Il costo dei figli: una stima svincolata dal benessere - UniFI

Transcript

Il costo dei figli: una stima svincolata dal benessere - UniFI
Il costo dei figli: una stima svincolata dal benessere
Veronica Polin*
Introduzione
Il calcolo del costo dei figli, ossia dell’onere che le famiglie sostengono per la loro crescita e
educazione, è da tempo oggetto di stima empirica e dibattito teorico tra scienziati sociali, e la
letteratura è ormai molto ricca. Il tema sul costo dei figli è spesso associato ad aspetti demografici: si
suggerisce, infatti, che a maggiori costi per le famiglie dovrebbe corrispondere una minor fecondità.
L’Italia ha il più contenuto tasso di fecondità tra i paesi industrializzati: molte verifiche empiriche
affermano che la presenza di figli significhi, per le coppie italiane, oneri aggiuntivi rilevanti che
possono incidere nelle decisioni di procreazione1.
L’obiettivo di questo lavoro è stimare l’effettivo onere derivante dalla presenza di un figlio
aggiuntivo per le famiglie italiane con caratteristiche socioeconomiche simili e con uguali redditi.
La presente ricerca intende concentrarsi sugli aspetti puramente economici di questo calcolo, ossia
su quegli aspetti che possono avere effetti in termini di spesa per il consumo, non aspirando a fornire
una spiegazione della relazione tra questo onere e le scelte riproduttive. La nostra analisi si differenzia
però dagli studi relativi all’impostazione economica, in quanto non si inserisce nel filone utilitarista
che basa la stima del costo su confronti interpersonali di benessere: la nostra stima monetaria del costo
privato utilizza il complesso di spesa e non richiede alcuna ipotesi sulla struttura delle preferenze
individuali.
Il lavoro si articola come segue: nel primo paragrafo si fornisce una breve sintesi dei principali
approcci che appartengono all’impostazione economica; nel secondo paragrafo viene spiegato
l’approccio alternativo, svincolato dal benessere, adottato in questo lavoro per la stima del costo del
figlio; il terzo paragrafo descrive il database utilizzato e contiene una analisi descrittiva della spesa
per consumi disaggregata per tipologia familiare e per ordine di nascita del figlio; nel quarto paragrafo
si presenta il modello empirico adottato e la relativa procedura di stima, in quello successivo si
presentano i risultati ottenuti; nel sesto paragrafo si confrontano le nostre stime con alcune misure
* Dipartimento di Diritto dell’Economia, Università degli Studi di Verona. E-mail: [email protected]. La ricerca
beneficia del cofinanziamento erogato dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca a favore dei programmi di rilevante
interesse nazionale (COFIN 2000, progetto La bassa fecondità italiana tra costrizioni economiche e cambio di valori, diretto
dal Prof. M. Livi Bacci, Università di Firenze). L’autore ringrazia N. Sartor per la costante e preziosa supervisione.
Ovviamente, l’autore è l’unico responsabile per gli eventuali errori.
1
Per una rassegna relativa alle principali risposte elaborate dagli studiosi circa il motivo del declino della fecondità in Italia si
veda: Dalla Zuanna (1999), De Santis e Livi Bacci (2001).
empiriche relative all’Italia ottenute con metodologie differenti; l’ultimo paragrafo contiene le
principali conclusioni e alcuni spunti per ulteriori approfondimenti.
1. Il costo del figlio: i principali approcci economici
In questo paragrafo si vuole fornire un breve inquadramento teorico dei principali approcci
proposti per ottenere una misura del costo dei figli nell’ambito della impostazione economica.
Un importante filone di analisi riguarda il dibattito metodologico sulla misurazione diretta del
costo del figlio. Molta letteratura recente misura il costo monetario diretto privato dei figli come
quella compensazione di reddito che permetterebbe ad una famiglia con figli di raggiungere lo stesso
livello di benessere2 di una famiglia senza figli, con altre caratteristiche simili ed inserita nello stesso
ambiente economico di riferimento. In base a questo approccio, il calcolo del costo dei figli si
inquadra nel contesto più ampio di costruzione di scale di equivalenza (Blundell, Preston e Walker
1994; Browning 1992; Nelson 1993; Perali 2003), che rappresentano lo strumento utilizzato per
effettuare confronti di benessere3 tra famiglie con diverse caratteristiche demografiche. La scala di
equivalenza è un indice che converte le famiglie in individui identici o equivalenti. Se l’interesse è la
stima del costo del figlio, la scala è un indice del costo della caratteristica “figlio” ottenuto dal
rapporto tra il costo di una coppia con un figlio e una senza, mantenendo prezzi e livelli di benessere
costanti.
Le scale di equivalenza applicate per la stima del costo del figlio sono numerose4 e si distinguono
per il metodo con cui vengono calcolate (Coulter, Cowell e Jenkins 1992). E’ importante sottolineare
che non esiste in letteratura una scala di equivalenza corretta o superiore alle altre in senso assoluto e
che la scelta della scala da applicare non è neutrale, in quanto potrebbe influenzare i risultati delle
stime in termini di ammontare del costo del figlio. Pur non essendoci un consenso unanime su quale
sia la scala più appropriata per questo tipo di analisi, numerosi studi adottano l’approccio
econometrico basato su microdati e stimano empiricamente i diversi coefficienti di equivalenza al
variare del numero di figli a carico5. L’ammontare della compensazione dipende dal modello
utilizzato6. Due sono i principali approcci per la stima delle scale di equivalenza “econometriche”
(Browning 1992, 1443-1446): il primo utilizza modelli uniequazionali che approssimano la
2
Per un’analisi delle problematiche connesse con la definizione del concetto di “benessere familiare”, si veda Nelson (1993).
I confronti interpersonali che utilizzano le scale di equivalenza assumono che il benessere della famiglia sia equamente
distribuito fra i componenti della stessa. Alcuni studi recenti cercano di rimuovere questa ipotesi, si veda, per l’Italia, Caiumi
e Perali (2000).
4
Per un elenco, anche se non esaustivo, dei modelli proposti per la stima delle scale di equivalenza, si veda Buhmann,
Reinwater, Schmaus e Smeeding (1988).
5
Con riferimento all’Italia, si rinvia a De Santis e Righi (1997), Drudi, Filippucci e Rondini (1997), Perali (1999), De Santis
e Maltagliati (2001), Carlucci e Zelli (1999), Bollino e Rossi (1989) e Betti (2000).
3
2
misurazione del benessere della famiglia; il secondo, definito utilitarista, si basa su modelli di
domanda completi derivati dalla teoria del consumatore.
All’interno del primo approccio, gli indicatori indiretti di benessere economico proposti
differiscono tra loro per la particolare componente del paniere di spesa scelta come oggetto di analisi.
Il più noto indicatore indiretto del livello di benessere, proposto da Engel (1865), fa riferimento alla
quota di spesa per alimenti sul totale della spesa compiuta dalla famiglia. Il costo dei figli viene
desunto dall’incremento di spesa che una famiglia deve sostenere per mantenere invariata l’incidenza
della spesa alimentare su quella totale all’aumentare dei suoi componenti. Un altro indicatore,
ampiamente utilizzato in numerosi studi, è quello proposto da Rothbarth (1943)7. Per l’autore, il
benessere economico coincide con il benessere di un adulto che è direttamente collegato al livello di
spesa in “beni per adulti” (es: bevande alcoliche e tabacco). Il costo dei figli è pari alla contrazione che
tali voci di spesa subiscono in presenza di figli8.
Le scale di equivalenza, associate alla stima di sistemi di domanda completi, consentono di
ricostruire la struttura completa delle preferenze e di determinare quanto reddito aggiuntivo è
necessario per preservare il livello di utilità goduto dai membri della famiglia quando il figlio non era
presente. Le stime derivate da questo approccio, a differenza di quelle ottenute con singole equazioni,
contemplano interazioni dirette e incrociate tra prezzi e variabili demografiche9. Le prime metodologie
di calcolo coerenti con la teoria dell’utilità sono quelle di Barten (1964), Gorman (1976), Muellbauer
(1977), Pollak e Wales (1981), Deaton e Muellbauer (1986), Ray (1983) e Lewbel (1985). Si tratta di
modelli che contengono diverse assunzioni circa il modo in cui le variabili demografiche entrano nella
funzione di costo. L’idea di base, suggerita da Barten (1964), è che il costo connesso alla presenza di
figli in famiglia sia assimilabile ad un aumento dei prezzi di tutti i beni, in una percentuale da
calcolare.
Un altro importante filone della letteratura economica amplia il concetto di costo del figlio (Cigno
1991, 1996), che andrebbe calcolato come somma di due tipi di voci: da una parte le spese per
consumi e dall’altra i “costi opportunità”, legati alla presenza del figlio, la cui quantificazione è più
complessa. L’interesse si sposta quindi alle valutazioni indirette del costo stesso ed entra anche più
direttamente nel merito del legame tra costo dei figli e decisioni di fecondità familiare.
6
Analizzando alcuni studi empirici relativi alle scale di equivalenza econometriche, Browning (1992, Tav. 2, pag. 1444) nota
che l’intervallo di variazione della stima del costo del figlio è molto ampio, compreso tra il 12% e il 100% del consumo di un
adulto.
7
Per un confronto tra la metodologia proposta da Engel e quella proposta da Rothbarth, si veda Deaton e Muellbauer (1986).
Per una spiegazione delle condizioni che devono essere soddisfatte affinché i due precedenti metodi siano consistenti con
l’approccio utilitarista, si veda Blackorby e Donaldson (1994).
8
Per una spiegazione approfondita del concetto di separabilità demografica dei consumi dei genitori, si rinvia a Deaton,
Ruiz-Castillo e Thomas (1989), Blackorby e Donaldson (1994).
9
La nascita di un bambino può, ad esempio, alterare il prezzo del bene “divertimento” per una coppia in quanto per passare
una serata al cinema potrebbe dover ricorrere ad un servizio di baby sitting.
3
L’analisi empirica relativa a questo filone dimostra, infatti, che le tradizionali scale di equivalenza
rapportate alle spese per l’acquisto di beni di mercato misurano solo una parte del costo totale (Apps e
Rees 2000; Joshi 1990; Davies e Joshi 1994; Colombino 2000). Il costo opportunità fa in particolare
riferimento al fatto che la presenza di un figlio, oltre agli aspetti puramente economici legati alla
spesa, provoca anche una modificazione nello stile di vita dei genitori, soprattutto delle donne (Joshi
1998), che sovente si traduce in minore tempo libero a disposizione e in mancati guadagni (effettivi e
potenziali) derivanti dalla riduzione dell’attività lavorativa, o addirittura dalla rinuncia ad essa, sia
pure solo temporaneamente, per dedicarsi alla cura del figlio.
2. Stima del costo dei figli: un approccio alternativo svincolato dal benessere
La valutazione del costo di un figlio basata su confronti interfamiliari di benessere, come quella
proposta dall’approccio utilitarista, si presta a numerose critiche riconducibili sostanzialmente a due
aspetti (Nelson 1993, 484-486). Il primo motivo è rappresentato dall’esclusione degli effetti diretti
delle caratteristiche demografiche sulla funzione di utilità: la dimensione del nucleo familiare è
pertanto trattata come parametro esogeno e non come il risultato di una libera scelta10. Tuttavia se una
famiglia decide liberamente di avere un figlio, è presumibile che la sua presenza non apporti solo costi
ma anche accresca il benessere complessivo della famiglia, o, al limite, non lo abbassi11. Il concetto di
costo compensativo non risulta quindi appropriato se non si verifica una diminuzione del benessere
familiare12 (Pollak e Wales 1979; Cigno 1991, 1996; Franco e Sartor 1990; Bradbury 1997). Il
secondo aspetto si basa sulla difficoltà, sia teorica sia pratica, di effettuare comparazioni interpersonali
di benessere (Franco e Sartor 1990; Fisher 1987) e, in particolare, di accettare la validità dell’assioma
di uguaglianza di preferenze (Musgrave 1976): diventa quindi arbitraria la proposta dell’approccio
utilitarista che determina l’entità della compensazione monetaria necessaria a garantire a due famiglie
(aventi caratteristiche diverse, ma uguali preferenze) uno stesso livello di benessere.
Per questi motivi in questo lavoro si ritiene opportuno stimare il costo dei figli prescindendo da
ipotesi sulla struttura delle preferenze. Si propone pertanto un approccio alternativo, in base al quale
l’onere monetario diretto privato è identificato con l’incremento di spesa che un nucleo familiare
registra in seguito alla presenza di un figlio. In pratica si procede alla stima econometrica della spesa
marginale associata ad un discendente in più, a parità di reddito13, sostenuta da famiglie aventi simili
10
Per quanto riguarda i problemi di identificazione delle scale di equivalenza econometriche in presenza di preferenze non
condizionali, si rinvia a Pollack e Wales (1979), Lewbel (1989), Blackorby e Donaldson (1994), Perali (2003).
11
Franco e Sartor (1990, 36): “Quello che certamente si riduce è il rapporto fra reddito e numero delle persone che devono
spartirsi il reddito ma questo come rileva Musgrave (1976) è un indice parziale di benessere”.
12
In recente lavoro Apps e Rees (2001) dimostrano, nell’ambito del filone utilitarista e ipotizzando l’uguaglianza delle
preferenze, che in presenza di diverse abilità lavorative dei genitori la riduzione del benessere, associata alla presenza di un
figlio, non necessariamente si verifica.
13
L’analisi viene pertanto condotta a parità di reddito invece che a parità di utilità. Questa condizione è stata introdotta
perché l’entità complessiva delle entrate familiari è un parametro fondamentale per inquadrare le classi di spesa per figli. Si
4
caratteristiche socioeconomiche. Si ottiene così una misura dell’aumento reale della spesa che le
famiglie si trovano a dover compiere per mantenere il componente aggiuntivo e non del sacrificio
(ossia la diminuzione del benessere economico) che le coppie compiono in termini di compressione
dei propri consumi a favore dei figli, come avviene nell’approccio utilitarista. In altri termini, i costi
che vengono stimati secondo quest’impostazione sono unicamente i reali esborsi aggiuntivi sostenuti
dalla famiglia tenendo presente che una riduzione dei consumi pro-capite può non essere percepita
come un “sacrificio” dalle famiglie che decidono liberamente di avere figli14.
L’incremento di spesa familiare dovuto alla presenza di un figlio è la risultante di un processo di
aggiustamento delle abitudini familiari che modifica la struttura iniziale dei consumi, senza
necessariamente ridurre il livello di benessere (Goedhart, Halberstadt, Kapteyn e Van Praag 1977,
516). Le componenti di spesa su cui può incidere l’inserimento di un nuovo membro nella famiglia
sono molteplici (Browning e Lechène 2003, 12-17)15: alcune voci di spesa familiare subiscono un
ridimensionamento, altre si dilatano, altre ancora sono affrontate per la prima volta, altre non
subiscono variazioni per la presenza di economie di scala familiari.
Questi aspetti di riallocazione del paniere dei consumi in presenza di un figlio sono considerati
dall’approccio utilitarista come cause di riduzione di benessere che richiedono quindi compensazioni;
nell’ambito del nostro schema concettuale, invece, le modificazioni dello stile di vita, ossia l’insieme
dei sacrifici che i genitori fanno modificando la maniera di trascorrere le serate o di andare in vacanza,
non rientrano nella valutazione del costo dei figli. Il paniere utilizzato, quindi, per la nostra misura
empirica del costo effettivo dei figli è dato dalla totalità delle voci di spesa familiare e il confronto tra
famiglie senza figli e famiglie con figli si impernia sull’ammontare e non sulla composizione della
spesa.
3.
Il database
I dati utilizzati in questo lavoro sono quelli dell’indagine sui consumi delle famiglie dell’ISTAT
relativi all’anno 1997. Il campione di tale indagine è composto da più di 22.000 famiglie e da circa
64.000 individui. Le variabili rilevate sono poco meno di 500, delle quali quasi 300 riguardano voci di
tratta, inoltre, di una variabile di riferimento oggettiva e misurabile, che viene adottata anche dal sistema fiscale italiano come
indicatore di capacità contributiva.
14
In un recente lavoro di Breschi e De Santis (2003) vengono presentati i risultati relativi ad un’indagine condotta allo scopo
di indagare il possibile collegamento tra condizione economica e scelte di fecondità. Con riferimento alla “percezione del
costo dei figli”, i due autori affermano (pag. 195): “La stragrande maggioranza delle donne (73% delle rispondenti) non
denuncia alcuna variazione nelle condizioni economiche della famiglia dopo la nascita del primo figlio, e, tra quelle che la
indicano, prevalgono coloro che segnalano un miglioramento (18%) rispetto a coloro che segnalano invece un peggioramento
(9%)…Queste cifre, nel loro insieme, tendono a suggerire che l’arrivo dei figli non costituisce un significativo aggravio dei
costi per la famiglia, e per estensione, inducono alla conclusione che tra le ragioni del calo della fecondità nel nostro paese,
l’aspetto economico gioca un ruolo del tutto trascurabile: altre sarebbero le vere ragioni, e altri devono quindi essere gli
strumenti per un eventuale intervento pubblico in questo campo”.
5
spesa disaggregata: si ricavano così informazioni molto dettagliate sulla struttura dei consumi
differenziata in base alle caratteristiche demografiche e socioeconomiche delle famiglie16.
Il sub-campione selezionato include le tipologie familiari composte da due adulti17, con maschio in
età compresa tra i 18 ed i 55 anni, purché non pensionato, con o senza figli a carico18.
Le famiglie sono suddivise in sottogruppi in ragione di alcune caratteristiche dei componenti
ritenute rilevanti per l’analisi: condizione occupazionale (lavoratore o non lavoratore19), categoria
professionale (lavoratore dipendente o lavoratore autonomo), livello di istruzione (laurea o non
laurea), e numero di figli a carico (0, 1, 2, 3 e più)20. Combinando le diverse caratteristiche sono state
identificate 144 differenti tipologie familiari; la numerosità campionaria delle famiglie selezionate è
pari a 7763 casi. Dal momento che la numerosità campionaria delle singole tipologie familiari risulta
in alcuni casi molto ridotta, si è proceduto con la seguente aggregazione21:
-titolo di studio: nessun laureato, almeno un laureato nella coppia;
-condizione professionale: solo lavoratori dipendenti, solo lavoratori autonomi, nessun lavoratore,
combinazioni professionali miste;
-numero di lavoratori: entrambi lavorano, solo un adulto lavora, nessuno lavora.
Le famiglie senza figli sono 1068, pari al 13,8% del totale; quelle con figli ammontano a 6695
(86,2%). Tra le famiglie con prole il 37,6% ha un solo figlio a carico, il 49,8% ne ha due e infine il
12,5% ha tre o più figli.
La maggior parte delle famiglie ha esclusivamente redditi da lavoro dipendente (68,7%), il 17% ha
uno o entrambi gli adulti che svolgono esclusivamente un lavoro autonomo e il 10,6% delle famiglie
ha adulti che svolgono professioni diverse; ridotta è la percentuale dei nuclei familiari dove entrambi i
componenti della coppia non hanno un lavoro (3,7%). Con riferimento al numero di percettori di
reddito da lavoro, il 48,8% delle coppie ha un solo componente che lavora, mentre il 47,5% ha due
fonti di reddito. Per quanto riguarda il titolo di studio, l’85,4% delle famiglie è composta da coppie
che non hanno conseguito la laurea, mentre nel rimanente 14,6% dei casi è presente almeno un adulto
con laurea.
15
In generale, la nascita di un figlio potrebbe coincidere con una riallocazione delle spese che hanno come riferimento
temporale l’intero ciclo di vita (Pashardes 1991).
16
Per una analisi critica delle limitazioni nell’utilizzo di tale indagine si rinvia a Brandolini (1999).
17
Poiché l’analisi è stata limitata alle coppie, non è possibile dire quale sia il costo del figlio per le altre tipologie familiari. I
dati campionari in ogni caso confermano l’irrilevanza statistica dei nuclei familiari composti da un solo genitore.
18
Le coppie incluse nell’analisi sono quelle senza figli (sia a carico sia non a carico) e quelle in cui sono presenti
esclusivamente figli a carico. Per la distinzione tra figlio a carico e non a carico si adotta il seguente criterio: i figli fanno
parte della famiglia finché sono finanziariamente dipendenti dai genitori. I figli che si trovano nello status di disoccupato
sono pertanto stati considerati a carico.
19
I disoccupati sono stati classificati come persone non attive.
20
Per l’Italia, il numero medio di figli per famiglie con più di due figli è pari a 3,1.
21
La medesima aggregazione è stata utilizzata nella creazione dei regressori. Si veda il quarto paragrafo.
6
Ai fini del calcolo del costo dei figli22, le singole voci di spesa per consumi familiari riportate
dall’ISTAT sono state aggregate, seguendo i principali capitoli di spesa proposti dal questionario
dell’indagine e distinguendo tra componente variabile e componente fissa della spesa totale familiare
per consumi. Con il termine variabile si fa riferimento all’esistenza di uno stretto legame positivo tra
la tipologia di spesa e numero componenti23 o all’esistenza di margini di discrezionalità per alcune
voci di spesa24. Con il termine spesa fissa si fa riferimento alle voci di spesa che presumibilmente sono
caratterizzate dalla presenza di economie di scala e quindi non dovrebbero variare, entro certi limiti,
all’aumentare dei componenti.
In particolare, la spesa variabile mensile familiare risulta composta dalle seguenti voci:
1) spese regolari variabili per l’abitazione principale;
2) spese regolari variabili per le abitazioni secondarie;
3) spese per abbigliamento e calzature;
4) spesa per alimentari e bevande;
5) spesa per articoli e servizi correnti non alimentari;
6) spese sanitarie;
7) alcune spese relative all’acquisto di beni per il tempo libero;
8) spesa per l’acquisto di beni per la cultura;
9) spesa per le vacanze;
10) spesa per l’istruzione;
11) spesa per la collaboratrice domestica/baby-sitter;
12) spesa variabile per mezzi di trasporto;
13) spese relative agli effetti personali non altrove classificate.
La spesa fissa mensile familiare include:
1) spese regolari fisse per l’abitazione principale;
2) spese regolari fisse per le abitazioni secondarie;
3) spesa per l’acquisto di beni durevoli per l’abitazione principale e per le abitazioni secondarie;
4) spesa per l’acquisto di mobili per interno o da giardino, arredi per l’abitazione principale e per le
abitazioni secondarie;
5) spesa per l’acquisto di piccoli apparecchi elettrici ed accessori per la casa (sia principale che
secondarie);
22
Le informazioni rese disponibili dall’indagine non permettono di considerare separatamente le spese specifiche per ciascun
figlio, in quanto le spese sono suddivise in categorie che prescindono da colui che ne beneficia. Solo per alcune voci è
possibile individuare in modo inequivocabile il destinatario.
23
Questa componente determina aumenti di spesa della voce in questione all’aumentare della numerosità familiare.
24
Sono pertanto comprimibili e possono diminuire o cessare in presenza di figli. Ad esempio, le spese per attività ricreative
rappresentano in linea di principio un onere facoltativo, e dunque comprimibile così come le vacanze e i viaggi.
7
6) spese fisse per mezzi di trasporto;
7) spese per l’acquisto di mezzi di comunicazione;
8) alcune spese relative all’acquisto di beni per il tempo libero;
9) alcune spese periodiche ed eccezionali.
La spesa totale comprende tutte le voci di spesa presenti nel questionario ad esclusione della voce
relativa agli affitti imputati per coloro che hanno case di proprietà25. La somma della componente fissa
e di quella variabile non equivale alla spesa totale: si è infatti ritenuto opportuno non classificare
all’interno di queste due componenti né l’acquisto di mezzi di trasporto, né il pagamento della rata per
il rimborso di prestiti26.
Considerando l’insieme delle famiglie selezionate, la spesa totale media mensile per consumi è
pari a 2.185 euro, di cui la maggior parte è dovuta alla componente definita variabile (1.511 euro, pari
al 69,2% della spesa totale), mentre la componente definita fissa ammonta a 550 euro (25,2% della
spesa totale)27.
Il reddito medio mensile familiare28 è pari a 1.714 euro, quello mediano ammonta a 1.550 euro,
infine il reddito modale è pari a 2.065 euro. Oltre il 70% delle famiglie ha entrate totali che rientrano
nel range 1.033-2.066 euro, ma esiste un 10% delle famiglie che vive con un reddito mensile inferiore
a 775 euro29. Per ogni classe di reddito si è calcolata la spesa media mensile variabile: fino a 1.290
euro di reddito le famiglie spendono, in media, di più dei loro guadagni. Questo risultato, in parte
realistico, risente in ogni caso dei problemi di sottostima che caratterizzano nell’indagine ISTAT la
variabile reddito30.
L’ammontare medio della spesa mensile (variabile e fissa) e del reddito, indipendentemente dalla
presenza di figli, è più elevato per i sottoinsiemi di famiglie che hanno almeno un laureato, due
percettori di reddito e con un lavoratore autonomo e uno dipendente.
La presenza di uno o più figli a carico coincide con contenuti decrementi di reddito familiare e
della spesa fissa familiare. Al contrario, la spesa totale e quella variabile crescono all’aumentare della
prole, ma sono presenti economie di scala già dal primo figlio in poi. Avere il primo figlio incrementa,
in media, la spesa mensile variabile di circa 212 euro (+15,9%), il secondo di 57 euro (+3,7) e il terzo
25
La scelta è motivata dall’elevata soggettività che caratterizza la valutazione di questa voce. Si veda Declich e Polin (2002).
Si tratta, infatti, di voci di spesa che presentano una elevata variabilità, sia per l’importo sia per la frequenza, tra le
famiglie. Inoltre l’ultima ha natura finanziaria.
27
Come in precedenza spiegato, la somma di queste due componenti non rappresenta il 100 per cento della spesa totale.
28
L’indagine non riporta il valore puntuale del reddito familiare, ma solo la classe di reddito alla quale ciascuna famiglia
dichiara di appartenere. In questo lavoro ad ogni famiglia è stato attribuito il valore superiore di reddito della classe di
appartenenza. L’ultima classe di reddito riportata dall’ISTAT è aperta, il valore da attribuire al limite superiore di questa
classe è stato ricavato utilizzando l’indagine della Banca d’Italia (2000).
29
Queste famiglie possono essere considerate povere, in quanto il reddito mensile a loro disposizione risulta molto contenuto.
La percentuale, pari al 10,0%, è leggermente inferiore alla stima dell’incidenza della povertà relativa tra le famiglie italiane
nel 1997, fornita dall’ISTAT(1999), pari al 12%.
26
8
45 euro (+2,8%)31. Analizzando i dati disaggregati relativi ai diversi gruppi di famiglie emerge che il
costo del figlio è maggiore quando entrambi i genitori lavorano, almeno uno dei due è laureato e
svolgono lavori diversi.
Con un figlio aggiuntivo aumenta in modo rilevante, all’interno del paniere, il peso delle seguenti
voci di spesa variabile (Tav. 1): alimentari, istruzione, collaboratrice domestica; un aumento più
contenuto si registra per le spese relative all’abitazione principale e secondarie, all’abbigliamento e al
trasporto. A fronte di queste variazioni positive vi sono variazioni negative che interessano le seguenti
componenti: spesa per consumi correnti non alimentari, spesa sanitaria, spesa per la cultura, spesa le
vacanze e per il tempo libero, alcune spese per effetti personali. In mancanza di figli quindi le spese
orientate verso i generi non di prima necessità hanno un peso maggiore nel paniere rispetto alle
famiglie con figli.
Passando ai valori medi (Tav. 1), si nota che essi crescono all’aumentare del numero di figli per
quasi tutte le componenti ad eccezione della spesa per vacanze, che diminuisce in modo continuo, e di
alcune voci che presentano variazioni sia positive che negative. L’incremento percentuale più rilevante
è quello associato all’istruzione, alla collaboratrice domestica/baby-sitter, all’abitazione, agli alimenti
e all’abbigliamento; la contrazione più elevata si ha per quelle voci che presentano ampi margini di
discrezionalità come la spesa per le vacanze e per gli effetti personali. E’ da notare che gli aumenti e le
diminuzioni delle singole voci di spesa dovuti al secondo figlio, sia assoluti che percentuali, sono
decisamente più contenuti del primogenito (ad esempio, la spesa per abbigliamento aumenta del 2,1%
rispetto al 14,3% del primo figlio). Queste più limitate variazioni possono essere dovute, in caso di
aumenti, all’esistenza di economie di scala, mentre le diminuzioni possono essere causate dal venire
meno dei margini di discrezionalità nella spesa.
4. Aspetti metodologici: la stima del modello empirico
In questo paragrafo si illustrano i passaggi seguiti nella scelta del modello empirico da adottare per
la stima del costo del figlio. Le variabili dipendenti utilizzate per questa analisi sono: la spesa variabile
familiare (SPESAVAR), la spesa fissa familiare (SPESAFIS), la spesa totale (data dalla somma della
spesa variabile e della spesa fissa –SPESAT2) e la spesa totale ottenuta dalla somma di tutte le
componenti di spesa presenti nell’indagine ISTAT (SPESATOT).
La scelta delle variabili esplicative del modello è volta ad includere inizialmente varie
caratteristiche economiche e socio-demografiche che possono influire sulla differenziazione del
30
Per una descrizione delle problematiche relative alla variabile reddito rilevata dall’ISTAT, si veda Brandolini (1999), Coli
e Tartamella (2000).
31
A causa del declino del numero di osservazioni le medie relative all’ordine di nascita si limitano al terzo figlio.
9
comportamento di spesa delle famiglie. Si tratta in particolare dummy che svolgono la funzione di
variabili di controllo.
Le variabili indipendenti ritenute rilevanti in questa prima fase sono:
Intervallo di età del maschio (RANGE=1 se il maschio ha un’età anagrafica compresa nell’intervallo
18-35 anni);
Reddito familiare32 (Y);
Abitazione principale di proprietà senza mutuo (CASAPSM=1 se l’abitazione in cui risiede la
famiglia è di proprietà e non viene pagato il mutuo);
Area geografica di residenza33 (NORDOVEST =1 se residente nel Nord-Ovest; NORDEST=1 se
residente nel Nord-Est; CENTRONORD =1 se residente nel Centro-Nord; CENTROSUD =1 se
residente nel Centro-Sud; SUD=1 se residente nel Sud);
Condizione professionale degli adulti (MDIPFNW=1 se maschio lavoratore dipendente e femmina
non attiva; MDIPFDIP=1 se maschio e femmina sono entrambi lavoratori dipendenti; MDIPFAUT=1
se maschio lavoratore dipendente e femmina lavoratrice autonoma; MAUTFNW=1 se maschio
lavoratore autonomo e femmina non attiva; MAUTFDIP=1 se maschio lavoratore autonomo e
femmina lavoratrice dipendente; MAUTFAUT=1 se maschio e femmina sono entrambi lavoratori
autonomi; MNWFNW=1 se maschio e femmina sono entrambi non attivi; MNWFDIP=1 se maschio
non attivo e femmina lavoratrice dipendente; MNWFAUT=1 se maschio non attivo e femmina
lavoratrice autonoma);
Titolo di studio degli adulti (MNLFNL=1 se maschio e femmina non possiedono la laurea, MLFNL=1
se maschio laureato e femmina non laureata, MLFL=1 se maschio e femmina possiedono la laurea,
MNLFL=1 se maschio non laureato e femmina laureata);
Età maschio (ETAM);
Età primo figlio (ETAF1);
Età secondo figlio (ETAF2);
Età terzo figlio (ETAF3);
Età quarto figlio (ETAF4);
Età quinto figlio (ETAF5);
Primo figlio (PRIMO=1 se in famiglia è presente il primo figlio);
Secondo figlio (SECONDO=1 se in famiglia è presente il secondo figlio);
Terzo figlio (TERZO=1 se in famiglia è presente il terzo figlio);
Quarto figlio (QUARTO=1 se in famiglia è presente il quarto figlio);
32
Si veda nota 29 di questo lavoro.
Alcune famiglie presentano valori missing per questa informazione, per non perdere osservazioni questi valori sono stati
ricodificati a zero.
33
10
Quinto figlio (QUINTO=1 se in famiglia è presente il quinto figlio);
Numero figli a carico (NFIGLICA).
L’analisi del costo del figlio è stata pertanto articolata distinguendo in base alle caratteristiche
socio-economiche delle famiglie sopra elencate, in base all’ordine di nascita (che consente di cogliere
la presenza di eventuali economie di scala), all’età del discendente e in base al numero di figli a carico
presenti in famiglia34.
Si adotta per l’analisi econometrica la seguente forma funzionale loglineare35, i cui coefficienti
sono stimati con il metodo OLS:
Ln(Vardip)=ß0+
ß1*Ln(Y)+
(ß2*ETAM+ß3*(ETAM)2+ß4*(ETAM)3)*Ln(Y)+
(ß5*PRIMO*ETAF1+ß6*SECONDO*ETAF2+ ß7*TERZO*ETAF3+
ß8*QUARTO*ETAF4+ ß9*QUINTO*ETAF5)*Ln(Y)+
ß10*RANGE+
ß11*CASAPSM+
ß12*NORDOVEST+ ß13*NORDEST+ ß14*CENTRONORD+ ß15*CENTROSUD+ß16*SUD+
ß17*MNLFNL+ß18*MLFNL+ß19*MNLFL+
ß20*MDIPFNW+ß21*MDIPFDIP+ß22*MDIPFAUT+ß23*MAUTFNW+
ß24*MAUTFDIP+ß25*MAUTFAUT+ß26*MNWFNW+ ß27*MNWFDIP
Questa forma funzionale è stata adottata per tutte le variabili dipendenti; inoltre è stata utilizzata
una variante della precedente regressione mettendo al posto dei regressori relativi all’ordine di nascita
e all’età del figlio, esclusivamente il regressore numero figli a carico (NFIGLICA) sempre moltiplicato
per il reddito.
Il reddito viene moltiplicato per i principali regressori dal momento che è nostro obiettivo ottenere
una stima del costo del figlio confrontando famiglie con medesime risorse economiche.
Per pervenire alle variabili da inserire nella stima finale è stato seguito un criterio iterativo che
prevede l’esclusione delle variabili per le quali il test t non risulti significativo oppure l’aggregazione
di alcune variabili indipendenti sulla base della loro significatività statistica a livello disaggregato. Le
diverse regressioni sono state inoltre sottoposte ad una serie di test econometrici. I test eseguiti sono
34
Il numero massimo di figlia a carico nel campione ISTAT è 5.
Si ricorda che la regressione è stata applicata all’intero universo delle famiglie selezionate, con o senza figli a carico (7763
casi).
35
11
volti a testare la correttezza della specificazione36, ad evidenziare l’eventuale presenza di
eteroschedasticità37 e la possibile presenza di non normalità dell’errore38. Nella scelta si è pertanto
tenuto in conto anche dei risultati di test econometrici eseguiti. Si è proceduto fino ad arrivare ad una
specificazione con tutte le variabili significative e con il maggior numero di test econometrici
superati39.
A questo punto è opportuno sottolineare che, per quanto concerne la variabile dipendente spesa
fissa (SPESAFIS), i regressori relativi alla presenza di uno o più figli a carico (ordine, età e
numerosità) non sono mai risultati significativamente diversi da zero40. Questo risultato, in linea con le
ipotesi adottate in questo lavoro circa la classificazione attuata per le diverse voci di spesa, indica che
un figlio aggiuntivo non determina variazioni significative di spesa per questa componente.
Dal momento che la nostra analisi si focalizza sui comportamenti di spesa delle famiglie in
presenza di prole, d’ora in poi l’attenzione si concentra esclusivamente sull’altra componente, ossia
quella variabile41, per la quale l’analisi econometrica evidenzia l’esistenza di una relazione.
La procedura svolta porta all’esclusione dei seguenti regressori per la variabile dipendente
SPESAVAR: dummy relativa all’intervallo di età del maschio, età del maschio al quadrato ed età del
maschio al cubo42, le varie dummy relative alla ubicazione geografica43, le variabili relative al quarto e
quinto figlio, e infine l’età del figlio per qualunque ordine di nascita44. Sulla base delle prove
effettuate, alcuni regressori sono stati aggregati creando nuove variabili indipendenti con riferimento
alla condizione professionale, al titolo di studio e al numero di percettori di reddito da lavoro.
I nuovi regressori introdotti ottenuti mediante aggregazione sono:
36
Il test utilizzato è quello di Ramsey (1969).
I test utilizzati sono i seguenti: Breusch-Pagan (1979), Cook-Weisberg (1983), e White (1980).
38
Il test utilizzato è quello proposto da D’Agostino, Balanger e D’Agostino (1990) e Royston (1991).
39
I risultati delle stime econometriche ottenute nelle diverse prove effettuate non vengono riportati per ragioni di spazio, ma
sono disponibili su richiesta presso l’autore.
40
Sono invece significativi gli altri regressori considerati: reddito (con segno positivo), area geografica (in particolare le
dummy relative al Centro-Sud e al Sud, entrambe con segno negativo), l’abitazione principale di proprietà non gravata da
mutuo (con segno negativo), alcune dummy relative alla condizione professionale degli adulti (MDIPFNW e MNWFNW,
entrambi con segno negativo) e il titolo di studio (MNLFNL con segno negativo).
41
Oltre alla variabile SPESAFIS, per la quale l’analisi non viene proseguita per i motivi sopra esposti, ci sono anche le
variabili dipendenti SPESAT2 e SPESATOT per le quali i regressori relativi alla presenza di discendenti risultano
significativi. Queste due variabili risentono, per come sono state create, dell’effetto netto derivante dalle regressioni condotte
separatamente per la spesa variabile e la spesa fissa. L’aspetto relativo all’onere del figlio colto da un paniere più completo
(come nel caso di SPESAT2 e SPESATOT), dipende, come visto, esclusivamente dalla componente variabile, risulta quindi
sufficiente considerare la variabile dipendente SPESAVAR.
42
Dalle diverse prove effettuate è emersa, per precisione, sia la possibilità di una relazione lineare che di una relazione cubica
tra spesa variabile ed età del maschio. La scelta definitiva si è basata sul risultato di un F test con ipotesi nulla da testare che i
coefficienti associati ai regressori età del maschio al quadrato ed età del maschio al cubo fossero entrambi uguali a zero.
Questo test non rigetta l’ipotesi nulla a favore di quella alternativa che uno o entrambi siano diversi da zero.
43
Il fatto che il divario territoriale non risulti rilevante nella spiegazione della spesa variabile suscita qualche difficoltà di
interpretazione, probabilmente l’analisi andrebbe condotta per regione, in quanto le ripartizioni geografiche costituiscono
raggruppamenti più eterogenei.
44
Per precisione l’età dei figli risulta non significativa dal terzo figlio in poi, mentre è significativa per i primi due figli in
combinazione con ordine di nascita e reddito. L’inclusione di questo regressore, tuttavia, ci avrebbe impedito di avere
informazioni sul terzo figlio e avrebbe inoltre complicato l’interpretazione dei risultati.
37
12
Condizione professionale degli adulti (SOLODIP=1 se il reddito familiare proviene esclusivamente
da lavoro dipendente; SOLOAUT=1 se il reddito familiare proviene esclusivamente da lavoro
autonomo; SOLONW=1 se entrambi non lavorano; MISTO=1 se il reddito familiare proviene sia da
lavoro dipendente che autonomo);
Numero di percettori di reddito da lavoro: (TUTTILAV=1 se entrambi gli adulti lavorano;
UNLAV=1 se un solo adulto lavora; ZEROLAV=1 se entrambi non lavorano);
Titolo di studio degli adulti (ALUNLAU=1 se almeno un adulto è laureato).
Il modello “finale” da stimare è:
con economie di scala
Ln(SPESAVAR)=ß0+
ß1*Ln(Y)+
ß2*CASAPSM+
ß3*ETAM*Ln(Y)+
(ß4*PRIMO+ß5*SECONDO+ß6*TERZO)*Ln(Y)+
ß7*TUTTILAV+
ß8*SOLODIP+
ß9*ALUNLAU
senza economie di scala
Ln(SPESAVAR)=ß0+
ß1*Ln(Y)+
ß2*CASAPSM+
ß3*ETAM*Ln(Y)+
ß4*NFIGLICA*Ln(Y)+
ß5*TUTTILAV+
ß6*SOLODIP+
ß7*ALUNLAU
5. Principali risultati empirici
Passiamo ora alla presentazione dei risultati ottenuti con il modello descritto (Tav. 2). Tutti i
coefficienti stimati sono significativi e presentano una relazione positiva con la variabile dipendente
(SPESAVAR) ad eccezione del coefficiente associato alla dummy SOLODIP, che ha segno negativo.
13
Tra i regressori, non moltiplicati per il reddito45, notiamo che il coefficiente associato al regressore
entrate familiari ha il valore più elevato (0,402), seguito, anche se con valori nettamente inferiori, dalla
dummy che rileva la presenza di almeno un laureato (0,075). Le dummy relative alla presenza di due
percettori di reddito e alla proprietà dell’abitazione principale senza mutuo hanno un coefficiente di
entità tra loro simile, pari rispettivamente a 0,039 e 0,031. Alla dummy che coglie l’effetto sulla spesa
dovuto alla sola presenza di lavoratori dipendenti in famiglia è associato un coefficiente con segno
negativo, pari a -0,039.
L’analisi econometrica sembra quindi confermare quanto emerso già dai valori medi contabili,
ossia che, a parità di reddito, le famiglie con due fonti di reddito e quelle con almeno un laureato
spendono in media di più. Rilevante è inoltre l’effetto reddito nello spiegare le differenze di spesa. Le
famiglie che percepiscono solo redditi da lavoro dipendente, invece, hanno una spesa media mensile
inferiore.
I regressori associati al livello del reddito sono quelli relativi all’ordine di nascita dei figli (oppure
alla loro numerosità) e all’età dell’adulto di genere maschile e richiedono per la quantificazione del
loro impatto sulla spesa l’utilizzo di un dato importo di reddito46.
Un fattore di differenziazione del comportamento di spesa, particolarmente importante, è costituito
dall’età del maschio: con l’aumentare dell’età le famiglie spendono in media di più, a parità di reddito,
avvalorando l’ipotesi del ciclo vitale nella determinazione del risparmio.
Passando alla valutazione dell’impatto dei figli sulla spesa, l’analisi si differenzia a seconda che si
consideri o meno l’ordine di nascita dei discendenti47. Se analizziamo i risultati della regressione che
non considera il rango di nascita, il coefficiente stimato relativo al regressore numero figli a carico,
significativo e positivo, ci consente di calcolare il costo marginale del figlio in assenza di economie di
scala. Tale onere differisce nell’ammontare a seconda del livello di reddito preso in considerazione.
Per stimare il costo marginale del figlio in presenza di economie di scala sono stati utilizzati come
regressori le dummy relative all’ordine di nascita dei figli. I risultati della regressione mostrano che il
coefficiente associato al figlio decresce all’aumentare del numero dei figli: il primo figlio ha un
coefficiente pari a 0,0072, il secondo 0,0067 e il terzo 0,0043. Tutti i coefficienti associati all’ordine di
nascita sono significativi e positivi. L’andamento sempre decrescente dei coefficienti evidenzia che la
variazione di spesa data da un eventuale secondo o terzo figlio, a parità di reddito, non è proporzionale
a quella data dal primogenito o secondogenito. Come era prevedibile, il figlio aggiuntivo beneficerà di
parte dei beni già acquisiti in precedenza. Questo risultato conferma l’esistenza di economie di scala
per le famiglie con più figli a carico. E’ opportuno ricordare che anche in questo caso l’incremento di
45
In questo caso il coefficiente associato al regressore fornisce una stima dell’elasticità.
In questo caso l’effetto sulla spesa è dato dal prodotto tra il coefficiente associato ad un particolare regressore e il
logaritmo del reddito.
46
14
spesa, sia assoluto che percentuale, che occorre sostenere per i figli è sensibile al livello di reddito
delle famiglie.
Poiché i coefficienti stimati nella regressione non sono di immediata interpretazione economica, si
sono effettuate alcune simulazioni che forniscono una misura in euro dell’importo corrispondente alla
spesa aggiuntiva derivante dalla presenza di un figlio in più (Tav. 3). Le tipologie familiari prese in
considerazione sono quelle maggiormente diffuse, e cioè: coppia composta da donna non laureata non
attiva e maschio non laureato lavoratore dipendente (tipo “1”) e donna non laureata lavoratrice
dipendente e maschio non laureato lavoratore dipendente (tipo “2”). In entrambi i casi il maschio ha
un’età pari a 41 anni48, l’abitazione in cui risiedono è di proprietà e non è gravata da mutuo, sono
senza figli a carico e hanno un reddito mensile pari a 1.714 euro49. Con le diverse simulazioni
effettuate si vuole valutare l’impatto, sia assoluto sia percentuale, sulla spesa variabile della famiglia
“base” derivante da un aumento/diminuzione di reddito, dalla presenza di almeno un laureato, dalla
presenza di un figlio aggiuntivo e dal pagamento del mutuo.
Per la tipologia familiare tipo “1” ma con un figlio in più, l’importo aggiuntivo mensile è pari a
132 euro, se poi i figli sono due l’importo per il secondo figlio ammonta a 136 euro, per il terzo
l’ammontare si riduce a 95 euro. La variazione assoluta è quindi crescente fino al secondo figlio e poi
decresce. In termini percentuali l’incremento della spesa variabile è pari a 11,5% per il primo figlio,
10,6% per il secondo e 6,7% per il terzo. Si tratta di valori decrescenti che evidenziano la presenza di
modeste economie di scala per le famiglie con due figli e più rilevanti per quelle con tre figli. Nel caso
in cui la famiglia avesse un reddito mensile pari a quello mediano (1.550 euro) o pari a quello modale
(2.065 euro), i valori riportati in precedenza, pur mostrando la stessa tendenza generale per quanto
riguarda la presenza di un figlio aggiuntivo, subirebbero i seguenti cambiamenti: il primo figlio
avrebbe un costo mensile stimato pari a 126 euro (+11,4%) con un reddito di 1.550 euro e pari a 144
euro (+11,6) con un reddito di 2.065 euro; il secondo rispettivamente 129 euro (+10,5%) e 149 euro
(+10,8%); infine il terzo 91 euro (+6,7%) e 105 (+6,8%). La presenza di almeno un laureato, sempre
rispetto al caso base, determinerebbe un aumento della spesa, in termini assoluti, per qualsiasi ordine
di nascita considerato, mentre la variazione percentuale della spesa sarebbe la stessa50. Se la famiglia
dovesse pagare mensilmente la rata del mutuo, la spesa aggiuntiva dovuta alla presenza di figli sarebbe
sempre, in termini assoluti, inferiore rispetto al base.
47
Si noti che nelle due diverse regressioni la differenza tra i coefficienti stimati non riferiti al figlio è minima.
L’età media scelta per le simulazioni è pari al valore medio calcolato per questa variabile nell’indagine ISTAT (2000).
49
Il reddito è pari al reddito medio familiare calcolato nell’indagine ISTAT (2000).
50
Questo risultato dipende dalla forma funzionale scelta per il modello empirico. Sulla base del modello adottato
l’incremento che occorre sostenere per i figli è sensibile al livello di reddito delle famiglie: i figli costano di più per le
famiglie più ricche e meno per quelle più povere, l’incremento percentuale del costo del figlio all’aumentare del reddito
cresce ma meno che proporzionalmente.
48
15
La tavola 3 riporta i risultati delle medesime simulazioni svolte anche per la tipologia familiare
tipo “2”. Si nota che le considerazioni appena fatte per la precedente famiglia analizzata, con
riferimento alle diverse ipotesi, sono valide anche in questo caso. E’ interessante comunque
evidenziare che se entrambi gli adulti sono lavoratori dipendenti spendono in media per i figli
aggiuntivi di più, a parità di reddito, rispetto al nucleo familiare in cui solo un genitore lavora; ad
esempio il costo mensile stimato è pari per il primo figlio a 137 euro se i percettori sono due e a 132
euro se è presente un solo percettore.
Ciò che emerge in modo netto dai risultati di queste simulazioni, pur se in qualche modo le misure
calcolate nel nostro lavoro possono essere influenzate dalle scelte fatte e dai dati utilizzati, è il
modesto rilievo, in termini di ammontare assoluto e percentuale, con cui i figli incidono sulla spesa per
consumi delle famiglie. Si tratta di un onere differenziato in base alla tipologia familiare, ma in ogni
caso di entità contenuta. Inoltre questo aggravio economico mensile non aumenta in modo
proporzionale con il numero dei figli.
6. Il costo dei figli in Italia: confronti tra approcci alternativi
Potrebbe essere interessante, prima di concludere questo lavoro, fornire un’indicazione delle
valutazioni che emergono sul costo monetario diretto privato dei figli in Italia in lavori empirici che
adottano per la stima metodologie differenti51.
Gli studi empirici presi in considerazione per il confronto52 sono quelli di De Santis e Maltagliati
(2001) e Perali (1999) che si basano per la stima monetaria del costo privato del figlio su metodologie
di tipo “utilitarista”. Si tratta, come già affermato in precedenza, di un approccio che porta alla stima
di un costo compensativo che consente di mantenere inalterata la struttura iniziale dei consumi (ed il
relativo livello di benessere) anche dopo l’inserimento di un figlio aggiuntivo. Dal punto di vista
teorico, questo costo compensativo differisce da quello stimato in questo lavoro, dove si calcola la
spesa marginale associata ad un discendente in più sostenuta da famiglie di simili caratteristiche socio
economiche e con uguali redditi senza introdurre alcuna ipotesi sulla struttura delle preferenze. Questo
confronto ha quindi come finalità di verificare se questi due diversi approcci danno luogo a stime
molto differenti tra loro.
De Santis e Maltagliati (2001) stimano il costo dei figli di età compresa nell’intervallo 0-18 per il
periodo 1987-1996, applicando il metodo di Ray, Engel e una nuova metodologia, che estende quella
basata sui sistemi completi di domanda53.
51
Per un elenco, anche se non esaustivo, degli studi relativi alla stima del costo privato dei figli in Italia si veda nota 5 di
questo lavoro. Per una stima dei sussidi che le famiglie italiane con discendenti ricevono dallo Stato, si veda Sartor (2003).
52
Entrambi gli studi utilizzano l’indagine campionaria dei consumi periodicamente condotta dall’ISTAT.
53
Questi autori considerano la possibilità che l’aggiunta di un figlio provochi sul profilo di consumo delle famiglie, oltre ad
un effetto impoverimento (tradizionale effetto di costo colto dal coefficiente della scala di equivalenza), anche un effetto stile
16
Perali (1999) stima il costo del figlio (0-18 anni) con le scale di equivalenza di Engel, Rothbarth e
con quelle ottenute mediante un sistema di domanda completo per il periodo 1985-1994, nella sua
analisi considera anche l’età del figlio54 e l’ordine di nascita.
La tavola 4 riporta le stime dei costi privati, marginali e medi, associati alla discendenza, ottenute
nei due lavori considerati e nel presente lavoro e le misure proposte dalla scala di equivalenza ISEE55
(Indicatore della Situazione Economica Equivalente), che da qualche anno rappresenta la base per
l’implementazione di politiche sociali nel nostro paese, e dalla scala di equivalenza dell’OCSE
“modificata”.
I risultati empirici ottenuti nei due lavori considerati variano notevolmente in funzione del metodo
di stima concretamente scelto: l’incremento percentuale della spesa familiare per figlio aggiuntivo
varia da un massimo del 36 per cento (De Santis e Maltagliati) ad un minimo del 4 per cento (Perali).
Confrontando i valori stimati dai due autori con i nostri, si nota, salvo poche eccezioni56, che
l’applicazione delle scale di equivalenza determina una compensazione monetaria per ogni
discendente aggiuntivo che è maggiore del costo effettivo stimato in questo lavoro con un differente
approccio che prescinde dal benessere57.
La differenza nelle stime è spiegata molto probabilmente dal fatto che le famiglie compiono una
compressione dei consumi e/o un cambiamento dei propri consumi all’arrivo del nuovo componente
familiare non indifferente. E’ importante sottolineare che i risultati vanno interpretati alle luce della
premessa che sta alla base dei due diversi approcci. Nell’approccio utilitarista, la diversa struttura dei
consumi familiari viene ritenuta meritevole di compensazione, in quanto si ipotizza che le preferenze
dei due tipi di famiglia siano le stesse e che le diverse scelte siano una conseguenza (negativa)
dell’avere figli. In base al nostro approccio, invece, questo differente “stile di vita” viene considerato
come una caratteristica specifica dei due tipi di famiglia (con o senza figli) frutto di una scelta in linea
con le proprie preferenze e quindi non viene valutato come onere.
di vita. Il calcolo del costo del figlio che tiene conto anche di questo effetto è indicato nella tavola 4 con DM2
(Decomposition Model of Demographic Metamorphosis’s effects).
54
I risultati di entrambi i lavori considerati mostrano che l’incremento della spesa totale necessario per mantenere invariato il
livello di benessere presenta una netta differenziazione quando si considera l’età dei figli (0-18 anni), a differenza di quello
che è emerso nella nostra analisi dove peraltro l’intervallo di età preso in considerazione per i figli a carico è più ampio 0-35
anni.
55
I principali riferimenti legislativi sono: L. 449/97, d.lgs. 109/98, dpcm 221/99, d.lgs. 130/00. Si veda Declich e Polin
(2002) per una descrizione delle caratteristiche della scala di equivalenza ISEE.
56
Il valore ottenuto in questo lavoro per il primo figlio, pari all’11%, è uguale a quello stimato da Perali, sempre per il primo
figlio, con il metodo Rothbarth; per il secondo figlio la stima di Perali pari al 4% (sistema di domanda completo con
economie di scala) è inferiore alla nostra che ammonta al 10%.
57
Un recente lavoro (Ferreira, Buse e Chavas 1998) stima il costo del figlio adottando l’approccio utilitarista ma con
preferenze non condizionali. I coefficienti ottenuti includendo in modo endogeno nel sistema di domanda la scelta di avere
figli, come inizialmente suggerito da Pollak e Wales (1979), sono inferiori rispetto a quelli ottenuti con preferenze
condizionali. Stime più basse del costo del figlio si ottengono anche con l’utilizzo delle scale di equivalenza “soggettive”
(Van Praag 1994).
17
7.
Conclusioni
Il modello empirico adottato in questo lavoro per la misurazione del costo del figlio è il risultato di
un ripensamento delle metodologie di calcolo di questo onere che si basano prevalentemente sulla
stima delle cosiddette scale di equivalenza. Ripensamento che mira ad individuare una valutazione il
più realistica possibile del costo dei figli svincolata da confronti di benessere.
Le stime econometriche ottenute in questo lavoro evidenziano che esiste una relazione positiva tra
spesa per consumi familiari e numero di figli: l’ampliamento del nucleo in seguito alla nascita di un
figlio determina un aumento della spesa differenziato a seconda delle caratteristiche familiari e in base
all’ordine di nascita. Tale aumento, a parità di reddito e di condizione socio-economica, è molto
contenuto per la presenza di rilevanti effetti di ricomposizione della spesa in seguito alla nascita del
figlio. Di tale fenomeno vi è traccia anche nei dati medi, relativi alle quote di spesa, che mostrano, ad
esempio, come a fronte delle spese per istruzione si osservi una flessione delle spese per vacanze.
La presenza di figli non costituisce, in base al nostro approccio, un aggravio economico rilevante
per le famiglie. Tuttavia sarebbe interessante, dati i risultati emersi in questo lavoro, verificare come
varia la spesa, in presenza di figli, nelle famiglie in condizioni disagiate per le quali il reddito
contenuto e la scarsa comprimibilità della spesa al di sotto di un minimo essenziale impediscono
rilevanti effetti di ricomposizione. Lo studio di quest’ultima tipologia consentirebbe di calcolare il
costo “minimo” per un figlio.
18
Riferimenti bibliografici
P. Apps, R. Rees 2000, Household Production, Full Consumption and the Costs of Children, ‹‹IZA
Discussion Paper››, 157, May.
P. Apps, R. Rees 2001, Fertility, Female Labor Supply and Public Policy, ‹‹IZA Discussion Paper››,
409, December.
Banca d’Italia 2000, I bilanci delle famiglie italiane nell’anno 1998, ‹‹Supplementi al Bollettino
Statistico››, 22, Aprile.
A.P. Barten 1964, Family Composition, Prices and Expenditure Patterns, in P.E. Hart, G. Mills, J.K.
Whitaker (a cura di), Econometric Analysis for National Economic Planning, Butterworth,
London, 277-292.
G. Betti 2000, Intertemporal Equivalence Scales and Cost of Children, ‹‹Rivista Internazionale di
Scienze Sociali››, 2, 191-206.
C. Blackorby, D. Donaldson 1994, Measuring the Cost of Children: A Theoretical Framework, in R.
Blundell, I. Preston, I. Walker (a cura di), The Measurement of Household Welfare, Cambridge
University Press, Cambridge, 51-69.
R. Blundell, I. Preston, I. Walker 1994 (a cura di), The Measurement of Household Welfare,
Cambridge University Press, Cambridge.
C.A. Bollino, N. Rossi 1989, Demographic Variables in Demand System and Related Measures of the
Cost of Changing Family Size, ‹‹Giornale degli Economisti e Annali di Economia››, 48, 9-10,
449-465.
B. Bradbury 1997, Family Size and Relative Needs, tesi di PhD.
A. Brandolini 1999, The Distribution of Personal Income in Post-War Italy: Source Description, Data
Quality, and the Time Pattern of Income Inequality, ‹‹Banca d’Italia Temi di discussione››, 350,
Aprile.
M. Breschi, G. De Santis 2003, Fecondità, costrizioni economiche e interventi politici, in M. Breschi,
M. Livi Bacci (a cura di), La bassa fecondità italiana tra costrizione economica e cambio dei
valori. Presentazione delle indagini e dei risultati, Forum, Udine, 189-210.
M. Browning 1992, Children and Household Economic Behaviour, ‹‹Journal of Economic
Literature››, 30, 3, 1434-1475.
M. Browning, V. Lechène 2003, Children and Demand: Direct and Non-Direct Effects, ‹‹Review of
Economics of the Household››, 1, 1-2, 9-31.
B. Buhmann, L. Rainwater, G. Schmaus, T. Smeeding 1988, Equivalence Scales, Well-Being,
Inequality and Poverty: Sensitivity Estimates Across Ten Countries Using the Luxemburg Income
Study (LIS) Database, ‹‹Review of Income and Wealth››, 34, 2, 115-142.
A. Caiumi, F. Perali 2000, Children and Intrahousehold Distribution of Resources: An Estimate of the
Sharing Rule of Italian Households, ‹‹CHILD working papers››, 18.
M. Carlucci, R. Zelli 1999, Expenditure Patterns and Equivalence Scales, ‹‹Ricerche››, 28.
A. Cigno 1991, Economics of the Family, Clarendon Press, Oxford.
A. Cigno 1996, Cost of Children, Parental Decisions, and Family Policy, ‹‹Labour››, 10, 3, 461-474.
A. Coli, F. Tartamella 2000, L’integrazione tra informazioni tratte da fonti diverse in una matrice di
contabilità sociale, ‹‹IRER Collana Sintesi››, 25, 43-76.
19
U. Colombino 2000, The Cost of Children When Children are a Choice, ‹‹Labour››, 14, 1, 79-96.
F.A. Coulter, F.A. Cowell, S.P. Jenkins 1992, Differences in Needs and Assessment of Income
Distributions, ‹‹Bulletin of Economic Research››, 44, 2, 77-124.
G. Dalla Zanna 1999, Letture della bassa fecondità italiana, ‹‹IRER Collana Sintesi››, 14, 27-47.
H. Davies, H. Joshi 1994, The Earnings Forgone by Europe's Mothers, in O. Ekert-Jaffé (a cura di),
Standard of Living and Families: Observation and Analysis, John Libbey Eurotext, Paris, 101-134.
G. De Santis, M. Livi Bacci 2001, Reflections on the Economics of the Fertility Decline in Europe,
relazione presentata alla Conferenza The second demographic transition in Europe, Bad
Herrenalb, Germania, 23-28 giugno.
G. De Santis, M. Maltagliati 2001, Child-Cost Estimates: The Great Leap Forward, relazione
presentata al Workshop La bassa fecondità italiana tra costrizioni economiche e cambio di
valori, Firenze 8-9 novembre.
G. De Santis, A Righi 1997, Il costo dei figli per le famiglie italiane, ‹‹Polis››, 11, 1, 29-49.
A. Deaton, J. Muellbauer 1986, On Measuring Child Costs: With Applications to Poor Countries,
‹‹Journal of Political Economy››, 94, 4, 720-744.
A. Deaton, J. Ruiz-Castillo, D. Thomas 1989, The Influence of Household Composition on Household
Expenditure Patterns: Theory and Spanish Evidence, ‹‹Journal of Political Economy››, 97, 1,
179-200.
C. Declich, V. Polin 2002, Absolute Poverty and the Cost of Living: an Experimental Analysis for
Italian Households, relazione presentata al Workshop Income Distribution and Welfare, Milano
30-31 maggio e 1 giugno.
I. Drudi, C. Filippucci, A. Zacchia Rondinini 1997, L’evoluzione del costo dei figli per tipologia
familiare, ‹‹Polis››, 11, 1, 7-27.
E. Engel 1895, Die Libenskosten Belgischer Arbeiter - Familien Fruher und Jetzt, ‹‹International
Statistical Institute Bulletin››, 9, 1-74.
M.L. Ferreira, R.C. Buse, J.P. Chavas 1998, Is There Bias in Computing Household Equivalence
Scales?, ‹‹Review of Income and Wealth››, 44, 2, 183-198.
F.M. Fisher 1987, Household Equivalence Scale and Interpersonal comparisons, ‹‹Review of
Economic Studies››, 54, 3, 519-524.
D. Franco, N. Sartor 1990, Stato e famiglia - Obiettivi e strumenti del sostegno pubblico dei carichi
familiari, F. Angeli, Milano.
T. Goedhart, V. Halberstadt, V. Kapteyn, B. van Praag 1977, The Poverty Line: Concept and
Measurement, ‹‹The Journal of Human Resources››, 12, 4, 503-520.
W.M. Gorman 1976, Tricks with Utility Function, in M.J. Artis, A.R. Nobay, Essays in Economic
Analysis, Cambridge University Press, Cambridge, 211-243.
Istituto Centrale di Statistica-ISTAT 1999, La povertà in Italia nel 1998, ‹‹Note Rapide››, 4, Roma.
Istituto Centrale di Statistica-ISTAT 2000, Indagine sui consumi delle famiglie, file standard anno
1997, Roma.
H. Joshi 1990, The Cash Opportunity Cost of Childbearing: An Approach to Estimation Using British
Data, ‹‹Population Studies››, 44, 1, 41-60.
H. Joshi 1998, The Opportunity Costs of Childbearing. More than Mothers’ Business, ‹‹Journal of
Population Economics››, 11, 2, 161-183.
20
A. Lewbel 1985, A Unified Approach to Incorporating Demographic or Other Effects into Demand
System, ‹‹Review of Economic Studies››, 52, 1, 1-18.
A. Lewbel 1989, Household Equivalence Scales and Welfare Comparisons, ‹‹Journal of Public
Economics››, 39, 3, 377-391.
J. Muellbauer 1977, Testing the Barten Model of Household Composition Effects and the Cost of
Children, ‹‹Economic Journal››, 87, 347, 460-487.
R.A. Musgrave 1976, ET, OT and SBT, ‹‹Journal of Public Economics››, 6, 1-2, 3-16.
J.N. Nelson 1993, Household Equivalence Scales: Theory Versus Policy?, ‹‹Journal of Labor
Economics››, 2, 3, 471-493.
P. Pashardes 1991, Contemporaneous and Intertemporal Child Costs. Equivalent Expenditure vs.
Equivalent Income Scales, ‹‹Journal of Public Economics››, 45, 2, 191-213.
F. Perali 1999, Stime delle scale di equivalenza utilizzando i bilanci familiari ISTAT 1985-1994,
‹‹Rivista Internazionale di Scienze sociali››, 4, ottobre-dicembre, 481-541.
F. Perali 2003, The Behavioral and Welfare Analysis of Consumption, Kluwer Academic Publisher,
Dordrecht (in corso di pubblicazione).
R.A. Pollak, T.J. Wales 1979, Welfare Comparisons and Equivalence Scales, ‹‹American Economic
Review Papers and Proceedings››, 69, 2, 216-221.
R.A. Pollak, T.J. Wales 1981, Demographic Variables in Demand Analysis, ‹‹Econometrica››, 49, 6,
1533-1551.
R. Ray 1983, Measuring the Cost of Children: An Alternative Approach, ‹‹Journal of Public
Economics››, 22, 1, 89-102.
E. Rothbarth 1943, Note on a Method of Determining Equivalence Income for Families of Different
Composition, Appendix IV, in C. Madge, War-Time Pattern of Saving and Expenditure,
Cambridge University Press, Cambridge.
N. Sartor 2003, I rapporti finanziari tra Stato e famiglia, relazione presentata al Convegno La bassa
fecondità tra costrizioni economiche e cambio di valori, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma,
15-16 maggio.
B. Van Praag 1994, Ordinal and Cardinal Utility: An Integration of the Two Dimensions of the
Welfare Concept, in R. Blundell, I. Preston, I. Walker (a cura di), The Measurement of Household
Welfare, Cambridge University Press, Cambridge, 86-110.
21
Tav. 1 Le diverse componenti della spesa variabile: composizione percentuale, valori medi e variazione percentuale
Composizione percentuale
Ordine di nascita Abitazione
dei figli
principale
Senza figli
1° Figlio
2° Figlio
3° Figlio
Totale
6,3
6,3
6,3
6,6
6,3
Abitazioni Abbigliamento Alimentari e
secondarie
e calzature
bevande
0,1
0,1
0,1
0,1
0,1
10,7
10,9
10,7
10,8
10,9
36,4
38,5
39,0
40,1
38,2
Articoli e servizi
correnti non
alimentari
31,5
29,2
28,5
27,6
29,5
Sanità
Tempo
libero
6,3
5,3
5,1
4,2
5,4
1,4
1,3
1,3
1,2
1,3
Sanità
Tempo
libero
93
96
95
81
96
24
24
27
24
24
Articoli e servizi
correnti non
alimentari
Sanità
Tempo
libero
9,4
1,7
1,0
3,3
-1,0
-14,9
-0,6
10,5
-9,2
Cultura Vacanze Istruzione
1,1
0,9
0,9
0,8
0,9
2,8
2,0
1,9
1,3
2,1
0,5
2,9
3,5
4,5
2,6
Collaboratrice
Altre spese
domestica
Trasporto
personali
baby-sitter
0,3
1,1
1,5
0,5
1,0
1,0
0,6
1,1
0,9
0,5
1,3
1,0
0,5
1,1
1,1
Totale
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Valori medi
Ordine di nascita Abitazione
dei figli
principale
Senza figli
1° Figlio
2° Figlio
3° Figlio
Totale
67
80
84
91
78
Abitazioni Abbigliamento Alimentari e
secondarie
e calzature
bevande
1
2
2
2
2
161
185
188
199
181
435
542
570
607
527
Articoli e servizi
correnti non
alimentari
401
439
446
451
434
Cultura Vacanze Istruzione
14
14
14
13
14
69
53
52
35
55
10
55
66
84
49
Collaboratrice
Altre spese
domestica
Trasporto
personali
baby-sitter
6
23
24
12
20
19
13
22
18
12
22
20
11
20
20
Totale
1.328
1.540
1.597
1.642
1.511
Variazione percentuale
Ordine di nascita Abitazione
dei figli
principale
1° Figlio
2° Figlio
3° Figlio
20,3
5,3
8,1
Abitazioni Abbigliamento Alimentari e
secondarie
e calzature
bevande
66,3
10,5
11,0
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT (2000).
14,3
2,1
5,6
24,5
5,2
6,5
Cultura Vacanze Istruzione
0,6
0,7
-5,7
-23,2
-2,4
-32,5
455,2
20,0
27,6
Collaboratrice
Altre spese
domestica
Trasporto
personali
baby-sitter
112,8
8,4
-8,7
-14,9
9,8
2,2
-21,4
-7,3
11,3
Totale
15,9
3,7
2,8
Tav. 2 Risultati regressioni
a) con economie di scala
Regressori
Coefficienti
t
P>|t|
LVSREDD
CASAPSM
ETAMY
PRIMOY
SECONDOY
TERZOY
TUTTILAV
SOLODIP
ALUNLAU
CONST
0,4024
0,0310
0,0003
0,0072
0,0067
0,0043
0,0390
-0,0390
0,0752
8,3820
28,54
2,72
6,04
6,19
7,90
3,50
3,02
-3,34
4,64
42,01
0,000
0,006
0,000
0,000
0,000
0,000
0,003
0,001
0,000
0,000
b) senza economie di scala
Regressori
Coefficienti
t
P>|t|
LVSREDD
CASAPSM
ETAMY
NFIGLIY
TUTTILAV
SOLODIP
ALUNLAU
CONST
0,4043
0,0317
0,0003
0,0059
0,0377
-0,0386
0,0748
8,3676
28,70
2,78
6,24
13,84
2,92
-3,30
4,61
41,92
0,000
0,005
0,000
0,000
0,003
0,001
0,000
0,000
Simulazioni
Simulazioni
Tav. 3
Simulazioni del costo marginale del figlio per alcune tipologie familiari
Tipologie familiari:
tipo 1*
tipo 1 con reddito familiare pari a 1.550 euro
tipo 1 con reddito familiare pari a 2.065 euro
tipo 1 con almeno un laureato
tipo 1 senza casa di proprietà
tipo 2**
tipo 2 con reddito familiare pari a 1.550 euro
tipo 2 con reddito familiare pari a 2.065 euro
tipo 2 con almeno un laureato
tipo 2 senza casa di proprietà
Spesa variabile mensile
Euro
Senza figli
1 Figlio
2 Figli
1.148
1.280
1.416
1.101
1.226
1.356
1.241
1.385
1.534
1.238
1.380
1.527
1.113
1.241
1.373
1.194
1.145
1.290
1.287
1.157
1.331
1.275
1.440
1.435
1.290
1.472
1.410
1.595
1.587
1.427
Costo marginale
3 Figli
1.511
1.446
1.639
1.629
1.465
1.571
1.504
1.704
1.694
1.523
1° Figlio
132
126
144
142
128
137
131
150
148
133
Euro
2° Figlio
136
129
149
147
132
3° Figlio
95
91
105
103
92
141
135
155
152
137
99
94
109
107
96
* Tipo 1: coppia di non laureati con casa di proprietà non gravata da mutuo donna non attiva e maschio lavoratore dipendente di 41 anni con reddito familiari pari a 1.714 euro.
** Tipo 2: coppia di lavoratori dipendenti non laureati con casa di proprietà non gravata da mutuo con maschio di età 41 anni con reddito familiari pari a 1.714 euro.
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT (2000).
1° Figlio
11,5
11,4
11,6
11,5
11,5
11,5
11,4
11,6
11,5
11,5
Percentuale
2° Figlio 3° Figlio
10,6
6,7
10,5
6,7
10,8
6,8
10,6
6,7
10,6
6,7
10,6
10,5
10,8
10,6
10,6
6,7
6,7
6,8
6,7
6,7
Tav. 4
Aumento percentuale della spesa familiare per figlio aggiuntivo
COSTO MARGINALE
COSTO MEDIO
Autori
Dati
Metodologia utilizzata
1° Figlio
2° Figlio
3° Figlio
19
16
14
19
12
4
11
10
11
10
9
11
Engel
18
15
13
18
versione con economie di scala
11*
10*
6*
versione senza economie di scala
9*
9*
9*
DM2
24
19
16
24
Ray
20
17
14
20
Engel
36
26
21
36
OCSE
MODIFICATA
(4)
20
17
14
20
ISEE (5)
30
21
16
27
sistema di domanda completo
senza economie di scala
sistema di domanda completo con
ISTAT
Perali (1999) (1)
economie di scala
(1985-1994)
Rothbarth
Polin (2003) (2)
De Santis e
Maltagliati
(2001) (3)
ISTAT
(1997)
ISTAT
(1987-1996)
(1) Variabile di riferimento: spesa totale media mensile di una coppia senza figli.
(2) Variabile di riferimento: spesa variabile media mensile di tutte le coppie con o senza figli.
(3) Variabile di riferimento: spesa totale media mensile di una coppia senza figli di reddito medio con donna occupata, con basso livello di istruzione e di età media 40 anni.
(4) Variabile di riferimento: spesa o reddito.
(5) Variabile di riferimento: combinazione lineare reddito e patrimonio.
* Valore ottenuto moltiplicando il coefficiente stimato (Tav. 2) per il logaritmo naturale del valore medio del reddito ISTAT (2000).