328 La prospettiva - Fondazione Internazionale Menarini

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328 La prospettiva - Fondazione Internazionale Menarini
n° 328 - gennaio 2007
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Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it
“Oh quale dolce cosa
la prospettiva”
La rappresentazione prospettica dalle prime intuizioni, alla codificazione matematica nel Rinascimento, al suo attuale declino
La geometria descrittiva
definisce la prospettiva
come la “scienza che insegna
a rappresentare gli oggetti tridimensionali su una superficie bidimensionale, in modo
che l’immagine prospettica e
quella data dalla visione diretta coincidano”, la storia
dell’arte, invece, attribuisce a questo termine un significato più ampio, traducendolo nei vari metodi
di rappresentazione della
profondità spaziale, così
da poter contraddistinguere ogni epoca per il proprio criterio di concezione
prospettica.
Gli antichi egizi, i greci
e i romani già facevano uso
di metodi elementari ed
intuitivi per riprodurre la
realtà: vedute oblique, di
scorcio e figure parzialmente sovrapposte. Nell’antichità si può riconoscere una prospettiva di
tipo naturale (naturalis o
communis) le cui radici si
possono individuare negli
studi di ottica dei matematici nella Grecia classica, esposti sistematicamente nelle Proposizioni di
Euclide. Questo trattato,
che costituisce uno dei
primi scritti sulla prospettiva, basa il sistema prospettico sugli angoli di visuale e non sulle distanze,
non parte dalla grandezza,
ma dall’angolo da cui tale
grandezza è vista. L’influenza della teoria euclidea è stata grande nel pensiero di studiosi e artisti:
dalla presenza di accorgimenti ottici nella struttura
degli edifici greci ai metodi di rappresentazione
prospettica delle scene teatrali, un’eco dei quali si
può rintracciare nei dipinti
pompeiani, dove si trovano
visioni di tipo prospetticointuitivo per suggerire la
profondità.
Dalla fine dell’Impero Romano d’Occidente la teoria prospettica si sviluppa
molto lentamente; nel Medioevo l’arte ha il compito
di glorificare Dio e illustrare i temi biblici e la
prospettiva assume una
funzione puramente ideologica: le figure sono più
simboliche che realistiche,
e il risultato è la riproduzione di esseri viventi e oggetti, innaturali e piatti.
La dimensione del personaggio dipende dal suo prestigio e non dalla posizione
spaziale nella raffigurazione e la volontà di evitare ogni riferimento naturalistico arriva spesso
fino a isolare le figure con
un fondo oro uniforme che,
oltre all’alto valore simbolico, contribuisce ad appiattire le immagini. La figurazione dello spazio si
dirige verso caratteristiche
decisamente antiprospettiche, giungendo addirittura all’uso della cosiddetta
“prospettiva inversa”. In
questo sistema, utile per
dare un minimo di connotazione spaziale, il capovolgimento della conver-
genza delle linee è l’artificio, coscientemente e non
erroneamente utilizzato
per eludere ogni apparente
riproduzione della realtà,
annullando la valenza dello
spettatore, che si trova così
di fronte a un’immagine
non progettata in funzione
sua come, per esempio, nel
mosaico di Santa Maria
Maggiore a Roma, l’Ospitalità di Abramo.
Nel tardo Medioevo si ricominciano a utilizzare accorgimenti per la resa pittorica della profondità spaziale. Le prime variazioni
si riscontrano nell’attività
di Duccio da Boninsegna,
Giotto e dei fratelli Ambrogio e Pietro Lorenzetti,
grazie ai quali il piano pittorico si trasforma in un
ambiente tridimensionale,
anticipando la successiva
teorizzazione matematica.
Giotto è stato l’artista che
ha cominciato a elaborare
immagini con un certo
grado di realismo, rendendo
la terza dimensione principalmente con l’uso del
chiaroscuro, ma anche con
l’applicazione intuitiva
dello scorcio e della prospettiva. Il senese Ambrogio Lorenzetti, a sua volta,
compie un passo importante producendo un’abile
elaborazione del tema: nelle
sue opere, L’annunciazione
del 1344 per esempio, compare la convergenza in un
unico punto (punto centrico) delle rette perpendicolari a una retta oriz-
Ospitalità di Abramo (particolare) - Roma, Santa
Maria Maggiore
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zontale. Tuttavia, manca
ancora un metodo per misurare gli intervalli in profondità delle cosiddette
“trasversali”, mancanza alla
quale Lorenzetti ovvia con
una regola empirica che
consiste nel diminuire di
una quantità costante le
grandezze considerate (strisce di pavimento).
L’arte ha raggiunto la rappresentazione prospettica,
tocca ora alla scienza scoprire le leggi che la regolano, è questo il momento
della prospettiva di tipo
matematico (artificialis),
del salto qualitativo, proprio del Rinascimento, che
avvicina la ricerca scientifica alla questione artistica.
Le regole geometrico-matematiche, che permettono
di raffigurare la realtà su
una superficie piana e
quindi della prospettiva
lineare, sono “invenzione”
di Filippo Brunelleschi che
le ha esemplificate tra il
1401 e il 1409 nelle famose tavolette, oggi perdute, rappresentanti il Battistero di Firenze e il Palazzo della Signoria. La codifica di tali regole è poi
compiuta da Leon Battista Alberti nel trattato De
pictura: lo spazio pittorico,
scultoreo e architettonico
è regolamentato attraverso
un insieme di calcoli matematici che determina il
sistema dei rapporti tra le
grandezze. Gli effetti delle
istruzioni brunelleschiane
si colgono pienamente nel
lavoro di uno dei primi
maestri della pittura rinascimentale fiorentina, Masaccio: nelle sue opere le
figure non sono più inserite in uno sfondo sottinteso, ma in un preciso ambiente architettonico o naturale. Beato Angelico,
frate domenicano, a sua
volta sensibile a queste innovazioni, definisce un vero
e proprio modello iconografico per l’Annunciazione, tema ricorrente nella
sua opera, dove, a destra,
in un ambiente architettonico in prospettiva è seduta la Madonna e a sinistra è posto l’angelo inginocchiato. Fra i più grandi
maestri della prospettiva
quattrocentesca si trova
Piero della Francesca, che
oltre a essere uno dei massimi pittori del XV secolo
è anche un grande matematico e concorre a completare il lavoro albertiano
ancora legato a un certo
empirismo: all’incirca nel
1475 scrive De perspectiva
pingendi, che diventa il più
importante trattato sulla
prospettiva rinascimentale. Piero vuole stabilire
un rapporto tra la pittura
e un processo matematico
che consenta di tradurre,
oggettivamente, lo spazio
reale nello spazio dipinto
con tutte le opportune “degradazioni”, termine che
usa per definire le deformazioni prospettiche percepite dall’occhio; restituisce, inoltre, alle figure
umane il loro valore plastico interpretandole come
corpi solidi inseriti nello
spazio. Poco dopo anche
Leonardo da Vinci scrisse
il suo Trattato della pittura,
confrontandosi così con il
tema della prospettiva. Diversamente da Piero della
Francesca, che considera
gli oggetti come forme geometriche da rappresentare
con regole rigorose, Leonardo si preoccupa maggiormente del risultato artistico. Le sue osservazioni
portano alla distinzione fra
la “prospettiva lineare”, il
cui effetto di profondità
nasce dalla convergenza
delle linee parallele verso
un “punto di fuga” e la
“prospettiva aerea” attenta,
oltre che alla costruzione
geometrica, anche all’atmosfera che intercorre tra
l’osservatore e gli oggetti
della rappresentazione,
come ad esempio la variazione di colore apparente
degli oggetti visti da lontano, ben riconoscibile in
molte delle sue opere.
La natura diventa così comprensibile e misurabile,
l’uomo è al centro dell’universo; nel Rinascimento lo
scopo delle arti figurative
è la rappresentazione del
mondo reale, nel modo più
fedele possibile: la prospettiva diventa uno strumento
di comprensione del reale
e si pone come razionale e
universale. La figura umana
recupera tutta la sua plasticità perché si rapporta
profondamente con la realtà circostante, e la relazione tra l’uomo e il paesaggio è regolata razionalmente e scientificamente.
In questo panorama una
posizione singolare è occupata da Paolo Uccello,
Ambrogio Lorenzetti: Annunciazione
Siena, Pinacoteca Nazionale
Masaccio: La Trinità - Firenze, Santa Maria Novella
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Paolo Uccello: Storie di Noè, Diluvio universale - Firenze, Santa Maria Novella
che è fortemente affascinato dalla prospettiva, ma
arriva a utilizzarla in un
modo assolutamente innovativo e personale. Secondo
quanto racconta il Vasari,
Paolo Uccello “non ebbe altro diletto che quello d’investigare alcune cose di prospettiva difficili et impossibili”:
“Oh che dolce cosa è questa prospettiva” è la risposta che il
pittore dà alla moglie che
lo chiama, e diventa l’emblema dell’artista che è
sempre immerso in approfondimenti, esercizi e studi
prospettici. Le sue elucubrazioni, che gli servono
per creare scenografie fantastiche e antropomorfe in
spazi indefiniti e chimerici, si avvalgono di elementi propri della cultura
tardogotica e in realtà sono
costruite con prospettive
derivate più dagli antichi
studi dell’ottica che sulle
nuove conquiste rinascimentali. L’impressione onirica e fiabesca è inoltre accentuata dall’uso di cieli e
sfondi scuri su cui si stagliano splendenti le figure
bloccate in posizioni e colorazioni innaturali, l’uso
particolare del colore, cavalli rosa e campi azzurri,
che Vasari definisce “improprio” lo rende ancora
più incomprensibile ai contemporanei che, invece,
considerano fondamentale
la verosimiglianza con la
natura. La particolarità di
questo approccio lo isola e
fa sì che rimanga sottovalutato per secoli dalla
critica, è solo nel Novecento che viene riconsiderato fino a riconoscergli anche particolari analogie sia
col Cubismo sia col Surrealismo.
La padronanza delle regole
prospettiche varia progressivamente il gusto e, modificando le composizioni
artistiche, indirizza la ricerca verso effetti sempre
più spettacolari. Nel 1474
Andrea Mantegna realizza
la Camera degli Sposi nel Palazzo Ducale di Mantova:
un’architettura dipinta che
sconquassa quella reale con
un espediente che condizionerà buona parte della
pittura successiva: egli mostra il cielo da un foro con
balaustra al centro del soffitto dal quale putti e cortigiani sbirciano nella
stanza. Lo spazio rappresentativo diventa teatrale
con effetti scenografici sempre più complessi, gli artisti si dedicano sempre
più a questi aspetti gareggiando per dimostrare le
abilità nel creare nuove e
sorprendenti illusioni spaziali. I metodi di rappresentazione si moltiplicano
e i punti di vista spesso si
svincolano dall’altezza del-
l’occhio umano, visioni dal
basso, dall’alto e a “volo
d’uccello”, immagini fortemente scorciate, illusionismi esasperati. La suggestione di tali ingegnosità non si ripercuote solo
nelle rappresentazioni figurative, ma anche sulle
architetture vere e proprie.
Elementi architettonici
veri si confondono con taluni simulati: le stanze vaticane dipinte da Raffaello
Sanzio, la volta affrescata
da Andrea Pozzo in S. Ignazio a Roma, l’intervento
di Bramante sulla parete
di fondo nella chiesa di
Santa Maria presso San Satiro a Milano, sono casi in
cui prospettive illusorie
creano uno spazio virtuale
che travalica le dimensioni
effettive dell’edificio; in
altri, astuzie ottiche correttive delle strutture architettoniche esasperano
l’effetto prospettico agendo
effettivamente sugli elementi murari, come quelle
di Bernini nella Scala Regia in Vaticano o quelle di
Francesco Borromini nella
Galleria di Palazzo Spada
a Roma.
Le ricerche sulla prospettiva si fanno sempre più
specialistiche tanto che nel
Seicento, con l’arte barocca,
si attua la scissione tra la
pura analisi scientifica e
l’applicazione artistica.
Leonardo da Vinci: Bacco (particolare)
Parigi, Museo del Louvre
Andrea Mantegna: Camera degli sposi
Mantova, Palazzo Ducale
Francesco Borromini: pianta e sezione della Galleria
di Palazzo Spada a Roma
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Questo passaggio agevola
l’allontanamento degli artisti dalle questioni squisitamente teoriche aprendo
la strada ad una manualistica per elaborazioni prospettiche applicate a diversi campi, come la scenografia teatrale, l’architettura, la decorazione pittorica (Quadraturismo). La
prospettiva diventa un
mezzo di decorazione illusionistica e spettacolare, e
non più uno strumento di
indagine della realtà, ci si
spinge in direzione della
simulazione, dell’inganno,
atteggiamento che si traduce in espressioni molto
comuni come il trompe-l’oeil
o in quelle più raffinate
come le anamorfosi. Lo spazio barocco assume la funzione di palcoscenico e a
tal fine si diffondono opere
ispirate al capriccio e alla
meraviglia. Visioni illusionistiche di soffitti spalancati dalla prospettiva,
trionfi religiosi o mitologici visti dal basso: è l’arte
del Quadraturismo che si
esprime in decorazioni prospettiche di carattere eminentemente architettonico,
nella pittura da cavalletto,
ma soprattutto nell’affresco in grande scala e che si
avvale delle regole matematiche a fini illusivi simili a quelli dell’arte romana, ma ben più rigorosi
e ispirati a una diversa visione della vita.
È nella seconda metà dell’Ottocento che la convenzione prospettica nelle arti
figurative comincia il suo
lento declino. I primi segnali sono dati dagli impressionisti, che con effetti
ottenuti col solo uso del
colore, colgono l’istantaneità dell’impressione visiva ed esprimono un nuovo
modo di definire lo spazio
che poco si cura della prospettiva lineare. Paul Cé-
Andrea Pozzo: L’Apoteosi di S. Ignazio - Roma, S. Ignazio
zanne è l’artista che compie il passo decisivo e agevola l’apparizione nell’arte
di uno spazio davvero eterogeneo, con prospettive
molteplici e simultanee
dello stesso soggetto. Nelle
sue nature morte, per esempio, gli oggetti rappresentati violano la concezione
prospettica tradizionale e
non obbediscono più al criterio quattrocentesco dell’unico punto di vista. Egli
accentua la piattezza della
tela riconoscendo al quadro il pieno diritto di affermazione della sua natura bidimensionale e, in
accordo con la visione dello
spazio pieno e dinamico
e con i contemporanei studi
di Einstein sulla relatività,
annulla la differenziazione
tra soggetto e sfondo, trattando tutto con la stessa
considerazione.
Sono i cubisti che portano
avanti la rivoluzione iniziata da Cézanne, abbandonano la prospettiva lineare e si spingono verso
l’appiattimento dell’immagine con prospettive e
sorgenti luminose multiple, favorendo l’introdu-
zione di un nuovo fattore,
il tempo: spezzettano lo
spazio pittorico in piccole
superfici che fermano
ognuna un punto di vista
diverso, così che lo spettatore guardando il quadro
possa compiere una sorta
di itinerario virtuale a 360°
nello spazio e nel tempo.
Ne Les demoiselles d’Avignon,
la prima opera cubista di
Picasso, ci sono due donne
di fronte, ma con i nasi
di profilo, una figura di
schiena, ma con la testa
Paul Cèzanne: Natura morta con mele e arance - Parigi, Museo d’Orsay
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frontale. Guillaume Apollinaire nei Pittori cubisti
scrive: “Ancora un piccolo
sforzo per liberarsi della prospettiva, del miserabile trucco
della prospettiva, di questa
quarta dimensione a rovescio,
di questo mezzo per rimpicciolire inevitabilmente il tutto”.
Il ripudio della rinascimentale correttezza prospettica da parte di Cézanne si
rispecchia, successivamente,
anche nella appassionata
reazione espressionista contro lo spazio organizzato e
straniante della città moderna e tecnologica a favore di spazi verdi e naturali.
Anche i futuristi procedono in questa direzione,
concentrando l’interesse
sul movimento, concependo
uno spazio attivo e mobile.
Boccioni, ad esempio, costruisce la propria arte sulla
“sensazione dinamica”: il
moto di un oggetto che si
sposta è relativo alla nostra
posizione nello spazio e,
contemporaneamente, tutti
gli oggetti statici sono in
continuo movimento in
relazione alla loro struttura e all’ambiente circostante. Questo principio si
traduce in pittura, per esempio in Dinamismo di un ciclista, nell’intreccio della
miriade di linee di forza
che fondono il soggetto in
moto con lo spazio circostante creando un’unica
immagine in movimento.
Oltre a mettere in discussione la funzione mimetica dell’arte, la contestazione investe anche la capacità e l’efficacia della prospettiva di restituire la realtà. Il processo rinascimentale presupponeva, infatti, che si verificasse la
coincidenza di un punto
di osservazione fisso, a una
distanza determinata, con
la visione da un solo occhio
perfettamente immobile.
Le ricerche storiche conducono a rifiutare la prospettiva come categoria
universale e incondizionata, per esplorarne evoluzioni e validità nei diversi momenti della storia
dell’arte. I primi studi in
questa direzione (Hauck,
Kern, Mesnil) costituiscono
il precedente della sostanziale e completa revisione
del problema avviata da
Erwin Panofsky ed espressa
nel saggio: La prospettiva
come “forma simbolica” del
1927. Lo storico sottolinea l’astrattezza del processo rinascimentale rifiutando, per la prima volta,
il valore assoluto, mimetico e naturalistico della
prospettiva; individua, nel
cammino storico dell’arte
figurativa, la resa dello spazio come fattore simbolico
delle espressioni culturali
e di pensiero delle diverse
epoche. La maniera rinascimentale di rappresentare la realtà nella pittura
è stata tradizionalmente
giudicata come un criterio di obiettività, Panofsky nega tale obiettività e
sostiene che l’immagine
prospettica non coincide
con quella retinica. La prospettiva non rappresenta
il mondo così come i nostri occhi lo vedono e questa è l’impostazione metodologica generalmente accettata e seguita ancor oggi
sia pure con accentuazioni
diverse.
La forza di persuasione della
teoria prospettica quattrocentesca è tale che per secoli non si è mai dubitato
che quella “corretta” costruzione non corrispondesse alla visione reale, ed
Umberto Boccioni: Dinamismo di un ciclista
Venezia, Collezione Guggenheim
è solo con la ribellione intrapresa alla fine dell’Ottocento che si cominciano
ad avanzare dei dubbi su
quelle regole.
Oggi si sta verificando una
nuova rivoluzione del modo
di percepire l’universo che
ci circonda ed è l’uso del
computer che introduce
questo sostanziale cambiamento. L’approdo rinascimentale alla prospettiva
ha dato inizio a un percorso
di ricerca di immagini sempre più fedeli al vero aspirando a una sempre più alta
definizione; questo percorso, nel suo sviluppo, ha
creato la fotografia, il cinema, la televisione, fino
alla più recente evoluzione
della grafica computerizzata. La tendenza è quella
di voler creare delle immagini destinate a essere vissute come reali, addirittura più del reale stesso,
facendo perdere la consapevolezza della finzione e
dell’illusione, così come
sembra dal cammino intrapreso dalla realtà virtuale.
francesca bardi