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Sentenza Cassazione civile, sez. Tributaria, 29-08-2007, n. 18218 - Pres. LUPI Fernando - Est. SCUFFI Massimo [Bevande alcoliche] TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI (RIFORMA TRIBUTARIA DEL 1972) - IN GENERE - Accise sulle bevande alcoliche - Miscele alcoliche prodotte in regime di libero deposito mediante impiego di prodotti ad accisa assolta - Produzioni a base di prodotti non soggetti ad accisa (vino) - Rilievo ai fini della determinazione dell'imposta sul prodotto finale - Esclusione. Le bevande alcoliche destinate alla vendita ed ottenute dalla miscela di altri alcolici possono essere prodotte in impianti diversi dai "depositi fiscali" (di cui all'art. 28 del d.lgs. 26 ottobre 1995 n. 504, recante il Testo Unico delle imposte sulla produzione e sui consumi), alla triplice condizione che tale produzione sia stata debitamente autorizzata, che vengano utilizzati prodotti ad imposta assolta, e che l'accisa complessiva pagata sui componenti del prodotto finale non sia inferiore a quella dovuta su quest'ultimo, così come stabilito dall'art. 27, comma secondo, del citato Testo Unico. Poiché tali previsioni hanno la finalità di rendere fiscalmente neutra le scelte del contribuente in merito al ciclo produttivo dell'alcol (a prescindere, quindi, dal fatto che si svolga in depositi fiscali od in depositi "liberi" ad accisa assolta), la miscelazione in un deposito "libero" di un prodotto non soggetto ad accisa (nella specie, vino) con altro prodotto ad imposta assolta (nella specie, acquavite) comporta l'applicazione dell'accisa prevista per l'alcol etilico sull'intero quantitativo di prodotto finale, ivi compreso quello derivante dall'impiego del prodotto esente. (Cassa con rinvio, App. Trento, 27 Giugno 2002) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO La snc Parampampoli conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Trento il Ministero delle Finanze per sentir dichiarare non essere tenuta a pagare l'accisa sugli spiriti per il periodo 1995-1997 con ordine di restituzione di quanto già versato a tale titolo. Esponeva che nel maggio 1995 aveva richiesto la trasformazione del proprio opificio da deposito fiscale (regime che consentiva l'acquisto della merce utilizzata (distillato e vino) in sospensione di imposta pagata in uscita) in deposito libero ad accisa assolta (che comportava il pagamento dell'imposta sui singoli componenti del prodotto finale in entrata - tra cui il vino ad aliquota zero): trasformazione autorizzata dall'UTF che disponeva il ritiro del codice di accisa assegnato. Spiegava che per effetto del sistema di lavorazione a "deposito libero" veniva presentata dichiarazione di qualità e quantità dei prodotti utilizzati e del prodotto che si intendeva ottenere dalla trasformazione, la quale veniva convalidata dall'Ufficio e restituita alla ditta senza alcuna osservazione fino al 1998. Peraltro con nota 3315/98 del Luglio 1998 il Ministero stabiliva che anche il vino ove miscelato con altri distillati andava comunque assoggettato all'imposta sull'alcole. Veniva pertanto dalla società richiesta una nuova licenza per deposito fiscale senonchè l'UTIF provvedeva ad intimare il pagamento della differenza per quanto dovuto a titolo di accisa sul vino che veniva versata con riserva di ripetizione. La domanda attorea, che si richiamava al principi dell'affidamento incolpevole derivato dai rapporti antecedenti al 1995 ed alle dichiarazioni mensili inoltrate senza contestazioni all'UTF, veniva rigettata dal Tribunale. Proposto appello sul rilievo che l'UTF era mensilmente informato delle modalità di gestione della produzione e del regime di deposito così avallando con il suo mancato intervento ed il rilascio delle autorizzazioni la correttezza del proprio operato, la Corte rigettava la doglianza. Assumeva che la bevanda alcolica Parampampoli ricadeva nel cambio di azione del D.L. n. 331 del 1993, art. 25, comma 2, lett. a, restando assoggettata all'accisa corrispondente all'alcole etilico sull'intero quantitativo, compreso quello derivante dall'aggiunta del vino mentre nel triennio in contestazione l'ingrediente vino era stato aggiunto nell'opificio gestito in regime libero da imposta successivamente all'acquisto del componente acquavite con conseguente evasione sull'alcole confluito nel prodotto finale. Confermava pertanto sul punto la decisione dei giudici di prime cure ribadendo la compatibilità del regime a deposito libero con il dovere di assolvere l'imposta sull'intero quantitativo di prodotto finale immesso al consumo, l'errata ed autonoma scelta aziendale operata dalla società essendosi i pubblici funzionari limitati in astratto a fornire informazioni sul diverso regime adottato senza influire sul processo decisionale, la conseguente inapplicabilità del principio di affidamento incolpevole che comunque poteva operare esclusivamente sulle sanzioni e non sul rapporto di imposta. La Corte accoglieva altresì l'appello incidentale dell'Amministrazione concernente l'omessa disamina della domanda riconvenzionale dalla stessa proposta in prime cure posto che non risultava che la società avesse provveduto ad estinguere il suo debito mancando l'attestazione di pagamento dei 3 relativi versamenti. Ricorre per la cassazione della sentenza la società Parampampoli lamentando: - con 1^ motivo - la violazione dell'art. 1175 c.c., applicabile anche nei rapporti con la PA posto che il metodo fiscale utilizzato per oltre un triennio aveva determinato nel produttore l'affidamento in assoluta buona fede del corretto operare della propria azione; con 2^ motivo, violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 8 e 6 D.Lgs. n. 472 del 1997, atteso che i decreti legislativi facevano riferimento, non già a situazioni di oggettiva buona fede, ma ad incertezza nella normativa che non si attagliava al caso in quanto non si trattava di un comportamento incerto ma di un comportamento ritenuto legittimo che trovava quotidiana conferma nell'azione della PA che avrebbe dovuto controllarlo; con 3^ motivo, vizio di motivazione sulle valutazioni delle prove avendo i testi escussi confermato di aver fornito consiglio sul cambio di regime e sulla esenzione da accisa del componente vino in quanto sottoposto ad aliquota zero nèessendo stata presa in considerazione la circostanza documentale dell'accoglimento da parte dell'Amministrazione delle richieste di rimborso dell'accisa assolta su prodotti spediti in paesi intracomunitari con riferimento alla componente vino che dunque in un sistema di deposito libero doveva ritenersi non dovuta; con 4^ motivo, ancora vizio di motivazione circa la prova dell'avvenuto pagamento posto che nella memoria istruttoria depositata in 1^ grado a sensi dell'art. 184 c.p.c., risultavano allegate le fotocopie dei relativi versamenti la cui esclusione determinava il rischio,in ipotesi di soccombenza,di dover pagare due volte la medesima somma. Resiste con controricorso l'Agenzia delle Dogana depositando memoria ex art. 378 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. I primi 3 motivi di censura possono esaminarsi congiuntamente perchè si incentrano - sotto il profilo della violazione dell'art. 1375 c.c. e del carente esame motivazionale delle risultanze istruttorie che avrebbero dovuto indurre il giudicante a far applicazione di tale norma - sul principio dell'affidamento e della buona fede del contribuente negata dal giudice di appello che ha conseguentemente confermato la ripresa fiscale opposta. Sostiene in pratica la società Parampampoli che il regime di imposta a deposito libero per oltre un triennio accettato ed anzi favorito dall'Amministrazione che avrebbe consentito la sottoposizione ad accisa ad aliquota zero della componente vino impiegato con altre componenti alcoliche nella miscelazione della bevanda liquorosa mai sollevando riserve in sede di controllo mensile delle modalità di assolvimento del tributo sui prodotti in entrata, avrebbe indotto l'affidamento dell'operatore sulla piena legittimità della attività svolta, tanto più che erano state accettate medio tempore le richieste di restituzione dell'accisa assolta (per la percentuale di competenza)sui prodotti spediti nei paesi intracomunitari. L'assunto è infondato in tutte le sue articolazioni ancorchè debba essere corretta la motivazione della sentenza impugnata a sensi dell'art. 384 c.p.c., nella parte in cui, richiamando i principi espressi dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 11 (c.d. Statuto del contribuente), il giudice di appello ha ritenuto rafforzare la ratio decidendi affermando che il cd. principio di affidamento incolpevole opererebbe esclusivamente con riferimento alle sanzioni e non intaccherebbe pertanto la nascita e la esigibilità dell'obbligazione tributaria. Questa Corte in plurime occasioni (dopo la fondamentale Cass. 17576/02 da ultimo Cass. 21513/06) ha avuto modo di precisare che il principio di tutela del legittimo affidamento del cittadino, reso esplicito in materia tributaria dall'art. 10, comma 1 dello Statuto trovando origine nella Costituzione, e precisamente negli articoli 3, 23, 53 e 97 Cost., espressamente richiamati dall'articolo 1, è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico e costituisce uno dei fondamenti dello Stato di diritto. La sua previsione è dunque espressiva di principi generali, anche di rango costituzionale, radicati nel diritto e nell'ordinamento tributario anche prima della sua entrata in vigore e vincola l'interprete, in forza del canone ermeneutico dell'interpretazione adeguatrice a Costituzione,nella sua applicazione non solo ai rapporti tributari sorti in epoca anteriore alla sua entrata in vigore ma anche ad elementi dell'imposizione diversi da sanzioni ed interessi, giacchè i casi di tutela espressamente enunciati dal comma 2 del cit. articolo 10 (attinenti all'area dell'irrogazione di sanzioni e della richiesta d'interessi) riguardano situazioni meramente esemplificative, legate ad ipotesi maggiormente frequenti, ma non limitano la portata generale della regola, idonea a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti. Tanto premesso occorre peraltro evitare che il principio dell'affidamento - la cui applicazione presuppone comunque una valutazione caso per caso delle condotte poste in essere dai soggetti del rapporto tributario nel quadro normativo di riferimento - possa servire a legittimare fenomeni elusivi volti ad ottenere risparmi di imposta nel contesto di una serie di atti di per sè consentiti dall'ordinamento a determinati fini ma essenzialmente rivolti ad effetti ulteriori e consequenziali che consentano di aggirare l'imposizione fiscale: principio altrettanto immanente nell'ordinamento interno desumibile dalle fonti comunitarie e dal concetto di abuso del diritto elaborato dalla giurisprudenza comunitaria (Corte di giustizia sentenza Halifax e Huddersfield 21.2.2006 C-255/02 e C-223/03). Nella fattispecie di che trattasi la società utilizzava separatamente le due componenti alcoliche confluite nel prodotto finale sfruttando l'abilitazione ad adoperare in deposito libero per aggiungere nell'opificio l'ingrediente vino (a tassazione zero) successivamente all'acquisto della componente acquavite (ad accisa assolta). Ora il D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 25, comma 1, sancisce che può essere autorizzata una produzione in impianti diversi dai depositi fiscali purchè vengano utilizzati prodotti ad imposta assolta e l'accisa complessiva pagata sui componenti non sia inferiore a quella dovuta sul prodotto derivante dalla loro miscela. Trattasi di disposizione la cui esegesi interpretativa, diretta ad assicurare l'assoluta neutralità fiscale della scelta spettante al contribuente evitando una diversità di trattamento tributario del medesimo prodotto in dipendenza delle differenti tecniche di gestione della produzione, non poteva essere nè ignorata nè fraintesa allorchè richiedeva allo scopo che - ove la nuova produzione fosse ottenuta tramite trasformazione - miscelazione di una pluralità di sostanze distinte soggette ad accisa nell'ambito di uno stabilimento operante in regine di accisa assolta, il tributo complessivamente pagato al momento dell'acquisto dei singoli componenti non doveva essere inferiore a quello dovuto sul prodotto derivante dalla loro miscela. A fronte di tale iniquivoco dettato normativo non si può dunque parlare di incertezza normativa facendo leva sul principio dell'apparenza del diritto e dell'affidamento che presuppone una seria ed incolpevole aspettativa al cospetto di una situazione ragionevolmente attendibile indotta dalle disposizioni in vigore. Il nucleo della difesa del contribuente si è peraltro incentrato sul comportamento attivo imputato all'Autorità di vigilanza che avrebbe non solo approvato ma financo agevolato il modus operandi della società contribuente consigliando l'adozione di quel regime e quindi rafforzandone vieppiù la convinzione di non agire contro legem. Ora va sul punto chiarito che i giudici di merito attraverso una insindacabile valutazione delle risultanze istruttorie ritenute rilevanti ai fini del decidere, hanno accertato che i funzionari UTIF si erano limitati a fornire generiche informazioni sul diverso regime del deposito libero (rispetto a quello fiscale) ai fini della semplificazione degli adempimenti burocratici senza influire sul processo decisionale del contribuente per cui hanno concluso che il sistema adottato, con gli effetti da esso fatti derivare sul piano dell'imposizione, rappresentava il frutto di una autonoma scelta aziendale indotta da motivi di convenienza ma non certo positivamente avallata dall'organo controllore privo di poteri discrezionali nella determinazione delle imposte dovute. Non esisteva all'epoca, del resto, una interpretazione ministeriale conforme nel senso inteso dalla società (per quanto potesse valere perchè, pur contenuta in circolari o risoluzioni, non sarebbe stata comunque in grado di vincolare nè i contribuenti nè i giudici, nè tanto meno ad assurgere a fonte di diritto)da cui fosse in qualche modo ricavabile questa sorta di agevolazione strettamente dipendente dal regime prescelto. Anzi sin dal D.L. n. 331 del 1993 (ivi art. 25) convertito nella L. n. 142 del 1993 (riproduttivo del contenuto di precedenti DL non convertiti a recepimento della Direttiva CEE 1576/89 di armonizzazione delle accise) oggi trasfuso nell'art. 32 del TUA era stabilito che andavano assoggettati ad accisa sull'alcol etilico tutti i prodotti aventi un titolo alcolimetrico effettivo superiore all'1,2% in volume, rientranti nei codici di nomenclatura combinata della tariffa doganale 2207 e 2208 (cioè i liquori quale è la bevanda Parampampoli) nonchè i prodotti che -pur appartenendo alla classificazione 2204, 2005, 2006 (cioè i vini sia ricavati da distillazione sia da fermentazione)aventi un titolo alcolimetrico superiore al 22%. Il che significa che sin dal 1993 vigeva nell'ordinamento la regola di assoggettamento ad accisa dell'intero quantitativo anidro compreso quella derivante dall'aggiunta del vino indipendentemente dalle modalità di impiego di tale ingrediente. D'altra parte non sono emersi in atti - come accertato dai giudici del merito - elementi probatoriamente concludenti di uno sviamento del contribuente causalmente collegato a comportamenti univoci dell'Amministrazione. A questo riguardo il contribuente rimanda, a sostegno della propria buona fede, all'accoglimento di precedenti istanze di rimborso dell'accisa ed ai controlli periodici svolti dall'UTF senza rilievi di sorta. Trattasi peraltro di circostanze che non paiono decisive per ricavare un affidamento incolpevole tanto più che le une presuppongono una accisa comunque assolta di cui non è specificato il titolo di restituzione restando la doglianza sul punto estremamente generica e priva di autosufficienza mentre le altre non sono pertinenti perchè una vigilanza saltuaria non in grado di individuare errori od omissioni riscontrati solo in sede di revisione generale della contabilità non può valere come ragione giustificativa di un comportamento illegittimo ab origine. Senza infine considerare che i vizi dedotti, che implementano sul piano motivazionale la censura, finiscono per investire la stesso iter logico-giuridico che sta alla base del ragionamento della Corte d'appello che appare del tutto lineare e coerente e non può essere sostituito da un diverso apprezzamento dei fatti. Spetta infatti solo al giudice del merito individuare le fonti del proprio convincimento, ed, all'uopo, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie raccolte - quelle ritenute più idonee a risolvere i punti decisivi della controversia come appunto avvenuto nel caso. La doglianza nella sua complessiva articolazione sui primi tre motivi va dunque rigettata. 2. Fondato risulta invece il 4^ motivo di ricorso con il quale viene censurata la statuizione di 2^ grado nella parte in cui - accogliendo la domanda riconvenzionale dell'Amministrazione - ha escluso che la società avesse estinto il proprio debito posto che i tre distinti versamenti per complessive L. 74.751.448 effettuati alla Tesoreria Provinciale dello Stato e comunicati al Ministero delle Finanze non sarebbero stati corroborati dalla relativa prova documentale. Al contrario risultano allegati fin dal 1^ grado con memoria istruttoria ex art. 184 c.p.c. copia dei versamenti totali dei quali i giudici di appello non sembra abbiano tenuto conto emettendo condanna anche per la una differenza già corrisposta. Il motivo va pertanto accolto e la sentenza sul punto cassata con rinvio della causa per le conseguenti determinazioni ad altra sezione della Corte di appello di Trento che provvederà anche sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. LA SUPREMA CORTE Rigetta i primi tre motivi di ricorso, accoglie il 4^ motivo;cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa anche per le spese - ad altra sezione della corte di appello di Trento.