2013-02 I-03 CONTE RIFORMA FORENSE E SPECIALIZZAZIONE

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2013-02 I-03 CONTE RIFORMA FORENSE E SPECIALIZZAZIONE
Giuseppe Conte
RIFORMA FORENSE E “SPECIALIZZAZIONE”
DEGLI AVVOCATI
1. LA FORMAZIONE SPECIALISTICA RISPONDE A SPECIFICHE ISTANZE
RECEPITE DALLA DISCIPLINA FORENSE
Le esigenze della formazione professionale dell’avvocato sono
sensibilmente mutate, in piena corrispondenza con i cambiamenti
della realtà giuridica, economica e sociale.
L’emarginazione dei vecchi dogmi e l’esilio delle più consolidate
categorie giuridiche, l’irrompere sulla scena economica di una realtà in continuo fermento, l’evoluzione dei rapporti sociali in direzione di schemi relazionali sempre nuovi e inusitati, sono tutti elementi che impongono l’acquisizione di una preparazione giuridica
ancora più complessa e articolata rispetto al passato.
L’avvocato che voglia svolgere con impegno e serietà professionale il suo mestiere deve mostrarsi aperto e disponibile ad allargare lo spettro delle sue conoscenze in direzione di un ventaglio ancora più ampio, rispetto a quello tradizionalmente avuto a mente,
di fonti di produzione del diritto. La dilatazione della sfera delle
competenze professionali fa emergere, pressoché inevitabilmente,
l’esigenza di una qualificazione “specialistica”.
La riforma forense recepisce integralmente queste nuove esigenze e istanze.
L’art. 9 riconosce la “possibilità”, per gli avvocati, di “ottenere e
indicare il titolo di specialista secondo modalità che sono stabilite,
nel rispetto delle previsioni del presente articolo, con regolamento
adottato dal Ministro della giustizia previo parere del CNF, ai sensi
dell’articolo 1”.
Il titolo viene attribuito, in via esclusiva dal CNF, sulla base di
due distinte modalità.
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Una prima modalità prevede che il titolo sia rilasciato all’esito
positivo di un percorso formativo almeno biennale, organizzato
presso una facoltà di giurisprudenza, con cui il CNF o il consiglio
dell’ordine territoriale abbiano stipulato una convenzione per corsi
di alta formazione (art. 9, commi 2 e 3).
Una seconda modalità prevede l’attribuzione per “comprovata
esperienza professionale” maturata dall’avvocato nel settore oggetto di specializzazione. In particolare, l’avvocato deve avere maturato un’anzianità di iscrizione all’albo di almeno otto anni, senza
interruzioni o sospensioni, e deve dimostrare di avere esercitato
l’attività professionale nel settore di specializzazione nel corso degli ultimi cinque anni in modo “assiduo, prevalente e continuativo”
(art. 9, comma 4).
Il settimo comma del medesimo art. 9 prevede che il conseguimento del titolo di specialista non comporta “riserva di attività
professionale”. Questa precisazione aiuta a chiarire che il titolo di
specialista è una chance di qualificazione professionale di cui
l’avvocato potrà servirsi per segnalare ai clienti la sua particolare
competenza o la comprovata esperienza maturate in un determinato settore, senza che questo valga a limitare, di per sé, il suo
raggio di azione professionale.
Le previsioni sulle specializzazioni si completano con l’ottavo
comma dell’art. 9, che consente agli avvocati docenti di materie
giuridiche e a coloro che, alla data di entrata in vigore della legge,
abbiano conseguito titoli specialistici universitari, di indicare il relativo titolo con le opportune specificazioni.
Le nuove previsioni, come anticipavamo, rispecchiano un quadro regolatorio divenuto ormai incredibilmente complesso e articolato.
Oggi l’avvocato è chiamato a padroneggiare un panorama di
fonti notevolmente arricchito rispetto al passato.
Le medesime fonti di origine legislativa, in attuazione della più
recente riforma costituzionale, subiscono l’incidenza delle potestà
legislative esercitate a livello territoriale. La potestà regolamentare è esercitata, ai più vari livelli, da un numero ben più elevato rispetto al passato di soggetti e centri di produzione, in direzioni e
ambiti molto più estesi e articolati.
Oggi un avvocato che voglia offrire al suo cliente prestazioni
professionali efficienti e realmente qualificate deve essere pronto
a integrare il suo tradizionale bagaglio di conoscenze attingendo
costantemente a variegate fonti sovranazionali, alle molteplici fon450
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ti comunitarie, alle più diverse forme di soft law, a codici di autodisciplina disseminati un po’ in tutti i settori di attività, alle deliberazioni e ai vari provvedimenti, comunque denominati, emanati
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dalle varie Autorità indipendenti .
Quanto alla giurisprudenza applicata, l’avvocato deve essere
pronto a consultare non più solo i repertori delle varie corti interne, ma anche i repertori della giurisprudenza comunitaria, atteso il
ruolo fondamentale che le pronunce della Corte di Lussemburgo
hanno assunto nella costruzione dell’ordinamento comunitario e
l’efficacia vincolante che esse esprimono ˗ ormai pacificamente ˗
2
anche per i giudici nazionali . Egli deve volgere costante attenzione anche ai responsi della Corte europea dei diritti dell’uomo e tenere nel debito conto anche gli indirizzi ermeneutici emergenti dal
seno della giustizia privata e desumibili dai lodi arbitrali.
La riduzione ai minimi termini della mediazione giuridica tradizionalmente svolta dagli Stati nazionali in favore dell’espansione
dello strumento contrattuale, spesso atipico e poco inciso da fonti
di disciplina di origine legislativa, offre all’avvocato la possibilità di
contribuire in modo significativo alla creazione di nuove regole
giuridiche di fonte convenzionale.
Vi sono tutte le premesse perché l’avvocato ne approfitti per riconquistare, con piena consapevolezza e anche orgoglio, il suo
ruolo sociale, il suo ruolo di organo della coscienza sociale.
L’avvocatura esprime, da sempre, un ceto intellettuale che possie3
de una scienza e una tecnica . Se gli avvocati, anziché abbandonarsi alla pigrizia di un sapere logoro e usurato, si mostreranno
capaci di rinnovare la loro mentalità e il loro bagaglio di conoscenze e di attitudini professionali potranno senz’altro partecipare, da
protagonisti, alla elaborazione delle nuove costruzioni giuridiche e
al consolidamento delle nuove regole che costituiranno la trama
del tessuto sociale degli anni a venire.
1
Sulla necessità di una formazione europea cfr.: G. ALPA, “Europeizzazione” e “globalizzazione”
del diritto contrattuale, in ID., La nobiltà della professione forense, Bari, 2004, 166 ss.; L. MOCCIA,
Riflessioni introduttive sull’ipotesi di un “giurista (e di un diritto) europeo”, in ID., a cura di, I giuristi
e l’Europa, Roma-Bari, 1997, 5 ss.; G.B. FERRI, La formazione del “civilista europeo”, ivi; F. CARPI,
Prospettive di formazione del giurista europeo, ivi, 100 ss.; F. GALLO, Per un rinnovamento della cultura giuridica, ivi, 120 ss.
2
Cfr. Cass. 16 maggio 2003, n. 7630, in Foro it., 2003, I, c. 2015.
3
G. ALPA, La nobiltà della professione forense, cit., 355, rimarca il valore del sapere tradizionale
e della cultura raffinata di cui il ceto degli avvocati è portatore e di cui può andare giustamente fiero.
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Ha scritto Paolo Grossi: «Mai come oggi, con la prassi che sta
galoppando il cavallo in corsa della tecnica info-telematica, si sente la necessità di principii, di ampie cornici ordinatrici, di robusti
schemi tecnici valevoli a ritenere una attualità sfasciata; mai come
oggi si avverte il salvataggio offerto da un “sistema” o da una
4
“parte generale” scientificamente fondati» ; il giurista «è chiamato
a costruire, ma non con le mani anchilosate da un legalismo incatenante. Egli è finalmente investito da una responsabilità che è
proporzionale alla sua disponibilità e sensibilità, alle sue capacità
5
di intuizione e di lettura del mondo, alla sua fantasia» .
Sono ragionamenti che non evocano solo dimensioni ideali o
genericamente culturali. Non dobbiamo mai dimenticare che
l’avvocato svolge una funzione che, ai sensi dell’art. 24 Cost., va
qualificata come assolutamente inviolabile in ogni stato e grado
del procedimento. La sua funzione e il suo ruolo sociale sono indispensabili per l’attuazione dei diritti e il rispetto delle libertà.
Sarebbe, peraltro, riduttivo pensare che l’avvocato sia solo il
tutore degli interessi e dei diritti del suo cliente. Il filosofo Carl
Schmitt invitava a considerare che «un popolo che non ha un ceto
di giuristi, non ha alcuna costituzione».
Il ruolo dell’avvocato non è esterno rispetto alle funzioni giurisdizionali. Il suo compito non può essere ridotto a quello di mero
suggeritore ai fini dell’esercizio di questa delicata funzione. La sua
presenza non è aderente, bensì inerente alla funzione giurisdizionale. Come è stato scritto di recente, attraverso «l’apporto dialettico che dà al contraddittorio processuale» egli è «partecipe della
funzione giurisdizionale, coartefice della decisione»6.
4
P. GROSSI, Introduzione a Tradizione civilistica e complessità del sistema, Convegno svoltosi
nell’Università di Foggia il 24 settembre 2003, ora in ID., Società, diritto, Stato. Un recupero per il
diritto, Milano, 2006.
5
ID., op. loc. ult. cit.
6
F. GALGANO, La globalizzazione nello specchio del diritto, Bologna, 2005, 153.
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2. L’ESIGENZA E IL “DOVERE” DI COLTIVARE UNA FORMAZIONE
ALCUNI EQUIVOCI: FORMAZIONE SPECIALISTICA
SPECIALISTICA.
VERSUS FORMAZIONE GENERALISTA
Nell’ambito delle discipline del sapere che protraggono le loro
spire in una dimensione applicata è generalmente molto vivo il dibattito sulle caratteristiche proprie della formazione.
Si è molto discusso, in passato, se, con riguardo alla professione legale, sia giusto che prevalga una formazione professionale di
tipo generale o di tipo specialistico.
Prima ancora della introduzione della legge di riforma, un buon
numero di indicazioni, provenienti anche da testi ufficiali, segnalavano non tanto l’opportunità quanto la necessità che la professione forense si orientasse in una direzione specialistica, al fine di
poter offrire un servizio molto qualificato, quanto alla competenza
in specifici settori di attività, e molto elevato, quanto alla qualità
delle prestazioni.
Il terzo principio della Dichiarazione di Roma sulla “Formazione
dell’Avvocato in Europa”, ad esempio, ha colto il segno della evoluzione
della
professione
forense
nella
specializzazione
dell’avvocato.
La verità è che il mestiere di avvocato si stia orientando, da
tempo, in direzione specialistica e per questo è opportuno orientarsi verso una specifica specializzazione anche al fine di offrire un
livello qualitativo elevato di prestazioni professionali.
Ormai anche nei piccoli centri di provincia va scomparendo la
figura dell’avvocato che assommava in sé competenze differenti al
punto da essere in grado di rendere i propri servigi professionali in
aree di attività molto distanti tra di loro.
La specializzazione viene diffusamente avvertita, soprattutto
dai giovani che si affacciano per la prima volta alle soglie della
professione, come un vantaggio competitivo che, nelle grandi realtà urbane come nei piccoli centri, offre la prospettiva di conseguire
opportunità professionali più proficue.
Questo stato di cose richiede qualche precisazione anche perché l’impressione di chi scrive è che in questa tendenza e rincorsa
alla “specializzazione” rischino di annidarsi una serie di equivoci
che vanno assolutamente chiariti.
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Quando si ragiona di formazione in ambito giuridico professionale è bene distinguere, preliminarmente, tra formazione iniziale
di base e formazione continua.
Sono due tipi di formazione con caratteristiche diverse, che non
vanno confuse.
La formazione di base serve ad acquisire il bagaglio di cognizioni e competenze necessario a conseguire l’abilitazione e a iniziare
a svolgere la professione.
La formazione continua, invece, è quella finalizzata ad alimentare la propria preparazione professionale. A quest’ultimo riguardo, sappiamo che il Consiglio Nazionale Forense, già con il regolamento del 2007, ha opportunamente scelto la strada di un lifelong learning, di una formazione continua dell’avvocato che prevede non solo il mantenimento, ma anche l’aggiornamento e
l’affinamento della preparazione professionale.
Io suggerirei però di vigilare affinché non si diffonda, presso i
giovani e i colleghi anche più esperti, la convinzione che, essendo
il destino della professione orientato in direzione specialistica, ci si
possa limitare a coltivare un aggiornamento e un affinamento delle proprie competenze professionali esclusivamente nel settore
specifico, se mai molto circoscritto, in cui si è soliti operare pro7
fessionalmente .
Poco sopra si è riflettuto sulle sfide e sul ruolo sociale
dell’avvocato.
Ebbene, se si condividono le riflessioni sopra svolte si dovrà anche convenire sul fatto che la specializzazione non può costituire
l’occasione per rinchiudersi nella propria paratia stagna e disinteressarsi di tutto ciò che accade nel più complesso universo dei segni giuridici.
A svolgere con burocratico zelo le indicazioni sopra richiamate,
che premono per l’orientamento specialistico della nostra professione, ne rimarrebbe sacrificato un ingegno professionale del calibro di Massimo Severo Giannini, in grado di spaziare, ad un tem-
7
Secondo A. GAMBARO, La formazione del giurista in Europa, in Contr. e impr./Europa, 2002,
796, la formazione generalista è all’origine della crisi della scarsa elasticità e, quindi, della crisi degli
studi giuridici. Sul punto cfr. pure G. ALPA, La formazione del giurista, in ID., La nobiltà della professione forense, cit., 361 ss.
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po, dal diritto costituzionale al diritto amministrativo, dal diritto fi8
nanziario al diritto tributario .
Quella dell’avvocato è una professione intellettuale e se vogliamo che egli sia organo della coscienza sociale dobbiamo fare in
modo che la sua formazione sia intesa, sempre e costantemente,
come occasione e mezzo per assicurare una continua, complessiva
crescita culturale.
Molto opportunamente la riforma forense non assume il conseguimento del titolo di specialista come implicante una “riserva di
attività professionale”.
Peraltro, una specializzazione intesa come rigida chiusura verso
altre competenze e specializzazioni significherebbe irresponsabilità
verso la percezione e soluzione dei problemi, spesso molto complessi, cui ci espone la nostra professione.
L’avvocato, pur quando coltivi una particolare specializzazione,
deve sempre serbare attitudine alla percezione (che non vuol dire
necessariamente “soluzione”) globale dei problemi.
Come acutamente ha rilevato il filosofo-sociologo francese Edgar Morin: «La chiusura disciplinare, unita all’inserimento della
ricerca scientifica nei quadri tecno-burocratici della società produce l’irresponsabilità verso tutto ciò che è esterno al dominio spe9
cializzato» .
L’avvocato che, forte del suo campo specialistico di conoscenza,
si limiti a valutare solo i profili giuridici che più strettamente attengono al suo settore di competenza, senza sforzarsi di suggerire
e prospettare al cliente l’esistenza di questioni più complesse e intrecciate, solo apparentemente svolgerà il suo incarico in maniera
qualitativamente adeguata e deontologicamente corretta.
In realtà, egli rischia di rendersi partecipe di un generale indebolimento del senso di responsabilità verso la professione.
L’avvocato che assumesse la specializzazione come una corazza
asfissiante sicuramente non renderebbe un buon servigio professionale al proprio cliente, tenuto conto che, ordinariamente, la ri-
8
Suggeriamo la lettura dell’efficace ritratto che a Giannini dedica Sabino Cassese,
nell’introduzione al volume da lui curato, che contiene una summa antologica degli scritti
dell’illustre maestro (pubblicato nella collana in uscita per i tipi dell’editore Laterza, dedicata ai “Maestri del diritto” e diretta da P. Cappellini e G. Conte, S.Cassese, Massimo Severo Giannini, Bari,
2010).
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E. MORIN, Il metodo 6. Etica (2004), trad. it., Milano, 2005, 63.
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soluzione di un buon numero di quesiti giuridici richiede
l’integrazione tra varie competenze tecnico-specialistiche.
Non si può avere la pretesa di essere competenti su tutto, ma è
certo che una preparazione professionale costruita su di un terreno frammentario impedisce all’avvocato di raccogliere le sfide so10
pra delineate .
Un buon avvocato non può essere colui che ha accumulato un
sapere specialistico, e se mai non dispone di un principio di selezione e organizzazione che gli dia senso, quanto piuttosto colui
che sappia collocare l’attenzione per una peculiare specializzazione
nel contesto di una più generale e organica formazione culturale e
professionale.
L’avvocato non può rinchiudersi in un orto superspecialistico,
convinto di avere acquisito, per questa via, un vantaggio competitivo sui suoi concorrenti. La segmentazione del sapere ci rende ottusi e orbi, privi dell’attitudine ˗ che sovente richiede anche fantasia ˗ ad affrontare e risolvere i problemi giuridici collocandoli nel
quadro dell’ordinamento giuridico, che ˗ non dobbiamo mai dimenticare ˗ si presenta sì complesso, ma sempre unitario.
In particolare i formatori, nel momento in cui si accorgono che
un sapere professionale, per una molteplicità di fattori, diventa
sempre più specialistico, con il rischio di farsi sempre più esoterico
(accessibile ai soli addetti ai lavori) e anonimo (dominato da dati
quantitativi e formali), tanto più debbono vigilare e attivarsi affinché la professione conservi la sua vocazione intellettuale e, con
questa, il suo ruolo sociale e culturale.
10
Cfr. anche G. MORBIDELLI, Apertura dei lavori, in G. MORBIDELLI, P.F. LOTITO, O. ROSELLI, a cura
di, Avvocati d’affari e giuristi d’impresa, Napoli, 2007, 10.
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