IL MOSAICO PAVIMENTALE DI OTRANTO ( dal
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IL MOSAICO PAVIMENTALE DI OTRANTO ( dal
Il Mosaico pavimentale di otranto (dal saggio di Orazio Gianfreda, Il mosaico di Otranto, Biblioteca medievale in immagini, ed.del Grifo,1996) La Cattedrale di Otranto dopo la sua edificazione, avvenuta tra il 1080 e il 1088, fu in seguito rivestita, come era solito nel Romanico, di dipinti e apparati decorativi. Il mosaico pavimentale risale agli anni 1163-1165, come risulta dalla iscrizione pavimentale, in cui si riporta il nome del committente, l’arcivescovo di Otranto Gionata, e del pictor imaginibus Pantaleone: (Iscrizione ingresso) EX JONATHIS DONIS PER DEXTERAM PANTALEONIS HOC OPUS DIGNE EST SUPERANS IMPEDIA DIGNE (iscrizione centrale) ANNO AB INCARNATIONE DOMINI NOSTRI IESU CHRISTI MCLXV INDICTIONE XIIII REGNANTE NOSTRO WILLELMO REGE MAGNIFICO HUMILIS SERVUS IESU CHRISTI JONATAS IDRUNTINUS ARCHIEPISCOPUS IUSSIT HOC OPUS FIERI PER MANUS PANTALEONIS PRESBITERI La terza iscrizione, collocata nella zona presbiteriale, indica infine la data di inizio dei lavori di decorazione del pavimento iniziati nel 1163. La figura del presbiter Pantaleone è degna di nota e sicuramente tra le più rispettabili e apprezzate del tempo se si tien conto che sono a lui attribuiti i mosaici pavimentali delle cattedrali di Brindisi e di Taranto. Il ciclo di Otranto è senz’altro quello meglio conservato che ci permette di apprezzare con completezza e chiarezza la cultura figurativa di questo grande protagonista della civiltà romanica. La formazione di Pantaleone e la sua provenienza è da collocarsi presso il limitrofo cenobio basiliano ai San Nicola di Casole (1), importante scriptorium, dove si conservavano copie molto antiche di codici della letteratura greca e romana. San Nicola di Casole assolse all’importante funzione di ponte tra la civiltà orientale e quell’occidentale fino alla sua distruzione nel 1480 ad opera dei turchi. Nel ricettacolo di quest’ambito spirituale e culturale così stimolante matura il poliedrico e dotte repertorio iconografico di Pantaleone attorno al quale si forma una vera e propria scuola pittorica. Solo di recente la critica ha rintracciato un itinerario di lettura più convincente e plausibile per quello che veniva riduttivamente definito “guazzabuglio di figure” (Bertaux, 1904) o come tipica espressione dell’horror vacui medievale. Il tema dell’albero della vita, che trova parecchie rispondenze, in quasi tutte le culture dell’antichità, ha un significativo parallelo con l’immagine tramandata da Dante: “L’arbore che vive della cima e frutta sempre, e mai non perde foglia” (Par., XVIII, 29-30) Non si tratta, quindi, di un albero qualsiasi, perché è increato, non ha radici come appare nel mosaico e trae linfa direttamente dalla partecipazione al mistero trinitario (“vive della cima”): è l’immagine del Logos secondo la tradizione filosofica greco-cristiana. Ma secondo una concezione originalmente cristiana il Logos si rende presente nel divenire storico. Evidentemente si tratta di una immagine e di una concezione della storia che “tien conto più della logica che della cronologia” (Gianfreda). L’organizzazione iconografica del grande ciclo, d’altronde, contiene nelle sue basi numeriche un’immagine generale dell'universo: i tre alberi dispiegati nelle tre navate della chiesa, simbolo del divino, della Trinità, delle virtù teologali; il ciclo dei mesi, dei lavori e dello zodiaco, ordinati sulla base del numero quattro, simbolo della terra, dei quattro elementi primordiali, delle virtù cardinali. Nella navata centrale si dispiega l’albero più lungo che dalla zona presbiteriale all’entrata della chiesa (2), con i temi principali del libro del Genesi fino all’episodio della Torre di Babele; al momento della confusione delle lingue e della dispersione delle razze anche la storia umanità si divide in due grandi direzioni: la via del monoteismo raffigurata alla sinistra dell’entrata e la via del politeismo alla destra. La narrazione arricchita dalla contaminatio medievalis di Re Artù e Parsifal (3) in alto a destra, e del “Volo di Alessandro Magno” (dal titolo di un romanzo molto diffuso in epoca medievale, soprattutto in territorio francese, e attribuito a Pseudo-Callistene, vissuto nel II sec d.C.), si configura come un grande paradigma della storia universale dove i temi dominanti che si intrecciano continuamente sono il peccato di superbia da parte dell’uomo (la hybris della tragedia classica) e la promessa misericordiosa di Dio della salvezza definitiva in Cristo. Nella zona presbiteriale in sedici cerchi (numero dal valore cabalistico) è descritta simbolicamente la condizione umana generatasi dopo il Peccato originale: nella prima sequenza di quattro cerchi alla sinistra e alla destra di Adamo ed Eva sono raffigurati il Toro e il mostro Bohemet simboli di superbia. Seguono nella seconda fila i simboli delle tentazioni e delle virtù umane dal Dromedario al Leviatano, all’elefante alla lonza. Domina nella terza fila al centro l’immagine del Sagittario e del Cervo ferito simbolo delle persecuzioni dei cristiani, affiancata a sinistra dall’Antilope, simbolo del Vecchio e del Nuovo Testamento, e a destra dall’Unicorno, simbolo di Cristo, della sua purezza e dell’unicità della natura umana e divina in una sola persona; nella quarta fila, infine, sono presentati le immagini raffiguranti lo stato di redenzione, in particolare la Regina di Saba (4), prefigurazione della Chiesa, il Re Salomone, prefigurazione di Gesù Cristo, la Sirena, in questo caso simbolo della Parola di Dio, il Leopardo e l’Ariete avvinghiati con l’iscrizione dell’acrostico PASCA (Pardus Alatus Sternit Cornutum Arietem), simbolo della lotta di Alessandro Magno contro Dario, prefigurazione della lotta che i cristiani devono sostenere contro le forze del male (5). Di interessante rilievo sono le immagini dell’uomo con il Liocorno, probabile autoraffigurazione di Pantaleone, e l’asino arpista, simbolo della Presunzione. Il ciclo della zona absidale è tutto incentrato sull’avvento di Cristo e sulle sue prefigurazioni storiche: la figura di Giona è accompagnata dalle immagini della sua fuga da Ninive, del naufragio, della balena che lo inghiotte e lo riporta a Ninive, prefigurazione del Battesimo e della Morte e Risurrezione di Cristo; una curiosa scena di caccia al cinghiale si inserisce al centro dell’abside, non senza suggestivi richiami al tema antico della caccia di Meleagro, figlio del re di Calidone, al cinghiale con riferimento al rapporto tra colpa ed espiazione; seguono Sansone, domatore di leoni, una lotta tra il drago e il cervo e, infine, la figura di un uomo nudo tra le scimmie e un asino, probabile riferimento alle “Metamorfosi” di Apuleio e, quindi, al cammino di conversione dell’uomo. Il secondo albero, presente lungo la navata destra, è denominato “della Redenzione”: ai giganti posti sulla sinistra, ad eccezione della raffigurazione a destra di Atlante nell’atto di reggere l’universo sulle sue spalle, simboli di superbia e tracotanza, si contrappone la figura di Samuele, annunciatore della venuta del Messia; seguono, come prefigurazione del sacrificio di Cristo, il capro espiatorio e il capro emissario, lasciato vagare nel deserto lontano dal popolo, tue immagini legate al libro dell’Esodo; segue la sequenza del bestiario che esemplifica la condizione umana nell’attesa della redenzione, in particolare è interessante notare la sfinge, simbolo dell’enigmaticità dell’esistenza, e il cane col fiordaliso, simbolo di unità e concordia tra il potere spirituale (la fides del cane) e temporale (il fiordaliso è simbolo della dinastia normanna) (6). Terzo ed ultimo albero è quello presente sulla navata sinistra che, proprio perché denominato “del Giudizio Universale”(7), conclude l’intero itinerario iconografico. La verticalità del tronco divide i beati a sinistra dai dannati a destra: sotto le figure dei patriarchi del popolo di Dio, Abramo, Isacco, Giacobbe, vi è la rappresentazione del Giardino paradisiaco con un uomo tra le fronde di un albero, un immagine che riprende il salmo “iustus ut palma florescit”; l’inferno, preceduto dall’orso, simbolo della morte, e dalle tre bestie raffiguranti le tentazioni mortali, il leone, la lupa, il caprone, è dominato dalla figura coronata di Satana. I dannati subiscono, come pena di contrappasso, la trasformazione in bestie mentre in basso un angelo decaduto ne pesa le anime sulla bilancia. Le immagini di Caronte e di Cerbero, insieme al simoniaco che si tuffa a capofitto in una pentola arroventata dalle fiamme, completano secondo il tradizionale immaginario del tempo la visione della vita nell’aldilà. Non è semplice, neppure per gli esperti, ricostruire l’ascendenza stilistica di questo ciclo. Esso appare già molto distante dalle coeve scuole basiliane della civiltà rupestre e non ancora definito nella raffinata cifra stilistica del Romanico padano. E’ importante ricordare l’ininterrotta tradizione in Puglia dell’opus tasellarium che al IV e V secolo (Canosa, Siponto) si prolunga fino a quei secoli. In definitiva è abbastanza evidente un gusto che privilegi al particolare una suggestiva visione d’insieme. Note: 1. Interpretazione di Maria Corti nel romanzo storico “L’ora di tutti”, ipotesi decisamente da respingere per Chiara Frugoni. 2. La presenza degli elefanti per la Frugoni è da collegare al Phisiologus: sono Adamo ed Eva che come i pachiderma indiani si appoggiano agli alberi per dormire; la loro caduta ad opera dei cacciatori è rimediata da un elefantino, simbolo della redenzione di Cristo. 3. Si tratta di Dismas per la Frugoni, che bussa alle porte del Paradiso. 4. La prefigurazione è da mettere in rapporto con Mt 12,42 con collegamento a Giona e Salomone. 5. Il bestiario che segue a Salomone è simbolo della sua proverbiale sapienza. 6. Alla influenza normanna si deve la connotazione negativa di Alessandro Magno, modello positivo di regalità, invece, in Oriente. 7. Come afferma la Frugoni, la terza navata prosegue il discorso della navata centrale in una proiezione escatologica, riproponendo la dialettica terrena tra speranza e castigo in quella ultraterrena tra beatitudine e dannazione.