Dal laboratorio al letto del malato passando per le piste da sci
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Dal laboratorio al letto del malato passando per le piste da sci
VITA DI RICERCATORE Ematologia di punta Dal laboratorio al letto del malato passando per le piste da sci Nuovi farmaci intelligenti contro le leucemie linfoidi: con questo obiettivo il gruppo guidato da Robin Foà ha vinto uno dei finanziamenti speciali che AIRC ha istituito con i fondi del 5 per mille. Da una storia personale avventurosa è nata la sua passione per la ricerca a cura di FABIO TURONE ella vita, molto dipende dagli episodi”: se a dirlo è uno degli ematologi italiani più prolifici e apprezzati al mondo occorre credergli, anche perché gli episodi della sua vita sono degni di un romanzo epico, che prende l’avvio durante il fascismo – quando le leggi razziali spingono il padre, giovanissimo, a trasferirsi in Inghilterra – e passa attraverso un’incredibile sarabanda di incontri più o meno casuali con persone eccezionali, e una dose abbondante di eventi insoliti. Eventi che legano Torino e le piste da sci di Bardonecchia, New York e Roma, passando per Londra. Lì, nella capitale inglese martoriata negli anni Settanta dagli attentati terroristici dell’IRA, proprio un’autobomba ha contribuito indirettamente a determinare il destino di ricercatore e clinico di Robin (all’anagrafe Roberto) Foà (“Solo una volta mi sono presentato come Roberto, alle Olimpiadi di Torino del 2006” N “ racconta con l’ampio sorriso cordiale venato di umorismo. “Ma di questo magari parleremo dopo”). Una specialità molto tecnica Foà oggi è il direttore dell’Ematologia dell’Università “La Sapienza” di Roma, e dal suo spazioso ufficio al quarto piano, nella tranquilla viuzza alberata non lontano dalla caotica città universitaria, dirige con un approccio d’avanguardia e risultati eccellenti un’intensa attività in cui la ricerca scientifica e la cura dei malati sono intrecciate strettamente, in ogni esperienza quotidiana. “L’ematologia è da sempre una specializzazione molto scientifica, una disciplina in cui il legame tra corsia e laboratorio è molto stretto” spiega il sessantaduenne luminare, il cui leggero accento tradisce il lungo legame con Torino. “Il nostro obiettivo, che stiamo perseguendo grazie ai fondi che AIRC ha Dopo Torino e Londra ora lavora a Roma curando i pazienti e facendo ricerca raccolto con il 5 per mille e destinato al nostro progetto, consiste nel mettere a punto nuove terapie mirate per chi soffre di una neoplasia linfoide, cioè di un tumore delle cellule immunitarie che viaggiano nel sangue”. Oltre al centro diretto da Foà, il progetto coinvolge altre cinque istituzioni di ricerca del Centro-Nord (vedi box) e circa 75 tra ricercatori e medici, che in questo caso sono più che mai medici-ricercatori, capaci di applicare in tempo reale sui malati i frutti della ricerca condotta di concerto con il laboratorio: “Questo approccio innovativo parte OTTOBRE 2011 | FONDAMENTALE | 5 VITA DI RICERCATORE mano from the bench to the bedside, spiega Foà, che proprio alla dimestichezza con l’inglese deve uno degli incontri che hanno orientato casualmente il suo approdo all’ematologia, dopo la laurea in medicina con una tesi in pediatria. Una vocazione minata dallo sci “Sono nato in Inghilterra perché mio padre, con la proclamazione delle leggi razziali del 1938, quando aveva 19 anni, si trasferì prima a Parigi e poi in Inghilterra. Passò gli anni della guerra internato in quanto italiano, prima a Londra, poi all’isola di Man e infine nel Nordest, nel distretto dei laghi. Qui conobbe mia madre, che veniva da un paese non lontano da Newcastle chiamato Wallsend, proprio dove termina il Vallo di Adriano, e che faceva l’insegnante. Accadde in una festa, insolita per i tempi, in cui erano le donne a decidere con chi ballare: Ladies’ choice”. Scelse lui. Nel frattempo i suoi genitori e una zia erano precipitosamente partiti da Marsiglia, con destinazione New York: “A guerra ancora in corso, mio padre aveva comperato un biglietto e scritto ai genitori che per andarli a trovare avrebbe preso una certa nave, che per una serie di ca- In questo articolo: giovani ricercatori rientro dei cervelli nanotecnologie sualità non riuscì a prendere. Fu una fortuna, perché fu silurata e affondata da un sommergibile nazista” ricorda Foà. Malgrado (o meglio, grazie) a quei contrattempi arrivò sano e salvo alla fine della guerra, si sposò a Wallsend nel 1945 e la famiglia si riunì a Torino. Nel 1948 arriva il fiocco azzurro: “Mia madre volle che nascessi in Inghilterra, a Wallsend, dove poi sarei tornato per moltissimi anni a passare un mese con la famiglia ogni estate, ma sono cresciuto a Torino, dove mi sono poi laureato. Non so dire quando ho deciso di studiare medicina, perché in fondo ho sempre pensato che avrei fatto il medico”. Nei primi anni di università, la profonda passione per lo sci lo distrae un po’: “Nel 1969 sono diventato il primo maestro di sci cittadino, e per alcuni anni ho dato lezioni a Bardonecchia per gran parte della stagione invernale: anche nove ore sulle piste, senza una pausa”. Il rendimento negli studi ne risente, ma i genitori assecondano l’amore per la montagna, che gli porta anche un po’ di indipendenza economica, finché il caso non fa sì che ascolti senza vo- La vita è orientata dalle coincidenze e dagli eventi inaspettatti dallo studio delle caratteristiche genetiche delle cellule tumorali e assicura ricadute positive per la diagnosi ma anche per la prognosi e per la terapia. Inoltre oggi i tempi di applicazione delle conoscenze via via acquisite al bancone del laboratorio alla clinica e quindi ai pazienti sono enormemente abbreviati, quello che gli inglesi chia- “ UN LAVORO DI ÉQUIPE iagnosi, prognosi e terapia: il progetto diretto da Robin Foà che AIRC ha deciso di finanziare con i fondi del 5 per mille promette di portare sostanziali benefici in tutte e tre le fasi chiave della battaglia contro i tumori linfoidi. Si punta sull’analisi approfondita delle caratteristiche genetiche di queste neoplasie per arrivare a disegnare nuove terapie mirate, ovvero le più adatte a specifici sottogruppi di pazienti D ” che avranno i maggiori benefici da ciascuna delle opzioni terapeutiche disponibili. “Si sente parlare ancora di leucemia fulminante, ma l’espressione, che si riferisce ad una particolare forma di leucemia acuta, è impropria” spiega Foà. “Lo diviene se non è diagnosticata e curata per tempo; in generale oggi si ottiene oltre il 60 per cento di guarigioni, che salgono oltre all’80 per cento nei bambini”. A questo sforzo della durata prevista di cinque anni collaborano circa 75 persone, distribuite tra l’ematologia dell’Università di Roma e altre cinque istituzioni che lavorano insieme da diversi anni: l’Istituto superiore di Sanità (dove il gruppo è diretto da Filippo Belardelli), l’Università di Perugia (Brunangelo Falini), l’Università del Piemonte orientale A. Avogadro di Novara (Gianluca Gaidano), l’Università di Torino (Giorgio Inghirami) e l’Università di Bologna (Stefano Pileri). “Oltre ad avere una durata sufficiente a rendere possibile la messa a punto di innovazioni significative per diagnosi, prognosi Anche alla pediatria era arrivato attraverso un incontro con un amico di famiglia e vicino di casa: il professor Paolo Nicola, che insegnava proprio pediatria all’Università In alto Robin Foà di Torino e che al giocon lo staff. vane studente Foà A destra la moglie, chiese un giorno un Rita Guarini, favore, ovvero di fare biologa, che da accompagnatore e dirige i laboratori interprete a un famodi ricerca so oncologo londine- se, Gordon Hamilton-Fairley, che veniva in Italia per un congresso. “Quando lo riaccompagnai all’aeroporto alla fine del congresso, mi invitò cordialmente a contattarlo se avessi mai avuto bisogno di qualcosa” ricorda Foà. “L’occasione di rivederlo si presentò per caso qualche anno più tardi, al primo congresso internazionale di ematologia cui partecipai a Londra nell’estate del 1975. Lo vidi nella hall che parlava al telefono in una cabina, e mi avvicinai chiedendomi se si sarebbe ricordato di me, sapendo che soprattutto in Italia è molto diffuso l’atteggiamento superiore di chi magari si ricorda benissimo ma finge di non sapere chi sia quel giovane collega. Mi guardò e mi disse che si ricordava perfettamente di me e della mia Mini Morris grigia con la maniglia rotta, e mi ri- badì che se avessi voluto lavorare a Londra sarebbe stato volentieri disposto ad aiutarmi”. La fama di Hamilton-Fairley era tale da avergli meritato la proposta di diventare il medico personale della regina d’Inghilterra, che lui aveva declinato per continuare a lavorare nel servizio pubblico, all’ospedale St. Bartholomew, dirigendo la ricerca oncologica all’Institute of Cancer Research. Per Foà era un’occasione molto ghiotta. Ma il destino aveva in serbo un’altra sorpresa: “Nell’ottobre di quell’anno, aprendo il giornale a Torino lessi che, mentre passeggiava col cane per un parco di Londra, Hamilton-Fairley era rimasto ucciso da un’autobomba dell’IRA destinata a un parlamentare” ricorda. A Londra andò e terapia delle neoplasie linfoidi – su cui è prevista una verifica dei risultati dopo il primo triennio – questo bando innovativo di AIRC ha anche il grande merito di incentivare la formazione di figure pienamente competenti sia nell’ambito della gestione clinica dei malati sia in quello della ricerca di laboratorio, con un ruolo fondamentale che presso il nostro istituto è ricoperto in primo luogo da Sabina Chiaretti e Ilaria Del Giudice” spiega Foà. “È anche grazie a questo tipo di visione che la ricerca ematologica italiana figura oggi al secondo posto al mondo, dopo gli Stati Uniti, nella classifica delle pubblicazioni scientifiche”. Se oggi il Centro di ematologia dell’Università di Roma ottiene risultati così eccellenti è anche grazie a un grande successo ottenuto sul piano burocraticoamministrativo: “Siamo riusciti a convincere tutti che l’ematologia aveva bisogno di laboratori propri, specializzati, perché per funzionare al meglio richiedono una competenza impossibile da acquisire se ci si occupa di tutte le analisi richieste da una struttura ospedaliera” spiega con orgoglio Foà. “La struttura dispone di laboratori specialistici di emocromo e morfologia, di immunologia, citogenetica, biologia molecolare, colture cellulari, genomica e sequenziamento genico”. Oggi, grazie ai fondi AIRC, i laboratori della rete dispongono anche di nuove apparecchiature e tecnologie d’avanguardia, che già nel primo anno hanno fruttato due importanti pubblicazioni su riviste scientifiche di primissimo piano quali Nature, il New England Journal of Medicine e il Journal of Experimental Medicine. lerlo una conversazione in cui un professore parla di lui, e dubita che riesca a laurearsi: è il pungolo che lo spinge a recuperare il ritardo accumulato nei primi quattro anni, e a presentare la tesi in pediatria. Un mentore perduto e uno trovato Ai bambini si è affiancata la cura degli adulti VITA DI RICERCATORE “ DALLE ALPI ALLE PIRAMIDI ” el curriculum di Robin Foà figurano moltissimi riconoscimenti di prestigio, tra cui la carica di presidente della Società europea di ematologia (EHA) e di membro della Commissione nazionale ricerca sanitaria del Ministero della salute. È autore o coautore di oltre 400 pubblicazioni scientifiche, in inglese e italiano, e ha diretto numerose riviste specialistiche internazionali in ambito ematologico. Lo straordinario impegno scientifico non gli ha impedito di fare un’intensa attività sportiva – oltre allo sci ha giocato a calcio e a tennis – né di coltivare la passione i viaggi e la fotografia: dopo la prima mostra, a Milano, all’inizio degli anni Ottanta, ha continuato a raccogliere immagini in ogni parte del mondo, e nei prossimi mesi pubblicherà un volume fotografico sui deserti che ha visitato. N comunque, presso un altro eccellente ricercatore conosciuto a quel congresso, Daniel Catovsky, argentino trasferito a Londra, che lavorava all’Hammersmith Hospital, massimo centro di ricerca in ematologia. Stava quasi pen- 8 | FONDAMENTALE | OTTOBRE 2011 sando di stabilirsi definitivamente lì, quando nel corso di una visita a un amico con cui era stato in Kenya nel 1974 e che lavorava a Torino con il professor Felice Gavosto, durante le vacanze di Natale del 1978, si sentì offrire un possibile posto all’università: “Accettai volentieri anche perché Gavosto era uno dei pochi accademici italiani a fare ricerca di livello internazionale. Lì cominciai a occuparmi di studi di laboratorio e preclinici sull’interleuchina2 e sul suo ruolo nelle leucemie acute” racconta. “Poi, d’accordo con Gavosto, contattammo i migliori centri italiani per ampliare le nostre casistiche, e cominciammo a collaborare con Bologna e soprattutto con l’Ematologia di Roma, diretta da Franco Mandelli”. tico al centro oncologico Memorial Sloan-Kettering di New York, si trasferisce a Roma nel settembre del 1996, su invito di Franco Mandelli, dove diventa professore ordinario nel 1999. Nel frattempo la moglie si occupa dei laboratori specializzati che oggi dirige. Mentre la produzione scientifica di eccellenza del suo centro prosegue a pieno regime, le Olimpiadi di Torino offrono a Robin l’occasione di utilizzare il nome italianizzato con cui è stato iscritto all’anagrafe: “Fu in occasione del concerto con la prima esecuzione mondiale di un’opera di Antonio Vivaldi rimasta per secoli in un baule, intitolata L’Olimpiade” ricorda sorridendo. “Mi presentai come Roberto Foà suscitando profonda emozione tra i musicologi, perché quell’opera di Vivaldi – insieme a tante altre rimaste a lungo sconosciute – faceva parte di un fondo con 27 manoscritti autografi del compositore, acquistato da mio nonno Roberto e donato nel 1927 alla Biblioteca nazionale di Torino, il fondo FoàGiordano”. La scoperta di quei bauli con il loro contenuto inestimabile fu per molti versi casuale, e solo una serie di episodi ha permesso che quel tesoro fosse valorizzato al meglio. Anche nella ricerca scientifica, spesso, è così. Il suo nome su un fondo di manoscritti di Vivaldi Un passato musicale Nel capoluogo emiliano, il medico torinese conosce una biologa ematologa, Rita Guarini, ed è un altro incontro importante: con lei, divenuta presto sua moglie, comincia un sodalizio umano e professionale che dura da trent’anni. È con lei, e con i figli Stefano (che studia architettura come il nonno) e Alberto (che ha seguito il papà a medicina) che, dopo un anno sabba-