Mai bello come me - Scrivo la tua storia

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Mai bello come me
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Mai bello come me
Ho 34 anni, una laurea in ingegneria aerospaziale e una
promettente carriera universitaria essendo già professore
ordinario in una delle migliori università del paese. Vanto
numerose pubblicazioni in riviste scientifiche mondiali,
sono a capo di un gruppo di ricercatori che lavorano al
fotovoltaico di nuova generazione e sono considerato uno
dei migliori cervelli nel mio campo di studio,
frequentemente convocato in congressi europei e
mondiali. Ho avuto attitudine allo studio e in particolare
alla matematica fin da bambino, poca propensione alle
materie
letterarie
ma
un’assoluta
“intelligenza
scientifica” come diceva il professore di matematica e
fisica al liceo.
Sono in un letto di ospedale. Da poco più di tre mesi mi
hanno diagnosticato una leucemia mieloide acuta. Sono
da poco passate le 17 di un giorno qualsiasi di questa
settimana qualsiasi e tra poco meno di un’ora, puntuale
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come ogni giorno, verrà a trovarmi mio fratello Raffaele.
Qualche sera fa un paziente della stanza accanto mi ha
invitato a vedere sul suo dvd portatile Rain Man, film che
non avevo visto quando uscì, ormai diversi anni addietro.
Me ne sono tornato in camera con un sorriso amaro, una
sensazione mista di fastidio e rabbia. Avere un fratello
ritardato, sebbene non autistico e molto meno grave di
quello del film, non produce fortuna e non fa scoprire
chissà quali opportunità nella vita, è solo un grande,
pesante problema. Per me avere Raffaele come fratello
aveva significato, soprattutto da bambino, una tremenda
ingiustizia. I miei compagni di classe, quando volevano
offendermi
per
qualche
screzio
nato
durante
la
ricreazione, non si trattenevano dall’attaccarmi con
insulti del tipo “tu sei scemo come tuo fratello, va a
giocare con i ritardati come lui”. Non sono mai stato un
tipo violento o attaccabrighe e così non reagivo né
verbalmente né prendendoli a calci, semplicemente mi
tenevo dentro quella frustrazione figlia dell’ingiustizia di
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essere il fratello intelligente di Raffaele. Alla fine,
soprattutto nei pomeriggi d’inverno in cui non potevo
allontanarmi da casa, mi ritrovavo a giocare a shanghai
con Raffaele, lontano da tutti. Sollevare e rimuovere
delicatamente un bastoncino, oppure dare un colpo secco
per scalzarlo dalla posizione di apparente equilibrio
evitando che gli altri compresi nel reticolo casuale che si
era formato ne risentissero, era un bell’esercizio di
pazienza e di attenzione per quel gioco e per la vita.
Avrei tanto desiderato essere liberato dal reticolo di
quella fratellanza che non avevo scelto ma che intuivo fin
da bambino avrebbe condizionato la mia esistenza:
sentivo che avrei dovuto prendermi cura di lui. Sempre.
“Sergio, aiuta tuo fratello a fare i compiti. Sergio, vedi
che Raffaele sta venendo in cortile da te, non
allontanatevi. Sergio, dov’è tuo fratello, non vi avevo
detto di stare insieme?” Queste raccomandazioni dei miei
genitori sono state la colonna sonora della mia vita fino
al liceo. Crescendo riuscii poi a staccarmi dalla
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compagnia di mio fratello che si mostrò capace di badare
a se stesso più di quanto insegnanti, medici e i miei stessi
genitori
avevano
dell’obbligo infatti,
immaginato.
Dopo
la
scuola
venne fuori che Raffaele se la
cavava molto bene con i lavori manuali, cominciò a
lavorare in un laboratorio di falegnameria mentre io mi
iscrissi allo scientifico e quindi mi trasferii in un’altra
città per frequentare la facoltà di ingegneria.
Raffaele aveva una innata capacità di entrare in empatia
con le persone: tutto il quartiere in cui abitavamo, dai
condomini ai negozianti, dagli edicolanti agli ambulanti,
e poi i suoi colleghi in falegnameria lo avevano in gran
simpatia e per la strada spesso, quando passeggiavo con
lui nei miei ritorni a casa tra un esame e l’altro, si
sentivano saluti gioiosi a cui Raffaele rispondeva con
altrettanto entusiasmo. Mi ero sempre chiesto come fosse
strano che la stupidità risultasse tanto simpatica. Mio
fratello, che aveva sempre avuto gravi deficit di
apprendimento che nessun insegnante di sostegno sia alle
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elementari che alle medie era riuscita a migliorare, non
era stato nemmeno in grado di prendere la patente per
guidare l’auto, perciò si spostava per la città sempre con i
mezzi pubblici, e così anche gli autisti dei tram o degli
autobus lo accoglievano nei loro mezzi con saluti
entusiasti, del tipo: “Ehi, Raffi, come va, era un po’ che
non venivi a trovarmi”. E lui rispondeva a tutti con un
gran sorriso, una battuta simpatica, un’affettuosa pacca
sulla spalla e il suo saluto ormai famoso: “ciao bello …
ma mai bello come me!”, a cui accompagnava il vezzo di
tirarsi indietro il folto ciuffo di capelli che gli cadeva
sulla fronte.
In falegnameria dicevano che era molto bravo a “capire il
legno”, non aveva studiato né avuto un maestro, ma
d’istinto, solo osservando la sezione da lavorare sapeva
come tagliare ad esempio la radice di olivo affinché non
si scheggiasse, riusciva a tirar fuori dal rovere le venature
migliori e dal castagno i nodi più perfetti. Non si poteva
dargli da fare qualcosa a misura perché non era in grado
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di far dipendere i suoi lavori dal centimetro, costruiva
però dei pezzi unici molto belli, come piccoli scaffali da
un unico tronco di frassino, tavolini intagliati in una
radice di olivo, sgabelli da tronchi di ciliegio e il tutto
per lo più senza utilizzare la colla perché sosteneva che
erano già nascosti nel legno, bastava solo liberarli. I suoi
lavori venivano venduti senza ordinazione: i clienti
sapevano delle sue creazioni e le apprezzavano, mio
fratello non aveva una grande percezione del valore del
denaro, quello dello stipendio da operaio che gli passava
il proprietario della falegnameria gli era più che
sufficiente sebbene uno solo dei suoi lavori venisse
venduto al triplo della mensilità che percepiva. Ma
Raffaele diceva a tutti che era contento così, considerava
Mario, il proprietario della falegnameria, più un amico
che un datore di lavoro e d’altronde chi altro se non un
amico poteva prendere a lavorare un falegname come lui
che non era in grado di tagliare a misura lo stipite di una
porta? Raffaele era consapevole di non avere tutte le
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facoltà di un “normodotato”, (bruttissima parola che però
esprime compiutamente il senso), ma non ne soffriva, era
sereno, aveva quella rara capacità che forse hanno solo i
felici (o gli stupidi o i saggi?) di amarsi per ciò che si è.
Tra poco sarà qui, lo sentirò prima di vederlo mentre per
il corridoio saluterà gli infermieri che gli faranno l’eco
“ciao bello…ma mai bello come me!” e poi entrerà da
quella porta con quel suo sorriso aperto ed esagerato che
in molte occasioni ho definito idiota e che oggi non vedo
l’ora di vedere. Metto via tutto prima che arrivi, non
voglio che mi trovi con il computer sul letto, penserebbe
che sto lavorando e comincerebbe a sfinirmi con
questioni che nella sua semplice logica non fanno una
grinza, del tipo “ma se puoi lavorare, perché te ne stai in
ospedale? Se quando ho l’influenza e mando il certificato
a Mario poi lui sapesse che invece lavoro il legno a casa,
mi licenzierebbe subito, non è che oltre alla malattia poi
ti ritrovi pure senza lavoro, eh?”. Ecco, sta arrivando,
sento il suo saluto per il corridoio meglio chiudere tutto.
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Raffaele è andato via da poco, oggi ha fatto una cosa
inconsueta, dopo avermi raccontato gli incontri della
giornata con la gente del quartiere e del tronco che in
falegnameria si sta trasformando in una sedia, mi ha
lasciato una lettera chiedendomi di leggerla solo dopo
che se ne fosse andato, aggiungendo: “poi però non
rompere con gli errori di grammatica, non mi serve
essere letterato per fare il falegname…capito bello, ma
mai bello come me?!”.
“Caro cervellone di un fratellone,
ti scrivo mentre sono sull’autobus di Gino che mi sta
portando in ospedale a trovarti. O deciso (ed ecco qua il
primo errore da matita rossa) di scriverti cose che non
sono mai riuscito a dirti. Prima di tutto che, anche se sei
sempre stato un gran pensiero per me (ma senti un po’?),
io ti ho voluto sempre tanto bene e non ho mai desiderato
un fratello diverso da te. Fin da bambino io vedevo che
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eri molto intelligente, che i libri erano la tua passione ma
eri poco capace di stare insieme agli altri e così per non
lasciarti solo, scendevo in cortile a farti compagnia (ah,
questa è bella!) e non mi pesava passare ore e ore a
giocare a sciangai, anche se eri sempre silenzioso e di
cattivo umore, ci stavo bene con te…e poi alla fine
vincevo quasi sempre io, e questo alegeriva (le doppie,
queste sconosciute, eh?) il compito . Tu sei una grande
mente Sergio mio, un genio di quegli specchi che
prendono il sole, ma un disastro dal punto di vista
pratico, e per questo non ti devi preoccupare perché ci
sono io, anche solo se devi appendere un quadro o
prepararti qualcosa da mangiare, puoi chiamare me,
sono il tuo fratello maggiore e so come prendermi cura
di te. Anche la mamma sai, soprattutto negli ultimi
giorni, quando ormai non riusciva più ad alzarsi dal letto
e io le inboccavo la minestrina all’olio che le piaceva
tanto, mi prendeva la mano tra le sue e mi sussurrava
“custodisci Sergio”. Allora io gli dicevo:“mamma, lo
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sai, sono sempre stato il custode di mio fratello, non sono
mica come Caino”. Ti ricordi eh, la storia dei due fratelli
che ci aveva raccontato da bambini? A me quel Caino lì,
stava proprio antipatico. Ah, mi dimenticavo la cosa più
importante: per la tua malattia è tutto a posto. Ho
parlato con Bruno, quello che chiamano Primario, ma si
chiama Bruno, e mi ha detto che gli basta un po’ di
qualcosa che, non mi ricordo come si chiama ma ce l’ha
anche il legno (si chiama midollo), possono prendere da
me per farti guarire. Va tutto bene cervellone di un
fratellone, certo non sarai mai bello come me, ma magari
adesso con quel qualcosa di me che ti mettono dentro ti
abelisci anche tu! Ecco, Gino mi ha chiamato, la
prossima è la fermata dell’ospedale, sto arrivando,
domani ti porterò una sorpresa…ciao bello!”.
Per correggere l’ultimo errore mi è sfuggita una delle
lacrime che rigano il mio volto: adesso è qui, sul foglio di
Raffaele, espande l’alone sul suo posto eterno. Ripenso
all’ultimo giorno di mia madre: quando arrivai era già in
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coma, le accarezzai il viso, mi chinai vicino al suo
orecchio per sussurrarle: “non preoccuparti, a Raffaele
penserò io”. Spero, anzi supplico, che non mi abbia
sentito e che almeno in quel giorno le sia stata
risparmiata la mia cecità.
Il giorno successivo al biglietto Raffaelle venne in
ospedale con la sorpresa: una scatola di shanghai di
pioppo fatti da lui, su ogni bastoncino c’erano scritti gli
eroi dei fumetti che leggevamo da bambini, su due
bastoncini c’erano però scritti i nostri nomi. Lanciando a
caso gli shanghai sul tavolino accanto al letto, quello con
il mio nome si era adagiato in cima, in equilibrio precario
sopra a tutti gli altri. Da sempre la prima mossa toccava a
me. Afferrai agevolmente il bastoncino della Banda
Bassotti che non toccava nessuno degli altri, quindi
utilizzandolo a mo’ di leva, detti un colpo secco da sotto
a quello con il mio nome che infatti non provocò alcuna
conseguenza sugli altri, ma si alzò in aria dalla parte di
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Raffaele che per afferrarlo si sporse dalla sedia, perse
l’equilibrio e cadde a terra con il mio bastoncino nella
mano destra urlando soddisfatto “Preso!”.
E’ trascorso un anno da quel giorno e dalla mia malattia,
grazie al trapianto sono guarito. Ho chiesto un periodo di
aspettativa all’università, da poco sono tornato a vivere a
casa dei miei, con mio fratello. L’altro giorno al
fruttivendolo che mi chiedeva se era da poco che mi ero
trasferito nel quartiere ho risposto: “sono il fratello di
Raffaele, sono tornato a casa…” Il fruttivendolo ha
esclamato: “Ah, ma sei il professor Sergio, Raffaele parla
sempre di te, è così orgoglioso del suo fratellone
cervellone che però, al pari di tutti noi, non è mai bello
come lui!”. Abbiamo riso entrambi di un riso sincero che
nascondeva quel pudore adulto misto ad un orgoglio
ebete che ci impediva di dire espressamente che aveva
ragione lui.
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Spesso la sera, quando Raffaele non ha impegni con i
suoi amici (ma a volte ho il dubbio che si tenga libero
proprio per farmi compagnia), giochiamo a shanghai:
spero sempre che nel reticolo casuale i bastoncini con i
nostri due nomi si sistemino uno accanto all’altro; e
comunque faccio sempre in modo che sia Raffaele a
custodire entrambi. Nelle sue mani sono al sicuro.
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