La Relazione illustrativa

Transcript

La Relazione illustrativa
DECRETO LEGISLATIVO RECANTE MISURE PER LA REVISIONE DELLA
DISCIPLINA DEGLI INTERPELLI E DEL CONTENZIOSO TRIBUTARIO, IN
ATTUAZIONE DEGLI ARTICOLI 6, COMMA 6, E 10, COMMA 1, LETTERE A) E B),
DELLA LEGGE 11 MARZO 2014, N. 23.
RELAZIONE
Lo schema normativo recepisce la maggior parte delle condizioni e delle osservazioni
contenute nei pareri resi, in prima lettura, dalle competenti Commissioni parlamentari della Camera
dei Deputati e del Senato della Repubblica.
Sul testo sottoposto in seconda lettura alle Commissioni Parlamentari la V Commissione
bilancio, tesoro e programmazione della Camera dei Deputati e le Commissioni riunite II (giustizia)
e VI (finanze) della Camera dei Deputati hanno reso pareri favorevoli senza rappresentare
condizioni od osservazioni; la 5^ Commissione bilancio del Senato della Repubblica non ha reso il
parere; la 6^ Commissione finanze e tesoro del Senato della Repubblica ha reso un parere
favorevole con tre osservazioni.
Relativamente a tale ultimo parere si rappresenta quanto segue:
- è stata accolta l’osservazione di cui alla lettera a) in ordine alla applicabilità al processo
tributario oltre che del primo comma anche del terzo comma dell’articolo 96 c.p.c.
- non è stata accolta l’osservazione di cui alla lett. b) relativa alla modifica della
denominazione degli organi giurisdizionali in «Tribunale tributario» e «Corte d'appello tributaria»,
quale sollecitazione ad avviare la revisione della giurisdizione tributaria, anche nella prospettiva di
una sostanziale terzietà rispetto alle parti.
Al riguardo, infatti non può che ribadirsi quanto osservato all’esito del primo passaggio
parlamentare circa l’opportunità di riservare il cambiamento della denominazione delle
Commissioni tributarie ad una riforma più profonda della giurisdizione tributaria;
- è stata, inoltre, accolta la osservazione di cui alla lettera c) con la quale è stato chiesto di
elevare da tre a sei il numero delle preferenze esprimibili in sede di voto per la elezione dei
componenti del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria;
TITOLO I
Il presente decreto legislativo al Titolo I dà attuazione alle disposizioni contenute
nell’articolo 6, comma 6, della legge 11 marzo 2014, n. 23 (Delega per la realizzazione di un
sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita) che, nel contesto delle misure volte a
rafforzare la cooperazione tra amministrazione e contribuenti e nel quadro della costruzione di un
rapporto fondato sul dialogo e sulla reciproca collaborazione, ha posto al centro del dibattito la
necessità di provvedere ad una riforma dell’istituto dell’interpello, dettando importanti linee guida
per la sua razionalizzazione.
L’obiettivo è coerente col fenomeno di profonda trasformazione del ruolo e delle funzioni
della pubblica amministrazione, compresa quella fiscale, rispetto al quale la recente legge delega
vuole segnare un ulteriore significativo ed importante passo avanti, tenuto conto che - fin dalla
ormai datata legge 241 del 1990 – il legislatore è sempre più spesso intervenuto per sostituire al
modello tradizionale ed autoritativo dell’amministrazione “controllore” quello, più moderno ed
1
avanzato, di un’amministrazione collaborativa, propensa al dialogo coi cittadini ed incline a
supportarli nell’adempimento dei loro obblighi, non ultimi quelli tributari.
Questo processo di trasformazione della pubblica amministrazione ha portato negli anni ad
attribuire un ruolo centrale al correlato obiettivo di realizzazione della tax compliance che, nelle sue
molteplici estrinsecazioni, da sola può avviare un importante percorso di affermazione della cultura
della legalità, anche fiscale, ma che esige- per porsi come tale- di operare in un contesto credibile,
caratterizzato dalla semplicità del sistema normativo (e della sua applicazione) e dalla efficienza di
un’amministrazione che sia soprattutto espressione di “servizi”.
In questo contesto e con questa premessa, la legge delega ha dato voce, tra le diverse forme
di contatto tra contribuenti ed amministrazione, alle esigenze di potenziamento e modernizzazione
dell’istituto dell’interpello che, ancora nella fase embrionale della costituzione del rapporto fiscale,
è stato pensato dal legislatore come strumento di supporto al contribuente nella comprensione,
nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme di legge all’interno di un sistema giuridico non
di rado complesso, incerto, frutto di sovrapposizioni e stratificazioni che hanno reso e ancora
possono rendere estremamente difficile l’individuazione del corretto comportamento da tenere.
Fin dalle sua prime manifestazioni nel sistema giuridico, in seno alla legge 30 dicembre
1991, n. 413 prima ed all’articolo 37 bis, comma 8, del decreto del Presidente della repubblica 29
settembre 1973, n. 600 poi (come introdotto dal decreto legislativo 8 ottobre 1997, n. 358), anni
prima della sua generalizzazione ad opera dello Statuto dei diritti del contribuente, l’interpello ha
rappresentato lo strumento per conoscere il parere dell’amministrazione finanziaria sulla
interpretazione di norme di legge in relazione ai casi concreti e personali dei singoli contribuenti.
Un significativo percorso, culturale prima ancora che normativo, è stato compiuto nel corso di tutti
gli anni ‘90, ed ha portato l’istituto a diventare, per effetto del menzionato Statuto dei diritti del
contribuente, da strumento di contatto episodico, occasionale e limitato alle fattispecie per le quali
era espressamente contemplato, a strumento di portata generale di dialogo in una sede diversa e
prodromica rispetto a quella tradizionale di incontro col contribuente, ossia il procedimento di
accertamento. Lo Statuto ha, inoltre, compiuto un’ulteriore e significativa opera di valorizzazione
dell’istituto arricchendolo di garanzie “rafforzate”, sconosciute alle forme di interpello già note
all’ordinamento (quello antielusivo della legge 413 citata e quello disapplicativo di cui all’articolo
37 bis, comma 8, del DPR 600), prime tra tutte il silenzio assenso (a presidio della certezza dei
tempi di risposta) e la nullità degli atti impositivi e sanzionatori difformi dalla risposta
dell’amministrazione (a garanzia del vincolo imposto dalla medesima risposta alla
amministrazione).
Su questo fenomeno di generalizzazione dell’istituto, che riveste un ruolo essenziale nella
comprensione della centralità dell’interpello per come tracciato dallo Statuto, si è innestato un
fenomeno inverso, quello della proliferazione delle tipologie di interpello, nella misura in cui si
sono venuti a sovrapporre al modello “generale” delineato dallo Statuto, astrattamente applicabile
ad ogni norma dalla portata obiettivamente incerta, i modelli “particolari” creati dal legislatore per
finalità diverse – ad esempio latamente autorizzatorie o agevolative - ed in relazione a norme di
volta in volta specifiche.
Nel tempo, la ricchezza di modelli di riferimento (ciascuno inevitabilmente accompagnato
da proprie regole procedurali), unita agli indiscutibili, seppur differenziati, vantaggi collegati alla
eventualità di una risposta favorevole dell’amministrazione, sia nel contesto dell’interpello
“generale” che, a maggior ragione, in quello degli interpelli “particolari”, lungi dal rivelarsi un
valore, si è tradotta in un elemento di complicazione del sistema. È evidente, infatti, che l’esistenza
di tipologie di interpello diverse, caratterizzate tutte da finalità differenti, da un lato, e regole
applicative differenziate, dall’altro, hanno finito per generare un disorientamento da parte dei
contribuenti nella individuazione dello strumento da utilizzare.
Sempre nella ricostruzione della storia dell’interpello, un ruolo non secondario è venuta ad
assumere la creazione, da parte del legislatore, della categoria dei cosiddetti “interpelli obbligatori”
, intendendosi per tali tutti quelli in cui, ferma restando la natura della risposta, la legge
2
contemplava l’obbligatorietà della presentazione della relativa istanza ai fini dell’ottenimento di un
parere favorevole all’accesso ad un regime derogatorio (in talune ipotesi anche agevolativo) rispetto
a quello legale, normalmente applicabile. L’obbligo di presentazione dell’istanza, previsto dalla
normativa di riferimento, rispondeva, in particolare, all’esigenza di consentire all’Amministrazione
finanziaria un monitoraggio preventivo in merito a determinate situazioni (ad esempio, il possesso
di partecipazioni in società localizzate in Paesi cd. Black list o la realizzazione di operazioni di
aggregazione aziendale) considerate a priori dal legislatore potenzialmente elusive e meritevoli,
pertanto, di un’attenzione particolare.
Rispetto a queste ultime categorie di interpelli, negli anni, i contribuenti hanno avvertito
un’esigenza di tutela giurisdizionale immediata che non si era mai posta per le risposte alle istanze
di interpello ordinario, caratterizzate dalla indiscutibile natura di pareri e dalla inidoneità a creare
qualsivoglia vincolo comportamentale in capo al contribuente istante. Tale esigenza è sfociata in un
fenomeno, sempre più massiccio, di ricorso al giudice avverso presunti dinieghi di agevolazioni e/o
autorizzazioni, foriero, tuttavia, di non irrilevanti problemi sia sulle dinamiche ordinarie dei
successivi ed eventuali atti di accertamento sia sulle vicende processuali.
Da quanto descritto sono nate, in particolare, le esigenze di ripensamento dell’istituto in
chiave di razionalizzazione e modernizzazione con l’obiettivo, nel rispetto delle prerogative
intrinsecamente partecipative, di restituire all’interpello la funzione di strumento di dialogo
privilegiato e qualificato del contribuente con l’amministrazione.
Nel dettare le linee guida essenziali al legislatore delegato, l’articolo 6 della legge delega ne
ha individuate tre in particolare:
la tendenziale eliminazione delle forme di interpello “obbligatorio”, sopra
descritte, in quanto queste hanno finito per gravare i contribuenti di oneri maggiori rispetto
al correlato beneficio, in termini di monitoraggio preventivo, per l’amministrazione
finanziaria;
l’omogeneità, da intendersi riferita non tanto alle finalità che l’interpello può
assolvere quanto, soprattutto, alle esigenze di una eventuale tutela giurisdizionale ed alle
regole procedurali applicabili;
la maggiore tempestività nella redazione dei pareri quale elemento ulteriore e
diverso rispetto alla certezza dei tempi della risposta, che ha portato, da un lato, a attribuire
perentorietà a tutti i termini di risposta (anche quelli relativi ad istanze per le quali finora il
termine previsto dalla legge è meramente ordinatorio) e, dall’altro, ad attuare una
significativa riduzione dei tempi di lavorazione delle istanze, specialmente nelle ipotesi di
richiesta di documentazione integrativa.
Con riferimento al primo punto, nel quadro dell’attuazione dell’esigenza di generale
semplificazione del rapporto fisco-contribuente di cui è portatrice la legge delega, il legislatore ha
inteso segnare il passaggio da un sistema incentrato sulla necessità di una compiuta verifica
amministrativa ex ante di determinate fattispecie a uno basato sulla responsabilizzazione del
contribuente, al quale è tendenzialmente riconosciuta la possibilità di verificare in autonomia la
sussistenza delle condizioni previste dalle legge per l’accesso a specifici regimi fiscali, ovvero per
la disapplicazione di determinate disposizioni antielusive. Dell’interpello, in altre parole, è stata
ulteriormente valorizzata la natura di opportunità, rectius, di strumento di gestione del rischio
fiscale (come testimonia l’inserimento da parte della legge delega delle disposizioni in materia di
interpelli all’interno dell’articolo riguardante gli strumenti di gestione del rischio fiscale).
Il Titolo I si compone di 8 articoli ed è così strutturato:
l’articolo 1 contiene importanti modifiche all’articolo 11 dello Statuto dei
diritti del contribuente, finalizzate, da un lato, ad attribuire dignità di principio statutario al
diritto di interpello in relazione a tutte le tipologie, comprese quelle diverse dall’interpello
ordinario attualmente contemplato e, dall’altro, a rendere comuni le garanzie attualmente
previste;
3
gli articoli da 2 a 5, dedicati a tracciare le più importanti disposizioni
procedurali del nuovo interpello, disciplinano la legittimazione alla presentazione delle
istanze, il contenuto delle stesse, le regole dell’istruttoria e i casi di inammissibilità;
l’articolo 6 è specificamente dedicato al coordinamento con la successiva fase
amministrativa ed eventualmente con quella giurisdizionale;
l’articolo 7 contiene una serie di modifiche alle norme vigenti, resesi
necessarie per effetto delle novità introdotte dal decreto;
l’articolo 8 prevede un rinvio a provvedimenti dei Direttori delle Agenzie
fiscali per dettare eventuali ulteriori regole procedurali, prime tra tutte quelle concernenti
l’individuazione dell’ufficio competente ai fini della presentazione dell’istanza e ai fini della
risposta e le regole per la comunicazione di quest’ultima agli istanti.
Il nuovo diritto d’interpello nello Statuto dei diritti del contribuente (articolo 1)
L’articolo 1 del decreto modifica, fin dalla rubrica, l’articolo 11 dello Statuto dei diritti del
contribuente, titolato attualmente “Interpello del contribuente” e contenente, come premesso, solo la
disciplina dell’interpello “ordinario”.
Il nuovo articolo 11 dello Statuto, rubricato “diritto di interpello”, nell’elevare al rango dei
principi statutari il diritto di interpello del contribuente in quanto tale e nel riconoscere garanzie
comuni per tutti i tipi di istanze, con ciò innovando significativamente rispetto al panorama attuale,
riconosce ed anzi valorizza le peculiarità e l’autonomia delle diverse tipologie ad esso riconducibili,
individuandone, in particolare, le seguenti quattro:
l’interpello “ordinario” (articolo 11, comma 1, lettera a))
l’interpello “probatorio” (articolo 11, comma 1, lettera b))
l’interpello “anti abuso” (articolo 11, comma 1, lettera c))
l’interpello “disapplicativo” (articolo 11, comma 2) che resta, in omaggio alla
tendenziale eliminazione degli interpelli obbligatori, l’unica forma prevista
L’interpello “ordinario” si pone in linea di continuità con le vigenti disposizioni statutarie,
arricchendole però di un profilo nuovo, maggiormente incentrato sulla qualificazione normativa
della fattispecie concreta. In questo senso si può dire che con il nuovo interpello “ordinario”
l’obiettiva incertezza che legittima la proposizione di un’istanza di interpello viene declinata in due
modi, tra loro complementari.
Il primo in nulla differisce rispetto a quanto attualmente previsto dallo Statuto; la richiesta di
parere del contribuente, infatti, presuppone la sussistenza di obiettive condizioni di incertezza
sull’interpretazione delle disposizioni tributarie, in relazione alla loro applicazione a casi concreti e
personali (interpello ordinario “interpretativo”). Il legislatore, nella definizione contenuta nella
prima parte della lettera a), in altre parole, si limita a mutuare la formulazione contenuta
attualmente nell’articolo 11, confermando la struttura di interpello “generale”, attivabile in
relazione a qualsiasi disposizione di legge che si presenti obiettivamente incerta nella sua
applicazione alla fattispecie concreta e personale.
Il secondo, invece, dà rilievo più all’obiettiva incertezza sulla qualificazione della fattispecie
che all’interpretazione delle norme di legge invocate dal contribuente nel caso concreto (interpello
ordinario “qualificatorio”). Nella seconda parte della lettera a) in esame, infatti, si prevede, , la
facoltà del contribuente di chiedere un parere non tanto in relazione alla “applicazione delle
4
disposizioni” quanto in ordine alla “corretta qualificazione delle fattispecie” quando sussistano
obiettive condizioni di incertezza alla luce delle disposizioni tributarie applicabili alle medesime. A
differenza del primo caso, dunque, l’oggetto dell’interpello non è la norma, ma la qualificazione
della fattispecie. L’interpello in questione espressamente esclude le ipotesi già rientranti nell’ambito
applicativo (i) della nuova procedura di ruling internazionale prevista dall’articolo 1 del decreto
legislativo 14 settembre 2015, n. 147, recante misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle
imprese (d’ora in avanti “decreto internazionalizzazione” che ha di recente sostituito l’articolo 8 del
decreto legislativo 269 del 2003), (ii) e delle ipotesi costituenti “nuovo investimento”
nell’accezione prevista dall’articolo 2 del decreto internazionalizzazione, per le quali è possibile
attivare la procedura di interpello speciale “dedicata” ivi prevista. La facoltà di presentazione delle
istanze di interpello presuppone in ogni caso l’esistenza di un’obiettiva incertezza sulla
qualificazione delle fattispecie, con la conseguenza che quelle ricorrenti, se non caratterizzate da
elementi di peculiarità o, comunque, di complessità, non possono costituire oggetto dell’istanza.
Rientrano, in particolare, nell’ambito applicativo della nuova ipotesi tutte quelle fattispecie, purché
complesse, obiettivamente incerte - quali ad esempio la valutazione della sussistenza di un’azienda
o di una stabile organizzazione ai fini dell’esenzione degli utili e delle perdite delle stabili
organizzazioni di imprese residenti di cui al nuovo articolo 168 ter del TUIR o la riconducibilità di
una determinata spesa alla categoria delle spese di pubblicità ovvero a quelle di rappresentanza–
sempre che l’istanza sia finalizzata ad ottenere chiarimenti sull’applicazione di disposizioni
tributarie.
Resta fermo che l’interpello di cui alla lettera a), del comma 1, non può comunque avere ad
oggetto accertamenti di tipo tecnico. Non potrà quindi correttamente qualificarsi istanza di
interpello quella tesa ad ottenere accertamenti di fatto (ad esempio, le operazioni di classamento, di
calcolo della consistenza e l'estimo catastale ovvero l’accertamento della natura illecita di un
provento ai fini dell’applicazione della relativa disciplina) esperibili esclusivamente nelle sedi
proprie.
L’interpello “probatorio” costituisce una categoria molto ampia, nel cui contesto sono
riconducibili diverse tipologie di istanze già conosciute dall’ordinamento, e si sostanzia in una
richiesta all’amministrazione tesa a ottenere un parere sulla sussistenza delle condizioni o sulla
idoneità degli elementi probatori offerti dal contribuente ai fini dell’“adozione” di un determinato
regime fiscale. Stante l’ampiezza della formula utilizzata dal legislatore, che fa riferimento generale
ai “regimi fiscali” e l’effetto di generare una fisiologica “anticipazione” della valutazione che
ordinariamente l’amministrazione svolge in sede di accertamento - dove peraltro dispone di ogni
potere che consenta di riscontrare anche la correttezza ed esaustività degli elementi addotti - la
richiesta può essere inoltrata solo nei casi espressamente previsti- quelli, appunto, contenenti
l’esplicito richiamo all’interpello di cui alla lettera c) del comma 1 dell’articolo 11. In quest’ottica,
il riferimento all’accesso a un determinato regime fiscale va interpretato in senso ampio, come
comprensivo dei casi in cui si tratti della non operatività di determinate limitazioni o regole speciali.
In questa categoria sono ricomprese ipotesi molto eterogenee, tra cui:
- le istanze di interpello attualmente previste dall’articolo 11, comma 13, della legge
413 del 1991, tese a fornire, in relazione alle operazioni intercorse con imprese residenti o
localizzate in paesi cd “black list”, la dimostrazione delle condizioni esimenti previste
dall’articolo 110 del TUIR;
- le istanze di interpello cd. Controlled Foreign Companies (d’ora in avanti CFC) ai
sensi dell’articolo 167 del TUIR. tese a fornire la dimostrazione delle condizioni previste dal
comma 5 del medesimo articolo ;
- le istanze presentate ai sensi dell’articolo 113 del TUIR dagli enti creditizi che
scelgano di non applicare il regime proprio delle partecipazioni di cui all’articolo 87 TUIR a
quelle acquisite nell’ambito degli interventi finalizzati al recupero di crediti o derivanti dalla
conversione in azioni di nuova emissione dei crediti verso imprese in temporanea difficoltà
5
finanziaria, nel rispetto delle diposizioni di vigilanza per le banche emanate da parte di Banca
d’Italia;
- le istanze di interpello per la continuazione del consolidato, ai sensi dell’articolo 124
del TUIR, presentate in occasione della effettuazione di operazioni di riorganizzazione
generalmente interruttive del medesimo, tese a verificare che, anche dopo l’effettuazione di tali
operazioni, permangono tutti i requisiti previsti dalle disposizioni di cui agli articolo 117 e
seguenti ai fini dell’accesso al regime;
- le istanze di interpello per l’accesso al consolidato mondiale di cui all’articolo 132
del TUIR;
- le istanze presentate dalle società che presentano i requisiti per essere considerate
“non operative” ai sensi e per gli effetti della disciplina prevista dall’articolo 30 della legge 30
dicembre 1994, n. 724;
- le istanze previste ai fini del riconoscimento del beneficio ACE di cui all’articolo 1
del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con la legge 22 dicembre 2011, n. 214, in
presenza di operazioni potenzialmente suscettibile di comportare indebite duplicazioni di
benefici, ai sensi dell’articolo 10 del decreto ministeriale 14 marzo 2012.
L’interpello “anti abuso”- destinato ad assorbire le principali fattispecie ricomprese nel
capo di applicazione dell’interpello antielusivo di cui all’articolo 21 della legge 413 del 1991 costituisce il nuovo strumento, peraltro già previsto in seno al nuovo articolo 10 bis dello Statuto
che ha dato fondamento normativo alla controversa definizione di abuso del diritto, attraverso il
quale il contribuente può chiedere all’amministrazione se le operazioni che intende realizzare
costituiscano fattispecie di abuso del diritto. Il medesimo interpello - anche in considerazione del
comune fondamento - può essere attivato dal contribuente per conoscere il parere
dell’amministrazione in relazione alle ipotesi di interposizione, ai sensi del comma 3 dell’articolo
37 del DPR 600 del 1973.
Il successivo comma 2 contiene la disciplina dell’interpello cd. “disapplicativo”- già noto
perché previsto dall’articolo 37 bis, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973, n. 600 – il quale consente al contribuente di richiedere un parere in ordine alla
sussistenza delle condizioni che legittimano la disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo di
contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni
soggettive del soggetto passivo. Si tratta, indubbiamente, della categoria di istanze che ha creato
maggiore esigenza di coordinamento con la struttura generale del procedimento tributario in quanto
non solo preposta a presidiare tendenzialmente disposizioni di carattere antielusivo (ad esempio, la
disciplina del riporto delle perdite ai sensi dell’articolo 84 TUIR ovvero, a seguito di operazioni di
fusione, dell’articolo 172 del TUIR), ma coincidente - in linea di massima - con una delle principali
ipotesi di “interpelli obbligatori” nel senso prima illustrato. Proprio tale categoria di istanze ha
finito, nel tempo, per generare il dubbio sulla necessità di una tutela giurisdizionale immediata
avverso la risposta dell’amministrazione e, in virtù di questo retaggio, è stata oggetto di particolare
attenzione da parte del decreto delegato nella parte relativa al coordinamento con l’attività
contenziosa (articolo 6). In considerazione di ciò il legislatore, pur mutuando a fini definitori la
medesima formulazione letterale contenuta nell’articolo 37 bis, comma 8, del DPR 600 del 1973,
ha avvertito la necessità di precisare che la presentazione dell’istanza di interpello ovvero la
mancata presentazione non pregiudicano, in alcun caso, la possibilità per il contribuente di fornire la
dimostrazione della spettanza della disapplicazione anche nelle successive fasi dell’accertamento
amministrativo e del contenzioso. Nel caso di risposta negativa, è prevista, in particolare, la
possibilità della sua impugnazione “differita”, ossia unitamente al ricorso avverso l’atto di
accertamento.
Il comma 3 del nuovo articolo 11 disciplina i nuovi termini della risposta alle istanze di
interpello; la disposizione prevede, in particolare, una riduzione dei tempi di lavorazione degli
6
interpelli ordinari - che passano dagli attuali 120 a 90 giorni- ed un riconoscimento della certezza
dei tempi di risposta (fissati in 120 giorni) per tutte le altre tipologie.
Al riguardo giova ricordare che il comma 3, nella previsione dei tempi di lavorazione sopra
indicati, ha contribuito a dare attuazione all’esigenza di uniformità delle regole rispetto al passato;
basti pensare che nel contesto degli interpelli di cui alla lettera b)- per i quali vale il nuovo termine
unico di 120 giorni- sono ricomprese fattispecie estremamente eterogenee tra loro, oggetto, in
passato, di trattamenti estremamente differenziati anche nei tempi di lavorazione. Mentre, infatti,
per le istanze di interpello ex art. 113 del TUIR e per quelle CFC ex articolo 167 TUIR (così come
per le istanze di interpello nell’ambito della continuazione del consolidato nazionale e dell’accesso
al consolidato mondiale ai sensi, rispettivamente, degli articoli 124 e 132 del TUIR) valevano le
regole ed i tempi di lavorazione degli interpelli ordinari, per gli interpelli delle società non
operative, così come per le istanze di interpello relative al beneficio ACE ai sensi dell’articolo 1,
comma 6, del citato decreto legge 201 del 2011 (fissati ordinariamente in 90 giorni) non era prevista
la perentorietà dei tempi di risposta.
Il medesimo comma 3 prosegue prevedendo, a conferma di quanto già disposto dall’attuale
testo dell’articolo 11, che la risposta, scritta e motivata, vincola l’amministrazione finanziaria con
esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza e limitatamente al richiedente e stabilendo
la nullità di qualsiasi atto, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio, emesso in difformità della
risposta.
La nuova formulazione, nel confermare la vincolatività della risposta solo per
l’amministrazione, rispetto al passato, innova il testo identificando espressamente
l’amministrazione “in ogni suo organo”, compresi, pertanto, quelli ausiliari. Per effetto della nuova
disposizione dello Statuto, in altre parole, la presenza di una risposta favorevole preclude anche ai
verificatori della Guardia di finanza e dell’Agenzia delle entrate di formulare rilievi nel processo
verbale di constatazione emesso in esito ad accessi, ispezioni e verifiche, laddove le medesime
questioni siano state oggetto di un vaglio favorevole dell’amministrazione in sede di risposta
all’istanza, sempre che non siano emersi, nel corso dell’indagine, elementi che alterano il quadro
rappresentato dal contribuente in sede di presentazione dell’istanza di interpello.
Il comma 3, inoltre, conferma ed estende a tutte le tipologie di interpello la regola del
silenzio assenso, prevedendo che qualora la risposta non pervenga entro il termine previsto, si
“consolida” la soluzione prospettata dal contribuente, con l’effetto di determinare anche la nullità di
qualsiasi atto- a contenuto impositivo o sanzionatorio- difforme dalla soluzione su cui si è formato
il silenzio.
Infine, la disposizione prevede che l’efficacia della risposta si estende anche ai
comportamenti successivi del contribuente, purché riconducibili alla fattispecie oggetto di
interpello, salvo rettifica della soluzione interpretativa, applicabile ai comportamenti futuri. La
rettifica della risposta costituisce espressione di un potere immanente, riconducibile genericamente
al potere di autotutela, da esercitare in tutti i casi in cui, successivamente all’emanazione del parere,
l’amministrazione si rende conto di aver commesso un errore o, comunque, si rende opportuno
modificare la risposta fornita. La rettifica può tradursi tanto in una risposta favorevole al
contribuente quanto in una risposta sfavorevole. In tale ultimo caso restano ovviamente fermi gli
effetti già prodotti dalla risposta resa nei confronti del contribuente che vi si sia adeguato, con la
conseguenza che se il comportamento è stato già posto in essere nessun rilievo potrà essere mosso
al contribuente istante, né per quanto attiene al tributo, né per quanto concerne sanzioni ed interessi.
Il successivo comma 4, in considerazione della rilevanza che la definizione assume ai fini di
alcune tipologie di interpello, contiene un’importante precisazione in ordine alla sussistenza di
“obiettive condizioni di incertezza” richiamata dalla lettera a) del comma 1. Tale previsione, in
realtà, non è nuova, essendo già contenuta nel decreto ministeriale 26 aprile 2001, n. 209, emanato
ai sensi del comma 5 dell’articolo 11 dello Statuto; viene, tuttavia, generalizzata ad opera del
legislatore delegato e riportata nella sede della regolamentazione statutaria.
7
La nozione di “obiettive condizioni di incertezza” trova un importante precedente positivo
nella previsione dell’articolo 6 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 in tema di cause di
non punibilità e trova altresì riscontro nelle previsioni dell’articolo 10 del medesimo Statuto dei
diritti del contribuente quale causa di non applicazione delle sanzioni amministrative tributarie; la
sua elaborazione, tanto ad opera della dottrina, quanto ad opera della giurisprudenza, pertanto, è
ancora fortemente condizionata dal contesto sanzionatorio nel quale è nata e si è sviluppata,
nell’oscillazione tra teorie propense a non attribuire rilievo allo stato “soggettivo” del contribuente
(rilevando solo l’impossibilità oggettiva di comprensione della disposizione) e teorie propense a
valorizzare il riflesso dell’incertezza sulla colpevolezza del contribuente.
È evidente che il legislatore del nuovo articolo 11 dello Statuto, pur avvertendo l’esigenza di
offrire elementi ricostruttivi della “obiettiva incertezza”, è dovuto altresì sfuggire all’impasse
definitorio di una nozione nata ed elaborata in un contesto differente- quello sanzionatorio, appuntoe pertanto, anziché adottare un approccio positivo, ha preferito limitarsi a chiarire che non
sussistono obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito applicativo delle
disposizioni qualora l’amministrazione abbia compiutamente fornito la soluzione di fattispecie
corrispondenti a quella rappresentata dall’istante mediante atti (circolari, risoluzioni, istruzioni o
note) resi pubblici nelle forme previste dall’articolo 5 dello Statuto medesimo.
I commi 5 e 6, infine, riprendono, in parte, disposizioni già previste dall’attuale
formulazione dell’articolo 11. Mentre, infatti, il comma 5- nel disporre che la presentazione
dell’istanza di interpello non produce alcun effetto interruttivo o sospensivo sulle ordinarie
scadenze degli adempimenti - riprende anche letteralmente la previsione dell’attuale ultimo periodo
del comma 1 dell’articolo 11, il comma 6 detta una norma programmatica, finalizzata a dare
attuazione all’esigenza di trasparenza, nel rispetto del principio di certezza dell’ordinamento
giuridico. La nuova disposizione prevede che l’amministrazione provveda alla pubblicazione di
circolari o risoluzioni contenenti i pareri forniti alle istanze di interpello quando:
a) la medesima questione o questioni analoghe sono presentate da un numero elevato di
contribuenti;
b) quando sia stata fornita l’interpretazione di norme di recente approvazione o per le quali,
in goni caso, manchino indicazioni ufficiali della stessa amministrazione;
c) quando sulla questione oggetto dell’istanza l’amministrazione sia a conoscenza di
comportamenti non uniformi da parte degli uffici
d) più in generale, in ogni altro caso in cui l’amministrazione ritenga di interesse generale il
chiarimento fornito.
L’ulteriore novità introdotta dalla nuova formulazione del comma 6 si sostanzia
nell’introduzione di un inciso finale secondo cui, anche nei casi di pubblicazione della risposta sotto
forma di circolare o risoluzione, resta ferma “la comunicazione della risposta ai singoli istanti”. In
un’ottica di rafforzamento delle garanzie del contribuente, in altre parole, la facoltà di offrire
chiarimenti pubblici sull’interpretazione o applicazione di una determinata disposizione in relazione
a specifiche fattispecie non esime l’amministrazione dal provvedere alla ordinaria comunicazione
della risposta a ciascuno dei contribuenti istanti; ciò anche al fine di consentire che rispetto questi
ultimi, individualmente, si producano gli effetti propri della risposta all’interpello, secondo quanto
previsto dal comma 3 dello stesso articolo 11, e non quelli più generali, previsti dall’articolo 10,
comma 2, del medesimo Statuto scaturenti da “indicazioni contenute in atti dell’amministrazione
finanziaria”.
Disciplina comune degli interpelli (articoli da 2 a 5)
In attuazione del criterio direttivo della maggiore omogeneità della disciplina degli interpelli – che,
come già evidenziato, è da riferirsi anche all’omogeneità procedurale – vengono previste regole
comuni sui presupposti e i soggetti legittimati alla presentazione delle istanze (articolo 2), sul
contenuto delle medesime (articolo 3), sull’istruttoria (articolo 4) e sulle ipotesi di inammissibilità
(articolo 5).
8
Con riferimento ai soggetti, il comma 1 dell’articolo 2 chiarisce, recependo indicazioni consolidate
nella prassi, che sono legittimati alla presentazione delle istanze di interpello i contribuenti, anche
non residenti, i sostituti e i responsabili d’imposta. Per tutti, in ogni caso, resta fermo il requisito
della riferibilità dell’istanza a casi concreti e personali. Tale condizione, prevista espressamente
nell’alinea dell’articolo 11, comma 1, è espressione di un principio comune a tutta la disciplina
degli interpelli, secondo cui l'interpello deve essere finalizzato a conoscere il trattamento tributario
di atti, operazioni o iniziative riconducibili direttamente alla sfera di interessi del soggetto istante.
Con riferimento al requisito temporale, il comma 2 dell’articolo 2 richiede che le istanze siano in
ogni caso preventive, con ciò intendendosi che debbano essere presentate prima della scadenza dei
termini previsti dalla legge per la presentazione della dichiarazione o per l’assolvimento di altri
obblighi tributari aventi ad oggetto o, comunque, connessi alla fattispecie cui si riferisce l’istanza
medesima senza che, a tali fini assumano valenza i termini concessi all’amministrazione per rendere
la propria risposta. La previsione declina l’esigenza che l’interpello sia presentato prima che sia
data attuazione alla norma oggetto della richiesta di chiarimenti, in maniera differenziata secondo
che il comportamento trovi attuazione nella dichiarazione (come nel caso degli interpelli in materia
di imposte dirette o di IVA) o meno (come nel caso degli interpelli in materia di imposta di
registro, per i quali occorre far riferimento ad elementi diversi, quali, ad esempio, la presentazione
dell’atto per la registrazione). Per quanto riguarda i comportamenti che trovano attuazione nella
dichiarazione, il riferimento ai termini previsti dalla legge per la presentazione della stessa va
riferito al termine ordinario di presentazione.
Il requisito della preventività, come definito dall’articolo 2, comma 2, è richiesto, senza eccezioni,
per tutte le tipologie di istanze previste dall’articolo 11 dello Statuto. Ai sensi del successivo
articolo 5, comma 1, lettera b), la mancanza di preventività costituisce causa di inammissibilità
dell’istanza.
Il comma 1 dell’articolo 3 disciplina il contenuto delle istanze di interpello.
Il legislatore delegato chiarisce, in prima battuta, che le istanze, devono espressamente fare
riferimento alle disposizioni che disciplinano il diritto di interpello; ciò al fine di consentire
all’amministrazione finanziaria di individuare agevolmente le richieste ascrivibili al diritto
d’interpello differenziandole da altre (ad esempio dalle istanze di consulenza giuridica ovvero dalle
richieste che nell’ambito delle attività di assistenza e/o di consulenza, a seconda delle situazioni,
vengono in ogni caso soddisfatte ma non sono produttive degli effetti propri del diritto d’interpello).
L’istanza, inoltre, deve contenere una serie di elementi quali i dati identificativi dell’istante ed
eventualmente del suo legale rappresentante, comprensivi del codice fiscale; l’indicazione del tipo
di istanza secondo la classificazione prevista dalle lettere da a) a c) del comma 1 dell’articolo 11,
dello Statuto ovvero ai sensi del comma 2 della medesima disposizione; la circostanziata e specifica
descrizione della fattispecie; le specifiche disposizioni di cui si richiede l’interpretazione,
l’applicazione o la disapplicazione; l'esposizione, in modo chiaro ed univoco, della soluzione
proposta; l'indicazione del domicilio e dei recapiti anche telematici dell’istante o dell’eventuale
domiciliatario presso il quale devono essere effettuate le comunicazioni dell'amministrazione
finanziaria e deve essere comunicata la risposta; la sottoscrizione dell’istante o del suo legale
rappresentante, ovvero del procuratore generale o speciale incaricato ai sensi dell’articolo 63 del
D.P.R. 600/73 con la relativa procura.
Solo l’indicazione dei dati identificativi dell’istante (ed eventualmente del suo legale
rappresentante) e la circostanziata e specifica descrizione della fattispecie sono richiesti a pena di
inammissibilità (articolo 5, comma 1, lettera a)) e costituiscono dunque il contenuto minimo
necessario delle istanze.
Tutti gli altri requisiti previsti dal comma 1, invece, possono essere regolarizzati ai sensi del comma
3 del medesimo articolo 3. In un’ottica di semplificazione dei rapporti e di collaborazione col
contribuente, il legislatore delegato ha mutuato ed esteso agli altri requisiti dell’istanza diversi da
quelli minimi essenziali la regolarizzazione già prevista per il vizio di sottoscrizione dall’articolo 3
del decreto ministeriale 26 aprile 2001, n. 209, emanato ai sensi dell’attuale comma 5 dell’articolo
9
11 dello Statuto. La regolarizzazione dell’istanza deve essere effettuata entro trenta giorni dalla
ricezione dell'invito da parte dell'ufficio a integrare i dati che si assumono carenti. La richiesta di
regolarizzazione interrompe i termini per la risposta, che ricominciano a decorrere dal giorno in cui
le carenze sono state regolarizzate. La mancata regolarizzazione nei termini previsti costituisce
un’ipotesi di inammissibilità delle istanze ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lettera g).
Il comma 2 dell’articolo 3 richiede che all’istanza di interpello sia allegata copia della
documentazione, non in possesso dell'amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni
pubbliche indicate dall'istante, rilevante ai fini della risposta. Nei casi in cui la risposta
dell’amministrazione finanziaria presuppone l’espletamento di accertamenti di natura tecnica, non
di competenza dell’Agenzia delle entrate, alle istanze devono essere allegati altresì i pareri resi
dall’ufficio competente. Si tratta, a titolo di esempio, degli interpelli presentati per chiedere il parere
in ordine all’aliquota IVA applicabile a determinati beni, di cui si rende opportuno conoscere le
caratteristiche merceologiche e la classificazione secondo la nomenclatura doganale per i quali,
pertanto, è necessario il parere della competente Agenzia delle Dogane. L’onere di allegazione della
documentazione rilevante costituisce espressione del principio collaborativo che impronta la
disciplina dell’interpello e corrisponde all’interesse del contribuente a ottenere la risposta
dell’amministrazione in tempi rapidi. Poiché, inoltre, le risposte alle istanze di interpello sono rese
nel presupposto implicito della veridicità e completezza della documentazione fornita, il puntuale
adempimento dell’onere di allegazione risponde altresì all’interesse del contribuente alla validità
della risposta ottenuta.
L’articolo 4 disciplina le regole di istruttoria dell’interpello; il comma 1 prevede, infatti, che quando
non sia possibile fornire risposta sulla base dei documenti allegati, gli uffici finanziari chiedano
all’istante di integrare la documentazione. Attraverso la richiesta di integrazione documentale
l’amministrazione chiede che il contribuente fornisca ogni ulteriore elemento utile ai fini della
risposta. La richiesta può essere effettuata una sola volta e interrompe i termini per la formazione
del silenzio assenso, che ricominciano a decorrere solo dalla data di ricezione della predetta
documentazione. La previsione di un’istruttoria unica e di regole unitarie per le richieste di
supplemento istruttorio costituisce un ulteriore elemento a favore della omogeneità del sistema in
quanto la richiesta di integrazione documentale è attualmente disciplinata negli effetti sui tempi del
procedimento solo per le tipologie di interpello regolate dalla procedura prevista dall’articolo 11
dello Statuto.
A differenza della disciplina attuale, inoltre, in caso di richiesta di documentazione integrativa il
termine per la risposta è più breve del termine previsto in generale dall’articolo 11 dello Statuto ed è
pari a sessanta giorni per tutti gli interpelli di cui all’articolo 11 dello Statuto (60 giorni dalla
ricezione della documentazione integrativa). La riduzione dei termini previsti per la formazione del
silenzio assenso nei casi di richiesta di documentazione integrativa dà ulteriore e più compiuta
attuazione al principio di maggiore tempestività nella redazione dei pareri contenuto nell’articolo 6,
comma 6 della legge delega.
Coerentemente con le prescrizioni della legge delega in materia di tempestiva conclusione del
procedimento di interpello e, soprattutto, di certezza del rapporto tributario, viene previsto, inoltre,
che la mancata presentazione della documentazione richiesta ai sensi del comma 1 dell’articolo 4
entro il termine di (un) anno comporta rinuncia all’istanza di interpello. Resta ferma la facoltà di
presentazione di una nuova istanza, ove ricorrano i presupposti previsti dalla legge (inclusa la
preventività).
L’articolo 5 contiene la tipizzazione delle ipotesi di inammissibilità delle istanze di interpello, in
un’ottica non solo di maggiore omogeneità, ma anche di miglioramento del grado di certezza e
trasparenza della disciplina degli interpelli. Oltre alle ipotesi già ricordate di inammissibilità per
carenza dei requisiti essenziali di cui alle lettere a) e c) dell’articolo 3, comma 1 (lettera a), per
mancanza di preventività ai sensi dell’articolo 2, comma 2 (lettera b) e per mancata
10
regolarizzazione nei termini previsti dall’articolo 3, comma 3 (lettera g), l’inammissibilità è prevista
per i casi seguenti:
- mancanza delle condizioni di obiettiva incertezza di cui all’articolo 11, comma 4, dello
Statuto (lettera c). E’ evidente che questa ipotesi riguarda le sole istanze per le quali è
richiesto il presupposto delle condizioni di obiettiva incertezza e, cioè, quelle di cui alla
lettera a) dell’articolo 11, comma 1 dello Statuto (interpelli interpretativi e qualificatori);
- istanze reiterate o di mero riesame e, cioè, quelle che hanno a oggetto la medesima
questione sulla quale il contribuente ha già ottenuto un parere (lettera d). Non si considerano
istanze di mero riesame quelle in cui vengono indicati elementi di fatto o di diritto non
rappresentati precedentemente. Va da sé che si deve trattare di elementi utili, ovvero
potenzialmente rilevanti ai fini della risposta all’interpello;
-
istanze che vertono su materie oggetto delle procedure espressamente escluse dalla
disciplina comune degli interpelli contenuta nell’articolo 11 dello Statuto e, cioè, il ruling
internazionale e l’interpello sui nuovi investimenti; analoga esclusione vale, con riguardo a
qualsiasi tipologia di interpello, per i soggetti che accedono al regime dell’adempimento
collaborativo; nel cointesto di detto regime, infatti, è prevista una procedura di interpello
abbreviato che, in quanto speciale, assorbe le previsioni generali contenute nell’articolo 11
(lettera e).
Tale previsione è giustificata dalla peculiarità degli istituti richiamati. Mentre, infatti,
l’istituto di cui all’articolo 31-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 600, del
1973 (introdotto dal decreto legislativo internazionalizzazione) è il frutto di un vero e
proprio accordo con l’Amministrazione finanziaria, nel caso degli interpelli sui nuovi
investimenti (introdotto dall’articolo 2, del decreto legislativo internazionalizzazione) il
legislatore, nell’ottica di rafforzare il rapporto dell’Amministrazione finanziaria con i
potenziali investitori – anche esteri – ha inteso creare uno strumento di dialogo
tendenzialmente unico. L’istanza – che fa riferimento a fattispecie molto ben definite – può,
infatti, riguardare profili fiscali diversi del piano di investimento e richiedere valutazioni
che, secondo il modello generale dell’articolo 11 dello Statuto del contribuente, sono
oggetto di tipologie di interpello diverse (dai profili interpretativi a quelli anti elusivi). Non
va, inoltre, sottovalutata la circostanza che mentre ai fini della istruttoria delle istanze di
interpello su nuovi investimenti all’Amministrazione finanziaria è riconosciuta la facoltà di
effettuare, in presenza delle condizioni richieste, accessi presso la sede del contribuente,
questi poteri istruttori sono del tutto estranei alla struttura generale dell’interpello previsto
dallo Statuto del contribuente. Analoghe considerazioni valgono, infine, per l’esclusione
degli interpelli presentati dai contribuenti che accedono al nuovo regime dell’adempimento
collaborativo che, nel quadro di un ben definito rapporto che si sostanzia nella previsione di
diversi diritti e doveri delle parti, possono presentare istanze di interpello alle quali viene
data risposta in tempi ridotti rispetto alle regole generali;
-
istanze che interferiscono con l’esercizio dei poteri accertativi, perché vertenti su questioni
per le quali sono state già avviate attività di controllo alla data di presentazione dell’istanza
(lettera f). Comporta inammissibilità dell’istanza di interpello solo l’attività di controllo il
cui avvio, alla data di presentazione della stessa, sia stato già portato formalmente a
conoscenza del contribuente. Il riferimento alle “attività di controllo” va interpretato in
senso ampio e comprende anche l’avvenuta presentazione di istanze di rimborso o istanze di
annullamento, anche parziale, in autotutela, nonché le attività di accertamento tecnico di
competenza dell’amministrazione procedente (incluse, per l’Agenzia delle Entrate, le attività
propedeutiche all’attribuzione della rendita catastale).
11
Interpello e tutela giurisdizionale (articolo 6)
L’articolo 6, rubricato “Coordinamento con l’attività di accertamento e contenzioso”, è
dedicato a dare attuazione alla previsione del comma 6 dell’articolo 6 della legge delega nella parte
in cui individua come linea guida la “maggiore omogeneità, anche ai fini della tutela
giurisdizionale”.
Se infatti, come anticipato, l’esigenza di una tutela giurisdizionale immediata avverso le
risposte alle istanze di interpello era del tutto impensabile in relazione ai pareri resi in sede di
risposta alle istanze di interpello ordinario, caratterizzate dalla inidoneità a creare qualsivoglia
vincolo comportamentale in capo al contribuente, la peculiarità di alcune risposte - prima di tutto
quelle rese ai sensi dell’articolo 37 bis, comma 8, del DPR 600 del 1973 - specialmente sotto il
profilo degli effetti, ha generato un interessante e mai sopito dibattito che, proprio partendo dalla
natura giuridica delle risposte rese in questa sede, si è lungamente soffermato sulla possibilità e sui
limiti di una tutela giurisdizionale immediata.
Alla teoria che, pur nella necessaria valorizzazione delle differenze, anche letterali, tra le
varie tipologie di interpello, conclude per la natura di tutte le risposte quali meri atti di indirizzo ed
orientamento del comportamento dei destinatari, si contrapponevano, infatti, diverse tesi checiascuna con le proprie peculiarità - concludevano per l’assimilazione delle risposte in esame alle
cosiddette “verificazioni necessarie”, ossia ad una sorta di autorizzazione (da intendersi in senso
ovviamente atecnico) amministrativa.
In base a questa tesi, la disapplicazione richiamata dalla norma sarebbe, in particolare,
l’esito di un procedimento complesso caratterizzato dalla richiesta (istanza) del contribuente, da un
lato, e dalla verifica dei presupposti da parte dell’amministrazione, dall’altro; la possibilità di
disapplicare un certo regime, pertanto, non discenderebbe in via diretta dalla legge (che pur
definisce, di volta in volta, i presupposti in presenza dei quali la disapplicazione è possibile), bensì
dalla pronuncia dell’amministrazione che effettuerebbe un vero e proprio preliminare accertamento
della sussistenza delle condizioni previste.
È evidente che la sostanziale diversità delle due posizioni esemplificativamente illustrate
comportava effetti significativamente diversi sulle posizioni giuridiche dei contribuenti interessati;
mentre, seguendo la prima tesi, la risposta all’istanza di interpello nessun effetto avrebbe prodotto
in capo all’istante se non quello di rappresentare la manifestazione del tendenziale indirizzo
dell’amministrazione sulla fattispecie concreta; seguendo l’altra impostazione, il contribuente
sarebbe immediatamente leso nella sua sfera giuridica dalla risposta negativa in quanto l’effetto
disapplicativo non discenderebbe ex sé dalla sussistenza delle condizioni di legge, ma dal
preventivo “accertamento”, in sede di istruttoria dell’interpello, da parte dell’amministrazione.
Questa seconda impostazione, costituendo il presupposto per l’accesso ad una tutela giurisdizionale
diretta, poneva poi l’ulteriore e non irrilevante problema - collegato alla struttura tendenzialmente
impugnatoria del giudizio tributario ed alla altrettanto tendenziale tipicità degli atti impugnabili
tracciata dall’articolo 19 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 – di classificare la
risposta all’interpello, almeno funzionalmente, tra gli atti elencati dal citato articolo 19.
Il legislatore delegato si è fatto carico di offrire alcuni spunti utili per uscire dall’impasse
teorico che caratterizza le risposte all’interpello, e quelle all’interpello disapplicativo in particolare,
non solo - come già anticipato - inserendo in seno al comma 2 dell’articolo 11 dello Statuto la
previsione secondo cui “Resta ferma la possibilità per il contribuente di fornire la dimostrazione …
anche ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa” (con ciò, quindi, confermando
che non esistono preclusioni di alcun tipo rispetto alla dimostrazione da fornire all’amministrazione
anche in sede di accertamento e contenzioso), ma anche riconoscendo espressamente, al comma 1
dell’articolo 6, che le risposte alle istanze di interpello non sono mai impugnabili, salvo quelle rese
in relazione agli interpelli cd. disapplicativi per le quali, in sede di ricorso proposto avverso il
successivo ed eventuale atto impositivo, il contribuente può far valere eventuali doglianze riferibili
alla risposta resa dall’amministrazione.
12
Si tratta, come noto, del sistema della cosiddetta “tutela differita” che, partendo dalla
autonoma non impugnabilità dell’atto in sé, ne sposta tuttavia la tutela giurisdizionale in
corrispondenza del ricorso avverso un atto successivo, funzionalmente e causalmente collegato.
Va da sé che l’impugnazione differita, essendo configurata dal legislatore come facoltà e
non obbligo del contribuente, non comporta alcuna preclusione in ordine alla contestazione in
giudizio delle argomentazioni contenute nella risposta all’interpello (tendenzialmente confluite
nell’atto impositivo) anche in assenza di un’espressa impugnazione del parere in sede di ricorso
avverso l’atto.
Sempre in considerazione delle peculiarità delle risposte rese in sede di interpello
disapplicativo, che restano ormai l’unica categoria di interpelli obbligatori nel sistema, il comma 2
dell’articolo 6 riconosce ai contribuenti un’ulteriore ed importante tutela relativa alla fase
accertativa, costruita sul modello delle contestazioni delle operazioni abusive di cui al nuovo
articolo 10 bis dello Statuto. Il citato comma 2 prevede, infatti, che qualora sia stata fornita risposta
alle istanze di interpello disapplicativo - sempre che si tratti di una risposta di merito e, quindi, non
di una pronuncia procedurale di inammissibilità - l’indebita fruizione di deduzioni, detrazioni,
crediti d’imposta o altre posizioni soggettive del soggetto passivo deve essere contestata con atto
separato, senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice, preceduto, a pena di nullità, dalla
notifica di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni. Si tratta di
speciali regole procedimentali - le medesime, appunto, previste per l’abuso del diritto - destinate a
garantire un efficace confronto con l’amministrazione finanziaria (è previsto, infatti, che tra la data
di ricevimento dei chiarimenti o di inutile decorso del termine assegnato al contribuente a tal fine e
quella di decadenza dell’amministrazione dal potere di notificazione dell’atto impositivo non
intercorrano meno di sessanta giorni) e a salvaguardare il diritto alla difesa (è prevista, infatti, la
motivazione cd. “rafforzata” dell’eventuale atto impositivo che deve dar conto anche delle
deduzioni difensive fornite dal contribuente).
Il comma 3 dell’articolo 6, infine, a conferma della natura delle risposte quali meri pareri,
che peraltro non comportano mai preclusioni in ordine alla possibilità di fornire la dimostrazione
richiesta dalla legge ai più diversi fini anche nelle successive fasi di accertamento e contenzioso,
ribadisce che rispetto ai dati, alle notizie ed alle informazioni fornite dal contribuente ai fini delle
risposte ad interpello non trovano applicazione le disposizioni contenute nell’articolo 32, comma 4,
del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (che nelle linee generali
trova, a sua volta, corrispondenza nelle previsioni dell’articolo 52, comma 5, del decreto del
Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633) a mente dei quali notizie e dati non addotti,
informazioni e documenti non forniti non possono essere presi in considerazione a favore del
contribuente in sede amministrativa e contenziosa.
Disposizioni finali (articoli 7 e 8)
L’articolo 7 contiene le modifiche e le abrogazioni espresse necessarie al coordinamento tra la
revisione generale della disciplina degli interpelli illustrata nei punti precedenti e il contesto
normativo di riferimento, in attuazione dei principi e criteri direttivi contenuti nell’articolo 1,
comma 9 e 6, comma 6 della legge delega.
La revisione della disciplina degli interpelli prefigurata dal legislatore delegante presuppone, da un
lato, che vengano aggiornati i riferimenti normativi presenti nelle norme sostanziali vigenti e,
dall’altro lato, che venga resa effettiva l’eliminazione delle forme obbligatorie di interpello
intervenendo sulle disposizioni sostanziali in cui l’interpello figura quale condizione di accesso a
determinati regimi fiscali ovvero come presupposto per la disapplicazione di norme di sfavore.
Come per gli altri istituti prefigurati dall’articolo 6 della legge delega, tuttavia, la valorizzazione dei
profili collaborativi nel rapporto fisco-contribuente richiede uno sforzo in termini di maggiore
trasparenza, di cui è espressione la richiesta al contribuente di effettuare, in relazione a determinate
situazioni, una segnalazione all’amministrazione. La segnalazione, che consiste, in particolare, nella
separata indicazione di determinati componenti reddituali o elementi conoscitivi nella prima
13
dichiarazione utile, rappresenta, dunque, una nuova esigenza avvertita dal legislatore della delega
finalizzata a realizzare la disclosure del contribuente rispetto a situazioni e/o operazioni meritevoli
di un monitoraggio particolare.
Dette situazioni, in coerenza con i criteri di omogeneizzazione e semplificazione contenuti nella
legge delega ed analogamente alla disciplina contenuta nel decreto internazionalizzazione,
coincidono, in linea di massima, con i casi in cui il contribuente ritiene sussistenti le condizioni
previste per l’accesso a un determinato regime ovvero per la disapplicazione di una determinata
disposizione ma non ha presentato istanza di interpello, ovvero, pur avendolo presentato, ha
ricevuto una risposta negativa dalla quale intende discostarsi.
L’omessa effettuazione delle segnalazioni previste dall’articolo 7 non preclude al contribuente la
possibilità di dimostrare la sussistenza dei suddetti elementi ai fini dell’accertamento in sede
amministrativa e contenziosa della fattispecie; tuttavia, a presidio della effettività della
segnalazione, l’omissione, l’incompletezza e l’infedeltà dei dati comportano l’irrogazione della
sanzione prevista, in generale, dall’articolo 8 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 per
l’incompleta o inesatta indicazione nelle dichiarazioni fiscali di ogni elemento prescritto per il
compimento dei controlli.
Nell’adeguare le norme sostanziali al nuovo sistema di interpelli, l’articolo 7 raggruppa le norme in
base al tipo di procedura fino ad oggi seguita per le relative istanze.
Interventi sugli interpelli ordinari “spuri”
I commi da 1 a 4 intervengono sugli interpelli che attualmente sono presentati secondo la procedura
di cui all’articolo 11 dello Statuto (interpello ordinario), pur avendo finalità diverse da quelle che
normalmente caratterizzano l’interpello ordinario: queste istanze, per le ciascuna delle quali la legge
definisce in maniera puntuale tanto i presupposti in relazione ai quali le stesse possono essere
presentate, quanto gli elementi che devono essere indicati dal contribuente, sono tipicamente
finalizzate a verificare la sussistenza delle condizioni e l’idoneità degli elementi probatori richiesti
dalla legge per l’accesso a specifici regimi fiscali. Esse, pertanto, sono state tutte ricondotte
all’interpello “probatorio” previsto dalla lettera b) del nuovo comma 1 dell’articolo 11 dello Statuto.
In attuazione dei principi richiamati, il comma 1 interviene sull’articolo 113 del TUIR, contenente
la disciplina delle partecipazioni acquisite per il recupero dei crediti bancari. La norma consente
agli enti creditizi di chiedere all'Agenzia delle entrate, secondo la procedura per la presentazione
degli interpelli ordinari, che il regime di participation exemption di cui all'articolo 87 del TUIR non
si applichi alle partecipazioni acquisite nell'ambito degli interventi finalizzati al recupero di crediti o
derivanti dalla conversione in azioni di nuova emissione dei crediti verso imprese in temporanea
difficoltà finanziaria. La riscrittura operata chiarisce che gli enti creditizi possono optare per la non
applicazione del regime della participation exemption ogniqualvolta ricorrano le condizioni previste
dalla legge, che non devono essere preventivamente verificate dall’Agenzia delle Entrate. Il
contribuente che desideri acquisire preventivamente il parere dell’Agenzia sulla sussistenza delle
menzionate condizioni può, tuttavia, presentare istanza di interpello ai sensi dell’articolo 11, comma
1, lettera b) dello Statuto. L’ente creditizio che non intende applicare il regime di cui all’articolo 87
ma non ha presentato l’istanza di interpello prevista dal comma 5, ovvero, avendola presentata, non
ha ricevuto risposta positiva deve segnalare nella dichiarazione del redditi gli elementi conoscitivi
essenziali da individuare con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate.
Il comma 2 interviene sulla continuazione del consolidato nazionale in presenza di determinate
operazioni straordinarie, modificando l’articolo 124, comma 5 del TUIR. La disposizione chiarisce
che in caso di fusione della società o ente controllante con società o enti non inclusi nel consolidato,
il consolidato può continuare ove la società o ente controllante sia in grado di dimostrare, anche
dopo l’effettuazione di tali operazioni, la permanenza di tutti i requisiti previsti dalle disposizioni di
cui agli articolo 117 e seguenti ai fini dell’accesso al regime. Ai fini della continuazione del
consolidato, la società o ente controllante può comunque interpellare l’amministrazione finanziaria
ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera b) dello Statuto. L’intervento è completato
14
dall’introduzione, nell’articolo 124, di un nuovo comma 5-bis che richiede alla società o ente
controllante che intende continuare ad avvalersi della tassazione di gruppo ma non ha presentato
l’istanza di interpello prevista dal comma 5 ovvero, avendola presentata, non ha ricevuto risposta
positiva, la segnalazione di detta circostanza nella dichiarazione dei redditi. La modifica
dell’articolo 124, comma 5, del TUIR incide necessariamente sull’interpretazione da dare alle
previsioni contenute nell’articolo 13, comma 2, del D.M. 9 giugno 2004, attuativo della disciplina
del consolidato nazionale: anche nei casi rientranti nel campo di applicazione di tale ultima
disposizione (ad esempio, scissione totale della consolidante), pertanto, il consolidato potrà
continuare ove la società o ente controllante sia in grado di dimostrare la permanenza di tutti i
requisiti previsti dalle disposizioni di cui agli articolo 117 e seguenti ai fini dell’accesso al regime,
ferma restando la possibilità, per il contribuente di interpellare l’amministrazione finanziaria ai
sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera b) dello Statuto e salva, in ogni caso, l’effettuazione della
segnalazione in dichiarazione nei casi di mancato interpello o di risposta negativa.
Il comma 3 modifica l’articolo 132 del TUIR, eliminando l’obbligo di interpello preventivo dalle
condizioni previste per l’accesso al regime del consolidato mondiale previsto dagli articoli 130 ss.
Al contribuente viene comunque riconosciuta la facoltà di interpellare l’amministrazione finanziaria
ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera b) dello Statuto al fine di verificare la sussistenza dei
requisiti per il valido esercizio dell’opzione. Di conseguenza, viene abrogata la lettera d-bis) del
comma 2, slegando così la comunicazione dell’avvenuto esercizio dell’opzione dalla risposta
all’interpello e riconducendola alla regola prevista per il consolidato nazionale dall’articolo 5 del
D.M. 9 giugno 2004, applicabile in virtù del combinato disposto articoli 142, comma 1, del TUIR e
9, comma 7 del decreto legislativo 18 novembre 2005, n. 247. Anche per il consolidato mondiale,
pertanto, l’avvenuto esercizio dell’opzione dovrà essere comunicato all’Agenzia delle entrate con la
dichiarazione presentata nel periodo d’imposta a decorrere dal quale si intende esercitare l’opzione.
Il comma 4 apporta una modifica di mero coordinamento all’articolo 8, comma 1, lettera b) del
decreto internazionalizzazione, che inserisce nell’articolo 167 del TUIR un rinvio all’interpello
previsto dall’articolo 21 della legge 413 del 1991. Tale ultima disposizione, tuttavia, è abrogata dal
comma 6 dell’articolo in esame. Viene dunque previsto che l’istanza di interpello facoltativo per la
disapplicazione della disciplina CFC va presentata ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera b)
dello Statuto. In virtù dei rinvii contenuti negli articoli 47, comma 4, 68, comma 4, 87, comma 1,
lettera c) 89, comma 3 del TUIR e 27 comma 4, del D.P.R. 600/1973, anche le relative istanze
saranno presentate ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera b) dello Statuto.
Interventi sugli interpelli “antielusivi”
Il secondo gruppo di modifiche riguarda le fattispecie che oggi rinviano alla procedura di interpello
prevista dall’articolo 21 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (c.d. “interpello antielusivo”).
All’interno di questa categoria si rinvengono interpelli funzionalmente diversi, le cui istanze sono
state ricondotte alla tipologia più vicina alla loro natura.
La presentazione dell’interpello secondo le modalità di cui al citato articolo 21 si applica, in virtù
del richiamo contenuto nell’articolo 11, comma 13, della medesima legge n. 413 del 1991, alle
istanze concernenti l’applicazione dell’articolo 110, commi 10 e 12, del TUIR e, dunque, la
deducibilità dei componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra l’istante e le imprese
residenti o localizzate in Stati o territori black list. In base al comma 11 del medesimo articolo 110,
le limitazioni alla deduzione dei componenti negativi non si applicano qualora il contribuente
fornisca la prova della sussistenza delle condizioni esimenti previste dalla legge. Il comma 5
aggiunge un periodo al comma 11 dell’articolo 110 del TUIR per chiarire che la prova richiesta può
essere fornita anche mediante interpello, che avendo chiara natura probatoria, va presentato ai sensi
dell’articolo 11, comma 1, lettera b) dello Statuto.
Il comma 6 abroga l’articolo 11, comma 13 e l’articolo 21 della legge 30 dicembre 1991, n. 413,
contenenti la speciale disciplina dell’interpello c.d. “antielusivo”, da ritenersi assorbita nella
generale revisione della disciplina degli interpelli operata dall’articolo 1 del decreto in esame.
L’abrogazione, effettuata in conformità della previsione di cui all’articolo 1, comma 9, della legge
15
delega, dà attuazione al criterio direttivo di maggiore omogeneità della disciplina degli interpelli
previsto dall’articolo 6, comma 6, della legge delega.
Le modifiche di cui ai commi 7 e 8 riguardano le altre ipotesi di interpello “antielusivo” ancora
previste dall’ordinamento e, cioè, gli interpelli relativi all’applicazione dell’articolo 37, comma 3,
del D.P.R. 600/1973 (interposizione fittizia) e dell’articolo 108 del TUIR (classificazione di
determinate spese, sostenute dal contribuente, tra quelle di pubblicità e di propaganda ovvero tra
quelle di rappresentanza).
I primi non appaiono più assimilabili all’interpello oggi qualificato “antiabuso” previsto dalla
lettera c) del nuovo articolo 11, comma 1, dello Statuto, tenuto conto tanto delle previsioni del
citato comma 3 dell’articolo 37 tanto delle nuove disposizioni dell’articolo 10 bis dello Statuto.
L’imputazione dei redditi di cui il contribuente risulti effettivo possessore per interposta
persona, infatti, non implica alcun sindacato sull’esistenza di valide ragioni economiche – oggi
sostanza economica – della fattispecie né in sede di istruttoria dell’interpello né in sede di
accertamento, o sull’aggiramento di divieti ed obblighi – oggi indebiti vantaggi fiscali - così
che la collocazione nel contesto dei nuovi interpelli antiabuso non appare ragionevole. Detti
interpelli appaiono, invece più agevolmente collocabili nel contesto dell’interpello ordinario di
cui alla lettera a). Di conseguenza, il comma 7 inserisce un rinvio a tale interpello nell’articolo
37 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.
I secondi, invece, hanno carattere più strettamente qualificatorio e sono riconducibili all’interpello
previsto dalla lettera a) del comma 1 del nuovo articolo 11 dello Statuto. Di conseguenza, il comma
7 inserisce un rinvio a tale interpello nell’articolo 108 del TUIR.
Nessuno degli interpelli oggi riconducibili alla categoria degli antielusivi è previsto come
obbligatorio. Il comma 11 dell’articolo 110 del TUIR già prevede un obbligo di disclosure
relativamente ai componenti negativi derivanti da operazioni con Paesi black list.
Interventi sugli interpelli “disapplicativi”
Il terzo gruppo di modifiche riguarda le fattispecie che oggi rinviano alla procedura di interpello
prevista dall’articolo 37-bis, comma 8, del D.P.R. 600/1973 e dal relativo decreto attuativo (DM 19
giugno 1998, n. 259). Sebbene questa tipologia di interpelli nasca con lo scopo precipuo di
disapplicare disposizioni antielusive specifiche, e sia dunque tendenzialmente riconducibile alla
previsione di cui al comma 2 del nuovo articolo 11 del TUIR, nel corso degli anni sono state
ricondotte a questa procedura interpelli sostanzialmente probatori (interpelli delle società di comodo
e in materia di aiuto alla crescita economica), per i quali, quindi, è stato previsto l’inquadramento
all’interno della lettera b) del menzionato comma 1.
Tutti gli interpelli che oggi sono gestiti secondo la procedura prevista dall’articolo 37-bis, comma 8,
del D.P.R. 600/1973 e dal relativo decreto attuativo sono considerati obbligatori. Per quelli
ricondotti alla categoria degli interpelli probatori, dunque, l’eliminazione della verifica
amministrativa ex ante della fattispecie comporta la responsabilizzazione, in chiave collaborativa,
del contribuente, attraverso un onere di disclosure. Al contribuente, peraltro, è rimessa la scelta in
ordine allo strumento, tra interpello e dichiarazione, a lui più conveniente per l’effettuazione della
prevista disclosure.
Oltre a questo, la previsione di importanti peculiarità nell’accertamento in sede amministrativa e
giurisdizionale delle fattispecie riconducibili alla previsione del comma 2 del nuovo articolo 11
dello Statuto ha consigliato l’inserimento di un espresso richiamo all’interpello citato nelle
disposizioni sostanziali.
Le modifiche descritte sono state inserite, in primo luogo, negli articoli del TUIR che limitano il
riporto delle perdite in conseguenza dell’effettuazione di operazioni straordinarie e, segnatamente,
nell’articolo 84 (comma 9), nell’articolo 172 (comma 10). In tutti questi casi, è stato previsto che, al
16
fine di disapplicare le disposizioni che limitano il riporto delle perdine, il contribuente interpella
l’amministrazione finanziaria ai sensi dell’articolo 11, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212.
Previsioni di analogo tenore sono state inserite, inoltre, nell’articolo 109 del TUIR (comma 11), al
fine di consentire la disapplicazione delle disposizioni in materia di dividend washing anche in sede
di interpello presentato ai sensi dell’articolo 11, comma 2 dello Statuto.
Come evidenziato, gli interpelli delle società di comodo, attualmente ricondotti nell’alveo degli
interpelli disapplicativi, presentano caratteristiche che li rendono più correttamente assimilabili agli
interpelli probatori di cui alla lettera b) del nuovo articolo 11, comma 1, dello Statuto. Per le società
e gli enti non operativi ai sensi dell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1994, n. 724, infatti,
l’accesso al regime ordinario di tassazione è subordinato alla dimostrazione non già della assenza di
effetti elusivi non altrimenti specificati dalla legge (come richiesto dal comma 2 del nuovo articolo
11, dello Statuto, che riprende sul punto la formulazione dell’articolo 1, comma 3, del decreto
legislativo certezza), ma alla sussistenza delle situazioni oggettive che, ai sensi del comma 4-bis del
citato articolo 30, hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze
e dei proventi, nonché del reddito determinati presuntivamente ai sensi del medesimo articolo,
ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore
aggiunto di cui al comma 4. Per queste ragioni, il comma 12 interviene sulla disciplina delle società
di comodo inserendo un rinvio espresso all’interpello presentato ai sensi dell’articolo 11, comma 1,
lettera b) dello Statuto. Viene, inoltre, chiarito che la presentazione della relativa istanza non
costituisce un onere per il contribuente che non ritiene di dover applicare la disciplina in esame ma
è in ogni caso facoltativa; tuttavia, il contribuente che ritiene sussistenti le condizioni di cui al
comma 4-bis ma non ha presentato l’istanza di interpello prevista dal medesimo comma ovvero,
avendola presentata, non ha ricevuto risposta positiva deve darne separata indicazione nella
dichiarazione dei redditi.
Per quanto riguarda il regime di aiuto alla crescita economica (ACE) di cui all’articolo 1 del decreto
legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con la legge 22 dicembre 2011, n. 214, il comma 13
integra il comma 8 del medesimo articolo 1 chiarendo che il contribuente ha facoltà di interpellare
l’amministrazione finanziaria ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera b) dello Statuto al fine di
dimostrare che le operazioni effettuate non comportano duplicazioni del beneficio di cui al presente
articolo. Le operazioni richiamate sono quelle che comportano le limitazioni all’operatività del
regime previste dalle disposizioni antielusive contenute nel decreto 14 marzo 2012. Come negli altri
casi di interpelli probatori, la prova dell’assenza di duplicazioni del beneficio può essere fornita sia
in sede di interpello, sia successivamente. Il contribuente che ha effettuato le richiamate operazioni
e intende fruire pienamente del beneficio ACE ma non ha presentato l’istanza di interpello prevista
ovvero, avendola presentata, non ha ricevuto risposta positiva deve separatamente indicare nella
dichiarazione dei redditi gli elementi conoscitivi da individuarsi con provvedimento del Direttore
dell’Agenzia delle entrate.
Altri interventi di coordinamento
Gli interventi di cui ai commi 14 - 16, infine, sono volti a coordinare la nuova disciplina
dell’interpello con le previsioni dei recenti decreti legislativi n. 128 del 2015 (certezza del diritto) e
nel decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 (internazionalizzazione), anch’essi emanati in
attuazione della legge delega.
In particolare, il comma 14 armonizza la formulazione dell’articolo 1, comma 3, del decreto
legislativo n. 128, del 2015 (certezza del diritto), che prevede la disapplicazione delle disposizioni
antielusive specifiche, con quella del comma 2 dell’articolo 11, comma 1, dello Statuto, dove si
17
introduce il relativo interpello disapplicativo. In entrambe le disposizioni risulta così esplicitata la
possibilità riconosciuta al contribuente di fornire la dimostrazione in ordine alla disapplicazione
delle disposizioni antielusive specifiche, non solo in sede di interpello preventivo, ma anche ai fini
dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa.
Il comma 15 sostituisce il comma 5 del nuovo articolo 10-bis dello Statuto, prevedendo che
l’interpello finalizzato a conoscere se le operazioni effettuate costituiscono fattispecie di abuso del
diritto è presentato ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera d) c) del medesimo Statuto.
Il comma 16, infine, integra l’articolo 14, comma 4, del decreto internazionalizzazione, per chiarire
che l’istanza per interpellare l’Agenzia delle entrate in merito all’esistenza di una stabile
organizzazione estera del contribuente va presentata ai sensi del comma 1, lettera a), dell’articolo 11
dello Statuto (si tratta, infatti, di un interpello qualificatorio).
L’articolo 8 contiene il rinvio a Provvedimenti dei direttori delle Agenzie fiscali che dovranno
fornire indicazioni strettamente operative concernenti, in particolare, le modalità di presentazione
delle istanze, gli uffici delle Agenzie competenti alla ricezione ed alla risposta, le modalità di
comunicazione delle risposte stesse nonché ogni altra eventuale regola concernente la procedura.
La scelta del Provvedimento direttoriale appare coerente non solo con i contenuti assegnatigli (di
tipo, come ricordato, strettamente operativo), ma anche con i recenti interventi contenuti nel decreto
internazionalizzazione che contengono un rinvio a provvedimenti direttoriali per regolamentazioni
analoghe. Si tratta, in particolare:


dell’articolo 1 rubricato “Accordi preventivi per le imprese con attività internazionale” (che
sostituisce l’articolo 8, comma 5, del decreto legislativo 30 settembre 2003, n. 269 in tema
di ruling internazionale) che contiene un rinvio al Provvedimento del Direttore per
l’individuazione dell’ufficio competente ai fini della presentazione della richiesta di
accordo preventivo e delle modalità con le quali il competente Ufficio procede alla verifica
del rispetto dei termini dell’accordo e del sopravvenuto mutamento delle condizioni di fatto
e di diritto su cui l’accordo si basa;
dell’articolo 2, comma 6, rubricato “Interpello sui nuovi investimenti” che rinvia ad un
provvedimento direttoriale per l’individuazione dell’ufficio competente al rilascio della
risposta ed alla verifica della corretta applicazione della stessa.
Per ciò che concerne gli enti territoriali, ai commi 2 e 3 dell’articolo 8, si prevede che:
- le regioni a statuto ordinario regoleranno la materia in attuazione delle disposizioni
contenute nel presente titolo I;
- le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvederanno,
entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ad adeguare i rispettivi
ordinamenti alle norme fondamentali contenute nel titolo I;
- gli enti locali provvederanno entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente
decreto, ad adeguare i rispettivi statuti e gli atti normativi da essi emanati ai princìpi dettati
dal Titolo I in rassegna.
Infine, al comma 4, si prevede che alle istanze di interpello presentate prima dell’emanazione dei
provvedimenti di cui al comma 1 restano applicabili le disposizioni procedurali in vigore al
momento della presentazione dell’istanza.
18
TITOLO II
L’art. 10 della legge 11 marzo 2014, n. 23, delega il governo ad adottare uno o più decreti legislativi
per la revisione del processo del contenzioso tributario, attualmente disciplinato dal decreto 31
dicembre 1992, n. 546.
Il presente decreto legislativo, al Titolo II intervenendo dopo quasi venti anni dall’ultima riforma
processual-tributaria, si colloca in un quadro macroeconomico completamente difforme rispetto a
quello del 1996 e in un sistema normativo caratterizzato da una continua evoluzione di alcuni
istituti dell’ordinamento tributario generata anche dalle diverse riforme che hanno interessato la
maggior parte dei tributi.
Si ritiene preliminarmente opportuno riportare alcuni dati statistici estrapolati dalla relazione
annuale sullo stato del contenzioso tributario del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che
consentono di avere la dimensione dello stato attuale di tale contenzioso sul territorio nazionale.
In primo luogo, il numero dei ricorsi pendenti nei due gradi di giudizio di merito si è
progressivamente ridotto, passando da circa 2,4 milioni nel 1996 a circa 570 mila rilevati nell’anno
2014.
I ricorsi presentati nell’anno 2014 presso le Commissioni tributarie riguardano controversie il cui
valore ammonta a più di 30 miliardi di euro. In particolare, il valore dei ricorsi di primo grado
presentati nel 2014 ammonta ad oltre 17 miliardi di euro; circa il 70% di tali ricorsi ha per oggetto
controversie di valore fino a 20.000 euro (valore complessivo 0,5 miliardi di euro). Rispetto ai dati
registrati nel 2011 il numero dei ricorsi presentati nel 2014 ha subito una contrazione di circa il
30%. Tale riduzione è stata generata anche dalla introduzione dell’istituto della mediazione di cui
all’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546/96, che ha riguardato i soli atti posti in essere dall’Agenzia
delle entrate con valore non superiore ai 20.000 euro.
Nel giudizio di secondo grado, il valore degli appelli presentati nel 2014 ammonta a circa 13
miliardi di euro; di questi circa il 54% ha per oggetto controversie di valore fino a 20.000 euro
(valore complessivo 0,186 miliardi di euro).
Circa il 56% dei ricorsi instaurati in primo grado presentano un’istanza di sospensione della
riscossione dell’atto impugnato e nei due gradi di giudizio le relative spese risultano compensate per
oltre il 70% dei casi. L’istituto della conciliazione in primo grado si attesta a circa l’1% delle
definizioni complessive (n. 2.238).
La durata media del processo tributario per il primo grado di giudizio è di circa 2 anni e 8 mesi,
mentre nel secondo grado è di circa 2 anni.
Il quadro sopra rappresentato mostra chiaramente che l’attuale contenzioso è caratterizzato da un
numero elevato di controversie di modesto valore, da una forte richiesta della sospensione degli atti
di riscossione da parte del contribuente, da uno scarso utilizzo dell’istituto deflattivo della
conciliazione in pendenza di giudizio di primo grado e da un elevato utilizzo della compensazione
delle spese di giudizio da parte dei giudici di merito.
CONSIDERAZIONI GENERALI
L’intervento normativo, volto a superare le predette criticità, si è mosso prevalentemente sulle
seguenti principali direttrici:
19
1) l’estensione degli strumenti deflattivi del contenzioso (art. 10 c. 1 lett. a) della delega);
2) l’estensione della tutela cautelare al processo tributario (art. 10 c. 1 lett. b) n. 9 della delega);
3) l’immediata esecutività delle sentenze per tutte le parti (art. 10 c. 1 lett. b) n. 10 della delega).
4) l’ampliamento della difesa personale e delle categorie di soggetti abilitati all’assistenza
tecnica dinnanzi alle Commissioni tributarie (art. 10 c. 1 lett. a) n. 3 della delega);
5) il rafforzamento del principio di soccombenza nella liquidazione delle spese di giudizio (art.
10 c. 1 lett. b) n. 11 della delega).
Riguardo al punto 1) si è ritenuto opportuno estendere il reclamo finalizzato alla mediazione (art.
17-bis del decreto) a tutte le controversie indipendentemente dall’ente impositore (finora l’istituto
era riservato alle sole cause dell’Agenzia delle Entrate).
In particolare, con l’estensione del reclamo alle controversie degli enti locali, si spera di ottenere
una consistente riduzione del relativo contenzioso, come è già avvenuto per l’Agenzia delle Entrate
Si è ritenuto al momento di lasciare inalterato il tetto di 20.000 euro di valore delle cause per le
quali è obbligatorio il reclamo, anche in considerazione del fatto che il tetto è idoneo a
ricomprendere la quasi totalità delle cause degli enti locali (il 75% delle quali è di valore inferiore ai
3.000 euro).
Non si è ritenuta necessaria la scelta un “organo terzo” che decida sul reclamo; se ciò può apparire
necessario per una mediazione di tipo civile (in tema di diritti disponibili), una simile scelta non
appare opportuna in campo tributario. In questo campo infatti l’istituto del reclamo appare essere
più espressione dell’esercizio di un potere di autotutela dello stesso ente impositore, che va
stimolato ed incoraggiato; ciò allo scopo di indurre ogni Amministrazione a rivedere i suoi errori
prima dell’intervento del giudice. È stata invece ribadita l’autonomia, all’interno dell’ente, del
soggetto che deve decidere sul reclamo, per consentire un corretto esercizio del relativo potere.
Il reclamo è stato inoltre esteso anche alle controversie catastali (classamento, rendite ecc.) che a
causa del valore indeterminabile ne sarebbero state escluse, e dal punto di vista soggettivo è stata
esteso sia agli Agenti della riscossione (Equitalia) che ai soggetti iscritti nell’albo di cui all’art. 53
del D.Lgs. n. 446/1997 (i concessionari della riscossione, per gli enti che non si avvalgono
dell’Agente Equitalia).
Infine, con le modifiche apportate all’articolo 17-bis anche le controversie proposte avverso atti
reclamabili possono essere oggetto di conciliazione; ciò al fine di potenziare gli istituti deflattivi sia
nella fase anteriore alla instaurazione del giudizio che in pendenza di causa.
Per quel che riguarda la conciliazione è stata estesa anche al giudizio di appello. Le relative
disposizioni sono state riformulate allo scopo di eliminare dubbi interpretativi e per ricomprendervi
espressamente anche i casi di accordi che prevedono pagamenti in favore del contribuente (nelle
controversie su rimborsi).
2) La tutela cautelare è stata estesa a tutte le fasi del processo, codificando la giurisprudenza che
solo da alcuni anni l’aveva ritenuta pienamente ammissibile.
È stato così previsto:
a) che il contribuente può chiedere la sospensione dell’atto impugnato in presenza di un danno
grave ed irreparabile;
b) che le parti possono sempre chiedere la sospensione degli effetti della sentenza sia di primo
grado che di appello, analogamente a quanto previsto nel c.p.c.;
20
c) che il giudice possa subordinare i provvedimenti cautelari ad idonea garanzia, la cui disciplina
di dettaglio è rimessa a un D.M.; ciò consentirà di eliminare, o quantomeno ridurre notevolmente, le
contestazioni tra le parti sulla idoneità della garanzia stessa.
Sono stati inoltre disciplinati nel dettaglio gli effetti della sospensione della sentenza, in ordine
alla riscossione graduale dei tributi richiesti nell’atto impositivo.
3) L’applicazione del principio di immediata esecutività delle sentenze è stato recepito tenendo
conto delle peculiarità del processo tributario, strutturato pur sempre come un giudizio
amministrativo di impugnazione di atti autoritativi, ancorchè nei confronti di un giudice che ha
cognizione piena del rapporto.
Si è quindi stabilito quanto segue.
a) L’esecutività riguarda le sole sentenze aventi ad oggetto l’impugnazione di un atto
impositivo, ovvero un’azione di restituzione di tributi in favore del contribuente nonché quelle
emesse su ricorso della parte avverso gli atti relativi alle operazioni catastali. Per le altre
controversie (invero di numero esiguo) quali ad esempio quelle sulla qualifica di ONLUS ovvero su
esenzioni fiscali, si è ritenuto preferibile mantenere il principio della coincidenza tra esecutività e
giudicato. Ciò allo scopo di una maggiore certezza delle situazioni giuridiche. D’altro canto per lo
stesso motivo anche nel processo civile esistono categorie di sentenze (in particolare quelle
costitutive o traslative della proprietà) per le quali l’efficacia è subordinata al giudicato. In
conclusione per questo tipo di controversie si è ritenuto che l’immediata esecutività di ogni
pronuncia fosse suscettibile di creare problemi applicativi ed ulteriore contenzioso. La
giurisprudenza è costante nel ritenere, ad esempio, che nei casi di una controversia sull’esenzione
da un tributo, l’Amministrazione all’esito del giudizio ad essa sfavorevole, debba provvedere
d’ufficio al rimborso di quanto versato medio tempore dal contribuente in base all’atto annullato
(Cass. 1967/2005; n. 24408/2005; n. 10010/2006).
b) L’esecutività della sentenza in favore dell’Amministrazione consentirebbe di esigere
l’intero tributo già dopo la sentenza di primo grado (attualmente l’art. 68 del decreto prevede che ne
diventino esigibili solo i 2/3). Si è ritenuto preferibile lasciare inalterato il meccanismo della
riscossione frazionata del tributo previsto dall’articolo 68, sul presupposto che l’intenzione del
legislatore non fosse quella di aggravare la situazione dei contribuenti nell’ambito di un contenzioso
ancora “sub judice”. Tale scelta inoltre verrebbe a bilanciare il maggior onere a carico del
contribuente per quel che concerne l’esecuzione delle sentenze di rimborso a suo favore (v.
successivo punto c).
c) L’esecutività immediata delle sentenze di condanna in favore del contribuente.
L’attuazione di tale importante e del tutto innovativo principio (ad oggi l’esecutività per tali
pronunce si realizza solo con il giudicato), ha dovuto tener conto delle peculiarità del giudizio
tributario, che vede contrapposti una parte pubblica ed una privata.
Ne consegue che mentre per la prima non vi sono di norma problemi di insolvenza, per la
parte privata occorre tener conto di tale possibilità, e cioè del rischio che una volta ottenuto – in
virtù di una sentenza esecutiva ma impugnata dall’Amministrazione – il pagamento di una somma a
titolo di rimborso, non sia più possibile il recupero delle somme erogate in caso di successiva
riforma della sentenza. Da ciò la scelta di subordinare il pagamento di somme in favore del
contribuente ad una idonea garanzia, il cui onere graverà comunque sulla parte che risulterà
definitivamente soccombente nel giudizio, con le seguenti eccezioni:
- pagamenti di somme fino a 10.000 euro;
- restituzione delle somme pagate in corso di causa, a norma dell’art. 68, comma 2, del
decreto (qualunque sia l’importo).
21
In questi casi pertanto l’esecutività della sentenza sarà incondizionata.
La necessità in via generale di una garanzia (per le somme eccedenti il predetto importo)
ha anche l’indubbio vantaggio di evitare che la parte pubblica nei casi di impugnazione di una
sentenza che la condanni a rimborsare somme al contribuente, sia indotta a chiedere
sistematicamente la sospensione degli effetti della sentenza. Ciò al fine di evitare rischi di
responsabilità per danno erariale per l’ipotesi in cui, in caso di successiva riforma della sentenza,
non fosse più possibile recuperare le somme per insolvenza del contribuente.
La previsione di una garanzia quindi (il cui onere è solo anticipato dal contribuente a cui
verrà rimborsato in caso di esito favorevole del giudizio definitivo), da un lato evita rischi per
l’erario, dall’altro impedisce un incremento esponenziale delle richieste di sospensiva, con gli
inevitabili aggravi che ciò comporterebbe in termini di oneri per le parti e sovraccarico
dell’apparato giudiziario. Ovviamente, il contribuente resterà libero di non chiedere l’immediata
esecuzione della sentenza (qualora non intenda anticipare gli oneri della garanzia o anche solo per
non dover rischiare di restituire le somme ottenute con gli interessi) e di preferire l’attesa di un
giudicato che gli consentirà di ottenere quanto gli spetta, con gli interessi di legge medio tempore
maturati, senza fornire alcuna garanzia.
d) Modalità di esecuzione della sentenza. Sempre la peculiarità del processo tributario ha
fatto ritenere preferibile la scelta del giudizio di ottemperanza come esclusivo sistema di esecuzione
di tutte le sentenze, definitive e non.
Si è pertanto stabilito che lo strumento previsto dall’art. 70 del decreto sia utilizzabile:
- per l’esecuzione delle sentenze passate in giudicato;
- per l’esecuzione delle sentenze anche solo esecutive;
- per ottenere il rimborso delle somme da restituire al contribuente ai sensi dell’art. 68
comma 2.
Si è inoltre previsto che per i rimborsi fino a 10.000 euro e quelli relativi alle spese di lite,
la Commissione operi in sede di ottemperanza come giudice monocratico (data la relativa
semplicità della esecuzione della sentenza, in cui non è necessaria neppure la garanzia), con ciò
attuando parzialmente la delega sul punto. Per il resto si è ritenuto che la specialità della materia
tributaria, stante la sua complessità spesso indipendente dal valore della causa, non renda
consigliabile l’introduzione del giudice monocratico negli altri giudizi.
La scelta della esclusività del giudizio di ottemperanza come unico strumento per la
esecuzione delle sentenze si ritiene giustificata:
- dalla peculiarità delle sentenze emesse nel processo tributario, dove spesso anche il
calcolo delle somme dovute a titolo di rimborso di imposta non è agevole, essendo necessaria
comunque un’attività dell’ufficio per la determinazione degli interessi per i vari periodi
interessati; inoltre la necessità di una garanzia per le condanne in favore del contribuente al
rimborso di somme superiori a 10.000 euro, avrebbe creato notevoli problemi alle segreterie per
il rilascio delle formule esecutive, non potendosi pretendere da tali uffici un controllo sulla
idoneità della garanzia stessa;
- dalla particolare efficacia della procedura di ottemperanza, che consente – anche con
la nomina di un commissario ad acta – di ottenere in tempi relativamente brevi l’adempimento
dell’Amministrazione, con il rimborso delle relative spese;
- dal fatto che l’ordinaria procedura esecutiva (oltre ad aggravare lo stato della
giustizia civile), non garantisce spesso il soddisfacimento dell’interesse del contribuente, anche
per le note difficoltà di agire in via esecutiva sui beni di soggetti pubblici.
22
Si è ritenuto, infine, che lo strumento dell’ottemperanza, sia di sentenza definitiva che solo
esecutiva, possa essere utilizzato anche nei confronti degli agenti della riscossione e dei soggetti
iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del D.Lgs. n. 446/1997, stante la natura pubblica dell’Agente e
l’attività oggettivamente pubblica posta in essere dai concessionari (privati).
4) Per quanto concerne la revisione delle soglie di valore delle controversie in relazione alle
quali il contribuente può stare in giudizio anche personalmente, si è previsto l’innalzamento da
2.582,28 euro a 3.000 euro; si è inoltre ampliata la categoria dei soggetti abilitati alla difesa tecnica
inserendo anche i dipendenti dei CAF per le controversie che scaturiscono da adempimenti posti in
essere dagli stessi centri di assistenza fiscale.
5) Si è poi rafforzato il principio in base al quale le spese di lite seguono la soccombenza,
introducendo l’obbligo per il giudice tributario di attenersi alle disposizioni contenute nell’articolo
92, secondo comma, del c.p.c., come modificato dalla legge 10 novembre 2014, n. 162; il suddetto
principio è esteso anche alla fase cautelare in cui il giudice è tenuto a decidere anche sulle spese di
giudizio.
ARTICOLO 9
Modifiche al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546
L’attuazione della delega nella parte relativa al contenzioso tributario, è avvenuta sotto forma di
“novella” del testo del decreto legislativo n. 546/1992 (di seguito “il decreto”), introducendo
modifiche e integrazioni dei vigenti articoli del suddetto decreto, abrogando disposizioni ormai
prive di utilità ovvero annullate a seguito di sentenze della Corte Costituzionale. Si è, altresì,
provveduto a modificare altre disposizioni strettamente correlate al citato decreto.
Di seguito sono elencati gli articoli che sono stati oggetto di modifica o di nuova introduzione nel
decreto.
Articolo 9, comma 1, lettera a)
Modifiche all’art. 2 (Oggetto della giurisdizione tributaria)
La modifica del comma 1 si è resa necessaria per adattare il testo alla sentenza n. 130/2008 della
Corte Costituzionale, che ne aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale nella parte in cui
attribuiva alla giurisdizione tributaria le controversie relative alle sanzioni comunque irrogate da
uffici finanziari, anche laddove esse conseguivano alla violazione di disposizioni non aventi natura
tributaria.
Al successivo comma 2 la eliminazione delle parole “relative alla debenza del canone per
l'occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall'articolo 63 del decreto legislativo 15
dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, e del canone per lo scarico e la depurazione
delle acque reflue e per lo smaltimento dei rifiuti urbani, nonché le controversie”, si è resa
necessaria per adattare il testo alle sentenze n. 64/2008 e 39/2010 della Corte Costituzionale, che ne
avevano dichiarato l'illegittimità costituzionale nella parte in cui attribuiva alla giurisdizione
tributaria le controversie relative alla debenza del canone per l'occupazione di spazi ed aree
pubbliche previsto dall'articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive
modificazioni, e del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue.
23
Articolo 9, comma 1, lettera b)
Modifiche all’art. 4 (Competenza per territorio)
Il testo dell’art. 4 è stato aggiornato eliminando dizioni ormai superate.
Articolo 9, comma 1, lettera c)
Modifiche all’art. 10 (le parti)
Con le modifiche apportate all’articolo in esame sono state individuate puntualmente le parti del
processo tributario. Trattasi del contribuente, delle Agenzie fiscali, degli altri enti impositori (ad
esempio, le regioni, gli enti locali, le camere di Commercio, ecc.) e dell’agente di riscossione che
hanno emesso l’atto impugnato (atto impositivo o diniego di rimborso o di agevolazione), ovvero
che non hanno emesso l’atto richiesto (ad es. ipotesi di silenzio – rifiuto ad una richiesta di
rimborso). Rientrano tra le parti processuali anche i soggetti privati di cui all’art. 53 del decreto
legislativo n. 446 del 1997, che svolgono le attività di liquidazione e di accertamento, di riscossione
dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni.
Si conferma la disposizione secondo la quale qualora l'ufficio dell'Agenzia delle entrate abbia una
competenza diffusa su tutto o parte del territorio nazionale, individuata con il regolamento di
amministrazione di cui all'articolo 71 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, sta in giudizio
innanzi alle Commissioni tributarie l'ufficio al quale spettano ex lege le attribuzioni sul rapporto
controverso. In sostanza, in tale ultimo caso, la legittimazione processuale non è in capo all’ufficio
delle entrate che ha adottato l’atto, bensì all’ufficio competente in base al generale criterio del
domicilio fiscale del contribuente.
Articolo 9, comma 1, lettera d)
Modifiche all’art. 11 (capacità di stare in giudizio)
Con la modifica operata al comma 2 dell’articolo 11, viene estesa la capacità di stare in giudizio
direttamente all’ufficio dell’Agente della riscossione, al pari degli uffici dell’Agenzia delle entrate e
dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.
Inoltre, la legittimazione processuale e la difesa diretta delle cancellerie e delle segreterie degli
uffici giudiziari è prevista, limitatamente al contenzioso in materia di contributo unificato, non solo
per il giudizio di primo grado ma anche per quello innanzi alle commissioni tributarie regionali.
Trattasi, infatti, di uffici che provvedono alla liquidazione e all’accertamento del contributo
unificato di cui all’art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002 n. 115, che si
configura come un vero e proprio tributo, rientrante in quanto tale nella giurisdizione tributaria.
Articolo 9, comma 1, lettera e)
Modifiche all’art. 12 (L’assistenza tecnica)
La disposizione in esame ribadisce la regola generale dell’obbligatorietà dell’assistenza tecnica
nelle controversie tributarie, salvo i casi di contenziosi di modico valore.
Non sono invece tenuti a dotarsi di difensore abilitato gli enti impositori, gli agenti della riscossione
e i soggetti di cui all’articolo 53 del decreto legislativo n. 446 del 1997. Con riguardo ai contenziosi
di modico valore, il nuovo comma 2 dell’articolo 12 eleva a 3.000 euro il limite entro il quale i
contribuenti possono stare in giudizio personalmente. Per l’individuazione del valore si conferma
24
l’attuale criterio in base al quale il valore è determinato dall’importo del tributo al netto degli
interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l'atto impugnato; in caso di controversie aventi ad
oggetto esclusivamente irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste.
I commi 3, 5 e 6 del predetto articolo 12 elencano distintamente le categorie di soggetti abilitati
all’assistenza tecnica davanti alle Commissioni tributarie, operando una differenziazione tra:



coloro che possono assistere i contribuenti nella generalità delle controversie [lettere da a) a
d) del comma 3].
coloro che sono abilitati alla difesa con riguardo a controversie aventi ad oggetto materie
specifiche [lettera e) del comma 3, lettere da a) a g) del comma 5 e comma 6];
coloro che possono assistere esclusivamente alcune categorie di contribuenti [lettere e) , f) e
g) e h) del comma 3].
In particolare, con riguardo a tale ultima categoria, il comma 3 attribuisce anche ai dipendenti dei
CAF di cui all’articolo 32 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e delle relative società di
servizi, la difesa innanzi alle Commissioni tributarie. I predetti dipendenti possono difendere
esclusivamente i propri assistiti in contenziosi tributari che scaturiscono dall’attività di assistenza
loro prestata dal CAF (ad es. rettifica della detrazione di spese mediche esposte in dichiarazione
compilata e trasmessa dal CAF). La disposizione, tuttavia, prevede che i dipendenti dei CAF, per
esercitare la difesa tecnica debbano essere in possesso congiuntamente dei seguenti requisiti di
professionalità:

diploma di laurea magistrale in giurisprudenza o in economia ed equipollenti, o del diploma
di ragioneria;

relativa abilitazione professionale.
Le disposizioni contenute nel comma 4 dell’articolo 12 affidano al Dipartimento delle finanze il
compito di gestire gli elenchi dei dipendenti di cui all’articolo 63, terzo comma, del D.P.R. 29
settembre 1973, n. 600 autorizzati a rappresentare e difendere i contribuenti anche dinnanzi alle
Commissioni tributarie. L’accentramento delle procedure in capo al solo Dipartimento delle finanze
di funzioni, attualmente ripartite tra il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle
entrate, risponde all’esigenza di garantire imparzialità e una maggiore efficienza nella gestione di
detti elenchi.
Lo stesso comma 4 dell’articolo 12 del decreto, prevede l’adozione di un regolamento del Ministro
dell’Economia e delle finanze, sentito il Ministero della Giustizia, ai sensi dell’articolo 17 comma 3
della legge 23 agosto 1988, n. 400, al fine di disciplinare le modalità di tenuta dell’elenco in esame
ed individuare i casi di incompatibilità, di diniego, di sospensione e di revoca della iscrizione
all’elenco. Per la definizione delle suddette fattispecie si dovrà tenere conto dei principi contenuti
nel codice deontologico forense, atteso che nell’ambito dell’assistenza tecnica l’attività
defensionale propria dell’avvocatura risulta essere prevalente. Si prevede, altresì, che il citato
elenco, opportunamente aggiornato, sia pubblicato nel sito internet del Ministero dell’economia e
delle finanze, che deve provvedervi utilizzando le risorse umane, strumentali e finanziarie
disponibili a legislazione vigente, al fine di renderlo costantemente conoscibile dalle parti
processuali, dal collegio giudicante e dai terzi.
Il comma 10 dell’articolo 12 disciplina le ipotesi di difetto di rappresentanza o di autorizzazione,
rinviando alle disposizioni contenute nell’articolo 182 del c.p.c, in base alle quali il giudice invita le
parti a regolarizzare gli atti e documenti, assegnando un termine perentorio entro il quale è possibile
sanare i relativi vizi, con efficacia retroattiva. Inoltre, il comma citato prevede che la predetta
25
attività può essere svolta dal Presidente della Commissione ovvero della sezione e dal collegio. Al
fine di evitare l’inutile prolungamento dei tempi del giudizio, si è quindi inteso anticipare quanto
più possibile la regolarizzazione dell’eventuale vizio dell’atto processuale (ad es. difetto di procura
alla lite) attribuendo indifferentemente l’iniziativa per la regolarizzazione già al Presidente della
Commissione o della sezione (oltre che al collegio).
La declaratoria di inammissibilità del ricorso potrà essere pronunciata dal giudice tributario soltanto
all’esito dell’inottemperanza all’invito formulato alla parte a provvedere. Ciò in conformità a
quanto ripetutamente statuito dalla Corte di Cassazione, la quale ha precisato che soltanto se l’invito
del giudice risulta infruttuoso, quest’ultimo deve dichiarare invalida la costituzione della parte in
giudizio (da ultimo: Cass. civ. Sez. III, 11-09-2014, n. 19169 e 22-05-2014, n. 11359).
Articolo 9, comma 1, lettera f)
Modifiche all’art. 15 (Spese del giudizio)
La disposizione in esame mira a rafforzare il principio in base al quale le spese del giudizio
tributario seguono la soccombenza.
Il comma 1 dell’articolo 15 stabilisce che la parte soccombente è condannata a rimborsare le spese
del giudizio liquidate con la sentenza.
Il nuovo comma 2 dell’articolo 15 stabilisce che le spese di giudizio possono essere compensate in
tutto o in parte soltanto qualora vi sia soccombenza reciproca oppure sussistano gravi ed eccezionali
ragioni che devono essere espressamente motivate dal giudice.
Con il comma 2-bis dell’articolo 15 si richiama espressamente l’applicazione dell’articolo 96,
primo e terzo comma, del codice di procedura civile.
Il comma 2-ter dell’articolo 15 specifica che le spese di giudizio comprendono, oltre al contributo
unificato, gli onorari e i diritti del difensore, le spese generali e gli esborsi sostenuti, oltre al
contributo previdenziale e all’IVA, se dovuti.
Il comma 2-quater dell’articolo 15 stabilisce che la statuizione sulle spese di lite deve essere
contenuta anche nell’ordinanza con cui il giudice definisce la fase cautelare del giudizio. La
pronuncia sull’istanza cautelare in ordine alle spese di giudizio produce effetti anche dopo
l’adozione del provvedimento giurisdizionale che definisce il merito. Resta ferma, comunque, la
possibilità per il giudice di disporre nella sentenza di merito diversamente in ordine alle spese di lite
della fase cautelare. Trattasi di una disposizione che, analogamente a quanto previsto dall’art. 57 del
Codice del Processo Amministrativo mira ad evitare un abuso delle richieste di tutela cautelare.
Con il comma 2-quinquies dell’articolo 15 viene confermato il principio secondo il quale i
compensi spettanti agli incaricati dell’assistenza tecnica siano liquidati in base alle rispettive tariffe
professionali; per i soggetti autorizzati all’assistenza tecnica dal Ministero dell’economia e delle
finanze si applica, invece, la tariffa vigente per i dottori commercialisti ed esperti contabili.
Con il comma 2-sexies dell’articolo 15 si stabilisce che nella liquidazione delle spese a favore degli
enti impositori, degli agenti della riscossione e soggetti di cui all’art. 53 del decreto legislativo n.
446 del 1997, se assistiti da propri dipendenti, si applicano le tariffe previste per gli avvocati, con la
riduzione del 20%. Infine, con una disposizione di favore per il contribuente, si prevede che la
26
riscossione delle somme liquidate a favore di tutti gli enti impositori, nonché degli agenti e
concessionari della riscossione avviene, mediante iscrizione a ruolo, soltanto dopo il passaggio in
giudicato della sentenza.
Il comma 2-septies dell’articolo 15 infine, conferma che le spese di giudizio sono maggiorate del
50% nelle controversie proposte avverso atti reclamabili ai sensi dell’art. 17-bis. La maggiorazione
è prevista a titolo di rimborso delle spese sostenute per la fase del procedimento amministrativo. La
norma ha la duplice finalità di incentivare la mediazione, oggi estesa a tutti gli enti impositori, e di
riconoscere alla parte vittoriosa i maggiori oneri sostenuti nella fase procedimentale obbligatoria
ante causam.
Il comma 2-octies dell’articolo 15, al fine di incentivare la deflazione del contenzioso, stabilisce che
la parti che abbia rifiutato, senza giustificato motivo, la proposta conciliativa formulata dall’altra
parte è tenuta a sopportare le spese processuali quando il riconoscimento delle sue pretese risulti
inferiore al contenuto della stessa proposta conciliativa.
Articolo 9, comma 1, lettera g)
Modifiche all’art. 16 (Comunicazioni e notificazioni)
Nell’art. 16 è stata fatta di nuovo applicazione del principio di equiparazione degli enti impositori
all’agente della riscossione ed ai soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto
legislativo n. 446 del 1997. Inoltre, è stato abrogato il comma 1-bis il cui contenuto è stato trasfuso
in modo organico nel nuovo articolo 16-bis.
Articolo 9, comma 1, lettera h)
Articolo 16-bis (comunicazione e notificazioni per via telematica) –
La disposizione in commento è finalizzata a massimo ampliamento dell’uso della posta elettronica
certificata per le comunicazioni e le notificazioni nel processo tributario in attuazione del relativo
principio di delega.
Il comma 1 ripropone le disposizioni già previste nel comma 1-bis dell’articolo 16 abrogato.
Nel comma 2 è previsto che sia per il difensore che per le parti l’indicazione dell’indirizzo di posta
elettronica certificata debba essere presente nel ricorso o nel primo atto difensivo; quando invece la
parte sta in giudizio personalmente e il proprio indirizzo non compare nei pubblici elenchi, la stessa
può indicare a quale indirizzo ricevere le comunicazioni.
Il comma 3 ripropone quanto previsto dall’articolo 17, comma 3-bis abrogato.
Il comma 4, dispone che le notificazioni tra le parti e il successivo deposito presso la Commissione
tributaria possano avvenire per via telematica tenendo conto di quanto stabilito nel regolamento sul
processo tributario telematico n. 163 del 23 dicembre 2013. Le modalità di attuazione e l’ambito di
operatività delle notificazione a mezzo posta elettronica certificata e dei depositi telematici presso le
Commissioni tributarie sono stabiliti dai decreti del Ministero dell’Economia e delle finanze adottati
ai sensi dell’art. 3 del predetto regolamento.
Il comma 5 stabilisce che l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata per le
comunicazioni e le notificazioni ha, a tutti gli effetti, valore di elezione di domicilio.
Articolo 9, comma 1, lettera i)
27
Abrogazione dell’articolo 17, comma 3-bis
La norma in esame risulta essere di mero coordinamento atteso che il contenuto è stato inserito nel
nuovo articolo 16-bis.
Articolo 9, comma 1, lettera l)
Inserimento dell’art. 17-bis (Il reclamo e la mediazione)
La disposizione in esame, limitatamente alle controversie aventi ad oggetto atti di valore non
superiore a 20.000 euro, prevede che il ricorso diventa procedibile solo una volta trascorso il tempo
utile (novanta giorni) ad esperire la procedura amministrativa volta alla composizione della lite.
Diversamente dalla disposizione vigente, il nuovo meccanismo risulta in concreto attuato dalla
previsione che il ricorso, proposto nelle forme di rito, produce anche gli effetti del reclamo, che può
o meno contenere una dettagliata proposta di mediazione.
Quanto all’ambito di applicazione oggettivo dell’istituto, si conferma che sono soggette a reclamo
tutte le controversie di valore non superiore ai 20.000 euro (ivi comprese quelle di rimborso, non
espressamente previste nel testo attuale). Inoltre, i commi 1 e 10 dell’art. 17-bis prevedono che non
sono reclamabili esclusivamente gli atti di valore indeterminabile e gli atti di recupero di aiuti di
stato di cui all’art. 47-bis. È stata invece prevista la reclamabilità degli atti di cui all’art. 2, comma
2, primo periodo, relativi al classamento e all’attribuzione di rendita catastale, pur essendo di valore
indeterminabile.
Quanto, invece, all’ambito soggettivo di operatività della nuova disposizione, l’istituto è stato
esteso a tutti gli enti impositori. La ratio sottesa all’estensione del reclamo risiede nel principio di
economicità dell’azione amministrativa diretta a produrre effetti deflattivi del contenzioso, anche
alla luce del proficuo abbattimento riscontrato nel contenzioso contro gli atti emessi dall’Agenzia
delle entrate e del fatto che oltre il 90% dei ricorsi proposti nei confronti degli enti locali hanno un
valore non superiore a 20.000 euro. Tuttavia, mentre le Agenzie fiscali provvedono all’esame dei
reclami attraverso apposite strutture diverse da quelle che hanno emesso gli atti reclamabili, per gli
altri enti la disposizione prevede che l’individuazione della struttura eventualmente deputata alla
trattazione dei reclami è rimessa all’organizzazione interna di ciascuno di essi. La scelta operata
risulta da un lato coerente con l’autonomia gestionale ed organizzativa tipica, ad esempio, degli enti
locali; dall’altro evita di imporre un vincolo ad enti impossibilitati a rispettarlo (ad esempio, a causa
della ridotta dimensione).
Quanto invece agli agenti della riscossione ed ai soggetti privati di cui all’articolo 53 del d.lgs. n.
446/97, il comma 9 della disposizione in esame prevede che il reclamo risulta applicabile solo ove
compatibile. Tenuto conto che tali soggetti non hanno la disponibilità del tributo, si ritiene che
l’istituto possa trovare applicazione nei casi, ad esempio, di vizi propri delle cartelle di pagamento
da essi emesse, ovvero di impugnazione di fermi di beni mobili registrati o di ipoteche (art. 19,
comma 1, lett. e-bis) ed e-ter) del decreto). In sostanza, la disposizione in esame ha la finalità di
consentire anche a detti soggetti di procedere al ritiro dei loro atti impugnati.
Ai sensi del comma 6 del predetto articolo 17-bis, qualora la procedura amministrativa di
reclamo abbia esito positivo, la mediazione si perfeziona con il versamento - entro il termine di
venti giorni dalla data di sottoscrizione dell’accordo tra le parti - dell’intero importo ovvero della
prima rata. Diversamente, quando la mediazione ha per oggetto rimborsi d’imposta, la stessa si
perfeziona sin dal momento della sottoscrizione dell’accordo. Detto accordo deve contenere
l’indicazione delle somme dovute con i termini e le modalità di pagamento e costituisce titolo per il
pagamento delle somme dovute al contribuente. Detto titolo, quindi, consente al contribuente – nei
casi in cui la controparte non dia esecuzione al pagamento concordato – di agire in via monitoria
davanti al giudice ordinario per ottenere un decreto ingiuntivo. La giurisprudenza ha infatti
28
precisato che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario quando l’Amministrazione abbia
riconosciuto la spettanza del tributo (Cass. 15.10.2009 n. 21893).
Secondo quanto disposto dal comma 7 dell’articolo 17-bis, le sanzioni sono dovute nella misura del
trentacinque per cento del minimo previsto dalla legge. Trattasi del medesimo criterio di irrogazione
della sanzione previsto nella conciliazione, fatta salva la diversa percentuale applicabile. Viene
confermata la disposizione secondo la quale sulle somme dovute a titolo di contributi previdenziali
e assistenziali non si applicano sanzioni e interessi.
Infine, ai sensi del comma 8 dell’articolo in esame si prevede che in pendenza del termine utile a
concludere la mediazione, la riscossione delle somme dovute in base all’atto oggetto di
contestazione è sospesa.
Articolo 9, comma 1, lettera m)
Modifiche all’art. 18 (Il ricorso)
Nell’art. 18 è stato riscritto il comma 3 sia per una maggiore leggibilità, sia per introdurre l’obbligo
per i difensori di dichiarare la categoria di appartenenza ex art. 12 del decreto; tale indicazione è
anche necessaria per consentire al giudice la liquidazione delle spese di lite secondo la tariffa della
categoria di appartenenza.
Articolo 9, comma 1, lettera n)
Modifiche all’art. 23 (Costituzione in giudizio della parte resistente)
Nell’art. 23 è stata fatta di nuovo applicazione del principio di equiparazione degli enti impositori
all’agente della riscossione ed ai soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto
legislativo n. 446 del 1997.
Articolo 9, comma 1, lettera o)
Modifiche all’art. 39 (Sospensione del processo)
All’articolo 39, dopo il comma 1, sono stati aggiunti i commi 1-bis e 1-ter.
Il comma 1-bis dell’articolo 39 prevede che la sospensione del processo è disposta dalla
commissione tributaria ogni qual volta essa stessa o altra commissione tributaria debba risolvere
una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa. E’ stato in tal modo
riprodotto il contenuto dell’articolo 295 c.p.c., concernente la sospensione necessaria del processo.
Il comma 1-bis introduce, pertanto, un’ulteriore ipotesi di sospensione necessaria, che si aggiunge a
quella già prevista dal comma 1.
Il comma 1-ter dell’articolo 39 stabilisce che, su richiesta conforme delle parti, il processo è
sospeso nel caso in cui sia iniziata una procedura amichevole ai sensi delle Convenzioni
internazionali per evitare le doppie imposizioni oppure quando sia iniziata una procedura
amichevole ai sensi della Convenzione sull’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di
rettifica degli utili di imprese associate n. 90/463/CEE del 23 luglio 1990.
Articolo 9, comma 1, lettera p)
29
Modifiche all’art. 44 (Estinzione del processo per rinuncia al ricorso)
All’art. 44 comma 2 è stato eliminato l’inciso “che costituisce titolo esecutivo” in quanto l’unico
strumento utilizzabile nell’ambito del decreto è ormai il giudizio di ottemperanza, anche per le
spese legali in favore del contribuente. Diversamente per le spese liquidate in favore dell’ente
impositore e degli altri soggetti equiparati, è prevista l’iscrizione a ruolo dopo il giudicato, come
dispone il nuovo art. 15 comma 4.
Articolo 9, comma 1, lettera q)
Modifiche all’art. 46 (Estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere)
Il comma 2 dell’art. 46 conferma che l’estinzione del giudizio in caso cessazione della materia del
contendere è dichiarata con sentenza o con decreto presidenziale.
Il comma 3 del predetto articolo individua il principio in base al quale, in caso di cessazione della
materia del contendere per sopravvenuta definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge,
le spese del giudizio rimangono a carico di chi le ha anticipate. La modifica si è resa necessaria per
adeguare la disposizione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 74 del 12 luglio 2005, che ha
dichiarato l'illegittimità costituzionale dell’art. 46, comma 3, del decreto nella parte in cui
prevedeva che le spese del giudizio estinto restavano a carico della parte che le aveva anticipate,
non solo nei casi di definizione delle pendenze tributarie previste per legge, ma in ogni caso di
cessazione della materia del contendere.
Articolo 9, comma 1, lettera r)
Modifiche all’art. 47 (Sospensione dell'atto impugnato)
La modifica del comma 3 dell’art. 47 è solo di forma; al comma 5 sempre dell’art. 47 si è
richiamata la garanzia di cui all’art. 69 comma 2.
Al comma 4 dell’articolo 47 è stato aggiunto un nuovo periodo, nel quale si prevede che il
dispositivo dell’ordinanza che decide sull’istanza di sospensione deve essere immediatamente
comunicato alle parti in udienza.
Dopo il comma 8 dell’articolo 47 è stato aggiunto il comma 8-bis, con il quale si stabilisce che
durante il periodo di sospensione si applicano gli interessi al tasso di cui all’articolo 6 del Ministro
dell’economia e delle finanze 21 maggio 2009, relativo agli interessi dovuti per ritardato
pagamento.
Articolo 9, comma 1, lettera s)
Modifiche all’art. 48 (Conciliazione fuori udienza)
Gli articoli 48, 48-bis e 48-ter, sono diretti a disciplinare compiutamente le diverse tipologie di
conciliazione giudiziale, rafforzando l’istituto con l’estensione della sua applicabilità anche ai
giudizi pendenti davanti alla Commissione tributaria regionale, oggi preclusa. La nuova disciplina
consentirà la definizione di controversie, per tutta la durata del giudizio di merito. L’intento di
incentivare il ricorso all’istituto della conciliazione è rinvenibile dalla nuova entità delle sanzioni
irrogabili. Infatti, la disposizione attualmente vigente prevede non solo che l’irrogazione della
30
sanzione è dovuta nella misura del 40% dell’importo conciliato, ma le sanzioni non possono essere
inferiori al 40 per cento dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun
tributo. Diversamente, la nuova formulazione prevede che le sanzioni si applicano nella misura del
quaranta per cento del minimo previsto per legge per le singole violazioni; tale percentuale è la
medesima quale che sia la fase di giudizio in cui la causa viene conciliata. Non si è ritenuto
opportuno prevedere la conciliazione nella fase di cassazione, stante la particolare natura di tale
giudizio, in cui si controverte solo di violazioni di legge con l’esclusione di accertamenti in fatto.
Il comma 1 dell’articolo 48 disciplina la c.d. conciliazione “fuori udienza” prevedendo che se le
parti raggiungono un accordo conciliativo per la definizione totale o parziale della controversia, in
pendenza del giudizio di primo e di secondo grado, possono presentare istanza congiunta
sottoscritta dagli stessi o dai rispettivi difensori.
In caso di conciliazione totale o parziale della controversia, i commi 2 e 3 dell’art. 48 prevedono la
tipologia dei provvedimenti che possono essere adottati dal giudice per dichiarare la cessazione
della materia del contendere
Qualora sia stata già fissata l’udienza, la Commissione pronuncia sentenza ovvero ordinanza se
l’accordo è parziale; in tale ultimo caso la sentenza sarà adottata, infatti, al termine del giudizio di
merito per le questioni che non sono state oggetto di conciliazione.
Se, invece, la data di udienza non è fissata, provvede il Presidente di sezione con apposito decreto.
Il successivo comma 4 del predetto articolo stabilisce che la conciliazione si perfeziona con la
sottoscrizione dell’accordo; detto accordo costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute.
A differenza della vigente disciplina, il perfezionamento dell’accordo avviene non più con il
versamento dell’importo totale dovuto o della prima rata, bensì con la mera sottoscrizione
dell’accordo. In sostanza si è stabilito il principio secondo cui l’intervenuto accordo ha efficacia
novativa del precedente rapporto, con la conseguenza che il mancato pagamento delle somme
dovute dal contribuente porterà solo alla iscrizione a ruolo del nuovo credito derivante dall’accordo
stesso. In caso di mancato pagamento delle somme dovute dall’ente impositore vale invece quanto
già detto per l’accordo di mediazione di cui all’art. 17-bis in ordine al concetto di titolo.
Articolo 9, comma 1, lettera t)
Inserimento dell’art. 48-bis (Conciliazione in udienza) e dell’art. 48-ter (Definizione e pagamento
delle somme dovute a titolo di imposta e di sanzioni)
Con l’articolo esame, al comma 1 si riconosce a ciascuna delle parti la possibilità, entro il termine
di dieci giorni prima della data fissata per l’udienza di discussione, di presentare alla Commissione
tributaria davanti alla quale pende la causa, l’istanza per la conciliazione totale o parziale della
controversia.
Il comma 2 del predetto articolo stabilisce che il giudice, se ritiene che sussistano i presupposti di
ammissibilità dell’istanza (ammissibilità del ricorso introduttivo, imposte di competenza della
Commissione tributaria, esistenza del potere di conciliare ecc..), invita le parti alla conciliazione;
qualora l’accordo conciliativo non si realizzi alla prima udienza di trattazione, il giudice può,
comunque, concedere alle parti un rinvio e fissare una nuova successiva udienza, per l’eventuale
perfezionamento dell’accordo conciliativo ovvero, in mancanza, per la discussione della causa nel
merito.
31
Infine, il comma 3 dispone, invece, che la conciliazione deve risultare da apposito processo verbale
nel quale sono indicate le somme dovute a titolo d’imposta, di sanzioni e interessi; detto verbale
costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per il pagamento delle
somme dovute al contribuente.
In base al comma 4 della disposizione in esame, in caso di avvenuta conciliazione in udienza, il
giudizio si chiude con sentenza di cessata materia del contendere.
L’articolo 48-ter disciplina il pagamento delle somme dovute a titolo di conciliazione, stabilendo la
percentuale delle sanzioni dovute, le modalità di versamento e di recupero delle somme non versate.
Trattasi di disposizioni comuni alla conciliazione perfezionatasi in udienza e fuori udienza.
Il comma 1 del predetto articolo stabilisce che in caso di conciliazione le sanzioni amministrative si
applicano nella misura del quaranta per cento del minimo previsto dalla legge, se la conciliazione si
perfeziona nel corso del primo grado di giudizio e nella misura del cinquanta per cento se la
conciliazione si perfeziona nel corso del secondo grado di giudizio. Trattasi del medesimo criterio
di determinazione della sanzione previsto nella mediazione, fatta salva l’incremento della
percentuale applicabile, posto che la definizione della controversia avviene in una fase successiva
del giudizio.
Il comma 2 dell’art. 48-ter dispone che il versamento dell’intero importo o della prima rata deve
essere effettuato entro venti giorni dalla data di sottoscrizione dell’accordo per la conciliazione
fuori udienza, ovvero della redazione del processo verbale per la conciliazione in udienza.
Il comma 3 prevede che in caso di mancato pagamento delle somme dovute, ovvero anche di una
sola delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, si provvede
all'iscrizione a ruolo delle residue somme dovute e della sanzione di cui all'articolo 13 del decreto
legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, aumentata della metà e applicata sul residuo importo dovuto a
titolo di imposta.
Il comma 4 dell’articolo 48-ter, infine, prevede che per il versamento si applicano, in quanto
compatibili, le disposizioni previste dall’articolo 8 del decreto legislativo n. 218 del 1997, in tema
di accertamento con adesione.
Al riguardo, si è proceduto alla riformulazione dei predetti commi 3 e 4 in risposta alla richiesta di
coordinamento formulata dalle Commissioni riunite II (giustizia) e VI (finanze) della Camera dei
Deputati (lettera o) stante la diversità di disciplina applicabile all’accertamento con adesione, che si
perfeziona con il versamento dell’importo dovuto o della prima rata, rispetto a quella applicabile
all’istituto della conciliazione giudiziale, che si perfeziona invece con la sottoscrizione
dell’accordo.
Articolo 9, comma 1, lettera u)
Modifiche all’art. 49 (Disposizioni generali applicabili)
L’eliminazione dell’inciso “escluso l’art. 337” si è resa necessaria in quanto la disposta esecutività
delle sentenze tributarie rende non più incompatibile la citata disposizione del c.p.c.; inoltre il
comma 2 dell’art. 337 è ritenuto ormai applicabile anche al processo tributario dalla giurisprudenza
(Cass. 17.10.2014 n. 21996).
Articolo 9, comma 1, lettera v)
32
Modifiche all’art. 52 (Giudice competente e provvedimenti sull'esecuzione provvisoria in appello)
All’art. 52 viene modificata la denominazione e vengono aggiunti cinque commi che disciplinano i
poteri cautelari delle parti dopo una pronuncia di primo grado.
In particolare, la sospensione della sentenza è subordinata all’esistenza di “gravi e fondati motivi” al
pari dell’art. 283 c.p.c. La sospensione dell’atto impugnato resta subordinata all’esistenza di un
danno grave e irreparabile, cioè agli stessi presupposti previsti dall’art. 47 per la sospensione in
primo grado. Viene introdotta la possibilità, per il Presidente, di sospendere la sentenza inaudita
altera parte fino alla pronuncia cautelare del Collegio.
Nel secondo periodo del comma 6 dell’articolo 52 si prevede l’applicabilità dell’art. 47, comma 8bis, sulla debenza degli interessi per ritardato pagamento.
Il comma 7 dell’articolo 52 è stato espunto in ossequio al principio di uguaglianza e parità delle
armi nel processo. Analogamente, si è proceduto con riferimento al comma 7 dell’articolo 62-bis.
Articolo 9, comma 1, lettera z)
Modifiche all’art. 62 (Norme applicabili)
All’art. 62 è stato aggiunto il comma 3, prevedendo che sull’accordo delle parti la sentenza della
commissione tributaria provinciale può essere impugnata con ricorso per cassazione a norma
dell'art. 360, primo comma, n. 3, del codice di procedura civile.
L’inserimento del c.d. ricorso “per saltum” anche nel processo tributario, si ritiene possa avere
un’utile funzione deflattiva del contenzioso, consentendo in tempi brevi una pronuncia della Corte
di Cassazione su questioni giuridiche non appena sorte in primo grado.
Articolo 9, comma 1, lettera aa)
Inserimento dell’art. 62-bis (Provvedimenti sull'esecuzione provvisoria della sentenza impugnata
per cassazione)
L’art. 62-bis disciplina i “Provvedimenti sull'esecuzione provvisoria della sentenza impugnata per
cassazione”.
In questo caso la sospensione è subordinata all’esistenza di un danno grave ed irreparabile. La
formulazione è analoga a quella contenuta nell’art. 373 c.p.c. (“Il ricorso per cassazione non
sospende l'esecuzione della sentenza. Tuttavia il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata
può, su istanza di parte e qualora dall'esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno,
disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua
cauzione”) che attribuisce rilievo al solo periculum senza possibilità di valutare il fumus,
coerentemente alla natura della sospensione della sentenza d’appello che viene richiesta allo stesso
giudice, il quale non deciderà però il merito della causa. Per il resto, il rito è analogo all’art. 52, così
come identica è la previsione dell’ultimo comma, secondo cui la sospensione della esecutività della
sentenza favorevole al contribuente consente la riscossione delle somme esigibili nella pendenza del
giudizio di primo grado.
Si è ritenuto preferibile disporre che il ripristino della esecutività fosse sempre riferibile alla
pendenza del giudizio di primo grado, per un duplice motivo. In primo luogo per l’effetto
devolutivo dell’appello, che comporta la definitiva sostituzione della sentenza di primo grado, come
confermato anche dagli artt. 393 c.p.c. e 63 del decreto, i quali prevedono che in caso di
33
annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione della sentenza di appello, se il processo
non viene riassunto si estingue l’intero giudizio (e non passa in giudicato la sentenza di primo
grado). In secondo luogo per una esigenza di semplificazione. La scelta fatta è, inoltre, coerente con
quanto previsto per i casi di annullamento con rinvio da parte della Cassazione, che producono i
medesimi effetti “ripristinatori” della esecutività dell’atto nella pendenza in primo grado (cfr. art.
68 comma 1, nuova lett. d). Nel secondo periodo del comma 5 si prevede l’applicabilità dell’art. 47,
comma 8-bis, sulla debenza degli interessi per ritardato pagamento.
Articolo 9, comma 1, lettera bb)
Modifiche all’art. 63 (Giudizio di rinvio)
Nell’art. 63 al comma 1 il termine per la riassunzione del giudizio dopo la cassazione con rinvio
della sentenza, è stato ridotto da un anno a sei mesi. La riduzione è apparsa opportuna tenuto conto
da un lato di quella già operata per tutte le cause civili dal c.p.c. (il cui art. 393 prevede un termine
per la riassunzione di soli tre mesi), dall’altro che il termine di sei mesi coincide con quello già
previsto dall’art. 43 del decreto per la riassunzione del giudizio interrotto o sospeso. Non si è
ritenuta opportuna la riduzione a tre mesi, termine eccessivamente breve, tenuto conto dei notevoli
pregiudizi (la definitività dell’atto impugnato) che il contribuente può subire per effetto della
mancata riassunzione della causa dopo la sentenza di annullamento con rinvio.
Articolo 9, comma 1, lettera cc)
Modifiche all’art. 64 (Sentenze revocabili e motivi di revocazione)
All’art. 64 del decreto in tema di revocazione, è stato riformulato il comma 1, allo scopo di
eliminare le incertezze interpretative a cui aveva dato luogo il testo vigente.
Articolo 9, comma 1, lettera dd)
Articolo 65 (Proposizione della impugnazione)
In applicazione della delega sui poteri cautelari delle parti, è stato introdotto all’art. 65 il comma 4 il
quale prevede che le parti possono proporre istanze cautelari ai sensi delle disposizioni di cui all’art.
52, in quanto compatibili.
Si è ritenuto preferibile estendere al ricorso per revocazione la tutela cautelare prevista nell’art. 52
per le sentenze di primo grado, non ostandovi ragioni per la più limitata tutela dell’art. 62-bis,
tenuto conto che la revocazione – a differenza del ricorso per cassazione – è decisa nel merito dalla
stessa Commissione.
Articolo 9, comma 1, lettera ee)
Inserimento dell’art. 67 bis (Esecuzione provvisoria)
È stato introdotto l’art. 67-bis il quale prevede espressamente che “Le sentenze emesse dalle
commissioni tributarie sono esecutive secondo quanto previsto dal presente capo.
34
Trattasi di una nuova disposizione, attesa la necessità di introdurre un principio generale che
riconosca l’esecutività immediata delle sentenze tributarie emesse dalle Commissioni tributarie
provinciali e regionali, equiparandole a quelle adottate nel giudizio civile e amministrativo.
L’espresso rinvio nel presente articolo alle sentenze contenute nel capo IV consente di limitare
l’esecutività alle sole sentenze aventi ad oggetto l’impugnazione di un atto impositivo ovvero il
diniego espresso o tacito alla restituzione di tributi.
Articolo 9, comma 1, lettera ff)
Modifiche all’art. 68 (Pagamento del tributo in pendenza del processo)
All’art. 68 al comma 1 è stata introdotta la lettera c-bis), allo scopo di precisare che nei casi in cui è
prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni, l’imposta
con i relativi interessi deve essere pagata per l’ammontare dovuto nella pendenza del giudizio di
primo grado dopo la sentenza della corte di cassazione di annullamento con rinvio e per l’intero
importo indicato nell’atto in caso di mancata riassunzione.
Si è in tal modo colmata una lacuna legislativa in ordine ai poteri degli enti impositori di riscuotere
il tributo dopo una sentenza della Corte di Cassazione di annullamento con rinvio, che ad oggi porta
gli uffici ad agire in modo diversificato (talvolta con la iscrizione a ruolo dell’intero importo).
Come già accennato, la scelta è stata quella di consentire la riscossione del tributo nella misura
prevista nella pendenza del giudizio di primo grado.
Si è ritenuto altresì di codificare il principio costantemente affermato dalla giurisprudenza, secondo
cui in caso di omessa riassunzione dopo il rinvio si estingue l’intero giudizio e diventa definitivo
l’atto originariamente impugnato. Anche di recente la Corte di Cassazione ha infatti ribadito che
“nel giudizio tributario, ove nessuna delle parti si sia attivata per la riassunzione ai sensi dell'art.
392 c.p.c. , l'intero processo si estingue, determinandosi la definitività dell'avviso di accertamento
che ne costituiva l'oggetto (Cass. n. 16689/2013). L'estinzione del giudizio ex art. 393 c.p.c.
comporta infatti il venir meno dell'intero processo, ed in forza dei principi in materia
d'impugnazione dell'atto tributario, la definitività dell'avviso di accertamento e l'integrale
accoglimento delle ragioni erariali (Cass. n. 5044/2012 e in precedenza cass. n. 3040 del 2008 e n.
1824 del 2005)” (Cass. 9.7.2014 n. 15643). L’espressa previsione degli effetti della mancata
riassunzione ha lo scopo di rendere chiare, soprattutto ai contribuenti, le conseguenze
pregiudizievoli che derivano dalla mancata riassunzione del giudizio, indipendentemente da quale
parte sia risultata vittoriosa in cassazione.
Sempre nell’art. 68 è stato modificato il comma 2 integrandolo con la previsione che, in caso di
mancata esecuzione del rimborso, il contribuente può richiedere l’ottemperanza a norma
dell’articolo 70 alla commissione tributaria provinciale ovvero, se il giudizio è pendente nei gradi
successivi, alla commissione tributaria regionale.
Anche in questo caso si viene a colmare una lacuna, che vedeva il contribuente del tutto privo di
rimedi giuridici di fronte all’inerzia dell’ente impositore, che all’esito di una sentenza – anche non
definitiva – favorevole al contribuente, ometteva di eseguire in suo favore il rimborso delle somme
medio tempore riscosse. Il rimedio previsto è dunque quello della ottemperanza, con una specifica
previsione in ordine al giudice competente anche al fine di evitare eventuali incertezze sulla
individuazione della Commissione da adire.
Articolo 9, comma 1, lettera gg)
Modifiche all’art. 69 (Esecuzione delle sentenze di condanna in favore del contribuente)
35
L’art. 69 è stato completamente riscritto e denominato “Esecuzione delle sentenze di condanna in
favore del contribuente”.
La nuova disposizione prevede, come già precisato, l’immediata esecutività delle sentenze di
condanna di pagamento di somme in favore del contribuente nonché di quelle emesse su ricorso
della parte avverso gli atti relativi alle operazioni catastali. Il pagamento di somme può essere
subordinato dal giudice alla prestazione di idonea garanzia qualora superi l’importo di 10.000 euro
ed abbia accertato ed argomentato in sentenza la solvibilità del contribuente, valutata sulla base
della consistenza del suo patrimonio e dell’ammontare delle somme oggetto di rimborso. Il
riferimento al pagamento di somme dell’importo superiore al predetto importo esclude che tale
limite possa operare come una franchigia per le evidenti complicazioni che un tale sistema
provocherebbe.
Il comma 2 dell’art. 69 demanda ad un apposito D.M. la disciplina della garanzia, che dovrà
mutuare quella già in vigore contenuta nell’art. 38-bis del D.P.R. n. 633/1972. Il D.M. dovrà
disciplinare la garanzia, prevedendo la sua durata nonché il termine entro il quale può essere
escussa, a seguito dell’inerzia del contribuente in ordine alla restituzione delle somme garantite
protrattasi per un periodo di tre mesi. La garanzia prevista dalla norma viene richiamata anche in
altre disposizioni (quali ad esempio l’art. 19 comma 3 del D.Lgs. n. 472/1997 in tema di sanzioni),
per evidenti esigenze di omogeneità, certezza e semplificazione.
Il comma 3 dell’art. 69 prevede che i costi della garanzia, anticipati dal contribuente, sono a carico
della parte soccombente all’esito definitivo del giudizio, mentre il comma 4 prevede che il
pagamento delle somme dovute a seguito della sentenza deve essere eseguito entro novanta giorni
dalla sua notificazione ovvero dalla presentazione della garanzia di cui al comma 2, se dovuta.
Infine il comma 5 dello stesso art. 69 consente l’ottemperanza nei casi di inerzia
dell’Amministrazione al rimborso. Il termine di esecuzione della sentenza di condanna in favore del
contribuente è dunque di 90 giorni, a cui vanno aggiunti gli eventuali ulteriori 30 giorni necessari
per l’ottemperanza a norma dell’art. 70 comma 2. Il termine complessivo arriva pertanto a 120
giorni e corrisponde a quello previsto in via generale dall’art. 14 comma 1 del D.L. n. 669/1996 per
l’esecuzione delle decisioni civili nei confronti di soggetti pubblici (“Le amministrazioni dello
Stato e gli enti pubblici non economici completano le procedure per l'esecuzione dei provvedimenti
giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti l'obbligo di pagamento
di somme di danaro entro il termine di centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo.
Prima di tale termine il creditore non può procedere ad esecuzione forzata né alla notifica di atto
di precetto”).
La lettera hh) abroga l’articolo 69-bis del decreto legislativo n. 546 del 1992, per coerenza con la
riformulazione innanzi operata del comma 1 dell’art. 69 del medesimo decreto legislativo.
Articolo 9, comma 1, lettera ii)
Modifiche all’articolo 70 (Giudizio di ottemperanza)
All’art. 70 al comma 1 è stato soppresso l’inciso “Salvo quanto previsto dalle norme del c.p.c. per
l'esecuzione forzata della sentenza di condanna costituente titolo esecutivo”, in quanto, come si è
detto, viene previsto in via esclusiva il rimedio del giudizio di ottemperanza. Al comma 2 dello
stesso art. 70 si precisa che l’ottemperanza può essere richiesta oltre che verso l’ente impositore,
anche nei confronti dell’agente della riscossione o del soggetto iscritto nell’albo di cui all’articolo
53 del decreto legislativo n. 446 del 1997. Come si è già accennato infatti, si è ritenuto opportuno
equiparare, fin dove possibile, gli enti impositori agli agenti della riscossione (di cui all’art. 3,
comma 28, del decreto legge n. 203 del 2005) nonché ai soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo
36
53 del decreto legislativo n. 446 del 1997. In particolare questi ultimi, ancorchè soggetti privati,
esercitano funzioni pubbliche su concessione; da ciò la loro assoggettabilità anche al giudizio di
ottemperanza. La giurisprudenza amministrativa ha infatti da tempo chiarito che “Il giudizio di
ottemperanza è ammesso anche nei confronti di un soggetto tenuto in forza del giudicato al
compimento di attività implicante esercizio di potestà pubbliche, quale il concessionario delegato
all'espropriazione” (Cons. Stato sentenza n. 8250/2010); “Il giudizio di ottemperanza è
ammissibile anche per ottenere il pagamento di una somma di denaro, purchè però nei confronti di
una Pubblica Amministrazione, ovvero nei confronti di un soggetto privato concessionario di
pubblici poteri, per il compimento di attività connesse all'esercizio di questi ultimi” (T.A.R.
Campania, sentenza n. 86/2011).
Infine il comma 10-bis dello stesso art. 70 prevede che per il pagamento di somme dell’importo fino
a 20.000 euro e comunque per il pagamento delle spese di giudizio, il ricorso è deciso dalla
commissione in composizione monocratica.
ARTICOLO 10
Norme di coordinamento
Di seguito le altre disposizioni modificate a fini di coordinamento.
Il comma 1, dell’art. 10 modifica l’art. 63 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Rappresentanza e
assistenza dei contribuenti); in particolare la disposizione in esame reca importanti novità al
comma 3 dell’art. 63, dove si prevede che il Ministero dell’Economia e delle Finanze può
autorizzare all’assistenza tecnica dinnanzi alle commissioni tributarie i funzionari e i dirigenti di
enti impositori e del Ministero, nonché gli ufficiali e ispettori della guardia di finanza. La nuova
disposizione reca un ampliamento dei soggetti che possono ottenere l’autorizzazione, dal momento
che la stessa può essere rilasciata non solo ai dipendenti dell’amministrazione finanziaria
(Ministero dell’economia e delle finanze, Agenzia delle entrate e delle Dogane e dei Monopoli) e
della Guardia di Finanza, ma anche quelli degli altri enti impositori (ad esempio: regioni, province,
comuni). In tal modo viene superata una disparità di trattamento che poteva apparire ingiustificata.
Gli appartenenti alle predette categorie per essere autorizzati devono essere in possesso dei seguenti
requisiti: 1) cessazione dall’impiego a qualsiasi titolo (dimissioni e pensionamento); 2) effettivo
servizio per almeno venti anni, di cui gli ultimi dieci anni nell’esercizio di “attività connesse ai
tributi”, come ad es. verifiche fiscali, attività di accertamento e riscossione dei tributi erariali e
locali.
L’individuazione delle “attività connesse ai tributi” avverrà con il medesimo decreto del Ministro
dell’Economia e delle Finanze da adottarsi ai sensi dell’art. 12, comma 4, del decreto. Infine, allo
scopo di consentire al Ministero di effettuare un controllo sul rispetto dei principi di deontologia
professionale da parte degli iscritti al citato elenco, si prevede che l’autorizzazione possa essere
revocata o sospesa, con provvedimento motivato nelle ipotesi che verranno individuate nel decreto
stesso.
Il comma 4 del predetto art. 63 prevede il divieto di esercitare attività di assistenza e rappresentanza
durante i due anni successivi alla data di cessazione dell’impiego. Si ritiene, infatti, che le
conoscenze acquisite e le relazioni instaurate nel corso del rapporto d’impiego, possano alterare il
corretto svolgimento della difesa in giudizio del contribuente. Il successivo comma 5 provvede
esclusivamente ad aggiornare l’entità della sanzione irrogabile in caso di esercizio delle funzioni in
violazione di quanto previsto nella disposizione, rimasto invariato dal 1973. La nuova sanzione
amministrativa è prevista da un minimo di 1.000 euro a un massimo di 5.000 euro.
37
Il comma 2 contiene una modifica all’art. 14 comma 3-bis del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115
recante Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia.
In particolare il predetto comma 2, contiene modifiche al comma 3-bis dell’art. 14 finalizzate ad
adeguare la predetta disposizione alla nuova formulazione dell’articolo 12 del decreto legislativo n.
546 del 1992.
Il comma 3 reca invece modifiche al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.
In particolare, il comma 3, lettera a) apporta modifiche al comma 3 dell’articolo 19 per adeguare la
disposizione in materia di tutela cautelare con il richiamo alla garanzia di cui all’articolo 69, comma
2, del decreto. Le modifiche apportate invece al comma 6 dell’art. 19 invece riguardano
l’applicabilità delle disposizioni contenute nell’articolo 68, comma 2, del medesimo decreto.
Il comma 3, lettera b) modifica invece, l’art. 22 per renderlo più coerente ai principi previsti in
materia dal c.p.c. (art. 669-sexies) ed è stata prevista la possibilità di utilizzazione della garanzia
prevista dall’art. 69 comma 2 del decreto. Infine, il comma 5 dell’articolo 22 è stato soppresso, in
quanto divenuto superfluo, dopo la devoluzione di tutte le sanzioni tributarie alla cognizione delle
commissioni tributarie, a seguito delle modifiche introdotte nel 2002 all’art. 2 del decreto
legislativo n. 546 del 1992 dall’art. 12 della legge n. 448 del 2001.
ARTICOLO 11
Modifiche al decreto legislativo n. 545 del 1992
Analogamente a quanto previsto dall’articolo 9, l’attuazione della delega nella parte relativa
all’incremento della funzionalità della giurisdizione tributaria, è avvenuta sotto forma di “novella”
del testo del decreto legislativo n. 545 del 1992, relativo all’ordinamento degli organi speciali di
giurisdizione tributaria, introducendo modifiche e integrazioni dei vigenti articoli del suddetto
decreto.
Articolo 11, comma 1, lettera a)
Modifiche all’art. 2 (Composizione delle commissioni tributarie)
Si introduce un criterio di rotazione degli incarichi direttivi analogo a quello da tempo
sperimentato nella giustizia ordinaria quanto a durata e valutazione intermedia (art. 45 d. lgs. 5
aprile 2006, n. 160). La rotazione degli incarichi viene attuata dopo l’ottavo anno di esercizio delle
funzioni di Presidente delle commissioni tributarie, in quanto al termine del suddetto periodo o per
effetto della valutazione negativa avuta al termine del primo triennio dell’esercizio della funzione di
presidente, l’incarico non può essere rinnovato. Viene precisato che il Presidente non può essere
nominato tra soggetti che raggiungeranno l’età pensionabile entro i quattro anni successivi alla
nomina.
Il giudice, sulla base di una sua richiesta, e salvo tramutamento all’esercizio di funzioni analoghe o
diverse, viene riassegnato all’incarico di presidente di sezione nella commissione tributaria a cui era
preposto ovvero in quella di precedente provenienza. Il tramutamento comporta che il Presidente,
all’atto della cessazione dell’incarico, andrà a svolgere altre funzioni analoghe a quelle svolte sino a
quel momento, ovvero funzioni diverse ed inferiori nell’ambito della giustizia tributaria. Resta
ferma la possibilità per il giudice che ha svolto le funzioni di Presidente di Commissione tributaria
di partecipare agli interpelli che verranno banditi dal Consiglio di Presidenza per funzioni analoghe
presso altre Commissioni tributarie.
Articolo 11, comma 1, lettera b)
Modifiche all’art. 6
38
La modifica dell’articolo 6 affida ad un provvedimento del Consiglio di Presidenza l’istituzione di
sezioni specializzate in relazione a questioni controverse e definisce le modalità con cui le diverse
questioni sono assegnate a tali sezioni.
L’assegnazione da parte del presidente della Commissione tributaria deve tener conto,
preliminarmente della istituzione delle sezioni specializzate per materia, all’interno delle quali si
applicheranno i criteri cronologici e casuali. Resta inteso che la istituzione di sezioni specializzate
non comporterà un incremento del numero delle sezioni attualmente vigente, atteso che le stesse
saranno attivate nell’ambito di quelle individuate con il d. m. 11 aprile 2008.
Articolo 11, comma 1, lettera c)
Modifiche all’art. 7 (Requisiti generali)
Al fine di rafforzare la qualificazione professionale dei componenti delle commissioni tributarie
viene inserito tra i requisiti generali il possesso di laurea magistrale o quadriennale.
Articolo 11, comma 1, lettera d)
Modifiche all’art. 8 (incompatibilità)
Al fine di assicurare la terzietà della giurisdizione tributaria, si è ritenuto di intervenire sul fronte
delle incompatibilità; in particolare si è ritenuto di specificare che non possono essere componenti
delle commissioni tributarie coloro che svolgono attività di consulenza tributaria non solo
direttamente ma anche indirettamente, attraverso forme associative, codificando in tal modo quanto
già stabilito dalla giurisprudenza amministrativa (Cfr. TAR Trentino Alto Adige 8 giugno 2006, n.
255; TAR Toscana 10 maggio 2006, n. 2084). Con l’occasione, si è aggiornata la definizione di
incompatibilità di cui alla lettera h) laddove si fa riferimento a coloro che ricoprono incarichi
direttivi o esecutivi nei partiti o movimenti politici.
Articolo 11, comma 1, lettera e)
Modifiche all’art. 9 (Procedimenti di nomina dei componenti delle commissioni tributarie)
Al fine di incrementare la funzionalità della giurisdizione tributaria, con la disposizione in esame si
intende semplificare l’iter di nomina dei giudici riducendo i tempi delle relative procedure
amministrative.
La disposizione in esame prevede l’adozione di un decreto del Presidente della Repubblica
esclusivamente per i casi di prima nomina dei giudici tributari; i trasferimenti e le progressioni in
carriera, avvengono con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.
Per meglio comprendere l’impatto virtuoso della modifica richiesta sul miglior andamento della
giurisdizione, si sottolinea che le procedure vigenti prevedono l’adozione di un decreto del
Presidente della Repubblica per qualunque tipo di nomina sia che riguardi l’ingresso nel ruolo dei
giudici tributari sia a seguito di trasferimento di sede per funzioni analoghe o per progressioni di
carriera.
Articolo 11, comma 1, lettera f)
Modifiche all’art. 11 (Durata dell’incarico e assegnazione degli incarichi per trasferimento)
All’articolo 11 decreto legislativo n. 545 del 1992, che disciplina la durata dell’incarico dei
componenti gli organi giurisdizionali tributari, viene aggiunto il comma 5-bis, al fine di reintrodurre
l’istituto dell’anticipato possesso, nei casi in cui si ravvisino necessità di servizio.
39
Già il decreto legge 20 dicembre 2001, n. 452, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 16 del
2002 con l’articolo 16-quater, comma 1 lett. b), aveva modificato l’allora vigente articolo 11 del
citato decreto n. 545 del 1992, introducendo in calce al comma 1 la possibilità del c.d. “anticipato
possesso”. Ulteriori successive revisioni della norma, che modificarono totalmente anche l’assetto
sistematico dei commi, espunsero tale istituto, che oggi tuttavia si rende necessario reintrodurre.
Con efficienza ed in risposta ai principi di buon andamento dell’amministrazione, a mezzo
dell’anticipato possesso infatti il Consiglio di Presidenza sarà in grado – così come il CSM per la
magistratura ordinaria- di collocare immediatamente i giudici nelle sedi di destinazione,
permettendo la formazione dei collegi senza interruzione delle funzioni e garantendo la celerità dei
giudizi, mentre si completa l’iter burocratico dei decreti di nomina.
Articolo 11, comma 1, lettera g)
Modifiche all’art. 15 (Vigilanza e sanzioni disciplinari)
Con la disposizione in esame nulla è stato modificato in ordine ai soggetti titolari del potere di
vigilanza e al potere sanzionatorio sui giudici tributari né alle modalità di irrogazione delle predette
sanzioni ai medesimi giudici.
Viene precisato, in particolare, che il potere di vigilanza di ogni Presidente sulla propria
Commissione in ordine alla qualità ed alla efficienza dei servizi di segreteria, ha il fine di
segnalarne le risultanze al Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze,
che conserva il compito istituzionale di adottare, anche a seguito della segnalazione del presidente,
i provvedimenti organizzativi degli uffici di segreteria delle Commissioni tributarie necessari a
garantire qualità ed efficienza dei relativi servizi.
Diversamente, con i commi dal 2 al 7, al fine di rafforzare l’imparzialità e la terzietà dell’organo
giudicante, si elencano le sanzioni disciplinari irrogabili, sulla scorta di quelle già previste per i
giudici ordinari. In particolare, si prevedono le seguenti sanzioni disciplinari: l’ammonimento, la
censura, la sospensione dalle funzioni per un periodo da un mese a due anni, l’incapacità ad
esercitare un incarico direttivo e la rimozione dall’incarico. Per ciascuna sanzione sono altresì
tipizzate le condotte punibili, al fine di consentire al soggetto legittimato ad irrogare la sanzione - in
sede di procedimento disciplinare - di assolvere l’obbligo di specificare un capo di incolpazione
puntuale e circostanziato.
Articolo 11, comma 1, lettera h)
Modifiche all’art. 21 (Elezione del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria)
Con le modifiche attuate negli articoli 21, 22 e 23, viene data attuazione al principio della legge
delega contenuto nell’articolo 10, comma 1, lett. b), n. 7), volto ad attribuire direttamente al
Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria le procedure idonee ad assicurare l’ordinato e
tempestivo svolgimento delle elezioni dell’organo di autogoverno.
In particolare, il presente articolo reca la disciplina di dettaglio delle elezioni dell’organo di
autogoverno dei giudici tributari, con conseguente abrogazione dell’attutale decreto del Ministro
dell’economia e delle finanze 19 luglio 2002, n. 184, concernente le modalità di svolgimento delle
operazioni elettorali del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria.
Il primo comma riguarda l’indizione delle elezioni.
Il comma 2 disciplina la composizione dell’ufficio centrale elettorale e prevede che lo stesso è
istituito presso lo stesso Consiglio di presidenza escludendo qualsiasi coinvolgimento delle strutture
del Ministero dell’economia e delle finanze.
I successivi commi 3, 4 e 5 regolamentano la presentazione delle candidature e l’accertamento dei
relativi requisiti di legge da parte dell’Ufficio centrale.
I commi 6 e 7 prevedono le modalità di svolgimento delle operazioni elettorali presso le sedi delle
Commissioni tributarie provinciali e regionali, dove sono istituiti gli uffici elettorali locali.
40
Da ultimo, il comma 8 demanda le disposizione di attuazione del presente articolo ad un apposito
regolamento emanato dal Consiglio di presidenza della giustizia tributaria.
Articolo 11, comma 1, lettera i)
Sostituzione dell’art. 22 (Votazioni)
La disposizione in parola contiene la disciplina di dettaglio delle operazioni di voto, prevedendo
forme e modalità procedimentali utili ad assicurare lo svolgimento tempestivo delle elezioni del
Consiglio di presidenza e a dirimere eventuali contenziosi.
I commi 1 e 2 dell’art. 22 stabiliscono che ciascun elettore non può indicare più di sei candidati e
che il voto, personale e segreto, è espresso dal giudice tributario presso la sede di Commissione
dove esercita la propria funzione giurisdizionale.
I commi 3 e 4 dello stesso articolo prevedono che le operazioni di scrutinio siano effettuate dagli
uffici elettorali locali, che le attestano in apposito processo verbale e decidono sulle eventuali
contestazioni sorte durante le operazioni di voto e su quelle in ordine alla validità delle schede.
Infine, ai sensi del comma 5, i verbali di scrutinio sono trasmessi dagli uffici elettorali locali
all’ufficio centrale presso il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria per la proclamazione
degli eletti.
Articolo 11, comma 1, lettera l)
Modifiche all’art. 23 (Proclamazione degli eletti. Reclami)
La disposizione in esame è finalizzata a razionalizzare il meccanismo di proclamazione degli eletti e
a rendere celere l’insediamento del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria nella sua nuova
composizione, assicurando, al contempo, la continuità con il Consiglio uscente.
In particolare, al comma 1, si prevede che i nominativi degli eletti debbano essere comunicati anche
al Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze.
Mentre, al comma 3-bis, si stabilisce che il Presidente in carica convochi il Consiglio nella nuova
composizione entro quindici giorni dall’emanazione del decreto del Presidente della Repubblica di
costituzione del nuovo organo di autogoverno.
Ai sensi del comma 3-ter, infine, viene previsto che fino all’insediamento del nuovo organo, il
Consiglio uscente continua a svolgere le proprie attività, nonostante la scadenza del termine di
durata di quattro anni.
Articolo 11, comma 1, lettera m)
Modifiche all’art. 24 (Attribuzioni)
La disposizione interviene, modificando il comma 1, lettera h) dell’art. 24 con cui è delegata
all’organo di autogoverno la formazione permanente dei giudici tributari, anche in sede decentrata,
ai fini della localizzazione dei processi formativi e del contenimento della spesa, nell’ambito degli
stanziamenti annuali di bilancio in favore del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria.
Articolo 11, comma 1, lettera n)
Modifiche all’art. 29 (Alta sorveglianza)
In attuazione del criterio di delega di cui all’art. 10, comma 1, lettera b) n. 12, ai fini di un più
efficace monitoraggio, sono stati fissati nuovi termini per rendere al Ministero dell’economia e delle
finanze le occorrenti informazioni per la relazione annuale sullo stato della giustizia tributaria che il
41
Ministro deve presentare al Parlamento entro il 30 ottobre di ciascun anno. Al fine di rafforzare il
contenuto informativo della relazione ministeriale, tra gli elementi da comunicare sono stati
espressamente considerati quelli relativi alla durata dei processi e all’efficacia degli istituti deflattivi
del contenzioso.
TITOLO III
ARTICOLO 12
Disposizioni transitorie
Le disposizioni transitorie prevedono al comma 1 che le nuove norme si applicano a decorrere dal
1° gennaio 2016, ad eccezione di quella di cui al comma 5 che entra in vigore dalla data di
pubblicazione del decreto in esame nella Gazzetta Ufficiale. Invece, le disposizioni in materia di
esecutività delle sentenze contenute nelle lettere ee), gg) e hh) del comma 1 dell’articolo 9 entrano
in vigore dal 1° giugno 2016.
In particolare, relativamente alle norme processuali (TITOLO II) queste si applicheranno a tutti i
giudizi in corso, non essendo stata ritenuta opportuna una previsione di applicabilità limitata ai soli
nuovi giudizi. Un tale sistema infatti verrebbe a creare un nuovo rito, che coesisterebbe con il
vecchio per le cause anteriori generando confusione ed incertezze.
Il comma 2 prevede che fino all’approvazione dei decreti previsti dagli articoli 12, comma 4, e 69,
comma 2, del D.Lgs, n. 546/92, restano applicabili le disposizioni previgenti di cui ai predetti
articoli 12 e 69.
Il comma 3 prevede che le disposizioni che consentono la notifica e il deposito telematici ai sensi
del nuovo articolo 16-bis del D.Lgs, n. 546/92, entrano in vigore a seguito dell’adozione dei decreti
del Ministero dell’economia e delle finanze attuativi dell’articolo 3, comma 3, del regolamento 23
dicembre 2013, n. 163, in materia di processo tributario telematico.
Il comma 4 stabilisce che la disposizione relativa alla durata quadriennale degli incarichi di
Presidente delle commissioni provinciali e regionali si applica agli incarichi in corso alla data di
entrata in vigore del presente decreto, tenendo conto anche del periodo maturato alla medesima data
nelle relative funzioni.
Il comma 5, ai fini di un coordinamento generale della attività svolte dalla giurisdizione tributaria,
prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 2015, la competenza sugli atti pendenti e su quelli
sopravvenuti rientranti nella giurisdizione della cessata Commissione tributaria centrale è attribuita
alla Commissione tributaria regionale del Lazio.
ARTICOLO 13
Disposizione finanziaria
La disposizione quantifica gli oneri derivanti dal presente provvedimento e reca la relativa
copertura attraverso la riduzione della dotazione del fondo di cui all'articolo 16, comma 1, ultimo
periodo, della legge 11 marzo 2014, n. 23.
42