il bambino sovrano della console

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il bambino sovrano della console
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senza data
Contesto
GBC
Relatore
GB Contri
Liv. revisione
Pubblicazione
Lemmi
Bambino
Catarsi
Esautorazione
Gioco
Pedagogia
Sovranità
INTERVISTA DI FILIPPO MANTERO
IL BAMBINO SOVRANO DELLA CONSOLE
Intervista esclusiva a Giacomo B. Contri
In risposta a tante polemiche sulla pericolosità dei videogame, l'allievo prediletto del grande psicoanalista francese Jacques Lacan si schiera senza mezzi termini dalla parte dei
videogiocatori. Specie di quelli più piccoli. Intervista esclusiva a
Giacomo B. Contri di Filippo Mantero
I bambini devono avere paura della PlayStation? Come è
noto, negli ultimi anni i videogiochi sono entrati nel mirino di
una polemica molto feroce. Non i videogiochi in generale, naturalmente. Ma alcuni di questi, quelli ritenuti più violenti. In
alcuni casi, la veemenza dell'opinione pubblica ha comportato
il ritiro dal mercato di alcuni titoli. O quantomeno, una loro
censura "morale". Anche se in Italia non c'è legge che disciplini la materia. E non tutti sono d'accordo sul fatto che l'eventuale violenza di alcune sequenze giocate sia realmente
dannosa. Tra questi c'è Giacomo B. Contri. Da molti ritenuto
lo psicoanalista più importante d'Italia, è stato allievo di Jacques Lacan, di cui ha curato gli scritti per i tipi di Einaudi, e
ha fondato a Milano lo Studium Cartello, libera università di
psicologia. Al contempo, è da sempre attento osservatore e
studioso della realtà del bambino. Che difende nella sua sovranità contro tutti gli attacchi di una pedagogia dominante
che invece, come dice lui, "lo vorrebbe cretino a tutti i costi".
Pedagogia, divenuta mentalità, che guarda i videogame come
potenziali nemici della salute psichica del fanciullo (e con lui
di tutti coloro, adulti compresi, che i videogame li utilizzano
con frequenza). E che ormai ha contaminato molti genitori,
che vedono con preoccupazione l'utilizzo di console e Pc da
parte dei loro figli.
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Il bambino sovrano della console. Intervista a Giacomo B. Contri
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Professor Contri, i videogiochi sono pericolosi perché contegono
violenza?
La mia risposta è semplicemente lapidatoria: chi si pone
domande del genere ha tempo da perdere e da far perdere agli
altri. Si tratta di domande fasulle, da mentecatto.
Addirittura?
Assolutamente. È mai possibile che non ci si ricordi di quello che dicevano i Greci Antichi? Avevano risolto la questione
una volta per tutte parlando di "catarsi". Ovvero: assistere a
uno spettacolo cruento ha un effetto purificatorio. Pensiamo a
Medea, che ammazza i bambini, o piuttosto a tutti i tradimenti, le pugnalate e quant'altro la tragedia può esibire...non c'erano controindicazioni. La stessa logica si deve applicare ai
videogiochi. La questione si risolve qui. Punto e a capo.
Si potrebbe obiettare che una cosa è assistere e un'altra è
partecipare come protagonista, come avviene nei videogiochi...
Anche nel caso della tragedia greca c'era immedesimazione.
E l'immedesimazione non costituisce in alcun modo una minaccia psichica. La questione mi sembra semplicemente ridicola.
Quanto è giusto che debba giocare un bambino?
L'unico giudice circa la durata del gioco è il bambino. Almeno di quello, che lo sia!
Si spieghi meglio.
Il bambino si regola da solo. È perfetto nel regolarsi da solo
nel gioco. E quando si stufa, lo molla. Senza perderci su ulteriore tempo. L'unico limite, se vogliamo, è che a una certa ora
la mamma chiama perché è la una, ed è pronto da mangiare.
O sono le dieci di sera ed è giunta l'ora di andare a dormire.
Vale a dire: il buon senso. Non certo una valutazione circa il
tipo di gioco. Una distinzione tra gioco e gioco non ha alcun
senso. L'unico limite concepibile dal buon senso, ma è cosa
ovvia, è quello del pericolo fisico: se un bambino si mette a
camminare sul comicione a 15 metri di altezza allora è il caso
Il bambino sovrano della console. Intervista a Giacomo B. Contri
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che il genitore lo fermi. Ma perché rischia di farsi male. Per il
resto, null'altro. Ripeto, non esiste nessuna minaccia alla salute psichica. Sulla questione non ci sono mezzi termini.
Lo vedo...
Sì, perché non ci sto a fare questo gioco malato. Mettere
sotto tutela il bambino anche riguardo il gioco, questo sì che è
un brutto gioco. Come si dice, sono "brutte storie", da cui bisogna stare alla larga.
Qual è allora il ruolo dei genitori rispetto ai figli che giocano
con i videogame?
Levarsi dalle scatole. Eccetto il caso dove sia il bambino a
richiedere la loro presenza. Come quando, diversamente, chiede di essere ammesso al gioco dei grandi, magari la briscola o
il poker.
Papà e mamma allora devono essere spettatori discreti?
In alcuni casi, neanche spettatori. Ci sono momenti in cui il
bambino non gradisce che un adulto lo guardi giocare. Pensa:
"Io mi faccio gli affari miei, voi fatevi i vostri e non perdete
tempo a badare a me".
Da quello che ho capito allora, non è neanche il caso, per chi
produce o vende videogiochi, di mettere in guardia i consumatori dal grado di violenza o pericolosità di un gioco, giusto?
Assolutamente. Ripeto il concetto: non esiste il "farsi male"
psichico del bambino in nessun gioco, passato, presente o futuro. Le faccio un altro esempio: tutti coloro che possiedono la
mia età, nella loro giovinezza erano avvezzi alle favole dei fratelli Grimm. E in quelle favole sono narrati eventi molto crudeli: la strega cui, prima di essere bruciata, vengono fatte
indossare scarpe arroventate. O piuttosto Hansel e Gretel, che
gettano la strega nel forno e la guardano bruciare...ebbene,
tutti abbiamo sempre vissuto queste favole per quello che erano. Concependone la drammaticità in termini di catarsi, come
nel caso della tragedia greca. Nessuno si è mai sognato che vi
fosse alcunché di pericoloso nella favole dei fratelli Grimm.
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Il bambino sovrano della console. Intervista a Giacomo B. Contri
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Posso confermare per esperienza diretta. E poi cosa è avvenuto?
Negli ultimi dieci-vent'anni. persino le favole dei fratelli
Grimm sono state espurgate. Fatte fuori, insieme con tante altre favole.
E chi è l'autore dell'epurazione?
Il discorso è ampio e lungo. In sintesi, tutta una cultura del
"buon bambino", che in definitiva lo vuole rincretinito. Teoria
secondo cui il bambino deve venire cretinizzato. È il programma di una pedagogia mondiale per la quale il bambino non
deve vedere questo, non deve fare quello e così via. In questo
modo, però, cosa accade: nel momento in cui il bambino viene
in contatto con la violenza reale, in modalità di certo non catartiche, allora diventa sadico, o nevrotico. E da qui in poi sì
che sono dolori!
© Studium Cartello – 2007
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