Chiesadomestica.net Pillola abortiva per mascherare l`orrore dell

Transcript

Chiesadomestica.net Pillola abortiva per mascherare l`orrore dell
Chiesadomestica.net
Pillola abortiva per mascherare l'orrore dell'aborto 18 novembre 2007
"Meglio l’ospedale di quell’inferno”
Ombre e dolore sulla kill pill (e gli effetti
collaterali si moltiplicano) - di Assuntina
Morresi, Eugenia Roccella
Roma. La RU486, la pillola abortiva, sembra
avere un merito: aver convertito alcuni medici
obiettori. Su Repubblica di ieri, il dottor
Salvatore Garzarelli dell’ospedale San Paolo di
Savona, che ha chiesto alla Asl di sperimentare
il farmaco, proclama: “Aiutare le donne è un mio
dovere”. Nessuno chiede all’intervistato perché
il semplice fatto che l’aborto sia effettuato
con una tecnica diversa faccia crollare
all’improvviso le sue obiezioni “di coscienza”.
La verità è che la classe medica vede, nella
RU486, la propria liberazione (non quella delle
donne) dalla “tristezza infinita” degli aborti.
Con la nuova tecnica non si compromettono
carriere, non si impegna la struttura sanitaria,
non si immobilizza la sala operatoria, non si
candida il proprio reparto a farsi carico della
massa di interventi abortivi. Il coro è univoco:
la RU486 è sicura, semplice, rivoluzionaria per
la salute delle donne.
Eppure, dietro la “kill pill” si addensano
ambiguità irrisolte. Poco si sa, in Italia,
delle quattro giovani donne morte in meno di due
anni in California, tutte per shock settico
dovuto a infezione da Clostridium Sordellii,
contratta immediatamente dopo la
somministrazione della pillola abortiva. Lo ha
confermato lo scorso quattro novembre la Food
and Drug Administration (Fda). Perché solo in
California? Adesso anche la Fda è costretta a
chiederselo, ma la risposta non c’è. E’ forte il
dubbio che queste morti siano state
diagnosticate solamente laddove cercate, e
quanto è successo in California dovrebbe far
riflettere i medici travolti da improvvisa
passione per una tecnica abortiva che, dati alla
mano, appare meno sicura per la salute delle
donne delle attuali procedure disponibili, e
consente enormi profitti a pochi produttori
farmaceutici.
Vediamo con ordine i fatti americani. Nel
settembre 2000 la Fda permette l’aborto chimico,
autorizzando l’uso del Mifepristone. Si
scatenano proteste e contestazioni, che vengono
formalizzate nel 2002 con una durissima
petizione in cui la Fda è accusata di aver
seguito un protocollo accelerato, destinato solo
a farmaci salvavita per la cura dell’Aids, del
cancro e della lebbra, e di aver sottovalutato
gravi complicanze, alcune della quali letali,
sopravvenute durante la sperimentazione. Nel
settembre del 2003 muore a San Francisco Holly
Patterson, 18 anni: uno shock settico
immediatamente successivo all’aborto chimico,
con una dolorosissima agonia di alcune ore. I
genitori iniziano un’azione legale per
l’accertamento delle cause di morte, e delle
effettive responsabilità del farmaco abortivo.
Nel 2004 la battaglia dei Patterson ottiene un
primo, notevole risultato: cambiano le
avvertenze sul foglietto illustrativo. La Fda
comunica che “le nuove informazioni ricordano
agli operatori della salute che infezioni
batteriche serie e sepsi possono avvenire senza
i segni usuali dell’infezione, come febbre e
debolezza”. E’ del 19 luglio 2005 la seconda
comunicazione della Fda, dopo ulteriori
monitoraggi sul farmaco: “La Fda è consapevole
che negli Usa quattro donne sono morte di sepsi
(grave malattia causata da infezione del sangue)
dopo un aborto medico con Mifeprex e
misoprostol. La sepsi è un noto rischio legato a
ogni tipo di aborto. I sintomi in questi casi
non sono stati quelli usuali della sepsi. Non
sappiamo se è l’uso del Mifeprex o misoprostol a
causare queste morti. I pazienti dovrebbero
contattare immediatamente un operatore
professionale della salute se hanno assunto
queste medicine e sviluppato dolore allo stomaco
o disagio, debolezza, nausea, vomito o diarrea,
con o senza febbre, per più di 24 ore dopo aver
ingerito misoprostol”. Pochi giorni dopo, il 26
luglio, appare l’anteprima on line di un
articolo del “The Annals of Pharmacotherapy” a
firma Ralph Miech, Professore di Farmacologia
Molecolare, Fisiologia e Biotecnologie della
Brown Medical School. Sostiene che fin dal 1992
alcuni studi suggeriscono che il Mifepristone
potrebbe predisporre ad infezioni dovute a
contaminazioni batteriche, suscettibili di
progredire in shock settici. E’ un’ipotesi che
merita di essere verificata, soprattutto dopo la
conferma recente della Fda che a causare i
quattro decessi da shock settico sono state
infezioni riconducibili allo stesso batterio, e
senza febbre. I più recenti studi a carico di
singoli gruppi di ricerca nazionali insieme alle
sperimentazioni portate avanti dall’Oms,
evidenziano come la RU486 non sia affatto il
metodo più sicuro e meno doloroso per
interrompere una gravidanza, e anzi sia
necessario un rigoroso follow-up da parte dei
medici.
Soprattutto parlano le donne che lo hanno fatto,
e che hanno riversato sulla Danco centinaia di
segnalazioni spontanee: perdite di sangue molto
abbondanti e di maggior durata rispetto a quelle
registrate per aborto chirurgico, maggior
frequenza di dolori uterini, vomito e diarrea,
ma anche febbre e esantema. In uno studio della
Oms pubblicato nel luglio 2004 si fa presente
che circa il 10 per cento delle donne sottoposte
a sperimentazione si è sottoposta a ulteriori
visite di controllo rispetto a quelle
programmate, e di queste il 15 per cento è
dovuta poi ricorrere al ricovero ospedaliero,
soprattutto per trattamenti di gravi emorragie,
che hanno compreso anche trasfusioni. Il 70 per
cento delle donne oggetto della sperimentazione
ha dichiarato che, nel caso di un ulteriore
aborto medico, sceglierebbe l’ospedale. La
grande maggioranza delle donne che ha assunto la
pillola abortiva, insomma, lo rifarebbe solo se
garantita dalla permanenza in una struttura
sanitaria, come peraltro richiede la 194.