artigianato e piccole imprese: strategie di innovazione e di
Transcript
artigianato e piccole imprese: strategie di innovazione e di
99 ARTIGIANATO E PICCOLE IMPRESE: STRATEGIE DI INNOVAZIONE E DI ESPORTAZIONE NEL MERCATO GLOBALE Luigia Mirella Campagna, Attilio Pasetto Senior Economist al Gruppo Unicredit 1. Sintesi e conclusioni In questo articolo focalizziamo l’attenzione sulle strategie di innovazione e di internazionalizzazione delle piccole imprese. Il principale riferimento è offerto dall’indagine sulle imprese manifatturiere nel triennio 2007-2009, realizzata nell’ambito del progetto Efige (European Firms in a Global Economy): un progetto di ricerca internazionale cui ha partecipato UniCredit, insieme ad altri sei istituti di ricerca internazionali. I paesi che rientrano in questo progetto sotto sette: Austria, Francia, Germania, Italia, Ungheria, Spagna, Regno Unito. Ciò consente di effettuare confronti internazionali, e di analizzare le principali differenze fra le nostre imprese e le piccole imprese europee. In generale, i dati italiani descrivono un mondo imprenditoriale dinamico, confermando la vivacità delle piccole imprese e la loro capacità di competere sui mercati internazionali grazie soprattutto alla loro artigianalità, intendendo con ciò il modo in cui producono “valore”. Esse presentano una capacità innovativa relativamente elevata, dettata soprattutto dalla necessità di ricavarsi uno spazio in mercati globali sempre più complessi. Emergono tuttavia alcuni punti deboli. La propensione ad investire nel triennio esaminato è stata inferiore alla media europea, e più debole è stata anche l’introduzione di innovazioni organizzative, importanti per fare un significativo salto 100 Quaderni di ricerca sull’artigianato qualitativo nella gestione stessa dell’impresa. Non è un caso quindi che le piccole imprese esportatrici sono diminuite nell’ultimo decennio in misura relativamente maggiore rispetto alle grandi, a seguito del processo di ristrutturazione che ha interessato il sistema produttivo italiano e che ha portato all’esclusione delle imprese meno efficienti. Tra le piccole imprese si rileva inoltre una forte variabilità di comportamento rispetto ai mercati di sbocco: accanto ad alcune aziende che riescono a vendere su più mercati, anche lontani, ve ne sono altre che esportano verso un unico paese o che addirittura producono esclusivamente per il mercato interno. Una caratteristica comune che emerge sia dall’attività innovativa che da quella esportativa è lo scarso aiuto ricevuto da parte degli enti pubblici sotto forma di incentivi finanziari e fiscali. Questo suggerisce che le piccole imprese hanno una forte necessità di “fare rete”, per aumentare la loro massa critica e avere più forza sul mercato. Sotto questo punto di vista, le aggregazioni sembrano essere lo strumento efficace per superare il limite dimensionale - a lungo annoverato come una delle maggiori carenze strutturali che affliggono il nostro sistema industriale - e per condividere così gli elevati costi fissi associati all’offerta di prodotti di qualità e ad alto contenuto innovativo. Ma la mera condivisione dei costi fissi non può essere ragione necessaria e sufficiente per associarsi; l’importante è che le piccole imprese si raccolgano attorno ad un preciso progetto strategico. In generale, convincono di più le aggregazioni che esprimono una visione chiara sull’effettivo posizionamento del nuovo player sul mercato, esprimendo l’unione di imprese “simili”, sia in termini di caratteristiche aziendali sia in termini di strategie. ARTIGIANATO E PICCOLE IMPRESE: INNOVAZIONE ED ESPORTAZIONE 2. Le strategie di investimento e di innovazione Nonostante la crisi, l’attività di investimento delle imprese è continuata anche nel difficile triennio 2007-2009. Le piccole imprese italiane non hanno fatto eccezione, anche se sembrano aver investito in misura inferiore rispetto alla media dei sette paesi considerati nell’indagine. Infatti, la quota di imprese italiane che ha effettuato investimenti in impianti, macchinari e ICT è stata pari al 72,8% tra le imprese con 10-19 addetti e all’83,2% tra quelle con 2049 addetti, contro una media dei sette paesi pari, rispettivamente, all’83,1 e l’89%. Anche l’intensità dell’investimento è stata più modesta, con una percentuale di fatturato investito sul fatturato totale (8,9% e 9,3% nelle due classi dimensionali italiane) più bassa di 2 e 1,5 punti percentuali rispetto alla media dei sette paesi. Qualche differenza rispetto alle imprese europee si coglie anche nelle modalità di finanziamento degli investimenti. Sia nelle imprese italiane che in quelle europee l’autofinanziamento è la principale fonte di finanziamento degli investimenti; tuttavia le piccole imprese italiane ricorrono in misura maggiore al leasing, che rappresenta in media una quota del 25,5% contro il 16,5% dei sette paesi. Questa differenza di 9 punti percentuali è coperta con il maggior ricorso, da parte delle altre imprese europee, per quasi 5 punti all’autofinanziamento, per 1,5 punti sia ai finanziamenti intra-gruppo sia alle banche e per la restante parte ad altre fonti, tra cui il venture capital, che in Europa un minimo peso lo ha. Anche per quanto riguarda la diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT), le piccole imprese italiane sono al di sotto della media dei sette paesi. Quelle che dispongono di una connessione a banda larga 101 102 Quaderni di ricerca sull’artigianato sono poco più dell’80% contro l’87,5% delle loro omologhe europee, mentre l’uso di tecnologie IT, oltre i più banali applicativi software e la posta elettronica, interessa soltanto il 13,9% delle imprese nazionali (comprese quelle di maggiori dimensioni), contro il 53% del Regno Unito e il 28,5% della Germania. La realtà appare però in movimento. Da una recente ricerca svolta presso le piccole imprese e le imprese artigiane della provincia di Roma emerge una domanda crescente di informatizzazione anche in settori emergenti come le infrastrutture di rete, il controllo e la programmazione energetici, i micropagamenti con sim card. In molti casi sono le piccole imprese a provvedere all’erogazione di questi servizi. Nell’elaborare le loro strategie di investimento, le piccole imprese hanno fatto scarso ricorso ad agevolazioni finanziarie o fiscali. Nel 2009 infatti soltanto il 13,2% delle imprese da 11 a 19 addetti ne ha usufruito, contro il 15,9% della media europea; nella fascia da 20 a 49 addetti la percentuale passa invece al 18,8%, anche in questo caso al di sotto della media europea (20,9%). La quota di imprese che ha usufruito di incentivi aumenta al crescere della dimensione e nelle grandi imprese italiane tocca il 30,8%, contro il 21,8% della media dei sette paesi. E’ importante sottolineare che, mentre in Francia e Germania la percentuale di imprese agevolate scende nettamente oltre i 249 addetti, con valori rispettivamente del 12 e del 15,4%, in Italia le agevolazioni sembrano andare soprattutto verso le grandi imprese. Tendenze simili all’Italia si riscontrano in Austria e Spagna, al contrario di Regno Unito e Ungheria. Nonostante il modesto aiuto ricevuto dagli enti pubblici, la crisi ha indotto le piccole imprese italiane a ridurre i piani di investimento in misura inferiore alla ARTIGIANATO E PICCOLE IMPRESE: INNOVAZIONE ED ESPORTAZIONE media dei sette paesi intervistati: in particolare, hanno ridotto i piani di investimento il 24,2% delle imprese con 11-19 addetti e il 29,4% di quelle con 20-49 addetti, contro rispettivamente il 29,7% e il 33,7% della media dei sette paesi. Anche qui il confronto con le grandi imprese mostra un comportamento opposto da parte di quest’ultime: il 46,2% ha ridotto i piani d’investimento contro il 39,1% medio dei sette paesi. Anche per quanto riguarda l’entità della riduzione degli investimenti programmati, le percentuali di “abbattimento” sono più basse per le piccole imprese italiane, con valori di circa il 52% contro il 57% europeo. Venendo alle strategie innovative, dall’indagine emerge una propensione maggiore delle imprese italiane all’innovazione rispetto agli altri paesi: il 66,4% delle nostre imprese ha dichiarato di aver introdotto almeno una forma di innovazione tecnologica, contro la media dei sette paesi del 64,4%. La propensione ad innovare aumenta al crescere della dimensione, ma mentre la quota delle grandi imprese è in linea con la media dei sette paesi, performance sopra la media presentano le imprese medie e piccole. In particolare, per quest’ultime le quote delle aziende innovative delle fasce 10-19 e 2049 addetti si posizionano rispettivamente al 59,8% e al 68,2% contro il 56,6% e il 65,5% europei. La quota di imprese che ha introdotto innovazioni di prodotto (47,8%) è superiore rispetto alla quota di imprese che ha innovato nei processi (43,9%). La prima è leggermente inferiore alla media dei sette paesi (48,4%), mentre la seconda è un po’ più alta (42,6%). Le piccole imprese italiane mostrano percentuali allineate a quelle europee nell’innovazione di prodotto: 41,5% nella classe 10-19 addetti e 48,7% nella classe 20-49. Invece, nell’innovazione di 103 104 Quaderni di ricerca sull’artigianato processo le quote delle piccole imprese italiane sono più alte rispetto alla media dei sette paesi (37,2% contro 35,8% nella classe 10-19 e 45,8% contro 43,1% nella classe 20-49). Nelle strategie innovative delle imprese italiane un ruolo non trascurabile occupano anche la richiesta di brevetti e la registrazione di marchi, seguiti dalla registrazione di design industriali e dalla richiesta di copyright. Imprese italiane che hanno introdotto innovazioni tecnologiche nel triennio 2007-2009 Fonte: elaborazioni UniCredit Corporate Analysis su dati Efige L’attività innovativa delle nostre imprese si dimostra quindi vivace e si ripercuote anche sulla vendita di prodotti innovativi, con una percentuale sul fatturato del 24%, contro il 21,3% dei sette paesi. Il dato delle piccole imprese è allineato per l’Italia alla media generale e sopravanza di un paio di punti percentuali quello delle loro omologhe europee. Nel questionario è stato anche chiesto alle imprese se i prodotti innovativi lo siano non solo per le aziende, ma anche per il mercato. Un terzo delle imprese italiane ha risposto affermativamente a questa domanda, ARTIGIANATO E PICCOLE IMPRESE: INNOVAZIONE ED ESPORTAZIONE contro il 30,7% dell’intero campione europeo. Anche nelle piccole imprese si riscontra un differenziale di circa 4 punti percentuali a favore delle aziende italiane. Tuttavia questa significativa propensione all’innovazione tecnologica non sempre si accompagna all’introduzione di innovazioni nell’organizzazione, che sono importanti in quanto spesso significano modifiche nella struttura aziendale. Per le imprese italiane infatti, l’introduzione di innovazioni tecnologiche ha comportato anche cambiamenti organizzativi nel 28,7% dei casi, una percentuale inferiore rispetto alla media dei sette paesi (31,7%). Non si tratta di una distanza enorme, tuttavia questo è un punto debole del modello innovativo delle imprese italiane, che si conferma anche nelle aziende di piccola dimensione, con quote rispettivamente del 22,6% e del 31% nelle fasce dimensionali 10-19 e 20-49 addetti, contro il 24,8% e il 33,3% della media dei sette paesi. Le grandi imprese invece sembrano riuscire a combinare meglio innovazioni tecnologiche e cambiamenti organizzativi, come dimostra la quota più alta rispetto alla media europea (49,7% contro 46,3%). Imprese che hanno introdotto innovazioni organizzative nel triennio 2007-2009 Fonte: elaborazioni UniCredit Corporate Analysis su dati Efige 105 106 Quaderni di ricerca sull’artigianato Tra i fattori di ostacolo all’innovazione, al primo posto le imprese italiane indicano la mancanza di fonti di finanziamento adeguate, seguita dai rischi eccessivi, dalla mancanza di personale qualificato, dalla scarsa sensibilità del mercato ai nuovi prodotti, dalle rigidità organizzative e dalla mancanza di informazioni sui mercati. Questa graduatoria appare in linea con quanto indicato in media dai sette paesi. La crisi ha costretto il 35,7% delle imprese italiane a rinviare gli investimenti in innovazione. E’ una percentuale solo lievemente superiore alla media del campione totale, pari al 34,6%. La quota delle imprese della classe 10-19 addetti si posiziona al 33,9%, valore in linea con la media dei sette paesi, mentre quella della classe 20-49 è un po’ al di sopra della media europea (36,8% contro 35,3%). 3. Le strategie di internazionalizzazione In Italia, il commercio con l’estero rappresenta da sempre un’attività strategica di primo piano per le imprese. Pur cogliendo le difficoltà connesse all’aumentata complessità di operare sui mercati internazionali, l’indagine conferma la forte vocazione all’export del nostro sistema produttivo: le imprese esportatrici in senso stretto, cioè quelle che vendono direttamente sui mercati esteri le merci prodotte in territorio nazionale, rappresentavano nel 2008 il 63,5% del totale (51,4% la media dei sette paesi intervistati). Tale percentuale (margine estensivo) varia significativamente al variare della dimensione aziendale, confermando la forte correlazione positiva esistente tra propensione ad esportare e dimensione. Qualunque sia la classe dimensionale osservata, tuttavia, essa risulta indiscutibilmente elevata quando la si confronta con gli analoghi valori rilevati negli altri grandi paesi europei. In particolare, guardando ARTIGIANATO E PICCOLE IMPRESE: INNOVAZIONE ED ESPORTAZIONE alle imprese più piccole (10-19 addetti), le imprese esportatrici in Italia rappresentano il 55,5% del totale, contro circa il 30% in Germania e poco meno del 35% in Francia. La dimensione aziendale sembra impattare anche sull’intensità dell’attività esportativa, misurata in termini di rapporto tra fatturato derivante dalle esportazioni e fatturato complessivo. Anche questa percentuale tende a salire man mano che aumenta la dimensione, ma le differenze tra le diverse classi dimensionali risultano meno pronunciate rispetto a quelle osservate per il margine estensivo: nella classe più piccola (10-19 addetti), la percentuale si attesta poco al di sopra del 30% (26,9% la media dei sette paesi), mentre tra le grandi imprese, la stessa percentuale raggiunge il 52,6% ( 43,1%). Imprese esportatrici – Margine estensivo e intensivo per dimensione Fonte: elaborazioni UniCredit Corporate Analysis su dati Efige Le piccole imprese risultano quindi protagoniste ancora importanti nelle produzioni made in Italy, anche se il loro ruolo è andato indebolendosi nel corso dell’ultimo decennio. La differenza tra il numero delle imprese esportatrici nel 2008 e il numero delle imprese che esportavano prima del 2008 indica infatti che esse sono diminuite e che la diminuzione è stata tanto più intensa quanto più le imprese erano piccole: 107 108 Quaderni di ricerca sull’artigianato in media, le imprese esportatrici sono diminuite di quasi 8 punti percentuali tra le imprese con 1019 addetti, a fronte dei 4,5 punti percentuali tra le grandi (oltre 250 addetti). Questa osservazione può trovare una spiegazione nel processo di profonda ristrutturazione che ha interessato il sistema produttivo italiano nell’ultimo decennio, che – come è stato evidenziato da molti lavori - ha portato all’esclusione tra le imprese esportatrici di quelle meno ‘efficienti’, soprattutto in alcune delle produzioni tipiche del made in Italy, anche in conseguenza della pressione competitiva esercitata dai paesi emergenti. La diminuzione delle imprese esportatrici non è stato un fenomeno soltanto italiano, ma ha interessato tutti i paesi oggetto dell’indagine. Va precisato inoltre che la flessione si è realizzata per la maggior parte a danno di un particolare gruppo di imprese, per le quali la vendita sui mercati esteri non rappresentava una scelta strategica di rilievo, ma che esportavano, al contrario, in maniera saltuaria e non regolare. Evoluzione delle imprese esportatrici per dimensione aziendale (quote % sul totale imprese) Fonte: elaborazioni UniCredit Corporate Analysis su dati Efige I dati dell’indagine indicano quindi che le imprese piccole sono meno propense ad esportare rispetto a quanto facciano le grandi, le quali si rivolgono con più frequenza ai mercati esteri grazie anche alla ARTIGIANATO E PICCOLE IMPRESE: INNOVAZIONE ED ESPORTAZIONE possibilità di affrontare meglio gli elevati costi fissi. Va detto però che la grande dimensione non sembra essere l’unica caratteristica che conta; essa in genere è associata anche ad altre caratteristiche aziendali, come un’elevata intensità di capitale, l’ampio uso di lavoro qualificato, investimenti in innovazione, spesa in ricerca e sviluppo. Queste caratteristiche - che connotano l’impresa “virtuosa”, in quanto puntano a rafforzare la competitività del prodotto - non sono necessariamente patrimonio esclusivo delle grandi imprese; le ritroviamo infatti anche tra le piccole imprese, pur se in misura più diluita (dato anche l’universo più numeroso). Non è un caso, peraltro, che la variabilità dei comportamenti verso i mercati esteri - misurata dalla deviazione standard dei margini estensivo e intensivo delle imprese esportatrici risulta maggiore tra le imprese più piccole, dove è più facile che si mescolino imprese con caratteristiche molto diverse tra loro, tra le quali è possibile trovare indifferentemente imprese con elevata propensione all’export ed imprese che vendono solo sul mercato interno; le grandi, all’opposto, tendono ad avere comportamenti più omogenei. Analizzando con più dettaglio i comportamenti di un’azienda, si osserva che la strategia di internazionalizzazione commerciale può variare fortemente in relazione ad alcuni parametri che ne identificano il livello di sofisticazione: numero dei mercati di destinazione, loro prossimità al mercato domestico, quota di esportazioni collocata su ciascun mercato, numero delle linee di prodotto esportate. Il numero dei mercati di sbocco segnala una certa dinamicità delle imprese in quanto, oltre a differenziare il rischio svincolando i risultati aziendali dagli andamenti di pochi partner commerciali, è indice di successo competitivo e permette anche 109 110 Quaderni di ricerca sull’artigianato di ottenere vantaggi di scala relativi alla produzione, distribuzione e commercializzazione del prodotto. Le imprese italiane raggiungono in media 11 mercati, collocandosi – insieme alla Francia - in una posizione intermedia tra paesi che risultano differenziare in misura maggiore i mercati di sbocco (Germania, Regno Unito e Austria) e paesi che risultano invece legati ad un minor numero di mercati (Spagna e Ungheria). Su questa variabile, la dimensione impatta moltissimo, coerentemente con l’ipotesi che ogni mercato estero comporta costi fissi aggiuntivi. La polarizzazione su un numero relativamente limitato di mercati di sbocco delle esportazioni resta quindi una caratteristica delle imprese di dimensioni minori: le imprese più piccole (10-19 addetti) mostrano in media 8 mercati di sbocco, che salgono a 10 nella classe dimensionale superiore (20-49 addetti); le grandi ne raggiungono in media 29. Il confronto internazionale ci segnala che le nostre imprese sono relativamente più dinamiche rispetto a quelle francesi, mentre fanno meglio di noi le imprese tedesche con 20-49 addetti, che raggiungono in media 12 mercati. In merito alla destinazione delle esportazioni, si osserva che l’UE-15 rappresenta il mercato di sbocco per circa il 90% delle piccole imprese esportatrici (10-49 addetti), seguiti dagli altri paesi europei, soprattutto quelli non UE (poco meno del 40%). A discreta distanza seguono Stati Uniti e Canada (1 impresa su 4), mentre i mercati più lontani dell’Asia, a crescita più rapida, sono certamente i meno frequentati, soprattutto se confrontati con le aziende tedesche (15% circa, a fronte del 20% circa delle imprese tedesche, quest’ultimo determinato però in misura prevalente dalle imprese con 20-49 addetti). ARTIGIANATO E PICCOLE IMPRESE: INNOVAZIONE ED ESPORTAZIONE Malgrado i vantaggi, dunque, andare all’estero costituisce ancora un passo non facile per la maggior parte delle imprese di piccola dimensione. I problemi più comuni sono spesso legati semplicemente alla mancanza di contatti utili ad informare sull’esistenza o meno di opportunità di affari o partners potenziali. Oltre alla carenza di informazione, le aziende segnalano inoltre ostacoli sia per l’accesso alle nuove tecnologie sia il reperimento delle risorse finanziarie necessarie ad affrontare i mercati esteri. Per quanto riguarda infine i programmi pubblici di sostegno all’internazionalizzazione, si è chiesto alle imprese se hanno beneficiato di incentivi fiscali o finanziari all’esportazione. Il 97% delle imprese ha risposto negativamente alla domanda e solo il 3% affermativamente. I risultati dell’indagine hanno peraltro confermato lo svantaggio delle piccole imprese nell’accesso ai programmi di sostegno: la percentuale di coloro che hanno beneficiato di incentivi all’esportazione scende all’1,4% tra le imprese più piccole (10-19 addetti), mentre la stessa percentuale sale al 6,2% fra le imprese grandi (oltre 250 addetti). La scarsa diffusione degli incentivi tra le PMI può essere collegata qualche volta alla mancanza di conoscenza dei programmi di sostegno da parte delle stesse imprese e alla confusione creata dall’esistenza di troppi regimi di sostegno che si sovrappongono, disorientando le imprese. Qualunque sia la ragione specifica, però, sarebbe auspicabile un impegno maggiore del legislatore su una più capillare diffusione degli incentivi all’internazionalizzazione. Il confronto internazionale non segnala differenze importanti nei numeri: gli incentivi alle esportazioni riguardano ovunque una piccola quota di imprese. Tuttavia, la Francia risulta relativamente più attiva nel sostegno alle piccole (6,9%) e medie 111 112 Quaderni di ricerca sull’artigianato imprese (9%) rispetto a quanto lo sia per le grandi (4,2%). Analogo discorso vale per il Regno Unito, sebbene su percentuali molto più basse. Relativamente al credito alle esportazioni, l’indagine evidenzia che un numero relativamente alto di imprese italiane ne usufruisce (18%, contro una media del campione complessivo del 10,4%). Anche qui si osserva una correlazione diretta con la dimensione aziendale: in media, le imprese medie e grandi utilizzano più frequentemente questo strumento di finanziamento (22% circa, contro il 15% circa delle piccole). I principali paesi concorrenti ne fanno invece un uso molto più limitato (Germania 4,4% - Francia 4,3%- Regno Unito 5,6%). Diversi, ma in senso opposto, sono anche i comportamenti rispetto alla sottoscrizione di assicurazioni sul credito alle esportazioni. Le imprese italiane sottoscrivono assicurazioni sul credito in misura minore rispetto agli altri. In media, solo il 19% delle nostre imprese ha dichiarato di aver beneficiato o sottoscritto una polizza assicurativa sui crediti export, contro il 40,4% della Germania, il 34% del Regno Unito e oltre il 32% di Francia e Spagna. Si conferma così la bassa “sensibilità” delle nostre imprese ad una gestione dinamica del rischio collegato ai crediti commerciali e alle esportazioni., spiegata forse da una scarsa conoscenza della materia e, in generale, da una scarsa cultura assicurativa.