Infanzia, famiglie e Servizi educativi territoriali

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Infanzia, famiglie e Servizi educativi territoriali
Infanzia, famiglie e Servizi educativi territoriali
di Roberto Maurizio1
Introduzione
In Italia i servizi sociali in genere2, ed ovviamente anche quelli dedicati all’infanzia si sono
sviluppati – a differenza di quanto avvenuto in altri paesi europei – relativamente tardi e in
forme istituzionali e organizzative strettamente collegate al funzionamento dello Stato
italiano. Storicamente l’unica opportunità educativa extrafamiliare offerta ai bambini è
sempre stata la sola scuola.
Il comparto dei servizi extrascolastici o di territorio, invece, ha una storia più recente
(concentrata nell’ultimo trentennio del novecento3) ed è caratterizzato da maggiore
disomogeneità territoriale, nonché da uno sviluppo non lineare.
Il risultato è che, tuttora, non si ha idea di quali e quanti servizi territoriali educativi esistano
in Italia a favore dei bambini e, ancor più rilevante, non esiste una classificazione dei
servizi territoriali educativi a favore dell’infanzia, né tantomeno una legge nazionale di
regolamentazione degli stessi. Insomma, una situazione di grande fragilità istituzionale ed
organizzativa.
1. Una breve storia
1977: Ci vuole sempre un punto di partenza
Il punto di partenza è certamente rappresentato dal DPR n. 616 del 1977. Con questo
decreto si avvia il processo di riforma delle autonomie (indicato dalla legge n. 382/75)
contribuendo così a meglio delineare ruoli e rapporti fra Stato, regioni e enti locali. Ai
comuni, singoli o associati, il decreto attribuisce compiti in materia di assistenza sanitaria e
sociale e di assistenza scolastica, delineando così i confini entro cui collocare servizi ed
interventi a favore, anche, dei bambini.
1980: L’Anno internazionale del bambino
L’Anno Internazionale del Bambino del 1980 segna un punto di non ritorno in quanto
grazie alle molteplici iniziative culturali (studi, ricerche, convegni, ecc.)4 è emersa una
serie di interessi intorno all’infanzia che hanno configurato il crescere di un nuovo sistema
di tutela formale interessato a prendersi cura dei suoi bisogni di salute, di cultura, di tempo
libero. Un sistema filtrato e supportato da un’organizzazione familiare, che si presenta
come componente integrata e inscindibile della condizione infantile.
La ricerca condotta dal Censis nel 19805, su un campione statisticamente rappresentativo
di famiglie italiane, offre uno spaccato molto interessante delle tendenze delle famiglie,
all’inizio degli anni ottanta, circa la cura dei figli.
Educatore, ricercatore, collaboratore del Centro Nazionale di documentazione per l’infanzia e
l’adolescenza di Firenze, della Fondazione Zancan di Padova, già Giudice Onorario presso il Tribunale per i
minori del Piemonte. L’articolo è tratto dal volume “Un’estate speciale. Animazione e bisogni sociali nei Centri
estivi per la scuola primaria del Comune di Milano”, Reggio P. e Righetti E. (a cura di), Francoangeli, 2007.
2 Ferrario F., Servizi sociali, in Dal Pra Ponticelli M., Dizionario di servizio sociale, Carocci, Roma 2005, pag. 578.
3 È del 1977, infatti, il libro di Riccardo Massa, L’educazione extrascolastica, La Nuova Italia, Firenze che
anticipa la riflessione su questo segmento di nuovo bisogno sociale.
4 Ministero dell’Interno, Rapporto conclusivo della Commissione Italiana per l’Anno internazione del bambino,
Ministero dell’Interno, Roma 1980.
5 Censis, Bisogni sociali in trasformazione. Sovraccarico materiale e nuove povertà dell’infanzia, Censis,
Roma 1980.
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Il ricorso delle famiglie ad attività private aventi valenza educativa e dirette a sostenere
ed integrare il normale curriculum scolastico emerge come un fenomeno significativo.
Un quarto dei bambini che frequentano le elementari, e poco meno di un terzo di quelli
che frequentano la scuola media, fanno ricorso a queste attività, che privilegiano
l’attività del corpo rispetto all’insegnamento della musica e delle lingue straniere.
Famiglie che ricorrono
all’extrascuola
Materna pubblica
13,3%
Materna privata
20,5%
Elementare pubblica
29,7%
Elementare privata
56,8%
Media pubblica
32,5%
Media privata
46,5%
La tabella bene evidenzia come il ricorso all’extrascuola aumenta con il crescere dell’età
dei bambini raggiungendo il suo picco in coincidenza della scuola media, così come è
evidente la diversità di ricorso all’extrascuola tra le famiglie con figli che frequentano le
scuole pubbliche piuttosto che quelle private. È, infatti, tra queste ultime che si registrano
le percentuali massime di ricorso a servizi extrascolastici per i propri figli.
La ricerca ha sottolineato, però, che al di là di quante famiglie erano in grado di offrire ai
propri figli queste opportunità appariva ancora più rilevante il dato circa la domanda
potenziale, non sempre trasformabile in opportunità effettiva. Mentre, infatti, l’accesso
reale è limitato al 20% dei bambini la domanda potenziale riguardava il 75% dei bambini.
Si tratta di una domanda fortemente centrata sull’idea di offrire attività fisico-sportive
(43%), apprendimento di lingue straniere (17%) ed attività musicali ed artistiche (19%).
1987: Il primo rapporto sull’infanzia in Italia
Nel 1985, presso il Ministero dell’Interno è istituito, per la prima volta in Italia, il Consiglio
Nazionale dei minori, che riprende il percorso di attenzione istituzionale nei confronti
dell’infanzia al punto in cui si era fermato con l’Anno Internazionale del bambino. Due
anni dopo il Consiglio pubblica il primo dei due Rapporti sulla condizione dell’infanzia e
dell’adolescenza in Italia.
Il dato saliente della condizione minorile degli anni ottanta è individuato dal peso sempre
decrescente della famiglia come luogo privilegiato ed esclusivo di socializzazione
primaria, parallelamente alla crescita di altre agenzie di socializzazione. L’indagine
realizzata appositamente sull’infanzia mette in luce come il 99% dei bambini italiani
trascorrano molte ore ogni giorno davanti al televisore e che dai dodici anni in poi
aumenta notevolmente l’ascolto di radio, la frequentazione di cinema ecc. In sostanza, il
Rapporto6 comincia a prefigurare l’idea di un bambino fortemente tecnologico,
fortemente influenzato dai mass-media per ciò che concerne la visione del mondo e
della realtà locale, l’universo di esperienze, conoscenze e valori di riferimento.
Il Rapporto sottolinea come in Italia, nel corso di tutti gli anni ottanta, vi è stata una forte
crescita del tessuto associativo, soprattutto sportivo, con un rilevante impatto socioculturale. Inoltre si evidenzia come cresca la capacità delle regioni di disporre interventi
nel campo dei servizi ricreativi e del tempo libero e per la cultura, seppur con una forte
disomogeneità territoriale (nord e sud del paese).
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Consiglio Nazionale dei Minori, I minori in Italia. Prima relazione del Cnm, FrancoAngeli, Milano 1988.
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Una delle conclusioni a cui il Consiglio perviene è la rilevanza crescente del tempo libero
nella vita dei bambini e dei ragazzi, rispetto al tempo eterodiretto (della scuola e
dell’interazione familiare istituzionalizzata).
1990: Il secondo rapporto sull’infanzia in Italia
Il Secondo Rapporto sulla condizione dei minori in Italia7 non aggiunge elementi di
approfondimento di particolare novità rispetto a quanto contenuto nel lavoro
precedente del Consiglio Nazionale dei minori. In particolare, però, ampio spazio è
dedicato al tema del rapporto tra scuola ed extrascuola, anche alla luce di alcuni
convegni promossi dal Consiglio stesso.
L’esito più importante, del quale il Rapporto da conto, è la messa a fuoco di due ipotesi:
costruire un Patto educativo tra scuola ed extrascuola nonché arrivare ad una legge
quadro nazionale sul sistema formativo integrato che veda la costruzione di legami forti
tra famiglia, scuola, associazionismo ed enti locali.
1996: Si riparla di minori, finalmente
Dal 1991 al 1996 l’attenzione nei confronti dell’infanzia e dell’adolescenza diminuisce in
modo consistente, anche in relazione al fatto che il Consiglio nazionale dei minori non è
più prorogato. Occorre attendere il 1996 per vedere l’infanzia riemergere come tema
oggetto di attenzioni da parte delle istituzioni e dei media. Nuovamente è un Rapporto
sulla condizione dei minori in Italia8 che funge da stimolo. Questa volta il soggetto
promotore dell’iniziativa è la Presidenza del Consiglio ed il soggetto che lo ha curato è il
Centro Nazionale di documentazione per l’infanzia. Si tratta di un contributo scientifico di
elevato valore in quanto funge da sfondo al primo Piano di azione sull’infanzia (messo a
punto nel 1997) mai prodotto da un Governo nel nostro paese.
Il Rapporto ritorna a parlare di attività extrascolastiche dei bambini e propone dei dati
raccolti dalla massima fonte ufficiale del paese, l’Istat. I dati testimoniano di una
tendenza sempre più forte dei bambini a svolgere attività extrascolastiche:
- il 45,5% dei bambini dai 6 ai 13 anni sarebbe coinvolto in attività di tipo sportivo, con una
frequenza ancora maggiore al nord (55%) e decisamente inferiore al sud e nelle isole
(35%), con un tempo settimanale medio di 3 ore e trenta minuti,
- il 11% dei bambini sarebbe coinvolto in attività musicali ed artistiche strutturate, con una
maggiore frequenza questa volta rilevata tra i bambini del centro Italia, e con un tempo
medio settimanale di quasi tre ore,
- il 5% dei bambini sarebbe coinvolto in attività associative, con un tempo medio
settimanale pari a tre ore e dieci minuti (con una netta prevalenza dei bambini del
nord-est, tra i quali si arriva alla percentuale dell’8%),
- il 4% dei bambini sarebbe coinvolto in attività di apprendimento di lingue straniere, con
una nettissima prevalenza dei bambini del nord rispetto a quelli del sud (attività
registrata solo nel 2% dei bambini).
Da annotare che i dati sono stati raccolti in modo da permettere anche di considerare la
variabile della grandezza del paese di residenza: i bambini che vivono nei comuni oltre i
duemila abitanti sembrano maggiormente interessati, rispetto a quelli che vivono in paesi
piccoli, alle attività sportive ed alle attività associative, mentre non si rilevano differenze
per quanto riguarda la frequenza ad attività artistiche e di apprendimento delle lingue.
Consiglio Nazionale dei Minori, Secondo rapporto sulla condizione dei minori in Italia, FrancoAngeli, Milano
1990.
8 Presidenza del Consiglio dei Ministri, Centro nazionale per la tutela dell’infanzia, Diritto di crescere e disagio.
Rapporto 1996 sulla condizione dei minori in Italia, Roma 1996.
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1997: Anno di novità: il primo Piano di azione e la legge 285/97
Il 1997 è un anno fondamentale per le politiche per l’infanzia: non solo è pubblicato un
nuovo rapporto sulla condizione dei minori ma viene predisposto il primo Piano d’azione
del Governo sull’infanzia e l’adolescenza (1997–1998) e viene approvata la legge n.
285/97 “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e
l’adolescenza”.
Il Rapporto9 del 1997 dedica un ampio spazio al tema della costruzione dell’identità, ed al
ruolo delle agenzie e degli ambiti nei quali essa può avvenire. In particolare il Rapporto
distingue tra interventi strutturati, nei quali include l’accoglienza residenziale, i gruppi
formali ed il laboratori territoriali, e gli interventi sperimentali, tra i quali include il lavoro di
strada, gli spazi autogestiti e l’educazione al lavoro.
Il rapporto, inoltre, rilancia l’esigenza che l’ente locale recuperi una propria centralità e
che possa gestire nuovi servizi e programmi nel campo del tempo libero dei bambini che
appare essere sempre più essenziale nei processi di costruzione dell’identità.
Per la prima volta, in un documento istituzionale di questo livello, si entra nel merito degli
interventi e dei servizi extrascolastici, descrivendone gli elementi essenziali.
Sinteticamente si afferma che:
- i laboratori appaiono i servizi più adatti per sviluppare il sistema formativo integrato,
favorendo per la loro stessa natura il rapporto tra scuola ed extrascuola. Essi
consentono, si afferma nel Rapporto, percorsi formali ed informali, sono sede di
incontri intergenerazionali, permettendo ai bambini di soddisfare i loro bisogni di
socializzazione, comunicazione, movimento, autonomia, fare da sé, tensione
all’esplorazione, ecc. Si sottolinea, infine, la mancanza di un censimento di queste
iniziative e servizi che rende difficile cogliere l’essenza e la specificità delle esperienze;
- le ludoteche, al contrario, sono da tempo oggetto di attenzioni da parte
dell’Associazione Italiana delle ludoteche italiane (www.ludobus.it) che certifica
l’esistenza di 215 ludoteche in Italia. La ludoteche, si afferma, è occasione essenziale
per aggregare e permettere di riappropriarsi del gioco, mettendo a disposizione dei
bambini spazi attrezzati, unitamente a giocattoli ed animatori in grado di interagire
proficuamente con bambini ed adulti;
le attività sportive appaiono in forte diffusione tra bambini e ragazzi, ma, si sostiene nel
rapporto, le percentuali di frequenza sono ancora lontane da risultati ottimali.
Dell’esperienza sportiva si sottolinea la valenza aggregativa, seppur la diffusione
geografica nuovamente penalizza i bambini delle regioni meridionali che risultano
meno tesi alla pratica sportiva regolare;
- i soggiorni di vacanza, sono ritenuti una risorsa formativa troppo spesso sottovalutata,
poiché in queste strutture i bambini ed i ragazzi possono trovare risposta ai loro bisogni
di autonomia e socializzazione. Nel rapporto si illustrano gli ultimi dati disponibili, del
1991, che indicano in 3.090 i campeggi estivi esistenti in Italia che rappresentano una
cifra irrisoria rispetto alla domanda di soggiorni dei bambini e delle famiglie.
Il Piano d’azione indicava le priorità su cui intervenire a breve e medio termine. Nel Piano
una parte significativa è occupata dalle politiche preventive, intese sia in una prospettiva
generale (prevenzione del disagio nei minori e promozione dell’agio) sia in una
prospettiva specifica (ad es. prevenzione degli abusi, ecc.).
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Presidenza del Consiglio dei Ministri, Centro nazionale per la tutela dell’infanzia, Un volto o una maschera? I
percorsi di costruzione dell’identità. Rapporto 1997 sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia,
Roma 1997.
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In specifico, nella premessa, si afferma che le istituzioni locali e nazionali devono favorire
l’offerta di una rete di servizi, complementari alla scuola e alla famiglia, volti a migliorare
la qualità del tempo libero dell’infanzia e dell’adolescenza. Questo vuol dire promuovere
programmi di aggregazione e di formazione civica di qualità, fondati su modelli educativi
aperti e rispettosi della ricchezza del patrimonio sociale, culturale e religioso del nostro
paese. Gli orientamenti educativi dovranno corrispondere alla necessità di formare alla
convivenza civile, alla legalità, al rispetto della differenza sessuale, alla salute integrale
della persona, al lavoro creativo e produttivo, alla multiculturalità.
2000: l’ultimo rapporto sull’infanzia (per ora)
Il Rapporto sulla condizione di vita dei bambini del 200010 si limita alla presentazione di
alcuni dati in ordine ai luoghi di ritrovo dei bambini e degli adolescenti – dei quali si
sottolinea la centralità dei condomini e degli oratori fino ai dieci anni e delle sale giochi e
della strada dopo gli undici anni – ed alle attività nel tempo libero, che mettono in luce la
centralità della pratica sportiva, diffusa nell’ordine del 45% in modo continuativo al di
sotto dei 10 anni e nell’ordine del 52% in modo continuativo tra gli 11 ed i 14 anni.
2002: Il terzo Piano d’azione
Il Terzo Piano d’azione 2002-2004, contiene molti riferimenti ai servizi ed interventi
extrascolastici, sia nella parte di analisi della condizione dei bambini sia nella parte delle
proposte di priorità e di linee di intervento.
Nella parte di analisi, infatti, si rammenta l’impegno delle istituzioni per la promozione della
messa in rete dei servizi scolastici ed extrascolastici e delle risorse sul territorio e la riforma
del sistema scolastico nell’ottica del sistema formativo integrato, del quale, però si citano
quali soggetti solamente la scuola – la formazione professionale – il lavoro.
Per quanto riguarda, invece, le linee di priorità affrontano il tema dei servizi educativi
extrascolastici in due capitoli.
Nel secondo, che è dedicato alla tutela del minore nel campo educativo, formativo,
lavorativo e del tempo libero, si ricorda che le politiche educative e sociali devono
riconoscere e valorizzare le azioni e gli interventi per bambini e adolescenti.
Nel quarto, che è dedicato alle collaborazioni educative tra scuole e realtà
extrascolastiche per prevenire il disagio si propongono alcune suggestioni:
- sollecitare le singole realtà scolastiche a promuovere un “patto” tra famiglia e scuola
per l’educazione dei ragazzi;
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incentivare la presenza delle famiglie nelle attività di doposcuola, anche attraverso la
collaborazione delle associazioni familiari;
favorire la creazione di collegamenti formali tra la scuola ed altre agenzie educative
presenti sul territorio per la presa in carico congiunta dei ragazzi che presentano
maggiori difficoltà;
utilizzare lo strumento del “Piano del diritto allo studio”, attualmente poco valorizzato
sia dagli operatori sociali e scolastici sia dagli amministratori locali, come importante
momento di concertazione tra famiglia, scuola ed Ente Locale;
potenziare una rete di servizi educativi a cui la famiglia possa rivolgersi per coinvolgere
i propri figli in attività educative che tutelino e favoriscano un’esperienza positiva del
minore nel tempo fuori dalla famiglia;
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Osservatorio nazionale per l’infanzia, Centro nazionale di
documentazione per l’infanzia e l’adolescenza, Non solo sfruttati o violenti, bambini e adolescenti del 2000,
Relazione sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, Macerata, 2001.
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promuovere nell’ambito degli istituti scolastici, nel rispetto della loro autonomia, azioni
finalizzate all’individuazione tempestiva delle situazioni di disagio, concordando con i
responsabili e i docenti le iniziative idonee per affrontarle.
2. Il bambino e i suoi diritti
Un fattore che ha inciso in modo considerevole nello sviluppo di una prassi e di una
cultura di tutti i servizi a favore dei minori è rappresentato dalla consapevolezza crescente
dei diritti dei bambini, che ha raggiunto il suo apice nel 1989 quando, dopo 10 anni di
elaborazione, le Nazioni Unite adottano la Convenzione sui Diritti del Bambino.
Questa trattato di legislazione umanitaria internazionale rappresenta un fatto senza
precedenti che qualifica la CRC come il documento sui diritti umani più importante e più
condiviso nella storia dell’uomo.
Partendo dai concetti fondamentali della Dichiarazione sui diritti dell’uomo, la CRC,
all’interno dei suoi 54 articoli, specifica e dettaglia, con una modalità interdisciplinare e
olistica, la titolarità di diritto del bambino nel veder corrisposti i propri bisogni di sviluppo.
Ponendo come focus di attenzione e di genesi concettuale i fondamentali principi di
sopravvivenza, sviluppo, protezione e partecipazione, questo trattato articola un discorso
sull’infanzia che evolve ed integra la nozione di bisogno con la nozione di diritto, non
limitando la propria portata alle già esplorate categorie dei diritti politici e civili ma
ampliando la prospettiva alle più recenti categorie di diritti economici e sociali che, nella
situazione di pressione determinata dalle attuali “leggi del mercato”, si pongono come
assoluta priorità per una adeguata e realistica tutela della persona.
La CRC per essere tradotta in realtà empirica, prevede un processo nel quale è
sostanziale la partecipazione del bambino come soggetto sociale che, in accordo con le
sue capacità evolutive, deve poter esprimere il proprio punto di vista e la propria
opinione. Anche la partecipazione delle famiglie e delle comunità vengono intesi e
previsti dalla CRC come ambiti di primaria importanza nella tutela dei diritti del bambino e
nella risposta alle sue necessità di crescita. La Convenzione, infatti, contempla un
processo di cambiamento culturale nei confronti dell’infanzia che deve innescare
meccanismi di partecipazione trasversale capaci di sostenere una reale, condivisa e
sostenibile applicazione dei principi in essa contenuti.
Uno dei più importanti studiosi e cultori italiani di diritto minorile, Alfredo Carlo Moro
recentemente scomparso, in un suo scritto11 sosteneva che solo di recente l’ordinamento
giuridico ha incominciato a sviluppare attenzione ai diritti di personalità del soggetto in
formazione; a riconoscere che il soggetto in età evolutiva non è solo un figlio di famiglia in
proprietà dei genitori ma un’autonoma persona le cui giuste aspettative e attitudini
devono essere riconosciute e rispettate.
Il diritto - secondo Moro - si è così finalmente ripiegato sui bisogni essenziali di crescita
umana del soggetto in formazione e li ha assunti e tradotti in diritti soggettivi perfetti,
come lo sono certi bisogni dell’uomo adulto, da tutelarsi con la stessa puntualità e
intensità.
Un aspetto particolarmente messo in evidenza nelle riflessioni di Moro è che spesso si è
davanti ad una lettura assai riduttiva dei diritti dei soggetti in formazione.
Moro A. C., Il bambino è un cittadino. Conquista di libertà e itinerari formativi: la Convenzione dell’Onu e la
sua attuazione, Mursia, Milano 1991.
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Così, per esempio, il diritto all’istruzione che è ridotto al mero diritto di accesso al sistema
scolastico, o il diritto alla salute al quale si attribuisce il solo significato di prevenzione o
cura di patologie fisiche o il diritto a vedere riconosciuta e rispettata la propria identità
che sovente comporta solamente l’evitare che nell’ambito familiare il ragazzo sia
colonizzato o manipolato o il diritto al riposo e allo svago che si risolve sovente nel
consentire un mero consumo del tempo libero sulla base di bisogni indotti.
In realtà il problema per i bambini è anche di superamento delle varie forme di evasione,
di espulsione dalla scuola e di emarginazione nella stessa scuola così come è anche di
vivere in contesti di bene-essere, spostando l’attenzione dal versante puramente
biologico a un più generale e armonico sviluppo funzionale, fisico e psichico
dell’individuo, dinamicamente integrato nel suo ambiente naturale e sociale.
Diversi approcci al tempo libero giovanile
Tutti gli studi e le ricerche condotte in Italia da venti anni a questa parte hanno
ampiamente sottolineato il fatto che il tempo libero rappresenta una dimensione centrale
nella vita dei bambini e degli adolescenti.
Una delle ultime frontiere nella riflessione e nella ricerca relativa al tempo libero ed ai
servizi educativi extrascolastici è rappresentata dal tema del “tempo non protetto”,
termine con il quale si intende la parte più informale del tempo libero. A questo tema
sono state dedicate, recentemente, una ricerca comparativa europeo ed un convegno
europeo di grande valore.12
L’attenzione al tempo non protetto nasce dalla convinzione che in questi ultimi anni le
espressioni informali del tempo libero delle giovani generazioni si sono ridotte
notevolmente e il modello di crescita sembra volto soprattutto verso un tempo sempre più
tutelato e organizzato a causa dell’immagine di insicurezza che gli adulti hanno verso la
società in generale e l’habitat, ampliata dalle informazioni passate quotidianamente dai
media sui rischi a cui sono sottoposti bambini ed adolescenti al di fuori delle famiglia ed a
causa di un processo di iper-organizzazione del tempo che investe in primo luogo gli
adulti stessi e che si trasmette immancabilmente anche sulle generazioni più giovani.
Parallelamente alla perdita di una grande varietà di esperienze accessibili ai bambini e
agli adolescenti nell’ambiente esterno, si sono aperte nuove frontiere nella socializzazione
“da casa” con maggiori opportunità di impiego del tempo nella fruizione libera della
televisione, di cassette, di giochi da computer.
La conseguenza di questo processo è vista non solo nel fatto che “i bambini di oggi
hanno attraversato il mondo prima di avere dai genitori il permesso di attraversare la
strada”, ma anche in un continuo spostamento nel tempo dell’età dell’indipendenza che
si innalza ad ogni generazione successiva.
Colin Ward ricorda che un bambino di 9 anni e mezzo nel 1990 aveva la stessa libertà di
movimento di un bambino di 7 anni nel 197113. Se si è proceduto con lo stesso ritmo
possiamo ipotizzare che un bambino di 11 anni ha nel 2000 la stessa libertà di movimento
che aveva un bambino di 9 anni e mezzo nel 1990 e questo sicuramente significa una
gestione molto più ristretta del tempo non protetto.
Per assurdo, sta crescendo nel mondo una generazione di bambini abituati a fare da soli,
a vivere la casa in autonomia senza la presenza dei genitori che lavorano, con a
disposizione tutto ciò che loro interessa. Se fino a qualche anno fa il pericolo era nelle
strade ora il pericolo è entrato nelle case. Si pone, quindi, nuovamente il problema di
come far uscire di casa i bambini, come costruire con loro esperienze di crescita e
socialità che non siano solo vincolate all’acquisizione di abilità e capacità specifiche
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Colozzi I. (a cura di), Unprotected time of young people in the Eu, Fondazione Alma Mater, Bologna 2001.
Ward C., Il bambino e la città, crescere in un ambiente urbano, Napoli, L’Ancora del Mediterraneo, 2000.
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(linguistiche, sportive, artistiche, ecc.) ma che permettano di recuperare la dimensione
del gioco libero, della capacità di stare insieme, inventare, creare, discutere, litigare, ecc.
I centri di aggregazione
Uno dei presidi istituzionali deputato alla risposta al bisogno di riempire il tempo libero di
bambini ed adolescenti in modo intelligente è il centro di aggregazione14.
La storia dei Centri di aggregazione è recente ma, in questa sede, è opportuno
sinteticamente riproporla poiché permette di integrare quanto sinora proposto con
elementi interni derivanti dalla processi istituzionali ed organizzativi dei servizi.
Nei primi Progetti giovani, verso la fine degli anni settanta, viene individuata la necessità
di predisporre spazi per fare incontrare i giovani nel loro tempo libero, in modo non
vincolato e in base a interessi personali, a partire da stimoli rappresentati da una o più
attività predisposte da un operatore nell’ambito musicale, artistico, ecologico ecc.
“L’idea è di poli di vita socio culturale fatti crescere non più in istituzioni separate (i servizi
scolastici da quelli culturali, questi da quelli ludico - sportivi e da quelli socio politici ecc.)
ma articolati e modulati su “botteghe” dell’educazione interdipendenti e aperte per
comporre l’immagine di una città educativa nella quale si vengono razionalmente
utilizzando tutti i servizi inerenti al diritto alla cultura di una comunità sociale.”15
In breve tempo si sono delineati due orientamenti: da un lato chi sosteneva la necessità
che i Centri giovanili fossero centrati su un offerta monovalente, con alto livello di
specializzazione, sia rispetto alla strumentazione sia ai destinatari sia agli operatori in essi
impegnati; da un altro lato, vi è stato chi ha sostenuto che i centri giovanili dovevano
caratterizzarsi per un offerta polivalente, permettendo ai giovani di incontrare e
sperimentare diverse opportunità, tematiche, strumentazioni. I Progetti giovani man mano
che si sviluppavano optavano per l’uno o l’altro orientamento con una discreta
prevalenza del secondo.
Con il proseguire delle esperienze, verso la meta degli anni ottanta, cresce negli
operatori, nei ricercatori e negli studiosi, la sensazione che i Progetti giovani non
riuscissero, nonostante molteplici sforzi, a raggiungere in modo serio la fascia degli
adolescenti, che di fatto, in molti casi, era esclusa dall’accesso ai servizi e dalle
opportunità predisposte nell’ambito dei Progetti, in particolare proprio dai Centri giovanili.
Contestualmente ad una riflessione più complessiva circa la necessità di differenziare
l’impianto progettuale, con una specifica attenzione di tipo pedagogico verso gli
adolescenti16, in alcuni Progetti si avvia la sperimentazione di Centri di aggregazione
esclusivamente o prevalentemente rivolti agli adolescenti. Nell’arco di soli pochi anni giungiamo alla fine degli anni ottanta - questa si configura come una vera e propria
inversione di tendenza: laddove esistevano Centri giovanili essi sono chiusi o ridimensionati
nel numero, per lasciare spazio all’apertura di Centri per adolescenti.
Il lavoro di ricerca che offre, per la prima volta, un quadro sufficientemente preciso della
situazione dei Centri di aggregazione in Italia è promosso, nel 2001, dal Centro nazionale
di documentazione ed analisi per l’infanzia e l’adolescenza di Firenze. La ricerca svolta ha
avuto carattere di censimento sui servizi per adolescenti in Italia, in particolare i servizi
nell’ambito socio-assistenziale, animativo-educativo ed informativo-culturale, escludendo
14 Uno dei primi testi ad affrontare questo interrogativo è il volume di E. Butturini, Per un impiego alternativo
del tempo libero, Fondazione Zancan, Padova 1984.
15 Frabboni F., Garagnani W., Guerra L., Il tempo libero, Le Monnier, Firenze 1976.
16 Cfr. AA.VV, E’ possibile un Progetto obiettivo adolescenti?, Fondazione Zancan, Padova 1985 e AA.VV,
Progetto adolescenti. Orientamenti e proposte metodologiche, Ministero dell’Interno, Roma 1986.
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i servizi che rivestono un carattere sanitario, di formazione e di inserimento lavorativo. Ha
risposto all’indagine la quasi totalità dei comuni e degli altri enti pubblici coinvolti: Aziende
USL, Comunità montane, Province, Ipab. Dell’universo esaminato le informazioni raccolte
attengono a 4.097 unità di servizio.17
Più della metà dei servizi per adolescenti si posiziona al Nord, mentre al Centro ed al Sud,
senza grandi differenze, l’entità dei servizi risulta pari ad un quinto dell’insieme. Anche la
distribuzione per regione dei servizi per adolescenti è tutt’altro che omogenea. In termini
assoluti la regione con più servizi per adolescenti è la Lombardia (711), seguita dal Veneto
(558) e, a distanza, da Marche, Calabria e Emilia Romagna, le quali dispongono di un
numero di servizi pari quasi alla metà della prima. Viceversa, la regione dotata di meno
servizi (22) è la Valle d’Aosta il cui territorio comunque è molto più limitato delle regioni
precedenti. Al Centro, dopo le Marche spiccano, benché a distanza, la Toscana (191) ed
il Lazio (170). Tra le regioni del Sud il “primato” spetta alla Calabria che con 335 servizi.
Infine, relativamente alle Isole è evidente, per motivi opposti, la situazione di entrambe: la
Sicilia da una parte, con 196 servizi, dall’altra la Sardegna con 78 servizi, in terz’ultima
posizione per quantità dopo Basilicata e Valle d’Aosta.
Ovviamente questi dati vanno correlati con lo sviluppo territoriale di ciascuna regione,
con il numero dei comuni, con la percentuale degli adolescenti di questa fascia di età
sulla popolazione residente, con i progetti attuati su altre fasce di età, con il numero degli
interventi. Non necessariamente ad un numero esiguo di servizi corrisponde infatti un
numero esiguo di interventi poichè ciascun progetto si può articolare in una o più azioni.
Per quanto attiene le aree di intervento la maggioranza dei servizi rientra nell’ambito
animativo-educativo ed una quota alquanto consistente (31%) nel socio-assistenziale,
mentre l’entità più esigua nell’informativo-culturale. I servizi prevalenti sono, da una parte
il “territoriale”, servizi dislocati sul territorio nei contesti di vita abituali dove si evidenzia
l’opportunità o si valuta necessario l’intervento, come ad esempio l’educazione di strada,
il ludobus ma anche l’assistenza domiciliare, e dall’altra lo “sportello, presidio, ufficio”,
vale a dire un servizio ad accesso individuale ed a fruizione libera dove l’utente si reca
personalmente, come ad esempio i centri di aggregazione ma anche le linee telefoniche
o i siti internet.
Nel considerare le funzioni svolte dall’unità di servizio, indirettamente indicatori delle
motivazioni che hanno portato alla sua istituzione, si rileva che le prioritarie, in piena
coerenza con il peso dell’area di intervento animativo-educativa, risultano essere la
“prevenzione” e la “promozione e partecipazione”.
Analizzando le prestazioni maggiormente erogate nei servizi diversi di prestazioni si rileva
una significativa congruenza rispetto alla finalizzazione degli obiettivi, evidenziati in
precedenza e dunque alle due importanti funzioni intese svolgere, ovvero quella
animativa e quella educativa: il 40% ed oltre dei servizi svolge attività socio-educative,
e/o animative e/o ricreative e ad essi si affianca il 39% di casi che realizza attività di
aggregazione ed il 31% che realizza esperienze di espressione, manualità, creatività.
A fronte del 38% dei servizi che si rivolge ad un bacino di utenza eterogeneo, composto
cioè sia da preadolescenti che adolescenti, del restante 62% dei casi, il 34% è rivolto
invece specificamente ai preadolescenti e il 28% agli adolescenti, quasi a riconoscere
due fasi della vita distinte per diverse esigenze e quindi bisognose di interventi ad hoc.
Una ventata di novità: la legge n. 285/97
Il Rapporto di ricerca è in corso di stampa. Al momento sono disponibili solo alcune anticipazioni nel
fascicolo: Centro nazionale di documentazione e analisi sull’infanzia e l’adolescenza, I servizi per gli
adolescenti. Primi risultati della ricerca, Istituto degli Innocenti, Firenze 2001.
17
9
Il 28 agosto 1997 il Parlamento approva la Legge n. 285 “Disposizioni per la promozione di
diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”, il primo provvedimento legislativo
quadro, nel nostro paese, sulla tutela dell’infanzia e dell’adolescenza.
La legge stabilisce che siano le Regioni, nell’ambito della programmazione regionale, a
definire, sentiti gli enti locali, gli ambiti territoriali d’intervento e procedere al riparto
economico delle risorse al fine di assicurare l’efficienza e l’efficacia degli interventi e la
partecipazione di tutti i soggetti coinvolti. Quali ambiti territoriali d’intervento possono
essere individuati i comuni singoli o associati, le comunità montane e le province.
Gli enti locali compresi negli ambiti territoriali d’intervento, mediante accordi di
programma cui partecipano, in particolare, i provveditorati agli studi (i CSA nel secondo
triennio), le ASL e i centri per la giustizia minorile, approvano piani territoriali di intervento
della durata massima di un triennio, articolati in progetti immediatamente esecutivi,
nonché il relativo piano economico e la prevista copertura finanziaria.
Gli enti locali assicurano la partecipazione delle organizzazioni non lucrative d’utilità
sociale nella definizione dei piani d’intervento.
Le finalità dei progetti sono individuate nel/la:


sostegno alla relazione genitore-figli e nel contrasto della povertà e della violenza;
introduzione di innovazione e sperimentazione di servizi socio-educativi per la prima
infanzia;
sostegno dei bambini e degli adolescenti nei momenti di tempo libero;
promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, per l’esercizio dei diritti civili
fondamentali, per il miglioramento della fruizione dell’ambiente urbano e naturale da
parte, per lo sviluppo del benessere e della qualità della vita dei minori, per la
valorizzazione, nel rispetto di ogni diversità, delle caratteristiche di genere, culturali ed
etniche.
La concretizzazione della legge ha richiesto una mobilitazione generale di energie e di
intelligenze attente alla reale situazione dell’infanzia e dell’adolescenza; ed un’efficace
collaborazione di tutti: istituzioni centrali e locali; istituzioni e privato sociale; strutture e
cittadini.
Il piano territoriale si è configurato, in molti casi, come un insieme di progetti/servizi capaci
di presidiare azioni promozionali, preventive, assistenziali-curative, riabilitative, mettendo in
rete i servizi esistenti e sviluppandone di nuovi, mettendo in rete le singole responsabilità e
sviluppando forme di responsabilità condivisa.
La legge 285/97, perciò, ha rappresentato un’occasione irripetibile per sperimentare un
nuovo metodo di lavoro per promuovere “un’azione non solo riparativa, ma soprattutto
preventiva e promozionale a favore di infanzia e adolescenza nel nostro Paese”18.
La Legge ha scelto “…gli itinerari della crescita, della formazione e della socializzazione
delle persone come luogo di prevenzione del disagio e di rafforzamento dell’identità, di
sviluppo del benessere e della cultura, di misura dell’efficacia politica ed amministrativa
nella gestione dei tempi e degli spazi che abitiamo”19.
La legge 285/97, pur considerato la ridotta dotazione economica a disposizione, ha
creato movimento, entusiasmi e speranze nuove in contesti caratterizzati dalla
stagnazione o dalle residualità delle azioni a sostegno dell’infanzia o nuove prospettive di
sperimentazione e sviluppo laddove da anni si è lavorato a favore di bambini e famiglie
nell’ambito dei servizi educativi, dei servizi sociali e dei servizi culturali.


Centro Nazionale di Documentazione ed Analisi sull’Infanzia e l’Adolescenza, Infanzia e adolescenza. Diritti
e opportunità, 1998, pp. 2.
19 Centro Nazionale…, cit., pp.13.
18
10
La legge 285/97 è vissuta intensamente per sei anni. Nel 2004, pur rimanendo viva come
norma, non è stata più finanziata in quanto lo Stato ha provveduto a modificare in modo
completo il meccanismo di trasferimento dei fondi agli enti locali per le politiche sociali:
non più attraverso il trasferimento di fondi collegati alle specifiche leggi di settore ma un
unico trasferimento annuale collettore di tutti i fondi a disposizione.
In questo modo, salvo qualche raro caso, le regioni non hanno assicurato la continuità
degli investimenti ed i progetti per l’infanzia e l’adolescenza, finanziati dal 1998 al 2004
con la legge 285/97, sono rientrati nel quadro complessivo delle politiche per l’infanzia,
l’adolescenza e la famiglia ed hanno trovato spazio nei Piani sociali di zona. Sono così,
già emerse differenziazioni di orientamenti a livello regionale della L. 328/00 e la
preoccupazione, espressa in molteplici sedi di confronto a livello nazionale, è di
disperdere il patrimonio accumulato con la legge 285/97, riportando l’attenzione per la
promozione dei diritti dell’infanzia ad una situazione precedente alla legge 285/97,
soprattutto per quanto riguarda le forti differenziazioni regionali che allora esistevano in
termini di attenzioni ai bisogni ed ai diritti dell’infanzia.
Nonostante le molte difficoltà incontrate nello sviluppo della legge è parere unanime che
molti degli obiettivi sono stati raggiunti. Vi è stato, infatti, un forte investimento:
- politico e culturale delle istituzioni (impegno sui minori in una prospettiva di lungo
periodo; concertazione istituzionale per coordinamento e coinvolgimento della
comunità locale)
- sulle metodologie delle politiche sociali (dal “progettare per accedere a
finanziamenti” alla logica di piano; valorizzazione dell’esperienza di integrazione
sovracomunale - con l’accesso di molti comuni di piccole dimensioni - e
riconoscimento del ruolo di Enti quali Provincia e Comunità Montana)
- sull’integrazione dei servizi e degli interventi sia fra istituzioni pubbliche diverse che tra
pubblico e privato, anche a livello di figure professionali diverse;
- sul territorio: risorse finanziarie ed umane, servizi, interventi e opportunità per l’infanzia e
l’adolescenza.
Da non scordare, infine, che la legge ha comportato anche un forte impegno di
carattere culturale: l’importante ruolo del Centro Nazionale di documentazione per
l’infanzia e l’adolescenza si è tradotto nella predisposizione di due manuali applicativi, di
documentazione, di costruzione di una banca dati (anche on line) sui progetti ed i Piani
territoriali, nella realizzazione di percorsi formativi nazionali a favore dei responsabili politici
e tecnici, nonché degli operatori coinvolti nei servizi, nella redazione di una rivista e di
molte altre attività. Tutto ciò ha favorito la circolazione di idee positive nei confronti
dell’infanzia e dell’adolescenza e la diffusione di una cultura dei diritti anche per questa
fascia di età.
Grazie a questo lavoro di analisi e monitoraggio è possibile avere informazioni precise su
cosa è stato realmente fatto nel paese, regione per regione e qualche elemento di
analisi di merito sui contenuti dei progetti e degli interventi.
Il Rapporto del Centro nazionale sullo stato di attuazione della legge nel 200320 indicava in
oltre 2.100 i progetti approvati ed attuati negli ambiti ed in circa seicento quelli delle città
riservatarie. Un totale di quasi 2.700 progetti.
Due aspetti importanti dei progetti:
- la classe d’età prevalente dei destinatari è quella compresa tra i 12 e i 14 anni,
Cfr. Centro nazionale di documentazione ed analisi per l’infanzia e l’adolescenza, I progetti nel 2003. Lo
stato di attuazione della legge 285/97, Istituto Innocenti, Firenze 2005.
20
11
l’orizzonte della normalità rappresenta il maggiore spazio di attuazione della L.
285/97 e questo dato è rafforzato dal fatto che è presente in quasi tutti gli ambiti
territoriali e che solo una quota minima dei progetti esecutivi riguarda
esclusivamente minori in situazioni di grave disagio e sofferenza.
Per quanto riguarda le tipologie degli interventi attivati l’ultima analisi dettagliata è stata
condotta nel 2000, ed indicava in 6.826 il numero complessivo di interventi. Le frequenze,
riportate nella tabella sottostante, si riferiscono ad un totale maggiore perché ogni
intervento poteva essere classificato secondo più “tipologie”.
-
Tipologie
Laboratorio
Centro di aggregazione
Servizio di sostegno alla genitorialità
Centro ricreativo
Formazione operatori
Centro educativo diurno
Ludoteca
Affidamento familiare
Campo solare e altri progetti
Assistenza domiciliare
Formazione genitori
Documentazione
Nuovo servizio per l’infanzia
Spazio bambini e bambine
Infanzia e spazio urbano
Informazione
Informazione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza
Ascolto e sostegno degli adolescenti
Mediazione familiare
Sostegno scolastico
Prevenzione del disagio psicologico
Lavoro di strada
Educazione familiare
Ricerca
Microprogetto per la partecipazione
Centro per le famiglie
Ludobus
Consigli comunali dei ragazzi e delle ragazze
Spazio famiglia
...seguono tipologie con meno di 80 interventi
VA
649
530
406
373
347
245
244
220
182
181
169
159
158
151
150
146
133
122
122
121
119
112
91
91
85
83
83
82
82
%
8,2 %
6,7 %
5,2 %
4,7 %
4,4 %
3,1 %
3,1 %
2,8 %
2,3 %
2,3 %
2,1 %
2,0 %
2,0 %
1,9 %
1,9 %
1,9 %
1,7 %
1,5 %
1,5 %
1,5 %
1,5 %
1,4 %
1,2 %
1,2 %
1,1 %
1,1 %
1,1 %
1,0 %
1,0 %
La tabella permette di cogliere la prevalenza degli interventi che fanno riferimento all’art.
6 della L. 285/97, almeno per le prime posizioni. Considerando le tipologie: Laboratorio,
Centro di aggregazione, Centro ricreativo, Centro educativo diurno e Ludoteca si ha una
percentuale complessiva sugli interventi totali di circa il 25%.
La legge 285 ha riconosciuto il ruolo fondamentale del gioco per la crescita e lo sviluppo
di bambini e ragazzi. Quest’indicazione è stata raccolta da una quota significativa di
progetti (oltre il 18% del totale), attraverso la creazione di una molteplicità d’interventi che
richiamano la centralità della dimensione ludica nell’esperienza dell’infanzia e
dell’adolescenza.
12
L’insieme delle tipologie d’intervento possono essere raggruppate in due macro
categorie. Nella prima sono comprese le iniziative che hanno inteso dare spazio al gioco
libero dei bambini e delle bambine, e per questo hanno anche cercato di recuperare la
valenza ludica di luoghi come le strade, le aree verdi, le piazze, i cortili condominiali,
oppure attraverso proposte più strutturate tramite l’apertura di centri ricreativi. Nella
seconda si evidenziano due esperienze ben circoscritte quali i ludobus e le ludoteche.
I progetti di quest’area sono in totale 519, a cui si legano 800 interventi che
rappresentano l’11,7% di tutti quelli catalogati nella banca dati. L’analisi della
distribuzione geografica dei progetti, induce a pensare che si sia “progettato di giocare”
di più nelle regioni del Sud (32,6%) e di meno nelle Isole e nel Nord-Est (13,6% e 11,7%). Le
città riservatarie hanno prestato una diffusa attenzione a questo tema, con 56 progetti e
87 interventi realizzati da 14 dei 15 Comuni.
Se si analizzano i due raggruppamenti di macrotipologie si osserva che sia negli ambiti
territoriali che nelle città riservatarie circa il 60% degli interventi sono riconducibili alla
tipologia A, mentre i rimanenti riguardano la creazione di ludoteche e ludobus (B).
Un altro ambito importante è quello dell’associazionismo, nel quale rientrano i progetti
che hanno inteso promuovere forme di associazionismo e partecipazione tra gli
adolescenti e la cittadinanza in generale, riconducibili agli articoli 6 e 7 della L. 285/97.
Sono progetti che hanno promosso la conoscenza delle esperienze associative presenti
nel territorio, l’informazione circa le opportunità aggregative esistenti, favorito la
conoscenza reciproca tra le associazioni giovanili, come pure azioni che hanno coinvolto
l’associazionismo di tipo educativo, sportivo, ricreativo, ambientale e culturale nel favorire
la partecipazione ed il protagonismo non solo dell’infanzia e dell’adolescenza ma anche
delle famiglie.
Complessivamente i progetti riconducibili a quest’area sono stati 223, di cui 183 elaborati
dagli ambiti territoriali di 16 Regioni e 40 da 9 città riservatarie. Oltre il 26% dei progetti è
stato realizzato negli ambiti territoriali delle regioni di Nord-Ovest, il 23% nel Nord-Est,
mentre Centro e Sud si attestano attorno al 20%, le Isole al 9,3%.
Gli interventi a cui i progetti hanno dato luogo sono 317 di cui 270 per gli ambiti territoriali
e 40 per le città riservatarie. La loro distribuzione nelle diverse aree geografiche, pur se
con percentuali diverse, rispecchia quella dei progetti.
Nell’insieme delle tipologie di intervento possono essere individuati 4 raggruppamenti.
Nel primo sono conteggiate quelle azioni che hanno declinato la partecipazione di
bambini e ragazzi attraverso la promozione di forme associative, iniziative di
aggregazione, creazione di forum, gruppi di riflessione sui diritti civili, su tematiche
ecologiche. Questa tipologia di interventi costituisce il 17% di quelli realizzati dagli ambiti
territoriali e quasi il 40% di quelli delle città riservatarie.
Nel secondo raggruppamento sono compresi interventi che hanno sviluppato la
dimensione partecipativa attraverso forme di conoscenza del territorio sia in senso
architettonico, paesaggistico, che storico-antropologico; conoscenza che è passata
attraverso azioni di mappatura, esplorazione, gioco, avventura, unità didattiche o
conferenze. Sotto questa tipologia sono raccolti il 16,7% degli interventi degli ambiti
territoriali ed il 10% di quelli delle città riservatarie.
La terza area raccoglie il maggior numero di interventi sia negli ambiti territoriali (37%) che
nelle città riservatarie (44%). In quest’insieme sono compresi interventi che hanno dato
luogo prevalentemente a forme di progettazione partecipata per il recupero o la
riqualificazione di aree urbane, aree verdi, spazi condominiali, cortili scolastici, percorsi
sicuri casa-scuola e percorsi ciclo-pedonali.
Infine al quarto raggruppamento fanno riferimento le esperienze di partecipazione per il
governo della città, per la sperimentazione di forme di coinvolgimento dei ragazzi nelle
13
decisioni che riguardano la vita collettiva del loro quartiere e dell’intera comunità. Queste
esperienze si sono realizzate principalmente attraverso la creazione dei Consigli comunali
dei ragazzi o la costituzione di commissioni consiliari. Questa tipologia ha raccolto il 29,3%
degli interventi.
Il terzo ambito interessato è quello dell’aggregazione e socializzazione. I progetti
approvati ed attuati in quest’area concentrano le attenzioni sui centri di aggregazione,
sui laboratori e sull’animazione di strada. La gamma degli obiettivi emersi dalla lettura dei
progetti è molto ampia, racchiusa in una finalità complessiva di miglioramento
dell’adattamento e dell’integrazione sociale e d’offerta d’opportunità per la crescita,
con due obiettivi predominanti: la prevenzione del disagio e la promozione della
socializzazione e dell’aggregazione tra gli adolescenti. E’ evidente nei progetti, la
convinzione che gli adolescenti maggiormente socializzati e con esperienze più
soddisfacenti di aggregazione tra coetanei, siano meno coinvolgibili in situazioni di
devianza o tossicodipendenza o siano maggiormente in grado di fronteggiare il disagio
adolescenziale. In altri termini la socializzazione e l’aggregazione vengono a costituire
due fattori protettivi di portata rilevante. L’idea di fondo è che la socializzazione e
l’aggregazione dovrebbero permettere agli adolescenti di acquisire capacità espressive
e comunicative, liberare le potenzialità inespresse, superare la logica della fruizione
passiva a favore di una maggiore disponibilità a coinvolgersi in azioni di autoproduzione e
autoorganizzazione culturale. Capacità, ritenute necessarie per sperimentarsi nella
possibilità di rappresentarsi e di partecipare in modo attivo alla vita sociale e per
sviluppare senso d’appartenenza alla comunità e il recupero delle proprie radici culturali
e sociali.
I Centri di aggregazione si caratterizzano come una proposta/opportunità dal carattere
multiforme: in essi, infatti, è prevista sovente la possibilità di sviluppare attività fortemente
strutturate e dirette (guidate) e attività a carattere di autogestione, con gli adolescenti
diretti protagonisti delle stesse. Tra le attività previste, si registrano attività quali il gioco, la
festa, la gita ma anche l’attivazione di laboratori d’espressività, musicali, teatrali, di
manipolazione, d’informatica nonché videoteca, biblioteca, ludoteca.
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