Agostino Giovagnoli, Il viaggio di De Gasperi in USA, in Il

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Agostino Giovagnoli, Il viaggio di De Gasperi in USA, in Il
Agostino Giovagnoli, Il viaggio di De Gasperi in USA, in Il parlamento italiano 1861-1988, vol.
14, Nuova CEI, Milano 1989, pp. 257-259.
Il viaggio di De Gasperi nel gennaio 1947 è rimasto nel ricordo collettivo come un avvenimento
memorabile. Simbolo di una ripresa di rilevanza internazionale dell’Italia dopo la sconfitta della
guerra e l’umiliazione della pace, il viaggio parve allora un clamoroso successo personale del
leader democristiano, nonché un avvenimento politico di prima grandezza, anche per i suoi riflessi
nelle vicende interne del Paese. Con gli anni, questo viaggio subì anche una sorta di trasfigurazione
nell’immaginario politico collettivo, segno tangibile dell’interferenza americana nelle vicende
italiane, a difesa della «libertà», secondo alcuni, in spregio dell'indipendenza italiana, secondo altri.
Tutti i successivi viaggi di presidenti del Consiglio italiani negli Stati Uniti, ormai innumerevoli,
hanno sempre dovuto subire il confronto con questa mitica vicenda, nel vano tentativo di
eguagliarne l'importanza e le risonanze.
La ricostruzione storica di questo episodio, ha invece fatto emergere una «prosa» assai
contrastante con il mito successivo. Ha certamente una rilevanza storica anche la risonanza avuta da
quel viaggio, soprattutto in Italia, sproporzionata rispetto ai risultati obbiettivi raggiunti. Ma tale
risonanza rientra in un fenomeno più ampio, che interessa tutto il dopoguerra: essa è infatti
rivelatrice di un humus in cui l'opinione pubblica, le forze politiche, i leaders erano profondamente
inseriti. Si tratta di quel nazionalismo latente che, fortemente alimentato nel ventennio precedente,
era stato ulteriormente acuito dalla sconfitta bellica e dalle pesanti condizioni della pace. Presso
l'opinione pubblica rimasero a lungo al primo posto le inquietudini legate alla collocazione
internazionale del Paese, ma questo umore contagiava spesso anche politici e diplomatici, fino ad
emergere persino nelle file comuniste.
La notizia del viaggio suscitò clamore ed agitazione tra i protagonisti della vita pubblica. Nenni,
allora ministro degli Esteri, tenuto all’oscuro dell’iniziativa, secondo le fonti diplomatiche
americane cercò di compiere un analogo viaggio in Inghilterra per riequilibrare in termini di
immagine, la mossa degasperiana. Enrico De Nicola, capo provvisorio dello Stato, cercò di
scolorirne il significato politico, ringraziando gli americani per quest’invito che suonava atto di
fiducia «verso la nuova Italia» e presenziando alla partenza dell' aereo che portava De Gasperi
oltreoceano. Numerose le manovre occulte di ambienti politici, economici, diplomatici, per
influenzare il significato dci viaggio e l’uso del medesimo in termini di immagine, puntualmente
registrati dai documenti diplomatici. I comunisti, invece, assai critici verso questo gesto di
servilismo nei confronti degli americani, finirono piuttosto per esaltare, sia pure in negativo, il ruolo
di De Gasperi, facendone l’unico artefice dell’iniziativa e l'unico responsabile dei suoi esiti politici.
Su questa base, si costituì successivamente una sorta di leggenda intorno a questo viaggio, che
appartiene anch’essa alla storia dell’Italia repubblicana, ma ha assai scarse relazioni con la realtà
concreta di quella vicenda specifica. In seguito, con la spaccatura verificatasi nel maggio ‘47 e
ancor più con la contrapposizione del ‘48, la rottura tra Dc Gasperi e le sinistre venne sempre più
retrodatata e quel viaggio fu sempre più insistentemente indicato come la premessa segreta
dell’accordo tra americani e De Gasperi per «liquidare» i comunisti. In questo modo si è perso di
vista la realtà concreta e l’autentico spessore politico della vicenda, complessivamente più
«modesto» delle mitizzazioni successivamente compiute, ma indubbiamente rilevante nella storia
italiana del dopoguerra.
Il viaggio in America fu fin dall’inizio un obbiettivo voluto e perseguito da De Gasperi, assai più
che dagli americani. Tracce di tentativi degasperiani per intraprendere un viaggio negli Stati Uniti
risalgono già alla primavera 1945, quando un passo in questo senso fu bloccato sul nascere
dall’amministrazione americana. De Gasperi era da pochi mesi alla guida del dicastero degli Esteri,
la cui attività era rigidamente controllata dalle autorità militari alleati. Con il capo di questa,
1'ammiraglio Stone, De Gasperi ebbe numerosi motivi di attrito. La limitatissima libertà d’azione di
cui godeva il governo italiano era infatti mal sopportata dal responsabile degli Esteri, preoccupato
di avviare il più rapidamente possibile una ripresa dell’azione italiana in campo internazionale,
quale soggetto sovrano ed autonomo anche per modificare il pesante quadro che si andava
delineando per l'Italia nel dopoguerra .
La genesi primitiva del viaggio negli Stati Uniti va dunque collocata in un contesto di
«debolezza» della classe politica italiana, connessa ai limitati margini di autogoverno di cui godeva
il Paese dopo la sconfitta. In questa debolezza complessiva si inquadrava anche la scarsa attenzione
rivolta dagli americani verso il leader democristiano. Non vi fu infatti prova di un particolare favore
americano per De Gasperi, almeno in una prima fase, anche per una certa cautela degli interlocutori
italiani, compresi quelli vaticani, che appoggiavano l'uomo politico trentino. Rivelatore è in questo
senso il quadro tracciato da monsignor Tardini a Myron Taylor, poi pubblicato da Di Nolfo, in cui il
nome di De Gasperi viene significativamente pronunciato, ma senza lasciar intendere una
«investitura» vaticana. È dunque da presumere che all’interno della strategia degasperiana di
ristabilire le relazioni da governo a governo, evitando il filtro delle autorità militari di occupazione,
trovasse spazio anche la preoccupazione di un leader politico di ottenere consenso ed eventuale
appoggio da parte di un interlocutore internazionale così importante.
Successivamente il progetto degasperiano, mai abbandonato, si veniva caricando di ulteriori
motivi di interesse ed urgenza. In particolare alla fine del ’46 veniva a delinearsi una situazione
economica, e in prospettiva anche sociale, assai grave. Condizioni naturali particolarmente pesanti
per l'agricoltura si intrecciavano con la crescente emersione dei drammatici nodi economici del
dopoguerra, mentre si delineava una drastica riduzione e poi la definitiva interruzione degli aiuti
UNRRA, sostenuti finanziariamente dagli Stati Uniti per il 75%. Contemporaneamente la
conclusione delle vicende relative al trattato di pace, avevano sgombrato il campo dal più grosso
ostacolo che sul piano diplomatico si era fin lì frapposto alla realizzazione del viaggio: il 12
dicembre ’46 De Gasperi riceveva il definitivo assenso americano ad una sua antica richiesta,
seppure, come d'uso, ufficialmente il presidente del Consiglio italiano veniva invitato negli Stati
Uniti .
Accompagnato dal clamore di cui si è detto De Gasperi con la figlia Maria Romana partiva il 4
gennaio da Ciampino. «Solo i santi – confidava ad Andreotti – potranno far andar bene il viaggio».
La frase riportata dal suo attento biografo è probabilmente meno convenzionale di quanto si
potrebbe pensare. Il viaggio era stato preceduto da una difficile trattativa, nel corso della quale De
Gasperi aveva chiesto qualche garanzia sull’esito positivo di almeno una parte delle questioni in
sospeso senza tuttavia ottenere dagli USA nessuna assicurazione. Da parte loro gli americani
chiedevano sia di dare la massima pubblicità possibile al viaggio, sia di mettere bene in luce che
non esisteva nessuna preferenza particolare per il leader democristiano e di trasformare il viaggio in
un’occasione per accrescere la popolarità americana in Italia. Massima era dunque l'incertezza su
quello che sarebbe stato l’atteggiamento americano.
Il 6 gennaio si svolgeva il primo colloquio con Byrnes, alla presenza dei soli ambasciatori. Dopo
un approccio generico – amicizia tra i due Paesi, pericolo comunista, benevolenza americana ecc. –
De Gasperi entrava nel merito di una serie di richieste di natura economica, dalla continuazione
degli aiuti UNRRA ad un nuovo programma di sostegno per la fase successiva. Su quest’ultimo
punto, Byrnes aveva appena finito di spiegare che ormai tutto dipendeva dal Congresso dove
dominava una maggioranza repubblicana e perciò ostile a questi progetti, quando il colloquio si
interrompeva bruscamente: Byrnes era infatti chiamato dal presidente Truman per colloqui gravi ed
urgenti. Si preparavano le sue dimissioni e la sua sostituzione con Marshall. La missione italiana si
trovava a Washington in un momento di grave crisi politica senza un interlocutore ad alto livello.
La sera, De Gasperi e Byrnes si ritrovavano nell’affollato ricevimento offerto dal Dipartimento
di Stato e qui Byrnes tesseva un elogio pubblico di De Gasperi, probabilmente non solo di
circostanza. L'uomo politico italiano riuscì infatti a suscitare una certa carica di stima verso la sua
persona in questi ambienti internazionali. Sotto questo profilo il viaggio in America fu un successo.
Ma la stima di Byrnes non modificava una certa intransigenza del Dipartimento di Stato.
L’indomani, in un successivo incontro tra le due delegazioni, le posizioni erano ancora più distanti.
Gli uffici del Segretario di Stato avevano preparato un memorandum imperniato sul concetto che
l’Italia era ormai in grado di fare da sé, mentre Dc Gasperi concentrava le sue richieste su un unico
punto, un prestito industriale dell’Export-Import Bank ad alcune grandi imprese italiane, garantito
dal governo stesso. Era in qualche modo il punto di arrivo di una richiesta di entità dieci volte
superiore formulata un anno prima dal ministero degli Esteri italiano.
Perché la delegazione italiana si concentrava su questa richiesta che venne infine parzialmente
accolta? Tra i due colloqui con Byrnes gli italiani avevano indubbiamente cambiato la loro
strategia. È probabile che De Gasperi si sia lasciato influenzare dal suo consigliere economico
Campilli o dai suggerimenti del direttore generale della Banca d’Italia. Menichella, favorevole a
questa scelta. Ma va sottolineato come ormai il clima politico americano fosse favorevole a forme
di aiuto non più a fondo perduto, ma presentabili sotto forma di investimenti o almeno di prestiti
destinati prima o poi ad un rientro. Sotto questo profilo il viaggio in America segna un
cambiamento nei rapporti economici tra i due Paesi, strettamente correlati alla nuova influenza
politica repubblicana, capace di produrre effetti immediati e sensibili su questo terreno, meno
probabilmente su terreno più squisitamente politico.
De Gasperi continuava il suo viaggio negli Stati Uniti illustrando a diversi uditori la sua fiducia
in un nuovo sistema di relazioni internazionali, in cui il criterio della forza non costituisse più il
cardine dei rapporti tra gli Stati: all’Italia, Paese sconfitto, attribuiva la volontà di esprimere davanti
ai forti e ai vincitori le ragioni di tutti i deboli nel consesso internazionale. Ma la parte più
propriamente politica si era già conclusa a Washington. Qualche giorno dopo il Dipartimento di
Stato tracciava un bilancio, inviandolo all'ambasciata americana a Roma.
«Lo scambio di vedute reso possibile dalla visita di De Gasperi ha sottolineato da una parte i
bisogni economici italiani [...] dall’altra la determinazione e la capacità del governo e del popolo
italiano a superare le presenti difficoltà e a ricostruire una stabile e democratica Italia ...».
Problemi economici del Paese e affidabilità politica italiana, appaiono dunque agli occhi
americani i principali argomenti che la delegazione italiana aveva voluto illustrare. A grandi linee la
strategia degasperiana durante questo viaggio, appariva in continuità con quella di due anni prima.
Obbiettivo del presidente del Consiglio italiano era di ottenere aiuti concreti per facilitare la
stabilizzazione economica e sociale italiana. Sul piano politico è evidente l'interesse ad ottenere la
fiducia americana nella capacità del governo in carica e in genere della classe politica italiana di
controllare la situazione. Sul piano più personale, è ipotizzabile l'interesse del Leader democristiano
ad ottenere un maggior consenso americano verso il suo partito e la sua politica.
Una ulteriore luce sui riflessi politici del viaggio, viene dalla crisi di governo che seguì
immediatamente nel gennaio ‘47. Con la motivazione della divisione operata nel Partito socialista,
De Gasperi diede le dimissioni per formare un nuovo governo, dando vita a quella che è stata
definita la «crisi inutile». Tuttavia, la «crisi inutile» porta alla riunificazione di Tesoro e Finanze
nelle mani di Campilli, e la nomina di Vanoni al Commercio estero, di Scelba all’Interno e di
Sforza agli Esteri. Uomini vicini al presidente del Consiglio erano dunque posti in dicasteri chiave:
il risultato diretto di questa crisi fu un rafforzamento della posizione degasperiana.
In America, Dc Gasperi contrattò l'eliminazione dei comunisti dal governo? Dai documenti non
emerge nessuna traccia di ciò ed è rilevante 1’esistenza di un considerevole lasso di tempo tra quel
viaggio e la rottura dell’alleanza tripartita nel maggio '47. Inoltre, nessuna delle due parti aveva
probabilmente interesse in quel momento a compiere una scelta di questo tipo. Da parte americana,
come ha scritto Di Nolfo, non erano ancora del tutto chiusi gli spazi per una permanenza delle
sinistre al governo, da parte di De Gasperi obiettivo principale in quel momento era rafforzare e non
indebolire il governo. In questa luce, il viaggio in America viene come spogliato dal clamoroso
significato che a lungo gli è stato attribuito. Viceversa, appare un episodio rilevante di quella
paziente tessitura di consenso che il leader democristiano venne realizzando su tutti i fronti, per
affermare insieme il diritto italiano all'autogoverno e la preminenza del suo partito sulla scena
politica italiana.