codice della strada
Transcript
codice della strada
Newsletter 38 a cura di ALESSANDRO CASALE comandante di polizia locale docente in diritto della circolazione stradale giornalista pubblicista collaboratore di riviste di settore direttore di www.infocds.it CODICE DELLA STRADA INSEGNE STRADALI DI ESERCIZIO: LECITO SOLO IL NOME Tar Veneto, sez. III - sentenza 21 settembre 2007 n. 3134 FATTO La ricorrente ASI ROBICON è società con sede in Milano e con stabilimento in Montebello, posto fronte Autostrada all’altezza del km 99-100 carr. Ovest A. Brescia-Padova ed individuabile da un’insegna di servizio posta sui tetto del medesimo, recante la dicitura ASI ROBICON Industrial Power Control. In data 28.02.2003 la ricorrente faceva istanza alla convenuta Autostrada BS VR VI PD spa per l’autorizzazione ad esporre detta insegna di esercizio. Con nota del 17 giugno 2003, qui impugnata, la resistente, richiamato il parere preventivo di ANAS individuato in epigrafe, rigettava l’istanza. Si sostiene che la società concessionaria Autostrada ha ritenuto di non potere rilasciare il parere favorevole di nulla osta tecnico all’esposizione dell’insegna di esercizio “Asi Robicon” applicando la prescrizione di cui all’art. 23 comma 7 del codice della strada ed avuto riguardo alla circolare n. 41/98 emanata dalla Direzione generale dell’Anas perché “ a) non è collocata all’ingresso principale dell’azienda o nelle sue vicinanze, ma sul tetto dell’edificio e b) non indica, pertanto, a chi percorre la viabilità ordinaria gli accessi all’azienda”; che Autostrada esclude inoltre che l’inse- gna proposta rientri tra le insegne d’esercizio e la riconduce alle insegne con finalità pubblicitaria per le quali vale il divieto opposto alla richiesta; che, al contrario, per la giurisprudenza amministrativa l’insegna di esercizio, ammessa lungo le autostrade dall’art. 23 comma 7^ c.d.s., può essere collocata anche lontano dall’ingresso principale dello stabilimento, ad esempio sul tetto, sulla facciata laterale o presso l’ingresso secondario dell’edificio sede dell’impresa, e può dunque essere visibile da coloro che percorrono l’autostrada ed anche da chi si trova a circolare sulla viabilità ordinaria; che tale collocazione non costituisce di per sè indice di intervento pubblicitario avendo invece lo scopo di agevolare l’individuazione della sede della ditta proprio da parte di chi, cliente o fornitore, debba raggiungerla pur non conoscendo l’esatta ubicazione della medesima”; che anche il richiamo formulato nella nota alla circolare ANAS n. 41/98, deve considerarsi del tutto inconferente perché, sempre per giurisprudenza costante, detta circolare deve ritenersi implicitamente abrogata dalla successiva legge 472/1999, che ha modificato l’art. 23 c.d.s. citato. 2) violazione di legge (art.3 l. 241/1990) ed eccesso di potere per motivazione insufficiente e contraddittoria e carenza di istruttoria. Si sostiene che in ogni caso la determinazione impugnata non è adeguatamente e sufficientemente motivata e denota profili di carenza di istruttoria; che in particolare la parte conclusiva del provvedimento (disturbo visivo agli utenti e pericolo alla sicurezza) appare frutto di un’arbitraria conclusione dell’amministrazione resistente, poiché una valutazione in tal senso non risulta né nella parte motiva del provvedimento né è stata oggetto esplicito delle valutazioni effettuate nel corso dei sopralluoghi dagli accertatori preposti. Si è costituita in giudizio la Societa Autostrada Brescia- Verona- Vicenza-Padova S.p.a. che in via preliminare ha eccepito l’irricevibilità del ricorso e nel merito la sua completa infondatezza, chiedendone la reiezione con vittoria di spese. Alla pubblica udienza del 21 giugno 2007, previa audizione dei difensori delle parti, il ricorso è stato posto in decisione. IL COMMENTO Il Tar del Veneto ha stabilito che ai sensi dell'art. 23, commi 1, 7 e 13 bis il nulla osta favorevole dell'ente proprietario della strada riguardante l'installazione di una insegna di esercizio lungo il tracciato stradale è subordinato alla condizione che l'insegna contenga solo il nome della ditta, e non anche altri elementi ultronei, non essenziali e non funzionali alla individuazione dello stabilimento della società, destinati, ad es. ad evidenziare la tipologia del prodotto o del settore nel quale l'azienda opera, che l'art. 23 vieta in assoluto "lungo e in vista degli itinerari internazionali, delle autostrade e delle strade extraurbane principali e relativi accessi", indipendentemente dalla collocazione dell'insegna (all'ingresso principale dell'azienda o nelle sue immediate vicinanze). 1 DIRITTO Ed in ogni caso ammetterlo sarebbe inutilmente gravatorio perché il ricorso appare, nel merito infondato. La società Asi Robicon ha infatti chiesto di essere autorizzata ad esporre un’insegna, visibile dall’autostrada, che tuttavia non contiene (solo) il nome della ditta, cioè la c.d. insegna di esercizio, ma anche un elemento ultroneo, non essenziale e non funzionale alla individuazione dello stabilimento della società, rappresentato dalla scritta “Industrial Power Control”, destinato ad evidenziare la tipologia del prodotto o del settore nel quale l’azienda opera, che l’art. 23 del d. lgs. 285 del 1992 vieta in assoluto “lungo e in vista degli itinerari internazionali, delle autostrade e delle strade extraurbane principali e relativi accessi”, indipendentemente dalla collocazione dell’insegna (all’ingresso principale dell’azienda o nelle sue immediate vicinanze). Ne consegue che poiché per “insegne d’esercizio”, devono intendersi quelle che recano solo il nome dell’azienda (ed il logo che le identifica), mentre tali non sono quelle contenenti elementi sovrabbondanti rispetto alla indicazione del nome dell’impresa (cfr. Tar Veneto Sez. 3^ n. 469/2001; id. TAR Emilia Romagna Sez. 1^, 19 settembre 2003, n. 1544) l’autorizzazione richiesta dalla ricorrente è stata legittimamente denegata, sia in forza del divieto generale relativo alle insegne pubblicitarie (comma 7^), sia (comma 1^) perché ritenuta idonea ad arrecare disturbo visivo agli utenti dell’autostrada e a distrarne l’attenzione con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione. P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza Sezione, dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe. RILEVAZIONE PASSAGGIO SEMAFORO ROSSO: I TEMPI DEL GIALLO Nota Ministero dei trasporti 16-7-2007 n. 67906 riguardante i tempi della durata del giallo ai semafori Con riferimento a quanto esposto con la nota in riscontro, si premette quanto segue. L’art. 41 c. 10 del nuovo Codice della Strada (DLs n. 285/1992) non indica una durata minima del periodo d’accensione della luce gialla veicolare, ma si limita ad affermare un principio di portata generale. Durante tale periodo, i veicoli non devono oltrepassare la linea d’arresto, salvo che vi si trovino così vicino da non potersi arresta- re con sufficiente sicurezza. Le norme tecniche al riguardo vengono invece dettate da organismi di unificazione o da enti di ricerca. In particolare lo studio prenormativo pubblicato dal CNR il 10.09.2001,’”Norme sulle caratteristiche funzionali e geometriche delle intersezioni stradali”, al paragrafo 6.7.4 “Determinazione dei tempi di giallo”, indica durate di 3, 4 e 5 s per velocità dei veicoli in arrivo pari, rispettivamente, a 50, 60 e 70 km/h. In presenza di traffico pesante con veicoli di lunghezza massima pari a 18.75 m, ivi compresi autocarri, autobus, fìlobus, autotreni, autoarticolati, autosnodati, filosnodati e vetture tramviarie, è indicata una durata di 4 s anche per velocità di 50 km/h. Nella pratica, ai fini della massima uniformità applicativa, si adottano generalmente tempi fissi di 4 e 5 s, rispettivamente su strade urbane ed extraurbane. Ciò non esclude che in fase di progettazione dell’impianto semaforico, in dipendenza delle dimensioni della intersezione, della velocità dei veicoli in arrivo e della loro lunghezza, ferma restando la durata minima di 3 s, possano essere adottate durate diverse. Si rammenta, inoltre, che la fasatura dell’impianto semaforico, effettuata a cura dell’ente proprietario della strada sulla scorta della geometria dell’intersezione e delle caratteristiche di traffico, è del tutto indipendente da quella dei dispositivi di rilevamento delle connesse infrazioni; tali apparecchiature, infatti, sono attivate dallo scatto, del rosso, non sono condizionate dalla durata del giallo e non possono in alcun modo influire sul funzionamento dell’impianto semaforico. Per quanto riguarda il ruolo della ditta installatrice nel rilevamento delle infrazioni, eventuali esposti circa i compensi percepiti devono essere indirizzati al Ministero dell’Interno al quale spetta, a norma dell’art. 11, c. 3, 2° periodo, del Codice, il coordinamento dei servizi di polizia stradale da chiunque effettuati. Per i dispositivi appositamente approvati per funzionare in modalità totalmente automatica, senza la presenza degli organi di polizia stradale, non vi è obbligo di contestazione immediata dell’infrazione, ai sensi dell’ari. 201 c. 1-bis lett. b) e c. 1ter. 2° periodo, del Codice. Per quanto riguarda l’apparecchiatura in oggetto, i fotogrammi esibiti riportano chiaramente località, data ed ora della infrazione, ed è indicato l’orario dì inizio della fase di rosso, come prescritto dal Decreto Dirigenziale di approvazione n. 3458 del 15.12,2005. Dall’esame dei fotogrammi, che ritraggono l’autovettura prima e dopo del superamento della striscia d’arresto con il semafo- ro proiettante luce rossa, si evince chiaramente la violazione contestata. Le verifiche ed eventuali tarature previste dal decreto di approvazione devono essere eseguite con cadenza almeno annuale dopo la prima installazione, e pertanto, all’atto della infrazione, non risultava ancora trascorso il prescritto periodo. Si resta a disposizione per ogni eventuale ulteriore chiarimento. IL COMMENTO Il Ministero dei Trasporti dà indicazioni sulla durata del giallo richiamando uno studio del CNR sulla durata di accensione della luce gialla. In particolare, per le strade con velocità di 50 km/h il tempo è di 3 secondi; 4 con velocità di 60 km/h e 5 per velocità di 70 km/h. TARGHETTA: DELLA MANOMISSIONE NON RISPONDE IL CONDUCENTE Cass. Civ. sez. II, 17 luglio 2007, n. 18746 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso al G.d.P. di Sansepolcro depositato il 27.2.03, G. Giancarlo proprietario dell’auto Fiat tipo tg. PI 50XX13 proponeva opposizione avverso il verbale con il quale gli era stata contestata la violazione dell’art. 74 commi 1 e 6 del C.d.S. perché circolava alla guida del suddetto veicolo che risultava avere la targhetta del costruttore portante un numero diverso da quello di identificazione del telaio. Assumeva il G., pur non contestando la contravvenzione, di nulla sapere del fatto, spiegando di avere portato, circa un anno prima dell’accertamento, la propria autovettura dal carrozziere Tinti Moreno per eseguire riparazione e dove furono montati pezzi di ricambio recuperati da altra auto poi rottamata. Costituitasi, la prefettura di Arezzo contestava l’assunto dell’opponente facendo presente che era stata disposta la restituzione del mezzo per consentire la regolarizzazione. Il G.d.P. con sentenza del 17.5.2003 rilevato: che la contravvenzione era stata elevata legittimamente e che per l’attribuibilità della stessa è sufficiente la colpa; che per la corte di legittimità è sufficiente la coscienza volontà dell’azione e cioè la condotta volontaria e cosciente da parte dell’autore del fatto (CIRCOLAVA); che, con riferimento alla buona fede, nessuno può invocare la propria ignoranza della legge; accertato che il veicolo de quo non era stato oggetto di furto, respingeva il ricorso applicando la sanzione nel minimo edittale. Avverso tale sentenza ricorre in Cassazione G. Giancarlo. Nessuna difesa ha svolto la controparte. 2 MOTIVI DELLA DECISIONE Deduce il ricorrente a motivo di impugnazione: la violazione e falsa applicazione dell’art. 74 C.d.P. Per avere il G.d.P. erroneamente applicato la norma e la relativa sanzione ad un soggetto diverso da quello che poneva in essere il comportamento incriminato, per essere invece il carrozziere l’autore dell’infrazione. Il ricorso è fondato. Il G.d.P. infatti, nel ritenere legittimamente elevata al G. la contravvenzione per la violazione dell’art. 74 del C.d.S., ha errato applicando la norma ad un soggetto diverso da quello cui essa attribuisce il comportamento sanzionato. Ai sensi dell’art. 74 del C.d.S., il soggetto al quale viene imputata la manomissione della targhetta o del numero di identificazione del telaio dei ciclomotori, non è chi circola con dati di identificazione del telaio alterati; ma chi materialmente li contraffa, asporta, sostituisce, altera, cancella o rende illeggibile. Nella specie, poiché il G. è stato contravvenzionato per il solo fatto della circolazione: né in alcun modo è stato contestato o messo in dubbio quanto dallo stesso dichiarato circa l’essergli stato il veicolo restituito con quella targhetta (il cui numero non corrispondeva a quello del telaio) dalla carrozzeria (specificatamente da lui indicata), cui lo aveva consegnato per le riparazione (tant’è che dopo gli accertamenti, il veicolo, prima sequestratogli, gli è stato restituito non risultando denunciato per furto il veicolo cui rispondevano i dati della targhetta applicata sul ciclomotore del G.); il ricorso va accolto per essere stata la norma erroneamente applicata. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata senza rinvio e stante la soccombenza l’intimata Prefettura di Arezzo va condannata al pagamento, in favore del G., delle spese del presente giudizio nella misura che si liquida in dispositivo. P.Q.M. La corte accoglie il ricorso e cassa senza rinvio la sentenza impugnata. IL COMMENTO Il conducente che circola a bordo di veicolo che ha la targhetta del costruttore manomessa non ne risponde se è all'oscuro della violazione. Lo ha stabilito la Cassazione nella sentenza 18746/2007 riguardo ad un automobilista della provincia di Arezzo il quale viaggiava a bordo della sua auto che, in occasione di un controllo, è risultata avere la targhetta del costruttore alterata. Al conducente era stata contestata la violazione dell'articolo 74. La Cassazione ha invece stabilito che la sanzione non deve essere applicata al conducente in quanto tale ma a chi materialmente ha operato la manomissione, in quel caso il carrozziere che aveva riparato la autovettura. CICLOMOTORI: NO AD AUTOVELOX PER DIMOSTRARE VIOLAZIONE DELLE LIMITAZIONI Cassazione Civile, sez. II, 22 giugno 2007, sentenza n. 14656/07 FATTO Il Prefetto di Cremona ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza n. 72/02 del Giudice di Pace di Casalmaggiore che, accogliendo l’opposizione proposta ex L. n. 689 del 1981, da C.A., in qualità di obbligato in solido e di esercente la potestà sul figlio minore C.F., ha annullato l’ordinanza ingiunzione n. 121/2001 emessa da esso Prefetto in data 13.6.2001 per violazione dell’art.97 C.d.S., commi 6 e 14. Il ricorso è sorretto da due motivi. L’intimato non ha svolto alcuna attività difensiva. DIRITTO Col secondo motivo si denunciano plurime violazioni di legge (art. 2700 c.c., nonchè D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 52; D.P.R. n. 495 del 1992, art. 198; D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 97, comma 6, e art. 142) per avere il Giudice di Pace ritenuto non provato il superamento dei limiti di velocità disattendendo sia il verbale di accertamento dotato di fede privilegiata sia la successiva verifica eseguita sul ciclomotore dall’Ufficio della Motorizzazione Civile che era, invece, idonea a dimostrare l’avvenuta alterazione delle caratteristiche del ciclomotore. 3 - Le censure sono fondate. La seconda perché l’illecito contestato al C. non era il superamento dei limiti di velocità, previsto e disciplinato dall’art. 142 C.d.S., a cui ha fatto riferimento il Giudice di Pace, bensì - com’è pacifico - la violazione dell’art. 97 C.d.S., commi 6 e 14, e cioè la circolazione con ciclomotore sviluppante una velocità superiore a quella prevista dall’art. 52, perchè modificato. Pertanto, ai fini della configurabilità dell’illecito in questione, occorreva accertare non già la velocità tenuta dal ciclomotore nel caso concreto, ma l’avvenuta alterazione delle caratteristiche costruttive tecniche del veicolo, con la conseguenza che i mezzi di accertamento andavano individuati in quelli stabiliti dall’art. 97 del Regolamento, (che demanda le verifiche alla Motorizzazione Civile), non già in quelli previsti dall’art. 345, ai fini dell’accertamento del superamento dei limiti di velocità di cui all’art. 142 C.d.S., mezzi tra i quali è compresa anche quell’omologazione delle apparecchiature a cui ha fatto riferimento il Giudice di Pace, confondendo - in tal modo - illeciti ontologicamente diversi tra loro. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata senza rinvio e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione compensando le spese. Così deciso in Roma, il 20 aprile 2007. IL COMMENTO Il ciclomotore che sviluppa una velocità superiore a 45 km/h deve essere sottoposto a verifica tecnica ai fini della contestazione dell'articolo 97. Lo ha ribadito la Cassazione che ha così confermato il suo orientamento secondo il quale le risultanze dell'autovelox servono solo ed esclusivamente per la contestazione dell'articolo 142 e non anche per il 97. Nel caso oggetto di sentenza il conducente del ciclomotore era stato fermato a seguito di rilevazione con autovelox. L'organo accertatore aveva contestato sia l'articolo 142 per la velocità, che il 97 per il superamento dei limiti in conseguenza della alterazione delle caratteristiche costruttive. Come detto, la Cassazione ha precisato che la rilevazione dell'autovelox non ha valore ai fini della applicazione dell'articolo 97. PATENTE A PUNTI: SANZIONE A CHI NON COMUNICA DATI Corte di Cassazione Civile sez. II - Sentenza n. 13748 del 12 giugno 2007 FATTO e DIRITTO X impugna per cassazione la sentenza 5.4.05 con la quale il G.d.p. di Pontassieve ne ha rigettato l’opposizione proposta avverso il verbale d’accertamento redatto nei suoi confronti dalla polizia municipale di Rufina il 29.8.04 per violazione 180/VIII CdS. Quanto al secondo motivo, la ricorrente, allegando d’aver addotto a giustificazione dell’omessa comunicazione dei dati relativi al conducente l’impossibilità d’identificare quest’ultimo in ragione dei numerosi automezzi di sua proprietà affidati a vari dipendenti e l’insussistenza d’alcun obbligo di registrare ciascun affidamento, non ebbe a fornire, né fornisce in questa sede, un’idonea ragione per esimersi dalla responsabilità accollatale dalla norma. In tema di violazioni al codice della strada, integra l’ipotesi di illecito amministrativo previsto dal combinato disposto degli artt. 126 bis e 180 cds l’omessa collaborazione che il cittadino deve prestare all’autorità amministrativa al fine di consentirle l’espletamento dei necessari e previsti accertamenti per l’espletamento dei servizi di polizia stradale. Nella specie il giudice di pace ha applicato correttamente la citata norma del codice della strada posta a base dell’infrazione contestata al ricorrente. Il giudice a quo ha, dunque, correttamente erroneamente (?) disatteso la giustificazione dell’omessa comunicazione dei dati relativi al conducente dedotta dall’opponente con la pretesa impossibilità d’identificare il 3 soggetto autore dell’illecito in ragione dei numerosi automezzi di sua proprietà affidati a vari dipendenti e l’insussistenza d’alcun obbligo di registrare ciascun affidamento, dacché, con tale deduzione, l’opponente non ebbe a fornire, in realtà, alcuna idonea ragione per esimersi dalla responsabilità accollatagli dalla norma. Il proprietario del veicolo, infatti, in quanto responsabile della circolazione dello stesso nei confronti delle pubbliche amministrazioni non meno che dei terzi, è tenuto sempre a conoscere l’identità dei soggetti ai quali ne affida la conduzione, onde dell’eventuale incapacità d’identificare detti soggetti, necessariamente risponde, nei confronti delle une per le sanzioni e degli altri per i danni, a titolo di colpa per negligente osservanza del dovere di vigilare sull’affidamento in guisa da essere in grado d’adempiere al dovere di comunicare l’identità del conducente. L’elevato numero dei mezzi in proprietà o dei dipendenti che ne usano non fa venir meno né tale dovere né esime dalla responsabilità in caso d’inadempimento. In tali termini integrata, ex art. 384 CPC, la motivazione dell’impugnata sentenza, questa, conforme a diritto, non è soggetta a cassazione. Parte intimata non avendo svolto attività difensiva, non v’ha luogo a provvedere sulle spese. P.Q.M. La Corte respinge il ricorso. IL COMMENTO Ora saranno convinti anche coloro che ritengono lecita la mancata comunicazione del nominativo di chi si trovava alla guida del veicolo al momento della commessa violazione. La Cassazione ha infatti stabilito che coloro i quali non sono in grado di comunicare il nominativo del conducente devono pagare la sanzione di 250 euro prevista dall'articolo 126-bis. Ciò perché il proprietario del veicolo, infatti, in quanto responsabile della circolazione dello stesso nei confronti delle pubbliche amministrazioni non meno che dei terzi, è sempre tenuto a conoscere l'identità dei soggetti ai quali ne affida la conduzione. CONDUCENTI: ATTENZIONE AL PEDONE UBRIACO Cassazione, Sezione Quarta Penale Sentenza n. 27740 del 13 luglio 2007 FATTO E DIRITTO I. A. ricorre contro la sentenza in data 15 giugno 2006, con la quale la Corte di Appello dell’Aquila, in parziale riforma della sentenza di primo grado sostituiva la pena dell’arresto inflitta per il reato di guida in stato di ebbrezza ex art. 186, commi 1 e 2, codice della strada, con la sanzione pecuniaria di euro 1000, confermando il giudizio di responsabilità per il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale e la relativa pena statuita dal giudice di primo grado (fatto avvenuto in data 14.11.2002). Sui motivi di appello, diretti ad ottenere l’assoluzione nel merito dell’imputato, sul duplice rilievo dell’asserito comportamento colposo del pedone, che procedeva barcollando ed in stato di alterazione, e della affermata mancanza di prove che la velocità dell’autovettura fosse superiore a quella consentita, la Corte ne argomentava l’infondatezza, osservando che lo stesso imputato aveva ammesso di aver notato la vittima percorrere il margine della strada con andatura barcollante e che, pertanto, essendo prevedibile anche una improvvisa deviazione del pedone, la condotta di guida dello I. si palesava con evidenza inadeguata alla situazione concreta e colposa. Veniva altresì dato atto anche del concorso di colpa della vittima senza stabilirne però l’incidenza. Avverso la sentenza, propone ricorso l’imputato che articola tre distinti motivi di doglianza. Con il primo prospetta la violazione di legge in ordine al giudizio di prevedibilità ed evitabilità dell’evento, non essendo imputabile allo I. alcun profilo di colpa specifica né generica. Sotto il primo profilo, si sostiene che l’imputato non aveva violato la norma precauzionale prevista dall’art. 142 del codice della strada, emergendo dalla stessa sentenza che al momento dell’investimento l’autovettura osservava il limite di velocità di 50 Km orari né quella di cui all’art. 141 dello stesso codice, che, nell’imporre al conducente di regolare la velocità al fine di arrestare tempestivamente il mezzo, avrebbe riferimento esclusivamente agli eventi prevedibili tra i quali non poteva certamente rientrare la condotta della vittima. Parimenti, nessun profilo di colpa generica sarebbe imputabile allo I., essendo del tutto imprevedibile l’improvviso attraversamento del pedone. Con il secondo motivo denuncia la manifesta illogicità della motivazione laddove i giudici di appello affermano la facile prevedibilità dell’attraversamento da parte del pedone, così applicando un giudizio non giustificato sulla base di massime di esperienza generalmente riconosciute. La contraddittorietà della sentenza emergerebbe anche dalla circostanza che la stessa Corte di Appello ha dato atto che l’imputato tentò, pur se invano, di porre in essere una cd. manovra di emergenza. Inoltre, in assenza di una consulenza cinematica sull’autovettura, il giudice di merito non aveva a disposizione elementi probatori sufficienti a fondare il giudizio di responsabilità dello I., non potendosi escludere logicamente che il cd. comportamento alternativo lecito non sarebbe valso ad impedire l’investimento del pedone. Con il terzo motivo denuncia l’erronea interpretazione dell’art. 133 c.p., avendo i giudici del merito inflitto una pena (mesi cinque di reclusione per l’omicidio colposo) non commisurata ai fatti ed alla personalità dell’imputato, incensurato. Il ricorso è infondato. I primi due motivi strettamente connessi, meritano trattazione congiunta, vertendo tutti sull’assenza di colpa dell’imputato a fronte del comportamento gravemente colposo del pedone. Prima di procedere all’esame dei motivi, appare opportuno soffermarsi sui principi più volte affermati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine agli obblighi gravanti sul conducente. In primo luogo, il conducente è tenuto a vigilare al fine di avvistare il pedone. L’avvistamento del pedone implica la percezione di una situazione di pericolo, in presenza della quale ogni conducente è tenuto a porre in essere una serie di accorgimenti (in particolare, moderare la velocità e, all’occorrenza, arrestare la marcia del veicolo), al fine di prevenire il rischio di un investimento. Circa i doveri di attenzione del conducente tesi ad avvistare il pedone, si è sottolineato che grava sul conducente l’obbligo di ispezionare continuamente la strada che sta per impegnare, mantenendo un costante controllo del veicolo in rapporto alle condizioni della strada stessa e del traffico e di prevedere tutte quelle situazioni che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada (v. Sez IV, 2 marzo 2007, Basta; 23 gennaio 2007, Tassi e 13 ottobre 2005, Tavoliere). Al fine di escludere la responsabilità del conducente è, perciò, necessario che lo IL COMMENTO Il conducente di un veicolo che non presta una particolare attenzione ai movimenti di persona ubriaca a lato strada e la investe è colpevole delle lesioni procurate. Lo ha stabilito la Cassazione con riferimento al caso accaduto in provincia de L'Aquila ove il conducente di un'autovettura, notata la presenza di un pedone ubriaco a lato strada che procedeva barcollando, non aveva prestato la massima attenzione tenendo conto anche degli eventuali improvvisi movimenti del pedone. Proprio a causa di uno di questi spostamenti la vettura aveva colpito l'ubriaco, procurandogli delle lesioni la cui colpa è stata imputata all'automobilista. 4 stesso sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne i movimenti, attuati in modo rapido ed inatteso; occorre, inoltre che nessuna infrazione alle norme della circolazione stradale ed a quelle di comune prudenza sia riscontrabile nel suo comportamento (v. le citate sentenze Sez. IV). Alla luce di tale premessa, ritiene il Collegio che la sentenza impugnata sia esente da vizi logico-giuridici. I giudici dell’appello all’esito della valutazione degli elementi acquisiti, hanno ritenuto di attribuire rilievo nel determinismo causale dell’evento alla imprudenza e negligenza dell’imputato, il quale, pur avendo avvistato il pedone (il quale, come ammesso dallo stesso imputato, percorreva il margine della strada con andatura barcollante), non ovviava alla situazione di pericolosità, arrestando l’autovettura o riducendo la velocità, in modo da rendere possibile l’arresto in caso di improvvisa invasione della carreggiata da parte di persona, che, come rilevato dalla Corte di merito manifestava segni di non adeguato controllo della propria persona. P.Q.M. La Corte Suprema di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2007 GUIDA IN STATO DI EBBREZZA: NON È AMMESSA L’OBLAZIONE Corte di Cassazione Penale sez. IV 28/6/2007 n. 25056 MOTIVI DELLA DECISIONE 1.1 Con sentenza del 3 giugno 2005 il GIP del Tribunale di Brescia dichiarava non si procedere a carico di (omissis) imputato del reato di cui all’art. 186, secondo comma, d.lgs. n. 285 del 1992, per essere lo stesso estinto per intervenuta oblazione, applicando altresì all’imputato la sospensione della patente di guida per la durata di mesi uno. 1.2 Avverso detta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Brescia, chiedendone l’annullamento per avere il giudice a quo erroneamente dichiarato estinto per intervenuta oblazione un reato contravvenzionale punito con la pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda, regime sanzionatorio ostativo all’applicazione del beneficio. Ha altresì dedotto il ricorrente che in ogni caso, una volta dichiarato estinto il reato, non poteva essere applicata la sanzione amministrativa accessoria della sospensio- ne della patente di guida, la quale consegue all’accertamento giudiziale del reato e non alla pronunzia di sentenza di non luogo a procedere. 1 II ricorso è fondato. L’art. 162 bis cod. pen. non a caso titolato «oblazione nelle contravvenzioni punite con pena alternativa», limita l’applicabilità della predetta causa estintiva alle contravvenzioni per le quali la legge stabilisce la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda, laddove il reato ascritto all’imputato è punito congiuntamente con la sanzione detentiva e con quella pecuniaria. Non è superfluo aggiungere che il fatto è stato commesso il 6 novembre 2004, in epoca successiva, dunque, all’entrata in vigore del decreto legge n. 134 del 2003, convertito, con modifiche, nella legge n. 151 del 2003 (1), che ha restituito la competenza a conoscere del reato de quo al tribunale, sottraendola al giudice di pace; in tal modo, disattivato il meccanismo di conversione sancito dall’art. 52 del d.lgs. n. 274 del 2000, è anche venuta meno la praticabilità dell’oblazione. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata, con rinvio degli atti al Tribunale di Brescia che si atterrà ai principi enunciati nella presente sentenza di annullamento, restando assorbito nell’accoglimento del primo motivo di ricorso l’esame del secondo. La Corte di cassazione annulla la sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Brescia. IL COMMENTO Chi ha commesso il reato di guida in stato di ebbrezza non è ammesso alla oblazione. Lo ha ribadito la Cassazione precisando che la stessa è prevista soltanto laddove la legge stabilisce la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda. POLIZIA GIUDIZIARIA INGIURIA: “MI AVETE ROTTO…” E’ REATO Cassazione Penale, 35548/2007 Sentenza n. (Da Studio Cataldi) Ogni frase deve essere valutata nel suo contesto ed anche un’espressione oramai entrata a far parte del linguaggio corrente può essere considerata dalla legge come una vera e propria ingiuria. E così anche l’espressione “avete rotto le palle” secondo la Cassazione benché generalmente tollerata può far scattare una condanna penale. Tutto dipende dal contesto in cui vien pronunciata e a chi vie- ne rivolta. Il caso esaminato dalla Corte, vede come protagonista un frate domenicano (direttore di una comunità per tossicodipendenti) che all’arrivo di una pattuglia dei carabinieri si era rivolto loro dicendo ‘avete rotto le palle’. Il frate è stato subito denunciato e condannato per ingiuria. Inutile il ricorso in Cassazione. Secondo gli Ermellini “i giudici di merito hanno plausibilmente ritenuto che [il frate] intendesse contrastare l’operazione dei carabinieri, qualificandola come inutilmente vessatoria e quindi attribuendo sostanzialmente ai militari la responsabilità di un abuso”. La frase “avete rotto le palle” si legge nella sentenza “può essere utilizzata in funzione delle azioni più disparate”. E non e’ nemmeno in discussione “l’accettabilità sociale di un tale linguaggio, perché l’art. 594 c.p. non punisce la volgarità in sè. Ciò che rileva è il significato dell’azione compiuta dal frate con quelle parole”. EDILIZIA ABUSO: NO ACQUISIZIONE SE NUDA PROPRIETA’ Tar Lazio – roma, sez. II bis - sentenza 26 settembre 2007 n. 8998 FATTO Con il ricorso indicato in epigrafe, le istanti esponevano di essere proprietarie, per metà ciascuna pro indiviso, dell’appezzamento di terreno di mq. 700 in località Cerquette Grandi del comune di Roma, confinante con via Grissollo, via Rivoli, censito al catasto alla Sez. D fg. 107, part. 420, are 5,93, RDL 10,08-RAL 1,78, a seguito di donazione da parte dei genitori. Riferivano dell’esistenza dal 1978 di un manufatto di mq. 20, alto circa 2,50 m. in blocchetti di tufo a secco, privo di fondazioni e coperto con lastre di eternit. Impugnavano il provvedimento n. 1067 del 1997 di acquisizione gratuita al patrimonio del Comune di Roma del manufatto descritto, conseguente all’atro atto, anch’esso impugnato, n. 1160 del 12.10.1994, mai asseritamene conosciuto, di ingiunzione alla demolizione dello stesso immobile. DIRITTO Osserva preliminarmente il Collegio che, contrariamente a quanto sostiene la difesa comunale, oggetto di impugnazione non è solamente la determinazione dirigenziale n. 1067 del 6.6.1997 con cui è stata disposta l’acquisizione delle opere al patrimonio comunale ma anche la precedente determinazione n. 1160 del 12.10.1994, con cui era stata intimata la demolizione delle opere ai sigg. Sebastiano Melcore ed Enrichetta Galati, genitori degli attuali ricorrenti. Tanto chiarito, l’impugnazione della determinazione con cui era stata ingiunta la demolizione si appalesa tardiva (il ricorso essendo stato notificato il 14 ottobre 1997, ossia a distanza di tre anni dall’adozione del provvedimento), a diversa conclusione non potendo indurre il fatto che detta determinazione non sia stata mai notificata ai ricorrenti, benché proprietari dell’area (per acquisto a seguito di donazione, con riserva di usufrutto, da parte dei genitori). Correttamente infatti quella determinazione è stata notificata ai genitori dei ricorrenti, non solo perché titolari di un diritto reale sul bene, ma soprattutto perché responsabili dell’abuso, come del resto ammettono gli stessi ricorrenti; né va taciuto che, proprio in relazione alla vetustà del manufatto, all’epoca dell’abuso i responsabili erano anche pieni proprietari dell’area. Nel senso predetto milita del resto l’art. 7 della legge 28.2.1985, n. 47 che individua (terzo comma) nel responsabile dell’abuso il soggetto che deve provvedere alla demolizione delle opere e al ripristino dello stato dei luoghi. Il ricorso merita però accoglimento nella parte relativa all’impugnazione della determinazione di acquisizione delle opere al patrimonio comunale. Posto invero che i ricorrenti sono estranei alla realizzazione dell’abuso, l’acquisizione gratuita anche dell’area su cui insiste il manufatto abusivo deve ritenersi illegittima perché pronunciata nei confronti di soggetti che all’epoca della realizzazione dell’abuso erano nudi proprietari e, in quanto tali non avevano la disponibilità dell’area né la possibilità di procedere alla demolizione proprio per evitare l’effetto acquisitivo a loro danno (cfr. Tar Liguria, 21.6.2001, n. 729). Mette peraltro conto rilevare che, dopo la sentenza n. 345 del 1991 con la quale la Corte costituzionale , interpretando l’art. 7, comma 3 della L. 47/85, ha escluso poter qualificare responsabile dell’abuso edilizio il proprietario che da un lato sia rimasto estraneo alla realizzazione dell’illecito e dall’altro si sia adoperato con comporta- IL COMMENTO E' illegittimo il provvedimento ex art. 7, comma 3°, L. n. 47/1985 di acquisizione al patrimonio comunale di un'opera edilizia abusivamente realizzata e della relativa area di sedime e di pertinenza, nel caso in cui sia stato adottato nei confronti di soggetti estranei alla realizzazione dell'abuso, per essere tali soggetti, all'epoca della realizzazione dell'abuso stesso, soltanto nudi proprietari, in quanto tali privi sia della disponibilità dell'area, sia della possibilità di procedere alla demolizione proprio per evitare l'effetto acquisitivo a loro danno. 5 mento giuridicamente operoso a rimuoverne gli effetti, l’ordinanza che disponga l’acquisizione gratuita al patrimonio indisponibile del Comune in presenza delle suddette condizioni è illegittima; deve quindi inferirsene che l’ordinanza è parimenti illegittima ove non sia stata offerta ai nudi proprietari estranei all’abuso la possibilità di attivarsi per evitare la perdita dell’area su cui è stato realizzato l’abuso. Il ricorso va, pertanto, parzialmente accolto. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda bis, in parte dichiara irricevibile ed in parte accoglie il ricorso in epigrafe, e per l’effetto annulla la determinazione dirigenziale n. 1067 del 6.6.1997. ORDINAMENTO LOCALE ATTI AMMINISTRATIVI: I CASI DI NULLITA’ Tar Abruzzo - L’Aquila, sez. I - sentenza 17 luglio 2007 n. 484 Repubblica italiana FATTO La parte ricorrente riferisce che il Comune di Giulianova con deliberazione del consiglio comunale 20 maggio 1989, n. 147, le aveva concesso in diritto di superficie per la durata di anni 90 un’area dell’estensione di mq. 1238, ricompresa nel vigente P.I.P., al fine di costruire un fabbricato ad uso industriale. Riferisce, altresì, che il 28 dicembre 1990 era stata stipulata la relativa convenzione, cui aveva fatto seguito la consegna dell’area, con la quale per un verso il Comune si era impegnato a realizzare le opere di urbanizzazione (art. 8) ed aveva dichiarato e garantito che il terreno era “di sua piena ed esclusiva proprietà e libero da ogni vincolo, sia reale che personale” (art. 17) e per altro verso l’assegnataria aveva dichiarato di aver già presentato il 5 giugno 1990 la richiesta per ottenere la concessione edilizia e si era impegnata a ritirare tale concessione entro 90 giorni dal rilascio (art. 9) e ad iniziare i lavori entro i successivi 12 mesi (art. 10). E’ accaduto però che la domanda di concessione edilizia era stata respinta in ragione del mancato rispetto delle distanze dagli edifici adiacenti, così come ulteriori due nuove istanze, e che l’istante non aveva potuto usufruire del finanziamento richiesto alla Regione Abruzzo a favore dell’imprenditoria giovanile. Assumendo che il diniego della concessione edilizia e la perdita di tale finanziamen- to erano da imputarsi alla circostanza che il lotto in questione, “sul quale erano siti n. 3 tombini di scarico”, era gravato da una servitù in ragione della presenza di dispositivi di smaltimento delle acque nere, con atto di citazione notificato il 22 ottobre 1999 dinanzi al Tribunale civile di Teramo la società Ced ha chiesto la condanna del Comune al risarcimento dei danni subiti. Ed in accoglimento di tale richiesta con sentenza n. 120/002 la Sezione distaccata di Giulianova del Tribunale di Teramo ha dichiarato che il Comune di Giulianova si era reso inadempiente nella esecuzione della predetta convenzione ed ha condannato l’Amministrazione al risarcimento dei danni, liquidati nella complessiva somma di 2.365.372,60, oltre alle spese di giudizio. Tale sentenza, in accoglimento dell’appello proposto dal Comune, è stata, però, annullata dalla Corte di Appello degli Abruzzi di L’Aquila con sentenza n. 170/06, in ragione del difetto di giurisdizione del Giudice ordinario in ordine alla controversia dedotta; con tale sentenza, in particolare, si è precisato che la controversia proposta, avendo ad oggetto rapporti di concessione di beni pubblici, rientrava, in base all’art. 5, I comma, della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, nella giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo. Con il ricorso in esame la società interessata ha nella sostanza riassunto dinanzi questo Tribunale tale giudizio, chiedendo al Collegio di condannare il Comune, utilizzando le prove raccolte dinanzi all’A.G.O., al risarcimento dei danni dal momento che il lotto dato in concessione era inedificabile, in quanto attraversato da una fognatura, posta ad un livello più basso rispetto al collettore principale. Dopo aver anche ipotizzato la nullità della concessione stipulata tra le parti “per impossibilità giuridica e di fatto dell’oggetto, quale area destinata alla edificazione”, ha rilevato che il Comune, a causa dell’inadempimento dell’obbligazione assunta con il predetto art. 17 della convenzione, doveva essere condannato al risarcimento dei danni, da liquidarsi nella misura complessiva di 8.244.094,52, con interessi e rivalutazione a decorrere dal 22 ottobre 1999, oltre al lucro cessante verificatosi nelle more del giudizio pari ad 373.914,80 l’anno. Tali richieste la parte ricorrente ha ulteriormente illustrato con memoria del 16 maggio 2007. Il Comune di Giulianova, ritualmente intimato, non si è costituito in giudizio. Alla pubblica udienza del 30 maggio 2007 la causa è stata introitata a decisione. DIRITTO 1. - Con ricorso in esame – come sopra esposto – la società ricorrente ha chiesto la condanna del Comune di Giulianova al risarcimento dei danni subiti in ragione del fatto che il lotto del P.I.P., che le era stato dato in concessione, era, a suo dire, inedificabile, in quanto era attraversato da una fognatura. Era, invero, accaduto che il Comune di Giulianova con deliberazione del consiglio comunale 20 maggio 1989, n. 147, aveva concesso alla ricorrente in diritto di superficie per la durata di anni 90 un’area dell’estensione di mq. 1238, ricompresa nel vigente P.I.P., al fine di costruire un fabbricato ad uso industriale. Dopo la stipula della relativa convenzione, avvenuta il 28 dicembre 1990, e dopo la consegna dell’area, la ricorrente non aveva, però, potuto ottenere la richiesta concessione edilizia e, di conseguenza, non aveva potuto usufruire del richiesto finanziamento a favore dell’imprenditoria giovanile. Dalla lettura di tali atti (che sono, nella sostanza, i fascicoli processuali dei due giudizi svolti dinanzi all’A.G.O.) si rileva, invero, che quando il 28 dicembre 1990 era stata stipulata la convenzione in parola (cui aveva fatto seguito, immediatamente dopo, la consegna dell’area) la parte acquirente già aveva presentato il 5 giugno 1990 il progetto per la ottenere la concessione edilizia per realizzare sul lotto un opificio industriale; e va al riguardo osservato che la presentazione di tale richiesta presupponeva, come sembra evidente, che il progettista avesse visionato attentamente lo stato dei luoghi. 4. - Fatte tali puntualizzazioni in punto di fatto, può utilmente passarsi all’esame del merito delle richieste formulate con il gravame, con le quali la società ricorrente, come già precisato, ha dedotto le seguenti doglianze: a) per un verso ha ipotizzato la nullità della concessione stipulata tra le parti “per impossibilità giuridica e di fatto dell’oggetto, quale area destinata alla edificazione”, per essere il lotto dato in concessione inedificabile poichè attraversato da una fognatura, posta ad un livello più basso rispetto al collettore principale; b) per altro verso ha rilevato che il Comune IL COMMENTO Il provvedimento amministrativo può considerarsi assolutamente nullo o inesistente solo nelle ipotesi in cui esso sia espressamente qualificato tale dalla legge, oppure manchi dei connotati essenziali dell'atto amministrativo, necessario "ex lege" a costituirlo, quali possono essere la radicale carenza di potere da parte dell'Autorità procedente, ovvero il difetto della forma, della volontà, dell'oggetto o del destinatario. Lo ha stabilito il Tar dell'Abruzzo. 6 non aveva adempiuto l’obbligazione assunta con il predetto art. 17 della convenzione, con la quale aveva dichiarato e garantito che il terreno era “di sua piena ed esclusiva proprietà e libero da ogni vincolo, sia reale che personale”. Tale doglianze, ad avviso del Collegio, sono entrambe prive di pregio e non possono far condannare il Comune al risarcimento dei danni, che l’istante assume di aver subito e che ha quantificato nella complessiva somma di 8.244.094,52, oltre agli interessi ed alla rivalutazione ed al lucro cessante verificatosi nelle more del giudizio. Quanto alla ipotizzata nullità della deliberazione di assegnazione dell’area e della conseguente convenzione, va premesso che, come è noto, la nullità dei provvedimenti dinanzi al giudice amministrativo è rilevabile anche d’ufficio, alla stregua dei principi generali in tema di nullità, evidentemente applicabili anche nel processo amministrativo nelle ipotesi in cui la validità ed esecutività del provvedimento costituisca oggetto della controversia (T.A.R. Liguria, sez. I, 16 maggio 2007, n. 790); sembra, pertanto, evidente che l’azione volta a far valere tale nullità non sia sottoposta a termini di decadenza. Ciò posto, va ricordato che il provvedimento amministrativo può considerarsi assolutamente nullo od inesistente solo nelle ipotesi in cui esso sia espressamente qualificato tale dalla legge oppure manchi dei connotati essenziali dell’atto amministrativo, necessario “ex lege” a costituirlo, quali possono essere la radicale carenza di potere da parte dell’Autorità procedente, ovvero il difetto della forma, della volontà, dell’oggetto o del destinatario (Cons. St., sez. IV, 27 ottobre 2005 , n. 6023, e T.A.R. Sicilia, sez. Catania, sez. III, 24 maggio 2006 , n. 827). Fatta tale premessa, deve rilevarsi che dall’esame degli atti non emerge di certo - così come ipotizzato dalla ricorrente - che l’area in questione fosse totalmente inedificabile, per cui l’atto concessorio non può ritenersi nullo, perché privo del suo oggetto. P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, L’Aquila, respinge il ricorso in epigrafe. Nulla spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in L’Aquila nella camera di consiglio del giorno 30/05/2007 con l’intervento dei signori: Santo Balba, Presidente Michele Eliantonio, Consigliere, Estensore Rolando Speca, Consigliere DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 17/07/2007. APPALTI OFFERTA UNICA: NO AGGIUDICAZIONE SE NON PREVISTA NEL BANDO Consiglio di Stato, sez. V - sentenza 19 settembre 2007 n. 4877 FATTO Con determinazione del Capo Settore Patrimonio, Partecipazioni Lavoro del Comune di Padova, è stato approvato il bando di gara per l’alienazione di una porzione dell’area di proprietà comunale denominata ex Gasometro. L’asta pubblica del 12/12 03 è andata deserta, non essendo pervenute offerte valide. Con ulteriore determina del 27/1/04 è stato approvato l’avviso pubblico, successivamente rettificato, per la vendita a trattativa privata di tale area. Essendo pervenuta una sola offerta, quella della Soc. Baldan, l’amministrazione, ha ritenuto non assicurata la concorrenzialità ed ha sospeso, in data 13/2/04, la trattativa privata, prima dell’apertura della busta contenente l’offerta. Con determina del 26/2/04 è stato approvato un nuovo bando. La società Baldan ha impugnato i provvedimenti di sospensione dell’aggiudicazione dell’area a trattativa privata e di approvazione del nuovo bando, a cui non ha partecipato, sostenendone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere, vizi meglio precisati con il ricorso in esame, proposto avverso la sentenza che ha dichiarato il gravame in parte inammissibile ed in parte infondato. DIRITTO Infatti, posto che l’avviso di trattativa privata non conteneva la previsione di aggiudicazione anche in presenza di una sola offerta, l’amministrazione godeva della facoltà di non procedere all’affidamento dell’appalto in relazione al libero apprezzamento dell’interesse pubblico volto a garantire la presenza di un minimo di concorrenzialità nell’offerta. Né può ritenersi la necessità di avvio del procedimento rispetto a tale determinazione, trattandosi di valutazione discrezionale sull’interesse pubblico che non incide su situazioni consolidate. Non sussiste neppure il vizio di difetto di motivazione del provvedimento in quanto, la scelta di non procedere all’aggiudicazione a seguito della trattativa privata, oltre che sinteticamente indicata nell’atto di sospensione della procedura, risulta comunque ampiamente evidenziata nella raccomandata del 25/2/04 trasmessa alla im- 7 presa Baldan ed anche nella premessa del nuovo bando, trasmesso tramite fax alla stessa ricorrente. Le ulteriori censure proposte nei confronti della successiva asta pubblica sono, invece, inammissibili in quanto, non avendo la ricorrente, per sua scelta, partecipato alla gara, nessun vantaggio la stessa potrebbe conseguire dal loro accoglimento. L'appello, di conseguenza, va respinto, il che rende irrilevante l'esame dei motivi proposti in via incidentale. Sussistono giusti motivi per compensare, tra le parti, le spese del giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l'appello sul ricorso n. 6746/2005 meglio specificato in epigrafe; compensa, tra le parti, le spese di giudizio. IL COMMENTO Nel caso in cui la P.A. abbia indetto una trattativa privata (nella specie per l'alienazione di un immobile comunale) e l'avviso di trattativa privata non contenga la previsione di aggiudicazione anche in presenza di una sola offerta, la P.A. stessa, in presenza di un solo offerente, ha la facoltà di non procedere all'aggiudicazione in relazione al libero apprezzamento dell'interesse pubblico volto a garantire la presenza di un minimo di concorrenzialità nell'offerta. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato.