lo STaTo E i SUoi orgaNi: CorPo ElETToralE
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lo STaTo E i SUoi orgaNi: CorPo ElETToralE
1 Forma di governo ed elezioni Il conflitto di interessi Definizione L’espressione “conflitto di interessi” indica un contrasto (reale o potenziale) tra l’interesse di tutti i cittadini di uno Stato e l’interesse privato (personale o professionale) di persone che ricoprono una carica politica (per esempio, quella di ministro o di presidente del consiglio): l’avere interessi può compromettere l’imparzialità necessaria per far fronte alle proprie responsabilità. Il sorgere di un conflitto non è, da solo, una prova del fatto che sono stati compiuti atti scorretti: una cosa è trovarsi in un conflitto di interessi, un’altra è abusare del potere che si ha. Il conflitto di interessi, però, esiste anche se non ci sono abusi di potere: è indipendente dalla reale condotta di chi è coinvolto in esso, perché è sempre possibile che egli influenzi a proprio vantaggio i risultati di una decisione. C’è conflitto di interessi quando un uomo politico è anche proprietario di una impresa; in tal caso può sorgere un contrasto tra l’interesse di tutti i cittadini e l’interesse economico di questa persona, che può essere tentata di proporre leggi vantaggiose per sé, ma svantaggiose per la collettività, o di abrogare leggi che ledono gli interessi dell’azienda di cui è titolare, oppure anche di servirsi per i propri interessi di informazioni che ha grazie alla carica che ricopre. Benché la questione del conflitto di interessi sia oggetto di un vivace dibattito nella società contemporanea (inclusa quella italiana), essa si è posta fin dall’antichità: già il filosofo greco Platone (427-347 a.C.) affermava la necessità di separare il potere economico e quello politico: la loro concentrazione avrebbe messo in pericolo la libertà politica. SP pp ci aziowe b LO STATO E I SUOI ORGANI: CORPO ELETTORALE, PARLAMENTO, GOVERNO ro f ondis a 6 unità di apprendimento Norme sul conflitto di interessi: Stati Uniti ed Europa La democrazia deve avere leggi che regolino il conflitto di interessi riguardo ai governanti per poter garantire l’uguaglianza di tutti i cittadini; in caso contrario coloro che governano si troverebbero in una condizione privilegiata rispetto ai governati. Le forme di regolamentazione del conflitto sono diverse nei vari Paesi, e in alcuni (come quelli scandinavi) non c’è un’esplicita regolamentazione giuridica in proposito; essa è assente anche in Gran Bretagna, in cui spetta alla Camera dei Comuni stabilire e applicare regole (non scritte) sui conflitti di interessi. La mancanza di leggi specifiche dipende dalla convinzione che un’etica pubblica condivisa sia sufficiente per prevenire tali conflitti. Gli Stati Uniti hanno il sistema più compiuto di regolamentazione del conflitto di interessi, perché la selezione della classe politica non avviene attraverso i partiti, ma è collegata al potere economico. Nel 1978 fu emanato l’Ethics in Government Act (“Legge sull’etica degli affari di governo”), che impone la trasparenza delle operazioni patrimoniali di chi esercita funzioni di governo e l’astensione dalle decisioni relative a questioni che riguardino conflitti di interessi. Il controllo è esercitato da un’autorità (Office of Government Ethics) che garantisce l’assoluta imparzialità e nel caso di conflitto di interessi può adottare due misure. La più blanda è il blind trust (“fondo cieco”): chi ha un incarico governativo deve affidare la gestione del proprio patrimonio a un fiduciario, che non deve avere alcun rapporto con lui; l’uomo politico non conosce il destino dei propri beni e tornerà in loro possesso alla fine del suo mandato. Se questo rimedio è inefficace, l’autorità può adottare un provvedimento più severo (la divestiture, termine che significa “spoliazione”): 1 6 Lo Stato e i suoi organi: corpo elettorale, parlamento, governo obbliga il titolare del patrimonio che si trovi in conflitto di interessi a vendere i propri beni. In Spagna la Costituzione vieta ai membri del Governo l’esercizio di attività estranee al loro mandato parlamentare. Una legge approvata nel 1995 stabilisce l’incompatibilità tra gli incarichi di Governo e qualsiasi attività pubblica o privata. Le uniche attività private consentite, a condizione che non compromettano l’imparzialità nello svolgimento di incarichi politici, sono l’amministrazione del proprio patrimonio, la produzione artistica, letteraria e scientifica e la partecipazione a istituti culturali o di beneficenza senza fini di lucro. La Francia ha adottato una normativa tesa a prevenire la corruzione e a garantire la trasparenza dell’attività pubblica. Essa vieta ai membri del governo l’esercizio delle funzioni di presidente, consigliere di amministrazione, direttore generale di imprese pubbliche o sovvenzionate dallo Stato, di imprese immobiliari e di finanziarie che operano per conto o nell’interesse dello Stato, e vieta lo svolgimento di qualsiasi impiego pubblico e attività professionale; nei cinque anni successivi alla fine del mandato politico è vietata l’assunzione di incarichi in enti e società che rientrano nella sfera d’azione dell’attività pubblica svolta. In Austria la Costituzione pone limiti all’attività economica del Presidente del Consiglio, dei Ministri, dei Segretari di Stato federali e dei membri dei governi locali. In Germania una legge dichiara l’incompatibilità tra le cariche di cancelliere federale o ministro federale e l’esercizio di altri uffici remunerativi, professioni e funzioni dirigenziali nei consigli di amministrazione di imprese istituite a fini di lucro. Secondo la Costituzione svizzera i membri del Consiglio federale non possono svolgere altri impieghi e non possono esercitare alcuna professione. 2 Il parlamento Il terrorismo, minaccia della democrazia Definizione La parola “terrorismo” deriva da “terrore”, che indica il ricorso (fatto, per esempio, nei primi anni della Francia rivoluzionaria) alla violenza come mezzo di lotta politica. Il terrorismo è una minaccia per la democrazia; le fonti del pericolo possono essere esterne allo Stato (e allora si parla di terrorismo 2 Il conflitto di interessi in Italia Secondo l’art. 65 della costituzione italiana: «La legge determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’Ufficio di deputato o di senatore. Nessuno può appartenere contemporaneamente alle due Camere». Non viene fatto cenno agli incarichi di Governo; questa lacuna può essere spiegata dal fatto che, nel 1948 (anno in cui la Costituzione entrò in vigore), si dava per scontato che i membri del Governo fossero anche membri del Parlamento. In Italia il problema del conflitto di interessi nello svolgimento di funzioni di Governo si è posto quando, nel 1994, Silvio Berlusconi, titolare del gruppo televisivo Mediaset e di proprietà in vari settori (editoriale, assicurativo, edile ecc.) che potevano essere oggetto di legiferazione, ha fondato un nuovo partito politico – Forza Italia – e si è candidato come Presidente del Consiglio dei Ministri. Nel 2004 il Governo Berlusconi ha approvato una legge sulle Norme in materia di risoluzione dei conflitti di interessi, secondo cui la proprietà privata non è di per sé in conflitto con gli interessi pubblici; sorge un conflitto solo se il Governo approva atti che beneficiano il patrimonio dell’imprenditore che ricopre un incarico governativo (a meno che essi non riguardino tutti i cittadini o intere categorie economiche). In tal caso l’imprenditore deve nominare una o più persone di fiducia cui affidare la gestione della propria azienda per la durata dell’incarico. Il compito di esaminare gli atti dei titolari di cariche di Governo e segnalare al Parlamento eventuali conflitti di interesse spetta all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Authority Antitrust, istituita nel 1990), che non può imporre sanzioni, ma solo proporre al Parlamento le misure adeguate a porre rimedio alle conseguenze dei conflitti. internazionale) o interne a esso, come si può vedere analizzando alla recente storia italiana. Tra la fine degli anni Sessanta e la fine degli anni Settanta del secolo scorso, nel contesto di una grave crisi politica e culturale, si creò un clima di contestazioni e si diffuse l’attesa di un cambiamento che favorì la nascita di un terrorismo di sinistra (terrorismo rosso) e di un terrorismo di destra (terrorismo nero): fine del primo era realizzare con la violenza la trasformazione 6 Lo Stato e i suoi organi: corpo elettorale, parlamento, governo socialista dello Stato; il secondo mirava invece a instaurare uno Stato autoritario. Il terrorismo “rosso” e le Brigate Rosse I gruppi terroristici di estrema sinistra si formarono a partire dal 1969 allo scopo di produrre una rottura netta delle regole della democrazia; questa sarebbe stata la prima fase della rivoluzione comunista, che avrebbe poi coinvolto le masse popolari e condotto alla “dittatura del proletariato”. Il gruppo più importante fu quello delle Brigate Rosse (BR). Fondate nel 1970, esse si contraddistinguevano per l’attenzione alle regole della clandestinità. Avevano una struttura piramidale, la cui base era costituita dalle singole colonne, operanti nelle varie zone del paese, mentre al vertice erano il comitato esecutivo, che aveva il comando delle operazioni, e il Consiglio delle Brigate Rosse. Nella prima fase della loro attività (durata fino al 1974) le BR fecero propaganda armata per ottenere il consenso della classe operaia: agivano nelle grandi fabbriche, ma colpivano soprattutto i beni materiali per dimostrare la propria forza. Nella seconda fase (durata fino al 1978) passarono all’attacco allo Stato, ai suoi apparati giudiziari, alla polizia e ai partiti politici. Mutarono sia gli obiettivi sia le modalità della lotta: attraverso rapimenti, omicidi e attentati le nuove BR tentarono di porsi come contropotere rispetto all’autorità statale e di ottenere l’egemonia su tutti i gruppi eversivi di sinistra. L’evento cruciale di questa fase fu il sequestro, compiuto il 16 marzo 1978, del Presidente della Democrazia cristiana, Aldo Moro, artefice del “compromesso storico” (alleanza di governo tra cattolici e comunisti). Lo Stato e la Democrazia cristiana non accettarono la condizione posta dalle BR per liberare Moro – il rilascio di alcuni brigatisti incarcerati – e l’ostaggio fu ucciso. L’operazione riuscì sul piano militare, ma non produsse gli effetti politici voluti; risultò anzi controproducente. Ne conseguì una crisi che nei primi anni Ottanta portò allo scioglimento di tutti i gruppi armati; solo le BR mantennero una struttura e continuarono ad agire, ma le loro azioni furono sempre più isolate. Fallito il loro progetto politico, molti militanti si sono dissociati dal gruppo e hanno collaborato nelle inchieste giudiziarie, ottenendo anche una riduzione delle pene. Oggi il terrorismo rosso “storico” può considerarsi sconfitto, anche se di tanto in tanto individui che si richiamano a quell’esperienza tornano a colpire, come i responsabili degli omicidi di due consulenti del Ministero del Lavoro, Massimo D’Antona (ucciso nel 1999) e Marco Biagi (ucciso nel 2002) e del sovrintendente della polizia di Stato Emanuele Petri (che è stato assassinato nel 2003). Il terrorismo “nero” e la strategia della tensione Anche i gruppi eversivi di estrema destra (il più noto dei quali è Ordine Nuovo) miravano al sovvertimento del sistema democratico, ma allo scopo di instaurare un regime autoritario, fondato sui principi della dittatura fascista, con l’obiettivo di contrastare lo spostamento a sinistra che si stava verificando nella politica e nella società italiane tra il 1968 e il 1969. Il sovvertimento della democrazia fu perseguito soprattutto con la “strategia della tensione”, che consisteva nel compiere azioni – le stragi – tese a provocare il maggior numero possibile di vittime e a minare la governabilità del Paese, suscitando nei cittadini sfiducia nella democrazia e, dunque, il desiderio di un governo autoritario, capace di garantire ordine e sicurezza. Le stragi furono molte: in piazza Fontana a Milano (1969: 17 morti); in piazza della Loggia, a Brescia (1974: 8 morti); sul treno Italicus (1974: 12 morti); alla stazione di Bologna (1980: 85 morti); sul treno Napoli-Milano (1984: 16 morti). Il terrorismo nero ha trovato appoggio in alcuni apparati pubblici; si è creata una progressiva complicità tra apparati dello Stato e polizia, da un lato, e gruppi terroristici di estrema destra, dall’altro. Dalle indagini svolte sono emersi contatti tra uomini dei servizi segreti e responsabili delle stragi. È, questo, il fenomeno delle deviazioni dei servizi segreti: all’interno dello Stato sono state compiute dai servizi segreti numerose azioni di sviamento delle inchieste giudiziarie sugli attentati terroristici di destra. In seguito all’omicidio del giudice Mario Amato (1980), che ha dimostrato l’isolamento della Magistratura nella lotta contro il terrorismo nero, si è prodotto un cambiamento nell’impegno dello Stato e ci sono stati vari casi di pentimento e dissociazione anche dall’eversione di destra. Le leggi contro l’eversione: la repressione e il “pentitismo” Fino al 1979 la risposta della legge al terrorismo è consistita nell’introdurre nuovi reati (per esempio, quello di attentato e sequestro per scopi di terrorismo o eversione) e nell’aggravare le sanzioni inflitte ai terroristi catturati. Alla polizia sono stati attribuiti nuovi e più ampi poteri (per esempio, il fermo di persone sospette) e nel 1977 sono state istituite le carceri di massima sicurezza, destinate a custodire (tra gli altri) gli imputati di reati di terrorismo. Si è poi aperta una nuova fase nella risposta giudi3 6 Lo Stato e i suoi organi: corpo elettorale, parlamento, governo riduzioni di pena in questi casi, e nel 1987 quella a favore dei dissociati. L’efficacia delle nuove misure nella disarticolazione delle bande terroristiche ha superato le aspettative: grazie alla riduzione delle pene e all’anticipazione del termine finale nell’applicazione delle sanzioni molti terroristi hanno ripudiato l’esperienza precedente e hanno contribuito a far luce sulle attività terroristiche. ziaria, derivante dalla constatazione della crisi dei gruppi eversivi. Il fine delle nuove misure è stato quello di scardinarli dall’interno anziché combatterli dall’esterno, incoraggiando la collaborazione degli imputati con la Magistratura e con le forze dell’ordine. Il Parlamento ha approvato leggi che favoriscono i terroristi che collaborano con la giustizia: per esempio, nel 1982 la “legge sui pentiti”, che prevede rilevanti 3 Il Governo La coalizione di Governo Nei regimi parlamentari, il Governo si regge sull’appoggio del Parlamento, cioè dei partiti che dispongono della maggioranza. Poiché nel nostro sistema politico nessun partito raggiunge da solo la maggioranza, occorre che si formino coalizioni tra i partiti. I Governi repubblicani sono sempre stati Governi di coalizione. Per di più, occorre precisare che si tratta di coalizioni eterogenee, cioè tra partiti che spesso hanno interesse, più che a collaborare per un programma comune, a combattersi per migliorare le proprie posizioni, gli uni a danno degli altri. Ciò ostacola la formazione di indirizzi unitari e favorisce una mentalità secondo la quale la partecipazione al Governo di un partito è un semplice strumento per il proprio potere. Le conseguenze sono di tre tipi: la corruzione della vita politica, l’inefficienza e l’instabilità governativa. Il primo dato (la corruzione) è provato dai numerosi scandali che infiorano la nostra vita pubblica; il secondo (l’inefficienza) risulta all’evidenza, per esempio, dallo stato dell’amministrazione e dei servizi pubblici; il terzo (l’instabilità) è documentato dal fatto che la durata media dei nostri Governi è inferiore ai dodici mesi. Anche allo scopo di fronteggiare questi gravi difetti del sistema di governo del nostro paese, sono state proposte da tempo riforme costituzionali indirizzate a evitare gli eccessi dei Governi di coalizione, soprattutto attraverso l’introduzione di nuovi sistemi elettorali che valgano a impedire l’eccessiva frammenta- 4 zione dei partiti in Parlamento. Le riforme elettorali introdotte finora, però, hanno piuttosto aggravato che ridotto questi mali. Governo e indirizzo politico L’opinione corrente secondo cui Governo e potere esecutivo sono due concetti coincidenti deriva dalla teoria liberale della tripartizione dei poteri. Nell’Ottocento si sosteneva che il Governo dovesse limitarsi a mettere in pratica concretamente quanto disposto in generale dalla legge, allo scopo di assicurare l’ordine nei rapporti sociali. Questa concezione era coerente con le esigenze di quell’epoca. Allora, lo Stato doveva limitarsi a stabilire in generale i limiti delle attività dei singoli cittadini, lasciando loro il massimo di libertà. In campo economico, d’altra parte, le teorie liberiste richiedevano che lo Stato si astenesse da qualunque intervento. Al potere esecutivo spettava fare tutto e solo quel che era necessario a impedire la violazione della legge (garantire la sicurezza pubblica, assicurare i delinquenti alla giustizia ecc.). Oggi non più. Lo Stato contemporaneo non sta più a guardare, come se fosse un arbitro neutrale, ciò che avviene nella società ma è impegnato in prima persona a realizzare politiche proprie (sociali, economiche, ambientali ecc.). L’organo che imprime la direzione a queste attività e dà loro coerenza secondo un unico programma politico è il Governo, al quale spetta perciò l’indirizzo politico dello Stato.