Corte di Cassazione - copia non ufficiale

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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Civile Sent. Sez. L Num. 19259 Anno 2013
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: FILABOZZI ANTONIO
SENTENZA
sul ricorso 1859-2011 proposto da:
CAZZOLA CARLO CZZCRL46A14D969V, domiciliato in ROMA,
PIAllA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli
avvocati VITIELLO GIUSEPPINA a TOMMASO ROLFO, giusta
delega in atti;
- ricorrente -
2013
contro
1565
SISTEMA AMBIENTE S.P.A. 01604560464, in persona del
legale
rappresentante pro tempore,
elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA CASSIODORO 1/A (STUDIO LEGALE
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Data pubblicazione: 20/08/2013
UVA E ASSOCIATI), presso lo studio dell'avvocato
DE
MARCO SANDRO, che la rappresenta e difende unitamente
all'avvocato CANARI VENTURI MARCO, giusta delega in
atti;
- controricorrente
940/2010 della CORTE D'APPELLO
di FIRENZE, depositata il 08/07/2010 r.g.n. 1122/09;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/05/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
FILABOZZI;
udito l'Avvocato FABIO CANDALICE per delega SANDRO DE
MARCO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI, che ha concluso
per l'inammissibilità in subordine rigetto.
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avverso la sentenza n.
-
r.g. n. 1859/11
udienza del 7.5.2013
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Carlo Cazzola ha chiesto che venisse accertata l'illegittimità del licenziamento intimatogli dalla
Sistema Ambiente spa in data 16.7.2004, con la condanna della società alla reintegrazione nel posto
licenziamento a quello della reintegra.
Il Tribunale di Lucca ha parzialmente accolto la domanda, dichiarando l'illegittimità del
licenziamento e condannando la società al pagamento di cinque mensilità della retribuzione globale
di fatto, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali, con sentenza che è stata confermata dalla
Corte d'appello di Firenze, che ha ritenuto che, essendo stato intimato al lavoratore un nuovo
licenziamento, sulla base di motivi parzialmente diversi, non potesse essere ordinata la
reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e il risarcimento dovesse essere limitato alla misura
minima di cinque mensilità, poiché il periodo di tempo intercorso tra il primo e il secondo
licenziamento era inferiore a cinque mesi.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione Carlo Cazzola affidandosi a due motivi di ricorso cui
resiste con controricorso la società Sistema Ambiente spa, che ha depositato anche memoria ai sensi
dell'art. 378 c.pc.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 6 legge n. 604/66 e 7 legge n. 300/70,
sostenendo l'inefficacia della revoca del primo licenziamento, in quanto non accettata dal
lavoratore, e la conseguente inefficacia del secondo licenziamento, in quanto intervenuto su un
rapporto non più esistente, con l'ulteriore conseguenza della sussistenza del diritto del lavoratore,
una volta dichiarata l'illegittimità del primo licenziamento, alla reintegrazione nel posto di lavoro e
al risarcimento del danno in misura pari alla retribuzione globale di fatto dal giorno del
licenziamento a quello dell'effettiva reintegrazione, ex art. 18 legge n. 300/70.
2.- Con il secondo motivo, denunciando il difetto di motivazione su un punto decisivo della
controversia, il ricorrente censura la decisione impugnata relativamente alla statuizione con cui la
Corte territoriale ha ritenuto che il secondo licenziamento fosse fondato su una ragione
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di lavoro e al risarcimento del danno pari alla retribuzione globale di fatto dal momento del
giustificatrice diversa da quella posta a fondamento del primo, non avvedendosi che, invece, la
ragione giustificatrice di entrambi i provvedimenti era la medesima.
3.- Tali motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.
La questione posta all'esame nella presente controversia, già ripetutamente affrontata da questa
Corte, concerne la possibilità di intimare ad un lavoratore al quale sia applicabile la tutela reale un
secondo licenziamento, dopo che il primo sia stato revocato dal datore di lavoro. Si discute, in
particolare, se, annullato il primo licenziamento e non impugnato il secondo, il giudice debba
lavoro al risarcimento del danno ex art. 18 1. n. 300 del 1970, o se invece debba limitarsi al
risarcimento del danno subito dal lavoratore nel periodo intercorrente tra il primo e il secondo
licenziamento, fermo restando il limite minimo delle cinque mensilità.
La Corte d'appello di Firenze, confermando la decisione del giudice di primo grado, ha ritenuto che
il licenziamento illegittimo non è idoneo ad estinguere il rapporto, determinandone solo una
interruzione di fatto, con la conseguenza che è giustificata l'irrogazione di un secondo
licenziamento, ove basato su una nuova e diversa ragione giustificatrice, dal quale solamente
deriverà, in difetto di tempestiva impugnazione, l'effetto estintivo del rapporto. Applicando tale
principio al caso di specie, la Corte territoriale ha ritenuto che il primo licenziamento, di natura
disciplinare, pacificamente illegittimo per violazione dell'art. 7 della legge n. 300 del 1970, non
avesse risolto in termini di continuità giuridica il rapporto di lavoro, con la possibilità, quindi, di
procedere, al di là della ritualità o meno della sua revoca, ad un secondo licenziamento sulla base di
fatti almeno in parte nuovi, costituiti dalla prolungata assenza ingiustificata dal lavoro dopo la
revoca del primo licenziamento, e con l'ulteriore conseguenza che tale ultimo licenziamento, non
impugnato dal lavoratore, aveva fatto sì che il rapporto di lavoro si fosse estinto in via definitiva.
4.- La decisione è conforme ai principi affermati dalla più recente giurisprudenza di questa Corte,
citati anche nella sentenza impugnata (cfr. Cass. n. 6055/2008, Cass. n. 25573/2008. cui adde Cass.
n. 19770/2009, Cass. n. 1244/2011, Cass. n. 28703/2011, Cass. n. 106/2013), ed ai quali va data
anche in questa sede continuità giuridica, secondo cui il licenziamento illegittimo non è idoneo ad
estinguere il rapporto al momento in cui è stato intimato, determinando unicamente una sospensione
della prestazione dedotta nel sinallagma, a causa del rifiuto del datore di lavoro di ricevere la stessa,
e non esclude che il datore di lavoro possa rinnovare il licenziamento sulla base di una nuova e
diversa ragione giustificatrice. Ne consegue che, nel caso in cui, dopo un primo licenziamento, ne
sia intervenuto un altro non tempestivamente impugnato, il giudice, chiamato a pronunciarsi sulle
conseguenze del primo licenziamento dichiarato illegittimo, deve limitarsi alla condanna al
risarcimento dei danni subiti dal lavoratore nel periodo corrente tra il primo ed il secondo
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disporre o meno la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, con la condanna del datore di
licenziamento e non può, invece, ordinare la reintegra nel posto di lavoro, essendosi il rapporto
lavorativo ormai definitivamente estinto per effetto della mancata impugnativa del secondo
provvedimento di recesso.
5.- Come è stato già precisato (cfr. Cass. n. 1244/2011 cit.), tali principi sono stati a più riprese
affermati da questa Corte anche con riferimento alla rinnovazione del licenziamento disciplinare in
base agli stessi motivi sostanziali determinativi del precedente recesso, anche se la questione della
validità formale del primo licenziamento sia ancora sub iudice, risolvendosi tale rinnovazione nel
applicazione nell'ipotesi di intimazione di ulteriore licenziamento per motivi diversi da quelli
oggetto del precedente recesso, dovendosi esclusivamente ritenere che l'efficacia del secondo è
subordinata alla ritenuta illegittimità del primo.
6.- Si è precisato, infatti, che la rinnovazione del licenziamento, in base ai motivi posti a
fondamento di un precedente licenziamento inficiato di nullità o comunque inefficace, non è in
linea generale preclusa, risolvendosi essa nel compimento di un negozio diverso dal precedente,
senza che sia di ostacolo l'inammissibilità della convalida del negozio nullo, ai sensi dell'art. 1423
c.c., norma diretta ad impedire la sanatoria di un negozio nullo con effetti ex tunc, ma non a
comprimere la libertà delle parti di reiterare la manifestazione della loro autonomia negoziale al fine
di regolare i loro interessi. In tal caso, il lavoratore è onerato della tempestiva impugnazione anche
del secondo licenziamento (cfr. Cass. n. 23641/2006, cui adde Cass. n. 6773/2013).
7.- Nella specie, come già detto, la Corte d'appello ha accertato che il primo licenziamento doveva
considerarsi illegittimo, in quanto disposto in violazione dell'art. 7 della legge n. 300/70 (per la
mancata previa contestazione degli addebiti), e che la società aveva provveduto ad intimare al
lavoratore un secondo licenziamento (questa volta preceduto da rituale contestazione), motivato
anche da fatti ulteriori e diversi da quelli posti a fondamento del primo licenziamento
(accertamento, questo, che non è stato efficacemente contestato dal ricorrente, che non ha
provveduto a riportare nel ricorso per cassazione il contenuto dei provvedimenti in questione). Sulla
base di tali premesse, la Corte territoriale ha ritenuto poi che, non essendo stato impugnato il
secondo licenziamento, bene il primo giudice avesse limitato la condanna risarcitoria al pagamento
delle cinque mensilità di retribuzione, respingendo la domanda di reintegrazione nel posto di lavoro.
8.- Così decidendo, la Corte territoriale si è correttamente attenuta ai principi più volte affermati
nelle già citate pronunce di questa Corte - principi condivisi anche dal Collegio che, come detto,
intende dare ad essi continuità giuridica - sicché la proposta impugnativa non può trovare
accoglimento.
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compimento di un negozio diverso dal precedente. Ed a maggior ragione essi devono trovare
9.- In definitiva, quindi, il ricorso deve essere rigettato, ed a tale pronuncia segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo,
facendo riferimento alle disposizioni di cui al d.m. 20 luglio 2012, n. 140 e alla tabella A ivi
allegata, in vigore al momento della presente decisione (artt. 41 e 42 d.m. cit.).
P.Q.M.
liquidate in E 40,00 oltre € 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 maggio 2013.
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La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio