CINA - Aiuto alla Chiesa che Soffre

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CINA - Aiuto alla Chiesa che Soffre
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APPARTENENZA RELIGIOSA
Non affiliati 52%
Religioni tradizionali 21,9%
Buddisti 18,2%
Cristiani 5,1%
Cattolici 0,6% - Protestanti 4,5%
Musulmani 1,8%
Altre religioni 1%
AREA
POPOLAZIONE RIFUGIATI (interni*) RIFUGIATI (esterni**) SFOLLATI
9.597.000 km2 1.347.565.000
301.068
191.069
----*Rifugiati stranieri che vivono in questo Paese **Cittadini di questo Paese rifugiati all’estero
La Repubblica popolare cinese è stata fondata il primo ottobre 1949. Benché piccoli partiti siano rappresentati in Parlamento, la Costituzione dà al Partito comunista il monopolio sul potere legislativo, giuridico, esecutivo e militare. La Costituzione, in teoria, garantisce la libertà di religione, ma a causa del potere assoluto del
Partito comunista cinese (Pcc), le religioni devono piegarsi alle sue politiche. Non
ci sono leggi che disciplinano le attività religiose, pertanto esse sono controllate tramite decreti e regolamenti (i più recenti risalgono al 2005). Le disposizioni in esso
contenuti delineano le modalità di potere che il Pcc esercita sulle religioni:
1) sono ufficialmente riconosciute solo cinque religioni, vale a dire buddismo, taoi­
smo, islam, protestantismo e cattolicismo. Altre religioni, compresi ebraismo e
cristianesimo ortodosso, sono considerate illegali;
2) il diritto di espressione religiosa non appartiene all’individuo, ma è una concessione dello Stato e può essere espresso solo da personale registrato e in luoghi registrati presso l’Amministrazione statale per gli Affari religiosi (Asar).
Qualsiasi espressione religiosa esuli da queste restrizioni, è considerata penalmente perseguibile. In pratica, ogni gruppo religioso in Cina ha la sua parte
“ufficiale” e “non ufficiale”;
3) il Governo si arroga il diritto di controllare le relazioni tra i fedeli di una data religione, sia all’interno che all’esterno della Cina. Al contempo, richiede che i fedeli rispettino i principi di «autodeterminazione» e di «indipendenza» nei confronti delle autorità internazionali della loro religione, ad esempio il Dalai Lama
per i buddisti tibetani, e il Papa per i cattolici.
Al fine di garantire che – «in nome del popolo» – le varie religioni aderiscano alle
politiche del Pcc, ogni gruppo religioso ufficiale è retto da un’”associazione patriottica”. In teoria, l’appartenenza all’associazione patriottica è volontaria, ma, in
pratica, chi rifiuta d’iscriversi è considerato un fuorilegge.
Le attività religiose – culto, istruzione, opere di bene e lavoro sociale – sono consentite nel quadro delle strutture registrate. Tutte le pubblicazioni devono essere
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approvate dall’Asar e non possono essere diffuse al di fuori dei locali ufficialmente sanzionati. Le reti televisive e radiofoniche – tutte controllate dallo Stato – mostrano soltanto i formali saluti di esponenti religiosi in occasione di certi giorni festivi (ad esempio, la Festa Nazionale del primo ottobre e il capodanno cinese).
Cattolici
Per la comunità cattolica in Cina, il periodo in esame è stato caratterizzato da arresti, detenzioni, distruzione di chiese, divieto di attività religiose e consacrazioni
episcopali illecite (da parte del Governo). L’elezione di Papa Francesco e – quasi
contemporaneamente – l’avvento al potere del Presidente Xi Jinping che è considerato un moderato, hanno fatto sperare in un cambiamento in materia di libertà
religiosa. Esponenti governativi hanno perfino espresso parole di approvazione
nei confronti di Papa Francesco e del nuovo Segretario di stato vaticano. Ma la
situazione è rimasta, praticamente, immutata.
Arresti e carcere
All’inizio del 2013, con l’annuncio della soppressione del laojiao (“Riforma tramite il lavoro” ovvero una rete di campi di lavoro forzato con sessioni di “rieducazione” politica) e la riforma del Codice penale – in base al quale la polizia non
può più imprigionare una persona per più di sei mesi senza accusa – molti cattolici avevano cominciato a sperare nella liberazione dei loro vescovi e sacerdoti, imprigionati senza essere mai stati accusati. Tra questi, ci sono: il vescovo
“clandestino” Su Zhimin, di circa 80 anni, irreperibile dopo essere stato arrestato 15 anni fa dalla polizia; monsignor Cosma Shi Enxiang, 90 anni, vescovo
“clandestino” di Yixian, detenuto senza processo dal 2001; padre Giuseppe Lu
Genjun, vicario generale della diocesi “clandestina” di Baoding (Provincia di Hebei) che è nelle mani della polizia dal 17 febbraio 2006 e decine di altri sacerdoti delle comunità cattoliche non ufficiali. Finora, però, non si hanno ancora notizie del loro destino.
Chiese distrutte
Il 14 settembre 2012, la piccola chiesa del villaggio di Caibang (presso Xiantao,
nella Provincia di Hubei) è stata distrutta da un rogo che – secondo i cattolici del
posto – sarebbe stato appiccato deliberatamente allo scopo di entrare in possesso della terra. La cappella era stata costruita nel 1993 sul sito dove sorgeva la
precedente chiesa, demolita nel 1954 in piena epoca maoista. Il Governo non ha
mostrato alcun interesse a cercare i colpevoli1.
Ingerenza da parte delle autorità
A Wuhan, il Governo ha interferito in modo pesante nella vita della Chiesa dell’Hubei, bloccando la nomina di nuovi parroci e sospendendo padre Shen Guoan dalla carica di amministratore della diocesi. Alla fine del novembre 2012, padre Guo1 www.asianews.it/news-en/Hubei,-a-church-burned.-Catholics-call-for-justice-25851.html
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an aveva annunciato alcuni trasferimenti, ma – dopo qualche giorno – i rappresentanti dell’Asar gli hanno comunicato che tali spostamenti erano illegali e, il 13
dicembre, lo stesso padre Guoan è stato destituito. Per gestire la chiesa al suo
posto, il Ministero ha creato un comitato. Nel 2011, il Governo aveva nominato
padre Shen Guoan vescovo di Wuhan, senza il permesso della Santa Sede. I sacerdoti locali e lo stesso padre avevano rifiutato l’ordinazione illecita. È possibile
che la sua destituzione sia un atto deliberato di vendetta da parte dell’associazione patriottica. Intanto, come capo del comitato, il Governo ha nominato un altro
sacerdote, padre Cui Qingqi, forse con l’intenzione di farlo vescovo2.
Il 24 maggio 2013, festa della Madonna di Sheshan, il Governo ha ancora una
volta escluso i cattolici che non sono di Shanghai, dal partecipare al pellegrinaggio annuale al santuario3. Il divieto è in vigore dal 2008, da quando cioè Papa Benedetto XVI aveva proclamato il 24 maggio “Giornata mondiale di preghiera per
la Chiesa in Cina”. Il 26 maggio 2013 la polizia ha circondato il villaggio di Donglu,
famoso tra i cattolici per un’apparizione della Madonna all’inizio del XX secolo;
l’obiettivo era impedire ai pellegrini di effettuare presso il santuario un Pellegrinaggio in onore della Vergine Maria.
Dal 7 al 28 ottobre 2012 s’è svolto in Vaticano il Sinodo sulla Nuova evangelizzazione. Papa Benedetto XVI aveva invitato a partecipare monsignor Luca Li Jinfeng
di Fengxiang – l’unico vescovo cinese non appartenente all’associazione patriottica
che è anche riconosciuto dal Governo – e monsignor Aloisio Jin Luxian di Shanghai. Il Governo cinese però ha negato loro il permesso di lasciare il Paese.
Ordinazioni episcopali
Subito dopo la sua ordinazione a vescovo avvenuta nella cattedrale cattolica di
Shanghai il 7 luglio 2012, Taddeo Ma Daqin è stato arrestato e posto sotto sorveglianza della polizia. Un disaccordo era emerso tra la Santa Sede, che lo aveva nominato vescovo ausiliare di Shanghai, e il Governo che lo aveva nominato
vescovo coadiutore della diocesi. Le autorità si sono mosse contro il vescovo nel
giorno della sua ordinazione episcopale, quando aveva annunciato la sua intenzione di lasciare l’Associazione patriottica cattolica cinese (Apcc), citando Papa
Benedetto XVI, il quale aveva affermato che i principi dell’Apcc erano «inconciliabili con la dottrina cattolica». Secondo fonti ecclesiastiche, durante la cerimonia di ordinazione il neo-vescovo aveva evitato l’imposizione delle mani e la condivisione del calice della comunione con il vescovo Zhan Silu di Mindong, illecitamente ordinato e scomunicato dalla Santa Sede. Poche ore dopo la cerimonia,
monsignor Ma è stato posto agli arresti domiciliari nel seminario diocesano e le
autorità cinesi gli hanno vietato di concelebrare la Messa con altri sacerdoti.
www.asianews.it/news-en/Wuhan-Government-gravely-interferes-in-fate-of-priests-andfuture-bishop-26688.html
3 www.asianews.it/news-en/Bishop-Ma-Daqin-and-Chinese-Catholics-pray-for-the-unity-ofthe-Church-in-China-28012.html
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Il 12 ottobre 2012 Il Consiglio dei vescovi cinesi e l’Associazione patriottica hanno destituito monsignor Taddeo Ma Daqin dalla carica di vescovo coadiutore di
Shanghai, esonerandolo da tutti i suoi doveri episcopali. La Santa Sede ha definito tale azione «tirannica» e un abuso di autorità, considerato che solo il Papa
«ha il potere di nominare o revocare un vescovo».
Il 6 luglio 2012, padre Giuseppe Yue Fusheng è stato “ordinato” vescovo di Harbin senza mandato papale; il questo caso, la Santa Sede ha emesso un avvertimento ufficiale. Almeno altri due vescovi ufficiali, convocati dal Partito per partecipare all’ordinazione illecita a Harbin, hanno rifiutato di partecipare, trovando un
modo di assentarsi. Il 10 luglio in una nota ufficiale sull’ordinazione illecita di Yue
Fusheng, la Santa Sede ha annunciato che il Vaticano «non lo riconosce come
vescovo dell’amministrazione apostolica di Harbin».
Morte di un importante vescovo
Monsignor Giuseppe Fan Zhongliang – vescovo di Shanghai che ha trascorso
decenni in prigione per la sua fede – è morto il 16 marzo 2014, all’età di 97 anni.
La Fondazione del Cardinale Kung ha reso noto che il vescovo è morto «circondato da alcuni dei suoi fedeli parrocchiani». «È morto in casa sua ancora agli arresti domiciliari, una condanna accompagnata da una stretta sorveglianza da parte del Governo per gran parte degli ultimi due decenni», ha affermato la Fondazione dedita a sostenere la Chiesa in Cina. Nonostante san Giovanni Paolo II
avesse nominato Fan come legittimo vescovo di Shanghai nel marzo del 2000,
dopo la morte del cardinale Kung, i funzionari cinesi lo avevano arrestato immediatamente. Ha trascorso il resto della sua vita come prigioniero e il Governo non
lo ha mai riconosciuto come vescovo4.
Protestanti
Da alcuni anni è in corso una campagna per eliminare le comunità protestanti non
ufficiali o integrarle con quelle ufficiali che però sono viste da molti fedeli come
troppo politicamente compromesse con il regime al potere.
Secondo le stime (datate 2010) del PEW Research Center, attualmente in Cina ci
sono circa 58 milioni di protestanti, la maggior parte dei quali “non ufficiali”, appartenenti cioè a Chiese non approvate dal Governo. Fenggang Yang, professore di
sociologia presso la Purdue University, stima che questo numero potrebbe raggiungere i 160 milioni entro il 2025, dando quindi alla Cina la più importante comunità protestante del mondo. Yang ha precisato che la popolazione cristiana totale della Cina, cattolici compresi, potrebbe arrivare a 247 milioni entro il 2030, facendone la più grande congregazione cristiana nel mondo.
Secondo la China Aid Association (CAA), organizzazione con sede negli Stati
Uniti, la persecuzione dei cristiani in Cina continua a intensificarsi, soprattutto nelhttp://www.catholicnewsagency.com/news/underground-chinese-bishop-in-shanghai-diesat-97/
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le città e contro le chiese domestiche. Nel suo Rapporto annuale, la CAA conclude che la persecuzione è «significativamente peggiorata» tra il 2012 e il 2013.
L’organizzazione, che non ha scopo di lucro, aveva riportato risultati simili per il
2012, notando che la persecuzione del Governo s’era intensificata per il settimo
anno consecutivo. La CAA afferma di aver documentato 143 casi nel 2013, per un
totale di 7.424 persone perseguitate5.
Nel dicembre 2013 il Parlamento ha formalmente adottato una risoluzione che
sopprime il controverso sistema di campi di lavoro forzato, usati anche contro i
cristiani delle chiese domestiche. Secondo Human Rights Watch, agli inizi del
2013 c’erano 260 campi di lavoro con 160mila detenuti dei quali non è noto quanti siano cristiani. Il Parlamento ha anche reso più flessibile la politica del figlio unico, ha riportato l’Agenzia di stampa ufficiale Xinhua. In base alla nuova politica di
controllo delle nascite, le coppie potranno ormai avere due figli, se uno dei genitori è figlio unico.
I timori che le autorità attuassero un giro di vite sui cristiani si sono accentuati
quando, nell’aprile 2014, l’enorme chiesa Sanjiang a Wenzhou è stata demolita
per ordine di funzionari locali. Costruita con il benestare del Governo, la chiesa
era all’origine un progetto del “Movimento Patriottico delle Tre Autonomie”, la
Chiesa protestante ufficiale approvata dallo Stato. Infatti, nel settembre 2012, l’edificio era stato lodato dal Governo locale come un progetto architettonico modello. Successivamente, però, la retorica ufficiale è cambiata completamente. Jin
Leibo, portavoce del Dipartimento della Propaganda della Contea di Yongjia, ha
dichiarato che la chiesa è stata distrutta perché «illegale». Secondo Jin «invece
di una superficie di 1.881 metri quadrati, la struttura copriva illegalmente un’area
di 7.928». Alla chiesa era stato chiesto di «rettificare» la situazione entro il 22
aprile, ma – secondo i funzionari – solo 500 metri quadrati erano stati abbattuti
prima della data limite. La sera di lunedi 28 aprile, la chiesa è stata rasa al suolo
da bulldozer. Cinque funzionari locali sono attualmente sotto inchiesta in relazione alla costruzione illegale della chiesa, ha affermato Jin6.
Nel mese di maggio 2014, l’Agenzia AsiaNews ha pubblicato un totale di 64 foto,
con nomi e date di chiese demolite (o alle quali è stata rimossa la croce) nello
Zhejiang, già pubblicati su internet dall’inizio dell’anno. Nell’articolo si legge che
«dalla fine di maggio potrebbe partire una nuova campagna contro le chiese domestiche. Secondo alcune fonti, il Governo ha intenzione di colpirne almeno 85 di
quelle dove si riuniscono i cristiani che non vogliono iscriversi alle organizzazioni
preposte dal Governo per il loro controllo»7.
Christian Post online, 14 febbraio 2014 (www.christianpost.com)
http://edition.cnn.com/2014/05/01/world/asia/china-church-demolished/
7 AsiaNews, 21 maggio 2014 (http://www.asianews.it)
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Ortodossi
Anche se presente in Cina fin dal IX secolo con diverse migliaia di fedeli, la Chiesa ortodossa cinese non è ancora riconosciuta dal Governo come «religione ufficiale». La comunità ortodossa – in tutto circa 15mila fedeli – è presente soprattutto a Harbin, con concentrazioni anche a Pechino e Shanghai. Essa soffre però di
mancanza di sacerdoti locali e non è in grado di fornire dei servizi religiosi regolari, ad eccezione di quelli offerti nella cappella dell’ambasciata russa a Pechino.
Buddisti
La libertà religiosa dei buddisti non risulta subire particolari violazioni. Al contrario, alcuni dirigenti comunisti vorrebbero dare rilievo al buddismo e al confucianesimo come «religioni con caratteristiche cinesi», al fine di recuperare i valori tradizionali della società cinese e frenare la corruzione.
La persecuzione religiosa è però particolarmente pesante in Tibet, in particolare contro i buddisti tibetani. Con la colonizzazione cinese e la militarizzazione
del territorio, la popolazione tibetana – ormai minoritaria – è in fase di marginalizzazione, a tal punto che c’è già chi parla di genocidio culturale e religioso,
considerato anche il divieto di insegnare la lingua tibetana. In passato Pechino
aveva stabilito un dialogo con il Governo tibetano in esilio, ma i rapporti ora sono completamente congelati. Nel caso del Dalai Lama, autorità suprema del
buddismo tibetano, Pechino ha chiaramente indicato che non gli permetterà mai
di ritornare in Tibet sebbene abbia pubblicamente rinunciato a qualsiasi ruolo
politico e vorrebbe esercitare soltanto un ruolo spirituale. Denigrare il Dalai Lama è diventato una campagna permanente; lo stesso si può dire per coloro ne
chiedono il ritorno, vittime di arresti e di violenze. La situazione è tale che ha
scatenato una serie di auto-immolazioni che coinvolgono solitamente monaci
buddisti il cui numero diventa via via maggiore dal 2009; finora, si contano 124
incidenti di questo tipo. Il Governo cinese ha legiferato contro questa e altre forme di protesta, al punto da imporre contro tali atti di auto-immolazione, sentenze che arrivano fino «a cinque anni di reclusione». Pechino accusa oltretutto il
leader spirituale del buddismo tibetano di «fomentare» tali atti di suicidio, sebbene, da parte sua, il Dalai Lama abbia più volte invitato i suoi seguaci a «salvaguardare la vita come prima cosa».
Il 16 agosto 2012, le forze di sicurezza cinesi hanno ucciso un tibetano e ne hanno arrestati sei, mentre cercavano di disperdere una manifestazione di un migliaio di persone che si opponevano – in quanto la Compagnia ignorerebbe la sacralità del luogo e l’impatto ecologico dell’attività – alla ripresa delle attività di una miniera nella Contea di Markham.
L’8 febbraio 2013, il Tribunale del popolo nel Qinghai tibetano ha condannato un
uomo a 13 anni di reclusione per aver «incitato» un monaco buddista a darsi fuoco.
L’uomo, identificato solo come Phagpa, è stato riconosciuto colpevole di «omicidio
volontario», anche se il monaco in questione ha poi rinunciato al gesto estremo.
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Namgyal, poeta tibetano di 26 anni, è scomparso il 15 maggio 2012. Sedici mesi
dopo, nel settembre 2013, la sua famiglia – alla quale non è tuttora permesso visitarlo – ha appreso che era in carcere8 per aver distribuito copie dei discorsi del
Dalai Lama – atto vietato in tutta la Cina – e altre «dichiarazioni politiche» favorevoli all’indipendenza del Tibet.
Musulmani
A parte l’islam ufficiale presente in varie regioni della Cina, nello Xinjiang vi è una
forma di islam legata agli uiguri, popolo turcofono nutrito da aspirazioni separatiste e sensibile a influenze islamiche fondamentaliste, considerata la vicinanza di
Afghanistan, Pakistan e Repubbliche dell’Asia centrale.
Al fine di farne il gruppo etnico dominante, Pechino ha inviato centinaia di migliaia
di cinesi di etnia han nella regione e, protetti dal Governo centrale, essi occupano
ormai le posizioni dominanti in quasi ogni campo. Nel tentativo di soggiogare il popolo uiguro, il Governo ha imposto serie restrizioni alla libertà religiosa e al culto
musulmano, nonché all’insegnamento della lingua uigura e della cultura locale.
Il 26 marzo 2013 i tribunali di Kashgar e di Bayingol hanno condannato 20 uiguri
a lunghe pene detentive (compreso l’ergastolo) con l’accusa di essere «avvelenati dall’estremismo religioso». Il 23 e il 24 aprile 2013 civili uiguri e poliziotti cinesi di etnia han si sono scontrati a Selibuya, nei pressi di Kashgar (Xinjiang), con il
risultato che almeno 21 persone – 15 dei quali cinesi han e sei uiguri sospettati di
terrorismo – sono morte.
Il 20 agosto 2013 un gruppo di poliziotti della squadra anti-terrorismo della prefettura di Kashgar ha circondato almeno 28 uiguri, non lontano dalla città di Yilkiqi.
Secondo le autorità, essi erano impegnati in «attività religiose illegali e in esercitazioni terroristiche». Dopo aver dato l’altolà agli uomini, gli agenti hanno aperto
il fuoco e nella sparatoria sarebbero morti 15 uiguri e un poliziotto di etnia han9.
Sette
A metà del mese di dicembre 2012, la polizia ha arrestato circa un migliaio di persone appartenenti alla setta del “‘Dio Onnipotente” (nota anche come “Lampo
dell’Oriente”), considerata «setta malvagia», perché i suoi membri diffondono
idee apocalittiche di fine del mondo e, soprattutto, profetizzano la fine del comunismo cinese, invitando i loro seguaci a tagliare la gola al «dragone rosso». Almeno 350 membri della setta sono stati arrestati in Guizhou, altri 400 nel Qinghai. Lo
stesso è successo a gruppi più piccoli in altre zone del Paese.
www.asianews.it/news-en/Missing-for-16-months,-Tibetan-poet-reappears-in-prison-29115.html
9 www.asianews.it/news-en/Xinjiang,-more-violence:-15-Uyghurs-killed-by-police-for-terrorism-28834.html
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In conclusione, si può affermare che la libertà religiosa in Cina si sta deteriorando. Benché i controlli siano generalmente esercitati in base a norme ufficiali dello
Stato, è evidente che quelli verso i cattolici – compresi gli appartenenti alla Chiesa ufficiale asservita allo Stato – sono più stringenti. Per quanto riguarda i protestanti, gli sforzi per spaccare le comunità non ufficiali si sono intensificati. La violenta repressione contro le comunità buddiste tibetane continua, così come continua la soppressione dei musulmani uiguri e delle sette evangeliche.
La promessa del nuovo Governo di Xi Jinping di eliminare il laojiao (e, quindi, l’incarcerazione dei credenti senza processo) non sono ancora state soddisfatte, a
dispetto delle nuove norme adottate. Allo stesso modo, la promessa di rivedere lo
status di ebrei e cristiani ortodossi, per includerli tra le religioni riconosciute dallo
Stato, non è stata ancora esaudita.
Hong Kong
Il periodo 2012-2014 è stato importante per i cattolici e per gli altri cristiani di
Hong Kong, costretti a fare i conti con l’interferenza della Repubblica popolare comunista negli affari sociali, educativi e politici della Regione autonoma.
Nel 1997 il territorio di Hong Kong è stato restituito alla Cina continentale, con «un
certo grado di autonomia» in base alla formula «una nazione, due sistemi». Nella
pratica, però, la Cina continua a far sentire il suo peso sulla vita del territorio e a
bloccare ogni sviluppo politico in senso democratico, a dispetto del fatto che esso fosse previsto dagli accordi siglati da Londra e Pechino nel momento della restituzione di Hong Kong alla madre patria.
Educazione “patriottica”
Il caso più eclatante di interferenza si riscontra nei cambiamenti introdotti dal Governo già nel 2002 nel campo dell’educazione, per trasferire il controllo delle scuole dai cosiddetti “enti promotori” – istituzioni educative come istituti religiosi, comunità monastiche, diocesi, associazioni cattoliche laiche – ai cosiddetti “comitati di
gestione” composti da rappresentanti dei genitori, degli studenti e del personale,
nonché un rappresentante della “società civile” scelto dal Governo. Secondo gli
esponenti delle comunità cristiane (cattolici, anglicani e metodisti), tale condotta mina – fino al punto di distruggerlo – l’ethos educativo di base, collocando i nuovi comitati al di sopra degli enti promotori. La resistenza è durata anni e la diocesi cattolica di Hong Kong ha perfino fatto causa al Governo, accusandolo di agire in violazione della Costituzione – cioè la Legge fondamentale – di Hong Kong. Il tutto si è
però concluso con la vittoria delle autorità cinesi e, dal 2012, tutte le scuole di Hong
Kong hanno dovuto adeguarsi al nuovo sistema di organizzazione10.
In segno di protesta contro la decisione del Tribunale di ultima istanza, il cardinale
Joseph Zen Ze-kiun, vescovo emerito di Hong Kong, ha fatto uno sciopero della faAsiaNews.it, 14/10/2011. Per conoscere tutte le tappe di questa epica vicenda, cfr. AsiaNews.it, 25/10/2011.
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me di tre giorni, dal 20 al 22 ottobre 2011. Contemporaneamente, un certo numero
di giornali e canali televisivi governativi si sono lanciati in una campagna di diffamazione contro il presule, accusandolo di aver accettato donazioni (pari a circa 2 milioni di euro) dal magnate cattolico Jimmy Lai, insinuando quindi che Zen stava promuovendo i propri interessi e agendo in favore del Partito democratico di Hong
Kong, l’opposizione politica (contraria a Pechino)11. In una conferenza stampa, il
cardinale ha reagito alle accuse sottolineando che aveva usato i soldi per la Chiesa in Cina, sia quella “ufficiale” che quella “clandestina”, facendo tradurre testi teologici in cinese e offrendo borse di studio all’estero a giovani cinesi12.
L’anno 2012 ha visto un’altra prova di forza, ancora una volta in materia di “riforme” nel campo dell’educazione imposte dal Governo. In questo caso, si trattava
dell’introduzione di un certo numero di ore di “educazione” nazionale (o patriottica) obbligatoria. In base a tale disposizione, le scuole avrebbero dovuto insegnare la storia delle grandi conquiste cinesi, già di per sé attribuite al Partito comunista di Pechino. Ugualmente, si doveva dare un gran risalto allo sviluppo economico della “madre patria”, evitando però di toccare temi come i diritti umani, il massacro di piazza Tiananmen, la libertà religiosa o la storia controversa e violenta
del Partito comunista cinese. I cattolici, soprattutto sotto la guida del cardinale
Zen, hanno immediatamente condannato il progetto bollandolo come un tentativo
di lavaggio del cervello. In base a sondaggi fatti a Hong Kong, almeno il 74% degli studenti si è detto contrario all’introduzione di tale corso.
Nel settembre del 2012, quando il Governo stava cercando di introdurre – per tre
anni, in via sperimentale – il suo sistema di “educazione patriottica”, 200 studenti
hanno iniziato uno sciopero della fame13, seguito da dimostrazioni in cui circa
120mila persone ne chiedevano l’abbandono14; alla fine, almeno per il momento,
il Governo ha deciso di ritirare il progetto15.
Un altro fronte di accanito scontro tra cattolici e Governo di Hong Kong (e Pechino) è la questione della democrazia. L’accordo tra Gran Bretagna e Cina che ha
permesso la restituzione di Hong Kong alla Cina continentale, prevedeva l’introduzione del suffragio universale per l’elezione del capo dell’Esecutivo e del Consiglio legislativo a partire dal 2008. Il tutto è rimasto lettera morta. Pechino ha deciso che, fino al 2017, non ci sarà alcuna discussione sul suffragio universale. Vista l’incertezza sul futuro della democrazia nel territorio, centinaia di migliaia di
persone hanno scelto di manifestare ogni anno, alla vigilia del 3 giugno (in memoria del massacro di piazza Tiananmen) e il primo luglio (anniversario del ritorno di
Hong Kong alla Cina); nel 2013, gruppi di giovani hanno protestato per mesi, con
un sit-in nella zona centrale della città, gridando lo slogan «Occupy Central!».
AsiaNews.it, 19/10/2011.
AsiaNews.it, 20/10/2011.
13 AsiaNews.it, 1/9/2012.
14 AsiaNews.it, 8/9/2012.
15 AsiaNews.it, 9/10/2012.
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In risposta, il Governo ha minacciato di allontanare i manifestanti con la forza. In
tutto ciò, la diocesi cattolica di Hong Kong ha difeso la propria richiesta di accelerare le consultazioni in materia di democrazia, mettendo in guardia, al contempo,
da ritardi eccessivi che possono provocare comprensibili gesti di disobbedienza
civile. La diocesi ha altresì pubblicato un documento in cui ha difeso la democrazia come uno degli aspetti importanti della dottrina sociale della Chiesa cattolica16. Una serie di articoli nei mass-media, soprattutto di fonti vicine a Pechino,
hanno tentato di spacciare la dichiarazione della diocesi come «l’intervento di un
uomo solo» – cioè del cardinale Zen, noto per la sua ostilità contro il Governo cinese – e di mettere in contrasto la sua posizione con quella più “aperta” del suo
successore, il cardinale John Tong, vescovo di Hong Kong. La diocesi ha risposto
con un altro documento, in cui afferma che la Chiesa di Hong Kong è «unita nel
chiedere il suffragio universale» e che era «inutile cercare di dividerla»17.
16 17 AsiaNews.it, 25/7/2013.
AsiaNews.it, 26/7/2013.
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