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A TEATRO PER STARE BENE LA VENDETTA DELLA REALTÀ Stagione 2010/2011 fino al 12 febbraio - Spazio Fantoni 8 febbraio - ore 20.45 Operetta IL RAMO D’ORO IL PAESE DEI CAMPANELLI Opere dalla collezione della Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone Orari: giovedì, venerdì, sabato 16.00 - 19.00 e in orario di spettacolo per gli spettatori ingresso libero Visita guidata gratuita alla mostra 12 febbraio, a cura di Eva Comuzzi Prenotazioni: tel. 0432 248450 musica di Virgilio Ranzato e Carlo Lombardo direttore d’orchestra Orlando Pulin regia e coreografie di Serge Manguette con Umberto Scida, Elena D’Angelo, Armando Carini 27 gennaio - dalle 9.00 alle 12.00 una produzione: Compagnia Italiana di Operette 10 febbraio - ore 21.00 Teatro& Azalea Promotion Dalla De Gregori Work in progress tour Teatro per la scuola OraDiTeatro Presentazione agli studenti dello spettacolo Donna Rosita nubile Ideazione e progettazione: Annamaria Cecconi 2-5 febbraio - ore 20.45 Prosa Nouveau cirque L’ARCA regia di Julie Lachance consulenza alla realizzazione dello spettacolo e ideazione dei costumi di Pascal Jacob musiche di Denis Gougeon una produzione: L’Arsenal (Montréal) 6 febbraio - ore 20.45 Musica Il “Verdi” a Udine 11 febbraio - ore 20.45 Musica Murray Perahia pianoforte Programma da definire 12 febbraio - ore 20.45 Crossover IL FLAUTO MAGICO SECONDO L’ORCHESTRA DI PIAZZA VITTORIO direzione artistica e musicale di Mario Tronco spettacolo prodotto dal Romaeuropa Festival e Les Nuits de Fourvière/Department du Rhone produzione della tournèe Studio TI MESSA DA REQUIEM Testi a cura di Gianmatteo Pellizzari per soli, coro e orchestra musica di Giuseppe Verdi Orchestra e Coro del Teatro Lirico “Giuseppe Verdi” di Trieste Corrado Rovaris direttore Alessandro Zuppardo maestro del coro Latonia Moore soprano Elena Bocharova mezzosoprano Donwong Shin tenore Simon Lim basso Fondazione Teatro Nuovo Giovanni da Udine Via Trento, 4 - 33100 Udine Tel. 0432 248411 [email protected] - www.teatroudine.it Biglietteria on line: [email protected] www.teatroudine.it www.vivaticket.it Prevendite per gli spettacoli di febbraio dal 24 gennaio © Studio Patrizia Novajra - ph: Attilio Marasco - stampa: Grafiche Filacorda Donna Rosita nubile potrebbe essere definito un Cechov spagnolo. Di Cechov ha infatti l’ambientazione borghese, il piacere nel disegno dei personaggi, l’ironia e la tristezza, ma soprattutto la coscienza del tempo che passa inesorabilmente rivelando quanto la realtà sia diversa dai desideri, dalle illusioni, e insopportabile, e dolorosa, e inesorabilmente tragica. Di spagnolo ha invece, e qui non serve spendere molte parole, lo spirito (oltre che il colore), la caparbietà, l’orgoglio e la durezza… Tre atti. Nel primo Donna Rosita ha vent’anni. È la giovinezza (le Manole ne sono lo specchio fedele) e la poesia. Parla in versi. Il mondo le appare filtrato dall’immaginazione, è quello che la sua immaginazione esige che sia, nient’altro. Nel secondo atto Donna Rosita ha superato la trentina. Le Manole sono scomparse. Al loro posto vi sono delle ragazze sfacciate (le Aiole) e delle zitelle. Donna Rosita sta nel mezzo, tra quello che non può più essere e quello che forse sarà. Anche le zitelle parlano in versi, ma è recitazione la loro, parodia della poesia, sua rappresentazione e melanconica evocazione. Nel terzo atto, Rosita ha quasi cinquant’anni. È sola. La giovinezza e la poesia sono scomparse del tutto. C’è la realtà al loro posto. Dolorosa. Durissima. Soprattutto per chi per anni s’è rifiutato di riconoscerla cullandosi nel sogno di poterla dominare e distruggere con la forza della propria immaginazione, del proprio io lirico. La realtà. E con essa bisogna fare i conti. Donna Rosita non è l’unico personaggio del dramma a vivere in un mondo immaginario. Anche la zia, anche lo zio lo fanno, e forse persino la governante che, di primo acchito, pare incarnare e rappresentare, nella costellazione dei personaggi, il principio di realtà, lo sguardo disincantato sul mondo e sulle cose, l’altro rispetto al falso idillio del mondo borghese. E il risultato è una sconfitta. La vendetta della realtà, perché la salvezza non sta nell’anteporle un mondo di fantasmi e di illusioni, ma nella sua accettazione, accettazione della temporalità e della morte, o meglio: nella reinvenzione di un equilibrio tra il desiderio e la necessità del mondo e delle cose. da mercoledì 26 a sabato 29 gennaio - ore 20.45 domenica 30 gennaio - ore 16.00 DONNA ROSITA NUBILE ovvero Il linguaggio dei fiori Poema granadino del Novecento diviso in vari giardini con scene di canti e ballo di Federico García Lorca adattamento e regia Lluís Pasqual traduzione Elena Clementelli - Newton Compton 1993 scene Ezio Frigerio costumi Franca Squarciapino luci Claudio De Pace musiche Josep Maria Arrizabalaga movimenti coreografici a cura di Montserrat Colomé Pujol una produzione: Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa Personaggi ed interpreti (in ordine alfabetico) Il ragazzo/Signor X Zio Il cugino Seconda Ayola Prima Manola/Seconda Zitella Prima Ayola Donna Rosita Governante Madre delle zitelle Zia Facchino Terza Zitella/Terza Manola Don Martino Prima Zitella/Seconda Manola Andrea Cappone Gian Carlo Dettori Pasquale Di Filippo Camilla Semino Favro Alessandra Gigli Eleonora Giovanardi Andrea Jonasson Giulia Lazzarini Rosalina Neri Franca Nuti Eugenio Olivieri Stella Piccioni Franco Sangermano Sara Zoia Il teatro di García Lorca, come il cinema di Almodóvar, vive di battute pronunciate da donne. Io do ragione ad entrambi, perché sono convinto della superiorità femminile, per intelligenza e per modo di sentire. Lluís Pasqual La vita di una donna, trent’anni della sua vita, si consumano davanti al nostro sguardo. Allo stesso modo, nell’arco di un solo giorno, si consuma l’altra protagonista della narrazione: una rosa mutabilis. Federico García Lorca scrive un poema leggero: lascia che il tempo, come nei flussi narrativi cechoviani, rompa le regole, comprimendosi e dilatandosi. Raccontando agli spettatori sia il corto circuito tra memoria e quotidianità sia, con profondo lirismo, una grande, grande storia d’amore... Promessa a un giovane che, dopo il fidanzamento, lascia la Spagna, Rosita lo attende per vent’anni, fiduciosa che lui tornerà, come le promette in periodiche lettere. Ma gli anni passano, le amiche di Rosita si sposano e hanno bambini, il fidanzato non torna e la giovane appassisce, come la rosa mutabilis che suo zio ama coltivare. L’ovvio verrà alla luce: il fidanzato di Rosita si è sposato in Argentina e non ha avuto cuore di rivelarglielo. Ma forse lei lo sapeva. Un sentimento profondo che si rivela, dunque, un crudele inganno. Una giovinezza soffocata in un piccolo paese della provincia spagnola. Un testo delicatissimo e commovente, legato ai temi classici del teatro di Lorca: la nostalgia e la riflessione sulle occasioni mancate. In scena, diretti da Lluís Pasqual, alcuni tra i più grandi attori di Strehler e del Piccolo Teatro: Gian Carlo Dettori, Andrea Jonasson, Giulia Lazzarini, Rosalina Neri e Franca Nuti. AMORE E NON AMORE Esiste una tragedia palpabile in Donna Rosita: il dramma del silenzio, del non parlare, del non comunicarsi le cose importanti. Tutto è… rose! Lorca ha diviso il testo in scene che chiama “giardini”, intervallati da momenti di canto e ballo. Perché “giardini”? Sono parti differenti l’una dall’altra, come piccole isole, che sembrano scritte da due poeti distinti. Armonizzando stili così diversi, Lorca riesce a parlarci, contemporaneamente, della vita di provincia e della tragedia, intima, di una donna. Lorca capiva che la donna è - almeno io la penso così - più intelligente: si è evoluta lungo la via della razionalità, sempre però preservando quella che oggi chiamiamo intelligenza emotiva. È più forte, è più dotata. Lorca viveva in un mondo di donne e ne percepiva la forza. Perciò i ruoli femminili gli riescono così bene, mentre agli uomini attribuisce parti più limitate. Quel che continua a ripetersi, nelle storie di Lorca, come nelle vite di tutti noi, sono le vicende di amore e non amore. Continua ad aprirsi la ferita dell’assenza di amore, della fedeltà al ricordo: si dice, in Donna Rosita, e forse è una delle battute più incisive «Niente è più vivo di un ricordo, i ricordi ci rendono la vita impossibile». Questo il poeta dà in pasto al pubblico perché ciascuno lo viva sulla propria carne. Lluís Pasqual LORCA, MOLTIPLICATORE DI BELLEZZA Che poeta! Non ho mai visto riunite, come in lui, la grazia e il genio, il cuore alato e la cascata cristallina. Federico García Lorca era lo spirito scialacquatore, l’allegria centrifuga, che raccoglieva in seno e irradiava, come un pianeta, la felicità di vivere. Ingenuo e commediante, cosmico e provinciale, singolare musicista, splendido mimo, timido e superstizioso, raggiante e gentile: era una sorta di riassunto delle età della Spagna, della fioritura popolare; un prodotto arabico-andaluso che illuminava e profumava, come un gelsomino, tutta la scena di quella Spagna, ahimè!, scomparsa. La grande capacità di metafora di García Lorca mi seduceva e mi interessava tutto ciò che scriveva. Dal canto suo, lui mi chiedeva a volte di leggergli le mie ultime poesie e, a metà della lettura, mi interrompeva gridando: «Non continuare, non continuare, ché mi influenzi!». Nel teatro e nel silenzio, nella folla e nel decoro, era un moltiplicatore della bellezza. Non ho mai veduto un tipo con così tanta magia nelle mani. Non ho mai avuto un fratello più allegro di lui. Rideva, cantava, musicava, saltava, inventava, crepitava. Federico ebbe una premonizione della sua morte. Una volta, di ritorno da una tournée teatrale, mi chiamò per raccontarmi un fatto molto strano. Con la troupe de La Barraca, era giunto a un remoto paesino della Castiglia, nelle cui vicinanze aveva accampato per passare la notte. Non riuscendo a dormire, verso l’alba, uscì a fare un giro. Si fermò all’ingresso dell’ampio parco di una vecchia proprietà feudale, dove l’abbandono, l’ora e il freddo rendevano la solitudine ancor più penetrante. Federico si sentì, ad un tratto, oppresso per via di qualcosa di confuso che doveva accadere. Si sedette su un capitello caduto. Un agnellino venne a brucare fra i ruderi e la sua comparsa fu quella di un piccolo angelo di nebbia che, di colpo, rendeva umana la solitudine. All’improvviso apparve un branco di maiali. Erano quattro o cinque bestie scure, maiali neri, selvatici e affamati. Federico assistette allora a una scena raccapricciante: i maiali si avventarono sull’agnello, lo squartarono e divorarono. Questa scena, di sangue e solitudine, scosse Federico a tal punto che ordinò al suo teatro ambulante di proseguire subito il viaggio. Ancora stravolto dall’orrore, Federico mi raccontava questa storia terribile tre mesi prima della Guerra Civile. In seguito compresi, sempre più chiaramente, che quella scena era stata la rappresentazione anticipata della sua morte. L’assassinio di Federico fu per me l’avvenimento più doloroso di un lungo combattimento. La Spagna è sempre stata un campo di gladiatori; una terra con molto sangue. L’arena, con il suo sacrificio e la sua crudele eleganza, ripete l’antica lotta mortale fra l’ombra e la luce. Pablo Neruda