nel quale era stato dedotto dal contribuente, quest’ultimo potrebbe operare la deduzione – legittimamente – nei seguenti modi, ovvero adire il contenzioso: art.2, comma 8-bis, del D.P.R.n.322/98 (presentazione di una dichiarazione correttiva a favore entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo a quello in cui la deduzione doveva essere operata); art. 38, comma 1, del D.P.R.n.602/73 (presentazione di una istanza di rimborso della maggiore imposta versata entro il termine di quarantotto mesi dalla data del pagamento eseguito in assenza dei presupposti o dal termine per il pagamento del saldo di imposta); art. 21, comma 2, del D.Lgs.n.546/92 ( ricorso, entro il termine di prescrizione del diritto, avverso l’eventuale silenzio rifiuto dell’Amministrazione finanziaria formatosi sull’istanza di rimborso presentata). Il principio affermato è quindi il seguente: la deduzione - nel periodo di imposta di effettiva competenza - di costi oggetto di recupero per mancato rispetto del principio di competenza, può essere in ogni caso riconosciuta. Partendo da questo principio è stato osservato che “ Il diritto al rimborso della maggiore imposta versata con riguardo a un periodo d’imposta antecedente o successivo a quello oggetto di accertamento, decorre dalla data in cui la sentenza che ha affermato la legittimità del recupero del costo non di competenza è passata in giudicato, ovvero dalla data in cui è divenuta definitiva, anche ad altro titolo, la pretesa dell’Amministrazione finanziaria al recupero del costo oggetto di rettifica. Da tale data, infatti, si deve ritenere affermato irrevocabilmente anche il diritto del contribuente a dedurre nel periodo di imposta di effettiva competenza il componente negativo”. L’istanza di rimborso della maggiore imposta versata può essere presentata, ai sensi dell’art. 21, comma 2, del D.Lgs.n. n. 546 del 1992, entro due anni dal passaggio in giudicato della sentenza ovvero dalla data in cui è divenuta definitiva, anche ad altro titolo, la pretesa dell’Amministrazione finanziaria al recupero del costo oggetto di rettifica. In nessun caso potrà accogliersi l’istanza di rimborso del contribuente, qualunque sia la norma invocata, nel caso in cui la pretesa dell’Amministrazione finanziaria al recupero del costo oggetto di rettifica non si sia resa definitiva. Di fronte al silenzio rifiuto dell’A.F. è ammesso ricorso, ai sensi dell’art.19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, nel termine di prescrizione ordinaria decennale. Il diritto al rimborso dell’imposta indebitamente versata non comporta il venir meno o la rideterminazione delle sanzioni originariamente irrogate per effetto del disconoscimento del costo non di competenza, né degli interessi dovuti; con la circolare n.29/2011 le Entrate hanno precisato che “ il diritto al rimborso di cui trattasi consegue a tutte le ipotesi in cui il rilievo divenga definitivo, e quindi anche nelle ipotesi di accertamento resosi definitivo per mancata impugnazione nei 5 termini o per acquiescenza, nonché nei casi di accertamento con adesione o conciliazione giudiziale”; con la circolare n.31/E del 2 agosto 2012, è stato evidenziato ancora una volta come tale riconoscimento risulti ottenibile anche in sede di adesione. Ciò anche in assenza del rispetto formale del principio di previo transito al conto economico dei componenti negativi di cui al comma 4 dell’art. 109, del T.U.n.917/86. Alle stesse conclusioni si perviene anche nell’ipotesi di non corretta imputazione temporale di componenti positivi, ripresi a tassazione dall’ufficio accertatore in un periodo di imposta successivo rispetto a quello in cui gli stessi hanno già concorso alla determinazione del reddito. Anche in tal caso, infatti, si realizza un fenomeno di doppia imposizione che deve essere evitato (cfr. circolare n.35/E del 20 settembre 2012); con la circolare n.31/E/2013 è stato ritenuto che i principi sopra sintetizzati, finalizzati ad evitare che in capo al contribuente si verifichino fenomeni di doppia imposizione, trovino applicazione non solo nell’ipotesi di rettifica da parte degli organi di controllo, ma anche nel caso in cui il contribuente abbia autonomamente rettificato precedenti errori contabili applicando correttamente i principi contabili; con la R.M. n.87/E del 28 novembre 2013 l’Agenzia delle Entrate è intervenuta in ordine alla disciplina applicabile nel caso in cui, a seguito di accertamento, venga recuperato a tassazione un costo dedotto in un periodo di imposta non di competenza e il periodo di imposta di corretta imputazione si chiuda con una perdita fiscale. Come abbiamo già visto, con la circolare n.31/E del 2013 è stata riconosciuta la possibilità di procedere alla correzione di errori contabili anche nell’ipotesi in cui l’omessa imputazione dell’elemento negativo di reddito abbia interessato un’annualità che, per effetto dell’imputazione fiscale del componente negativo al suo originario periodo d’imposta, concretizza una perdita o incrementa la perdita dichiarata nell’anno. Per le Entrate - R.M.n.87/2013 -, “la medesima possibilità deve essere riconosciuta anche nel caso in cui, a seguito di attività accertativa, vengano recuperati costi dedotti in violazione del principio di competenza e la loro corretta imputazione non influisce sul versamento dell’imposta ma incrementa la perdita dichiarata”. Proprio al fine di individuare le modalità di recupero della perdita, vengono richiamati i principi espressi nella citata circolare n.23/E del 2010, con cui è stata riconosciuta al contribuente la possibilità di dedurre nel periodo di imposta di effettiva competenza i costi indebitamente dedotti in periodi diversi e, pertanto, oggetto di recupero da parte dell’ufficio. Ciò, anche quando siano ormai decorsi i termini sia per rettificare l’originaria dichiarazione, sia per presentare domanda di rimborso della maggiore imposta versata, ai sensi dell’art.38 del DPR n. 602 del 1973. Come abbiamo visto, con il citato documento di prassi è stato, infatti, chiarito 6 che, al verificarsi di tali condizioni, il contribuente può chiedere il rimborso della maggiore imposta versata ai sensi dell’art.21 del D.lgs. n. 546 del 1992, entro due anni dal passaggio in giudicato della sentenza ovvero dalla data in cui è si è resa definitiva la pretesa dell’Amministrazione finanziaria al recupero del costo oggetto di rettifica. Per le Entrate – R.M. n.87/2013 - tali principi, essendo finalizzati ad evitare che in capo al contribuente si verifichi una doppia imposizione, trovano applicazione anche nel caso prospettato, in cui la deduzione del costo nell’esercizio di competenza non influisce sul versamento di imposta ma incrementa la perdita. “ Il contribuente, anche in questo caso, avrà quindi diritto ad evitare che si verifichi una doppia imposizione negli esercizi in cui ha versato imposta in conseguenza della mancata utilizzazione della maggior perdita”. In proposito, la nota d’Agenzia ricorda che, ai sensi dell’art.84 del T.U.n.917/86, la perdita deve essere utilizzata, nei limiti e alle condizioni stabiliti dal medesimo articolo, a partire dall’esercizio in cui si determina un reddito imponibile (con riferimento ai criteri di riportabilità delle perdite si rinvia alla circolare n.53/E del 6 dicembre 2011). Ne consegue per l’Amministrazione finanziaria “ che, nell’ipotesi in cui l’esercizio di corretta imputazione del costo abbia evidenziato una perdita e questa, successivamente, sia stata utilizzata in compensazione negli esercizi successivi, coerentemente con quanto affermato nella richiamata circolare 23/E del 2010, il contribuente potrà evidenziare la stessa presentando, ai sensi dell’articolo 2, comma 8-bis, del DPR n. 322 del 1998, una dichiarazione integrativa di quella in cui avrebbe potuto utilizzare la maggior perdita, non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo. Qualora, per decorso del termine, non sia possibile emendare tale dichiarazione, la maggior imposta versata non tenendo conto della maggiore perdita può essere richiesta a rimborso ai sensi dell’articolo 38 del DPR 29 settembre 1973 n. 602, entro quarantotto mesi dal versamento eccedente, ovvero, scaduto anche tale termine, entro due anni dalla data in cui si è reso definitivo l’accertamento per violazione del principio di competenza, ai sensi dell’articolo 21 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546. Ciò in quanto l’eccedenza di imposta versata è diretta conseguenza della rettifica effettuata dall’ufficio accertatore”. Prosegue il documento di prassi evidenziando che, “ se negli esercizi precedenti a quelli in cui l’accertamento è divenuto definitivo non vi è stato reddito imponibile, la maggior perdita può essere utilizzata a partire da tale esercizio, indicandola nella relativa dichiarazione, non essendo previsti dalla normativa vigente limiti temporali alla utilizzabilità delle perdite”. Le penalità ridotte per l’errata imputazione Il criterio di competenza temporale (secondo cui “i costi e ricavi proporzionali al tempo,…devono essere accolti nel bilancio dell'esercizio in cui è compreso il loro periodo di riferimento, indipendentemente dalla data della loro valorizzazione”2, al fine di 2 CEPPELLINI-LUGANO, " Testo unico delle imposte sui redditi - Disciplina fiscale del reddito delle persone fisiche e delle persone giuridiche -, pag.567, VI edizione, Il Sole 24 ore editore. 7 “evitare che gli elementi reddituali vengano spostati, a discrezione del contribuente, da un periodo ad un altro 3") è coerente con la disciplina civilistica e in particolare con l’art. 2423 - bis, del codice civile, introdotto dall'art. 3 del D.Lgs. 9.4.1991 n. 127, il quale al comma 1, numero 3, stabilisce che, ai fini della redazione del bilancio di esercizio, si deve tenere conto dei proventi e degli oneri di competenza dell'esercizio stesso, indipendentemente dalla data dell'incasso o del pagamento. Da sempre l'Amministrazione finanziaria4 ha ritenuto, in coerenza con la Direttiva Cee del 18.7.1978 recante, tra l'altro, il principio secondo cui “occorre tenere conto di tutti i rischi prevedibili ed eventuali perdite che traggono origine nel corso dell'esercizio o di un esercizio anteriore, anche se tali rischi o perdite siano noti solo tra la data di chiusura del bilancio e la data della sua compilazione”, che è risolutivo, ai fini dell'adozione di una analoga soluzione ai fini fiscali, l'art.14 del D.P.R. n.600/73, in base al quale le società e gli enti il cui bilancio è soggetto per legge o per statuto all'approvazione dell'assemblea, possono effettuare nelle scritture contabili gli aggiornamenti conseguenziali all'approvazione stessa fino al termine per la presentazione della dichiarazione5. Come rilevato dalla migliore dottrina6 “le questioni di imputazione a periodo costituiscono un incubo per le sole imprese italiane, con l’applicazione di onerose sanzioni, interessi e la tassazione di una capacità contributiva inesistente, poiché le relative somme non vengono mai riconosciute in deduzione negli esercizi cui, secondo gli uffici, avrebbero dovuto essere imputate. In Germania, simili rilievi non sono neppure oggetto di sanzioni afflittive, ma solo di un ricalcolo dell’imposta e degli interessi. Da noi invece si gioca a farci male, in defatiganti controversie che danneggiano tutti e non giovano a nessuno, salvi forse i consulenti fiscali e gli evasori veri, ben contenti di veder consumare le energie dell’Amministrazione finanziaria e della Corte di Cassazione, su questi dettagli”. Proprio perché la violazione del principio di competenza – regolamentata dall’art. 109 del T.U. n. 917/86 - investe “ aspetti meramente formali dai quali non deriva sostanzialmente alcun pregiudizio per l'Erario ”7, ( fatte salve le dovute eccezioni, lo spostamento in avanti o indietro di un componente positivo o negativo non modifica l’onere tributario solo quando fra i due o più esercizi interessati non ricorrono asimmetrie rispetto ai diversi risultati imponibili8), la questione è stata oggetto di attenzione da parte del legislatore. 3 LEO-MONACCHI-SCHIAVO, in " Le Imposte sui redditi nel Testo Unico ", pag.1127, Edizione Giuffrè, 1999. 4 Cfr. circ.n.45/9/284 del 3 ottobre 1979 5 Cr. D’ABRUZZO-SALVATORES, Gli eventi successivi alla chiusura del bilancio nell’impostazione contabile e fiscale, in “Bollettino Tributario”, n. 4/2006, pag. 281 6 LULP, “L’imputazione in agguato”, “Il Sole 24 ore”, ed. 26.8.1993. 7 CROVATO, Principio di competenza e fatti verificatesi nell'esercizio, ma conosciuti dopo (D.P.R. n. 917/1986, art.75), in "Rassegna tributaria" n. 1/1994, pag. 23. 8 Tant’è che l'art.6, comma 1, terzo capoverso, del D.Lgs. n. 472/1997 prevede che “in ogni caso, non si considerano colpose le violazioni conseguenti a valutazioni estimative…” e l'allora Ministero delle Finanze - 8 Le modifiche introdotte dal D.Lgs. n.15/2015 Omessa presentazione della dichiarazione L’obiettivo perseguito dal Legislatore, come emerge dalla relazione illustrativa al D.Lgs.n.158/2015, è quello di assicurare una maggiore proporzionalità del sistema sanzionatorio nel suo complesso, penalizzando le condotte maggiormente rilevanti e agevolando, invece, i comportamenti meno gravi. A seguito delle modifiche operate dall’art.15, del D.Lgs.n.158 del 24 settembre 2015, all’art.1, del D.Lgs.n.471/97, all’omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e dell'imposta regionale sulle attività produttive, si applica la sanzione amministrativa dal 120% al 240% dell'ammontare delle imposte dovute, con un minimo di euro 250. Se non sono dovute imposte, si applica la sanzione da euro 250 a euro 1.000. Se la dichiarazione omessa è presentata dal contribuente entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo e, comunque, prima dell'inizio di qualunque attività amministrativa di accertamento di cui abbia avuto formale conoscenza, si applica la sanzione amministrativa dal 60% al 120% dell'ammontare delle imposte dovute, con un minimo di euro 200. Se non sono dovute imposte, si applica la sanzione da euro 150 a euro 500. Le sanzioni applicabili quando non sono dovute imposte possono essere aumentate fino al doppio nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili. Infedele dichiarazione Il comma 2, del novellato art.1, del D.Lgs.n.471/97, prevede che se nella dichiarazione è indicato, ai fini delle singole imposte, un reddito o un valore della produzione imponibile inferiore a quello accertato, o, comunque, un'imposta inferiore a quella dovuta o un credito superiore a quello spettante, si applica la sanzione amministrativa dal 90% al 180% della maggior imposta dovuta o della differenza del credito utilizzato. circolare n. 180/E del 10.7.1998 – ha precisato che “il significato che le si può attribuire, in concreto, è quello di rendere non sanzionabili, ad esempio, le violazioni consistenti in inosservanza del principio di competenza temporale nella determinazione del reddito d'impresa, ossia l'errata imputazione a un esercizio, piuttosto che a un altro, di costi o ricavi determinati, semprechè siano stati applicati corretti principi contabili e sia stata rispettata la continuità dei valori di bilancio”. Cfr. CROVATO, Principio di competenza e fatti verificatesi nell'esercizio, ma conosciuti dopo (D.P.R. n. 917/1986, art.75), in "Rassegna tributaria" n. 1/1994, pag. 23, secondo cui sarebbe opportuno, “ quantomeno nelle ipotesi in cui non sia ravvisabile una pianificazione fiscale, una previsione normativa che sancisse l'inapplicabilità delle sanzioni e al limite mettesse al riparo da rettifiche di tipo formalistico su poste per le quali sostanzialmente il comportamento del contribuente è stato ispirato a buona fede. Insomma sulle questioni della competenza (e, perché no, su quelle della valutazione del patrimonio aziendale) non dovrebbero essere applicate, ricorrendo determinate circostanze, non solo sanzioni dirette, e qui soccorre già in alcuni casi l'obiettiva incertezza, ma neppure indirette (doppia imposizione, perdita di valori fiscalmente riconosciuti) …….In questo senso, si dovrebbe prima di tutto guardare all'incidenza reale in termini di eventuale risparmio d'imposta e conseguente danno per l'Erario. Secondariamente, si dovrebbe considerare il tipo di questione. Non è che si fa pianificazione fiscale sui ratei ferie, sulle bollette telefoniche o sugli altri accantonamenti relativi alle utenze commerciali….. Un provvedimento legislativo che recepisse una nuova impostazione in materia di rettifiche sulla competenza consentirebbe invece di liberare energie da un lato e metterle a disposizione dell'altro”. Per approfondimenti specifici si confronti ancora CROVATO-LUPI, Il reddito d’impresa, Milano, 2002. Per i nostri contributi si veda ANTICO, Norme generali sui componenti del reddito d’impresa: il principio di competenza disciplinato dall’art.75 (ora art.109) del T.U.n.917/86, in “Finanza & Fisco”, n.27/2004, pag.2275; ANTICO, Il principio di competenza al vaglio della Cassazione. La sentenza n. 6331/2008, in “Fiscalitax”, n. 5/2008, pag. 663. 9 La stessa sanzione si applica se nella dichiarazione sono esposte indebite detrazioni d'imposta ovvero indebite deduzioni dall'imponibile, anche se esse sono state attribuite in sede di ritenuta alla fonte. Se il legislatore, da una parte, ha disposto che detta sanzione è aumentata della metà quando la violazione è realizzata mediante l'utilizzo di documentazione falsa o per operazioni inesistenti, mediante artifici o raggiri, condotte simulatorie o fraudolente, dall’altra parte – comma 4, del nuovo art.1, del D.Lgs.n.471/97 – ha previsto che la sanzione è ridotta di 1/3 quando la maggiore imposta o il minore credito accertati sono complessivamente inferiori al 3% dell'imposta e del credito dichiarati e comunque complessivamente inferiori a euro 30.000. Le sanzioni ridotte per l’errata imputazione Il legislatore ha previsto – altresì - la riduzione al 60% (invece del 90%) quando l'infedeltà è conseguenza di un errore sull'imputazione temporale di elementi positivi o negativi di reddito, purché il componente positivo abbia già concorso alla determinazione del reddito nell'annualità in cui interviene l'attività di accertamento o in una precedente. Per beneficiare della riduzione, alternativa rispetto a quella prevista dal comma 4, che investe solo i componenti positivi e negativi di reddito, è necessario che il componente positivo sia stato già erroneamente imputato e, quindi, abbia concorso alla determinazione del reddito, nell'annualità in cui interviene l'attività di accertamento o in una precedente. A maggior chiarezza, si riporta il chiaro esempio evidenziato in dottrina9: “ ricavo imputato a CE e dichiarato nell'anno n-1, anno non di competenza. Perché possa trovare applicazione la circostanza attenuante, è necessario che, quando intervenga l'attività di controllo e venga accertato che nell'anno di competenza (anno n) il ricavo non è stato dichiarato, lo stesso sia stato comunque imputato e dichiarato in una precedente annualità. Con riferimento al componente negativo, invece, è necessario che lo stesso non sia stato dedotto più volte”. Se non vi è alcun danno per l'Erario, la sanzione è pari a euro 250. La decorrenza Le nuove norme sanzionatorie, introdotte dal D.Lgs.n.158/2015, sono in vigore a decorrere dal 1° gennaio 2016, per effetto dell’anticipo operato dall’art.1, comma 133, della L.n.208/2015. Occorre tenere però presente il principio del favor rei, disciplinato dall’art.3, commi 2 e 3, del D.Lgs.n.472/97, secondo cui, “salvo diversa previsione di legge, nessuno può 9 ZACCARIA, Attuazione della riforma fiscale: il nuovo sistema sanzionatorio – 1, in “Fiscooggi.it”, ed. del 22 settembre 2015 10 essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile. Se la sanzione è già stata irrogata con provvedimento definitivo il debito residuo si estingue, ma non è ammessa ripetizione di quanto pagato ”. Il successivo comma 3 dispone che “se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo”. Sul punto, nel rinviare, allo stato, alle indicazioni di prassi contenute nella circolare n.180/98, si evidenzia che il citato documento di prassi prevede che “ la valutazione della disposizione più favorevole deve essere fatta in concreto e non in astratto (tenendo, quindi, conto anche delle circostanze aggravanti ed attenuanti o esimenti eventualmente previste dalla legge), paragonando i risultati che derivano dall'applicazione delle due norme alla situazione specifica che si presenta all'esame dell'ufficio o ente impositore. Ovviamente è più favorevole la norma che, in relazione alla singola violazione autonomamente irrogabile, conduce a conseguenze meno onerose per il trasgressore”. 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