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Marzo 2009 numero 1
2.0
De:Facto
Sommario
Sommario
Copertina di Werther Dell’Edera
De:Rive - Editoriale
De:Facto - “Double or Nothing”: intervista a Tito Faraci
Mixtape
De:Finizioni - La doppia carriera di Mr. Bolland
De:Coder - Doppi e doppioni dell’italica editoria
De:Finizioni - Elogio del doppio: dal Multiverso a Batman R.I.P.
Sparring Partners
De:Finizioni - Doppio Mistico: dualismo religioso nella mitologia e nei comic books
De:Facto - Doppio Mento: i supereroi decaduti di Donald Soffritti
De:Finizioni - Floyd Gottfredson ed i pericolosi doppi di Topolino
Guest List - “Ciao, facciamo un doppio?’
De:Finizioni - Promethea: la doppia natura dell’esistenza
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 2
pag. 3
pag. 4
pag. 10
pag. 11
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pag. 16
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pag. 31
pag. 36
pag. 42
pag. 48
pag. 51
De:Rive
Editoriale
a cura della Redazione
Chi ha seguito le vicende di Rorschach (prima e-zine e successivamente sito
web), di Comics Code e infine di De:Code, sa che ci piacciono le sfide e il cambiamento. Non solo, dopo qualche tempo, sembra che per noi il cambiamento
non solo sia auspicabile, ma necessario.
In questo senso, vista anche una certa attitudine retro, ci è sembrata naturale
una nuova incarnazione virtuale che avesse in sé i semi di quell’atteggiamento
“antitecnologico” che ci ha spesso caratterizzato ma che allo stesso tempo potesse avvantaggiarsi delle nuove tendenze del web.
Questo significava una cosa sola: un nuovo formato (il PDF), una nuova “casa”
(Glamazonia) e soprattutto un nuovo atteggiamento. In parole povere, l’impostazione apparentemente “vecchia” del PDF ci permette comunque l’introduzione di hyperlink in un formato rivista tradizionale, la “casa” di Glamazonia
ci mette a disposizione un forum dedicato per discutere di De:Code 2.0, ma
soprattutto il nuovo atteggiamento ci porta a cercare di confezionare qualcosa
di “diverso”, in ossequio a quella tendenza web che, insieme ai grandi fenomeni di globalizzazione, esalta la specializzazione più estrema. Ecco, questa è la
nostra ambizione: creare contenuti che non possiate trovare altrove, quantomeno nella griglia delle webzine “tradizionali”. Da qui la scelta di fare numeri
monografici, ognuno dedicato ad un tema diverso, e soprattutto di affrancarsi
quando possibile dal giogo spesso scomodo dell’attualità, abolendo le recensioni e scegliendo in toto l’analisi critica, a metà fra l’approfondimento serio e
le varie sfumature del sarcasmo (o cazzeggio, scegliete voi la definizione che
più vi si attaglia).
In questo senso, il numero che avete di fronte (allo schermo), dedicato al tema
del “doppio”, fornisce la perfetta chiave per decodificare questo nuovo corso.
Dietro la copertina dedicata a Dr. Jekyll & Mr. Hyde, visti in versione “orientale” dal bravissimo (e lanciatissimo) Werther Dell’Edera, troviamo una settantina di pagine di analisi fumettistica. Si parte con una interessante intervista a
Tito Faraci, uno degli autori più noti del fumetto popolare italiano, impostata
unicamente sulle varie dicotomie di volta in volta incarnate dalla sua opera.
Seguono un esaustivo excursus sul doppio come elemento caratterizzante del
cosmo DC Comics, una chiacchierata con l’ottimo Donald Soffritti sui suoi “supereroi decaduti”, doppi imbolsiti delle icone USA, una revisione critica della
doppia carriera mainstream-underground di un cartoonist-illustratore amato
come Brian Bolland, un’analisi dei dualismi religiosi nei comic books, una ironica tirata contro i doppi e doppioni nelle edizioni dell’industria fumettistica
italiana, e un pezzo analitico sulla doppia natura dell’esistenza in Promethea e
un approfondimento sui pericolosi “doppi” disneyani di Gottfredson.
Completano il panorama alcune rubriche abbastanza inedite, come Sparring
Partners, botta e risposta telematico su Skype, Mixtape, un blob di citazioni a
tema, e la Guest List, che di volta in volta presenterà il contributo di un autore
diverso in relazione al tema trattato. Questa volta è Roberto Recchioni a parlarci dei “doppi” da giocare ai videogames.
Sperando che il nuovo corso di De:Code 2.0 sia di vostro gradimento, vi aspettiamo per commenti, suggerimenti e quant’altro, sul forum di Glamazonia.
Sappiateci dire.
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 3
De:Code
2.0
rivista bimestrale in formato PDF
anno 1, numero 1, marzo 2009
Redazione
Nicola Peruzzi
Simone Satta
Antonio Solinas
Hanno Collaborato
Andrea Cantucci
Werther Dell’Edera (http://wertherdelledera.blogspot.com)
Tito Faraci (http://titofaraci.nova100.ilsole24ore.com/)
Roberto Recchioni (http://prontoallaresa.
blogspot.com/)
Donald Soffritti (donaldsoffritti.blogspot.
com)
Links De:Code
sito ufficiale vecchia versione
http://www.de-code.net
homepage Glamazonia
http://www.glamazonia.it/
forum di Glamazonia
http://www.glamazonia.it/board/index.
php
forum dedicato su Glamazonia
http://www.glamazonia.it/board/de-code2-0-f-59.html
De:Facto
INTERVISTA
loro, così come è naturale leggere
cose molto diverse fra loro. Ma mi
rendo conto che per la maggior
parte degli autori non sia così (e
questa, però, non è una critica). In
ogni caso, c’è un elemento di coerenza: sono un autore “di genere”,
perché in questo ambito rientrano
commedia, horror, fantascienza,
western...
Quanto alle case editrici, ho sempre ottenuto lo stesso rispetto che
ho dato. La sfida, da vincere, è essere Autori all’interno del fumetto
popolare (ma sarebbe interessante anche essere Popolari all’interno del fumetto d’autore).
A proposito di doppiezza, la dicotomia è stata presente nella tua
vita professionale sia dall’inizio,
visto il tuo passato di musicista.
Quale è stata la molla che ti ha
fatto passare dalla musica estrema alle sponde molto più “consolanti” del fumetto mainstream
italiano?
“Double or Nothing”: Intervista a
Tito Faraci
di Antonio Solinas
Prima di questa intervista, avevi
mai visto la tua carriera in termini di assoluta doppiezza (realistico-umoristico, Tex-Diabolik, indipendente con BD-”corporativo”,
e via dicendo)?
Be’, doppiezza non suona molto
bene. Sembra un po’ una vocazione al tradimento. Mentre è sempre
fatto tutto con molta e sincera ispirazione. Per me è perfettamente
naturale scrivere cose diverse fra
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 4
Non so se il fumetto popolare,
mainstream sia poi così consolante. Se lo sia sempre. Riguardando
certe mie storie di Topolino, le sento attraversate anche da una grande inquietudine. Sono storie dove
ho sperimentato molto, anche in
termini di linguaggio. E le sento, a
loro modo, estreme. Nella musica
io ho sempre apprezzato la coerenza. Che a volte spinge ai limiti,
all’estremo.
Sempre per quanto riguarda la
musica, invece, quanto pensi ti
abbia aiutato l’approccio rigoroso e “quadrato” di certo thrash
nella tua formazione di sceneggiatore di fumetti?
Eh, questo è interessante. In effetti, in un certo Metallo Pensante (come mi è sempre piaciuto
chiamarlo) ho sempre apprezzato
rigore, precisione, un uso funzionale - non circense! - della tecnica.
Forse è stato un buon esempio,
De:Facto
INTERVISTA
estrema col fumetto? Che cosa ti
ha trattenuto dal farlo, nel caso?
Un giorno lo farò. Mi ha trattenuto la mancanza di un’occasione,
finora. Forse me la creerò. La rappresentazione della violenza, con
la sua sublimazione, è da sempre
una componente importante della nostra cultura. La violenza è stata rappresentata in tutte le forme
d’arte.
anche per altre cose, non musicali.
Hai mai pensato di veicolare la
brutalità di certa musica metal
Parliamo degli inizi. La prima cosa
tua che mi ricordo di aver letto
è un omaggio a Kirby in Arthur
King. Cosa ti spinse a omaggiare
un personaggio così importante
in un fumetto che invece aveva
una impronta (anche parodistica) abbastanza italiana?
Penso che c’entrassero l’amore, la
passione. Dal fumetto americano,
ho imparato molte cose - soprat-
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tutto un certo modo di raccontare i personaggi da dentro - che ho
applicato altrove.
Come è avvenuto poi, più o meno
nello stesso periodo, il passaggio
da indie ad autore mainstream
con la Disney?
È stato un caso. Una gigantesca
fortuna. Dopo avere perso un “impiego sicuro”, ero finito a collaborare con una agenzia editoriale
che, a sua volta, collaborava con
la Disney. Da qui il contatto con
la redazione di Topolino, il primo
soggetto proposto e approvato… e
tutto il resto, accelerando.
Il tuo Topolino è quello certamente più noir di sempre. Come
ti è venuta l’idea di usare i topoi
delle “crime stories” e applicarli a
Topolino, e quanto è stato facile
“rischiare” in questo senso?
De:Facto
È stato naturale. Oggi mi dico:
ehi, ho avuto coraggio! All’epoca,
mi sembrava giusto così e basta.
Scrivevo un Topolino che attingeva dalla lezione di Gottfredson
e Scarpa, soprattutto. Autori di
grandi storie criminali, anche.
Quando ti eri già costruito una
rispettata carriera in Disney, è
scattato nuovamente il tuo “lato
doppio”, e sei diventato anche
uno sceneggiatore realistico per
Bonelli ed Astorina. Quali sfide
ha comportato questa trasformazione e come le hai affrontate?
Di Diabolik apprezzavo il coraggio, l’aver saputo essere fumetto
scomodo, fumetto “contro”. E la capacità di essere calato nel proprio
tempo. Abbiamo fatto un grande
lavoro, in questa direzione, negli
ultimi anni. E questo grazie all’illuminata guida di Mario Gomboli.
Al mondo Bonelli ero legato come
lettore, prima di tutto. Penso
INTERVISTA
all’amore per Tex, che ora scrivo.
Un sogno realizzato. Con la Bonelli
ho potuto lavorare sul Mito.
Sul versante realistico, ti sei misurato su due icone assolute del
fumetto italico, ovvero Tex e Diabolik, come dire il buono ed il
cattivo per antonomasia, almeno
a livello italiano. Quali differenze
ci sono, al di là dei format imposti
dalle case editrici, nello scrivere
due personaggi così antitetici?
Le differenze più grosse naturalmente nascono dalla specificità
dei personaggi. In estrema (e riduttiva) sintesi, posso dire che per
Diabolik conta “cosa” racconti, e in
Tex “come” racconti.
Sei uno sceneggiatore che rappresenta un paradosso interessante, essendo uno di quelli che,
pur portando avanti un approccio realistico, più hanno lavorato
nei luoghi classici dell’immagiDe:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 6
nario (vedi Clerville e Topolinia,
piuttosto che l’America di Brad
Barron o di Tex). Quanto pensi
che lo svincolarsi dalle minuzie “tecniche” della vita di tutti i
giorni e del realismo “ambientale” abbia favorito la tua sceneggiatura realistica?
Per quanto riguarda Diabolik, una
volta accettati alcuni assunti straordinari (l’esistenza delle maschere, i trucchi…), il racconto si svolge
in un universo di “straordinario
realismo”. Ma questa è una buona
carta in più, da giocare. Brad Barron viaggia nei territori del Mito, è
vero. Questo ti fa sentire più libero,
ma solo fino a un certo punto. Perché devi comunque confrontarti
con un sistema di riferimenti, di
attese del lettore (che puoi anche
scientemente disattendere).
Torniamo alle ultime esperienze
Bonelli. Sei uno sceneggiatore
formatosi sulle serie a continua-
De:Facto
INTERVISTA
un lavoro di sintesi e rielaborazione dei codici del fumetto bonelliano classico.
Brad Barron, in maniera neanche
tanto nascosta, era un eroe tutto
d’un pezzo sulla falsariga di Tex
(una specie di suo “doppio” moderno). Quali le ragioni di questa
scelta e quali gli aspetti dell’eroe
“classico” che hai voluto enfatizzare nella figura del soldatoscienziato?
Era un momento della mia carriera in cui, dopo moltissime storie
di taglio corale (in Disney, ma non
solo), volevo tenere al certo l’eroe.
Colui che con la sua presenza modifica tutto il mondo, attorno a sé.
Paradossalmente, questo classicismo per me è stato un momento
di sperimentazione.
zione, eppure hai avuto l’onore di
fare esordire l’ondata di miniserie
Bonelli. Un altro caso di doppiezza? Che cosa ci puoi raccontare
dell’esperienza miniserie?
No, nessuna “doppiezza” (ma che
brutta parola). Brad Barron è stato
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In qualche maniera, è sembrato a
molti che la mini abbia un po’ faticato a svilupparsi, nonostante il
convincente finale. A posteriori,
ti senti di avere fatto qualche errore “d’inesperienza” sulla distanza dei 18 numeri, o va bene così?
Su quasi duemila pagine, è chiaro
De:Facto
che non posso essere contento di
tutte al 100%. Forse avrei potuto fare percepire di più una certa
continuity, che in effetti c’era e si
è rivelata come tale negli ultimi
episodi, quando elementi di vari
numeri precedenti si sono rivelati come tasselli di un mosaico. Ma
forse è stato meglio così. In fondo,
la mini serie ha funzionato molto
bene, ha avuto un pubblico vasto
e fedele. Di che posso lamentarmi?
INTERVISTA
che hai scritto si caratterizzano
come marcati individualisti (a
parte forse Tex, ma anche questo
sarebbe da discutere). Quanto
pensi che, a tutti i livelli, una certa esaltazione dell’individualità
caratterizzi il tuo lavoro?
No, non è così. Nel fumetto Disney, che per me è e sempre reste-
Sempre a proposito di doppia essenza, Brad Barron è, allo stesso
tempo, una serie finita e ancora in corso, grazie agli speciali.
Quanto questa “doppiezza” è stata dovuta a una mediazione con
la Bonelli e quanto dall’esigenza
di “chiudere il cerchio” rispetto a
quel mondo da te creato?
La mini era finita. Il ciclo chiuso.
Ma ho un personaggio che ancora mi piace, su cui ancora posso
lavorare. E un universo in cui farlo
muovere.
Sia Brad Barron (che proponeva esplicitamente il dualismo
massificazione-individualità) che
quasi tutti gli altri personaggi
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rà fondamentale, ho quasi sempre
scritto storie con una forte componente corale. Ho raccontato un
mondo.
Sei stato la “punta di diamante”
della Panini in alcuni apprezzati
progetti per la Marvel, nonostante all’epoca di tali progetti tu fossi lo sceneggiatore più acclamato
De:Facto
INTERVISTA
della Bonelli. Come è avvenuto il
tuo coinvolgimento con Il Segreto del Vetro e Capitan AmericaDevil? Quanto “ti sei proposto”,
nel caso, e quali sfide ha comportato l’approccio ai supereroi?
La sfida è stata all’inizio, e ha coinvolto tutta la Panini. Una sfida
produttiva. Perché la lavorazione
di quelle storie è stata per forza di
cose complessa. È difficile dire, ricordare se mi sono proposto o se
ho ricevuto io una proposta. Tutto
è cominciato a una Lucca Comics,
di fronte allo stand Panini, parlandone insieme...
Hai l’onore ufficiale di essere
“doppio” anche in senso vero e
proprio, visto che Recchioni ti ha
reso un personaggio di John Doe
(Titus). Quanto ti fa piacere una
cosa del genere e quanto ti rende invece “self-conscious” rispetto alla tua immagine?
Mi stupisce, mi diverte, mi onora
molto e, solo un poco, mi inquieta. Comunque, non ho una precisa
idea (non ho mai voluto farmela)
di come sono percepito nel momdo del fumetto, come persona. È
poi così importante?
Parliamo della tua attività come
editor-in-chief della BD. In cosa
consiste il tuo ruolo? Il fatto di
essere in primis uno sceneggiatore, ti ha comportato alcuno
scrupolo di coscienza, a livello
tuo personale? Ci sono mai state
situazioni in cui ti sei sentito in
un “conflitto di interessi”?
No, mai. Mai nemmeno una volta.
È un modo di restituire al mondo
del fumetto almeno un po’ di ciò
che mi ha dato. È un grosso impegno, un serio lavoro. Essere un autore mi aiuta a capire meglio certi
meccanismi e, in veste di editore,
avere un rapporto migliore con chi
è dall’altra parte della barricata. La
parte in cui sto anche io, quando
sono un autore.
è troppo ingombrante.
Il tuo doppio “virtuale” in rete tiene molto il basso profilo: ha un
blog “sobrio” e poco polemico,
frequenta poco i forum, si è cancellato da Facebook e, in generale, sembra poco “presenzialista”.
Da cosa dipende questa scelta?
Quali altre “doppiezze” dovremo
aspettarci da te in futuro? Siamo
alle porte di qualche altra trasformazione per Tito Faraci?
Dal mio carattere. Mi piace discutere, molto. Ma detesto litigare,
alzare la voce. Cerco di rendere il
mio blog uno spazio sereno, aperto al confronto, dove perfino la
presenza del padrone di casa non
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 9
Sì, certo. Ho appena consegnato
un romanzo per ragazzi, che sarà
edito da una grossa casa editrice
del settore. È una nuova sfida. Non
vuole dire che abbandonerò i fumetti, o anche solo che ne scriverò
di meno, assolutamente no! Ma ho
trovato spazio anche per altro.
MIXTAPE
RUBRICA
Dualismi
a cura di Antonio Solinas
Mixtape è un “blob” di citazioni prese a caso e riformattate in modo assolutamente
arbitrario così da de-tournarne irrimediabilmente il significato. A volte da questa sorta
di “divinazione da fondi del caffè” dell’era del cut-and-paste vengono fuori anche cose
intelligenti, altre volte è solo un esercizio di flusso di coscienza fine a sé stesso. Decidete voi. Gli autori non ne hanno colpa.
“Bisogna starci attenti con gli account multipli, i fake e quanto altro,
altrimenti si rischia di farsi sgamare.” (dal blog di Roberto Recchioni,
12/07/08)
“Il fatto che il fumetto che mi interessa e quell’altro fumetto si chiamino
allo stesso modo mi è insopportabile.” (dal blog di Paolo Interdonato,
28/05/07)
“Lui conosce Berlusconi di persona, io me ne guardo bene.
Lui è un comunista ricco, io sono un comunista povero.“ (dal blog di
Marco Rizzo, 11/09/08)
“C’è un clima molto teso, barricate sempre più alte. Sbaglio io, però: soffro la pugna e a volte (non sempre) tendo a rifugiarmi nel deprecabile e
italiota siamo-amici-e-vogliamoci-bene.
Nel mondo del Fumetto, oggi, c’è anche - forse soprattutto - bisogno di
un serio e, se è il caso, pure aspro confronto. E, se le barricate servono a
evitare ammucchiate, ben vengano.“ (dal blog di Tito Faraci, 29/10/08)
“L’insulsa, insipiente logica dell’essere italiano vuole che ci si schieri in
due fazioni (pro e contro) riguardo ad ogni cosa, conosciuta o meno. I
criteri coi quali viene scelta la fazione sono dettati da quanto appartenere a quella fazione sia una posa interessante, da quanto sia odiato
il leader dell’altra posizione, da una serie di riflessi condizionati circa
l’associazione tra la cosa medesima e la propria presunta identità.” (dal
blog di Diego Cajelli, 24/10/08)
“La vicinanza che nutro verso l’atteggiamento di certi autori è proporzionale alla lontananza che avverto per il vacuo nerdismo dilagante. Ma
forse un giorno ne parlerò meglio o forse no. Sì, non lo farò. Tanto... Si è
capito cosa intendo. E non c’è mica altro da dire.” (dal blog di Francesco
Ciampi, 15/05/08)
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De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
La “doppia” carriera di Mr. Bolland
di Antonio Solinas
Brian Bolland è unanimamente
considerato uno dei maggiori copertinisti viventi. Si tratta di un
dato di fatto: il cartoonist britannico ha caratterizzato un’epoca
con le proprie cover, sia in ambito
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prettamente supereroistico che in
ambito ”vertiginoso” e continua a
fare scuola ancora oggi, da quando
Camelot 3000 ne lanciò la carriera
internazionale, quasi tre decenni
fa (era il 1982). In questo senso, la
percezione più comune di Bolland
da parte del pubblico è quella di
un artista dalla mano fatata che ci
ha concesso troppe poche pagine
a fumetti (dopo Camelot 3000, il
Killing Joke e pochissimi altri exploits) ma anche tante copertine
di livello quasi sempre eccelso. E
se questa percezione ha un solido
fondamento, ciò si deve al fatto
che spessissimo le cover di Bolland
sono state usate come ”esca” principale per prendere all’amo i lettori
di testate interessanti ma che non
potevano contare su una parte artistica adeguata (il pensiero corre
per esempio ad Animal Man). In
altri casi, Bolland è stato chiamato
a dare valore aggiunto a serie in
pericolo di chiusura o sotto tono
dal punto di vista delle vendite
(vengono in mente The Invisibles)
o a nobilitare eventi speciali (Superman 400) e galleries, muovendosi con disinvoltura soprattutto
nelle due divisioni principali della
DC Comics, ovvero DCU e Vertigo,
quelle che ne hanno definito lo
status di copertinista e illustratore
per antonomasia.
Sebbene la visione di un Bolland
come ”Norman Rockwell dei diseredati” (secondo la felice definizione dello sceneggiatore Grant Morrison) prestato al fumetto americano sia chiaramente calzante
(e conseguentemente sia stata
abbondantemente analizzata e discussa), questa non rende del tutto giustizia ad un artista completo
e capace di esprimersi al meglio
anche in ambiti diversi.
Parallelamente alla carriera ”mainstream”, infatti, Brian Bolland ha
portato avanti un’altra strada,
egualmente brillante e anzi maggiormente interessante dal punto
di vista critico, quella di cartoonist
completo (è lui stesso a definirsi
De:FINIZIONI
”un disegnatore umoristico”).
Sebbene non si possa parlare di
scelta ”underground”, infatti, nella
creazione dei propri fumetti Bolland ha optato per strade meno
commerciali, come dimostrano, al
di là di vari liberi disseminati qua e
là (interessanti ma non fondamentali), The Actress and the Bishop e
Mr. Mamoulian, due serie di culto
in bianco e nero originariamente apparse rispettivamente sulle
defunte A1 e Negative Burn e poi
raccolte nel volume Bolland Strips!
(che recentemente è stato presentato in Italia dalle Edizioni BD nella
collana Icon).
Ma se The Actress and the Bishop è
un’ottima allegoria (scritta in rima)
delle forze che regolano i rapporti
umani, che sublima tutta la festosa
carica erotica che da sempre caratterizza le rappresentazioni femminili del Maestro, tutto sommato
la serie rappresenta soprattutto la
maturazione di Bolland come nar-
APPROFONDIMENTO
ratore. Dal punto di vista grafico,
infatti, la serie costituisce semplicemente la testimonianza della
certosina abilità e dello straordinario talento di un illustratore capace
di un segno allo stesso tempo epico e sottile. In questo senso, The
Actress and the Bishop è soprattutto un modo di ”riorganizzare”, anche tramite l’uso del bianco e nero
”puro”, una capacità narrativa troppo spesso messa a disposizione
di altri in maniera fine a se stessa
(uno ”strumento per la conquista
del mondo ad opera di un altro”,
come lui stesso dice).
Il vero pezzo forte della carriera
”altra” di Bolland è rappresentato
invece dalle eclettiche e sorprendenti 54 tavole di Mr. Mamoulian.
La strip, di una pagina per storia, ha
un sapore umoristico, ma l’umorismo ”deadpan” e soprattutto il retrogusto amaro/assurdista la rendono una specie di contraltare britannico dei migliori momenti del
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 12
Why I Hate Saturn di Kyle Baker.
In Mr. Mamoulian, Bolland si sente legittimato a fare, dal punto di
vista grafico (e narrativo: come
vedremo i due aspetti non sono
scindibili, in questo caso), tutto
quello che il suo status di fine artist gli impedisce in ambiti più popolari (nella doppia accezione di
accessibili e numericamente più
rilevanti). Per prima cosa, lo stile
della strip è caricaturale, al limite
del grottesco, certamente slegato dall’iper-realismo di cui invece
Bolland ha fatto la cifra stilistica in
ambito generalista.
Il segno di Bolland, normalmente
de-finito, perde in Mr. Mamoulian
tutte le caratteristiche di organicità e ”naturalismo”, per diventare
uno sketch volutamente cartoonesco tutto a pennino, quasi a sottolineare uno stacco ”spontaneo”
(ma non fatevi ingannare, dietro
c’è uno studio precisissimo) rispetto alla parossistica perfezione della straordinaria tecnica messa in
mostra come autore mainstream.
Poi il tratto è nervoso, spesso schizzato: la resa a pennino ci porta volutamente lontano dalla estrema
precisione delle linee piene a pennello, dalla pulizia del chiaroscuro
e dalla canonicità del segno che
anche l’osservatore più distratto
riconoscerà come caratteristiche
principali del Bolland ”classico”.
Leggendo le prime strisce di Mr.
Mamoulian, in particolare La Spugna, è impossibile immaginare che
il disegnatore sia lo stesso non solo
di The Killing Joke ma anche di The
Actress and the Bishop.
Il tratteggio non è qui usato per
creare volumi con la grazia che
permane immutata in The Actress and the Bishop. Esso diventa
spesso una massa informe di segni sconnessi (specie quelli che
definiscono la paradossale fisicità
del protagonista sin dalla prima
striscia, Promiscuità) nella stessa
maniera in cui le precise linee del
lavoro ”ufficiale” vengono rielaborate nel corso della strip in manie-
De:FINIZIONI
ra apparentemente semplificata
tramite l’uso di un tratto spezzato,
che a volte lascia il campo, in maniera schizofrenica, a vignette più
particolareggiate.
Gli sfondi, sempre per sottolineare quel senso di immediatezza che
Bolland ci tiene a comunicare, diventano praticamente inesistenti,
salvo poi apparire in maniera prepotente per definire con precisione luoghi e ambienti.
Ciò che importa, comunque, è la
creazione di un palcoscenico vuoto, una tabula rasa su cui i personaggi si possano muovere in maniera anche e soprattutto incoerente (in una delle frasi dell’autore
riportate sull’edizione BD Bolland
parla non a caso di ”mille direzioni
diverse”).
E così accade, in un guazzabuglio
di personaggi e situazioni, sempre a metà fra realtà e delirio, che
catturano costantemente l’attenzione, anche quando il narratore
scende in campo in prima persona (e fez bianco in testa, Albanian
style).
Sebbene spesso nella strip appaiano (quando necessario) bagliori
dell’impostazione realistica di Bolland, nella stessa maniera in cui
argomenti più ”pesanti” e argute
osservazioni sociali e politiche si
accoppiano alla banalità quotidiana più totale, questo appare
come una ulteriore conferma della libertà che l’autore si concede
sin dall’inizio (e vuole comunicare
al lettore, quasi come espiazione
dei peccati di una carriera mainstream).
In maniera raffinata, la ricerca artistica di Bolland lo porta ad occuparsi degli argomenti che gli
interessano anche quando questo
comporta rinunce rispetto all’originale approccio ”sperimentale”
(e questo è apprezzabile sempre
di più via via che la serie si sviluppa). Ad esempio, i momenti più
surreali del desiderio sessuale di
Mr. Mamoulian sono contrappuntati dalla deliziosa resa grafica del-
APPROFONDIMENTO
le sempre splendide donnine di
Bolland, gli alieni e le cospirazioni
governative diventano surrealismo allo stato puro, le tirate antireligiose (sempre molto ironiche)
lasciano il campo a uno stile più
realistico e alla sottigliezza delle
espressioni facciali per cui Bolland
è così apprezzato. A volte, si sfocia
persino nello stile classico e particolareggiato che tutti conoscono,
se questo questo è necessario a
scopo narrativo (una foto di Man
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 13
Ray, la descrizione di un metodo
di tortura). In ogni caso, il sistema
non cambia: in Mr. Mamoulian, sceneggiatura e disegno sono inscindibili, e la paradossale “metodicità
spontanea” (ossimoro se mai ce ne
fosse mai stato uno) di Bolland ci
restituisce tutta la perizia narrativa
di un craftsman eccezionale nella
maniera meno adulterata (e paradossalmente più ambivalente)
possibile.
De:Coder
APPROFONDIMENTO
Doppio Misto: doppi e doppioni
dell’ italica editoria
di Simone Satta
I Classici del Fumetto di Repubblica, collana di volumi monografici
a fumetti commercializzata settimanalmente in allegato al quotidiano nazionale a partire dal 2003,
per un totale di 60 numeri, riscosse, all’epoca della sua uscita, un
successo clamoroso, generando
in breve tempo un seguito ideale
(I Classici del fumetto di Repubblica - Serie Oro) e una moltitudine di
epigoni nati fondamentalmente
(e logicamente) nella speranza di
cavalcarne l’onda.
In breve tempo, così, nel corso
degli ultimi anni, le edicole sono
diventate un proliferare di collane
e volumi dedicati ai personaggi e
agli autori di maggior appeal, che
spesso hanno dovuto lottare con
le unghie e con i denti per sopravvivere alla selezione naturale che
li poneva in competizione con le
pochette di Donna Moderna, i materassini di Oggi in estate e i calendari dedicati ai futuri ministri della
Repubblica Italiana allegati a una
serie infinita di testate.
Il tutto nella speranza di arrotondare i bilanci e magari di incre-
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 14
mentare il bacino d’utenza sempre
più ridotto, infettando col morbo
dell’arte sequenziale qualche lettore occasionale per trasformarlo nell’agognato lettore abituale
o, ancor meglio, in appassionato
quando non addirittura nella mitologica figura del collezionista,
metà uomo e metà portafoglio,
un essere che è solito entrare in
berserk appena varcata la soglia
di una fumetteria, agitando la sua
carta bancomat ad ampi fendenti,
rimanendo in tale stato fino alla
conclusione dell’acquisto (cospicuo).
Per molto tempo ci si è chiesti e
ancora ci si chiede se tali collane
facciano realmente bene al mercato del fumetto, se riescano cioè,
in qualche modo, ad allargare il
bacino d’utenza portando nuovi
lettori.
È una legittima riflessione ma non
è questo ad interessarci in questo
momento.
Il vero dramma è per chi, appassionato da fumetti da anni, da un
mese all’altro oramai rischia di trovare in edicola, nel marasma delle
uscite, anche alcuni volumi che sostanzialmente sono delle ristampe
di opere che già possiede (a volte
De:Coder
meglio confezionate e più economiche…), in questo caso vengono a
delinearsi diverse situazioni:
Situazione 1: l’appassionato si im-
batte nella collana ed evince, dal
piano dell’opera, che quella collana presenta solo storie che lui ha
la fortuna di non possedere, ancor
meglio se storie molto vecchie e
difficilmente reperibili, se non a
prezzi inumani, al mercato nero.
L’appassionato decide di seguire
la collana fino alla fine: comprando il primo numero suggella con il
sangue un patto con l’edicolante/
libraio e col dio dei fumetti (qualora dovesse esistere).
Situazione 2: l’appassionato si imbatte nella collana ed evince, dal
piano dell’opera, che quella collana presenta quasi esclusivamente
storie che lui ha la fortuna di non
possedere. Decide di prendere i
pochi volumi che presentano materiale già goduto in altra forma
per non spezzare la deliziosa sim-
APPROFONDIMENTO
metria dei numeri che campeggiano sul lato della costoletta ritenendo questo un sacrificio necessario
per il bene maggiore. Sigla il solito
patto di sangue, ecc. ecc.
a scricchiolare pericolosamente, la
carta si è ingiallita e alcune pagine sembrano sul punto di staccarsi... meglio approfittare dell’uscita
della collana e recuperare delle
Situazione 3: l’appassionato si imbatte nella collana ed evince, dal
piano dell’opera, che quella collana presenta quasi esclusivamente
storie che lui possiede tranne un
paio di volumi. Decide di prendere solo i pochi volumi che non ha
avuto il piacere di leggere, se ne
frega a malincuore della deliziosa
simmetria dei numeri sulla costoletta e sa che, con un paio di sedute dal suo psicoterapeuta di fiducia riuscirà a superare il trauma (o
probabilmente no).
copie di sicurezza di quelle storie,
in modo da essere certi di poterle
rileggere senza rischi... certo quei
numeri sulla costoletta...
Quindi le case editrici e i quotidiani coinvolti in queste lodevoli iniziative devono mettersi la mano
sul cuore: non ristampino opere
uscite di recente o facilmente ed
economicamente reperibili se vogliono bene al loro zoccolo duro,
ma soprattutto evitino di mettere
quei fastidiosissimi numeri sulla
costoletta: sarà molto più facile,
per quelli come me, rinunciare a
imbottirsi gli scaffali di quei maledetti doppioni.
Situazione 4: l’appassionato ha
tutte le storie presentate nei volumi ma alcune sono presentate
in volumi molto vecchi che negli
anni, con le brossure che si realizzavano in passato, hanno iniziato
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 15
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
Elogio del doppio: dal Multiverso a
Batman R.I.P.
di Nicola Peruzzi
Una da molti: cronistoria della
DC/National
Il cosmo supereroistico della DC
Comics è senza dubbio uno dei più
vasti di sempre, tanto per “dimensioni editoriali”, quanto per numero di personaggi finzionali che lo
abitano. Questo per diversi motivi,
gran parte dei quali puramente
editoriali: la casa editrice che conosciamo come DC Comics nasce infatti come amalgama di due diversi editori, entrambi con una buona
produzione supereroistica; il primo si chiamava National Allied
Publications, fondato nell’autun-
no del 1934 da Malcolm WheelerNicholson1, scrittore pulp e pioniere dell’editoria a fumetti americana. I titoli pubblicati dall’editore
di Portland erano diversi dal resto
delle pubblicazioni contemporanee; Wheeler-Nicholson, infatti,
intuì per primo che il pubblico si
era stancato dei doppioni: i comic
book che uscivano in quel periodo, infatti, offrivano delle semplici
ristampe delle strisce pubblicate
in precedenza sui quotidiani. La
prima vera rivoluzione della National, dunque, fu quella di creare
dei magazine che contenessero
solo ed esclusivamente storie oriDe:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 16
ginali. Nel dicembre del 1936 (nonostante l’albo riporti in copertina
la data di 3 mesi dopo, marzo 1937,
pratica che è diventata da allora
consuetudine nelle pubblicazioni a fumetti americane) esordisce
Detective Comics, che introduce
personaggi che diventeranno un
cardine della futura DC Comics:
Slam Bradley2 nel numero 1, e, nel
numero 27, Batman.
Il successo ed il consenso è vasto
e immediato. Ciò nonostante, a
quel tempo (siamo nel maggio del
1939) Wheeler-Nicholson aveva
già abbandonato l’azienda, passata in mano al distributore Harry
Donenfield, che fondò per l’occasione la casa editrice Detective
Comics, Inc.
Poco dopo il lancio di Detective
Comics, la National Allied Publications lanciò Action Comics, e
nell’aprile del 1938, Superman
fece il suo esordio.
Le due case editrici, sarebbero risultate tanto inutili quanto dannose l’una per l’altra, se avessero
continuato a procedere in coppia.
I rispettivi direttori esecutivi pensarono quindi che fosse necessaria
una fusione, dalla quale derivò la
National Comics. Questa nel 1944
assorbì un altro clone, la All-American Publications con tutto il suo
universo narrativo, diventando
National Periodical Publications.
E fino ad oggi non si è mai più
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
fermata, inglobando gli universi
narrativi e le case editrici più disparate (ultimo e più recente caso,
la Milestone).
L’invasione degli ultracorpi
La vera forza della DC-National fu
quella di riuscire creare dei personaggi che, immediatamente,
furono presi a imitazione da tutti
gli altri editori e cartoonists sperando di bissarne le vendite. La
casa editrice americana, di conseguenza, cominciò a minacciare (e
a praticare) azioni legali contro gli
editori concorrenti, finendo inevitabilmente per vincere. La vittoria portava al blocco dei diritti
del personaggio e alla successiva
acquisizione, all’interno dell’universo fisico e narrativo della DCNational, di quella particolare
creazione dell’editore di turno
che, impossibilitato ad utilizzare
il proprio personaggio, arrivava di
fatto a venderlo. Uno dei casi più
eclatanti in tal senso fu quello di
Captain Marvel della Fawcett Comics, una specie di doppione di
Superman, che fu vinto ed acqui-
sito con una causa legale quantomeno singolare3.
Si può dire che questo comportamento abbia generato il proliferare di diverse versioni di uno stesso
eroe nello stesso universo narrativo, e che sia stato l’inizio di questa
“invasione degli ultracorpi”. È la
scintilla iniziale, il momento in cui
Krona decide di diventare un osservatore partecipante al momenDe:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 17
to della Creazione causando, tra
le altre cose, la nascita delle terre
infinite, se vogliamo trasportare
la storia nel contesto narrativo. È
nato il Multiverso della DC Comics,
per lo meno quello fisico.
Per quello finzionale, invece, dobbiamo aspettare un tranquillo
giorno del giugno 1961, quando
nei comic shop degli States esce
il celeberrimo The Flash #123. I
De:FINIZIONI
colpevoli sono Julius Schwartz,
storico editor delle più importanti
testate dell’universo DC, insieme
con Gardner Fox e Carmine Infantino. La cover che mostra Jay Garrick
e Barry Allen che corrono, separati
da una parete altissima, a salvare
lo stesso uomo è diventata un instant classic, come recita lo strillo
APPROFONDIMENTO
in copertina. Ed è nato così anche
il Multiverso finzionale.
Prove tecniche per Terre Infinite
In realtà un primo accenno di Multiverso lo abbiamo in Wonder Woman #59, dell’aprile del 1953, in
cui l’Amazzone viene risucchiata
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 18
da un vortice spazio-temporale e
finisce in una terra parallela, dove
incontra il suo doppio, Terra Terruna.
Appena 5 anni dopo, nell’aprile
del 1957, si ha il primo remake implicito di questa storia (erano anni
in cui il collezionismo non era tenuto in nessuna considerazione, e
gli autori potevano permettersi, di
tanto in tanto, il riciclo di alcune
idee “forti” senza paura di incappare in nessun genere di problema), in cui Wonder Woman scopre
una “dimensione” dove il crimine
prospera a discapito della giustizia (elemento che sarà successivamente riutilizzato per i concetti
della Terra-3 dell’universo pre-crisi
e della morrisoniana Terra-2 postcrisi, dove prospera il Sindacato
del Crimine) e si è imposta la magia anziché la scienza. Ma si tratta
delle prove generali: la vera e propria strutturazione del Multiverso,
si è visto, si avrà solo nel 1961 col
“Flash dei due mondi”.
Copie imperfette
Una prima mandata di “copie degli eroi” arriva con lo sviluppo del
De:FINIZIONI
concetto di legacy, elemento importantissimo nel cosmo DC, tanto da diventarne una caratteristica
del tutto personale e specifica. Per
parlare della legacy è necessario introdurre il concetto di sidekick, ovvero la “spalla”, “l’aiutante”
APPROFONDIMENTO
dell’eroe. Il concetto di sidekick,
ovviamente non nasce nei comic
book. Nella narrativa, nel teatro
classico, nelle leggende ma, se vogliamo salire a livello archetipico,
nella mitopoiesi, il sidekick svolge
sempre un ruolo di primissimo
piano. Si pensi ad esempio a Little
John per Robin Hood, a Sancho
Panza per Don Chisciotte, al coro
nella tragedia greca: tutti personaggi di contorno, per certi versi,
che però svolgono una funzione
primaria e attiva nel corso della vicenda raccontata. O ai tanti sidekick presenti nelle storie western,
in qualità di spalla comica o di
“momento divertente”.
Per quanto riguarda la nostra DC,
si appropria del concetto arche-
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 19
tipico di “aiutante” e lo trasferisce
nel proprio universo narrativo, donandogli però quel quid che trasforma la figura da semplice aiutante a “erede”. Robin ad esempio
(ci si riferisce a Dick Grayson, vero e
proprio padre di tutti i sidekick dei
supereroi, creato da Finger e Fox
nella primavera del 1940, dopo
appena 12 numeri di Batman “a
solo”), si allontana dal suo mentore per sviluppare una propria personalità, quella di Nightwing, il
cavaliere di Blüdhaven. Ma a quel
Robin seguirà un altro Robin, simile anche se non identico all’originale, Jason Todd, che finirà massacrato dal Joker. E poi ancora un
altro, Tim Drake, il Robin attuale, e
via fino arrivare alla Robin di Dark
De:FINIZIONI
Knight Returns di Miller. Una serie di copie che lasciano intendere
come alla DC, da sempre, conti di
più il mantello della persona che
lo indossa, a parte in pochi casi
specifici.
Altri mondi
Fin dagli anni Cinquanta, gli anni
della Silver Age, quella stagione irripetibile dell’immaginazione pura
stampata su carta, gli eroi DC si ritrovano a vivere storie ai confini
col surreale che in apparenza non
possono essere giustificate. E si
cercano etichette che permettano
di distinguere tali storie da quelle
inserite nella continuità narrativa. Basta sfogliare uno qualsiasi
degli Showcase di Superman per
trovarsi di fronte, ad esempio alle
APPROFONDIMENTO
Imaginary Stories, come ad esempio la celebre “The Amazing Story
of Superman Red and Superman
Blue!”4. In questa storia particolare, Superman crea un macchinario
che lo aiuta ad amplificare i propri
poteri. Il macchinario funziona talmente bene lo divide in due esseri,
uno il doppio dell’altro, completamente autonomi ed autosufficienti, cosa che lo rende in grado di risolvere i problemi di Kandor (che
al termine della storia diventerà
New Krypton, elemento per altro
ripreso, in maniera in parte similare, nel recente crossover delle supertestate di Johns e Robinson) e i
problemi del mondo intero.
E dopo il successo di questa storia,
si assiste ad un proliferare di storie immaginarie, con protagonisti
Superman, Batman e Wonder WoDe:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 20
man, storie in cui gli eroi visitano
mondi fantastici, incontrano versioni alternative di sé stessi, fanno
tutto ciò che, normalmente, non
sarebbe possibile fare. Finché il
classico Whatever happened to the
Man of Tomorrow?, scritto da Alan
Moore e disegnato dall’artista forse più rappresentativo di sempre,
per quanto riguarda il Superman
Silver Age, Curt Swan, mette fine
a questa diffusione incontrollata
raccontando, a mo’ di inchiesta
giornalistica, della vita e delle opere di un Superman creduto morto.
Pubblicato nel 1986 in due parti
su Superman vol. 1 #423 e Action
Comics #583, Whatever happened...
ha la doppia funzione di chiudere
la stagione delle storie immaginarie e fornire il destro per il rilancio post-Crisis di Byrne. Solo nel
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
1989, con il bellissimo Gotham
by Gaslight, le Storie Immaginarie
trovano un’etichetta editoriale: Elseworlds. La storia è semplice: la
nascita di Batman viene anticipata al XIX secolo, in Inghilterra, e il
pipistrello è una specie di detective da romanzo pulp sulle tracce
di Jack lo Squartatore. La storia
scritta da Brian Augustyn (storico
editor di Flash nonché coautore,
insieme all’amico Mark Waid, di
numerose serie nostalgiche della
Silver Age) e disegnata dall’allora
quasi esordiente, benché già talentuoso, Mike Mignola (Hellboy),
ispira la linea editoriale che mette
in scena le più inverosimili versioni alternative di tutti i personaggi
della casa editrice, senza vincoli di
sorta.
Ricapitolando, tra cloni, doppi provenienti da terre parallele, sidekick
che prendono il manto degli eroi
alla morte dei mentori (che però
sono inevitabilmente destinati a
ritornare causando notevole confusione), versioni alternative degli
eroi provenienti da Storie Immaginarie o Elseworlds, le copie erano
talmente numerose che non ba-
stò una Crisi a sterminarle tutte.
Una crisi per domarli
Le reiterate operazioni di reboot
che caratterizzano l’universo DC
dal 1985 in avanti e che prendono
il nome di Crisis, meritano senza
dubbio una veloce menzione (sarebbe un discorso troppo ampio e
complicato da sviscerare in poche
battute), poiché aprono scenari e
prospettive decisamente particolari. Basti dire che la prima Crisi di
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 21
magnitudine multiversale, quella
mini di 12 numeri pubblicata nel
1985, fu Crisis on Infinite Earths
opera di Marv Wolfman e George Pérez che aveva il compito di
riscrivere una continuity oramai
troppo intasata da cinquant’anni
di doppioni. Queste le ragioni ufficiali; le ragioni ufficiose sono ben
altre, anche perché, nonostante
fosse impossibile negare che il
caos narrativo rendesse abbastanza inaccessibile e involuto l’univer-
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
le del “nostro” Superman quando
ancora operava a Smallville), la
Legione dei Super-Eroi è il primo
supergruppo della Silver Age e il
primo gruppo di teenagers a comparire sulle scene5, ed era scritta in
quel periodo da Paul Levitz, futuro presidente della DC Comics.
so DC, il Multiverso era, coi suoi 34
anni di attività, un meccanismo
oliato e narrativamente conosciuto (anche grazie alle periodiche
Crisis on Earth-1 e similari, ognuna
etichettata a dovere, che avevano
abituato gli aficionados ai crossover tra le versioni alternative degli
stessi eroi). La promessa, quindi,
era quella di fare una sorta di repulisti editoriale, promessa, però,
non del tutto mantenuta, tanto
che vent’anni dopo, con una nuova crisi, Infinite Crisis, si cercherà
di ripristinare il precedente status quo (che nei fatti non era mai
scomparso), riportando in piedi il
Multiverso, probabilmente nell’intento di ripresentare al grande
pubblico quella ricchezza assoluta che è stata per cinquant’anni la
forza della DC Comics, ma riportando ancora una volta un’inevitabile confusione nell’universo Dc.
Long Live Legion(s)!
Vero e proprio gruppo simbolo di
queste promesse fatte e non del
tutto mantenute di Crisis on Infinite Earths è la Legion of SuperHeroes. Nata nel 1958 nella testata Adventure Comics (il numero è
il 247), che ospitava le avventure
di Superboy (la versione giovani-
La testata aveva troppo successo per pensare ad un reboot, e
per un certo periodo di tempo
(9 anni) continuò mutuata di un
pezzo di storia (Superboy che ne
aveva dato l’ispirazione), ma con
un similare roster di personaggi.
Nel 1994 però arrivò Zero Hour, la
prima vera Crisi della Legione, per
mezzo della quale la continuity
del trentesimo secolo fu azzerata
e al gruppo fu permesso di ripartire con una nuova formazione adolescente, che andava a sostituire il
gruppo precedente ormai cresciuto e giunto all’età adulta. Gli autori erano Tom McGraw, Mark Waid
e Stuart Immonen. Causa scarse
vendite, anche questa legione
sarà destinata a scomparire nel
limbo, e nel 2005 sarà seguita da
un nuovo reboot (di nuovo a cura
di Mark Waid, ma stavolta in coppia con Barry Kitson, coppia ormai
collaudata). Nonostante gli ottimi
primi numeri, questa serie non ha
avuto l’appeal delle precedenti
incarnazioni, tanto da chiudere
dopo appena 4 anni di permanenDe:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 22
za negli scaffali.
La situazione si complica ulteriormente dopo la conclusione di Infinite Crisis, il non troppo riuscito
evento estivo del 2005, quando le
testate della DC Comics vengono,
per l’ennesima volta, rilanciate.
Esce Justice Society of America,
opera del “solito” Geoff Johns in
coppia con Alex Ross ai testi, e del
bravo Dale Eaglesham alle matite,
nelle cui fila milita Starman, quello
della prima Legione dei Super-Eroi,
che tornerà con la sua formazione
completa nel recente Superman
di Johns. Col ritorno in pompa magna delle terre parallele, sebbene
limitate a 52, si è tornati di fatto ad
una situazione abbastanza sconclusionata, tra copie di personaggi
che aggiungevano zavorra ad un
universo editoriale che di zavorra
non aveva bisogno, e rendevano
ancora più caotica la comprensione di chi fosse chi nel Dc Universe.
Prendiamo ad esempio la complessa situazione di Starman, che
ha almeno 9 incarnazioni a livello
di legacy e “cloni”6, e altre due copie nelle diverse formazioni della
Legione dei Super-Eroi, tornate
tutte quante nel crossover Legion
of Three Worlds.
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
Fabbricare supereroi
C’è un autore, che è riuscito ad
applicare con ottimi risultati il
concetto della “riproducibilità
dell’eroe”, per ora utilizzato a livello meramente extra-diegetico, anche a livello della diegesi. Questo
autore è Grant Morrison. Scozzese,
classe 1960, Morrison è uno dei
più celebri autori mainstream di
oggi, tanto da non avere bisogno
di alcuna introduzione.
Il suo ritorno all’universo supereroistico della DC Comics, nel 2005,
lo vede al lavoro su importantissimi progetti mainstream, tra i quali
Superman e Batman. Se in All Star
Superman, miniserie di dodici numeri a cadenza bimestrale, ha la
possibilità di scrivere una storia
svincolata dalla continuity, libera
e strutturata a episodi autoconclusivi che si intersecano in un intreccio più grande dove può dare
libero sfogo alla fantasia più sfrenata, su Batman realizza una saga,
nel senso più letterale del termine,
completamente incentrata sulla
storia batmaniana dagli anni Trenta in avanti e sulle sue tante versioni alternative.
Tutta la serie è un sentito omaggio
al tema del “doppio”7. Si pensi al
primo ciclo, che vede la comparsa
di Demian – il figlio di Batman e
Talia al Ghul concepito nel Graphic
Novel Son of The Demon, di Mike
W. Barr8 –, che decide di sostituirsi
a Robin, oramai figlio adottivo di
Bruce Wayne, ed allo scontro tra i
due per indossare il mantello del
Ragazzo Meraviglia. Si pensi, negli stessi numeri, alla comparsa
dell’esercito dei Men-bat9, che
non sono altro che copie imperfette dell’Uomo Pipistrello, dei pipistrelli umani. O ai Batmen of All
Nations10 (in seguito noti come
Club of Heroes) del ciclo “The Black
Glove”, vero e proprio epicentro
della serie, in cui Morrison riporta in gioco una sorta di squadra
di wannabe Batmen che operano
a livello internazionale (Italia, Argentina, Francia, Inghilterra, Australia, Svezia e Stati Uniti). E non
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 23
solo, i Batmen hanno un gruppo di
nemici, a loro complementari così
come il Joker è complementare a
Batman, il Club of Villains.
Tutto il ciclo di Morrison, si diceva, gioca sulla riproducibilità di
Batman; tanto a livello superficiale, si è già visto, quanto a livello
decisamente più profondo: nel
corso della saga dei Three Ghosts
of Batman, ad esempio, l’evil mastermind, il Dr. Simon Hurt (altro
personaggio ripescato dalla continuity batmaniana del passato)
cercherà un modo per riprodurre
l’uomo pipistrello, ufficialmente
per sostituirlo in caso di morte
improvvisa; il risultato sono tre
bat-poliziotti “corrotti dal potere”:
il Batman con la pistola, che rifà il
verso alla prima incarnazione del
vigilante mascherato di Bob Kane
e Bill Finger; il Bat-Bane, un colosso vestito da luchador e alimenta-
De:FINIZIONI
to da Venom, (la droga che amplifica le potenzialità fisiche già vista
nell’omonima Leggenda), che finisce quasi per spezzare la schiena
(ancora una volta) al pipistrello; e
il Batman anticristo, il più misterioso di essi, a quanto pare dotato
di poteri psichici e in grado di sopravvivere fino all’ipotetico futuro
distopico di Batman 666.
E ancora, in un rilancio continuo
di situazioni e di intuzioni del tutto inedite e originali, il Batman
di Zur-en-arrh (un Batman puro,
quello che esce una volta escluso Bruce Wayne dall’equazione),
l’idea di Gotham come griglia per
creare Batman, e via discorrendo,
fino a giungere alla conclusione, in
cui Batman viene utilizzato come
vera e propria matrice per creare
un esercito di “doppi” con le sue
stesse capacità e potenzialità.
L’eredità degli Elsewords, delle Storie Immaginarie, delle Storie Impossibili, di conseguenza, se ben
utilizzata può diventare una vera
e propria miniera d’oro dalla quale
attingere per creare storie nuove,
con uno sguardo certamente rivolto al passato, ma saldamente
ancorate nel presente e nel futuro
della casa editrice. Alla faccia delle
infinite crisi e dei reboot, che fino
ad oggi hanno contribuito ad alimentare la leggenda dell’universo
narrativo inaccessibile ai neofiti.
Note
1) Portland, 1890-1968. Per giudicare
la sua importanza a livello storico nel
mondo del fumetto, basti pensare che
nel 2008 è stato incluso nella Will Eisner
Award Comic Book Hall of Fame.
2) Il personaggio di Slam Bradley è stato
recuperato e reintrodotto definitvamente in continuity qualche anno fa da Ed
Brubaker nella sua run di di Catwoman.
3) Sarebbe decisamente troppo lungo parlare della causa DC vs. Fawcett
in questa sede, per questo si rimanda, per approfondimenti, al sito http://
en.wikipedia.org/wiki/National_Comics_
Publications_v._Fawcett_Publications.
4) Pubblicata originariamente in Super-
APPROFONDIMENTO
man (vol. 1) # 162, luglio 1963, reperibile
facilmente in Showcase Presents Superman vol. 4, settembre 2008.
5) Il gruppo di adolescenti forse più celebre dell’universo DC, i Teen Titans, debuttano ufficialmente in The Brave and
the Bold #54, datato luglio 1964. È interessante notare come Wonder Girl, aggiunta ai membri del gruppo un anno
dopo il loro debutto, sia a tutti gli effetti
un doppio di Wonder Woman nato a causa di un errore dello scrittore Bob Haney,
che aveva visto di sfuggita la cover di
una Impossible Tales, in cui l’amazzone
faceva team up con versioni differenti di
se stessa, e l’aveva di fatto scambiata per
un sidekick. Cfr. http://goodcomics.blogspot.com/2005/06/comic-book-urbanlegends-revealed-3.html.
6) Cfr. Kingdom Come, appendice, di Mark
Waid e Alex Ross, ed. Play Press, 1999.
7) Tematica evidentemente piuttosto
cara a Morrison, e riproposta a più riprese nel corso della sua carriera. Esempi recenti sono The Filth, che mostra il “doppio
cattivo” di Greg Feely, vero coprotagonista della serie, e New X-Men, dove entra
in scena Cassandra Nova, mummudrai,
una sorta di “gemello spirituale” del Prof.
Xavier.
8) Batman – Il figlio del Demone, di Mike
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 24
W. Barr e Jerry Bingham, Play Press 1997.
9) Man-Bat è il pipistrello umano creato
dal siero del dott. Kirk Langstrom, personaggio di Frank Robbins e Neal Adams
che ha esordito in un altro, acclamatissimo ciclo del pipistrello degli anni Settanta ed è presto diventato un villain ricorrente.
10) I Batmen of All Nations appaiono per
la prima volta in Detective Comics 215,
gennaio 1955.
SPARRING PARTNERS
Pop Asses
RUBRICA
di Antonio Solinas e Giovanni Agozzino
La premessa di Sparring Partners è semplicissima: gli autori si trovano su Skype, vanno a ruota libera su temi spesso strampalati e
infine salvano le trascrizioni della conversazione. Incredibilmente, con un minimo di editing (ridotto per altro all’osso, per non disturbare il flow della chat) ne vengono fuori discussioni interessanti (speriamo lo siano anche per voi).
In questo caso, i due “sparring partners” hanno recuperato una vecchia discussione di oltre un anno fa che verteva sul porno pop e
on 2007-11-24
23:39:46.
su unCreated
suo potenziale
“doppio”,
ovvero il “pop ass” di Roberto Recchioni. Questo è il risultato.
Giovanni Agozzino: 21:11:43
sentito del volume porno di recchioni?
Antonio Solinas: 21:11:47
No
Antonio Solinas: 21:11:51
che si dice?
Giovanni Agozzino: 21:12:18
sta producendo un pornazzo a fumetti
Antonio Solinas: 21:12:22
ahah
Antonio Solinas: 21:12:30
minchia roberto e' un grande
Giovanni Agozzino: 21:12:35
un'antologia, autori scafati + qualche esordiente
Antonio Solinas: 21:12:39
ah
Giovanni Agozzino: 21:12:40
ha aperto un blog col casting
Antonio Solinas: 21:13:15
come e' il link?
Giovanni Agozzino: 21:13:18
spe
Giovanni Agozzino: 21:13:51
http://thepopassexperience.blogspot.com/
Antonio Solinas: 21:14:49
peccato che il porno
Antonio Solinas: 21:14:54
non mi ispiri come genere letterario
Antonio Solinas: 21:15:06
se no ci proverei
Giovanni Agozzino: 21:15:32
però vuole solo autori completi
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 25
Antonio Solinas: 21:14:49
peccato che il porno
Antonio Solinas: 21:14:54
non mi ispiri come genere letterario
SPARRING PARTNERS
Antonio Solinas: 21:15:06
se no ci proverei
Giovanni Agozzino: 21:15:32
però vuole solo autori completi
Giovanni Agozzino: 21:16:01
peccato, altrimenti un paio di tavole di prova le avrei mandate anche io (previa ricerca di disegnatore)
Antonio Solinas: 21:16:09
inoltre, non sono sicuro che il pop di cui parla Recchioni esista
Antonio Solinas: 21:16:13
voglio dire
Antonio Solinas: 21:16:20
ma Belladonna e' pop?
Antonio Solinas: 21:16:33
magari l'emanazione, ma non l'attrice
Antonio Solinas: 21:16:40
mi spiego
Antonio Solinas: 21:16:44
Moana Pozzi, la massima icona pop italiana
Antonio Solinas: 21:17:08
lo era (pop) in quanto partecipante al circo di Costanzo
Antonio Solinas: 21:17:19
non in quanto pornostar che prendeva cazzi in culo
Antonio Solinas: 21:17:24
o no?
Giovanni Agozzino: 21:17:25
sì
Giovanni Agozzino: 21:17:27
decisamente
Giovanni Agozzino: 21:17:39
però per belladonna è diverso, credo
Antonio Solinas: 21:17:45
perche'?
Giovanni Agozzino: 21:18:00
cioè lei è pop perchè si fa mettere piedi nella passera e perchè te le trovi su internet ovunque
Antonio Solinas: 21:18:09
l'unica pop era Jenna, data la sua immagine "leggera"
Antonio Solinas: 21:18:34
cioe' la sua immagine softcore e quella hardcore erano piu' o meno uguali
Giovanni Agozzino: 21:18:38
Il problema secondo me è che il costanzo show è stato soppiantato da internet
Antonio Solinas: 21:18:57
Tera Patrick e' pop
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 26
RUBRICA
Antonio Solinas: 21:18:09
l'unica pop era Jenna, data la sua immagine "leggera"
Antonio Solinas: 21:18:34
SPARRING PARTNERS
cioe' la sua immagine softcore e quella hardcore erano piu' o meno uguali
Giovanni Agozzino: 21:18:38
Il problema secondo me è che il costanzo show è stato soppiantato da internet
RUBRICA
Antonio Solinas: 21:18:57
Tera Patrick e' pop
Antonio Solinas: 21:19:05
ma perche' si accompagna
Antonio Solinas: 21:19:12
a quel minchione di Spyder (post Biohazard)
Giovanni Agozzino: 21:19:18
lol
Antonio Solinas: 21:19:36
per me Belladonna e' pop come Reznor
Antonio Solinas: 21:19:38
ovvero ci si puo' illudere che siano pop
Antonio Solinas: 21:20:08
ma per sdoganarli ci vuole il Manson di turno
Giovanni Agozzino: 21:20:19
credo di aver capito
Antonio Solinas: 21:20:20
non pensare a noi maniaci
Giovanni Agozzino: 21:20:29
appunto, stavo proprio per dire
Antonio Solinas: 21:20:34
pensa a una persona come mia moglie
Giovanni Agozzino: 21:20:43
purtroppo sono troppo addentro alla pornografia per capire di preciso se hai ragione :p
Antonio Solinas: 21:20:58
per lei una figura come Tera o Jenna puo' essere "accettabile"
Antonio Solinas: 21:21:06
Belladonna o Sasha Grey no
Antonio Solinas: 21:21:08
credo
Giovanni Agozzino: 21:21:20
però è anche vero che una volta una ragazza mi è venuta a parlare di taylor rain senza che sapesse della mia passione per il porno
Antonio Solinas: 21:21:41
Poi, se vogliamo parlare di pop, definiamone prima i contorni
Antonio Solinas: 21:21:53
per me il pop e' roba seria
Antonio Solinas: 21:21:57
ovvero
Antonio Solinas: 21:22:06
Diana e le Supremes
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 27
Antonio Solinas: 21:21:41
Poi, se vogliamo parlare di pop, definiamone prima i contorni
Antonio Solinas: 21:21:53
SPARRING PARTNERS
per me il pop e' roba seria
Antonio Solinas: 21:21:57
ovvero
Antonio Solinas: 21:22:06
Diana e le Supremes
Giovanni Agozzino: 21:22:19
lol
Antonio Solinas: 21:22:26
Snoop Doggy Dogg e Dr. Dre
Antonio Solinas: 21:22:31
Prince
Antonio Solinas: 21:22:45
Certe cose di Morrison
Antonio Solinas: 21:23:09
non certo Robbie Williams o i Blue
Giovanni Agozzino: 21:23:19
possiamo andarci a naso
Antonio Solinas: 21:23:23
ovvero?
Giovanni Agozzino: 21:23:32
io non saprei darti una definizione di "cultura pop" adesso
Antonio Solinas: 21:23:39
neanche io
Giovanni Agozzino: 21:23:45
anche se è probabilmente la parola che ho più usato nelle mie recensioni :p
Giovanni Agozzino: 21:23:47
(giuro)
Antonio Solinas: 21:23:53
ahahahah
Antonio Solinas: 21:23:59
dicevo
Antonio Solinas: 21:24:06
ci sono due tipi di pop
Antonio Solinas: 21:24:16
uno e' quello che pur non definendo, riusciamo a "sentire nostro"
Antonio Solinas: 21:24:23
(quello serio)
Antonio Solinas: 21:24:41
e l'altro e' la roba che viene buttata dentro internet, in televisione
Antonio Solinas: 21:24:50
nei party di Paris Hilton...
Antonio Solinas: 21:24:59
se scegliamo la seconda definizione
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 28
RUBRICA
Antonio Solinas: 21:24:23
(quello serio)
Antonio Solinas: 21:24:41
SPARRING PARTNERS
e l'altro e' la roba che viene buttata dentro internet, in televisione
Antonio Solinas: 21:24:50
nei party di Paris Hilton...
Antonio Solinas: 21:24:59
se scegliamo la seconda definizione
Antonio Solinas: 21:25:05
allora (forse)
Antonio Solinas: 21:25:13
Belladonna puo' essere pop
Antonio Solinas: 21:25:27
se invece accettiamo che il pop debba venire elaborato
Antonio Solinas: 21:25:34
una specie di "ipocalisse"
Antonio Solinas: 21:25:39
allora col cazzo
Antonio Solinas: 21:25:45
(pun intended)
Giovanni Agozzino: 21:25:51
lol
Antonio Solinas: 21:25:59
mi sono spiegato?
Giovanni Agozzino: 21:26:06
assolutamente sì
Antonio Solinas: 21:26:23
guarda che questa chat la salvo e ci facciamo la column
Giovanni Agozzino: 21:26:39
le devi salvare tutte :D
Antonio Solinas: 21:27:14
fra parentesi,
Giovanni Agozzino: 21:27:15
anche quella con malgioglio non era male
Antonio Solinas: 21:27:19
ahah
Giovanni Agozzino: 21:27:24
e ho paura di dire che malgioglio per me è pop
Antonio Solinas: 21:27:43
si, Malgioglio e' pop
Antonio Solinas: 21:28:07
fra parentesi Recchioni su sta cosa ci si masturba
Giovanni Agozzino: 21:28:37
Recchioni si masturba su malgioglio?
Antonio Solinas: 21:29:24
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 29
Macche', recchioni si masturba su una elaborazione sul porno che parte da lui
RUBRICA
si, Malgioglio e' pop
Antonio Solinas: 21:28:07
SPARRING PARTNERS
fra parentesi Recchioni su sta cosa ci si masturba
Giovanni Agozzino: 21:28:37
Recchioni si masturba su malgioglio?
RUBRICA
Antonio Solinas: 21:29:24
Macche', recchioni si masturba su una elaborazione sul porno che parte da lui
Giovanni Agozzino: 21:29:36
ah beh, anche io se è per questo
Giovanni Agozzino: 21:29:42
(che parte da me, dico, non da recchioni)
Antonio Solinas: 21:29:59
non ripugnarmi
Giovanni Agozzino: 21:30:04
LOL
Antonio Solinas: 21:30:09
a pensare che questo spunto ti eccita
Antonio Solinas: 21:30:24
mi sento male
Giovanni Agozzino: 21:30:28
parlavo di masturbazione mentale ahaha
Antonio Solinas: 21:30:33
anche io
SuperMarket
AAVV - Bizzarro Comics (2009), Planeta/DeAgostini, 418 pagg., € 30,00.
Takahashi - Ranma 1/2 (1996), Star
Comics, 112 pagg., £ 3300.
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 30
Koslowski - The King, Top Shelf (2004),
208 pagg., $ 19.95.
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
Doppio Mistico: dualismo religioso
nella mitologia e nei comic books
di Andrea Cantucci
Il concetto del doppio, in base
al quale a un dio o ad un eroe
corrisponde una sua controparte
negativa con cui tale personaggio
deve confrontarsi, è un tema
ampiamente utilizzato nei fumetti
e nella narrativa in genere, ma
chiaramente le radici più antiche di
quest’idea affondano nel mondo
dei miti religiosi e delle tradizioni
esoteriche.
Nei viaggi nell’oltretomba descritti
nei “libri dei morti” egizi, il dio-Sole
Ra affronta ogni notte il serpente
Apophis, personificazione delle
tenebre della non esistenza,
ma non può mai sconfiggerlo
definitivamente, poiché si tratta
di un’entità indistruttibile, al
pari del Sole stesso. La loro lotta
è necessaria per mantenere
l’equilibrio naturale del mondo,
in cui luce e buio si alternano,
prevalendo a turno l’uno sull’altro,
col passare dei giorni e delle notti.
A volte anche il principio solare era
raffigurato dagli egizi sotto forma
di serpente (e posto sulle corone
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 31
dei faraoni), come se si trattasse
di entità gemelle ed equivalenti.
La versione terrena di questo
conflitto si ritrova nella rivalità tra
i fratelli Osiride e Seth, gli dèi che
si sarebbero contesi la sovranità
dell’Egitto in epoche arcaiche.
Dopo la morte di Osiride, sarebbe
stato suo figlio, il dio solare Horus,
a contrapporsi a Seth.
Nello Zoroastrismo persiano, c’è
un dualismo analogo nell’eterno
conflitto tra il “saggio signore”
Ahura Mazda (o Ormuzd) e lo
“spirito maligno” Angra Manyu
(o Ahriman), artefici entrambi di
una propria creazione, alternativa
l’una all’altra. Sembra che in
origine la contrapposizione tra
queste due divinità, e tra gli altri
dèi o spiriti ad esse sottoposti,
chiamati rispettivamente Ahura e
Deva (o Daiva), fosse espressione
di rivalità etniche tra popoli Ari e
non Ari. In India gli stessi termini
hanno senso contrario, i Deva
sono dèi della luce e gli Ahura
della distruzione, mentre nei miti
cristiani, più vicini a influenze
persiane, i diavoli derivano
chiaramente dai Deva anche nel
nome. In Persia sarebbe stato il
De:FINIZIONI
leggendario profeta Zarathustra
(o Zoroastro) a dare ai due principi
una valenza di contrapposizione
morale, interpretando il conflitto
tra luce e tenebre come scontro
tra bene e male. I due stessi dèi,
visti come gemelli nati dal dio del
tempo Zurvan, si ritrovano poi
nell’insegnamento del profeta
Mani, dal cui nome derivano i
termini Manicheismo e manicheo,
ad indicare chi interpreta tutto
distinguendo nettamente tra
bene e male, senza mezze misure.
Nelle dottrine taoiste cinesi,
troviamo invece i principi
complementari Yin e Yang, non
visti come entità in conflitto, ma
come due aspetti necessari e
imprescindibili
dell’esistenza,
interpretabili come luce e ombra,
maschile e femminile, attivo e
ricettivo, ecc. Il concetto unificante
del Tao (la Via) si compone di
entrambi in uguale misura, come
APPROFONDIMENTO
rappresentato nel noto simbolo
circolare. Nei miti cinesi arcaici,
troviamo due fratelli identificabili
con questi due principi: la dea
Nu Wa (o Nu Kua), che crea
fisicamente gli uomini, e il dio
Fu Xi (o Fu Hsi), che insegna loro
ogni disciplina. Entrambi avevano
volto umano e corpo di serpente
(o drago) e sarebbero stati i primi
a unirsi in matrimonio. L’unione di
due serpenti intrecciati si ritrova
in molti simboli antichi, tra cui
il caduceo del dio greco Ermes
(o Mercurio), e la si intravede
stilizzata nel simbolo dello Yin e
dello Yang.
Un concetto di unione armonica
tra i due principi, anziché di
conflitto a oltranza, si ritrova nelle
dottrine alchimistiche, in cui lo
stato di “oscurità” denominato
nigredo e lo stato di “luminosità”
denominato albedo erano due
fasi entrambe necessarie alla
realizzazione della “Grande Opera”.
L’esigenza di riconciliare gli
opposti è espressa anche in opere
letterarie come “Il Matrimonio del
Cielo e dell’Inferno” dello scrittore
e incisore inglese William Blake, il
cui modo di fondere graficamente
testi e immagini, si potrebbe
considerare precursore dell’arte
del fumetto.
Negli anni ’60 del ‘900 nasce
l’attuale Universo Marvel e, tra gli
esseri cosmici che lo popolano,
troviamo Eternità, un essere
infinito che riassume in sé tutto
ciò che esiste, apparso per la prima
volta in un episodio del Dr. Strange
di Stan Lee e Steve Ditko, sul
n°138 di Strange Tales. Attraverso
le sue avventure successive, altri
autori svilupparono il concetto
e, in particolare, lo scrittore Steve
Englehart identificò Eternità con
Adam Qadmon, l’Uomo Archetipo
della tradizione cabalistica, e
gli contrappose come fratello la
Morte, che riassume in sé la fine
e l’assenza di tutto, di modo che
i due insieme comprenderebbero
tutta la nostra realtà, pur senza
essere divinità vere e proprie,
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 32
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
influenza, fino a sottomettere
Odino stesso, che aveva tentato
di contrastarlo. In pratica Infinito
rappresenta il lato arrogante e
dominatore di Odino, il tipico dio
del cielo, re o padre degli dèi, delle
culture patriarcali. Nel fumetto, la
situazione si risolve quando Odino
si distacca dal suo antagonista e,
presa coscienza della parte oscura
di sé, la riassorbe in una sorta di
riconciliazione.
Apparivano invece inconciliabili,
ma entità ai limiti dell’astrazione.
Con entrambe, il mago supremo
Strange arriva ad identificarsi per
superare diverse situazioni, sia di
conflitto personale che di pericolo
universale.
Nella saga di Thor di Stan Lee e Jack
Kirby appare invece Hela, la dea
della morte scandinava che, in un
ciclo disegnato da John Buscema
nei primi anni ‘70, è artefice di uno
sdoppiamento del dio Odino, di cui
genera una controparte negativa
chiamata Infinito. Questo oscuro
essere immateriale, diffondendosi
dal mondo dell’aldilà nel nostro
universo, cancella le stelle e
controlla chi cade sotto la sua
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 33
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
nei fumetti di Jack Kirby degli anni a riprenderne i personaggi,
‘70, i pianeti gemelli Nuova Genesi impegnandoli nuovamente nella
e Apokolips, l’uno governato dal loro lotta senza fine.
benevolo Alto Padre Izaya e l’altro Un nome analogo a Darkseid
dominato dallo spietato Darkseid, (che suona come “dark side”, “lato
versioni quasi speculari l’uno oscuro”), riecheggia nel ciclo
dell’altro, personificanti le forze cinematografico di Star Wars
della creazione e della distruzione. creato qualche anno dopo da
Nonostante nella graphic novel George Lucas, adattato e ampliato
Hunger Dogs, Kirby avesse poi in una lunga serie di fumetti. Qui,
tentato di mettere fine alla saga alla “Forza”, l’energia mistica che
con la distruzione di Nuova Genesi genera e permea ogni parte
e l’esodo dei Nuovi Dèi verso dell’universo, si contrappone il
altri mondi, dove le necessità di “Lato Oscuro” della Forza stessa.
ogni conflitto potessero essere Le tendenze distruttive non
superate,
questa
soluzione proverrebbero quindi dall’esterno,
non è in pratica stata accettata ma sarebbero parte integrante
all’interno dell’Universo DC, in cui dell’essenza spirituale che è anche
il ciclo è stato fatto confluire, e altri in ognuno di noi, una concezione
autori continuano periodicamente forse ispirata a certe analisi dei
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 34
simboli mitici apparse nei saggi
dello scrittore Joseph Campbell.
Comunque, per mantenersi libero
di sviluppare questi concetti come
meglio credeva, mentre stava
completando la prima trilogia di
Star Wars, pare che Lucas avesse
proibito agli autori dei fumetti di
utilizzare la Forza nelle loro storie.
In altri universi narrativi, come nei
romanzi fantasy con protagonisti
Corum o il principe Elric, firmati
dallo scrittore inglese Michael
Moorcock e adattati anche a
fumetti, gli eroi sono pedine
più o meno consapevoli in un
conflitto che vede contrapposti gli
dèi dell’Ordine e quelli del Caos.
Concetti analoghi si ritrovano
nelle storie a fumetti del Dr. Fate,
De:FINIZIONI
che serve i signori dell’Ordine, in
particolare nell’ottima miniserie
omonima scritta da De Matteis
e disegnata da Keith Giffen nel
1987, oppure nel ciclo di Warlock
realizzato da Jim Starlin, in cui
Caos e Ordine si alleano contro
Thanos, l’adoratore della morte
che minaccia di distruggere i
domini di entrambi. Poco prima,
APPROFONDIMENTO
Adam Warlock, ex-messia di una
contro-terra alternativa, aveva
affrontato la parte negativa di
sé stesso, il Magus, una sorta
di anticristo fondatore di una
chiesa interplanetaria violenta e
assassina, sinistramente simile a
tante forme religiose storicamente
reali. Per sconfiggerlo, Warlock
aveva dovuto accettare la propria
parte oscura, il cosiddetto “mostro
della follia”, vedendola non più
come necessariamente negativa,
ma solo come una diversa forma
di realtà, e infine dovette sfuggire
all’Intermediario, un’altra entità
mistica dell’Universo Marvel,
apparsa anche in storie del Dr.
Strange, che regna su un limbo
posto a metà tra tutte le coppie
di opposti (realtà e illusione, bene
e male, vita e morte, ecc.). Ma
la più bella riconciliazione tra
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 35
gli opposti appare alla fine del
ciclo di Swamp Thing noto come
American Gothic e scritto da Alan
Moore, in cui, dopo alcune puntate
di crescente “tensione magica”, si
scopre che alcune colonne nere
sorte dall’oscurità primordiale
non sono che le dita di un’enorme
mano che s’innalza verso l’alto, per
incontrarsi e riunirsi con un’altra
mano luminosa che scende dal
cielo, in un’apoteosi simbolica che
cerca di riscattare il mondo del
fumetto dalla condanna di doversi
occupare sempre e soltanto di
banali scontri tra buoni e cattivi.
De:Facto
INTERVISTA
Doppio Mento: i supereroi decaduti
di Donald Soffritti
di Antonio Solinas
Superheroes Decadence, con i
“doppi” dei supereroi in versione
bolsa o incartapecorita, è un’idea
semplice ma geniale. A quando
risale la genesi e quando è stato
che il tutto è diventato un progetto organico?
Innanzitutto tengo a sottolineare che più che geniale è un’idea
semplice, forse è per questo che
appare geniale. Io non sono assolutamente un genio, ho avuto una
ideuzza neanche tanto originale
(di cose simili se ne sono già viste
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 36
ancora, una su tutte gli Incredibili della Pixar...). Credo che la cosa
che alla fine sia piaciuta molto in
questa mia serie Decadence sia
la contestualizzazione dei singoli
personaggi. L’invecchiamento e
la gag parlano della loro storia del
loro passato e non sono invecchiamenti a caso.
Le gags le creo dopo essermi documentato molto bene sul personaggio, sul suo profilo psicologico, sulla sua storia di supereroe,
sui suoi poteri e talloni d’achille. A
mio favore poi ha giocato anche il
fatto che forse nessuno li ha mai
fatti in serie e il vederli così tutti
insieme fa un certo occhio.
Iniziai per gioco nel 2006 sul mio
blog. Lo avevo da poco aperto e
preso dalla foga di postare sempre
cose nuove, nel giro di poco tempo non ebbi più nulla da pubblicare. Visto che cominciavano ad arrivare anche commenti dall’America decisi lì per lì di toccare il tema
supereroistico con un Superman
un po’ attempato, fuori forma, togliendogli soprattutto la sua immortale longevità.
Passai subito dopo a dissacrarne
altri, Wonder Woman, Supergirl,
Spider-Man, Batman e Robin creando proprio un vero filone e un
vero e proprio progetto che chiamai Decadence. Nel giro di poco
tempo ebbi accessi da tutto il
mondo con apprezzamenti e solleciti per averne altri. Ero molto
contento e anche molto incredulo.
Mi stava esplodendo la cosa tra le
mani e non capivo il perché.
Ovviamente lo stimolo forte mi
portò a continuare. Mi divertivo,
era il mio spazio, un angolo tutto
Soffritti senza limiti o vincoli e soprattutto senza scadenze. Dopo
un po’ di tempo, anzi diciamo
pure dopo un annetto, cominciarono ad arrivare anche richieste di
Book, volevano il libro, c’era molto interesse. La cosa mi prese un
po’ alla sprovvista anche perché li
avevo fatti tutti in RGB per il web,
lì dovevano restare, e non in CMYK
De:Facto
per la stampa. Alla fine mi convinsi
di farne veramente un libro che li
raccogliesse tutti. Dovetti risistemare una metà buona portandoli
in CMYK e risistemando la risposta del colore che nel passaggio
cambia. Insomma per farla breve
è diventato un vero e proprio progetto editoriale dal momento in
cui le richieste di farne un libro cominciarono ad arrivare un po’ più
di frequente.
Come è avvenuto poi il contatto
con la Comma 22 e il passaggio
alla carta stampata?
La prima idea di raccolta cartacea
INTERVISTA
la proposi a Francesco Meo, ex
dipendente di Panini, nel 2007,
quando ci vedemmo a Milano al
Cartoomics per parlare del Vasco
Comics. Nel dialogo mi disse che
come Panini si stavano allargando a nuovi progetti editoriali e fu
lì che gli proposi il progetto, ma
purtroppo mi rispose che era una
cosa che per il momento non gli
interessava, non era in linea con
i loro piani editoriali. Poco male
pensai, ci ho provato! Nel frattempo andavo avanti con il progetto
e di strada ce n’era ancora tanta
da fare, ne avevo appena fatti una
quindicina.
Poi un giorno al telefono con DaDe:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 37
niele Brolli (siamo amici da molto
tempo) gli parlai di questa mia serie che avevo sul blog e degli innumerevoli accessi da tutto il mondo
paventandogli l’idea di farne eventualmente una raccolta cartacea.
Dopo esserseli visti tutti in rete mi
disse che sarebbe stato disposto a
pubblicarmeli con Comma 22 che
nel frattempo come casa editrice
stava crescendo sempre più con
una qualità molto alta.
L’anno scorso decidemmo che la
data di uscita sarebbe stata Lucca 2008 e fui costretto a stringere
i tempi per arrivare a farne una
qua-rantina. Fu un lavoro durissimo perché avevo anche tante altre
De:Facto
INTERVISTA
ramente avere doti soprannaturali,
essere dei veri supereroi.
E quelli veri di supereroi con i loro
superpoteri classici, i loro raggi magnetici o paralizzanti, di fronte a
tutto questo, di fronte ad un nemico
invisibile chiamato “avidità” cosa
possono fare? Nulla, gli resta solo il
pensionamento anticipato”.
Quale è stato il supereroe, invece,
la cui “decadenza” è stata maggiore fonte di divertimento?
Ce ne sono diversi. Batman e Robin, La Donna Invisibile con le sue
protesi, Reed Richard, Magneto,
Catwoman, Goblin, Freccia Nera...
Ricordo con piacere Magneto perché fu l’ultimo che feci e vederlo
in pensione come vero magnete
attaccato al frigo reggente un promemoria mi faceva molto ridere...
cose da fare contemporaneamente, ma alla fine ce la feci... al pelo!
Sarò sincero, nonostante fossi un
po’ scettico sul formato, me lo immaginavo più come un cartonato
francese, il vederlo pubblicato fu
una grossa soddisfazione e il formato funzionava benissimo.
Sicuramente, nonostante l’atteggiamento giocoso, Superheroes Decadence ha un approccio
fortemente iconoclasta nei confronti di importanti icone editoriali statunitensi. Ti sei mai “sentito in colpa”, in questo senso?
No assolutamente. I miei sono
solo vecchietti in costume e niente più, i veri supereroi sono quelli
che non muoiono e non invecchiano mai. La mia è solo una parodia dissacratoria di un qualcosa
di immortale come i supereroi.
Oltre alla satira e all’ironia del disegno, vuole essere anche un momento di riflessione di cui tutti ne
danno una loro versione. Di mio
dico: “E se un giorno anche i supereroi perdessero la loro immortalità
cosa succederebbe? Sarebbe la fine
dei sogni, delle speranze o semplicemente l’inizio di una nuova epoca
con un’inversione di ruoli, un epoca
dove è la normalità che diventa sinonimo di supereroe? Non ci sono
più mostri alti 100 piani, alieni o invasioni della terra da combattere. Il
nemico numero uno adesso è la sopravvivenza al debito pubblico, al
Pil in ribasso, all’euribor, alle tasse,
al petrolio, ai canoni, alle bollette,
alle banche, all’economia mondiale in crisi alla disoccupazione a una
politica troppo costosa e ai cinesi.
Riuscire a sopravvivere quotidianamente a tutto questo riuscendo pure
ad arrivare a fine mese bisogna veDe:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 38
Il progetto Superheroes Decadence ha avuto un fortissimo sostegno a livello web. C’è stato poi lo
stesso riscontro a livello di vendite? Quanto pensi che il web sia
stato importante per il volume
e quanto invece abbia costituito
una sorta di “fumo negli occhi”?
Dunque, per adesso il libro continua a vendere. Non stiamo parlando di cifre grossissime, siamo
quasi a 1000 copie in due mesi.
Certo è che l’obiettivo principale è
arrivare all’estero, in tutti quei paesi che hanno creato il fenomeno
con i loro accessi e le loro richieste. Il blog resta sempre un ottima
vetrina. Ci saranno quelli che si
accontenteranno di avere solo le
immagini scaricate dal mio blog e
chi le vorrà avere cartacee, anche
se sul libro ci sono una decina di
inediti, ovviamente.
In Brasile sono tutti impazziti per i
miei Decadence, c’è il web pieno,
ho ricevuto molte mail di interesse
nei confronti dell’eventuale libro e
anche richieste come socio in affari, proprio perché ne hanno visto
una possibile fonte di guadagno
De:Facto
INTERVISTA
da parte del lettore. Hai avuto
suggerimenti sui “trattamenti”
da riservare ai supereroi? Ci sono
aneddoti particolari da raccontare, in questo senso?
Sì, suggerimenti ne arrivano sempre e mi fanno molto piacere. Uno
mi è arrivato pochissimo tempo
fa che trovate tra i post di Wolverine su come trattare gli altri
X-Men. Alcune cose sono anche
palpabile dalla grande mole di
persone che ne parla. Presto sarà
anche disponibile su internet. A
fine gennaio verrà distribuito nelle librerie e anche questo gli darà
maggiore visibilità. Non essendoci
nessuna campagna pubblicitaria
se non tre anni di visibilità sul mio
blog direi che non mi lamento. È
una macchina un po’ lenta ma credo che piano piano potrà darmi
soddisfazioni. Non sono convinto
che il web sia fumo negli occhi, è
solo un mezzo, una macchina ancora poco sfruttata ma efficace.
Il web arriva nelle case di tutto il
mondo in un click. Arrivarci con un
prodotto cartaceo invece è un po’
meno immediato ma non impossibile. Intanto la gente sa che esiste
questo tipo di prodotto. Comunque sia a mio avviso il web paga
sempre, fosse solo come semplice
rientro d’immagine. L’importante
è farsi conoscere, far sapere che
a questo mondo ci sei anche tu e
che hai qualcosa da dire con la tua
arte.
Non è facile, ovviamente, ma almeno ci si prova.
Proprio per la sua natura “istantanea”, Superheroes Decadence
ha una componente di coinvolgimento a livello web che permette una fortissima identificazione
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 39
molto interessanti. Sai, ognuno ha
la propria versione decadence dei
propri beniamini e vedo che tutti
i suggerimenti sono sensati. I lettori hanno capito il meccanismo
del gioco e giocano. Io faccio tesoro di tutto ovviamente, gli spunti
datimi mi servono per far partire le
mie riflessioni. Prenderli pari pari
non mi sembra corretto né per me
e il mio lavoro né per loro, anche
se so benissimo che ne sarebbero
De:Facto
INTERVISTA
nosciuti che non sono riuscito a
fare nel primo volume e che mi
sono stati espressamente richiesti
dai lettori. Questo vuol dire altri
40 Decadence che devo iniziare
a fare e che chiuderanno la serie.
Poi ci sarà un terzo volume a sorpresa di super chiusura filone supereroistico alcuanto curioso, con
supereroi molto particolari.... Da
qui abbandono i supereroi e farò
un quarto libro Decadence ma in
altra direzione. Sto molto sul vago
perché per adesso sono solo idee,
e tra il dire e il fare ce ne passa...
Ovviamente il filone Decadence
è inesauribile, posso affrontare
qualsiasi argomento o situazione,
però non credo che lo farò in maniera assidua. Magari, dopo i primi
4, uno ogni tanto a seconda delle
idee dell’ispirazione, ma non sarà
il solo filone che accompagnerà
entusiasti.
Un aneddoto simpatico mi capitò dopo aver postato Wonder
Woman. Mi scrisse un americano
lasciandomi pure un link, ecco il
post pari pari:
“These old super heroes are great!!
I think your wonder woman has a
real life twin: http://misc.qti.com/
staff/greg/img/photos/fat_wonder_woman.jpg
Io mastico poco l’inglese ma qui
capii benissimo. Una gemella
“vera”? Incuriosito cliccai sul link e
mi apparve una vera Wonder Woman in ciccia e ossa da spavento.
Provare per credere... sinceramente preferivo la mia, se non altro
perché solo di fantasia!
Ci fu poi un grandissimo artista,
Gabriele Pennacchioli, animatore
italiano della Dreamworks, che mi
suggerì di tirare in gioco anche i
cattivi. Non ci avevo ancora pensato e il suo prezioso suggerimento lo portai subito su carta inaugurando il primo supereroe cattivo
della serie Decadence proprio con
il nemico preferito dallo stesso
Gabriele cioè Octopus, dedicandoglielo. Di buon auspicio, dopo
aver appreso dal blog l’uscita del
libro, mi ha augurato di vederlo
presto al Comic-Con di San Diego,
sicuro del suo successo. Io, scaramanticamente non dico niente.
Che cosa riserva il futuro ai supereroi in decadenza? Ci saranno
altri episodi web o su carta stampata, in questo senso?
Ci sarà un’altro volume per inglobare tutti i supereroi più coDe:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 40
De:Facto
la mia carriera di autore. Ho già in
mente altre cose simpatiche che
non hanno niente a che vedere
con la terza età. Devo dire che il
volume dei decadence per me è
stato molto importante per un
motivo in particolare, ovvero che
sono tornato a ragionare su cose
mie. Avevo abbandonato la cosa
12 anni fa quando entrai in Disney,
travolto dal lavoro seriale.
Ritornare finalmente a ragionare
INTERVISTA
con la mia testa in maniera incondizionata, semplice, senza presunzione, solamente per ritrovare
stimoli nuovi e per il solo gusto
di rimettersi in discussione. Tutto
quello che ne verrà in più sarà regalato.
Concludo dando un’anticipazione.
Se tutto filerà liscio, è prevista per
Torino comics l’uscita della raccolta dei due volumi di Alienor, la serie francese che feci con Frédéric
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 41
Brémaud per Soleil di cui ora deteniamo i diritti. Il formato sarà sempre quello dei Decadence e di Kico
e l’editore pure. Ci tenevo molto a
portare la serie in Italia, purtroppo
l’editore cui la proposi tempo fa
non se la sentì di rischiare, e finalmente ci sono arrivato grazie alla
Comma 22 che ringrazio anticipatamente.
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
Floyd Gottfredson ed i pericolosi
doppi di Topolino
di Nicola Peruzzi
Floyd Gottfredson è autore tanto
importante per la storia del fumetto quanto troppo poco conosciuto, al di fuori della cerchia degli
appassionati Disney, a causa di un
improbabile veto che vieta effettivamente la ristampa di una buona
sezione di storie e ne impedisce la
diffusione massiccia, cosa che, di
fatto, è avvenuta per lo stimato
ed altrettanto importante collega
Carl Barks con la Carl Barks Library
all’estero e La Grande Dinastia dei
Paperi in Italia.
Autore estremamente prolifico
(disegna, scrive e china strisce
quotidiane e tavole domenicali
del Topo più famoso del mondo
per 45 anni e mezzo, dal maggio
del 1930 al novembre del 1975),
dotato di una mano magica e di
un senso innato dell’avventura, si
può di fatto considerare l’inventore e l’autore di punta delle storie
del Mickey Mouse “avventuroso”,
quello più appassionante da leggere e, forse, più spesso preso a
pietra di paragone dalla primissima scuola Disney italiana (Scarpa
in particolar modo, che ne riutilizza anche alcuni personaggi, come
ad esempio Macchia Nera o il Dottor Enigm, e ne crea di nuovi modellandoli sugli originali, ad esemDe:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 42
pio Atomino Bip-Bip che per certi
versi può essere quasi considerato
un “doppio” di Eta Beta).
Nel corso della sua lunga e sicuramente faticosa carriera (non è
facile portare avanti per decenni
lo stesso personaggio, disegnandone una striscia al giorno, anche
se si è coadiuvati dai bravissimi
sceneggiatori come Ted Osborne,
Merril De Maris, Bob Karp, Dick
Shaw e, ultimo ma non ultimo, l’indimenticato Bill Walsh) la figura
del “doppio” ha fatto spesso capolino, nelle storie da lui realizzate.
Un doppio non sempre malvagio, un sosia, il più delle volte, ma
che nella maggior parte dei casi è,
come caratterizzazione psicologica, l’antitesi pura dell’eroe.
Dopo le prime prove, che vedevano un Topolino ancorato alla campagna e alla provincia americana,
alle prese con altri topi più o meno
simili al protagonista che mettono
in forse il suo rapporto con Minnie1
– come ad esempio Mr. Slicker, il bel
gagà2 – nella seconda metà degli
anni trenta entra in scena la figura
del doppio speculare, personaggio che permette a Gottfredson (e
relativi sceneggiatori) di esprimersi con gag degne della migliore
commedia degli equivoci.
È il caso di Topolino sosia di Re
Sorcio,3 storia in cui Mickey e Re
Sorcio (King Michael XIV, in originale), il re di Medioka, nazione
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
mitteleuropea che versa in grave
crisi a causa delle mani bucate
del suo reggente, si scambiano
di posto per un certo periodo di
tempo per permettere al regno di
ritornare agli antichi fasti. Come
nell’Anfitrione di Plauto ci sono i
due sosia, le rispettive fidanzate,
le situazioni tragicomiche in cui
non si capisce bene chi è Topolino
e chi è Re Sorcio, e l’impostazione,
cosa assolutamente normale per
un fumetto realizzato nel 1937, teatrale, o meglio, cinematografica.
La storia si ispira infatti a Il Prigioniero di Zenda, romanzo di Anthony Hope del 1894 e adattato per il
grande schermo; non si sa bene
se Gottfredson si riferisca all’adattamento del 1922 o a quello del
1937, visto che la data di uscita nei
cinema americani di quest’ultimo,
2 settembre 1937, risulta essere
successiva alla prima striscia, anche se probabilmente gli studios
erano in contatto, cosa che permetteva di sfruttare il gancio con
l’attualità.4 La striscia riprende dal
film le tematiche e le mescola con
le sempreverdi gag del Topo, risultando come una versione alterna-
tiva della stessa storia, un doppio
cartoonesco che però dei film (e
del libro) conserva il fascino e il
senso dell’avventuroso. La storia,
che permette anche di veicolare
una visione tutta americana della
politica mitteleuropea del tempo
(tanto che la Jugoslavia, riconosciutasi un po’ colpevolmente nel
regno di Medioka, ne ha proibito
la distribuzione nel suo territoDe:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 43
rio, rendendola di fatto una delle
storie da “lista nera della ristampa”
della casa madre), mette per la prima volta Topolino alle prese con
un suo sosia arrogante, e facendolo vincere con apparente semplicità sul rivale. Non solo, nel corso
del conflitto, il Topo risana il paese ormai in crisi nera, nonostante
la scarsa esperienza in materia di
buon governo, e fa innamorare di
De:FINIZIONI
sé la promessa sposa di re Michael. Quasi a voler ribadire dire che
l’America rooseveltiana post New
Deal insegnava a vivere all’Europa,
e non solo.5
La seconda volta che Topolino si
imbatte in un doppio avviene anni
più tardi, in Topolino e le meraviglie
del domani.6 Stavolta il topo più fa-
APPROFONDIMENTO
moso del mondo compie un viaggio nel futuro, che sebbene avvenga in sogno si rivela decisamente
realistico. La storia non è che un
pretesto per aggiornare il look di
Mickey: è qui che il topo perde la
coda (che, per problemi di animazione particolarmente complessa,
Walt Disney aveva esplicitamenDe:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 44
te chiesto di eliminare durante la
guerra, quando i liquidi erano decisamente ridotti e l’America, così
come il resto del mondo, versava
in una grave crisi economica7) e
acquisisce il look che oggi conosciamo, con la camicia e pantaloncini.
Mickey si trova a viaggiare in un
mondo che, a prima vista, appare
perfetto: i grattacieli enormi ricordano un certo cinema espressionista a là Metropolis di Fritz Lang,
i barboni chiedono le elemosina nelle macchine volanti, i bus
(anch’essi volanti, come in ogni
futuro che si rispetti) trasportano
da un continente all’altro della terra in una manciata di secondi, per
la gioia di turisti e pendolari. Ma
in realtà, non tutto va per il verso
giusto, e Peg-Leg Pete, il nostro Pietro Gambadilegno, o forse un suo
pronipote, è deciso a conquistare
il mondo tramite i Mekka-Men, dei
robot-zombi in tutto e per tutto
simili agli uomini comuni, completamente alle sue dipendenze.
Uno di essi, ovviamente, è un doppio malvagio di Topolino, completamente amorale, fortissimo,
sadico, con un gusto generico per
la distruzione e un odio del tutto
particolare per il suo sosia. Quan-
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
do la situazione si fa disperata di tutti gli ideali e le speranze
compare Mimì, creata per essere dell’americano medio), ma fa anla compagna del Topolino-robot, che da contrappunto e da anticima che (ancora una volta) si inna- pazione per quello che sarà l’ultimora di quello in carne e ossa. E mo e più efficace “scontro” con un
per lui, nel gran finale, si sacrifica, doppio di Topolino.8
e permette a Topolino di trionfare Siamo nell’America del 1953. La
si Gambadilegno e la sua orda di guerra oramai è finita da un pezzo,
robot, doppelgänger compreso.
ma negli USA gli strascichi si fanQuesta storia permette a Bill Walsh no ancora sentire. Lo spionaggio e
(e di conseguenza a Floyd Gott- la paura del comunista è la nuova
fredsona) di dare sfogo a tutta la paranoia dell’americano medio,
sua passione per il fantastico ed il alimentata da quella celeberrima
fantascientifico, in un tripudio di “caccia alle streghe” contro gli ininvenzioni, più o meno plausibili vasori dall’URSS fomentata dal
(ma si sa, il futuro visto dal passato senatore Joseph McCarthy. Imè sempre fin troppo possibilista) e provvisamente, scatta la caccia
situazioni ottimistiche che servo- al comunista; i cittadini sono nel
no principalmente ad esorcizza- panico, perché non è possibile,
re gli orrori della guerra in cui gli ovviamente, riconoscere una spia
americani sono costretti a vivere sovietica o un simpatizzante del
(in questi anni Mickey è una sor- Partito, e lo sconforto entra per
ta di “bandiera”, e si fa portatore direttissima nelle case degli ame-
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 45
ricani. Il contraccolpo, ovviamente,
si sente anche nella fiction: il cinema e la narrativa di genere vedono il proliferare di invasioni aliene,
rapimenti, incontri ravvicinati; la
paura di un’invasione degli ultracorpi è cominciata.
Le strisce quotidiane di Mickey
Mouse, in questo periodo realizzate per la maggiore dal team
Walsh-Gottfredson, non sfuggono di certo al sentore comune. In
quanto portatore, come si diceva
prima, dei sentimenti degli americani, Topolino si ritrova a vivere
avventure cupe, talvolta a sfondo
orrorifico, entrano in scena regimi, spie, dittature, violenza; quasi
come se l’entusiasmo e l’american
way che avevano caratterizzato gli
anni precedenti fossero d’un tratto scomparsi, lasciando il posto
all’inquietudine più pura.
De:FINIZIONI
La storia forse più rappresentativa
di questo sentore è Topolino contro Topolino.9 Di ritorno in città da
una non ben precisata avventura
precedente, Topolino si ritrova improvvisamente ignorato da amici
e vicini. Nella sua assenza, infatti,
un suo doppio malvagio ha imperversato in città compiendo i
più incredibili misfatti e facendo
attenzione a farsi riconoscere da
tutti, ma senza mai farsi catturare dalla polizia. La storia, incredibilmente adulta e dal ritmo consapevolmente cinematografico
(certi momenti ricordano le scene suspenseful del miglior Alfred
Hitchcock), vede contrapporsi il
“nostro” Mickey ad un suo clone
puramente malvagio, cosa che
provoca una grande inquietudine
APPROFONDIMENTO
nel Topo e in chi gli sta accanto.
Simbolica è la scena dello specchio, in cui il protagonista, prima
di andare a dormire, si riflette
nell’enorme armadio a muro nella
sua stanza da letto e compie i gesti più quotidiani: si pettina, si aggiusta il pigiama e via discorrendo.
Dopo essersi coricato, però, si rende conto che quell’immagine, che
anziché un pigiama indossava un
maglione a collo alto, non poteva
essere il suo riflesso. E tutto questo scatena una serie di situazioni
rocambolesche, tra inseguimenti,
scontri sulle strade, sui vicoli e sui
tetti della città, una Topolinia per
la prima volta inquietante e notturna, fino all’inevitabile happy
ending (che però, stavolta, tanto
happy non è, visto che Miklos, il
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 46
topo grigio trasformista che aveva
preso il posto di Mickey, riesce a
farla franca e a dileguarsi). Quello
che è interessante è notare la reazione dell’eroe (e dei suoi amici),
per la prima volta contrapposto
ad un suo doppione assolutamente perfetto, in tutto e per tutto
identico tranne che nella morale,
e in più di un occasione perde le
speranze poiché la situazione pare
disperata. Come notano Gori e
Stajano ne Il grande Floyd Gottfredson, il confronto è quasi freudiano,
la scoperta del proprio lato oscuro,
incarnato in Miklos, fa serpeggiare
l’ombra del dubbio sul protagonista ma soprattutto sulla gente che
di lui si fidava, amplificando il senso di paura e di paranoia che caratterizzava quegli anni. La scoperta
De:FINIZIONI
che l’altro da sé è in realtà un altro
sé entra a pieno vigore nel cosmo
di Topolino, e ne influenzerà, nel
bene e nel male, anche le successive avventure, sempre più simili
a crime stories, con tutto lo sporco
e le paure del caso. Il topo grigio
tornerà più di vent’anni dopo in
un’avventura-remake tutta italiana ad opera di Giulio Chierichini.10
Ma questa è un’altra storia.
APPROFONDIMENTO
Gottfredson, chine di Al Taliaferro
e Ted Thwaites.
4) Cfr. Fossati F., Topolino, storia del
topo più famoso del mondo, Gammalibri 1980.
5) Cfr. Gori L., Stajano F., Il grande
Floyd Gottfredson – una vita con Topolino, Comic Art 1998, ma anche
Becattini A., Floyd & Mickey, Comic
Art 1998.
6) Mickey Mouse in the world of to-
Note
1) Minnie è un altro doppio, per lo
meno grafico, di Topolino, tanto
più che nella fondamentale storia
di Scarpa Topolino e la Dimensione
Delta (Topolino libretto 206, 1959)
viene confusa per Mickey da un
ancora inesperto Atomino BipBip.
2) Mr. Slicker and the egg robbers,
pubblicata dal 22 settembre 1930
al 26 dicembre 1930, scritta e disegnata da Floyd Gottfredson.
3) The Monarch of Medioka, pubblicata dal 9 agosto 1937 al 5 febbraio 1938, testi di Merril de Maris
e Ted Osborne e disegni di Floyd
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 47
morrow, pubblicato dal 31 luglio
1944 al 11 novembre 1944, testi
di Bill Walsh, matite di Floyd Gottfredson e chine di Dick Moores.
7) Cfr. The man who drew the mouse,
an interview with Floyd Gottfredson
by David R. Smith, in Mickey Mouse
in Color, Pantheon Books 1988 ma
anche Becattini A., Floyd & Mickey,
Comic Art 1998.
8) Per quanto appena un anno
dopo, nella storia Topolino e Billy
il Topo (Billy, the Mouse, pubblicata dal 5 marzo 1945 al16 giugno
1945, testi di Bill Walsh, disegni di
Floyd Gottfredson, chine di Dick
Moores), Topolino si trovi a recarsi
nel far west dove viene scambiato
per il famigerato fuorilegge Billy
The Mouse (che fa il verso al più
celebre Kid) in una sorta di commedia parodistica western in tono
minore.
9) Mickey’s dangerous double, pubblicata dal 2 marzo 1953 al 20 giugno 1953, testi di Bill Walsh e disegni di Floyd Gottfredson.
10) Topolino e il flagello grigio, di
Giulio Chierichini, pubblicata
nell’Almanacco di Topolino 264
del 1978.
GUEST LIST
Rubrica
“Ciao, facciamo un doppio”?
di Roberto Recchioni
Se avete più di una ventina d ‘anni
e nella vostra gioventù siete stati
frequentatori di quei luoghi mitologici che una volta erano le sale
giochi, questa domanda ve la sarete sentita rivolgere almeno una
volta. Di solito, a porla era qualche
insopportabile ragazzino che cercava di trarvi in inganno per sbattervi fuori dal gioco e prendere il
vostro posto, ma certe volte capi-
tava pure che a farla fosse un onesto amante dei videogames che,
semplicemente, aveva voglia di
condividere l ‘esperienza di gioco
con qualcuno per sfidarsi, oppure
collaborare.
Del resto, i videogiochi nascono
quasi da subito come esperienza
sociale da giocare preferibilmente in coppia, e se “Tennis for Two”,
il gioco sviluppato da William Higinbotham nel 1958 non può essere definito un videogioco a tutti
gli effetti (non funzionava su un
dispositivo video ma su un oscilloscopio), e “Computer Space” (il
primo videogioco ufficialmente
riconosciuto della storia, uscito
nel 1971) offriva la sola esperienza single player, basta arrivare a
“Pong” (1972) per imbattersi nella
prima istallazione ludica dedicata
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 48
al multiplayer nella storia del media videogioco. Del resto, la scelta
di affidare il grado di sfida che un
videogame poteva offrire a un avversario umano, nei primi tempi
della nascita di questo media era
dettata da una precisa necessità tecnica visto che, a causa delle
scarse risorse di cui si poteva disporre, era impossibile sviluppare
una qualsiasi forma di intelligenza
artificiale per gestire un avversario virtuale. Le cose cambiarono
GUEST LIST
in fretta con l ‘aumento di potenza
di calcolo dei computer e, lentamente ma in maniera sistematica,
la modalità a due giocatori venne
sempre più relegata alla sola sfera
degli arcade (i videogames da sala
giochi) mentre i prodotti sviluppati
per gli home computer (dal Sinclair
ZX80 fino al Commodore Amiga) e
per le console casalinghe si dedicarono con maggiore interesse al
solo singleplayer. Scelta logica visto che in una sala gioco non c ‘era
alcun problema a trovare un avversario o un alleato umano mentre non la fruizione casalinga era,
in quanto tale, un ‘esperienza più
intima e solitaria. E ‘ con l ‘avvento
di internet che il multiplayer tornò in maniera preponderante nel
mondo dei videogiochi. Grazie alla
connessione al world wide web,
infatti, non c ‘era più la necessità di
trovarsi fisicamente vicini per giocare insieme ma bastava disporre
RUBRICA
di un modem.
La parola “multiplayer” divenne
rapidamente sinonimo di gioco
su internet e si sviluppò sostanzialmente in alcuni grossi filoni:
i giochi competitivi (in cui due o
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 49
più avversari si confrontano nel
tentativo di prevalere sull ‘opposta
fazione), quelli cooperativi (in cui i
giocatori collaborano contro degli
avversari mossi da una intelligenza
artificiale) e gli universi persistenti
(veri e propri mondi, popolati da
milioni di giocatori umani, in cui
vivere l ‘esperienza di una vita parallela). Al momento in cui scrivo, i
migliori (e più popolari) titoli delle
rispettive categorie sono i seguenti:
per il filone dei giochi competitivi a farla da padrone sono gli
FPS (first person shooter), gli sparatutto in prima persona, tutti discendenti diretti di quel “DOOM”
che, proprio grazie alle possibilità
di essere giocato su internet da
più giocatori, spopolò nel lontano
1993. A capitanare questa tipologia di giochi, in questo momento
ci sono il fantascientifico “Halo 3”
e “Call of Duty 4: Modern Warfare” (è appena uscito il tanto atteso
“Killzone 2”). Altro genere molto
popolare nel filone dei giochi multiplayer competitivi è quello degli
RTS (real time strategy), in cui a
farla da padrone (specie in Corea
del Sud dove è, praticamente, lo
sport nazionale) è ancora il vetusto “Starcraft”, nell ‘attesa che la
Blizzard si decida a far uscire la seconda iterazione della serie. Infine,
GUEST LIST
i prossimi mesi dovrebbero veder
tornare sotto la luce dei riflettori i
picchiaduro, genere che sul finire
degli anni ‘90 era molto popolare
ma, che negli ultimi anni, è andato
poco di moda. La Capcom, infatti,
ha appena dato alla luce il quarto,
spettacolare, capitolo della saga
di “Street Fighter” e il mondo videoludico si appresta a tornare a
sfidarsi a colpi di shoryuken e hadoken. Inutile sottolineare che il
gioco sostiene pienamente il multiplayer su internet.
Passando al filone dei giochi cooperativi, è impossibile non segnalare come, dopo anni di magra, il
genere stia finalmente tornando
a fiorire, prima con alcuni titoli di
medio livello come “Kane & Lynch”
e “Army of Two”, e poi con capolavori assoluti come “Left 4 Dead”,
“Fable II”, la serie di “Monster Hunter” (successo fenomenale ma solo
in Giappone), e “Gears of War 2”.
Per non parlare del fatto che anche “Halo 3” prevede una modalità
cooperativa, ovviamente.
Sul fronte degli universi persistenti c ‘è davvero poco da dire di nuovo: “World of Warcraft” continua
a regnare incontrastato dall ‘alto
RUBRICA
dei suoi nove milioni di giocatori paganti, sostenuto anche dalla
recente espansione “Wrath of the
Lich King”. Qualcosina per contrastarlo è stata fatta da “Warhammer
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 50
Online” ma il predominio del gioco
di casa Blizzard è assoluto.
A conti fatti, quello che risulta
chiaro è che poco importa quanto l ‘intelligenza artificiale possa
svilupparsi e raffinarsi, le persone
continueranno sempre ad amare
la sfida e il divertimento che solo
uno o più giocatori umani possono
garantire. Il “Doppio”, inteso come
concetto di gioco in comune (visto tanto come sfida quanto come
collaborazione), sta diventando, e
diventerà, sempre di più (viste anche le capacità multimediali delle
console dell ‘ultima generazione),
un mattone preminente del media
videogame, fino a quando verrà ritenuto del tutto imprescindibile.
Un giorno non ci domanderemo
più “a cosa giochiamo” ma “con
chi”... e, a essere sincero, io non
vedo l ‘ora che quel giorno arrivi.
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
Promethea: la doppia natura dell’esistenza
di Andrea Cantucci
I due aspetti del doppio
In narrativa il concetto del doppio,
inevitabilmente, si può sviluppare in due direzioni diverse. Si può
trattare, per così dire, di un doppio
“esterno”, una copia gemella e/o distorta che un personaggio incontra
al di fuori di sé. Se ne hanno esempi in letteratura, dal William Wilson
di Edgar Allan Poe a La Maschera
di Ferro, e naturalmente anche nei
fumetti, da Ekardnam, il doppio
malvagio di Mandrake uscito dagli specchi in un episodio del 1944,
alla “copia prodiga” che Zio Paperone incontra in una storia di Cimino e Scarpa del 1970, passando
per Bizarro, il doppio imperfetto di
Superman, e moltissimi altri. Nella
maggior parte dei casi, che sia un
sosia gemello, un doppelgänger di
un’altra dimensione o un banale
imitatore, il doppio è quasi sempre un nemico, una controparte
negativa dell’eroe, o come minimo una sua versione più stramba
o dispettosa che gli procura guai
a non finire. Solo negli universi
paralleli si incontrano a volte dei
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 51
doppi positivi, ma spesso nascono
dalle diverse versioni che un personaggio ha avuto nel corso del
tempo e comunque il conflitto tra
i due alter ego non è mai escluso
a priori (come Capitan America,
che una volta si scontrò con la sua
versione maccartista degli anni
’50, molto più reazionaria di lui, o
come nel caso del solito Superman,
che nella recente miniserie Crisi Infinita si è scontrato con la versione
più vecchia di sé stesso, per non
parlare della battaglia all’ultimo
sangue tra i due Superboy che appaiono nella stessa storia). Ad ogni
modo, il fatto stesso che il doppio
sia visualizzato come un io esterno, ne indica l’estraneità e quindi
la distanza rispetto al carattere del
personaggio originale.
Ci può essere però anche un doppio “interiore”, una diversa personalità che in qualche modo è
parte integrante di un individuo e
può sostituirsi a lui. Esempi arcaici
si trovano nei culti totemici di varie tradizioni, in cui, anche grazie
all’uso di droghe, si immaginava di
acquistare le fattezze di un proprio
“fratello” animale, magari rivestendosi con la sua pelle, come gli Uomini Leopardo africani, i berserker
scandinavi posseduti dallo spirito
dell’orso, o i presunti stregoni europei che si identificavano coi lupi
mannari. Metamorfosi spiegate
con interventi magici si trovano
poi in molte fiabe popolari, come
Cenerentola o Pelle d’Asino, di cui ci
sono varianti nei diversi paesi europei. Una delle più emblematiche
è la fiaba russa di Sivko Burko, riportata nella raccolta di Afanasev
col titolo Morettino, il Cavallo Incantato. Qui lo “sciocco” Ivan, grazie al
cavallo magico ereditato dal padre,
ogni volta che ne ha bisogno si trasforma in un invincibile cavaliere,
e naturalmente nessuno lo riconosce. Ecco in embrione l’archetipo
dell’identità segreta dell’eroe, che
nelle sue incarnazioni più moderne sarà tutelata prevalentemente
attraverso maschere e costumi, a
De:FINIZIONI
volte rievocanti la pelle dell’animale totemico, piuttosto che per
mezzo di arti magiche, anche se,
da Zorro-Don Diego in poi, l’apparente differenza di carattere tra il
giustiziere e il suo io di tutti i giorni ricorrerà spesso.
Dall’ottocento si comincia ad usare anche la scienza, per giustificare la trasformazione nel proprio
doppio. È quanto accade al dottor
Jekill del romanzo di Stevenson e a
molti scienziati dei fumetti, come
Bruce Banner, che nel 1962 diventò un Hulk più grosso, ottuso e colorito, o Marny Bannister, che nel
1964 diventò una Satanik molto
più affascinante e sexy. Non è certo un caso se il suo nome è simile a
quello della protagonista del film
Marnie, diretto da Hitchcock in
quello stesso anno, in cui una ragazza sviluppa senza volerlo una
personalità cleptomane, eppure
la schizofrenia, che oggi sarebbe la spiegazione più ovvia della
doppia natura di un personaggio,
nei fumetti è più suggerita simbolicamente che rappresentata
in modo esplicito. Sono descritti
APPROFONDIMENTO
come chiaramente schizofrenici
giusto dei supereroi minori, come
il bizzarro giustiziere The Creeper
creato da Steve Ditko, oppure
l’ambigua Aurora, una degli Alpha
Flight di John Byrne. Il caso più
tipico è quello de La Spina, una
scatenata supereroina disegnata
da Dick Giordano negli anni ’70
che non ricordava più nemmeno
cosa aveva fatto, quando tornava
alla sua solita identità, quella della
dolce e pacifica Rosa Forrest.
dottor Blake diventava il potente
dio Thor picchiando il suo bastone
per terra, lo studioso Jason Blood
si trasformava nel demone Etrigan
recitando formule in rima, il motociclista Johnny Blaze mutava nello
scheletrico Ghost Rider al calar della notte, mentre il recente e folle
The Mask si impossessa del corpo
di chi ne indossa la maschera, fornendo notevoli e strampalati poteri, ma al tempo stesso liberando
gli istinti più violenti del fortunato
malcapitato, al di fuori di ogni suo
Il doppio magico
controllo razionale. La stessa cosa
accade ad uno schizoide quando
La magia invece ha continuato abbandona il falso io dietro cui si
ad essere usata abbastanza spes- nasconde nell’apparente normaliso, parallelamente ai “semplici” tà di tutti i giorni e lascia libera di
eroi mascherati, per mutare radi- rivelarsi la propria psicosi, la procalmente l’aspetto e le capacità pria schizofrenia latente. È proprio
dell’eroe e quindi per far sognare recitando dichiaratamente una
anche ai piccoli lettori della metà parte, nascondendosi dietro un
del ’900 di poter diventare dei su- ruolo apparentemente diverso da
peruomini come Captain Marvel o sé, che chi ha tendenze schizoidi
Marvelman, semplicemente pro- riesce finalmente ad esprimere il
nunciando una parola. Successi- suo io più vero e profondo; insomvamente, per non essere troppo ma, se normalmente si fa solo finta
ripetitivi, si sono escogitati anche di essere sani”, come diceva anche
altri sistemi, così il claudicante Giorgio Gaber, per smettere di fingere e essere davvero sé stessi si
ha bisogno di indossare una maschera di qualche tipo, esattamente come tanti eroi dei fumetti1.
Visto sotto questo aspetto, anche
il proprio doppio “magico” potrebbe rivelare semplicemente una
parte più vera di sé, una propria
diversa natura, più potente, più
spirituale o addirittura divina, nascosta sotto un’apparenza banale.
È più o meno la stessa riflessione
che faceva un personaggio del
film Kill Bill di Quentin Tarantino, parlando del personaggio di
Superman: nel suo caso il vero io
non è quello “normale”, ma quello coi superpoteri. È più o meno
anche lo stesso concetto che sta
alla base della Promethea di Alan
Moore e J.H. Williams III. Qui la protagonista, la giovane studentessa
Sophie Bangs, non si traveste, non
fa finta di essere qualcun altro, ma
permette a qualcosa di più vasto,
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 52
De:FINIZIONI
qualcosa che riveste un maggior
significato e che esiste ad un livello diverso, di esprimersi attraverso di lei. Del resto non esiste
forse un doppio che possa essere
considerato più magico di Promethea, perché si tratta di un’idea che
APPROFONDIMENTO
rappresenta l’essenza stessa della
magia, cioè dell’immaginazione
concepita come qualcosa che non
andrebbe considerato come fittizio, ma che in un certo senso esiste
e permea il mondo in cui viviamo,
né più né meno di quanto faccia la
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 53
materia.
Ovviamente nella serie questi presupposti sono portati alle estreme
conseguenze. Attraverso la magia,
gli esseri immaginari riescono a
prendere sostanza e ad agire nel
mondo fisico, allo stesso modo in
cui quelli dotati di un corpo fisico
possono entrare mentalmente nel
mondo immaginario dell’Immateria, un equivalente narrativo di
ciò che nei suoi scritti Alan Moore
ha definito anche come Ideaspace,
uno spazio mentale in cui le idee
possono muoversi ed evolversi,
fino a prendere apparentemente
vita. Questo non riguarderebbe
solo l’ambito privato di ognuno,
ma coinciderebbe anche con una
sorta di inconscio collettivo a cui
tutti possono accedere, superando i limiti delle proprie fantasie
personali così come un corpo supera i limiti di un’abitazione uscendo di casa2. In questa ipotesi, sviluppata in un fumetto, ma avanzata anche come seria possibilità, si
potrebbe intravedere l’esistenza
di un doppio magico anche per
l’intero mondo in cui viviamo, un
doppio la cui presenza è stata più
volte sospettata in varie e presunte dimensioni ultraterrene e che
invece potrebbe essere chiamato
tranquillamente Immaginazione3.
Questa teoria è stata sviluppata
ed espressa genialmente a fumetti, attraverso immagini raffinate
ed evocative, accompagnate da
continue sperimentazioni tecniche e grafiche, nell’arco di 32 albi,
poi raccolti in 5 volumi, pubblicati
sotto l’etichetta America’s Best Comics tra il 1999 e il 2004. Anche la
durata della serie non è stata casuale, poiché il 32 è il numero che
nella Cabala è associato al viaggio
spirituale che partendo dal livello
della Terra si dirige verso la Corona
Suprema, l’essenza universale indifferenziata che qualcuno superficialmente chiama Dio.
De:FINIZIONI
Il fuoco dell’Arte
Le origini di Promethea sono mostrate in flashback nell’albo numero uno: la figlioletta di un mago
egizio è messa in salvo dal padre
facendola rifugiare nel luogo in cui
vivono gli dèi, prima che dei monaci cristiani vengano a linciarlo e
ucciderlo4. Il luogo è Alessandria
APPROFONDIMENTO
Anche il dio che accoglie la bimba
nell’Immateria è un essere doppio,
come molti dèi antichi che si identificavano l’uno con l’altro, essendo
composto da Toth, dio egizio della
scrittura e delle scienze arcane e
da Ermes, dio greco dei messaggi
e degli incantesimi, che è anche
la guida delle anime nell’aldilà. Il
caduceo di quest’ultimo, simbolo
doppio e magico per eccellenza,
diventerà l’attributo principale attraverso cui si incanala il potere di
Promethea. La bimba si trasforma
quindi in un’idea vivente che può
manifestarsi nei due mondi, ma per
assumere forma fisica, deve essere
evocata dalla fantasia di un mortale e prendere possesso di un corpo
ospite che si identifichi con lei. Di
volta in volta, nel corso degli anni,
è fatta rivivere da poeti, illustratrici
e naturalmente autori di fumetti, che proiettandone l’immagine
sui corpi propri o di persone a loro
care, danno vita a diverse versioni
di Promethea, ognuna differente
ma tutte ugualmente vere e vitali,
che ne mantengono l’aspetto anche dopo la morte, continuando
a vivere nell’Immateria. Scrivendo
una poesia su di lei, Sophie diventa quindi la nuova Promethea, e
come le precedenti deve vedersela con una serie di minacce ultraterrene, “immaginarie” o concrete,
da cui deve proteggere sé stessa e
coloro che la circondano.
Oltre ad occuparsi di magia e immaginazione, si tratta ovviamente anche di una serie sull’Arte
con la A maiuscola, trattandosi di
tre concetti che per Moore sono
strettamente interconnessi, anzi,
praticamente identificabili. Molti
d’Egitto nel 411 d.C., un’ambien- termini, come “opera” o “creaziotazione non casuale. Nella prima ne”, sono infatti utilizzati sia nei
pagina infatti si cita la bella Ipazia, riti esoterici che nell’espressione
maestra di filosofia di Alessandria artistica ed entrambe le cose tenuccisa veramente quattro anni tano di dare forma ad un qualche
prima da quegli stessi “monaci potere della fantasia sulla materia,
guerrieri”, una dei più importanti che è esattamente quello che si
martiri “pagani”, eliminati dall’in- esprime in Promethea. Il dono del
tolleranza del potere cristiano ap- fuoco all’umanità narrato dal mito
pena insediatosi5.
di Prometeo, qui diventa il dono
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 54
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
di un fuoco interiore, quello della in cerca di autentica creatività. In
Fantasia, della Magia e dell’Arte, Promethea nulla è lasciato al caso,
viste come realtà metaforiche, ma pur di ottenere un buon effetto
che hanno in sé la capacità di cam- “magico”…
biare il mondo in base ai nostri
desideri, poiché immaginarlo di- Le quattro armi magiche
verso è comunque il primo passo
per modificarlo. Moore insomma, Dopo qualche scaramuccia con
nelle sue attività artistiche ritiene dei demoni e un primo viaggio
di aver compiuto contemporanea- nell’Immateria, che soddisfamente degli atti magici, suscettibili no anche esigenze commerciali
potenzialmente di smuovere qual- d’azione e divertimento, Sophie
cosa anche nel mondo fisico6. Per comincia a conoscere meglio le
esplorare a fondo i territori della Promethee precedenti, che a turfantasia, sostiene anche di essersi no la guidano nei rispettivi territodotato lui stesso di un aiutante ri immaginari e le forniscono memagico, scegliendo come propria taforicamente quattro armi magiguida l’immaginario dio-serpente che, cioè degli insegnamenti che
Glicone7. Comunque sia, la sua le diano maggior comprensione e
dimestichezza con questi territori potere sia sulla fantasia che sulla
appare evidente anche per i pro- realtà. Le quattro armi, ispirate ai
fani, soprattutto nei testi delle sue semi delle carte spagnole e napoperformance coi musicisti Tim Per- letane: Coppe, Spade, Denari e Bakins e Dave J8 e naturalmente nelle stoni, in qualche modo coincidosceneggiature di Promethea, pro- no con i quattro strumenti magici
fondamente imbevute di forme e della tradizione celtica che si dice
teorie esoteriche.
i mitici dèi irlandesi, i Tuatha De
Le elaborate tecniche con cui que- Danann (Le Genti della Dea Dana),
ste storie sulle storie sono realizza- avessero portato da Tir Nan Og (La
te, affidate per lo più alle matite di Terra della Gioventù): il calderone
un eccezionale disegnatore come di Dagda, la spada di Nuada, la
J. H. Williams III e alle chine di un
altrettanto raffinato autore come
Mick Gray, non sono infatti secondarie, ma, come sempre dovrebbe accadere sia nella magia che
nell’arte, sono parte integrante del
messaggio. Fin dall’inizio, la composizione delle copertine e delle
pagine interne si accompagna a
decorazioni simboliche e soluzioni grafiche sempre diverse, in sintonia con i contenuti di ogni episodio, che esprimono quanto non
sarebbe possibile dire a parole.
Ciò influisce ovviamente anche sul
montaggio narrativo delle vignette, spesso disposte anche su due
tavole, qualche volta seguendo
addirittura un ordine che stravolge con successo l’abituale senso di
lettura. Naturalmente questo può
creare qualche problema ai lettori
più pigri, ma non può mancare di
entusiasmare quelli più esigenti e
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 55
pietra di Fal e la lancia di Lug, attributi dei più importanti dèi o eroi
d’Irlanda9. Secondo Moore, la coppa rappresenta la Compassione, la
spada l’Intelletto, i denari il Mondo
Fisico e il bastone la Volontà, ma si
identificano anche coi quattro elementi: Acqua, Aria, Terra e Fuoco,
a significare che senza l’unione di
tutti e quattro la nostra natura non
sarebbe completa.
E’ interessante notare come l’Immateria vive di metafore che rimandano al mondo concreto;
benché teoricamente privo di limiti, nei primi episodi sembra uno
specchio deformato della realtà
materiale in cui certi eventi restano cristallizzati. Non si può dire comunque che uno dei due mondi,
fisico o immaginario, derivi dall’altro; sono due realtà intrecciate
inestricabilmente, di cui a volte è
difficile stabilire dove si trovino i
confini. Bisogna considerare però
che le precedenti Promethee non
si erano allontanate molto dal
mondo materiale. Una di loro, che
agiva durante la I Guerra Mondiale,
abita un mondo fiabesco dei sogni, la Misty Magic Land (Nebbiosa
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
Terra della Magia), ispirata diretta- le insegni, o le ricordi, ciò che in
mente alla Slumberland (Terra del fondo dentro di sé potrebbe già
Sonno) in cui agiva Little Nemo sapere. Molte rivelazioni somiglianei fumetti di Winsor McCay ai no ad un risveglio di ciò che è già
primi del ’900.10 Un’altra affronta in noi.
mostri usciti dai pulps degli anni Pur senza essere freudiani, diventa
’30, in una terra chiamata Hy-Brasil, quindi chiaro, se ci si pensa, che la
nome di un’isola mitica della tradi- coppa rappresenta anche il sesso
zione celtica (che pare abbia dato e la natura femminile, mentre il
il nome al Brasile), ma che qui in- bastone è anche il sesso e il prindica un antico mondo fittizio affi- cipio maschile, come Jack Faust
ne a quello in cui si muove Conan insegna alla nuova Promethea
il barbaro nei racconti di Robert con una dimostrazione molto,
Erwin Howard. Un’altra ancora ap- molto esplicita. Invece nelle carte
partiene a storie a metà tra quelle francesi e toscane, appartenenti
dei supereroi e quelle dei fumetti evidentemente ad ambienti più
rosa degli anni ’50. Ognuna cita raffinati, i semi si stilizzano e si “inuna forma di narrativa popolare gentiliscono”: le coppe diventano
di un diverso periodo del ’900, in i cuori, simbolo ancora più chiaro
cui l’unico limite è la fantasia degli della compassione, le spade diautori, che è pur sempre un limite. ventano le picche (in inglese spaAnche il mondo di Sophie, una des, “vanghe”, come se l’intelletto
New York di un anno 2000 più dovesse anche scavare oltre ad
avanzato del nostro, è un luogo essere affilato), i denari diventa- caduceo in un episodio particolarideato da uno scrittore, quindi, a no i quadri (in inglese diamonds, mente sperimentale15, Promethea
rigor di logica, dovrebbe anch’es- “rombi” o “diamanti”, quindi ancora si immerge nell’Immateria seso far parte dell’Immateria, ma più legati alla terra e al mondo fisi- guendo la mappa dell’Albero della
meglio stare al gioco e fingere che co) e i bastoni diventano i fiori (ma Vita, una struttura evidentemente
sia reale, o le domande successive in inglese conservano lo stesso immaginaria messa a punto dalla
sarebbero: “Quanto è reale il no- nome, clubs, letteralmente “clave” Cabala, la tradizione mistica ebraistro mondo?” - “Ci sarà qualcuno o “mazze”).
ca, a cui sono stati sovrapposti nel
che sta immaginando noi?”. Eppu- L’apprendistato della magia, come corso dei secoli moltissimi simboli
re il nome Sophie Bangs non sem- dell’arte, non può però essere di diversa provenienza. E’ consibra casuale, anche se Moore dice solo intellettuale e necessita di derata una rappresentazione sinche quando iniziò la serie non esperienze pratiche. L’atto sessua- tetica sia della natura umana che
sapeva che un altro scrittore di le con Faust, più che a soddisfare dell’intero Universo, in una stretta
nome Bangs avesse già ambien- un vecchio libertino, serve a Pro- corrispondenza tra microcosmo e
tato un romanzo in un mondo im- methea-Sophie per comprendere macrocosmo, tra ogni individuo
maginario.11 Sophie è diminutivo non solo con la testa, ma con tut- e l’Essere Cosmico che costituidi Sophia, che in greco significa to il suo essere, cosa significa spo- rebbe il doppio privo di limiti di
Sapienza, proprio ciò di cui sono starsi su altri livelli di coscienza. Il ognuno di noi16. Libri recenti sulla
“amanti” coloro che si dicono filo- cosiddetto sesso tantrico13, crean- Cabala tendono a proporre l’uso
sofi.12 Inoltre nella Cabala, la fon- do identificazioni successive con i dell’Albero della Vita per affronte nascosta del Tutto, identificata diversi chakra, le fa sperimentare tare e risolvere anche i più banali
con Dio, è chiamata En Soph (l’In- anticipatamente le emozioni con- problemi quotidiani, più che per
finito) e Sophie è spesso chiamata trastanti ed estatiche che la atten- pure meditazioni mistiche, tratSoph dall’amica Stacia. Come le dono in quello che sarà il suo viag- tandone i segreti, a questo punto
dice il mago Jack Faust prima di gio più importante: l’ascesa verso non più tanto “segreti”, in modo
far sesso con lei, “tutto ha un signi- le sfere più elevate della Cabala14.
meno serioso e più accessibile, ma
ficato magico”. Sophie, che non a
anche enormemente semplificato,
caso è una studentessa, in quanto L’Albero della Cabala
rispetto ai trattati antichi. Senza
simbolo non dichiarato della potogliere nulla alla profondità detenziale “Sapienza Infinita” a cui Dopo un periodo di studi con Jack gli studi esoterici di Moore, degli esseri umani possono accede- Faust, ricevuta un’ultima serie di vono essere stati probabilmente
re, ha bisogno però che qualcuno insegnamenti dai serpenti del suo manuali “pratici” di questo tipo a
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 56
De:FINIZIONI
fornirgli gli strumenti più utili per
districarsi nella materia17.
La scusa per il viaggio è fornita
dalla ricerca dell’anima di Barbara
Shelley, la Promethea prima di Sophie, che dopo morta si è addentrata nell’Immateria per ricongiun-
APPROFONDIMENTO
autori passano a concentrarsi sulle
fantastiche rappresentazioni delle
sfere cabalistiche, accompagnate
da dotte e ironiche dissertazioni filosofiche. I lettori neofiti scoprono
così che l’Albero della Vita è diviso in dieci sfere o centri manifesti,
chiamati Sefiroth (Numeri), disposti in ordine progressivo a partire
dall’alto, identificati tra l’altro coi
pianeti e collegati da ventidue “vie”
o “strade”, a loro volta identificabili
con le carte dei Tarocchi18.
Il viaggio di Promethea parte ovviamente dalla Sefirah di Malkut, il
“Regno”, che corrisponde al pianeta e all’elemento Terra ed è il piano materiale su cui viviamo fisicamente, mentre dentro e attorno a
noi si svolge il “discorso divino”.19
Da qui prende la 32° via, corrispondente alla carta dell’Universo (o “Il
Mondo”), che raffigura una donna
che danza con un serpente.20 Supera poi il fiume Stige, che nei miti
greci divide il mondo dei vivi da
quello dei morti, e giunge alla Sefirah di Yesod, il “Fondamento”, che
corrisponde alla Luna ed è legata
alla sessualità21 e ai sogni, che già
nella Cabala si identificavano con
un abisso della coscienza analogo
al Subconscio. Qui Promethea, in
mezzo a immagini di personaggi
reali e fantastici, tra cui vari “viaggiatori lunari”, ritrova la propria
amica e proseguono insieme la ricerca. L’associazione tra il mondo
inconscio dei sogni e il regno dei
morti mitologico è esplicita22. Qui
si possono incontrare solo parvenze di vita, dei sogni appunto, doppi inconsistenti e prevedibili delle
vite reali; per trovare i simboli che
danno forza e sostanza all’anima
occorre andare oltre.
Percorrendo a ritroso la “folgore”
dell’Albero della Vita, ovvero la
gersi allo spirito del marito. Da strada simbolica che avrebbe comquesto momento gli elementi più piuto lo Spirito Divino per manifeavventurosi e dinamici, già mes- stare il Mondo, prendono quindi la
si da parte più d’una volta, sono via che equivale alla carta del Sole
delegati alle apparizioni saltuarie e che le conduce alla Sefirah di
di un’altra Promethea che sostitu- Hod, lo “Splendore” (o “Maestà”), la
isce Sophie sulla Terra, mentre gli sfera di Mercurio, associata anche
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 57
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
all’omonima sostanza, che è il re- “Bellezza” (o “Gloria”, detta anche
gno dell’intelletto razionale e del Rachamim, “Pietà”), sfera del cenlinguaggio. Qui trovano gli dèi del- tro della coscienza che si identifica
la magia che avrebbero inventato col Sole e con l’Oro e rappresenta
Promethea e i loro corrispondenti il punto più alto della personalità
di altre culture, oltre ad alcuni mo- umana, l’io di ognuno di noi che
derni maghi. Poi attraversano la via coincide con quello dell’Universo,
della Torre e passano nella Sefirah la voce percepibile del respiro didi Netzach, la “Vittoria” (o “Eternità”, vino, ovvero suo figlio.24
o “Pazienza”), sfera dei sentimenti Viene poi la strada della Giustizia
istintivi e del pianeta Venere, che che le porta alla Sefirah di Gebubilancia quella dell’intelletto ed è rah, la “Forza” (o “Potenza”, detta
associata all’elemento Acqua.23 Il anche Din, “Giustizia”), la sfera di
successivo passaggio cruciale è la Marte associata all’elemento Fuovia della Morte, che è indispensa- co, che rappresenta la volontà e
bile accettare e superare, rinun- il giudizio della parte superiore
ciando al proprio io terreno, per dell’Anima, un luogo pericoloso
accedere alla Sefirah di Tifareth, la se ci si identifica troppo con esso
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 58
perché può portare a eccessiva severità e distruzione, ma da lì la via
della Forza le conduce alla Sefirah
che lo bilancia, Chesed, la “Misericordia” (o “Amore”), sfera del pianeta Giove associata all’Aria (ma
anche all’Acqua, per contrapporla
al fuoco di Geburah), in cui ci si
identifica con la benevolenza paterna, l’aspetto creativo e protettivo degli dèi del cielo. Da questo
punto però non c’è sull’Albero un
sentiero diretto che porti alla sfera
successiva lungo la “folgore divina”
e del resto nei miti sembra che la
folgore venga da qui, dalla mano
di Zeus o dal martello di Thor. Si
direbbe che abbia percorso una
De:FINIZIONI
via che non esiste più, o che solo
la Divinità poteva percorrere. Inoltre lungo la sua strada è posta una
sfera occulta priva di numero, chiamata Daath, la “Conoscenza”25, nel
punto in cui un “abisso” divide le
sfere degli archetipi dell’Anima da
quelle più alte, appartenenti direttamente allo Spirito Divino. In realtà sulla “mappa” ci sarebbero altre
strade secondarie che potrebbero
portare lassù26, ma è chiaro che
Moore, come autore, non ama le
comode scorciatoie, quindi deve
far superare alle sue eroine quel
baratro e lo fa creando qualcosa di
originale, enigmatico e, come sempre, geniale, in cui si intravedono
soprattutto gli echi delle opere di
Howard Phillips Lovecraft.
In qualche modo riescono dunque
a raggiungere la terza Sefirah, Binah, la “Comprensione” (o ”Intelligenza”), la stabile sfera di Saturno,
che rappresenta l’amore e la consapevolezza spirituale, il principio passivo, la parola interna non
udibile, il “Mondo Futuro” a cui
tornano le anime. Qui appare loro
la doppia natura dell’aspetto più
alto della Dea Madre, di cui la stessa Promethea non è che un aspetto. Poi la via dell’Imperatrice, un
altro simbolo del potere generativo della Dea, le porta alla seconda
Sefirah, Chokmah, la “Saggezza” (o
“Sapienza”), il pensiero abissale che
rappresenta la volontà e il fine dello Spirito Divino, che origina e governa ogni attività e dinamismo27,
il principio maschile che si unisce
al principio femminile e che Moore e Williams rappresentano senza nessuna soggezione o censura
dogmatica. L’11° sentiero, quello
del Matto, le porta infine a ritrovare il marito di Barbara nella prima
Sefirah, Kether ‘Eliyon, la “Corona
Suprema” (chiamata anche Ayn, il
“Nulla”), l’Io Universale in cui tutte
le differenze si dissolvono, il punto abbagliante senza dimensioni o
movimento, il vuoto in cui l’Infinito si manifesta e da cui scaturisce
il Tutto.28
APPROFONDIMENTO
Ogni tappa, compresa l’ultima,
è rappresentata con una cura e
un’attenzione ai minimi dettagli
che rasenta la perfezione Questo
viaggio potrà anche risultare un
po’ noioso per chi si entusiasma
solamente quando può tifare tra
due energumeni che se le suonano, ma è quanto di più vicino alla
Divina Commedia sia mai stato realizzato nel mondo del Fumetto29,
anzi, senza entrare nel merito artistico, Moore usa delle allegorie più
universali di quelle di padre Dante
e pur rivendicando una certa sostanza alla fantasia, ha l’accortezza di tenere separati i diversi piani,
senza confondere le metafore con
delle realtà concrete.
Doppia battaglia tra esseri duplici
Promethea n. 24 è l’ennesimo numero particolarmente originale in
una serie in cui non esistono episodi banali. Sophie si deve scontrare con la Promethea che aveva
lasciato al suo posto e che è un
po’ refrattaria a ritornarsene in
pensione. Fin qui niente di strano;
è solo la conferma che le diverse
versioni di un personaggio tendono a litigare abbastanza spesso.
Senonché assistiamo in parallelo
al flashback di un lontano ricordo
sepolto, di un’epoca in cui ci furono contemporaneamente due
Promethee, una cristiana e una
musulmana, incapaci di comprendersi e destinate a combattersi
senza esclusione di colpi, pure essendo due forme della stessa persona. Mentre passato e presente si
confondono, assistiamo quindi ad
un doppio conflitto tra due coppie
di fantastici doppi magici incarnati
in corpi di donne diverse, che però
condividono essenzialmente una
sola natura ed una sola anima. Se
qualcuno ne ha voglia, può anche approfittarne per chiedersi se
quando combattiamo qualcuno
non stiamo per caso combattendo noi stessi, o riflettere su quale
sia il senso di considerare sempre
giusta la nostra violenza e sbagliata solo quella degli altri. Non male
in fondo, per un episodio su una
semplice “scazzottata”.
L’Apocalisse prossima ventura
Il quinto e ultimo volume della
serie è ambientato tre anni dopo
il quarto; nel frattempo Sophie
Bangs ha tentato di evitare i suoi
doveri di Promethea, perché sembra che questi comprendessero
qualcosa di cui la maggior parte
della gente ha una cattiva opinione: la fine del Mondo. Cosa sia poi
questa “fine del Mondo” non è del
tutto chiaro e non si può certo essere così crudeli da anticiparlo qui.
Comunque di Apocalissi ne sono
già state raccontate tante, soprattutto se si considera che ancora
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 59
De:FINIZIONI
non ne è mai capitata nessuna.
Le più belle, come sempre, sono
quelle mitologiche, che se non altro hanno il pregio di poter essere interpretate in molti modi. Nei
miti dell’India30 come nel Ragnarok della Scandinavia31, nonostan-
APPROFONDIMENTO
mondo. La morale è che l’esistenza
è un ciclo, perché nasca qualcosa
di nuovo deve morire il vecchio e
da ogni fine può rinascere qualcosa. Invece nelle religioni monoteiste o legate ad un presunto profeta storico, che si chiami Siddharta,
Jesus o futuro Messia, c’è questo
dio umanizzato, o essere umano
divinizzato, a cui viene lasciata la
bella responsabilità di venire alla
fine di tutto a constatare i disastri che si saranno combinati nel
frattempo, a rimettere a posto in
qualche modo i cocci e a spengere la luce definitivamente dietro di
sé allo scadere dell’orario di chiusura. Il ciclo conclusivo di Promethea prende qualcosa da entrambi
questi modi di concepire la fine,
ma non sposa completamente
nessuno dei due. Per la verità non
si può dire che la rivelazione finale
della storia giunga del tutto inattesa, per lo meno per chi si intende
minimamente di cose esoteriche,
anche perché Moore, nel suo desiderio di diffusione della sapienza misterica, aveva distillato tutta
una serie di rivelazioni continue,
un po’ per volta, nel corso della serie e, così facendo, inevitabilmente
aveva già anticipato molto. Un lettore smaliziato insomma potrebbe
anche intuire a grandi linee cosa lo
attende nell’ultimo volume, al di là
del fatto che la storia è come sempre narrata in modo meraviglioso,
col notevole apporto dei “dipinti
fotografici” di Josè Villarubia e ricorrendo in modo inatteso anche
ad elementi quotidiani che vengono caricati di un significato magico senza limiti. Benché ci sia all’inizio un incontro-scontro con Tom
Strong, l’eroe più classico dell’universo mooriano di America’s Best
Comics, che richiama anche nella
te certi elementi cruenti, c’è un grafica le storie degli anni ’70 sul
aspetto consolante: dopo la fine genere di “Superman contro Wondel mondo attuale ne nascerebbe der Woman”32, non vengono fatte
un altro, con degli dèi nuovi di zec- poi troppe concessioni a logiche
ca, probabilmente destinati a loro commerciali o stereotipate. La
volta a scomparire per poi essere realtà apparente delle cose viesostituiti da altri insieme al loro ne semplicemente scardinata più
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De:FINIZIONI
volte e poi ricomposta. La doppia
natura dell’esistenza risulta ormai
evidente agli occhi di chiunque
voglia vederla. Il dirompente potere della fantasia si mostra in tutta la sua innegabile verità e poi si
nasconde ancora dietro tentativi
di spiegazioni razionali. La protagonista cresce, matura, cambia e
compie azioni definitive e “irrimediabili”, senza nessuna apparente
possibilità di tornare sui suoi passi.
Sullo sfondo intanto, personaggi
estremi, colti nel loro più estremo
momento di inquietudine, tentano di cogliere le loro ultime occasioni prima della fine…
Si potrebbe continuare a cercare
APPROFONDIMENTO
di dire tutto senza dire niente, ma accontentarci dell’edizione in voquello che comunque è veramen- lume, con allegata una copia del
te affascinante e rivoluzionario in duplice poster in versione ridotta.
questa Apocalisse, è che ad accoglierci, alla fine, una volta tanto ci
sia una bella donna.
Titolo: Promethea (serie di 5 voluDopo che tutto è finito, l’epilogo mi)
del 32° ed ultimo numero è l’en- Testi: Alan Moore
nesima sperimentazione estre- Matite e dipinti: J. H. Williams III
ma: un albo spillato le cui pagine (con la collaborazione di Charles
sono singole vignette di una dan- Vess e Josè Villarubia)
za, contenenti molte utili e curio- Chine: Mick Gray
se informazioni, che spaginate Colori digitali: Jeremy Cox
e riunite insieme compongono Edizione italiana: Magic Press
due poster che riproducono due Formato: variabile tra 168 e 192
volti di Promethea, realizzati con pagine
un misto di tecniche pittoriche e Rilegatura: in brossura con bandigitali. In Italia però dobbiamo delle
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 61
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
Prezzo: variabile tra € 13 e € 15,50
a volume
Su Promethea vedere anche
www.segretidipulcinella.it/sdp19/
art_02.htm
Note
1) Sul carattere schizoide e schizofrenico
vedere ad esempio il volume di Ronald
Laing “The Divided Self”, Tavistock
Publications 1959 – edizione italiana “L’Io
Diviso”, Einaudi 1969.
2) “Lo spazio all’interno della nostra casa
è interamente nostro, eppure se facciamo
un passo fuori dalla porta d’ingresso ci
ritroviamo in una strada, in un mondo che
è mutuamente accessibile e aperto a tutti.
E se questo fosse vero anche per la mente?
E se potessimo viaggiare oltre i confini
dello spazio mentale individuale verso lo
spazio comune esterno, dove potremmo
incontrare le menti di altre persone in
uno spazio condiviso? Questo potrebbe
spiegare di colpo fenomeni controversi
come quella che viene definita telepatia o
trasmissione delle conoscenze a distanza,
ma spiegherebbe anche dei fenomeni
più ordinari, anche se altrettanto
intriganti. Quando James Watt scoprì la
propulsione a vapore, per esempio, ci fu
un gran numero di altri inventori a cui
venne la stessa idea nello stesso anno, in
modo del tutto indipendente…” (da “Alan
Moore intervistato da Eddie Campbell” –
traduzione di Smoky Man – introduzione
al volume “Serpenti e Scale” di Moore e
Campbell, edizione italiana Black Velvet
Editrice 2003).
3) “Quando venni per la prima volta
sito Ultrazine.it).
iniziato alla magia, si trattò di un evento
4) Con gli editti di Tessalonica (380 d.C.)
spontaneo, non stabilito: i miei pensieri
e Costantinopoli (392 d.C.) emanati
parvero focalizzarsi su un argomento, che
da Teodosio, il Cristianesimo diventò
la consapevolezza è uno spazio, la mente
religione ufficiale di stato dell’Impero
può essere osservata come uno spazio
Romano e gli altri culti vennero aboliti e
e quello spazio può essere occupato. Ci
dichiarati fuori legge.
possono essere entità che sono indigene
5) Nel 415 d.C., il patriarca cristiano di
di quello spazio. Flora e fauna del
Alessandria d’Egitto, Cirillo, istigò i suoi
mondo mentale, il ché credo sia più che
monaci combattenti ad uccidere la nota
sufficiente a spiegare tutti i demoni, gli “maestra di filosofia” Ipazia (Hypatia: 370angeli, le chimere, gli alieni grigi, gli elfi, 415 d.C.), figlia di Teone, matematico e
i folletti, le fate della cultura umana.” (da
Rettore dell’Università di Alessandria.
un’intervista ad Alan Moore, a cura di Barry
Donna di grande saggezza versata
Kavanagh - traduzione di Smoky Man dal
in filosofia, matematica e astronomia,
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 62
Ipazia aveva fondato una scuola rinomata,
rivolgendo i suoi insegnamenti soprattutto
alle giovani donne, per emanciparle
dall’atteggiamento maschilista dell’epoca.
(…) Cirillo ordinò la sua cattura e la
mandò a morte, in una chiesa, facendola
scarnificare viva con conchiglie taglienti;
i suoi resti furono gettati in una cloaca.
(…) Cirillo fu in seguito canonizzato dalla
chiesa ed ancora oggi viene celebrato ad
Alessandria il 9 Febbraio e nelle chiese
latine il 28 Gennaio. Ipazia era talmente
stimata e apprezzata per la sua brillante
intelligenza che il suo assassinio è stato
considerato da molti come la morte
De:FINIZIONI
del mondo e della cultura pagana. (…)
Anche i suoi discepoli furono uccisi, gli
scritti bruciati ed i suoi insegnamenti
andarono in parte perduti. Alcuni suoi
lavori, conosciuti anche in Oriente,
vennero tradotti in arabo e furono resi
APPROFONDIMENTO
noti in Occidente dopo oltre mille anni
di silenzio. (Sintetizzato dal sito Alatheus.
it) - Ipazia è apparsa anche in un fumetto,
nella storia di Corto Maltese “Sirat
Al-Bunduqiyyah - Favola di Venezia”,
realizzata da Hugo Pratt nel 1977.
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 63
6) “Non faccio distinzioni tra magia e arte.
Quando mi misi nella magia, compresi
che lo avevo fatto per tutto il tempo, da
quando scrissi la mia prima patetica
storia o poesia quando avevo dodici anni
o qualsiasi altra cosa. Questa è stata la
mia magia, il mio modo di averci a che
fare.” (da un’intervista ad Alan Moore, a
cura di Barry Kavanagh - traduzione di
Smoky Man dal sito Ultrazine.it).
7) Glykon fu un dio venerato per breve
tempo in Dacia, oggi parte della Romania,
nel II secolo d.C.
8) Sulle performance di Alan Moore e
le versioni a fumetti di Eddie Campbell
che ne sono state tratte, vedere articolo
“Alan Moore: Eroi, orchi e serpenti”: www.
de-code.net/approfondimenti_scheda.
asp?tipo=1&id=10.
9) Sia la Spagna che la Francia, in cui gli
attuali semi e figure furono aggiunti alle
carte da gioco provenienti dai paesi arabi,
erano e sono abitate da popoli d’origine
celtica. Le quattro armi magiche dei
Thuata De Danann sono anche al centro
di una storia a fumetti della serie di
Slaine, The Horned God, scritta da Pat Mills,
dipinta da Simon Bisley e liberamente
ispirata a leggende irlandesi (edizione
italiana: Il Dio Cornuto, Magic Press). Il
tema di queste quattro armi mitiche è
stato sviluppato, in modo molto diverso,
anche da Alfredo Castelli nella sua serie
di Martin Mystère, ipotizzando una loro
improbabile origine extraterrestre.
10) Su Little Nemo di Winsor McCay, vedere
l’articolo “Da Freud a Little Nemo… e oltre
- Viaggio cosciente nei sogni a fumetti”,
alla pagina www.segretidipulcinella.it/
sdp19/art_02.htm.
11) Si tratta di John Kendrick Bangs,
autore di “Un Houseboat sullo Stige”,
Harper 1896. Moore ha usato il suo
libro come spunto per Promethea n. 14,
spacciandone l’autore per un “lontano
zio” di Sophie.
12) In greco, Filosofia significa
letteralmente “Amore per la Sapienza”.
Sophia o Sofa era anche un appellativo
di Athena, in quanto dea della Sapienza.
Nel Cristianesimo gnostico, Sophia è la
luce nata dalla Fede che separa il cosmo
dal Caos sottostante, cioè dall’illimitato
abisso oscuro delle acque primordiali,
secondo il mito delle origini del testo
De:FINIZIONI
copto Pistis Sophia (rinvenuto con altri
a Nag Hammadi, in Egitto, nel 1945 e
risalente al 400 d.C.). In Promethea n.
21, Moore identifica la Sophia con la
Shekinah, la Presenza Divina della Cabala,
che si manifesta discendendo nella sfera
materiale di Malkut, così come Promethea
si manifesta nel corpo di Sophie.
13) Col termine “sesso tantrico” si indicano
impropriamente atti di “magia sessuale”
ispirati a teorie dalle filosofie indiane
dello Yoga e del Tantra, ma in India non
risulta sia praticato fisicamente, almeno
non da adepti ortodossi delle attuali
religioni locali, che nonostante l’uso di
simboli sessuali, come il linga (il sesso
maschile) e la yoni (il sesso femminile),
attuano una repressione dei propri istinti
APPROFONDIMENTO
anche maggiore di quelle occidentali.
14) Da sempre le discipline magiche
tendono ad identificare strutture
simboliche di diverse tradizioni mistiche.
I sette chakra indiani (una sorta di centri
energetici), si possono far coincidere
con i sette livelli dell’Albero della Vita
cabalistico ed entrambi si possono
sovrapporre a punti del corpo umano in
modo abbastanza coerente.
15) In Promethea n. 12 si sovrappongono
in modo coerente: la storia del mondo
narrata in rima dai serpenti, le figure
dei Tarocchi, degli anagrammi del nome
Promethea e una barzelletta raccontata
dall’occultista Alistair Crowley. Ogni
pagina è una vignetta che continua nella
successiva e l’ultima si collega alla prima.
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 64
Il senso può essere che, nella magia, le
corrispondenze (artificiose o meno)
unificano i concetti e svelano le verità
comuni.
16) Nei testi cabalistici raccolti sotto il
nome di Zohar (Il Libro dello Splendore)
si fa anche una distinzione interna
all’Albero della Vita tra “Grande Volto”
(o “Volto Maggiore”) e “Piccolo Volto” (o
“Volto Minore”), descritti minuziosamente
come simboli della doppia natura dello
Spirito Divino e dell’Anima, ovvero
metaforicamente il Padre e il Figlio, che si
riflettono l’uno nell’altro.
17) Vedere il libro di Will Parfitt “The
Elements of the Qabalah”, Elements
Books Limited 1991 – edizione italiana
“La Cabala”, Oscar Mondadori 2000 – un
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
e genitali, dove l’energia femminile di
Kundalini è attorcigliata su sé stessa
come un serpente (sul significato di
questo simbolo, vedi nota 20).
20) Moore ritiene che rappresenti
l’Immaginazione che si intreccia con laVita
(identificando il Serpente con la doppia
elica del D.N.A.). In effetti la Dea Madre
dei culti antichi (identificabile anche
con Maya, l’Illusione) è spesso associata
al Serpente, simbolo di trasformazione
e rinnovamento legato agli elementi e
in genere a tutto ciò che fluisce, come i
fiumi a cui assomiglia, l’energia, il Tempo
e come appunto la Vita. L’interpretazione
di Moore ha il solo difetto di essere un
po’ restrittiva, poiché in molti miti il
Serpente, in quanto simbolo del fluire
dell’esistenza, è associato anche ad eventi
manualetto di Cabala semplificata che
descrive esattamente la stessa struttura e
le stesse corrispondenze dell’Albero della
Vita utilizzate da Moore per Promethea.
18) In versioni antiche le Sefiroth si
identificano anche coi vari nomi di Dio,
gli Arcangeli, le gerarchie angeliche
e addirittura con ordini demoniaci
e Arcidiavoli, che ne costituirebbero
l’aspetto negativo, nascosto nei cosiddetti
Qliphoth, i “gusci” che ne restano quando
se ne allontana lo Spirito Divino. Le Sefiroth
e le vie che le uniscono possono essere
associate anche a divinità, animali, piante,
pietre, elementi, lettere, punti cardinali
o segni zodiacali, rappresentando tutte
le forme in cui si manifesta la Divinità e
quindi l’intero Universo. – L’identificazione
delle ventidue vie con i ventidue Tarocchi
maggiori è dovuta ad occultisti del XIX
secolo, mentre in origine il loro numero
era messo in relazione soprattutto con le
ventidue lettere dell’alfabeto ebraico.
19) La Sefirah di Malkut si identifica
anche con la Shekinà, la “Presenza Divina”,
in quanto manifestazione fisica della
Divinità, ed è quindi chiamata anche
Regina o Moglie (di Dio). - Nello Yoga
corrisponderebbe al chakra Muladhara,
il “Sostegno alla base”, collocato tra ano
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 65
ciclici naturali come alluvioni o siccità e
non unicamente agli esseri viventi. Un
grande serpente, o più esattamente un
drago, di nome Nidhogg, si trova anche
alle radici di Yggdrasill, il frassino cosmico
che costituisce un equivalente dell’Albero
cabalistico nella tradizione nordica.
21) In origine Yesod rappresenta il
simbolo della circoncisione, considerata
il “fondamento” del culto ebraico. - Nello
Yoga sarebbe il chakra Svadhisthana, “Che
sta al proprio posto”, alla base dell’organo
genitale.
22) Lo stretto rapporto tra i simboli degli
Inferi e quelli dell’Inconscio è stato trattato
diffusamente nel 1979 dallo psicologo
James Hillman, nel suo libro “The Dream
and the Underworld” – edizione italiana
“Il Sogno e il Mondo Infero”, Adelphi 2003.
De:FINIZIONI
APPROFONDIMENTO
fa dire a Sophie che “non ci sono vie che
partono dalla quarta sfera”. In effetti, oltre
a tre vie che tornano indietro, ci sarebbe
stata la 16° strada, quella del Papa, che
però avrebbe avuto il difetto di passare
direttamente alla seconda sfera saltando
la terza, quella della Madre Divina (si
sa, i papi negano da sempre l’aspetto
femminile della Divinità…).
27) Nella Bibbia, Binah corrisponde alle
acque primordiali, mentre Chokmah, che
nella Cabala moderna è stata associata al
pianeta Nettuno, corrisponde allo Spirito
di Dio che aleggia sulle acque. Binah
e Chokmah nello Yoga corrispondono
al “terzo occhio” tra le sopracciglia, Ajna,
“Dove si realizza il comando”; infatti
quando Promethea visita queste due sfere
appare sulla sua fronte un terzo occhio
inscritto in un triangolo. – In Binah, sfera
di Saturno, Moore inserisce anche delle
falene di una specie chiamata Saturniae
Promethea, “Promethea di Saturno”, della
cui esistenza pare non fosse a conoscenza
quando iniziò a scrivere la serie.
28) Nella Cabala moderna, Kether è
fatta coincidere col pianeta Plutone,
probabilmente perché anche l’antico dio
degli Inferi rappresentava il Nulla che
segue o precede l’esistenza. Nello Yoga
corrisponderebbe al chakra Sahasrara,
il “Loto dai Mille Petali”, alla sommità del
23) Hod e Netzach, nello Yoga
corrisponderebbero al chakra Manipura,
la “Città della Gemma”, nella zona
dell’ombelico, in cui si concentrano
le tendenze possessive che in effetti
possono essere comuni sia all’ambito
intellettuale e razionale che a quello
sentimentale e istintivo.
24) Tifareth rappresenta la pietà, in quanto
intermediaria tra le sfere superiori del
Giudizio e dell’Amore. Nello Yoga sarebbe
il chakra del cuore, Anahata, “Che risuona
senza colpo”, il luogo in cui gli opposti si
uniscono.
25) Nella cabala moderna, Daath è
stata identificata col pianeta Urano, un
tempo sconosciuto, mentre Moore ha
preferito un’altra soluzione. Nello Yoga
corrisponderebbe al chakra della gola,
Vishudda, il “Purissimo”.
26) Una delle pochissime imprecisioni
di Moore è quando, su Promethea n. 20,
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 66
De:FINIZIONI
capo, appena sotto o appena sopra la
calotta cranica.
29) La struttura dell’Universo della Divina
Commedia è simile ad un’altra immagine
cabalistica delle Sefiroth: l’Adam Qadmon,
l’“Adamo Celeste”, l’Uomo Cosmico
inscritto in dieci sfere concentriche, il
cui punto centrale, la Sefirah di Yesod,
coincide con il suo sesso e corrisponde
APPROFONDIMENTO
anche alla posizione dell’Inferno
dantesco. Dante prima scende negli
Inferi e poi risale dall’altra parte della
Terra, ma la sua direzione non cambia,
come se percorresse in linea retta
l’Albero della Cabala, da Malkut verso
Kether. Quindi il cunicolo che dal centro
della Terra lo porta all’isola del Purgatorio
e poi il monte del Purgatorio stesso
De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 67
corrisponderebbero alla via dell’Arte,
che si interseca con quella della Torre e
che conduce a Tifareth, la sfera del Sole.
Questa si può considerare in relazione
con il giardino dell’Eden che è in cima
al Purgatorio, dove Dante invoca Apollo
e vede sorgere un Sole che lo illumina.
L’albero proibito della Conoscenza, che
sovrasta l’Eden, può essere in relazione
con la Sefirah occulta della Sapienza,
Daath, o con le Sefiroth superiori in genere,
come dice anche il testo cabalistico dello
Zohar. Saranno coincidenze, ma mentre
la guida di Dante lungo la “via dell’Arte”
era un artista, Virgilio, lungo l’equivalente
della via della Papessa, che porta da
Tifareth a Kether, lo accompagna invece
una donna, Beatrice. I nove cieli del
Paradiso dantesco più quello della Terra
sono poi identici ai dieci cerchi dell’Adam
Qadmon e rappresentano le stesse sfere
dei pianeti cabalistici (quelli conosciuti
dagli antichi) associate a significati più o
meno analoghi e poste nello stesso ordine,
anche se numerate in senso inverso.
Infine l’Empireo di Dante corrisponde
perfettamente a Kether.
30) Il principale mito apocalittico indù,
dice che l’ultima incarnazione di Vishnu,
chiamata Kalkin, col suo cavallo bianco
e la sua spada fiammante “purificherà” il
Mondo dal male, ponendo fine al Kali
Yuga, l’attuale “Età Perdente”, a cui, dopo
un crepuscolo di 360.000 anni, seguirà un
nuovo Krta Yuga, o ”Età Perfetta”.
31) Il Ragnarok, o Crepuscolo degli Dèi,
degli antichi popoli nordici, in cui i Troll
e i Giganti insorgeranno contro gli dèi
di Asgard e l’oscuro dio Surtur salirà
dall’abisso con la sua spada di fuoco
a incendiare il Mondo, è stato narrato
anche a fumetti, da Lee e Kirby in due
puntate di Tales of Asgard del 1966, e
poi ha minacciato di verificarsi più volte
nelle storie di Thor. La versione operistica
germanica, capitolo conclusivo del ciclo
dell’Anello di Wagner, è stata adattata a
fumetti due volte, da Roy Thomas e Gil
Kane e da P.Craig Russell.
32) Per la precisione, la copertina di
Promethea n. 27 è dichiaratamente
ispirata a quella disegnata da Ross
Andru per l’albo speciale “Superman
contro l’Uomo Ragno” – edizione italiana
Editoriale Corno 1976.
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