Sofferenza e malattia nelle religioni monoteiste

Transcript

Sofferenza e malattia nelle religioni monoteiste
Sofferenza e malattia nelle religioni monoteiste
Nell’ebraismo spesso il dolore viene compreso e accettato come punizione che Dio infligge all’uomo
per le azioni ingiuste compiute dall’uomo nei confronti di altri uomini o per una ribellione a Dio. In
altri casi, quando è il giusto a soffrire, la sofferenza viene sentita come un mezzo, per il giusto, di
salvare il gruppo. Nel primo caso la sofferenza è castigo, nell’altro un mezzo di redenzione. Solo
raramente la Bibbia ebraica comprende la sofferenza come un’assurdità ingiustificata e ingiustificabile.
Nel cristianesimo la sofferenza e vista in relazione alla passione e alla morte in croce dell’uomo di
Nazaret. E per dare un senso a questa morte violenta gli scrittori neotestamentari parlano della sua
morte come di un atto d’amore che redime gli uomini. E le fatiche e le sofferenze degli uomini
vengono intese come partecipazione alle sofferenze dell’uomo crocifisso. Pertanto la morte di Gesù e
le sofferenze degli uomini vengono spesso intese come parte di un progetto che Dio ha per l’umanità.
Ma per fortuna qualche pagina del Nuovo Testamento dà una spiegazione diversa della sofferenza e
della morte.
Nell’islam la sofferenza e la malattia hanno poco spazio, se si eccettua la sofferenza (e la morte) che il
credente affronta per essere coerente con la propria fede e per opporsi agli infedeli. Per il resto, la
sofferenza è vista come castigo per chi non è fedele a Dio e rispettivamente come prova. Quando è
castigo l’uomo, attraverso la sofferenza, è invitato a convertirsi; quanto è una prova, l’uomo deve
affrontarla con pazienza e perseveranza. Questo soprattutto nella corrente maggioritarsia dell’islam,
ovvero presso i sunniti.
Diversa invece è la visione teologica degli sciiti. La morte violenta di Ali, cugino e genero del profeta
Muhammad, e rispettivamente quella di Husayn figlio di Ali hanno favorito una visione diversa della
sofferenza, la sofferenza (e anche la flagellazione come nella festa della Ashura) come mezzo di
redenzione.
Il risultato è che, troppo spesso, le tre religioni monoteiste hanno suggerito un’attitudine di
rassegnazione e di passività davanti alla sofferenza e alla malattia. E anche l’islam sunnita, mettendo
l’accento sulla necessità, per il credente, di sottomettersi alla volontà di Dio, troppo spesso ha
condiviso passività e rassegnazione. Anche gli ultimi giorni di vita di Arafat in un ospedale parigino
l’hanno mostrato con chiarezza.
Eppure, qualche stimolo per affrontare diversamente la sofferenza e la malattia potrebbe venire dalle
religioni.