TommyEmmanuelrediSoave FranciaeSvizzerapassionali

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TommyEmmanuelrediSoave FranciaeSvizzerapassionali
44
SPETTACOLI
Giovedì
3 Maggio 2007
L'Arena
ÈilgiornodelregistaeproduttorespagnoloGerardoHerrero:convegnoeanteprimamondialedelsuoultimofilm
FranciaeSvizzerapassionali
IngarailungometraggidiPaulus-HillebrandediBrizé
Il regista
Gerardo
Herrero.
Alle 17 alla
Gran
Guardia si
tiene un
convegno
su di lui; alle
20 al
Filarmonico
si proietta il
suo film
«Una mujer
invisbile»
■ Concorso
«Daisy»,coinvolgentemelodramma
«Lepassagerdel’été»svelaunnuovotalento,positivoesordiodellaAdams
La miscela esplosiva di melodramma coreano e film
d’azione Hong Kong style rende la "margherita"
Daisy (Corea del Sud/Hong Kong, 2006) un fiore all’occhiello per la rassegna veronese. Girato in una Amsterdam splendidamente fotografata da Wai Keung
Lau, il film s’ispira liberamente a The killer di John
Woo (un triangolo amoroso tra assassino, poliziotto e
bella innocente, cieca per Woo e muta per Lau), premendo il pedale sugli aspetti rosa e poetici e lasciando inseguimenti e sparatorie in secondo piano. La
pellicola, sovraccarica nello stile, sembra, a tratti,
voler nascondere sotto una montagna d’invenzioni
visive una leggera inconsistenza del materiale trattato. Palpiti, personaggi ed acrobazie, per quanto inseriti in una trama logicamente un po’ zoppicante e di
netta ascendenza fumettistica, risultano, comunque,
del tutto coinvolgenti.
Come Early Morning (USA, 2006), regia d’esordio
dell’attrice Joey Lauren Adams, è un film sobrio e
sincero. Le atmosfere del sud, accompagnate dalle
chitarre di John Hiatt, Willie Nelson e Chet Atkins e
soffuse di una malinconia western atipicamente associata al mondo femminile, fanno da padrone. Ashley
Judd torna al ruolo che le diede visibilità all’inizio
degli anni ‘90 (Ruby in paradiso), quello della single
spiantata di provincia, regalando al suo personaggio
un’intensità ed un realismo encomiabili. Le interpretazioni di Stacy Keach (Fat City-Città amara di John
Huston), Diane Ladd e Tim Blake Nelson (Fratello,
dove sei?), aggiungono spessore a una sceneggiatura
che trova il bersaglio senza puntare, saggiamente,
troppo in alto. L’accoglienza, come spesso accade, ingiustamente, nei confronti dei prodotti USA, è stata
tiepida.
Le passager de l’été (Francia, 2006), primo lungometraggio di Florence Moncorgé Gabin, si segnala tra i
film più belli visti fino ad oggi a "Schermi d’Amore":
è una riflessione intensa ed elegante sulla scomparsa
del mondo contadino del dopoguerra, soffocato dal
progresso. Joseph, il bracciante schivo e misterioso
Una scena
del film
«Daisy»,
miscela
esplosiva di
melodramma coreano
e film
d’azione
Hong Kong
style
che sconvolge la vita di una vedova contadina, la cui
figlia insegnante sogna la città, appare come la metafora di un’epoca. Un’estate, appunto, vigorosa e terragna, destinata a finire. Perfetto, quasi documentario,
il ritratto della vita di campagna, descritta nei minimi gesti e bagnata di luce naturale. Il cast s’immerge
nei tempi e nei personaggi con consumata abilità. La
Francia può contare su un nuovo grande talento.
Lo que se de Lola (Spagna/Francia, 2006) è un esercizio di stile, decisamente fine a sé stesso, su un individuo privo di un’esistenza propria che dedica la vita a
spiare la vicina di casa. Camera sempre fissa (tranne
che negli ultimi secondi), sempre in campo medio,
sempre ad inquadrare perfette geometrie umane o
architettoniche. Asettico, lentissimo, non privo di
una personale, sghemba poetica, il film è, se non altro, perfettamente coerente con il suo animo sperimentale. Troverà il suo pubblico tra i "cinephiles"
più duri.
Adamo Dagradi
Un giovedì affollato di impegni e proiezioni a
"Schermi d’Amore", con
protagonista il cinema
spagnolo. «Gerardo Herrero regista e produttore» è
infatti il titolo del convegno dedicato al cineasta
madrileño che si terrà in
Gran Guardia alle 17. Herrero ed alcuni dei suoi attori, tra cui la giurata Marta
Belaustegui, Nuria Gago,
Maria Bouzas, Cuca Escribano, Marta Esteban, Tamar Novas, Javier Blanco
Lopez e Adolfo Fernandez, saranno presenti,
pronti a confrontarsi con
il pubblico veronese in un
incontro moderato dalla
critica cinematografica
Nuria Vidal.
Al cinema Filarmonico
(alle 20) seguirà l’anteprima mondiale di Una
mujer invisibile, il suo più
recente film da regista racconta la storia di Luisa,
una donna "invisibile", abbandonata dal marito e
lontana, fisicamente ed
emotivamente, dall’unica
figlia, che
decide di sedurre un
uomo. Aiutata
da
un’attrice e
dall’istruttore di ping
pong ottiene quello
che cerca
ma a caro
prezzo: l’affascinante
Jorge, infatti, per mettersi con
lei, lascia
Marina, anche lei ragazza "invisibile".
Quando
Luisa capisce di aver agito non per amore ma per
capriccio s’impegna con
tutte le forze per spingerlo
nuovamente tra le braccia
dell’ex fidanzata.
Un’occasione straordinaria, quella di oggi, per
venire a contatto con una
figura poco conosciuta ma
importantissima per il cinema spagnolo: produttore di più di 80 pellicole e
regista di 13 lungometraggi, Herrero è sempre stato
in grado di coniugare, con
grande maestria, le esigenze più popolari del cinema
contemporaneo con la necessità di offrire un’oppor-
tunità ad autori di forte
impegno sociale. Grazie a
lui, negli ultimi anni, si è
avviata la riscoperta del cinema sudamericano e colleghi come Ken Loach hanno potuto realizzare opere
fondamentali (Terra e libertà) all’interno della loro filmografia. Nel corso
di questo "Herrero day" da
segnalare anche la proiezione di Las razones de
mis amigos (alle 10.30), El
principio de Arquimedes”
(alle 15) e del corto Ni contigo ni sin ti (alle 20).
Prosegue, nel frattempo, il concorso, che oggi vedrà sfidarsi Svizzera tedesca e Francia. So long, my
heart! (alle 18), secondo
lungometraggio di Oliver
Paulus e Stephan Hillebrand (il primo, When the
right one comes along, era
stato presentato proprio a
Verona nel 2004) che saranno presenti in sala, è
ambientato all’interno di
un ospizio. L’infermiere
Holger, la cuoca Barbara e
l’infermiera Petra vivono
un improbabile triangolo
amoroso. Riusciranno i
sentimenti ed il desiderio
di vita a sopravvivere in
mezzo a tanta sofferenza?
Entre Adultes (alle 22.15)
di Stephane Brizé, premio
speciale della giuria a
Schermi d’Amore 2006 per
Je ne suis pas là pour être
aimée, è una rappresentazione corale gravitante attorno alle vite sentimentali di sei coppie.
Girato con solo due telecamere e un microfono,
scritto in dieci giorni, girato e montato in otto, il film
doveva essere solo il
workshop-ricordo per un
corso di recitazione presieduto dal regista. Notato da
Simon Lelouch, figlio del
grande Claude, Entre
Adultes è stato riversato
in 35 mm e distribuito con
grande consenso di critica. A mezzanotte, in chiusura di giornata, il consueto appuntamento con le
"Divine canaglie" ci porterà nella Pianura padana
grazie a La cicala (1980), di
Alberto Lattuada, con Anthony Franciosa, Virna Lisi e Barbara De Rossi. È la
storia di un’ex cantante di
varietà e prostituta, sposata con il proprietario di un
motel per camionisti, che,
in preda alla gelosia, uccide il compagno della figlia. (a.d.)
L’intervista
Parlalaregista
Florence
Moncorgè,
figliadel mitico
JeanGabin
«Perquest’operaprima
hoattintoallamiainfanzia»
«È un racconto sociale, ma è anche
una storia d’amore», così Florence
Moncorgè-Gabin (nella foto Brenzoni)
sintetizza, Le passeger de l’été, la sua
opera prima. Racconta volentieri questo secondo lavoro realizzato dopo il
cortometraggio Les Pros (1986)
«È stata la cosa più bella che la vita
mi abbia dato, una fioritura personale
e professionale», dice. «Bellissima e al
contempo molto naturale. Io avevo creato la storia e la collaborazione di tecnici, attori, costumisti l’ha resa concreta».
- Cosa l’ha portata alla regia?
«Prima non mi sentivo in grado.
L’incontro con la regia veloce di Claude Lelouch mi ha dato l’ispirazione tecnica per il cortometraggio con JeanPaul Belmondo. Per questa storia ho
preferito seguire canoni più classici.
Mi sono ispirata a pellicole che narrano la vita nei campi, come La horse,
con mio padre Jean Gabin e La veuve
Couderc con Alain Delon»
- Come ha scelto la luce di questo film
quasi documentario?
«Soprattutto per gli esterni volevo
che si percepisse l’austerità della Normandia e della vita contadina. Filmavo di sera perché la luce naturale era
troppo forte e associavo la luce alla storia, ad esempio il paesaggio alle immagini del libro di Jeanne»
- È stato difficile descrivere gli anni
’50 e per gli attori diventare contadini?
«Per descrivere la campagna di quegli anni mi sono affidata alla mia infanzia. Ricordo ancora l’arrivo dei trattori e delle mungitrici elettriche. Gi attori hanno realmente imparato dai con-
tadini a mungere, falciare e preparare
il formaggio. Sono stati pronti e veloci»
- Com’è il suo rapporto con il progresso?
«Fino agli anni ’80 la vita aveva ancora una dimensione umana. Il progresso ha reso tutto frenetico impedendo
la socializzazione e acutizzando l’individualismo»
- Come è stato dirigere suo figlio?
«Formidabile. Per tutti i personaggi
avevo in mente i volti dei contadini,
solo due ruoli erano stati pensati per
degli attori definiti: quello di Angèle,
Mathilde Seigner, e quello di Paulo. Lo
avevo disegnato enfatizzando alcuni
lati del suo carattere, ma al momento
di girare il film Jean-Paul ha rifiutato
la parte perché troppo dimessa rispetto al vero. Grazie ai costumi di scena,
al taglio di capelli e alla camminata
zoppicante sono riuscita a decostruirlo»
- Cosa prova a poche ore dalla "prima" italiana?
«Sono molto emozionata. Avevo
scritto questa storia per il pubblico
francese, ma credo che le culture francese, italiana e spagnola si assomiglino molto e potrà piacere soprattutto
perché è una storia d’amore e l’Italia è
il Paese dell’amore. »
- Ha in mente di girare un altro film?
«L’ho già scritto e ho anche firmato
con il produttore. Sarà sempre una storia d’amore, ma il soggetto non sarà
originale. Racconta di una ragazza che
lavora in un jazz club di Lione e si ispira al libro La fille du Bar di Catherine
Guillebaud».
Dunya Carcasole
Guitar festival. Il musicista australiano si è rivelato ancora una volta un vero mattatore. Ottime prove di Olivieri, Gambetta e Verheyen
TommyEmmanuelrediSoave
Montgomeryacorrentealternata.LamaestriadiJorgenson
Al centro,
Monte
Montgomery al
"Soave
guitar
festival
2007" e,
in alto,
John
Jorgenson (foto
Brenzoni)
Scatta stasera (alle 21, a
ingresso libero) nell’auditorium della scuola civica musicale "Maderna"
in via Lega Veronese
10/A, la XV edizione dei
"Concerti del giovedì".
«Come ormai da tradizione», ci spiega Roberto
Cerpelloni, direttore della storica Scuola civica,
«la rassegna si caratterizza per l’apertura a vari generi stilistici. Per me,
l’unica distinzione è tra
buona e cattiva musica».
Tommy Emmanuel, l’incredibile chitarrista australiano ha ormai impresso il suo marchio sul
Festival della chitarra di
Soave. Anche questa volta il "ragazzo" di Muswellbrook ha voluto dimostrare chi è il numero uno ai
suoi numerosissimi estimatori stipati al Palazzetto dello Sport nella serata
conclusiva
Quando un
artista riesce a tenere incollati
alle sedie fino all’una
e un quarto
di notte tutti gli spettatori, contagiandoli con
un entusiasmo irrefrenabile ed un affetto smisurato, significa che ha la capacità di trasmettere qualcosa di speciale.
La sua disponibilità a
duettare con chiunque si
presenti sul palco è segno
di disponibilità e sicurezza. Madre natura gli ha regalato grandi mezzi, che
lui è riuscito ad amplifica-
re a dismisura con l’applicazione, l’amore per la
musica e l’identificazione
con il suo strumento, quella martoriata chitarra
acustica Maton che si è
trasformata in un’appendice del suo corpo. È come
un vulcano quieto e rassicurante fino a che la sua
potenza non si scatena in
tremende esplosioni di lapilli e maestose colate di
lava bollente, che vanno a
dare nuove forme al terreno circostante. E questo
spettacolo della natura suscita stupore ed ammirazione. Alle suite di grandi
alberghi preferisce le case degli amici «piene
d’amore e d’amicizia»,
spiega. È legato a Soave e
si considera cittadino
d’adozione. La sua presenza ha rappresentato l’acme di tre bellissimi giorni
di musica.
«Quando Tommy sale
sul palco dovrebbero istituire dei limiti di velocità», scherzano i colleghi
dopo la sua "Guitar boogie" fotonica, e «quest’uomo è completamente paz-
IConcertidelgiovedìalviastaseraall’auditoriumdelle"Maderna"
SaninpassadaPiazzollaaljazz
Si comincerà con un concerto
intitolato
«Da
Astor Piazzolla al jazz»,
di cui sarà protagonista
l’ensemble guidato da
Gunther Sanin (nella foto
Brenzoni) virtuoso primo violino di spalla dell’Orchestra dell’Arena.
Diplomato al Conservatorio di Verona, già nelle
Orchestre della Scala di
Milano e del Maggio Fiorentino, vincitore del primo premio assoluto "Città di Stresa", ha suonato
con Franco Battiato, Milva, lo stesso Piazzolla,
con un repertorio che spazia dal tango argentino al
jazz alla musica da caffè
viennese. Con l’ensem-
ble in cartellone stasera
si è esibito anche in Europa e in Giappone oltreché
in rassegne e festival nel
nostro Paese e ha inciso
due cd, ultimo dei quali
con Cecilia Gasdia. Accanto al leader, Fabio
Rossato a fisarmonica e
bandoneon, Ivan Tibolla
al pianoforte, Ivano Ave-
sani al contrabbasso,
Claudio Sebastio alle tastiere, Alberto Tosi al
flauto e alla voce. Quest’ultimo, a nome di Albertino, ha inciso un cd
di standard jazz con la
partecipazione di Sebastio (e con Stefano Menato al sax tenore, Enrico
Terragnoli al basso acu-
stico, Roberto Facchinetti alla batteria), nonché
un lavoro su Johann Sebastian Bach, prodotto
dallo stesso Sebastio, con
la violoncellista Sara Airoldi e la clavicembalista
Lidia Kaweeka.
I "Concerti del giovedì"
proseguiranno con la performance solista del chi-
zo», sentenzia Monte Montgomery, dopo averlo visto eseguire un assolo di
batteria percuotendo la
chitarra con le spazzole
per un quarto d’ora con il
pubblico in delirio. Il suo
furore musical-agonistico, però, si trasforma in
dolcezza senza confini
quando lo raggiunge in
scena la sua compagna
Lizzie Watkins, ottima
cantautrice country. Partendo dall’inizio della manifestazione dedicata alla
seicorde, questa volta il
patron Pierpaolo Adda si
è permesso una piccola licenza di protagonismo
cantando con grande emozione One night di Elvis
Presley - a cui era dedicata la sedicesima edizione
del "Soave guitar festival"
e la mostra di memorabilia con il suo vero giubbino blu, il fazzolettino azzurro, il braccialetto di
pelle e tanti rarissimi dischi - accompagnato da
Luca Olivieri e dalla sua
TC band. Luca aveva debuttato più di vent’anni fa
come clone del divo del
rock and roll. Oggi le sue
interpretazioni sono mature, rispettose, personali
e addirittura innovative.
Il talento veronese del
country ha aperto con
That’s all right mama,
chiudendo il percorso con
Mistery train.
Beppe Gambetta è riuscito a calamitare l’attenzione degli spettatori sulla sua ottima tecnica flatpicking e, soprattutto,
sull’affascinante percorso che i primi emigranti
musicali hanno compiuto
due secoli fa verso gli Sta-
tarrista Andrea Mirenda, brani dal barocco al
romanticismo, il 10 maggio; quindi "La canzone
del 900" dell’Altamelodia
Ensemble (con Giuliana
Bergamaschi alla voce,
giovedì 24), e con il Trio
Eclat de Bois giovedì 31:
Claudia Pasetto (viola da
gamba), Beatrice Pornon
(liuto) e Sbibu (percussioni), per un concerto di
"arie da suonare" intitolato "Chi l’harebbe mai creduto" (Frescobaldi, Dowland, Hume…).
Beppe Montresor
ti Uniti. Carl Verheyen è
l’imprevedibiltà, il talento, la tecnica e la follia, tutti tratti tipici dei californiani, che nel chitarrista
dei Supertramp sono apparsi amplificati. Buono
il suo debutto a Soave.
Brian Andrew Lee ha dimostrato di essere cantante eccezionale e buon compositore, ma gli mancava
una componente fondamentale per questo appuntamento: l’abilità sulle
corde. Se si fosse fatto accompagnare da uno qualsiasi dei musicisti presenti, la sua prestazione
avrebbe guadagnato molta credibilità e avrebbe accontentato più spettatori.
Il battesimo di Monte
Montgomery ha registrato pareri discordi. Nessuno nega la sua abilità come chitarrista e cantante,
ma la prima sera ha concesso poco al pubblico, limitandosi a brani inediti.
La domenica ha corretto
il tiro, aggiungendo bellissime cover di Little wing e
Romeo & Juliet e risultando più popolare. Meglio
da solo con la sua acustica-laboratorio, che con la
band rockettara e funky.
Ha solo bisogno di rapportarsi meglio alla spiritualità che pervade la manifestazione di Adda, come è
riuscito a fare John Jorgenson, che si è calato perfettamente nello spirito
del luogo, assorbendone i
lati positivi e donando allo stesso tempo il massimo della sua grande maestria ed un tocco di signorilità.
Back on terrafirma è un
suo suggestivo brano suonato con la band formata
da Alan Thomson (basso),
dai veronesi Franz Bazzani (piano) e Cesare Valbusa (batteria), con l’aggiunta di due tromboniste lussemburghesi. La girandola degli incroci chitarristici "pericolosi" ha visto
Tommy duettare con Montgomery, Jorgenson, Gambetta, Verheyen e Luca
Olivieri con lo stesso Jorgenson. Ecco così scaturire i generi più disparati,
dal surf degli Shadows
con Sleepwalk allo standard jazz After you’ve gone, passando dal rhythm
and blues di C C rider e le
presleyane Mistery train
e Little sister e finendo
con Bella Soave.
Roberto Ceruti
Fontana
LaPerdido
eiljazz
diNew
Orleans
I mensili appuntamenti alla Fontana
con il jazz di New Orleans, nell’interpretazione della Original Perdido Jazz
Band si concludono
questa sera (alle 22)
con l’ensemble diretto da Giannantonio
Bresciani che proporrà un concerto distinto in due parti.
La prima è dedicata
al "New Orleans Style" più tradizionale,
in sostanza quello
che caratterizzò il
primo jazz; la seconda già venata dallo
Swing, che avrebbe
poi trionfato, con le
grandi
orchestre
bianche e i jitterbug,
negli anni ’30.
Tre cd all’attivo,
nell’ambito del jazz
tradizionale l’Original Perdido Jazz
Band è la più longeva formazione scaligera in attività, visto che ha superato
la boa del mezzo secolo dalla fondazione, nei primissimi
anni ’50. Sin dalla
sua
costituzione,
l’ensemble si è proposto come obiettivo
quello di diffondere,
divertendosi e divertendo, il jazz nato a
New Orleans, esaltato dalla figura di
Louis Armstrong.
La freschezza arrembante dell’impasto
sonoro,
parallelamente alla continua
ricerca e ad un conseguente percorso di
rinnovamento (Bresciani sta già pensando ad un repertorio diverso per la
prossima stagione) è
sempre stata il marchio di fabbrica della Perdido, (b.m.)