codice della strada

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codice della strada
Newsletter 38
a cura di ALESSANDRO CASALE
comandante di polizia locale
docente in diritto della circolazione stradale
giornalista pubblicista
collaboratore di riviste di settore
direttore di www.infocds.it
CODICE DELLA STRADA
INSEGNE STRADALI
DI ESERCIZIO: LECITO SOLO
IL NOME
Tar Veneto, sez. III - sentenza 21 settembre 2007 n. 3134
FATTO
La ricorrente ASI ROBICON è società con
sede in Milano e con stabilimento in Montebello, posto fronte Autostrada all’altezza
del km 99-100 carr. Ovest A. Brescia-Padova ed individuabile da un’insegna di servizio posta sui tetto del medesimo, recante la
dicitura ASI ROBICON Industrial Power
Control.
In data 28.02.2003 la ricorrente faceva
istanza alla convenuta Autostrada BS VR VI
PD spa per l’autorizzazione ad esporre detta insegna di esercizio.
Con nota del 17 giugno 2003, qui impugnata, la resistente, richiamato il parere preventivo di ANAS individuato in epigrafe,
rigettava l’istanza.
Si sostiene che la società concessionaria
Autostrada ha ritenuto di non potere rilasciare il parere favorevole di nulla osta tecnico all’esposizione dell’insegna di esercizio “Asi Robicon” applicando la prescrizione di cui all’art. 23 comma 7 del codice
della strada ed avuto riguardo alla circolare n. 41/98 emanata dalla Direzione generale dell’Anas perché “ a) non è collocata all’ingresso principale dell’azienda o nelle sue vicinanze, ma sul tetto dell’edificio e
b) non indica, pertanto, a chi percorre la
viabilità ordinaria gli accessi all’azienda”;
che Autostrada esclude inoltre che l’inse-
gna proposta rientri tra le insegne d’esercizio e la riconduce alle insegne con finalità
pubblicitaria per le quali vale il divieto opposto alla richiesta; che, al contrario, per la
giurisprudenza amministrativa l’insegna di
esercizio, ammessa lungo le autostrade dall’art. 23 comma 7^ c.d.s., può essere collocata anche lontano dall’ingresso principale dello stabilimento, ad esempio sul tetto, sulla facciata laterale o presso l’ingresso secondario dell’edificio sede dell’impresa, e può dunque essere visibile da coloro
che percorrono l’autostrada ed anche da
chi si trova a circolare sulla viabilità ordinaria; che tale collocazione non costituisce di
per sè indice di intervento pubblicitario
avendo invece lo scopo di agevolare l’individuazione della sede della ditta proprio
da parte di chi, cliente o fornitore, debba
raggiungerla pur non conoscendo l’esatta
ubicazione della medesima”; che anche il
richiamo formulato nella nota alla circolare
ANAS n. 41/98, deve considerarsi del tutto inconferente perché, sempre per giurisprudenza costante, detta circolare deve ritenersi implicitamente abrogata dalla successiva legge 472/1999, che ha modificato l’art. 23 c.d.s. citato.
2) violazione di legge (art.3 l. 241/1990)
ed eccesso di potere per motivazione insufficiente e contraddittoria e carenza di
istruttoria.
Si sostiene che in ogni caso la determinazione impugnata non è adeguatamente e
sufficientemente motivata e denota profili
di carenza di istruttoria; che in particolare
la parte conclusiva del provvedimento (disturbo visivo agli utenti e pericolo alla sicurezza) appare frutto di un’arbitraria conclusione dell’amministrazione resistente, poiché una valutazione in tal senso non risulta
né nella parte motiva del provvedimento né
è stata oggetto esplicito delle valutazioni
effettuate nel corso dei sopralluoghi dagli
accertatori preposti.
Si è costituita in giudizio la Societa Autostrada Brescia- Verona- Vicenza-Padova S.p.a.
che in via preliminare ha eccepito l’irricevibilità del ricorso e nel merito la sua completa infondatezza, chiedendone la reiezione
con vittoria di spese.
Alla pubblica udienza del 21 giugno
2007, previa audizione dei difensori delle
parti, il ricorso è stato posto in decisione.
IL COMMENTO
Il Tar del Veneto ha stabilito che ai sensi dell'art. 23, commi 1, 7 e 13 bis il nulla osta favorevole dell'ente proprietario della strada riguardante l'installazione di una insegna di esercizio lungo il
tracciato stradale è subordinato alla condizione che l'insegna contenga solo il nome della ditta, e
non anche altri elementi ultronei, non essenziali e non funzionali alla individuazione dello stabilimento della società, destinati, ad es. ad evidenziare la tipologia del prodotto o del settore nel
quale l'azienda opera, che l'art. 23 vieta in assoluto "lungo e in vista degli itinerari internazionali, delle autostrade e delle strade extraurbane principali e relativi accessi", indipendentemente dalla
collocazione dell'insegna (all'ingresso principale dell'azienda o nelle sue immediate vicinanze).
1
DIRITTO
Ed in ogni caso ammetterlo sarebbe inutilmente gravatorio perché il ricorso appare,
nel merito infondato.
La società Asi Robicon ha infatti chiesto di
essere autorizzata ad esporre un’insegna,
visibile dall’autostrada, che tuttavia non
contiene (solo) il nome della ditta, cioè la
c.d. insegna di esercizio, ma anche un elemento ultroneo, non essenziale e non funzionale alla individuazione dello stabilimento della società, rappresentato dalla scritta
“Industrial Power Control”, destinato ad evidenziare la tipologia del prodotto o del settore nel quale l’azienda opera, che l’art.
23 del d. lgs. 285 del 1992 vieta in assoluto “lungo e in vista degli itinerari internazionali, delle autostrade e delle strade extraurbane principali e relativi accessi”, indipendentemente dalla collocazione dell’insegna (all’ingresso principale dell’azienda
o nelle sue immediate vicinanze).
Ne consegue che poiché per “insegne
d’esercizio”, devono intendersi quelle che
recano solo il nome dell’azienda (ed il logo che le identifica), mentre tali non sono
quelle contenenti elementi sovrabbondanti rispetto alla indicazione del nome dell’impresa (cfr. Tar Veneto Sez. 3^ n.
469/2001; id. TAR Emilia Romagna Sez.
1^, 19 settembre 2003, n. 1544) l’autorizzazione richiesta dalla ricorrente è stata legittimamente denegata, sia in forza
del divieto generale relativo alle insegne
pubblicitarie (comma 7^), sia (comma 1^)
perché ritenuta idonea ad arrecare disturbo visivo agli utenti dell’autostrada e a distrarne l’attenzione con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il
Veneto, terza Sezione, dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe.
RILEVAZIONE PASSAGGIO
SEMAFORO ROSSO: I TEMPI
DEL GIALLO
Nota Ministero dei trasporti 16-7-2007
n. 67906 riguardante i tempi della durata del giallo ai semafori
Con riferimento a quanto esposto con la
nota in riscontro, si premette quanto segue.
L’art. 41 c. 10 del nuovo Codice della Strada (DLs n. 285/1992) non indica una durata minima del periodo d’accensione della luce gialla veicolare, ma si limita ad affermare un principio di portata generale.
Durante tale periodo, i veicoli non devono
oltrepassare la linea d’arresto, salvo che vi
si trovino così vicino da non potersi arresta-
re con sufficiente sicurezza.
Le norme tecniche al riguardo vengono invece dettate da organismi di unificazione o
da enti di ricerca.
In particolare lo studio prenormativo pubblicato dal CNR il 10.09.2001,’”Norme
sulle caratteristiche funzionali e geometriche delle intersezioni stradali”, al paragrafo 6.7.4 “Determinazione dei tempi
di giallo”, indica durate di 3, 4 e 5 s per
velocità dei veicoli in arrivo pari, rispettivamente, a 50, 60 e 70 km/h.
In presenza di traffico pesante con veicoli
di lunghezza massima pari a 18.75 m, ivi
compresi autocarri, autobus, fìlobus, autotreni, autoarticolati, autosnodati, filosnodati e vetture tramviarie, è indicata una durata di 4 s anche per velocità di 50 km/h.
Nella pratica, ai fini della massima uniformità applicativa, si adottano generalmente tempi fissi di 4 e 5 s, rispettivamente su
strade urbane ed extraurbane.
Ciò non esclude che in fase di progettazione dell’impianto semaforico, in dipendenza delle dimensioni della intersezione,
della velocità dei veicoli in arrivo e della
loro lunghezza, ferma restando la durata
minima di 3 s, possano essere adottate
durate diverse.
Si rammenta, inoltre, che la fasatura dell’impianto semaforico, effettuata a cura dell’ente proprietario della strada sulla scorta
della geometria dell’intersezione e delle caratteristiche di traffico, è del tutto indipendente da quella dei dispositivi di rilevamento delle connesse infrazioni; tali apparecchiature, infatti, sono attivate dallo scatto,
del rosso, non sono condizionate dalla
durata del giallo e non possono in alcun
modo influire sul funzionamento dell’impianto semaforico.
Per quanto riguarda il ruolo della ditta installatrice nel rilevamento delle infrazioni, eventuali esposti circa i compensi percepiti devono essere indirizzati al Ministero dell’Interno al quale spetta, a norma dell’art. 11, c.
3, 2° periodo, del Codice, il coordinamento dei servizi di polizia stradale da chiunque effettuati.
Per i dispositivi appositamente approvati
per funzionare in modalità totalmente automatica, senza la presenza degli organi
di polizia stradale, non vi è obbligo di
contestazione immediata dell’infrazione,
ai sensi dell’ari. 201 c. 1-bis lett. b) e c. 1ter. 2° periodo, del Codice.
Per quanto riguarda l’apparecchiatura in
oggetto, i fotogrammi esibiti riportano chiaramente località, data ed ora della infrazione, ed è indicato l’orario dì inizio della
fase di rosso, come prescritto dal Decreto
Dirigenziale di approvazione n. 3458 del
15.12,2005.
Dall’esame dei fotogrammi, che ritraggono l’autovettura prima e dopo del superamento della striscia d’arresto con il semafo-
ro proiettante luce rossa, si evince chiaramente la violazione contestata.
Le verifiche ed eventuali tarature previste
dal decreto di approvazione devono essere eseguite con cadenza almeno annuale
dopo la prima installazione, e pertanto, all’atto della infrazione, non risultava ancora
trascorso il prescritto periodo.
Si resta a disposizione per ogni eventuale
ulteriore chiarimento.
IL COMMENTO
Il Ministero dei Trasporti dà indicazioni
sulla durata del giallo richiamando uno studio del CNR sulla durata di accensione della
luce gialla. In particolare, per le strade con
velocità di 50 km/h il tempo è di 3 secondi;
4 con velocità di 60 km/h e 5 per velocità di
70 km/h.
TARGHETTA:
DELLA MANOMISSIONE NON
RISPONDE IL CONDUCENTE
Cass. Civ. sez. II, 17 luglio 2007, n.
18746
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al G.d.P. di Sansepolcro depositato il 27.2.03, G. Giancarlo proprietario dell’auto Fiat tipo tg. PI 50XX13 proponeva opposizione avverso il verbale con il
quale gli era stata contestata la violazione
dell’art. 74 commi 1 e 6 del C.d.S. perché
circolava alla guida del suddetto veicolo
che risultava avere la targhetta del costruttore portante un numero diverso da quello
di identificazione del telaio.
Assumeva il G., pur non contestando la
contravvenzione, di nulla sapere del fatto,
spiegando di avere portato, circa un anno
prima dell’accertamento, la propria autovettura dal carrozziere Tinti Moreno per eseguire riparazione e dove furono montati
pezzi di ricambio recuperati da altra auto
poi rottamata. Costituitasi, la prefettura di
Arezzo contestava l’assunto dell’opponente facendo presente che era stata disposta
la restituzione del mezzo per consentire la
regolarizzazione.
Il G.d.P. con sentenza del 17.5.2003 rilevato: che la contravvenzione era stata elevata legittimamente e che per l’attribuibilità della stessa è sufficiente la colpa; che per la
corte di legittimità è sufficiente la coscienza
volontà dell’azione e cioè la condotta volontaria e cosciente da parte dell’autore del fatto (CIRCOLAVA); che, con riferimento alla
buona fede, nessuno può invocare la propria ignoranza della legge; accertato che il
veicolo de quo non era stato oggetto di furto, respingeva il ricorso applicando la sanzione nel minimo edittale. Avverso tale sentenza ricorre in Cassazione G. Giancarlo.
Nessuna difesa ha svolto la controparte.
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MOTIVI DELLA DECISIONE
Deduce il ricorrente a motivo di impugnazione: la violazione e falsa applicazione
dell’art. 74 C.d.P.
Per avere il G.d.P. erroneamente applicato
la norma e la relativa sanzione ad un soggetto diverso da quello che poneva in essere il comportamento incriminato, per essere
invece il carrozziere l’autore dell’infrazione.
Il ricorso è fondato.
Il G.d.P. infatti, nel ritenere legittimamente
elevata al G. la contravvenzione per la violazione dell’art. 74 del C.d.S., ha errato
applicando la norma ad un soggetto diverso da quello cui essa attribuisce il comportamento sanzionato. Ai sensi dell’art. 74
del C.d.S., il soggetto al quale viene imputata la manomissione della targhetta o del
numero di identificazione del telaio dei ciclomotori, non è chi circola con dati di
identificazione del telaio alterati; ma chi
materialmente li contraffa, asporta, sostituisce, altera, cancella o rende illeggibile.
Nella specie, poiché il G. è stato contravvenzionato per il solo fatto della circolazione: né in alcun modo è stato contestato o
messo in dubbio quanto dallo stesso dichiarato circa l’essergli stato il veicolo restituito
con quella targhetta (il cui numero non corrispondeva a quello del telaio) dalla carrozzeria (specificatamente da lui indicata),
cui lo aveva consegnato per le riparazione
(tant’è che dopo gli accertamenti, il veicolo, prima sequestratogli, gli è stato restituito non risultando denunciato per furto il veicolo cui rispondevano i dati della targhetta
applicata sul ciclomotore del G.); il ricorso
va accolto per essere stata la norma erroneamente applicata.
La sentenza impugnata va, pertanto, cassata senza rinvio e stante la soccombenza
l’intimata Prefettura di Arezzo va condannata al pagamento, in favore del G., delle
spese del presente giudizio nella misura
che si liquida in dispositivo.
P.Q.M.
La corte accoglie il ricorso e cassa senza
rinvio la sentenza impugnata.
IL COMMENTO
Il conducente che circola a bordo di veicolo
che ha la targhetta del costruttore manomessa non ne risponde se è all'oscuro della violazione.
Lo ha stabilito la Cassazione nella sentenza
18746/2007 riguardo ad un automobilista
della provincia di Arezzo il quale viaggiava
a bordo della sua auto che, in occasione di un
controllo, è risultata avere la targhetta del
costruttore alterata. Al conducente era stata
contestata la violazione dell'articolo 74. La
Cassazione ha invece stabilito che la sanzione non deve essere applicata al conducente
in quanto tale ma a chi materialmente ha
operato la manomissione, in quel caso il carrozziere che aveva riparato la autovettura.
CICLOMOTORI:
NO AD AUTOVELOX PER
DIMOSTRARE VIOLAZIONE
DELLE LIMITAZIONI
Cassazione Civile, sez. II, 22 giugno
2007, sentenza n. 14656/07
FATTO
Il Prefetto di Cremona ha proposto ricorso
per Cassazione avverso la sentenza n.
72/02 del Giudice di Pace di Casalmaggiore che, accogliendo l’opposizione proposta ex L. n. 689 del 1981, da C.A., in
qualità di obbligato in solido e di esercente la potestà sul figlio minore C.F., ha annullato l’ordinanza ingiunzione n. 121/2001
emessa da esso Prefetto in data
13.6.2001 per violazione dell’art.97
C.d.S., commi 6 e 14.
Il ricorso è sorretto da due motivi.
L’intimato non ha svolto alcuna attività difensiva.
DIRITTO
Col secondo motivo si denunciano plurime
violazioni di legge (art. 2700 c.c., nonchè
D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 52; D.P.R. n.
495 del 1992, art. 198; D.Lgs. n. 285 del
1992, art. 97, comma 6, e art. 142) per
avere il Giudice di Pace ritenuto non provato il superamento dei limiti di velocità disattendendo sia il verbale di accertamento dotato di fede privilegiata sia la successiva verifica eseguita sul ciclomotore dall’Ufficio
della Motorizzazione Civile che era, invece, idonea a dimostrare l’avvenuta alterazione delle caratteristiche del ciclomotore.
3 - Le censure sono fondate.
La seconda perché l’illecito contestato al C.
non era il superamento dei limiti di velocità, previsto e disciplinato dall’art. 142
C.d.S., a cui ha fatto riferimento il Giudice
di Pace, bensì - com’è pacifico - la violazione dell’art. 97 C.d.S., commi 6 e 14, e cioè
la circolazione con ciclomotore sviluppante una velocità superiore a quella prevista
dall’art. 52, perchè modificato.
Pertanto, ai fini della configurabilità dell’illecito in questione, occorreva accertare
non già la velocità tenuta dal ciclomotore
nel caso concreto, ma l’avvenuta alterazione delle caratteristiche costruttive tecniche
del veicolo, con la conseguenza che i mezzi di accertamento andavano individuati
in quelli stabiliti dall’art. 97 del Regolamento, (che demanda le verifiche alla Motorizzazione Civile), non già in quelli previsti dall’art. 345, ai fini dell’accertamento
del superamento dei limiti di velocità di cui
all’art. 142 C.d.S., mezzi tra i quali è compresa anche quell’omologazione delle apparecchiature a cui ha fatto riferimento il
Giudice di Pace, confondendo - in tal modo
- illeciti ontologicamente diversi tra loro.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata senza rinvio e, decidendo
nel merito, rigetta l’opposizione compensando le spese.
Così deciso in Roma, il 20 aprile 2007.
IL COMMENTO
Il ciclomotore che sviluppa una velocità
superiore a 45 km/h deve essere sottoposto a
verifica tecnica ai fini della contestazione
dell'articolo 97.
Lo ha ribadito la Cassazione che ha così confermato il suo orientamento secondo il quale
le risultanze dell'autovelox servono solo ed
esclusivamente per la contestazione dell'articolo 142 e non anche per il 97. Nel caso
oggetto di sentenza il conducente del ciclomotore era stato fermato a seguito di rilevazione con autovelox. L'organo accertatore
aveva contestato sia l'articolo 142 per la
velocità, che il 97 per il superamento dei
limiti in conseguenza della alterazione delle
caratteristiche costruttive.
Come detto, la Cassazione ha precisato che
la rilevazione dell'autovelox non ha valore ai
fini della applicazione dell'articolo 97.
PATENTE A PUNTI: SANZIONE
A CHI NON COMUNICA DATI
Corte di Cassazione Civile sez. II - Sentenza n. 13748 del 12 giugno 2007
FATTO e DIRITTO
X impugna per cassazione la sentenza
5.4.05 con la quale il G.d.p. di Pontassieve ne ha rigettato l’opposizione proposta
avverso il verbale d’accertamento redatto
nei suoi confronti dalla polizia municipale
di Rufina il 29.8.04 per violazione
180/VIII CdS.
Quanto al secondo motivo, la ricorrente,
allegando d’aver addotto a giustificazione dell’omessa comunicazione dei dati relativi al conducente l’impossibilità d’identificare quest’ultimo in ragione dei numerosi automezzi di sua proprietà affidati a
vari dipendenti e l’insussistenza d’alcun
obbligo di registrare ciascun affidamento,
non ebbe a fornire, né fornisce in questa
sede, un’idonea ragione per esimersi dalla responsabilità accollatale dalla norma.
In tema di violazioni al codice della strada, integra l’ipotesi di illecito amministrativo previsto dal combinato disposto degli
artt. 126 bis e 180 cds l’omessa collaborazione che il cittadino deve prestare all’autorità amministrativa al fine di consentirle l’espletamento dei necessari e
previsti accertamenti per l’espletamento
dei servizi di polizia stradale.
Nella specie il giudice di pace ha applicato correttamente la citata norma del codice
della strada posta a base dell’infrazione
contestata al ricorrente.
Il giudice a quo ha, dunque, correttamente
erroneamente (?) disatteso la giustificazione
dell’omessa comunicazione dei dati relativi al conducente dedotta dall’opponente
con la pretesa impossibilità d’identificare il
3
soggetto autore dell’illecito in ragione dei
numerosi automezzi di sua proprietà affidati a vari dipendenti e l’insussistenza d’alcun obbligo di registrare ciascun affidamento, dacché, con tale deduzione, l’opponente non ebbe a fornire, in realtà, alcuna idonea ragione per esimersi dalla responsabilità accollatagli dalla norma.
Il proprietario del veicolo, infatti, in quanto responsabile della circolazione dello
stesso nei confronti delle pubbliche amministrazioni non meno che dei terzi, è tenuto sempre a conoscere l’identità dei soggetti ai quali ne affida la conduzione, onde dell’eventuale incapacità d’identificare detti soggetti, necessariamente risponde, nei confronti delle une per le sanzioni
e degli altri per i danni, a titolo di colpa per
negligente osservanza del dovere di vigilare sull’affidamento in guisa da essere in
grado d’adempiere al dovere di comunicare l’identità del conducente.
L’elevato numero dei mezzi in proprietà
o dei dipendenti che ne usano non fa venir meno né tale dovere né esime dalla
responsabilità in caso d’inadempimento.
In tali termini integrata, ex art. 384 CPC, la
motivazione dell’impugnata sentenza, questa, conforme a diritto, non è soggetta a
cassazione.
Parte intimata non avendo svolto attività difensiva, non v’ha luogo a provvedere sulle
spese.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso.
IL COMMENTO
Ora saranno convinti anche coloro che ritengono lecita la mancata comunicazione del
nominativo di chi si trovava alla guida del
veicolo al momento della commessa violazione.
La Cassazione ha infatti stabilito che coloro
i quali non sono in grado di comunicare il
nominativo del conducente devono pagare la
sanzione di 250 euro prevista dall'articolo
126-bis. Ciò perché il proprietario del veicolo, infatti, in quanto responsabile della circolazione dello stesso nei confronti delle
pubbliche amministrazioni non meno che
dei terzi, è sempre tenuto a conoscere l'identità dei soggetti ai quali ne affida la conduzione.
CONDUCENTI: ATTENZIONE
AL PEDONE UBRIACO
Cassazione, Sezione Quarta Penale Sentenza n. 27740 del 13 luglio 2007
FATTO E DIRITTO
I. A. ricorre contro la sentenza in data 15
giugno 2006, con la quale la Corte di Appello dell’Aquila, in parziale riforma della
sentenza di primo grado sostituiva la pena
dell’arresto inflitta per il reato di guida in
stato di ebbrezza ex art. 186, commi 1 e
2, codice della strada, con la sanzione pecuniaria di euro 1000, confermando il giudizio di responsabilità per il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale e la relativa pena statuita dal giudice di primo
grado (fatto avvenuto in data
14.11.2002).
Sui motivi di appello, diretti ad ottenere l’assoluzione nel merito dell’imputato, sul duplice rilievo dell’asserito comportamento
colposo del pedone, che procedeva barcollando ed in stato di alterazione, e della
affermata mancanza di prove che la velocità dell’autovettura fosse superiore a quella consentita, la Corte ne argomentava l’infondatezza, osservando che lo stesso imputato aveva ammesso di aver notato la vittima percorrere il margine della strada con
andatura barcollante e che, pertanto, essendo prevedibile anche una improvvisa
deviazione del pedone, la condotta di guida dello I. si palesava con evidenza inadeguata alla situazione concreta e colposa.
Veniva altresì dato atto anche del concorso
di colpa della vittima senza stabilirne però
l’incidenza.
Avverso la sentenza, propone ricorso l’imputato che articola tre distinti motivi di doglianza.
Con il primo prospetta la violazione di legge in ordine al giudizio di prevedibilità ed
evitabilità dell’evento, non essendo imputabile allo I. alcun profilo di colpa specifica
né generica.
Sotto il primo profilo, si sostiene che l’imputato non aveva violato la norma precauzionale prevista dall’art. 142 del codice della strada, emergendo dalla stessa sentenza
che al momento dell’investimento l’autovettura osservava il limite di velocità di 50 Km
orari né quella di cui all’art. 141 dello stesso codice, che, nell’imporre al conducente
di regolare la velocità al fine di arrestare
tempestivamente il mezzo, avrebbe riferimento esclusivamente agli eventi prevedibili tra i quali non poteva certamente rientrare la condotta della vittima.
Parimenti, nessun profilo di colpa generica
sarebbe imputabile allo I., essendo del tutto imprevedibile l’improvviso attraversamento del pedone.
Con il secondo motivo denuncia la manifesta illogicità della motivazione laddove i
giudici di appello affermano la facile prevedibilità dell’attraversamento da parte del
pedone, così applicando un giudizio non
giustificato sulla base di massime di esperienza generalmente riconosciute. La contraddittorietà della sentenza emergerebbe
anche dalla circostanza che la stessa Corte di Appello ha dato atto che l’imputato
tentò, pur se invano, di porre in essere una
cd. manovra di emergenza. Inoltre, in assenza di una consulenza cinematica sull’autovettura, il giudice di merito non aveva a
disposizione elementi probatori sufficienti
a fondare il giudizio di responsabilità dello I., non potendosi escludere logicamente
che il cd. comportamento alternativo lecito
non sarebbe valso ad impedire l’investimento del pedone.
Con il terzo motivo denuncia l’erronea interpretazione dell’art. 133 c.p., avendo i giudici del merito inflitto una pena (mesi cinque
di reclusione per l’omicidio colposo) non
commisurata ai fatti ed alla personalità dell’imputato, incensurato.
Il ricorso è infondato.
I primi due motivi strettamente connessi, meritano trattazione congiunta, vertendo tutti
sull’assenza di colpa dell’imputato a fronte
del comportamento gravemente colposo
del pedone.
Prima di procedere all’esame dei motivi,
appare opportuno soffermarsi sui principi
più volte affermati dalla giurisprudenza
di legittimità in ordine agli obblighi gravanti sul conducente.
In primo luogo, il conducente è tenuto a
vigilare al fine di avvistare il pedone.
L’avvistamento del pedone implica la percezione di una situazione di pericolo, in
presenza della quale ogni conducente è
tenuto a porre in essere una serie di accorgimenti (in particolare, moderare la
velocità e, all’occorrenza, arrestare la
marcia del veicolo), al fine di prevenire il
rischio di un investimento.
Circa i doveri di attenzione del conducente tesi ad avvistare il pedone, si è sottolineato che grava sul conducente l’obbligo
di ispezionare continuamente la strada
che sta per impegnare, mantenendo un
costante controllo del veicolo in rapporto
alle condizioni della strada stessa e del
traffico e di prevedere tutte quelle situazioni che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o
pericolo per gli altri utenti della strada (v.
Sez IV, 2 marzo 2007, Basta; 23 gennaio
2007, Tassi e 13 ottobre 2005, Tavoliere).
Al fine di escludere la responsabilità del
conducente è, perciò, necessario che lo
IL COMMENTO
Il conducente di un veicolo che non presta una particolare attenzione ai movimenti di persona
ubriaca a lato strada e la investe è colpevole delle lesioni procurate.
Lo ha stabilito la Cassazione con riferimento al caso accaduto in provincia de L'Aquila ove il conducente di un'autovettura, notata la presenza di un pedone ubriaco a lato strada che procedeva barcollando, non aveva prestato la massima attenzione tenendo conto anche degli eventuali improvvisi movimenti del pedone.
Proprio a causa di uno di questi spostamenti la vettura aveva colpito l'ubriaco, procurandogli delle
lesioni la cui colpa è stata imputata all'automobilista.
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stesso sia trovato, per motivi estranei ad
ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne i movimenti, attuati in
modo rapido ed inatteso; occorre, inoltre
che nessuna infrazione alle norme della
circolazione stradale ed a quelle di comune prudenza sia riscontrabile nel suo comportamento (v. le citate sentenze Sez. IV).
Alla luce di tale premessa, ritiene il Collegio
che la sentenza impugnata sia esente da vizi logico-giuridici.
I giudici dell’appello all’esito della valutazione degli elementi acquisiti, hanno ritenuto di attribuire rilievo nel determinismo
causale dell’evento alla imprudenza e negligenza dell’imputato, il quale, pur avendo
avvistato il pedone (il quale, come ammesso dallo stesso imputato, percorreva il margine della strada con andatura barcollante), non ovviava alla situazione di pericolosità, arrestando l’autovettura o riducendo
la velocità, in modo da rendere possibile
l’arresto in caso di improvvisa invasione della carreggiata da parte di persona, che,
come rilevato dalla Corte di merito manifestava segni di non adeguato controllo della propria persona.
P.Q.M.
La Corte Suprema di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2007
GUIDA IN STATO DI
EBBREZZA: NON È AMMESSA
L’OBLAZIONE
Corte di Cassazione Penale sez. IV
28/6/2007 n. 25056
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1 Con sentenza del 3 giugno 2005 il
GIP del Tribunale di Brescia dichiarava non
si procedere a carico di (omissis) imputato
del reato di cui all’art. 186, secondo comma, d.lgs. n. 285 del 1992, per essere lo
stesso estinto per intervenuta oblazione, applicando altresì all’imputato la sospensione
della patente di guida per la durata di mesi uno.
1.2 Avverso detta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Brescia, chiedendone l’annullamento per avere il giudice a quo erroneamente
dichiarato estinto per intervenuta oblazione
un reato contravvenzionale punito con la
pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda, regime sanzionatorio ostativo all’applicazione del beneficio.
Ha altresì dedotto il ricorrente che in ogni
caso, una volta dichiarato estinto il reato,
non poteva essere applicata la sanzione
amministrativa accessoria della sospensio-
ne della patente di guida, la quale consegue all’accertamento giudiziale del reato
e non alla pronunzia di sentenza di non
luogo a procedere.
1 II ricorso è fondato.
L’art. 162 bis cod. pen. non a caso titolato «oblazione nelle contravvenzioni punite con pena alternativa», limita l’applicabilità della predetta causa estintiva alle
contravvenzioni per le quali la legge stabilisce la pena alternativa dell’arresto o
dell’ammenda, laddove il reato ascritto
all’imputato è punito congiuntamente con
la sanzione detentiva e con quella pecuniaria.
Non è superfluo aggiungere che il fatto è
stato commesso il 6 novembre 2004, in
epoca successiva, dunque, all’entrata in vigore del decreto legge n. 134 del 2003,
convertito, con modifiche, nella legge n.
151 del 2003 (1), che ha restituito la competenza a conoscere del reato de quo al tribunale, sottraendola al giudice di pace; in
tal modo, disattivato il meccanismo di conversione sancito dall’art. 52 del d.lgs. n.
274 del 2000, è anche venuta meno la
praticabilità dell’oblazione. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata,
con rinvio degli atti al Tribunale di Brescia
che si atterrà ai principi enunciati nella presente sentenza di annullamento, restando
assorbito nell’accoglimento del primo motivo di ricorso l’esame del secondo.
La Corte di cassazione annulla la sentenza
impugnata, con rinvio al Tribunale di Brescia.
IL COMMENTO
Chi ha commesso il reato di guida in stato
di ebbrezza non è ammesso alla oblazione.
Lo ha ribadito la Cassazione precisando che
la stessa è prevista soltanto laddove la legge
stabilisce la pena alternativa dell'arresto o
dell'ammenda.
POLIZIA GIUDIZIARIA
INGIURIA: “MI AVETE
ROTTO…” E’ REATO
Cassazione Penale,
35548/2007
Sentenza
n.
(Da Studio Cataldi) Ogni frase deve essere
valutata nel suo contesto ed anche
un’espressione oramai entrata a far parte
del linguaggio corrente può essere considerata dalla legge come una vera e propria
ingiuria. E così anche l’espressione “avete
rotto le palle” secondo la Cassazione benché generalmente tollerata può far scattare
una condanna penale. Tutto dipende dal
contesto in cui vien pronunciata e a chi vie-
ne rivolta. Il caso esaminato dalla Corte, vede come protagonista un frate domenicano
(direttore di una comunità per tossicodipendenti) che all’arrivo di una pattuglia dei carabinieri si era rivolto loro dicendo ‘avete
rotto le palle’. Il frate è stato subito denunciato e condannato per ingiuria. Inutile il ricorso in Cassazione. Secondo gli Ermellini
“i giudici di merito hanno plausibilmente ritenuto che [il frate] intendesse contrastare
l’operazione dei carabinieri, qualificandola come inutilmente vessatoria e quindi attribuendo sostanzialmente ai militari la responsabilità di un abuso”. La frase “avete
rotto le palle” si legge nella sentenza
“può essere utilizzata in funzione delle
azioni più disparate”. E non e’ nemmeno
in discussione “l’accettabilità sociale di un
tale linguaggio, perché l’art. 594 c.p. non
punisce la volgarità in sè. Ciò che rileva è
il significato dell’azione compiuta dal frate con quelle parole”.
EDILIZIA
ABUSO: NO ACQUISIZIONE
SE NUDA PROPRIETA’
Tar Lazio – roma, sez. II bis - sentenza 26
settembre 2007 n. 8998
FATTO
Con il ricorso indicato in epigrafe, le istanti esponevano di essere proprietarie, per
metà ciascuna pro indiviso, dell’appezzamento di terreno di mq. 700 in località Cerquette Grandi del comune di Roma, confinante con via Grissollo, via Rivoli, censito al
catasto alla Sez. D fg. 107, part. 420, are
5,93, RDL 10,08-RAL 1,78, a seguito di
donazione da parte dei genitori. Riferivano
dell’esistenza dal 1978 di un manufatto di
mq. 20, alto circa 2,50 m. in blocchetti di
tufo a secco, privo di fondazioni e coperto
con lastre di eternit.
Impugnavano il provvedimento n. 1067
del 1997 di acquisizione gratuita al patrimonio del Comune di Roma del manufatto
descritto, conseguente all’atro atto, anch’esso impugnato, n. 1160 del 12.10.1994,
mai asseritamene conosciuto, di ingiunzione alla demolizione dello stesso immobile.
DIRITTO
Osserva preliminarmente il Collegio che,
contrariamente a quanto sostiene la difesa
comunale, oggetto di impugnazione non è
solamente la determinazione dirigenziale
n. 1067 del 6.6.1997 con cui è stata disposta l’acquisizione delle opere al patrimonio comunale ma anche la precedente
determinazione
n.
1160
del
12.10.1994, con cui era stata intimata la
demolizione delle opere ai sigg. Sebastiano Melcore ed Enrichetta Galati, genitori
degli attuali ricorrenti.
Tanto chiarito, l’impugnazione della determinazione con cui era stata ingiunta la demolizione si appalesa tardiva (il ricorso essendo stato notificato il 14 ottobre 1997,
ossia a distanza di tre anni dall’adozione
del provvedimento), a diversa conclusione
non potendo indurre il fatto che detta determinazione non sia stata mai notificata ai ricorrenti, benché proprietari dell’area (per
acquisto a seguito di donazione, con riserva di usufrutto, da parte dei genitori).
Correttamente infatti quella determinazione è stata notificata ai genitori dei ricorrenti, non solo perché titolari di un diritto reale
sul bene, ma soprattutto perché responsabili dell’abuso, come del resto ammettono gli
stessi ricorrenti; né va taciuto che, proprio in
relazione alla vetustà del manufatto, all’epoca dell’abuso i responsabili erano anche pieni proprietari dell’area.
Nel senso predetto milita del resto l’art. 7
della legge 28.2.1985, n. 47 che individua (terzo comma) nel responsabile dell’abuso il soggetto che deve provvedere alla demolizione delle opere e al ripristino
dello stato dei luoghi.
Il ricorso merita però accoglimento nella
parte relativa all’impugnazione della determinazione di acquisizione delle opere al
patrimonio comunale.
Posto invero che i ricorrenti sono estranei
alla realizzazione dell’abuso, l’acquisizione gratuita anche dell’area su cui insiste il manufatto abusivo deve ritenersi illegittima perché pronunciata nei confronti di soggetti che all’epoca della realizzazione dell’abuso erano nudi proprietari
e, in quanto tali non avevano la disponibilità dell’area né la possibilità di procedere alla demolizione proprio per evitare
l’effetto acquisitivo a loro danno (cfr. Tar Liguria, 21.6.2001, n. 729).
Mette peraltro conto rilevare che, dopo la
sentenza n. 345 del 1991 con la quale la
Corte costituzionale , interpretando l’art. 7,
comma 3 della L. 47/85, ha escluso poter
qualificare responsabile dell’abuso edilizio
il proprietario che da un lato sia rimasto
estraneo alla realizzazione dell’illecito e
dall’altro si sia adoperato con comporta-
IL COMMENTO
E' illegittimo il provvedimento ex art. 7, comma 3°, L. n. 47/1985 di acquisizione al patrimonio
comunale di un'opera edilizia abusivamente realizzata e della relativa area di sedime e di pertinenza, nel caso in cui sia stato adottato nei confronti di soggetti estranei alla realizzazione dell'abuso,
per essere tali soggetti, all'epoca della realizzazione dell'abuso stesso, soltanto nudi proprietari, in
quanto tali privi sia della disponibilità dell'area, sia della possibilità di procedere alla demolizione proprio per evitare l'effetto acquisitivo a loro danno.
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mento giuridicamente operoso a rimuoverne gli effetti, l’ordinanza che disponga l’acquisizione gratuita al patrimonio indisponibile del Comune in presenza delle suddette condizioni è illegittima; deve quindi inferirsene che l’ordinanza è parimenti illegittima ove non sia stata offerta ai nudi proprietari estranei all’abuso la possibilità di attivarsi per evitare la perdita dell’area su cui è
stato realizzato l’abuso.
Il ricorso va, pertanto, parzialmente accolto.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il
Lazio, Sezione Seconda bis, in parte dichiara irricevibile ed in parte accoglie il ricorso in epigrafe, e per l’effetto annulla la
determinazione dirigenziale n. 1067 del
6.6.1997.
ORDINAMENTO LOCALE
ATTI AMMINISTRATIVI: I CASI
DI NULLITA’
Tar Abruzzo - L’Aquila, sez. I - sentenza 17 luglio 2007 n. 484 Repubblica italiana
FATTO
La parte ricorrente riferisce che il Comune di
Giulianova con deliberazione del consiglio
comunale 20 maggio 1989, n. 147, le
aveva concesso in diritto di superficie per la
durata di anni 90 un’area dell’estensione di
mq. 1238, ricompresa nel vigente P.I.P., al
fine di costruire un fabbricato ad uso industriale.
Riferisce, altresì, che il 28 dicembre 1990
era stata stipulata la relativa convenzione,
cui aveva fatto seguito la consegna dell’area, con la quale per un verso il Comune si era impegnato a realizzare le opere
di urbanizzazione (art. 8) ed aveva dichiarato e garantito che il terreno era “di sua
piena ed esclusiva proprietà e libero da
ogni vincolo, sia reale che personale” (art.
17) e per altro verso l’assegnataria aveva
dichiarato di aver già presentato il 5 giugno 1990 la richiesta per ottenere la concessione edilizia e si era impegnata a ritirare tale concessione entro 90 giorni dal rilascio (art. 9) e ad iniziare i lavori entro i
successivi 12 mesi (art. 10).
E’ accaduto però che la domanda di concessione edilizia era stata respinta in ragione del mancato rispetto delle distanze dagli edifici adiacenti, così come ulteriori due
nuove istanze, e che l’istante non aveva potuto usufruire del finanziamento richiesto alla Regione Abruzzo a favore dell’imprenditoria giovanile.
Assumendo che il diniego della concessione edilizia e la perdita di tale finanziamen-
to erano da imputarsi alla circostanza che
il lotto in questione, “sul quale erano siti n.
3 tombini di scarico”, era gravato da una
servitù in ragione della presenza di dispositivi di smaltimento delle acque nere, con
atto di citazione notificato il 22 ottobre
1999 dinanzi al Tribunale civile di Teramo
la società Ced ha chiesto la condanna del
Comune al risarcimento dei danni subiti.
Ed in accoglimento di tale richiesta con sentenza n. 120/002 la Sezione distaccata
di Giulianova del Tribunale di Teramo ha dichiarato che il Comune di Giulianova si era
reso inadempiente nella esecuzione della
predetta convenzione ed ha condannato
l’Amministrazione al risarcimento dei danni,
liquidati nella complessiva somma di
2.365.372,60, oltre alle spese di giudizio.
Tale sentenza, in accoglimento dell’appello proposto dal Comune, è stata, però, annullata dalla Corte di Appello degli Abruzzi di L’Aquila con sentenza n. 170/06, in
ragione del difetto di giurisdizione del Giudice ordinario in ordine alla controversia
dedotta; con tale sentenza, in particolare,
si è precisato che la controversia proposta,
avendo ad oggetto rapporti di concessione
di beni pubblici, rientrava, in base all’art.
5, I comma, della L. 6 dicembre 1971, n.
1034, nella giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo.
Con il ricorso in esame la società interessata ha nella sostanza riassunto dinanzi questo Tribunale tale giudizio, chiedendo al
Collegio di condannare il Comune, utilizzando le prove raccolte dinanzi
all’A.G.O., al risarcimento dei danni dal
momento che il lotto dato in concessione
era inedificabile, in quanto attraversato da
una fognatura, posta ad un livello più basso rispetto al collettore principale. Dopo
aver anche ipotizzato la nullità della concessione stipulata tra le parti “per impossibilità giuridica e di fatto dell’oggetto, quale area destinata alla edificazione”, ha rilevato che il Comune, a causa dell’inadempimento dell’obbligazione assunta con il
predetto art. 17 della convenzione, doveva essere condannato al risarcimento dei
danni, da liquidarsi nella misura complessiva di 8.244.094,52, con interessi e rivalutazione a decorrere dal 22 ottobre
1999, oltre al lucro cessante verificatosi
nelle more del giudizio pari ad
373.914,80 l’anno.
Tali richieste la parte ricorrente ha ulteriormente illustrato con memoria del 16 maggio 2007.
Il Comune di Giulianova, ritualmente intimato, non si è costituito in giudizio.
Alla pubblica udienza del 30 maggio
2007 la causa è stata introitata a decisione.
DIRITTO
1. - Con ricorso in esame – come sopra
esposto – la società ricorrente ha chiesto la
condanna del Comune di Giulianova al risarcimento dei danni subiti in ragione del
fatto che il lotto del P.I.P., che le era stato dato in concessione, era, a suo dire, inedificabile, in quanto era attraversato da una fognatura.
Era, invero, accaduto che il Comune di
Giulianova con deliberazione del consiglio
comunale 20 maggio 1989, n. 147, aveva concesso alla ricorrente in diritto di superficie per la durata di anni 90 un’area
dell’estensione di mq. 1238, ricompresa
nel vigente P.I.P., al fine di costruire un fabbricato ad uso industriale. Dopo la stipula
della relativa convenzione, avvenuta il 28
dicembre 1990, e dopo la consegna dell’area, la ricorrente non aveva, però, potuto ottenere la richiesta concessione edilizia
e, di conseguenza, non aveva potuto usufruire del richiesto finanziamento a favore
dell’imprenditoria giovanile.
Dalla lettura di tali atti (che sono, nella sostanza, i fascicoli processuali dei due giudizi svolti dinanzi all’A.G.O.) si rileva, invero, che quando il 28 dicembre 1990 era
stata stipulata la convenzione in parola (cui
aveva fatto seguito, immediatamente dopo, la consegna dell’area) la parte acquirente già aveva presentato il 5 giugno
1990 il progetto per la ottenere la concessione edilizia per realizzare sul lotto un opificio industriale; e va al riguardo osservato
che la presentazione di tale richiesta presupponeva, come sembra evidente, che il
progettista avesse visionato attentamente lo
stato dei luoghi.
4. - Fatte tali puntualizzazioni in punto di fatto, può utilmente passarsi all’esame del merito delle richieste formulate con il gravame,
con le quali la società ricorrente, come già
precisato, ha dedotto le seguenti doglianze:
a) per un verso ha ipotizzato la nullità della concessione stipulata tra le parti “per impossibilità giuridica e di fatto dell’oggetto,
quale area destinata alla edificazione”, per
essere il lotto dato in concessione inedificabile poichè attraversato da una fognatura, posta ad un livello più basso rispetto al
collettore principale;
b) per altro verso ha rilevato che il Comune
IL COMMENTO
Il provvedimento amministrativo può considerarsi assolutamente nullo o inesistente solo nelle ipotesi in cui esso sia espressamente qualificato tale dalla legge, oppure manchi dei connotati essenziali dell'atto amministrativo, necessario "ex lege" a costituirlo, quali possono essere la radicale
carenza di potere da parte dell'Autorità procedente, ovvero il difetto della forma, della volontà, dell'oggetto o del destinatario. Lo ha stabilito il Tar dell'Abruzzo.
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non aveva adempiuto l’obbligazione assunta con il predetto art. 17 della convenzione, con la quale aveva dichiarato e garantito che il terreno era “di sua piena ed
esclusiva proprietà e libero da ogni vincolo, sia reale che personale”.
Tale doglianze, ad avviso del Collegio, sono entrambe prive di pregio e non possono
far condannare il Comune al risarcimento
dei danni, che l’istante assume di aver subito e che ha quantificato nella complessiva
somma di 8.244.094,52, oltre agli interessi ed alla rivalutazione ed al lucro cessante verificatosi nelle more del giudizio.
Quanto alla ipotizzata nullità della deliberazione di assegnazione dell’area e della
conseguente convenzione, va premesso
che, come è noto, la nullità dei provvedimenti dinanzi al giudice amministrativo è
rilevabile anche d’ufficio, alla stregua dei
principi generali in tema di nullità, evidentemente applicabili anche nel processo amministrativo nelle ipotesi in cui la validità ed
esecutività del provvedimento costituisca
oggetto della controversia (T.A.R. Liguria,
sez. I, 16 maggio 2007, n. 790); sembra,
pertanto, evidente che l’azione volta a far
valere tale nullità non sia sottoposta a termini di decadenza.
Ciò posto, va ricordato che il provvedimento amministrativo può considerarsi
assolutamente nullo od inesistente solo
nelle ipotesi in cui esso sia espressamente qualificato tale dalla legge oppure
manchi dei connotati essenziali dell’atto
amministrativo, necessario “ex lege” a
costituirlo, quali possono essere la radicale carenza di potere da parte dell’Autorità procedente, ovvero il difetto della forma, della volontà, dell’oggetto o del destinatario (Cons. St., sez. IV, 27 ottobre 2005
, n. 6023, e T.A.R. Sicilia, sez. Catania,
sez. III, 24 maggio 2006 , n. 827).
Fatta tale premessa, deve rilevarsi che dall’esame degli atti non emerge di certo - così come ipotizzato dalla ricorrente - che
l’area in questione fosse totalmente inedificabile, per cui l’atto concessorio non può ritenersi nullo, perché privo del suo oggetto.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per
l’Abruzzo, L’Aquila, respinge il ricorso in
epigrafe.
Nulla spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in L’Aquila nella camera di consiglio del giorno 30/05/2007 con l’intervento dei signori:
Santo Balba, Presidente
Michele Eliantonio, Consigliere, Estensore
Rolando Speca, Consigliere
DEPOSITATA
IN
SEGRETERIA
il
17/07/2007.
APPALTI
OFFERTA UNICA:
NO AGGIUDICAZIONE SE
NON PREVISTA NEL BANDO
Consiglio di Stato, sez. V - sentenza 19
settembre 2007 n. 4877
FATTO
Con determinazione del Capo Settore Patrimonio, Partecipazioni Lavoro del Comune di Padova, è stato approvato il bando di
gara per l’alienazione di una porzione dell’area di proprietà comunale denominata
ex Gasometro.
L’asta pubblica del 12/12 03 è andata
deserta, non essendo pervenute offerte valide.
Con ulteriore determina del 27/1/04 è
stato approvato l’avviso pubblico, successivamente rettificato, per la vendita a trattativa privata di tale area.
Essendo pervenuta una sola offerta, quella
della Soc. Baldan, l’amministrazione, ha ritenuto non assicurata la concorrenzialità ed
ha sospeso, in data 13/2/04, la trattativa
privata, prima dell’apertura della busta contenente l’offerta.
Con determina del 26/2/04 è stato approvato un nuovo bando.
La società Baldan ha impugnato i provvedimenti di sospensione dell’aggiudicazione
dell’area a trattativa privata e di approvazione del nuovo bando, a cui non ha partecipato, sostenendone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere, vizi
meglio precisati con il ricorso in esame, proposto avverso la sentenza che ha dichiarato il gravame in parte inammissibile ed in
parte infondato.
DIRITTO
Infatti, posto che l’avviso di trattativa privata non conteneva la previsione di aggiudicazione anche in presenza di una sola offerta, l’amministrazione godeva della facoltà di non procedere all’affidamento dell’appalto in relazione al libero apprezzamento dell’interesse pubblico volto
a garantire la presenza di un minimo di
concorrenzialità nell’offerta.
Né può ritenersi la necessità di avvio del
procedimento rispetto a tale determinazione, trattandosi di valutazione discrezionale
sull’interesse pubblico che non incide su situazioni consolidate.
Non sussiste neppure il vizio di difetto di
motivazione del provvedimento in quanto,
la scelta di non procedere all’aggiudicazione a seguito della trattativa privata, oltre
che sinteticamente indicata nell’atto di sospensione della procedura, risulta comunque ampiamente evidenziata nella raccomandata del 25/2/04 trasmessa alla im-
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presa Baldan ed anche nella premessa del
nuovo bando, trasmesso tramite fax alla
stessa ricorrente.
Le ulteriori censure proposte nei confronti
della successiva asta pubblica sono, invece, inammissibili in quanto, non avendo la
ricorrente, per sua scelta, partecipato alla
gara, nessun vantaggio la stessa potrebbe
conseguire dal loro accoglimento.
L'appello, di conseguenza, va respinto, il
che rende irrilevante l'esame dei motivi proposti in via incidentale.
Sussistono giusti motivi per compensare, tra
le parti, le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale,
Sezione Quinta, respinge l'appello sul ricorso n. 6746/2005 meglio specificato in
epigrafe; compensa, tra le parti, le spese di
giudizio.
IL COMMENTO
Nel caso in cui la P.A. abbia indetto una
trattativa privata (nella specie per l'alienazione di un immobile comunale) e l'avviso
di trattativa privata non contenga la previsione di aggiudicazione anche in presenza di
una sola offerta, la P.A. stessa, in presenza di
un solo offerente, ha la facoltà di non procedere all'aggiudicazione in relazione al libero
apprezzamento dell'interesse pubblico volto
a garantire la presenza di un minimo di concorrenzialità nell'offerta. Lo ha stabilito il
Consiglio di Stato.