Luciano Foà - Cristina Campo

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Luciano Foà - Cristina Campo
Luciano Foà
Luciano Foà è nato nel 1915 a Milano. Ha cominciato a lavorare, a diciotto anni, nell’Agenzia
Letteraria nazionale, fondata nel 1898 dal padre Augusto. Laureatosi in Legge nel 1937, tre ani dopo
accettò la proposta di Adriano Olivetti di collaborare con lui alla creazione di una casa editrice con un
ampio programma da realizzarsi dopo la caduta del fascismo. Nel dopoguerra, in termini più limitati,
divenne le “Edizioni di Comunità”. Dopo l’8 settembre 1943, accompagnando il padre in Svizzera, vi
restò bloccato fino al 1945. Dopo la liberazione riprese a lavorare nell’Agenzia del padre fino al 1951,
quando si trasferì a Torino come segratario generale della casa editrice Einaudi. Dieci anni dopo ha
fondato a Milano la casa editrice Adelphi, con la collaborazione di Roberto Olivetti e dell’amico
Robero Bazlen. L’ha diretta per parecchi anni con Roberto Calasso e ricoprendo la carica di
Presidente. Gli è stato assegnato nel1999 il Premio Editore Europeo. E’ morto nel 2005.
È MORTO IERI A NOVANT' ANNI. AVEVA COLLABORATO CON BAZLEN, EINAUDI E CALASSO. FECE
CONOSCERE AGLI ITALIANI I GRANDI AUTORI STRANIERI
Polese Ranieri
Addio a Luciano Foà, l' editore nemico delle ideologie
Fondò l' Adelphi per «rompere la monotonia editoriale di sinistra»
«Fondai l' Adelphi, con i consigli di Bobi Bazlen, per rompere la monotonia dell' ideologismo editoriale
di sinistra, per scegliere autori che uscissero fuori dai binari codificati di una visione del mondo esosa in
senso deteriore. Qui pubblichiamo i libri che più ci piacciono, solo quelli, con rischi e soddisfazioni». A
dieci anni esatti dalla nascita della casa editrice, rispondendo alle domande di Enzo Siciliano per La
Stampa, Luciano Foà spiegava con lucida sintesi scopi e ragione dell' impresa culturale cui aveva dato
inizio. Era il 1972, Foà aveva 57 anni, da circa quarant' anni lavorava nell' editoria. Avendo chiaro, quasi
fin dai suoi inizi, il progetto di pubblicare libri e autori al di fuori degli steccati ideologici della cultura
italiana, delle sue chiusure parrocchiali e provinciali. Da qui, in germe, l' idea di un catalogo che avrebbe
fatto scoprire o riscoprire i grandi scrittori della crisi europea, da Nietzsche ai mitteleuropei (Hesse,
Joseph Roth, Robert Walser, Lernet Holenia), la spiritualità orientale, la mitologia classica e non,
Nabokov, Simenon, autori di destra (Juenger), hippies (Lo Zen e l' arte della manutenzione della
motocicletta), surrealisti (Daumal), grandi viaggiatori come Chatwin. Aveva cominciato nel ' 33, a
Milano, per l' Agenzia Letteraria Internazionale del padre Augusto, che traduceva romanzi stranieri e li
vendeva ai quotidiani per la serializzazione in feuilleton. Luciano traduceva dal francese. L' incontro con
Bazlen avvenne nel ' 37, Foà pensava di fondare una rivista aperta ai più importanti autori stranieri e
chiese consiglio al coltissimo triestino, amico di Montale, Saba, Debenedetti, particolarmente versato
nella letteratura germanica. Bazlen lo dissuase dal proposito (le autorità fasciste ne avrebbero impedito
l' uscita, disse); ma quella era la nascita di una grande amicizia, tanto che, l' anno dopo, ormai entrate in
vigore le leggi razziali, fu il più anziano compagno a insistere perché Foà si battezzasse mettendosi al
riparo da persecuzioni. Curioso di tutto quello che in letteratura avveniva fuori d' Italia (lesse anche gli
americani, Caldwell Steinbeck Hemingway ai tempi delle traduzioni di Vittorini), Foà nel 1941 collabora
con Adriano Olivetti che sta preparando una casa editrice per quando il paese si fosse liberato dal
fascismo. Sognavano, lui e il giovane Foà, di «diffondere in Italia tutto quello che, per via del
crocianesimo o del fascismo, era stato fino a quel momento tenuto fuori dai confini». L' 8 settembre del
' 43 e la fuga in Svizzera con il padre Augusto interrompono il progetto. Al ritorno, nel ' 45, i programmi
di Olivetti e della sua Comunità non gli piacciono più. Dopo un periodo di lavoro, nuovamente nell' Ali,
ecco il passo decisivo: Torino, la casa editrice Einaudi, dove Foà viene assunto come segretario generale.
Il periodo einaudiano dura dieci anni, dal 1951 al 1961; in questi anni si consuma anche la sua militanza
politica: iscritto al Pci nel ' 47, ne esce nel ' 56 con la crisi di Ungheria. Anni dopo avrebbe confessato di
non essere rimasto distante dalle «posizioni politiche del Pci» ma di non aver mai condiviso «la filosofia
o la metafisica» del partito. La «lacerazione» con Giulio Einaudi (fra l' altro erano nati nello stesso
giorno dello stesso mese: 2 gennaio, 1912 Einaudi, 1915 Foà) si consuma nel nome di Nietzsche. Foà,
consigliato da Bazlen, convince Einaudi a pubblicare tutto Nietzsche nei Millenni, a cura di Giorgio
Colli. Ma dagli archivi di Weimar spunta una mole imponente di inediti: Colli preme per un' edizione
critica, integrale. Einaudi si spaventa per l' imponenza e il costo. Alla fine, il drastico giudizio negativo
dello storico Delio Cantimori chiude la questione. E accelera l' addio di Foà a Torino. Nasce così nel ' 62
l' Adelphi (il simbolo delle due figure stilizzate è un graffito su un bronzo cinese arcaico), di Bobi Bazlen
e Luciano Foà, con i capitali del figlio di Adriano Olivetti, Roberto. I primi quattro volumi escono l' anno
dopo, e sono il Robinson Crusoe di Defoe, le opere di Buechner, le Novelle di Gottfried Keller e Fede e
bellezza di Niccolò Tommaseo. Intanto Bazlen presenta a Foà un giovane collaboratore destinato a un
grande avvenire: è Roberto Calasso, vive a Roma, ma nel 1967 (due anni dopo la morte di Bazlen) sale a
Milano e negli anni diventerà direttore editoriale e autore di punta della casa editrice. Difficoltà, negli
anni, non sono mancate. Già a metà dei ' 60 la crisi economica fa ritirare Olivetti, ma l' Adelphi è aiutata
da Alberto Zevi (e da Giulia Devoto Falck e Giovanni Pirelli). Gli anni ' 70, finalmente, segnano l' avvio
delle fortune economiche dell' impresa culturale, i cui bestseller si chiamano Roth (La leggenda del
santo bevitore), Hesse (Siddharta) e Kundera (L' insostenibile leggerezza dell' essere). Il marchio
Adelphi diventa garanzia di qualità, in grado di imporre libri e autori difficili. Seguiranno, è vero, ancora
alti e bassi, come quando il 48 per cento della proprietà sarà rilevato dalla Rcs. Ma l' indipendenza di
scelte e criteri resterà intatta. La crisi vera, in realtà, si ha nel 1994, con l' uscita di un libriccino del
cattolico francese della III Repubblica Léon Bloy, Dagli ebrei la salvezza: additato da molti come opera
antisemita e ignobile, scatena una durissima battaglia sulle pagine culturali italiane. Vedendo, per
esempio, combattere aspramente Cesare Segre contro Roberto Calasso. Foà, in questo frangente, non si
pronuncia. Persone a lui vicine dicono che era contrario alla pubblicazione di Bloy; che è dispiaciuto
dell' immagine di destra che così sta ricadendo sull' Adelphi, che è addolorato dall' uscita di alcuni
consulenti di valore. Però, serba il silenzio. In quel periodo, la malattia del figlio lo preoccupa
moltissimo. Lui, il figlio, alla fine guarirà. Ma per Foà inizia un periodo di progressivo rallentamento di
attività. Un lento, irreversibile distacco dalla sua creatura che ieri, nel silenzio e nel riserbo di sempre, si
è definitivamente consumato. Le date Luciano Foà era nato a Milano nel 1915. È scomparso ieri a
Milano Dopo aver lavorato a lungo alla casa editrice Einaudi, dove fu direttore editoriale, nel 1962
fondò, con Roberto Olivetti e Bobi Bazlen, l' Adelphi Oggi, nella sede della casa editrice (via San
Giovanni sul Muro, 14, Milano), sarà allestita la camera ardente. I funerali si svolgeranno in forma
privata a Prè St. Didier, in Val d' Aosta
L' ultimo saluto di Milano all' editore
Luciano Foà
Non ha trattenuto le lacrime Roberto Calasso al termine dell' elogio funebre di Luciano
Foà, che si è svolto ieri sera nella casa editrice Adelphi, che Foà aveva fondato nel ' 62 con
Roberto Olivetti e Bobi Bazlen. «Siamo stati insieme 40 anni, non è mai stato enfatico e
non è mai caduto nelle trappole politiche e culturali, specie negli anni Sessanta e Settanta,
per noi rischiosi. Amava Goethe, Kafka e Roth e veramente sviluppò una cultura dell'
attenzione. In lui - ha concluso Calasso - era centrale il concetto di "Grazia"». Prima di lui
aveva parlato il maestro di ebraismo Baharier Haim, che ha legato la scomparsa di Foà a
una sorta di «ricerca di una identità ritrosa», ricordando l' appartenenza di Foà alla
comunità ebraica: «E' passato dal popolo del libro al mondo dei libri». Molta commozione
tra i presenti, molti dei quali legati alla Adelphi e all' Einaudi. Tra questi Renata Einaudi,
Massimo Cacciari, Rosellina Archinto, giornalisti e editori di varie case editrici.
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L’OMAGGIO DI CALASSO
Luciano Foà «un essere raro e illuminato»
Brunella Giovara
«LUCIANO Foà aveva una regola aurea: in una casa editrice, così come in un
libro, nulla è irrilevante. Se in tanti libri Adelphi i lettori hanno trovato qualcosa di più,
lo dobbiamo a lui». Così Roberto Calasso, ieri sera a Milano, ha commemorato il
fondatore dell'Adelphi («un essere raro e illuminato»), nell'ufficio trasformato in camera
ardente, dopo l'omaggio di tanti autori, scrittori e anche solo lettori, arrivati in casa
editrice (con tutti i redattori presenti) per salutare un'ultima volta Foà. Tra loro Massimo
Cacciari, Aldo Grasso, Gianni Riotta, Rosellina Archinto, Renata Einaudi, vedova di
Giulio Einaudi. Prima di Calasso ha parlato lo studioso di ebraismo e amico di famiglia
Haim Baharier: «Il popolo del libro è sempre dove il libro nasce. Oggi ne abbiamo una
testimonianza conclusiva».
Calasso ha letto un breve testo - faticando a trattenere la commozione - in cui ha
ricordato la prima volta che incontrò Foà, nel primo ufficio dell'Adelphi, in via Morigi,
«io avevo 21 anni, ed ero nel pieno dell'insolenza». «C'era, in una stanza spaziosa, uno
felice di fare quello che stava facendo: stava rivedendo la traduzione di Buchner», con
quell'«invisibile vaglio a cui venivano sottoposte tutte le parole». Amava pochi scrittori,
Foà: Stendhal, Goethe, Kafka, Roth, Walser. «La sua grandezza si vedeva nel momento
più difficile: il giudizio. Mai una volta l'ho visto conquistato da qualcuno o da qualcosa
di inconsistente. Sapeva riconoscere il suono falso delle cose».
Calasso ha ricordato «il decennio passato da Luciano all'Einaudi, un periodo che
era stato per lui fondamentale. Ma, sin dall'inizio, Adelphi doveva essere qualcosa di
diverso». Una casa editrice nuova, un progetto anche rischioso di cui era stato ispiratore
Roberto Bazlen. «Gli anni Sessanta e Settanta sono stati i più rischiosi. Ma io sapevo
che Luciano non sarebbe caduto nella trappola. E di trappole, culturali, religiose,
editoriali, se ne presentarono tante». Era un uomo che aveva un solo interesse: «Andare
in fondo, toccare il fondo roccioso delle persone, se c'era». E con lo stesso «processo
stratigrafico» permetteva che altri potessero arrivare al suo fondo. Un «essere raro e
illuminato», appunto, che permetteva ad alcuni di avvicinarsi al «lago sotterraneo che
nutriva motivazioni e scelte».
Alla fine della cerimonia la figlia Anna ha ringraziato tutti quanti ieri hanno
riempito le stanze della casa editrice per rendere omaggio a suo padre. Luciano Foà oggi
sarà sepolto nel cimitero di Pré-Saint-Didier, dove già si trovano le spoglie della moglie
e dell'amico Bobi Bazlen.
FOA’ l’editore al futuro
Ernesto Ferrero
Luciano Foà avrebbe potuto essere il saggio governatore di una delle Città
invisibili di Calvino, invisibile egli stesso agli occhi dei suoi sudditi. Apparteneva alla
categoria pressoché estinta degli uomini che preferiscono esprimersi nell'artigianato
quotidiano, nella concretezza delle cose da fare, lavorando di fino sul dettaglio con
scrupolo maniacale. Nessun presenzialismo, rarissime interviste. Solo gli addetti ai
lavori conoscevano la vastità della sua cultura a tutto campo, mitteleuropea quando di
quel che accadeva a nord delle Alpi nessuno sapeva niente. Se editore è chi sa guardare
lontano, oltre il breve ciclo delle stagioni e delle mode, dei gusti del mercato, Foà ha
sempre precorso i tempi con il tratto del grand seigneur che non ama esibire quello che
fa. La rare volte che si rassegnò a parlare di sé, preferiva ricordare gli incontri con i
personaggi alquanto straordinari che aveva conosciuto, con gli amici con cui aveva
lavorato e discusso.
Maestro di understatement, ha giocato d'anticipo, fondando l'Adelphi nel pieno
della leadership einaudiana, navigando controcorrente, affrontando con serenità gli anni
difficili di un decollo su cui pesava l'anatema dell'irrazionalismo. Era figlio d'arte,
Luciano. Suo padre lavorava come correttore di bozze da Pomba, la futura Utet, e si
vantava d'aver corretto le bozze dei libri di Luigi Einaudi. La sera studiava lingue e
frequentava un piccolo cenacolo di amici letterati. Cominciò a tradurre romanzi per
l'appendice che si usava nei giornali di allora, e poiché non esistevano agenzie letterarie,
sull'esempio inglese decise di aprirne una. La chiamò Agenzia letteraria internazionale.
Era il 1898. Comperava diritti all'estero, traduceva personalmente la sera, rivendeva i
testi a una piccola catena di giornali. Nel 1918 decise di ampliare il lavoro dell'agenzia
vendendo i diritti di autori come Woodehouse e Huxley. Luciano cominciò a lavorare
con il padre nel 1933, l'anno in cui debuttarono la «Medusa» e i «gialli» Mondadori.
Il ragazzo Foà faceva pacchi e sbrigava faccende, ma si divertiva anche a fare lo
scout, a suggerire autori e titoli. Il colpo più vistoso lo mise a segno vendendo a
Mondadori Via col vento, che nessuno voleva perché troppo lungo. Risale a quegli anni
un incontro decisivo non solo per lui, ma per il decollo della migliore editoria italiana
del dopoguerra: quello con Roberto «Bobi» Bazlen. Era il 1937, Luciano voleva fare un
periodico che informasse i lettori sui libri stranieri, un po' come il Times Literary
Supplement. Amici comuni lo misero in contatto con Bazlen, allora consulente di
Frassinelli perché amico di Franco Antonicelli, e amico di Adriano Olivetti, per il quale
scriveva testi pubblicitari. Il progetto non partì (figurarsi se il fascismo avrebbe
permesso una cosa del genere, disse Bazlen realisticamente), ma i due divennero grandi
amici.
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Nel 1942 Olivetti e Bazlen volevano mettere in piedi una casa editrice (le future
Edizioni di Comunità) che, nella prospettiva non lontana di una caduta del fascismo,
ricuperasse gli storici ritardi della cultura italiana e rimuovesse l'ipoteca dell'idealismo.
Si parlava di tradurre Freud e la psicoanalisi, autori come Jarry, Daumal, Artaud,
Hofmannsthal. A Luciano fu proposto di organizzare la nuova casa. Gli fu presentato
Olivetti, e lui restò incantato dal suo entusiasmo e dal suo charme. Con i
bombardamenti del '42 la nuova casa fu portata da Milano e Ivrea, in un quartiere
popolare, di fronte alla fabbrica.
La vicinanza di Adriano fu importante, ricordava Foà. Accelerò la sua
maturazione politica e ideologica, lo avvicinò a Maritain e Mounier, gli fece vedere con
chiarezza l'astrattezza di certo antifascismo e la complessità del personaggio Olivetti,
agitato da spinte contrastanti: senso del potere e senso della giustizia, fede e razionalità,
idealismo e machiavellismo…
Al leggendario albergo Dora, covo degli olivettiani, arrivano nuovi personaggi,
tra cui Cesare Musatti; viene assunto il giovane Erich Linder per rivedere traduzioni.
Foà viene mandato in Svizzera a trovare Jung («un gigante dagli occhi azzurri,
ridanciano, simpaticissimo»), ma scopre che qualcuno lo ha preceduto: un redattore di
Einaudi che si chiama Cesare Pavese. A questo punto la storia della piccola casa si
incrocia con le vicende frenetiche del '43 e gli intrighi politici di Adriano, tra contatti in
Svizzera con agenti americani e trappole del controspionaggio italiano. Quando Foà
torna in Italia dopo la Liberazione, molti rapporti si sono interrotti, la ricucitura è
difficile.
All'Agenzia adesso c'è Erich Linder, che di lì a qualche anno la rileverà. Intanto
a Milano Foà conosce Pavese, tramite Bianca Garufi («Quei due si mettevano a parlare
tra loro di mito, fittamente, per ore. Non ci capivo niente»). E Pavese porta Foà in Via
Biancamano, come segretario generale. «Con Einaudi - ricordava Foà - con Bobbio,
Boringhieri, Ponchiroli, Lucentini, Calvino c'era un forte rapporto di vita comune anche
fuori dell'ufficio. Passeggiate, discussioni, case delle vacanze che ci scambiavamo».
Diceva di legare un po' meno con Vittorini, in cui gli pareva di avvertire un «fondo di
isterismo un po' femminile». Malgrado le difficoltà e la cronica penuria di soldi, furono
anni «assolutamente felici». Il ruolo del segretario generale nello Struzzo degli anni '50
è stato fondamentale, e attende ancora di essere studiato e valorizzato come merita.
Mimetizzato nel gruppo, Foà tirava le fila, suggeriva, organizzava. Tra i suoi molti
meriti, l'avere insistito per la pubblicazione del Diario di Anna Frank, e per la ripresa di
Se questo è un uomo di Primo Levi, già bocciato da Pavese nel 1947.
Foà tiene anche i contatti con il prezioso, mercuriale Bazlen, cui si deve tra
l'altro la proposta di Musil. Diceva che di Bazlen Einaudi aveva quasi paura: «Quando
lui arrivava a Torino, si rintanava nel suo studio. Lo considerava una specie di mago,
uno che sapeva leggere in fondo all'anima». Nel 1961 Foà torna a Milano. Per motivi
famigliari, per dissensi con Einaudi sulle strategie di lungo periodo, e per la ormai
leggendaria questione dell'edizione critica delle Opere di Nietzsche, da condurre sulle
30.000 pagine di manoscritti conservati a Weimar. Era una questione di costi ed energie,
e poi c'era il veto di Cantimori, che non voleva il filosofo accanto a Gramsci e
Salvemini. Proprio Nietzsche funge da innesco per la nuova impresa dell'Adelphi, con
cui concorrono anche Roberto Olivetti, figlio di Adriano, e Alberto Zevi.
Il progetto prevedeva una collana di classici assenti o mal tradotti, su quella che
poi è diventata la collana ammiraglia della casa, «Biblioteca», tipicamente bazleniana, e
su una serie di saggi. I primi titoli escono nel 1963: il Crusoe di Defoe, il primo tomo
delle novelle di Keller, le opere di Büchner, Fede e bellezza di Tommaseo. Anche se
arrivano i primi consistenti successi (Konrad Lorenz, l'autobiografia di Alce Nero)
bisogna attendere un decennio perché un progetto tanto rischioso e controcorrente
raggiunga il pareggio di bilancio. In ogni caso Foà non si sposta di un millimetro.
Intanto nel 1967 c'è stato un arrivo importante, il giovane studioso romano Roberto
Calasso, che il solito Bazlen gli aveva presentato nel 1962. Quella che diventerà una
fruttuosa diarchia sembra inverare l'intuizione profetica del marchio della casa, due
figure stilizzate dell'antica Cina, complementari e fraterne. Siamo ormai ad un passo dal
glamour che da allora accompagnerà la sigla Adelphi nel favore di lettori che si sentono
parte di un club alquanto esclusivo. Amico tenerissimo, nonno affettuoso, Foà non se ne
compiace più che tanto. Il momento più bello della sua giornata di lavoro è quando può
chiudersi in studio e controllare bozze, rivedere traduzioni. Perché ogni libro è come un
orologio, e alla perfezione non c'è mai fine. Ma nessuno come Luciano Foà, governatore
appartato e silenzioso di favolosi Orienti librari, c'è andato tanto vicino.
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