Primi in matematica

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Primi in matematica
Primi in matematica
Federico Rampini
Il secolo cinese, Milano, Mondadori, 2005
L’America si arrende al «made in China» anche sui banchi di scuola. Allarmate dai pessimi risultati dei loro liceali in matematica e nelle materie scientifiche, nelle quali i ragazzi asiatici sono molto più avanti, le autorità scolastiche Usa stanno
importando dalla Cina i programmi di studio e i metodi di insegnamento. La speranza è quella di arrestare un declino che
altrimenti avrà conseguenze sul livello scientifico dell’America e sulla competitività della sua industria.
Lo shock, per gli Stati Uniti, arriva puntualmente ogni anno, all’epoca in cui viene pubblicata la classifica mondiale delle
nazioni in base ai risultati dell’istruzione. E compilata con metodi rigorosi dall’Organizzazione per la cooperazione e lo
sviluppo economico (Ocse), che ha sede a Parigi e riunisce i 30 paesi più industrializzati. La classifica si ottiene dopo aver
sottoposto decine di migliaia di studenti — un’élite selezionata tra i migliori di ogni paese — a test di lettura, matematica e
scienze. Gli esami non premiano l’apprendimento nozionistico, anzi: le prove di matematica misurano la capacità di
applicare i concetti in modo creativo, per risolvere nuovi problemi. Da molti anni, ormai, gli studenti americani si piazzano
agli ultimi posti tra i paesi sviluppati, mentre al vertice della classifica dominano le nazioni asiatiche.
Nel 2004 l’orgoglio degli Stati Uniti ha subìto un colpo più duro del solito. Gli studenti Usa sono scivolati al venticinquesimo posto nella prova di matematica, scendendo ancora di parecchie posizioni, perché per la prima volta sono state
ammesse al test due città della Cina comunista, Hong Kong e Macao. L’Italia non può certo rallegrarsi: nei test dell’Ocse, i
nostri studenti si piazzano dietro gli americani.
Nella prova di matematica gli studenti di Hong Kong, non appena ammessi, hanno subito conquistato il primato
assoluto in classifica. Nelle scienze arriva prima la Finlandia, ma alle sue spalle si piazza un trio asiatico: Giappone, Hong
Kong e Corea. Da notare l’ottima performance di Macao, che meno di dieci anni fa era ancora una colonia portoghese, ma
che ha adottato il sistema di insegnamento cinese: si classifica tra i primi dieci paesi in tutte le prove. La figuraccia degli
studenti americani rappresenta uno shock che a sua volta riapre il dibattito su un problema strategico. Proprio per le carenze
del suo sistema scolastico, l’industria dell’alta tecnologia negli Stati Uniti soffre di una penuria cronica di ingegneri,
matematici, fisici, biologi, ed è costretta a importare talenti dall’estero. «Ma oggi le nostre multinazionali hanno un’altra
opzione» avverte Susan Traiman della Business Roundtable, la Confindustria Usa, «e cioè di spostarsi là dove ci sono i
talenti. Hanno sempre più la tentazione di trasferire le attività di ricerca in paesi come la Cina. » I politecnici cinesi ormai
sfornano 350.000 ingegneri all’anno, e con lo stipendio di un americano la Microsoft o l’Intel possono assumerne quattro.
La paura è tale da costringere a estremi rimedi. Il «Wall Street Journal» ha rivelato che più di 200 licei americani, dal
Massachusetts al New Jersey all’Oklahoma, hanno adottato una soluzione radicale: importare in toto il sistema d’istruzione
cinese, usando gli stessi manuali e gli stessi metodi didattici. Il modello più copiato in assoluto è il programma di matematica
e scienze di Singapore. La ragione è semplice. La piccola città-Stato è etnicamente e culturalmente a maggioranza cinese,
ma da decenni ha adottato un perfetto bilinguismo inglese-cinese, sia nelle scuole che nella vita pubblica. Questo
bilinguismo rende più facile importare di sana pianta i programmi scolastici di Singapore negli tali Uniti, senza bisogno di
ricorrere a complesse traduzioni.
Gli insegnanti americani che usano il metodo «Singapore» anno scoperto che in Cina i programmi scientifici sono meno
estesi ma molto più approfonditi. «Nella scuola media di Singapore» dice il professore di matematica Steve Keating citato
dal Wall Street Journal» («risolvono problemi di algebra che sono difficili perfino per me, e che in America vengono affrontati
solo a fine liceo.» Viene smentito il pregiudizio secondo cui in Asia si inculcano ancora tante nozioni attraverso un metodo di
memorizzazione ripetitiva. Imparare a memoria si usa, ma al tempo stesso gli scolari cinesi ricorrono alla visualizzazione per
comprendere concetti astratti. Per gli Stati Uniti i risultati di questa sperimentazione su larga scala sono già evidenti, e
positivi. Il «made in China» si esporta bene anche in questo campo. I primi test compiuti nei licei americani che utilizzano i
programmi didattici di Singapore rivelano un netto miglioramento dei risultati scolastici. Ma il National Council of Teachers of
Mathematics (Consiglio superiore dei professori di matematica) ritiene che «per raggiungere gli stessi risultati di Singapore
non basta adottare i suoi manuali». Gli esperti sottolineano che il migliore apprendimento della matematica e delle scienze
in Asia è frutto anche di altri fattori: «Una cultura dell’autorità e della disciplina, in cui l’intera comunità sociale, dai docenti ai
genitori, si aspetta dai ragazzi un duro sforzo e un impegno totale nello studio».
Un testimone di questa differenza culturale è l’americano Peter Hessler, che arrivò in Cina nel 1996 nell’ambito del Peace
Corps per insegnare in un liceo di Fuling, nel Sichuan. Della sua esperienza pluriennale, raccontata nel libro River Town,
Hessler ricorda lo shock di fronte ai metodi d’insegnamento cinesi. «Quando ero uno studente in America» racconta Hessler
«ero abituato ad avere insegnanti che cercavano di indorarmi la pillola: mi risparmiavano sempre giudizi severi o critiche
troppo dirette. Ero abituato a vedere gratificato il mio amor proprio, a essere sempre incoraggiato per i miei sforzi anche se
facevo degli errori. Ma i miei amici sino-americani mi avevano avvertito che nelle famiglie e nelle scuole cinesi non si usa
così. Loro stessi, cinesi cresciuti in America, subivano lo shock di frequentare scuole in cui gli insegnanti americani li
trattavano con gentilezza e di essere sottoposti, quando rientravano a casa, ai giudizi severissimi dei genitori. Buduei,
sbagliato. Un sette in pagella contava meno di tutti i dieci e lode nelle altre materie. Buduei. Continua a lavorare. Non hai
ancora combinato niente di buono.» A questo punto, per l’America, il passo successivo è chiaro: importare insegnanti cinesi,
impregnati della dura disciplina confuciana.