di una cucina contadina

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di una cucina contadina
Sapori “diversi”
di una
cucina contadina
Krofen, knödel,
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cajoncìe da migol vert o da clozegn,
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IL TRENTINO
IL TRENTINO
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Wolftraud De Concini
I libri di cucina italiana non riportano le ricette di queste pietanze dai
nomi incomprensibili ai più. Eppure
sono tutti cibi che si preparano in
Trentino. Sono, infatti, alcune specialità delle minoranze linguistiche
presenti sul territorio trentino: dei
Mòcheni, che preferirebbero essere
chiamati Bersntolar, dei Cimbri di
Luserna, i Zimbarn vo Lusérn, e dei
Ladini della Valle di Fassa, i Ladins
de Fascia.
La cucina delle minoranze linguistiche è una cucina semplice e frugale, la tipica cucina povera della
gente di montagna (ma che oggi, per
la rivalutazione gastronomica di tutto ciò che è o sembra genuino, viene servita anche nei ristoranti cittadini certamente non poveri). Questi
piatti, in primo luogo, dovevano saziare: certe minestre, condite abbondantemente di burro, venivano, infatti, servite la mattina, a colazione,
perché solo a stomaco pieno si potevano affrontare le giornate di duro
lavoro nelle stalle, in campagna e nei
pascoli. Significativi esempi ne sono
il peterlang, una densissima minestra di patate dei Cimbri, o la supa
rostida dei Ladini, una zuppa a base
di farina arrostita.
I piatti di Bersntolar, Zimbarn e
Ladins erano preparati con pochi
ingredienti: con cavoli e patate, con
fave e fagioli, e poi con le varie farine - la nera del grano saraceno, la
gialla del granoturco, la grigia della
segale e la bianca del frumento: tutti cereali o coltivati nelle vallate oppure giuntivi per baratto. Erano comunque ingredienti tipici non solo
di tutte le zone montane del Trentino, ma di tutto l’arco alpino, dalla
Francia alla Slovenia.
Per noi, figli della globalizzazione
abituati a trovare in ogni momento
dell’anno tutte le primizie e specialità di frutta e verdura e carne e pesce, non è facile immaginare una
cucina autarchica ed esclusivamente stagionale come lo era quella degli appartenenti alle minoranze linguistiche. Ma come avrebbero potuto procurarsi delle cibarie da fuori
valle quando cumuli di neve ostacolavano le strade, quando i sentieri
per arrivare al prossimo mercato co78
stavano ore di cammino? Per cui la
minestra era sempre quella: cavoli e
patate, fave, fagioli e svariate farine.
Comunque, a rendere ugualmente varie ed appetitose (se ce ne
fosse stato bisogno!) le pietanze, ci
pensavano le donne: esperte nell’arte di cucinare piatti dissimili con ingredienti sempre simili. Ci voleva,
oltre al tempo che le donne di una
volta si sapevano ritagliare, anche
fantasia - fantasia che in primavera
veniva sollecitata dalla natura stessa. Quando dopo il disgelo nei campi e sui prati cominciavano a spuntare piante come il tarassaco, il
silene, l’ortica e lo spinacio selvatico, allora sì che le donne potevano
dimostrare di essere anche brave
cuoche. Con verdure e erbe aromatiche, che loro conoscevano per antica saggezza, insaporivano zuppe
e frittate e farcivano ravioli e
tortelloni e frittelle. Che i Bersntolar
li chiamino rufioi o krofen, che dai
Ladins siano conosciuti come ciaroncié o cajoncìe o casunzièi o
cajincì: sempre una sorta di ravioli
sono. Variavano gli ingredienti per
la pasta, che poteva essere a base
di farina o di patate, e variavano
anche i componenti del ripieno, per
il quale si usavano spinaci o erbe
selvatiche, patate o barbabietole,
verze o crauti, e poi ricotta e formaggi di qualunque tipo. Ma la carne, mai: quella era troppo preziosa
per entrare nella farcia dei vari tipi
di ravioli. Lessati in acqua salata, i
rufioi, ciaroncié & Co. venivano infine conditi: sempre con abbondante burro (perché l’olio d’oliva era
pressoché sconosciuto), in tempi più
recenti anche con formaggio grattugiato, presso i Ladini spesso con
semi di papavero.
Se queste varietà di ravioli,
richiusi a triangolo o a mezzaluna,
sono da considerare i piatti principe di Bersntolar e—Ladins, i Zimbarn avevano invece la pult, la polenta. Più degli abitanti della Valle
del Fersina e più dei Ladini arroccati
attorno al Gruppo del Sella, i Cimbri
di Luserna frequentavano, anche attraverso i loro fratelli veneti dell’Altopiano di Asiago, l’untarland,
come loro chiamavano l’Italia. E dalla pianura veneta - o anche dalla
Valsugana - importavano farina di
granoturco in grande quantità.
Come merce di scambio usavano il
formaggio prodotto sui loro ampi
altopiani: il khes, come dicono in
cimbro. Così la pult veniva servita
in primavera con formaggio e cerfogli di prato, in estate con formaggio
e verza, in autunno con formaggio
e fagioli, d’inverno con formaggio
e crauti. I Zimbarn erano tanto avvezzi alla farina di mais, che non ne
volevano (potevano?) farne a meno
neppure nella preparazione dei dolci: infatti la sürchan korschentz era
una focaccia a base di farina di
granoturco che gli abitanti meno
giovani di Luserna ricordano tuttora.
Delle volte, la pult e la korschentz
venivano cucinate anche con le patate. Sebbene introdotte un secolo
dopo il granoturco nelle aree delle
minoranze linguistiche, le patate salvarono gli abitanti del Trentino come anche di altre zone montane dalla pellagra, flagello causato dal
consumo quasi esclusivo di polenta
che colpì molte regioni della pianura italiana. Ma questa è già un’altra
storia.
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