leggi un assaggio - Ad est dell`equatore

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1.3 Le ragioni di un Programma
Sostenere i genitori può contribuire a realizzare una società migliore, si può sostenendo la
relazione madre-bambino, promuovere il ben-essere delle nuove generazioni.
Quattro prospettive teoriche sottendono i programmi di sostegno precoce nei genitori. La
prima, la teoria psicodinamica, individua il fatto che se i genitori comprendono e accettano
il loro ruolo di genitori, essi possono esser meno probabilmente trascuranti/maltrattanti. La
seconda, la teoria dell’apprendimento, intende proporre che se i genitori comprendono
meglio le modalità delle cure per il loro bambini,
sono meno probabilmente
trascuranti/maltrattanti. La terza, la teoria ambientale, propone che se i genitori hanno
accesso
a
maggiori
trascuranti/maltrattanti.
e
La
migliori
risorse,
quarta,
la
possono
teoria
essere
meno
ecologica,
dice
facilmente
che
la
trascuratezza/maltrattamento ai bambini può diminuire se una rete comunitaria di
sostegno compensa le insufficienze individuali, di situazione e di ambiente.
Esiste evidenza dell’efficacia degli interventi precoci di sostegno genitoriale, con inizio
durante la gestazione e durante le prime epoche della vita, su diverse dimensioni della
salute e del benessere, sia del bambino che dei genitori. Esistono inoltre evidenze che
questi interventi determinano risparmi e riduzione di tutta una serie di costi sociali che si
producono, con effetti più o meno a lungo termine, con l’esclusione sociale. Gli effetti
principali attesi e dimostrati di interventi di supporto alle funzioni genitoriali è dimostrato
che siano per i bambini: migliore sviluppo cognitivo emotivo e fisico, riduzione di problemi
comportamentali e di apprendimento, riduzione abuso e trascuratezza, migliori esiti
psicosociali
da adulti, migliore parenting da adulti;
per i genitori: riduzione della
prevalenza della depressione e dell’ansia materna (e paterna) migliore autostima, migliore
capacità produttiva e sociale, migliore salute riproduttiva per la madre; per le famiglie:
funzionamento e relazioni interne migliori, migliori relazioni sociali, migliore utilizzo servizi
sanitari. Altri effetti importanti sono rappresentati da : riduzione delle gravidanze in
adolescenti, migliori esiti della gravidanza con minori costi sanitari per neonati di basso
peso e patologici, riduzione dei casi di trascuratezza e maltrattamento con minori costi per
i servizi sociali, riduzione dei casi di difficoltà scolastica con minori costi per supporti
educativi, riduzione dell’evasione e abbandono scolastico con minori costi derivanti dal più
rapido iter scolastico e dalla riduzione dei drop-outs sociali, aumento dei tassi di iscrizione
alla scuola superiore e università; riduzione di anni persi con minori costi per istruzione
secondaria e aumento del livello educativo (dimostrati effetti sul PIL), aumento di qualifica
della forza lavoro ed aumento del PIL e aumento delle entrate per tasse sul reddito,
riduzione dell’abuso di sostanze con minori costi per i servizi dedicati e per il servizio
sanitario, riduzione degli incidenti con minori costi per cure sanitarie, riduzione della
criminalità con minori costi per il sistema giudiziario.
Tra gli obiettivi che più frequentemente si pongono questi programmi di sostegno, una
posizione strategica è rappresentata dalla prevenzione dell’abuso e della trascuratezza dei
minori e conseguentemente la prevenzione dell’allontanamento del minore dalla propria
famiglia di origine.
Tuttavia la prevenzione dell’abuso e della trascuratezza può essere efficacemente
sostenuta solo da un approccio sistemico che tenga conto dei molti fattori che
interagiscono con la famiglia e le sue relazioni.
Gli esperti infatti sempre più scoprono che forze negative entro una comunità possono
soverchiare anche genitori con buone intenzioni, l’attenzione quindi deve essere rivolta a
creare condizioni ambientali che facilitino i genitori a pensare correttamente. I programmi
di prevenzione comunitari più sofisticati enfatizzano il reciproco intergioco tra il
comportamento individuale e familiare e quello più ampio del quartiere, della comunità e
del contesto culturale, secondo il modello ecologico di Uri Bronfenbrenner Per prima cosa
l’abuso e la trascuratezza dei bambini è il risultato in parte dello stress e dell’isolamento
sociale, secondo: la qualità del quartiere può anch’essa incoraggiare o impedire la
genitorialità e l’integrazione sociale delle famiglie che vivono in esso. Terzo: forze sia
interne che esterne influenzano la qualità della vita nel quartiere. E quarto: ogni strategia
per prevenire il maltrattamento dei bambini dovrebbe indirizzarsi sia alle dimensioni
interne che esterne e avere un focus simultaneo sul rafforzamento delle famiglie a rischio
ed il miglioramento dei quartieri a rischio. I quartieri acquistano la loro importanza sia
direttamente, nell’offrire per esempio scuole, parchi e altri supporti primari sia
indirettamente, nel formare le attitudini ed i comportamenti dei genitori e nell’influenzare la
loro autostima, il capitale sociale ed i processi motivazionali.
Specificamente le comunità con un più alto tasso di trascuratezza/maltrattamento sono
quelle meno socialmente integrate. Esse hanno anche sperimentato un vicinato meno
positivo e relazioni quotidiane più stressanti . Si ipotizza che il capitale sociale (definito da
Robert Putnam come le caratteristiche dell’organizzazione territoriale e la fiducia sociale
che facilita il coordinamento e la cooperazione per il bene comune) del quartiere influenzi i
tassi di trascuratezza/maltrattamento in un modello dinamico.
I bambini che vivono in quartieri caratterizzati dalla povertà, da un’alta percentuale di
popolazione minorile rispetto a quella adulta, un alto turnover della popolazione ed un’alta
concentrazione di famiglie con la madre capofamiglia, sono a più alto rischio di
trascuratezza/maltrattamento.
Tuttavia sebbene le caratteristiche strutturali come la povertà hanno un valore critico
nello stabilire un clima sociale nella comunità, i servizi di quartiere che sono capaci di
sviluppare un senso di comunità e di reciprocità mutualistica realizzano un unico e
potenziale potere capace di ridurre la violenza e di sostenere i genitori.
Il sistema di cure ha anche una notevole importanza in questo ambito di intervento. Il
sistema di cure dovrebbe basarsi su quattro fondamenta che comprendono:
un continuum di servizi che vanno dalle terapie individuali alla difesa in una casa famiglia;
il coordinamento dei servizi per cui una famiglia può muoversi da un servizio all’altro senza
soluzione di continuità;
la personalizzazione dei servizi per cui i servizi sono avvolti intorno al bambino e alla
famiglia piuttosto che pretendere che le famiglie si conformino alle esigenze dei servizi;
la competenza culturale nei servizi tale che ci siano le conoscenze professionali relative
alla comunità ed alla cultura delle famiglie.
Di qui la conclusione che due componenti degli interventi appaiono essere più promettenti
lo sviluppo del capitale sociale ed il coordinamento comunitario di servizi personalizzati
tale che le famiglie possono avere accesso ad un più ampio ordine di interventi che a loro
volta possano indirizzarsi contemporaneamente a fattori multipli di rischio.
In questi servizi devono essere attivi team multidisciplinari che valutano le famiglie e
pianificano percorsi di intervento. Questo tipo di lavoro sui casi e pianificazione sistemica
crea una risposta più integrata e coordinata e coinvolge in modo efficiente agenzie sia
pubbliche che private.
Sebbene un intervento ritardato sia meglio di niente e possa aiutare i genitori con una
genitorialità sotto stress, l’intervento precoce determina migliori e più durevoli risultati per i
bambini. I genitori possono trarre beneficio dall’aspetto sociale del lavoro di gruppo tra pari
che è certamente preferibile al lavoro individuale.
Il lavoro individuale dovrebbe includere l’home visiting come parte di un servizio
multicomponente. Interventi di maggiore durata con follow-up e sessioni di rinforzo sono
raccomandati per problemi di maggiore severità o per i gruppi ad alto rischio.
Un obiettivo strategico dei programmi di sostegno precoce ai genitori è quello di prevenire
l’esclusione sociale e la marginalità, causa a sua volte di una quota considerevole
dell’abuso e trascuratezza.
Il destino segnato, le traiettorie di vita, l’esclusione e la marginalità che si perpetuano di
generazione in generazione, le dispari opportunità, sono sotto gli occhi di tutti. Questi
destini si incrociano in ambito sanitario e della salute (maggiore rischio di malattia e di
morte), in ambito scolastico e formativo (minore accesso alla conoscenza, ridotte
performance di apprendimento), in ambito lavorativo (minore qualificazione, lavori usuranti
sottopagati), in ambito sociale (marginalità, devianza, povertà).
Se è vero che l’investimento nel capitale umano è l’investimento più produttivo anche da
un punto di vista economico, lasciare al loro destino i bambini che nascono da famiglie in
difficoltà socioeconomica significa di fatto, al di là dei diritti, condannare una parte
consistente della popolazione ad un destino di marginalità e determinare per la società un
carico di povertà e devianza che può minare alla base qualsiasi possibilità di sviluppo.
I benefici della riduzione delle disuguaglianze della salute sono sia economiche che
sociali. Il costo delle disuguaglianze nella salute può essere misurato in termini di esseri
umani, anni di vita persi e anni di vita attiva persi, ed in termini economici dal costo delle
malattie in eccesso. Si stima che in Inghilterra le disuguaglianze nelle malattie determinino
perdite della produttività di 31-33 miliardi di sterline per anno, perdita di tasse e costi più
alti del welfare in un range tra 20 e 32 miliardi di sterline per anno, un costo addizionale
per il servizio sanitario associato con le disuguaglianze di 5,5 miliardi di sterline per anno.
In un momento difficile dell’economia è il tempo di cominciare a pensare in maniera
differente.
Secondo l’European report on preventing child maltreatment 2013 in Europa del WHO
esiste una prevalenza del 9,6% per l’abuso sessuale (13.4% nelle bambine e 5.7% nei
bambini), 22.9% per l’abuso fisico ed il 29.1% for quello mentale , senza differenze di
genere. Pochi studi sono stati effettuati sulla trascuratezza, ma gli studi in tutto il mondo
mostrano una prevalenza alta che va dal 16.3% della trascuratezza fisica al 18.4% per
quella emozionale.
I programmi di sostegno genitoriale e di visite domiciliari prevengono il maltrattamento e
questo genera anche significativi risparmi nei costi:
• 5.7 euro risparmiati per ogni euro investito nelle visite domiciliari
• 17 euro risparmiati per ciascun euro investito nell’educazione genitoriale ed in
quella prescolare.
Lo svantaggio comincia prima della nascita e si accumula per tutta la vita. Le azioni per
ridurre le disuguaglianze nella salute devono cominciare prima della nascita e devono
seguire tutta la vita di un bambino. Solo questo può interrompere il legame tra svantaggio
precoce e scarsi risultati nella vita. Per questa ragione, dare ad ogni bambino la migliore
partenza nella vita è la raccomandazione prioritaria anche per ridurre le disuguaglianze
nella salute lungo il corso della vita.
Le fondamenta per ogni aspetto dello sviluppo umano – fisico, intellettuale, emotivo – sono
infatti costruite precocemente nell’infanzia. Quello che accade in questi primi anni ha
conseguenze a lungo termine su molti aspetti della salute e del ben-essere, dall’obesità,
dalle malattie cardiache e mentali alle acquisizioni dell’istruzione e dello stato economico.
Per avere un impatto sulle disuguaglianze nella salute dobbiamo correggere il gradiente
sociale nell’accesso dei bambini ad esperienze precoci positive. Gli interventi successivi,
sebbene importanti, sono da considerare meno efficaci per la costruzione di buone
fondamenta. Ad esempio i bambini che hanno bassi score cognitivi a 22 mesi, ma che
crescono in famiglie in condizioni sociali buone, migliorano i loro score relativi all’età di 10
anni. La posizione relativa di bambini con alti score a 22 mesi, ma che vivono in famiglie
di basso livello sociale, peggiorano all’età di 10 anni.
I programmi di aiuto e sostegno precoci sono vitali e devono essere sostenuti per un
lungo tempo. Maggiori priorità devono anche essere date per assicurare fondi
precocemente nel ciclo di sviluppo (per esempio fino a 5 anni) e che di più sia investito per
gli interventi che hanno dato prova di efficacia, incrementando la proporzione di
investimenti allocati in questa area. Questo investimento dovrebbe essere focalizzato
proporzionalmente al gradiente sociale per assicurare un efficace sostegno ai genitori
(cominciando in gravidanza e continuando durante la transizione del bambino nella scuola
primaria), includendo educazione precoce di qualità e cure sanitarie al bambino.
Le politiche sanitarie, sociali e del lavoro, le politiche urbanistiche, quelle educative, sono
intimamente legate allo sviluppo territoriale ed al benessere dei cittadini, la salute come
diritto e come bene comune è conseguenza delle politiche complessive territoriali.
Secondo la Commissione WHO sui determinanti sociali della salute, le disuguaglianze
nelle salute crescono a causa delle disuguaglianze nella società, delle condizioni in cui la
popolazione nasce, cresce, vive, lavora e invecchia. Così stretto è il rapporto tra particolari
condizioni sociali ed economiche della società e la distribuzione della salute nella
popolazione, che la grandezza delle disuguaglianze è un buon marker dei progressi che si
realizzano verso la creazione di una società più giusta. Realizzare azioni per ridurre le
disuguaglianze nella salute non richiede un’ agenda separata della salute, ma azioni
trasversali all’interno dell’intera società.
Per ridurre la gravità del gradiente sociale nella salute le azioni devono essere universali
ma con una scala ed un’intensità che è proporzionale al livello di svantaggio
(universalismo proporzionale). Un azione di maggiore intensità è necessaria per coloro
che hanno un maggiore svantaggio economico e sociale, ma focalizzare solo sui più
svantaggiati potrebbe non ridurre il gradiente nella salute ma contrasterebbe solo una
piccola parte del problema.
“VITA SPERICOLATA”
Maria è nata 26 anni fa a Napoli ,in una piccola abitazione ai Quartieri Spagnoli, da una
giovane coppia (TONIA 15 anni ,CARLO 18), una coppia giovane e sprovveduta.
Entrambi si sono attivati nella ricerca di un lavoro, tentando di costruire una propria
autonomia, supportati nei primi anni dalle famiglie d’origine. Ma riuscire a sostenere una
famiglia non è semplice: il lavoro precario per due genitori è una spina nel fianco. Lui
lavora come idraulico con il padre, Tonia ha dovuto abbandonare il lavoro nella fabbrica di
borse per uno più remunerativo e molto impegnativo, che garantisce un futuro migliore a
sua figlia, ma che la costringe a stare troppe ore fuori casa.
Maria passava le sue giornate con la nonna e la bisnonna materna, aspettando la madre
che rientrava la sera, ed il padre che insofferente per il lavoro precario ed incapace di fare
altro, non riusciva a prendersi totalmente cura di lei, vivendo stati di forte depressione.
Nonostante la difficile situazione, la famiglia è riuscita a stabilire una sorta di equilibrio
grazie soprattutto all’aiuto di una forte rete informale, familiare ed amicale.
Dopo dieci anni questo equilibrio si rompe.
Maria all’età di dieci anni scappa di casa, viene ritrovata dopo due giorni nelle campagne
di Acerra , sola e con i vestiti sporchi.
Scappata per rincorrere il suo grande amore, un cantante neomelodico, “che riusciva con
la sua musica a farle sentire emozioni nuove”…mi racconterà poi…
A questa fuga se ne sono susseguite altre, con cadenze quasi mensili, per oltre un anno:
tutte motivate da analoghe e brevi infatuazioni, fino a quando i genitori dopo una fuga
durata dieci giorni, si sono rivolti ad un programma televisivo preoccupati da un assenza
prolungata.
Maria è stata ritrovata, ma la situazione diventa sempre più insostenibile: i genitori non
sono in grado di prendersi cura della propria figlia, non riescono a contenerla e non
capiscono il senso delle sue fughe, nonostante il supporto delle visite psichiatriche
consigliate dai servizi sociali.
All’età di undici anni Maria è stata inserita a Perugia in una struttura ad alto contenimento,
per seguire un percorso terapeutico che durerà sette anni.
Incontrava i genitori una volta al mese, appariva serena, ed era riuscita a scappare solo
due volte.
A diciotto anni Maria ritorna a Napoli nella casa dei genitori piccola ed inadeguata.
Sembra esserci nuovamente un equilibrio, una famiglia ricostruita, un rapporto che si ricrea, un fratello per Maria con cui potrà stare insieme.
Dopo due mesi Maria conosce Luca, se ne innamora, si fidanzano.
Lui ha la sua stessa età, quasi diciottenne, non lavora, ha fatto uso di sostanze
stupefacenti ed è un girovago come lei.
I due scappano insieme. Girano per tutta Italia, vivendo di piccoli espedienti e di furti.
I genitori ne denunciano la scomparsa, ma ormai lei è maggiorenne e può fare quello che
vuole.
Chiama regolarmente i genitori, racconta dei suoi viaggi, dice che è felice e si diverte ma
nasconde che aspetta una bambina.
Così nasce Monica in una casa famiglia.
I nonni materni sono stati ignari di tutto fino a quando non sono stati contattati dai
carabinieri perché Maria aveva abbandonato lì la bambina, scappando nuovamente con
Luca.
Lei non vuole essere mamma, non vuole avere preoccupazioni, vuole essere una donna
libera e vuole stare con il suo uomo. E’ una donna innamorata.
Dopo varie battaglie legali la bambina viene affidata ai nonni paterni, a Maria e Luca è
sospesa la potestà genitoriale.
I due vivono da barboni: dormono nelle stazioni, mangiano alle mense dei poveri, fanno
uso di droghe, commettono furti.
Non vogliono tornare a casa.
Tornano solo per prendere dei vestiti, delle coperte, per derubare il telefono ai propri
genitori, i soldi, fingendo sempre di esser pentiti e di voler ricominciare.
Nessuno si accorge di loro, nessun reato è stato denunciato, sono maggiorenni e
liberi…invisibili!
Dopo quattro anni Maria torna a casa, vuole ricucire il rapporto con i genitori, è pentita e
ha bisogno di aiuto.
Aspetta un’altra bambina, incinta di cinque mesi. Nasce Elena nella casa dei nonni materni
dove lei vive e dopo venti giorni dalla sua nascita lei scappa di nuovo con Luca in Calabria
dove trovano lavoro.
Elena viene affidata ai nonni materni dopo anni di battaglie legali.
Passano tre anni.
Maria chiama con regolarità a casa chiede delle figlie, dice di stare bene. Torna a casa
raramente quando ha bisogno di soldi o vestiti, si mostra affettuosa e gentile.
I genitori la accolgono ogni volta con molto amore, con molta comprensione, hanno
seguito un lungo percorso psicologico per l’affidamento di Elena e questo li ha dotati di
nuovi strumenti, ora iniziano a dare un senso ai comportamenti della figlia, sperano che
qualcosa possa cambiare.
Aspettano che lei ritorni: potrà anche sbagliare, ma è sempre la loro figlia.
Il carcere di Pozzuoli chiama a casa dei genitori di Maria.
Luca è stato arrestato per truffa, aggressione e furto. Per gli stessi motivi anche lei, con
una pena di due anni e sei mesi di detenzione ed è anche nuovamente incinta. I genitori
accolgono in casa la nuova nata aspettando che compia un anno e che Maria possa
richiedere gli arresti domiciliari.
Luca è detenuto attualmente a Civitavecchia, la pena è aumentata di quattro anni per
vecchi reati commessi.
A questo punto della storia inizia il progetto ed io conosco Maria. La sua terza bambina ha
un mese.
La mia presenza rappresenta per lei la possibilità di riscatto nella vita, un ascolto attento
che le permette di entrare in contatto con le sue emozioni, tanto da dire “Ora devo pensare
a mia figlia, il resto si sistemerà con il tempo.”
Maria ora vive nella nuova casa materna, più grande, più luminosa, messa interamente a
posto dal padre. Non dormono più tutti nella stessa stanza in cui si mangiava, si dormiva,
si giocava, si fumava, si guardava la televisione, si ricevevano gli zii, le zie, i cugini, le
vicine.
E’ necessario ri-creare dei rapporti: non è più una famiglia che vive insieme, ma ormai
quattro adulti che vivono in un unico spazio dove ci sono due bambine. Maria riesce
faticosamente a vivere il nuovo contesto abitativo con i genitori: non vuole rispettare le
regole, vuole essere allo stesso tempo figlia, madre e moglie di un detenuto, cambiando
ruolo quando le fa più comodo. Non è in grado di rapportarsi alla figlia maggiore, non
avendo vissuto con lei alcuna esperienza affettiva se non in rarissimi momenti. Tutto ciò
ha causato al nucleo molte difficoltà nella gestione delle dinamiche familiari, probabile
specchio di vecchi conflitti non elaborati.
A distanza di quasi un anno dalla presa in carico della ragazza e della famiglia in un
percorso che non è stato scevro di difficoltà, con l’aiuto ed il sostegno della rete creata
all’interno del progetto, la dinamica familiare, l’atteggiamento e la capacità genitoriale di
Maria sono notevolmente migliorati. Con la nascita della terza, Noemi, Maria appare più
attenta e responsabile. Ha vissuto ed interiorizzato positivamente il proprio ruolo
genitoriale nonostante le difficoltà del suo vissuto personale e la detenzione del marito.
Ha gestito positivamente le normali situazioni di salute di una bambina di un anno, alla
quale non era preparata e che inizialmente viveva in modo ansioso. Riesce ad accudire la
figlia anche di notte rimanendo partecipe di giorno alla vita familiare e non dorme più fino
alle tredici, come quando aspettava la bambina. Situazione impensabile al pensiero della
ragazza di qualche tempo fa. Questo le ha fatto realmente comprendere quanto abbia
perso dalla mancata cura delle altre figlie. Ha rielaborato le proprie esperienze e riflettuto
sulle gravi conseguenze che i suoi comportamenti hanno avuto sui suoi cari, ha scoperto
che può essere a sua volta una buona madre. La mia presenza ha avuto in un primo
momento la funzione di creare degli spazi di ascolto per Maria e i membri del nucleo
familiare, facilitando il dialogo ed evitando che le incomprensioni, dovute soprattutto
all’incapacità di comunicare, sfociassero in conflitti e che le proprie emozioni possano
essere espresse in maniera adeguata e non attraverso l'aggressività o la fuga.
Lei ora appare più serena, è una giovane madre, ha delle amiche con cui esce per
svagarsi un po’, ha bisogno di parlare. Ha riallacciato i rapporti con la suocera, incontra
periodicamente la figlia maggiore. Ha sempre bisogno di parlare e di raccontare la sua
vita, ma mi accorgo che mente continuamente. Inizia a inventare, a recitare una parte.
Le spiego che non ha bisogno di mentire, soprattutto a me, che non ha bisogno di farsi
“grande”, che per me lo è già.
I nostri incontri sono quasi giornalieri, ci troviamo in un momento delicato, occorre
preparare tutta la documentazione per l’avvocato, organizzare le uscite pomeridiane con le
bambine e i controlli medici.
Le visite a Luca diventano più frequenti, Maria racconta che lui ha voglia di ricominciare,
vuole riparare ai danni commessi, sta lavorando in carcere e presto le manderà dei soldi.
Abbiamo incontrato l’avvocato per la concessione degli arresti domiciliari, al quale
abbiamo consegnato le relazioni del nostro progetto. “Due anni passano in fretta, ho una
bambina piccola di cui devo prendermi cura” ha detto Maria “Noemi sta crescendo, è
seguita, tutti le vogliono bene.”
Incontro Maria per l’ultima volta per accordare l’appuntamento successivo con l’avvocato,
giochiamo con Noemi, prendiamo un caffè. Ascolto i progetti per il futuro, ci focalizziamo
sul presente. “Tra sei mesi posso anche lavorare, Noemi resta con mamma per quelle ore,
due anni passano in fretta, poi torna Luca, affittiamo una casa qui sui Quartieri, andiamo a
lavorare e le bambine tornano con noi.”
Dopo due giorni Maria va a comprare un nuovo pantalone per il suo onomastico, devono
tutti festeggiare, mangiando la torta che la madre le ha preparato.
Ma Maria non tornerà. E’ in Calabria dal nuovo fidanzato. Non vuole tornare, non vuole
rischiare la galera, non vuole fare la madre, non vuole avere problemi.
Abbiamo sentito Maria telefonicamente dopo diversi giorni, era in evidente stato di
ebbrezza anche in tarda notte, sta provando ad avere un altro figlio.
Il progetto è fallito? non adeguato per lei? Mi rimprovero, mi chiedo, mi interrogo!
Il quattro maggio Noemi ha compiuto un anno, non è stato possibile terminare la pratica
per la detenzione domiciliare ed automaticamente la pena detentiva è aumentata.
Con i servizi sociali abbiamo inoltrato la pratica di affidamento temporaneo della bambina
ai nonni materni, continuo a seguirli, ad incontrarli regolarmente. Hanno bisogno di
condividere il loro dispiacere. “Ci abbiamo creduto, questa volta veramente la vedevamo
cambiata, attenta.”
La famiglia ha attraversato un terribile momento, riorganizzato le proprie vite ed il proprio
lavoro per la piccola. Vissuto quasi come un lutto.
Scrivono regolarmente a Luca, rassicurandolo, parlandogli delle bambine, mandandogli
delle foto.
Maria chiama regolarmente, ha bisogno di soldi, dei suoi vestiti, del suo trucco. Mostra
attaccamento alle cose, ma non chiede mai della figlia, che oramai cammina nè di Elena
che ora ha subito nuovamente l’abbandono della madre.
Maria sta lavorando, ma non vuol dire dove, convive, è contenta.
E’ una persona nuova, dice di sé.
Ho sentito il bisogno del supporto dell’E.T.I. e insieme abbiamo deciso di adottare i nonni
per poter dar loro un sostegno per seguire adeguatamente le bambine.
Sosterremo i servizi sociali nelle relative valutazioni. Cercheremo di restituire ai nonni un
po’ di serenità e di dare alla bambina l’opportunità di crescere in una famiglia che si
rispetta e che si ama.
Aspetteremo ogni giorno con la stessa ansia una sua telefonata, sapremo che sta bene e
fingeremo di lasciarci ingannare dalle sue parole, dai suoi racconti, cercheremo di capire
dove si trova e cosa stia facendo. Continuiamo ancora ad aiutarla parliamo ancora molto.
Per ora aspetteremo che abbia di nuovo voglia di sentirsi madre.
Che abbia voglia di esserlo!
Terza Storia
“Mi hanno dato una bambola rotta”
Il territorio in cui lavora Gioia non è dei più “tristemente famosi” per le situazioni di disagio.
Non è sotto i riflettori delle politiche d’intervento socio-assistenziali e non ha un elevato
numero di segnalazioni di famiglie multiproblematiche. Eppure l’anno di lavoro che lei ha
svolto in questa zone, non le è stato per niente facile. Qui si fa più fatica a vedere, si deve
grattare parecchio sotto la superficie: qui ha incontrato quelli che tutti chiamano i “nuovi
poveri” o le belle case con dentro mamme depresse ancora troppo figlie e ancora poco
mamme o bambini iper-curati con abiti griffati, ma senza sorriso e sempre arrabbiati. Qui
Gioia sta vivendo un’esperienza nuova, che le sta facendo provare il malessere del
benessere e le ha confermato, semmai ce ne fosse stato bisogno, che l’apparenza
inganna sì, ma solo chi non è abituato a spingersi oltre.
Questo nuovo caso la entusiasmava perché per la prima volta entrava in contatto con una
famiglia di nuova formazione, in cui a sconvolgere un equilibrio già precario erano state
non una ma ben due bimbe: non neonate, ma di 5 e 11 anni. Adottate da un Paese
lontano. Per fortuna questo progetto dà la possibilità di sostenere anche loro. La
segnalazione è arrivata quasi contemporaneamente dal “Polo Adozione” e dall’assistente
sociale del territorio. Insomma, non è un’adozione facile. C’è un’alta conflittualità tra i
genitori, soprattutto tra la mamma e la figlia più grande, Laura. Non è ancora la famiglia
perfetta e molto probabilmente non lo sarà mai e devono fare tutti i conti con questa
prospettiva. La mamma Simona, è in cerca di qualcuno che confermi la sua convinzione di
aver adottato una bimba con problemi che lei non può gestire. “Mi hanno fregato! Mi
hanno dato una ragazzina malata. Disturbata. Rotta.” Queste le sue parole di mamma
delusa. Laura, prima degli 8 anni, è stata abusata ripetutamente dal padre, dal nonno e
da una persona che chiamava “zio” nella famiglia d’origine.
Il compito di Gioia era quello di mediare soprattutto tra la madre e la figlia, ma si rende
conto presto che non esiste né una madre né una figlia. C’era da intervenire subito
attivando una rete di supporto sia per la coppia genitoriale che per Laura. Gli attori da
tener presente erano tanti: il Polo Adozione del territorio, la neuropsichiatra infantile, il
centro di riabilitazione per la logopedia, la scuola e la richiesta per il sostegno scolastico, il
Tribunale e la richiesta per un percorso psicodiagnostico per Laura (le conseguenze
dell’abuso che la stavano divorando) e un percorso valutativo per la recuperabilità delle
capacità genitoriali per Simona e Massimo. Tutta la famiglia e la tutor si sono subito
ritrovati in un vortice di appuntamenti, visite, colloqui, test, disegni, relazioni, convocazioni,
emozioni, ricordi, sensi di colpa, voglia di scomparire. Sì, c’è stata anche questa. Da parte
di tutti. Tutor compresa.
Tra i suoi compiti quindi, c’era quello di attivare la rete. Era stato fatto, almeno per la parte
iniziale. Ora doveva guidare la famiglia in questa ragnatela di rapporti, doveva sostenerla
e mediare soprattutto nelle relazioni più complesse, anche quelle d’aiuto, perché, se è
vero che i genitori non ce li scegliamo, compresi quelli adottivi, ciò è altrettanto vero per gli
operatori con cui ci interfacciamo e con cui non sempre riusciamo ad entrare in empatia.
Simona poi, è alquanto netta nei giudizi e quindi, basta una parola diversa da quella che
avrebbe voluto sentire che è pronta a mandare tutto all’aria. Questo Gioia l’ha capito, ogni
volta è una battaglia con se stessa e Gioia cerca di seguirla in questo equilibrio precario.
Tenere ben definito l’obiettivo è fondamentale, oltre che un salvagente in certi casi. E tra
gli obiettivi c’era il sostegno alla relazione madre-figlia: Simona -Laura.
Laura la vedevano tutti. Era difficile non vederla con il suo carico di sofferenza, con la sua
goffaggine di bambina diventata adulta nel corpo troppo presto, con le sue difficoltà nel
ricordare le mille regole date da questa nuova mamma. Lei che prima di allora aveva
chiamato “mamma” una persona violenta, alcolizzata, che molto probabilmente si
prostituiva davanti ai suoi quattro figli, che non l’aveva protetta quando ad abusare di lei
era stato il padre e poi il nonno e poi lo zio, che l’aveva venduta ad un anziano per i suoi
giochi non da bimba di 8 anni, che la stava avviando alla prostituzione minorile in un locale
della città. Tutti vedevano Laura. Tutti tranne Simona che ce l’aveva davanti tutti i giorni.
Nessuno vedeva Simona. Gioia sembrava essere l’unica ad averla sempre davanti, con le
sue illusioni prima di conoscere le future figlie, con le sue delusioni nel rendersi conto che
la vita le è cambiata totalmente e in peggio, con le sue difficoltà nel gestire le sue ansie
preesistenti, (come l’ossessione per l’igiene) e amplificate dall’arrivo di Laura. Nelle equipe
integrate, a Gioia toccava fare l’avvocato del diavolo e cercava di portare al centro anche
l’enorme disagio di Simona. Rischiando l’accusa tremenda di “giustificare” e quasi
“avallare” l’atteggiamento continuamente squalificante che Simona aveva nei confronti di
Laura.
Una volta Gioia era nella cameretta delle bambine, giocava con loro, cantavano
filastrocche, leggevano storie, si divertivano. Voleva dare così un po’ di spazio anche a
Simona per dedicarsi un po’ a se stessa. Dal soggiorno suonavano gli Evanescence. E si
accorse solo quando stava per andare via che la madre era seduta sul divano, con le
lacrime agli occhi, con davanti le riviste sulle quali qualche anno fa erano state pubblicate
le sue poesie e i suoi racconti. Perché Simona le sapeva usare bene le parole, nel bene e
nel male. Si rivolse verso Gioia: “Un tempo ero così. Prima che arrivasse lei io ero una
donna che sorrideva, felice, creativa, piena di cose da fare che mi piacevano. Ora Simona
non c’è più. E’ morta. L’ha sepolta lei chissà dove. Mi ha distrutto, Gioia! Non è
riconoscente di niente, non mi ubbidisce mai, non si lava, mi guarda con sfida, cerca di
allearsi con Massimo. Me lo ha messo contro e ora lui pensa che sono un mostro. E
invece è lei il mostro.” Gioia avrebbe voluto scappare via da tutta quella sofferenza, una
sofferenza che riguardava tutte le persone coinvolte. Tutte. Nessuno escluso. Le si piazzò
un ovo sodo in petto che non andava né su e né giù (avete presente?!), un pugno nello
stomaco che doveva assolutamente gestire. Capì che questo era uno di quei momenti non
previsti dagli svariati manuali studiati e dagli innumerevoli corsi di formazione seguiti e
aveva la sensazione che nessuna supervisione avrebbe potuto darle gli strumenti per
superarlo. Gioia non riuscì a dire niente. Semplicemente l’abbracciò. Abbracciò una
mamma che non era capace di abbracciare nessuno. Neanche se stessa. Ma che tutti
cercavano, attraverso giudizi negativi e accuse, di spingere tra le braccia di una ragazzina
che lei considerava un mostro. Gioia ci credeva nel fatto che prima o poi questa donna,
mai diventata madre col cuore, avrebbe adottato veramente Laura con tutti i suoi mostri,
quelli sì, che le affollavano il passato e l’anima. Ma ci sarebbe voluto tanto tempo, forse
troppo.
L’ovo sodo andò via solo qualche giorno dopo quando tornò da Laura e lei l’accolse con
un bel sorriso
dicendo: “Sabato siamo andati a fare un picnic tutti insieme. Mi sono
divertita un sacco! Ora ti racconto…”