3° numero - WordPress.com
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Giornalino degli studenti del Liceo Classico e Linguistico “G. Carducci” di Bolzano. Stampato con mezzi propri. Diffusione gratuita e interna all’Istituto. Numero II I Aprile Anno scola stico 20092010 Sommario: Editoriale 2 Il nucleare in Italia 3-4 Chi non sporca compagnia... in Afghanistan 5 6 Cosa c’è dietro al prende7 re di mira i bimbi down Facebook: per l’uso istruzioni 7-8 Tele-vision 9 Fuori da me 10 Leggere… per legge11 re Lettera di un marziano 12 Alice in Chains 13 Non tutte le banane 14 sono uguali Sanremo 2010 15 “Ballata per de André” 17 Lo sport… specchio 16-17 della società? L’Olympiastadion, palco18 scenico di grandi eventi Le frasi più belle del 19 calcio E le macchinette? 20 Troppa gente... Io lì c’ero davvero... 21 Andy Warhol 22-23 Addio Alexander! 26 24 Consigli primaverili 25 I cult 26-27 Un malinconico regi28-29 sta disperato “Nessun trauma cra30-31 nico” Il Concerto 31 Le battute non rido32 no Crucipuzzle 33 Illusioni ottiche 34-35 Recensione 6” 36 “Tekken Redazione Umorismo in classe 37 36 Lo sport ed io Vignette 39 19-20-21 Redazione Creative Nook 38 40 Redazione 27-28 EDITORIALE Ciao a tutti! Mentre i cori da stadio iniziano già ad echeggiare tra le vie di Bolzano e la tensione del Festival si fa sempre più pressante. Mentre la frenesia per le serate moderne cresce e i biglietti sono già pressoché esauriti. In tutto questo trambusto noi siamo riusciti a stampare un nuovo numero del giornalino. Che periodo è stato questo per la nostra scuola! Carducci ha traslocato e anche “Il Carducciano” è riuscito a dare l’ultimo saluto alla vecchia dimora (per chi non l’avesse notato, sulle scale del secondo piano si trovavano le parole “Kaos e Carducciano, la voce di questi muri”). E allora non smettiamo d’esserlo. Facciamo sentire ancora i nostri pensieri immutati, perché un cambio di prospettiva non cambia la nostra vera essenza e, in fin dei conti, siamo sempre gli stessi. Ringraziamo allora di nuovo tutti i nostri collaboratori per l’aiuto che ci hanno dato, nonostante fossimo tutti impegnati in altre imponenti attività: Lìc’ero, il Festival, Arti Figurative. Quindi ecco a voi il nuovo numero, sempre pieno di notizie e impregnato di buon gusto classicista. Ringraziamo ovviamente tutti i lettori che continuano a rendere possibile la pubblicazione del nostro giornalino e vi invitiamo ancora una volta a proporci nuove idee, portarci articoli e unirvi alla nostra redazione per portare le vostre opinioni ad un livello più alto in modo da farle conoscere a tutti. Ringraziamo sempre e comunque il professor Andrea Pedevilla, la professoressa Carla Macchion e la preside Carmen Siviero per l’appoggio donatoci e naturalmente anche i custodi e le bidelle per essere sempre così pronti ad darci una mano nei momenti di difficoltà, sempre riguardanti l’utilizzo di quella famelica macchina chiamata “Ciclostile”. Ed ora non ci resta che augurarvi buona lettura e ripetere ancora una volta: “Forza Carducci!” Le direttrici Ilaria Casini, III D Marta Reczko, III D INDIRIZZO E-MAIL: [email protected] Il Carducciano - Editoriale² Pagina 2 Il nucleare in Italia di Chiara Degasper, II E Utilizzare le centrali nucleari per la produzione di elettricità è sempre stato oggetto di grandi discussioni. In Italia, l’incidente di Chernobyl e la consapevolezza delle gravi conseguenze portò il Paese, con il referendum abrogativo del 1987, ad abbandonare il nucleare come forma di approvvigionamento energetico e di lì a poco vennero chiuse tutte le centrali nucleari. Allo smantellamento degli impianti e al trattamento dei materiali radioattivi ci avrebbe dovuto pensare la Sogin, una società pubblica nata nel 1999 dall’Enel. Parallelamente il governo avrebbe dovuto costruire il Deposito unico nazionale in cui stoccare e mettere in sicurezza le scorie provenienti non solo dalle vecchie centrali, ma anche dai reparti di medicina nucleare, di radioterapia e radiologia degli ospedali eccetera. Le cose, però, non sono andate esattamente così: LA CENTRALE NUCLEARE DI CAORSO (vicino a Piacenza), la più grande e la più nuova d’Italia, è stata spenta nel 1987, ma nelle piscine si conservano ancora 700 barre di combustibile, contenenti 1.300 kg di plutonio. Per dismetterla completamente ci vorranno 500 milioni e bisognerà aspettare il 2019. Laboratorio dell’Opec alla Casaccia. A Casaccia (vicino a Roma) c’è il più grande DEPOSITO di rifiuti radioattivi d’Italia: 7000 metri cubi, chiusi in vecchi depositi arrugginiti al limite della capienza tanto che vengono stoccati anche nel cortile. In particolare, c’è del “materiale altamente strategico”: 100 kg di uranio arricchito e 5 kg e mezzo di plutonio, che possono essere usati per fini militari, oltre a 100 fusti contaminati da plutonio che devono ancora essere messi in sicurezza. Questo materiale si trova in un deposito dove l’impianto antincendio nel 2006 ha provocato un’esplosione. Ma nonostante questa catastrofe evitata per miracolo, l’impianto è stato mandato avanti senza antincendio e la sicurezza è stata garanti- Il Carducciano - Scripta manent² ta da tecnici che dormono in loco, ma non sanno nemmeno dove si trovano gli estintori. Saluggia (provincia di Vercelli): centro nucleare dell’Eurex e DEPOSITO di Avogadro. A Saluggia, nella provincia di Vercelli, c’è il centro nucleare dell’Eurex e il vecchio deposito di Avogadro che contiene circa il 75 % delle scorie nucleari liquide d’Italia. Questi siti sono posti a ridosso degli argini della Dora Baltea dove le alluvioni sono frequenti, tanto che a seguito di una di queste nel 2000 si sono allagate alcune zone del sito dell’Eurex: anche in questo caso si è sfiorata la catastrofe! La Sogin è stata costretta a svuotare la piscina dell’impianto Eurex che perdeva liquido radioattivo minacciando le falde acquifere, ma invece di stoccare le barre di uranio nella piscina rivestita in acciaio e impermeabilizzata della centrale di Trino, si è deciso di portarle nel vecchio deposito di Avogadro, che invece regi- Pagina 3 stra perdite sistematiche e dove la Sogin paga circa un milione di euro di affitto l’anno. Tutto ciò è avvenuto per motivi politici: a Torino c’è l’onorevole Roberto Rosso di Forza Italia, nuclearista convinto, ma sul terreno degli altri. LA CENTRALE NUCLEARE DI TRINO VERCELLESE, piccolo borgo situato sulla riva del Po. Anche qui, come a Saluggia, le alluvioni sono frequenti e quindi il rischio catastrofe è altissimo! La centrale ha cominciato a produrre energia nel 1964 ed ha funzionato solo per 13 anni durante i quali ha prodotto ben 2.800 fusti di rifiuti radioattivi che sarebbero dovuti già essere nel sito nazionale. LA CENTRALE NUCLEARE DEL GARIGLIANO (a Sessa Aurunca, nella campagna di Caserta), spenta nel ’78 per un guasto, non è mai più stata riaccesa perché nell’80 tutta la zona è stata dichiarata ad alta pericolosità sismica. Il combustibile nucleare è stato portato in Inghilterra: finora abbiamo pagato agli inglesi un affitto di 1 miliardo e 600 milioni di euro. Ma quello che sconvolge di più è che questa è una centrale abusiva, che non esiste sulle carte perché costruita in zona agricola. LA CENTALE NUCLEARE DI BORGO SABOTINO è la prima ad essere stata accesa nel nostro Paese e con le sue 24.000 barre di combustibile è stata anche la più grande d’Europa. Funzionava a gas e grafite. La grafite, che si trova ancora nel reattore, è un vero problema perché rimane radioattiva per migliaia di anni ed è impossibile da spostare se prima non si localizza un sito appropriato. Nel 2003 Berlusconi di- chiara lo stato di emergenza: bisogna creare un centro di raccolta che sia sicuro da terremoti o da altre calamità naturali. Il deposito verrà costruito a Scanzano Ionico, in Basilicata, ma la gente del posto s’infuria: Scanzano è zona sismica e si trova vicino a una costa che viene erosa dal mare, sarebbe troppo alto il rischio Il Carducciano - Scripta manent² di allagamento. Alla fine l’idea di Scanzano viene bocciata. Oggi sul nostro territorio ci sono oltre 30 mila metri cubi di rifiuti radioattivi, che diventeranno 120.000 dopo lo smantellamento delle centrali previsto per il 2020 e il Governo non ha ancora individuato il sito dove stoccarli in sicurezza. Eppure il 24 febbraio 2009 Italia e Francia firmano un accordo di cooperazione sul nucleare che prevede anche la realizzazione di almeno 4 centrali nucleari nel nostro Paese e il 9 luglio 2009 il Senato approva il disegno di legge che capovolge definitivamente il risultato del referendum popolare del 1987: IN ITALIA IL NUCLEARE È LEGGE. Quattro centrali sono però troppo poche per raggiungere l’obiettivo che il governo si è prefissato: coprire il 25% del fabbisogno energetico nazionale, quindi bisognerà costruirne almeno 8 o 10. Intanto è stato affidato il compito ad una commissione di esperti di individuare i siti su cui costruire il Deposito nazionale e le centrali. Già 11 regioni italiane si sono opposte alla realizzazione di nuovi impianti sul loro territorio, ma è stato presentato un emendamento il quale stabilisce che “in caso di mancato accordo con gli enti locali, all’interno delle aree adeguate ed identifiPagina 4 cate dalla commissione di esperti, il governo imporrà la propria volontà”. Una scelta in controtendenza, dal momento che una parte dei paesi europei, come Austria, Irlanda, Danimarca, Grecia, Norvegia, Portogallo, ha rinunciato all’energia nucleare e anche la Germania ha pianificato l’uscita dal nucleare entro il 2020, decidendo di investire sulle energie alternative eoliche e solari. Il problema energetico in Italia è sicuramente di enorme gravità e va affrontato, ma se qualche volta si pensasse davvero di più agli interessi collet- tivi (salute, ambiente, tutela dei cittadini), piuttosto che ai soli interessi politicoeconomici, forse il problema sarebbe di più facile soluzione. Fonti: “Report” di Milena Gabanelli; “L’eredità” di Sigfrido Ranucci; QUARK: “Scorie nucleari”; Internet Chi non sporca in compagnia... di Michael Fanelli, V E Già da molto tempo si sapeva che una certa etica ambientale non ci appartiene, ma il riversamento di 600 litri di petrolio nel fiume Lambro e poi, attraverso questo, nel Po, avvenuto nelle prime ore del mattino del 23 febbraio, mi ha colpito piuttosto profondamente nonostante questa consapevolezza: la fiumana nera che avanzava, mettendo a repentaglio la vita di molte specie animali, continuamente arginata dagli sbarramenti messi a punto dalla Protezione Civile, mi ha scosso come mai non mi era successo, anche perché, forse, conoscevo quei luoghi, che mi apparivano vicini, troppo vicini e pressanti. Dalle indagini sembrerebbe che ignoti inquinatori abbiano aperto deliberatamente i collettori di collegamento di tre cisterne di un’ex raffineria di Villasanta, in provincia di Monza, causando lo sciagurato incidente: un gesto sconsiderato che avrà ripercussioni gravissime sull’ambiente fluviale e, inevitabilmente, anche sul territorio circostante. Per quanto mi riguarda, questo episodio rivela che siamo arrivati al capolinea, alla provocazione spettacolare che non si cura più nemmeno delle conseguenze tragiche che comporta, gli equilibri già fragili tra uomo e natura sono saltati, affogati sotto il petrolio. Il fatto stesso che ignoti abbiano potuto causare un tale disastro indisturbati rivela l’inefficienza dei controlli ambientali e la sottovalutazione del pericolo. Una simile barbarie gratuita, che non si può definire altrimenti, ha avuto un enorme impatto mediatico (sarebbe stata un’ambientazione perfetta per un film apocalittico…) e poi è stata gettata nel dimenticatoio, come spesso avviene nel nostro sistema mediatico dominato dalle mode e dal populismo di facile presa; ed è stato forse questo a scioc- Il Carducciano²- Scripta manent carmi ulteriormente, la gente rimuove le verità scomode perdendo il contatto con la realtà, preferendo dimenticare piuttosto che affrontare i problemi veri, che sono ben diversi dai problemi che ci vengono spesso propugnati dai mass media. La catastrofe si riduce ad evento mediatico, catalizzatore di consensi, poi viene gettata da parte, una volta assolta la sua funzione. Sono queste le cose che dovrebbero mettere in dubbio la possibilità di fregiarsi da parte dell’Italia del marchio D.O.C. di “paese civile”: uno stato in cui non ci sono distinzioni tra catastrofi vere e catastrofi inscenate, in cui l’ambiente non viene rispettato, in cui la gente ha smarrito la coscienza dell’importanza di esso, non è meritevole di un tale appellativo; perché civiltà significa soprattutto rispetto di ciò che ci circonda, consapevolezza della sua importanza, impegno nella sua difesa quotidiana. Pagina 5 Afghanistan di Francesca Taverna, IV A Recentemente ho letto un libro che s’intitola “Mille splendidi soli” ed è stato scritto da Kahled Hosseini, l’autore de “Il Cacciatore di aquiloni”. Prima di leggere questo libro, conoscevo a malapena l’Afghanistan e ancor meno la guerra che si sta combattendo in quel luogo da anni. Così mi sono chiesta se non fossi l’unica ad ignorarlo. La storia di questa nazione è dolorosa, come tutti i paesi dove regna la guerra, ma non per questo motivo bisogna fuggire dalla realtà e non affrontarla. Verso gli anni ’80, in Afghanistan ci fu un colpo di stato: un grande esponente del Partito Democratico Popolare venne assassinato e si scatenarono rivolte popolari contro il capo del governo del tempo, istigate proprio dallo stesso partito. Egli venne a sua volta ucciso in una di queste rivolte. Nonostante questo periodo iniziò con due assassinii, esso continuò con un nuovo regime che decretò riforme importanti, tra le quali venne approvata anche quella che permetteva alla donna di non indossare il burqa e di poter frequentare le scuole. Anche se adesso sembra impossibile, questa nazione conobbe la pace. Ma come spesso accade, la pace sembra non essere gradita a tutti, forse perché porta benessere generale e non settoriale, forse perché non fa comodo all’economia di armi e proiettili. Parte della popolazione, i cosiddetti mujaheddin, era contraria a questo regime socialista filo-comunista. Forse questa rivolta non avrebbe avuto seguito se gli USA e il Pakistan non avessero finanziato un'’altra guerra, comprando armi per i mujaheddin. Il governo chiese aiuto all’URSS che cercò di far intervenire l’ONU e che, non riuscendoci, dovette intervenire militarmente. La guerra contro la Russia finì nel 1988 con milioni di morti, profughi e mutilati. Questa guerra fu, purtroppo, solo l’inizio delle disgrazie afghane e dei suoi cittadini. Tornati vincitori in patria, i capi dei mujaheddin ebbero la brillante idee di dichiararsi guerra l’un l’altro, così quella che era iniziata come una guerra in difesa dello stato divenne una lotta per il potere che ebbe come vittima principale la popolazione di Kabul, tutt’ora devastata. In conclusione, in Afghanistan si stanziarono i talebani che, quando i mujaheddin si eliminarono a vicenda, si appropriarono del- Il Carducciano - Scripta manent² la capitale ed imposero nuove leggi restrittive, soprattutto nei confronti delle donne, costrette a portare il burqa ed a uscire di casa assieme ad un parente per evitare di essere frustate; gli uomini, invece, furono costretti a portare la barba lunga e così via. Oggi la situazione si è risolta leggermente, ma la guerra riesce ancora a soffocare questa nazione. Dalla storia si possono capire come si siano svolti i fatti più importanti, ma quello che secondo me ci si dimentica spesso è come abbiano sofferto le persone comuni, in balia di gente che, alla fine, non ha fatto altro che curare il proprio tornaconto o che ha cercato di prendere il potere. Ciò che il libro di Hosseini mi ha fatto pensare è se valga veramente la pena di distruggere la vita delle persone, costringerle a temere di uscire di casa o far provare loro la paura costante di essere colpiti da una bomba soltanto per il potere, perché in fin dei conti è questo il motivo principale di tutte le guerre. Penso che ogni tanto queste situazioni, seppur tristi, vadano ricordate, perché evitare di parlarne è uno dei tanti modi di contribuire ad una nuova guerra. Pagina 6 Cosa c’è dietro al prendere di mira i bambini down di Anna Schönsberg, IV A La notizia della creazione di un gruppo su Facebook che incitava alla violenza contro i bambini affetti da sindrome di Down ha provocato giustamente un grande scandalo. Anch’io, quando ho sentito la notizia, mi sono sentita offesa. Credo che queste idee di estrema violenza offendano e debbano preoccupare non solo coloro che sono affetti da questo handicap, ma chiunque altro. Un giorno le persone che prendono di mira i bambini down per la loro diversità potrebbero scegliere noi come bersaglio, solo perché abbiamo i capelli castani, un accento e un’origine diversa dalla loro. Questo gruppo (vorrei usare degli aggettivi per descriverlo, ma sarei offensiva) proponeva di “usare i bambini down come bersaglio nei poligoni di tiro, visto che sono solo un peso per la nostra società”. Oltre all’incitamento alla violenza, c’è un altro fatto che mi spaventa: il messaggio di questo gruppo, che contava circa un migliaio d’iscritti, era che ogni “diverso” costituisce un peso, un problema da eliminare. Questo ricorda decisamente l’ideologia nazista, per la quale i diversamente abili erano “inutili bocche da sfamare” e per questo venivano uccisi nelle camere a gas. Per me è stata molto positiva la reazione dei media e soprattutto quella dell’opinione pubblica, ma sono contraria alla demonizzazione di Facebook: senza questo social network, infatti, le persone non potrebbero nemmeno venire a conoscenza di queste idee estreme e quindi sarebbe più difficile estirparle. In conclusione, voglio dire a tutte le persone che hanno aderito a questo gruppo che i veri pesi per la nostra società sono loro e non i bambini down. Facebook, istruzioni per l’uso: quando un gruppo merita di sparire... di Chiara Parisi, II C Ammettiamolo, ragazzi: ormai la stragrande maggioranza di noi è dipendente da Facebook (professori compresi). Ed è proprio partendo da questo presupposto che ho deciso di non voler scrivere il solito articolo su Facebook, quello in cui l’autore porta avanti una solfa lunga due pagine dove commenta l’inutile utilità di Facebook e argomenta sul fatto che oggigiorno non si è più capaci di comunicare se non attraverso i social network. Sarebbe un para- dosso da parte mia e una noia mortale per voi! Vorrei piuttosto parlare dello “scandalo” scoppiato ultimamente riguardo alcuni gruppi su Facebook. Non è di certo la prima volta che si parla di una simile faccenda (non so se ricordate i gruppi che ringraziavano la famosa statuetta e il suo lanciatore, o quelli che inneggiavano al nazismo…), fatto sta che puntualmente la notizia fa tanto scandalo per due o tre giorni, dopodiché l’attenzione si focalizza su Il Carducciano²- Scripta manent qualcos’altro. E pensare che basterebbe così poco per far funzionare le cose ed evitare tutto questo stress per quei poveri giornalisti… Innanzitutto, si dovrebbe ricordare che Facebook viene anche definito piazza virtuale, in altre parole un luogo d’aggregazione, dove vi è naturalmente libertà d’espressione, dal momento che ognuno può scrivere sulla propria bacheca ciò che vuole, creare gruppi e pagine varie. Pagina 7 La libertà d’espressione è infatti uno dei vantaggi più preziosi dei quali si può usufruire navigando in rete. Vantaggio del quale purtroppo talvolta s’abusa. Anche noi utenti possiamo aiutare a combattere questi abusi. Ed ecco delle semplici regole per farlo, quando mai ci capitasse di trovare un gruppo che consideriamo particolarmente offensivo: 1) un errore comune è quello iscriversi al gruppo in questione solo per poter avere la possibilità di esprimere il nostro disprezzo attraverso un post in bacheca: niente di più sbagliato! Si dà il caso che il gruppo che questa volta ha creato tanto scompiglio sia riuscito proprio anche in questo modo a raccogliere ben 1.300 iscritti nel giro di poche ore. Ciò non solo è inutile, perché non fa chiudere il grup- po e non risolve il problema, ma gli conferisce inoltre più credibilità. Perciò se trovate improprio il contenuto di una pagina non iscrivetevi, fareste solo il loro gioco; 2) segnalate il gruppo: trovate la voce “Segnala la pagina” subito sotto il box contenente il numero dei fan. Segnalando il gruppo ne contribuirete alla cancellazione; 3) se siete proprio decisi a perorare la causa, potete creare a vostra volta un gruppo, contro il precedente, nel quale esprimente tutto il vostro sdegno, ne fate girare il link e se avete validi motivi per volere la chiusura di quel gruppo state certi che in poco tempo molti altri utenti si uniranno a voi; 4) ricordate che anche per i reati su Facebook (diffamazioni, violazioni della privacy, violazioni del di- Il Carducciano - Scripta manent² ritto d’autore, ecc.) sono previste sanzioni, proprio come nella vita reale. Infatti su Facebook, come nel resto della rete, a differenza di quanto talvolta si crede, non esiste anonimato. Qualsiasi cosa scriviate è associata al vostro indirizzo IP, un numero univoco che identifica in una certa ora e data il collegamento ad Internet. Sarà perciò facile per la polizia postale risalire all’autore (in carne ed ossa) e poterlo punire con la chiusura del gruppo o, se considerato necessario, con una sanzione. Spero di avervi fornito dei buoni consigli. La libertà d’espressione è sì essenziale ma altrettanto lo è il rispetto reciproco. La mia libertà finisce dove comincia la vostra [M. L. King]. Pagina 8 Tele-vision di Giada Cardillo, III D La televisione. Il mass media più diffuso in tutto il mondo e probabilmente anche quello più utilizzato. Negli ultimi tempi sorge però spontanea una domanda: questo mezzo di comunicazione è lo specchio della realtà oppure un mondo parallelo dal quale dipendiamo? Sempre più programmi televisivi puntano verso un aspetto estremamente erotico per accattivare gli spettatori. Persino le pubblicità non si tirano indietro da questa nuova “moda”. Le fasce protette sembrano sciogliersi lentamente come cioccolato al sole, in modo che pochi se ne possano accorgere. I bambini in modo particolare stanno subendo e imparando da una realtà finta ed ideale. Effettivamente, sempre più bambine affermano che da adulte vorrebbero fare le veline. Ma cosa sono le veline? Belle ragazze che vengono pagate salatamente per ancheggiare e fare un balletto di nemmeno due minuti. In realtà, il lavoro è sacrificio, studio ed impegno. Certo, anche il loro è un mestiere, ma vogliamo paragonare un’impiegata oppure un insegnante che dopo anni di studio lavora- no ogni singolo giorno per poi ricevere metà della loro paga? La società tende a dare un’immagine errata del mondo. Anche i reality show stanno lentamente traviando le nostre menti. I produt- Il Carducciano²- Scripta manent tori di questi programmi, infatti, sostengono che questa sia la vera Italia. Di conseguenza, è naturale che i giovani, vedendo tutte quelle effusioni gratuite accompagnate da frivolezze amorose, comincino a prendere esempio da quelle persone e crescano senza principi sani e forza spirituale. Facendo ciò, però, mandano allo scatafascio il futuro dell’Italia. È ovvio che gli insegnamenti dei genitori sono fondamentali, ma ad un certo punto della loro vita i giovani cominciano a ragionare con la propria testa ed a costruire il loro stile di vita in base alla realtà che hanno imparato ad accettare. E se la realtà è proprio quella rispecchiata dai reality show, beh, ringraziamo i Maya che ci hanno anticipato che nel 2012 il mondo probabilmente finirà. Pagina 9 Fuori da me di Michela Parlavecchio, I F Eccoti lì. Sei davanti allo specchio, ti guardi ma non ti vedi. Non sei tu quello nello specchio, è il tuo riflesso. Non sei naturale, la tua mente, il tuo corpo sono totalmente condizionati dal sapersi riflessi. È in questi momenti che vorrei uscire dal mio corpo, vedermi da fuori, come se incontrassi uno sconosciuto per strada e riflettessi sull’impressione che mi dà. Sarei curiosa di vedere come mi muovo, come cammino, quale sarebbe la mia espressione, il mio sguardo. Ed incontrandomi, ovvero io incontrando me, abbasserei lo sguardo? Guarderei altrove? Oppure cercherei gli occhi di quella sconosciuta alias i miei? Non lo so, ma so che muoio dalla voglia di saperlo. Certo, esistono telecamere, fotografie, video, registratori e chissà quanti altri apparecchi elettronici capaci di fornirmi una copia di come sono, ma solo una copia. No. A me non interessa la copia. Anche perché, chissà per quale recondita ragione, alla vista di foto o video non mancano mai espressioni quali “che faccia!”, “che orrore!”, “no, no, non è come sembra, non sono io!” accompagnate sempre da un senso di stranezza combinato ad un secondo senso di delusione. Poi c’è l’eterno enigma della voce. Chi non ha mai provato a registrare la propria voce? Il problema non sussiste se la si registra e basta, arriva invece nel momento in cui si decide di ascoltarla. La nostra faccia si fa via via sempre più somigliante a quella di un gufo, cerchiamo le parole giuste per esprimere il nostro disilluso stupore ma indugiamo nell’aprir bocca, temendo il Il Carducciano²- Scripta manent suono che potrebbe uscirne. D’altronde, pensiamo poi, questa voce ci rimarrà per tutta la vita, dobbiamo imparare ad accettarla ed ecco che quindi esterniamo sonoramente la nostra incredulità. Andando poi oltre all’esteriorità, vi siete mai chiesti se vi stareste simpatici? Paradossalmente, o forse neanche tanto, noi siamo incapaci di giudicare noi stessi. Forse è per questo che ho sempre odiato descrivermi, al contrario ho sempre trovato interessante sentire come gli altri mi descrivono, perché ho avuto modo di scoprire un’immensità di cose sul mio conto che ignoravo completamente. Per quanto possa essere il tempo che dedichiamo a noi stessi, per quanto pensiamo al nostro modo d’essere, potremmo solo ottenere un’idea vaga di noi e inevitabilmente di parte. Ci manca la conferma visiva, l’impressione a pelle. Ed è proprio questo che avvolge il tutto a metà tra mistero e fascino. Noi, siamo noi stessi le persone che meno conosciamo. Pagina 10 Leggere... per leggere di Francesca Taverna, IV A Qualcuno si è mai chiesto cosa significhi realmente leggere? Per capirlo esattamente, bisogna riflettere un attimo sulla lettura, su cosa sia e sul perché essa sia stata, secondo me, ultimamente un po’ svalutata e mal interpretata. La maggior parte delle persone la giudica noiosa, un’attività per i cosiddetti “topi di biblioteca”. Nel tempo si è creato lo stereotipo che la lettura sia solo quella prettamente correlata alla scuola, cioè che sia solo un compito, magari più piacevole, ma pur sempre un compito. Io sono dell’opinione che non bisogna leggere per forza un libro dalla trama che non piace, ma credo anche che, solo perché un libro sia di grande dimensioni, non vada scartato a priori ed etichettato come “pesante”. C’è chi pensa che dai fumetti non s’impari nulla e chi che i grandi classici siano noiosi solo perché scritti in età meno recente. Credo che questo ragionamento non sia valido, perché comunque qualsiasi libro si legga si può imparare sem- pre qualcosa: parole nuove, storie appassionanti e si approfondisce la propria cultura generale. La lettura è una cosa molto personale, perché ad ognuno piacciono argomenti diversi e perché leggendo, in fondo, si immagina quello che si vuole. È paragonabi- le ad un film: si può immaginare un determinato paesaggio o una determinata persona, degli effetti speciale, informazioni non scritte o implicite che ognuno è libero di interpretare come vuole; inoltre, ci sono argomenti proprio per tutti i gusti, dai fumetti ai grandi classici, dai romanzi d’amore ai thriller e così via. Il Carducciano²- Scripta manent Ora ci troviamo nell’era dell’elettronica, tutti possiedono un computer o un televisore se non di più e in parte, anche per questo motivo, i libri sono stati sostituiti dagli schermi. La gente siede più spesso davanti al computer per varie ragioni: alcune molto valide, altre molto futili. La maggior parte del tempo libero viene sfruttata così. Forse le immagini sono più immediate rispetto alle parole, forse leggere è più faticoso, non so. Quello di cui sono sicura, però, è che molti si negano il piacere di sfogliare le pagine, di sognare in questo modo: cambiamenti, amori, amicizie, dolori... di vedere un mondo nuovo, pieno di fantasia, di sogni, forse irrealizzabili, ma che danno una carica in più nel profondo di noi stessi. Credo che senza le persone pratiche il mondo non funzionerebbe, ma senza le persone piene di speranza il mondo non progredirebbe. Un consiglio a chi lo vorrà ascoltare: concediamoci il piacere di spulciare un libro, fa bene alla salute (degli occhi e dell’anima)! Pagina 11 Lettera di un marziano di Ginevra Tarascio, I F Salve, sono un marziano e vengo da un pianeta molto lontano. Mi piacerebbe tanto provare a discutere con un terrestre qualunque, e capire. Sì, capire. Vorrei che qualcuno mi aiutasse a comprendere com’è fatta la mente di voi terrestri. Voi che fate la guerra, che rubate, che imbrogliate, che vi ammazzate fra voi. Ma soprattutto che mancate di rispetto ad ogni cosa, a voi stessi per primi. Che su un ottuso e futile sito Internet sprecate del tempo a disprezzarvi l’un l’altro. A disprezzare ciò che vi circonda. Il Governo, i politici di entrambe le fazioni. Non avete più rispetto nemmeno per la religione; già perché ognuno ha il sacrosanto diritto di pensare ciò che vuole, ma insultare, insultare una religione... ha veramente del surreale. Voi che vi dite aperti a nuove culture, che vi dite colti. E che per prima cosa disprezzate la vostra cultura. La vostra religione non ha forse diritto di essere trattata come tutte le altre? Cristianesimo, Islamismo, Ebraismo. In fondo, cosa importa? Perché sprecate il vostro tempo a prendervela con un Dio che tanto non vi ascolta!? Pensate che anche solo uno dei politici che tanto infangate, un giorno vedrà ciò che avete scritto, o detto, e si sentirà menomato? Pensate che pubblicando idioti post sul web cambierete qualcosa? Che intasando la bacheca di Facebook di tutti quelli che chiamate amici, di cui la metà nemmeno avete mai visto, otterrete qualcosa? Lo chiamate sfogo? Lo chiamate scambio di opinioni? In un mondo dove nessuno ascolta nessuno pensate che esista un confronto dialettico? In un mondo dove ormai si ha paura di esprimere la propria opinione, pensate che Il Carducciano²- Scripta manent esista una libertà di parola? In un mondo dove si viene continuamente etichettati, dove si viene definiti ignoranti se non la si pensa come la massa, pensate davvero che si possa realmente vivere? Non riuscite a guardare lontano. Potete dirvi disponibili quanto volete, ma siete comunque pieni di pregiudizi. Che siano contro una razza diversa, che siano contro gli omosessuali, che siano contro il Vaticano, Gesù, Berlusconi o Bersani, siete comunque pieni di pregiudizi, e giudizi. Siete liberi di esprimervi, ma di oltraggiare, ed insultare... ne siete orgogliosi? Pensate che sia giusto? Che corrisponda alla sana, vecchia idea di Dike (δίκη, amata δίκη)? Voi, che vi dite persone corrette, per favore, basta. Basta giudicare, basta insultare, basta incitare alla violenza. Esprimete le vostre idee civilmente. Pagina 12 Rubrica musicale a cura di Andrea Cirimbelli, III A Alice in Chains di Andrea Cirimbelli, III A Tra le cose per cui sono grato all’America ci sono la Coca Cola, le serie tv prodotte durante i mandati di Reagan e gli Alice in Chains. Parliamo di loro. Il gruppo di Seattle si distingue dai coetanei e concittadini Pearl Jam, Nirvana e Soundgarden per la propria provenienza dalla tradizione glam-metal. Queste radici determinano l’intera produzione degli Alice e veicolano un mal di vivere attraverso toni, non solo cupi, ma aggressivamente disperati. Nella loro musica, la chitarra (Cantrell) ruggente, cupa e distorta, spalleggia la potenza del timbro nasale di Staley. L’abitudine era di registrare la sua voce più volte; si creavano così dense stratificazioni vocali che ci lasciano oggi il lamento di un uomo afflitto dalla solitudine. Anche la struttura dei loro brani ci aiuta a comprende- re una carriera volta a cantare la propria angoscia, celebrazione che non giustifica le dipendenze, una messa dello sconforto insomma. Le loro canzoni, specialmente in album come “Dirt” sono costruite in modo semplice, lineare e quasi sempre nello stesso modo. Nulla cambia mai la propria condizione, senza tornare poi allo stadio iniziale. Tutto ciò che riesce a decollare per prendere un respiro, ritorna a urlare lo strazio, l’angoscia di una nauseabonda dipendenza. E non c’è forse concomitanza tra questi salti dinamici meramente strutturali e il Il Carducciano²- SOLo MIe conSIderazioni rapporto con l’endorfina, che si libera, che non c’è più, che deve tornare? Così funzionano brani come “God Smack”, inasprito dal tremore vocale di Staley, e “Hate to Feel”, nel quale è sempre dato uno spazio per ossigenare una strofa che non respira; il superbo assolo di chitarra e l’incremento dinamico che si accinge a chiudere il pezzo, si liberano in un’eiaculazione delirante e breve; il piacere, loro lo sanno, dura poco. Nel loro tentativo acustico del 1994 “Jar of Flies”, i ruoli affidati ai momenti in un singolo brano si invertono. Le chiusure non rammentano l’angoscia ispiratrice, ma sono carezze. Alla paranoia ed alla claustrofobia rimane lo spazio di qualche parentesi. Lo considero un atto di coraggio da parte dell’antieroe di fine secolo che non chiede compassione. Pagina 13 Non tutte le banane sono uguali di Lisa Ilaria Maiorca, I F Forse non tutti hanno presente quella “simpatica” banana che fa da copertina al primo album dei Velvet Underground, ma forse non tutti conoscono questo gruppo musicale che si formò a New York durante la metà degli anni ’60. La band nacque dall’incontro tra lo studente Lou Reed e John Cale, un musicista di musica d’avanguardia. L’incontro tra queste due menti portò alla formazione di una band che proponeva un rock diverso, fuori dagli schemi e dagli standard dell’epoca che cercava di alternare e di fondere melodie soavi e dolci con ritmi veloci e ossessivi. I temi dei loro testi trattavano argomenti come la morte, la droga e la solitudine: temi molto forti che in quell’epoca erano considerati tabù. A causa di ciò, il gruppo non ebbe particolare successo, finché l’artista Andy Warhol, che li aveva conosciuti e aveva riconosciuto in loro talento, decise di produrre il loro primo album. Warhol apportò qualche modifica al gruppo: per e- sempio, affiancò alla band la voce di una modella tedesca di nome Nico. Qualcuno potrebbe pensare che tutto quest’inciso sui Velvet Underground non cent ri nulla co n la “simpatica” banana citata all’inizio, ma non è così, poiché proprio quella “simpatica” banana fu la co- pertina del primo album dei Velvet uscito nel 1967. La particolarità della copertina, che fu ideata e disegnata interamente da Andy Warhol, consisteva che, nelle prime copie dell’album, era disegnata solamente questa banana e in basso, sull’angolo del vinile, era presente una frec- Il Carducciano²- SOLo MIe conSIderazioni cia che indicava di “sbucciare” la copertina. “Sbucciata” la copertina, compariva la polpa della banana rosa shocking (da qui l’espressione peel slow and see, cioè sbuccia lentamente e guarda). Questa “opera” fu una chiara provocazione, un segno di trasgressione che Andy Warhol aveva creato per descrivere la band in quanto alternativa e anche trasgressiva. Era la prima volta, infatti, che un simbolo così esplicito veniva pubblicato su una copertina di un album. Purtroppo le stampe furono interrotte a causa degli alti costi di produzione e la copertina che si pubblicò in seguito presentava solo la banana gialla. Altri disguidi tecnici ritardarono l’uscita dell’album, cosicché il disco ebbe un successo tardivo ma comunque molto grande. Ancora oggi la band viene associata alla banana della copertina e la banana viene ritenuta come una grande opera molto apprezzata. Pagina 14 Sanremo 2010 di Anna Schönsberg e Maria Ben Errabeh, IV A In questo periodo, camminando per le strade, sfogliando i giornali, accendendo la radio o chiacchierando con gli amici si sente parlare solo di Sanremo. Clerici, Morgan, Filiberto, Pupo o Marco: chi avrà la prima pagina oggi? Tra regine della musica e non, principi senza corona che cercano di diventare i re dello spettacolo alimentando scandali che passeranno alla storia, abiti esageratamente stretti e piedi doloranti, qualche vero artista (o quasi) è riuscito ad affermare la propria arte, mantenendola incontaminata dal virus della stupidità che ormai ha contagiato tutti. Merita di essere nominata Malika Ayane che, nonostante il razzismo che aleggia oggi in Italia, è riuscita ad affermarsi contando solo sulle sue capacità artistiche. Due parole vanno spese anche a favore della Clerici, che ha reso queste quattro serate allegre, mo- Il Carducciano²- SOLo MIe conSIderazioni vimentate e sempre imprevedibili, attirando con i suoi ospiti milioni di spettatori. Una nota di merito va al pubblico e all’orchestra dell’Ariston che, dimostrando un certo spirito di critica, ha fischiato (a nostro dire) la vergognosa classifica finale. Alla fine dobbiamo ammettere che, sotto sotto, è stato utile, se non per le canzoni, almeno per renderci conto di quanto l’Italia abbia ancora per progredire. Pagina 15 Rubrica sportiva a cura di Luca Casagrande, II F Lo sport… specchio della società? di Paolo Cuccurullo, III D Con il termine sport s’intende un’attività che può essere sia di gruppo sia individuale si basa sul rispetto del prossimo, sulla lealtà e su di un clima pacifico in cui dovrebbe essere evitato qualsiasi battibecco. Infatti, in origine tale fenomeno di pace e lealtà era presente nella maggior parte degli sport ma, negli ultimi decenni, purtroppo, la situazione è degenerata. Il clima pacifico iniziò a guastarsi anche a causa di famose discussioni secondo le quali, a livello agonistico, alcune squadre erano soggette più di altre a favoritismi arbitrali. Nacquero così grandissimi scandali come Calciopoli che dimostrarono la facile corruttibilità di questo mondo che sino ad allora si riteneva indipendente e a sé stante rispetto alle situazioni politiche della società moderna. Tuttavia si può parago- nare un dato sport ad uno specchio che riflette senza mezzi termini la società in cui esso opera. Basti guardare il mondo del calcio che, soprattutto in Italia, si sta rivelando un mondo senza disciplina e regolata da flebili leggi. Tali problemi persistono, infatti, anche nella società italiana in cui vi sono sempre più soprusi, e la legge spesso si rivela inconsistente: in certe zone della penisola, essa pare esser debole a tal punto che ognuno si sente libero di fare ciò che gli pare e piace, in barba alla legge. Non è un caso infatti che negli stadi italiani le persone si insultino, corrano e inneggino cori sfottò di tipo razzista piuttosto che diffamatori indirizzati a giocatori e tifoserie avversarie. Questi avvenimenti, però, non si presentano in tutt’Europa. L’Inghilterra infatti, nonostante sia nota per i suoi Il Carducciano²- Carducci Sport hooligans, proprio grazie alla rigidità delle sue leggi, costringe il pubblico a comportarsi in un determinato modo tale da instaurare un rapporto di rispetto reciproco tra tifosi, calciatori e poliziotti. Gli stadi infatti furono rivoluzionati al fine di apportare nuove modifiche alle strutture: tali modifiche consistevano in un impianto di videosorveglianza, nella numerazione dei posti e nella creazione di un pubblico ufficiale che badasse alla folla e che controllasse i suoi atteggiamenti con severità. Non a caso, ciò accade in Inghilterra, dove la legge viene rispettata molto di più che in Italia e dove, se si sgarra, la percentuale di finire nei guai è decisamente alta. Tengo a precisare che quest’articolo non è una critica alla società, bensì esso vuole sostenere la tesi secondo la quale, se succedono scontri negli Pagina 16 stadi in cui persone innocenti perdono la vita, beh, la colpa non può essere sempre e solo scaricata su queste persone poiché, a parer mio, se queste fossero cresciute con un buon esempio di sportività e fratellanza, ciò non sarebbe mai accaduto. Infatti, l’intento dello sport era ed è tutt’ora quello di riunire sotto i colori di un’unica bandiera persone di diverse estra- zioni sociali, culturali e politiche. Sarebbe bello, infatti, che tutti gli sport prendessero esempio dalla dimostrazione di lealtà e rispetto di quello che secondo me si può definire lo sport per antonomasia: il rugby. Esso è uno degli sport più violenti in assoluto in cui il contatto fisico gioca un ruolo importantissimo ma, nonostante tutto, a fine partita, questi giocato- Il Carducciano²- Carducci Sport ri sembrano lasciar perdere tutti i disguidi e le discussioni avute in campo con gli avversari dimostrando un chiaro esempio di sportività e maturità mentale. Questo dovrebbe essere l’obiettivo di ogni persona appassionata di sport che, sono sicuro, darebbe di tutto per poter assistere ad una partita di pallone senza dover vivere nel terrore che succeda qualcosa di spiacevole. Pagina 17 L’Olympiastadion, un palcoscenico di grandi eventi di Luca Casagrande, II F La 2^ liceo prevede, come gita, un soggiornostudio nella capitale europea Berlino; per gli appassionati di sport è un’ottima occasione per visitare l’Olympiastadion, campo di calcio ufficiale dell’Herta Berlino, squadra meditante nella Bundesliga, nonché ogni anno palcoscenico di importanti avvenimenti. più coinvolgenti Olimpiadi di tutti i tempi (più di 4 milioni di biglietti venduti, NDR), e il motivo fu la decisione di scegliere, come città ospitante, quella che aveva come Cancelliere Adolf Hitler. Epocale fu infatti la rinuncia da parte della Spagna di prendervi parte e la sua conseguente proposta di introdurre lo stesso anno dei giochi alternativi nel pa- Costruito nel 1936 in occasione dei giochi olimpici, l’Olympiastadion rappresenta uno dei cinque monumenti sportivi più incantevoli e importanti della Germania. Il progetto, elaborato dai fratelli Werner e Walter March sotto la visione del Ministro degli Interni Hitler, include un grande complesso: un’arena, uno stadio, una piscina olimpica, il Waldbuhne, cioè un popolare teatro costruito per ospitare competizioni olimpiche di ginnastica e spettacoli culturali, e un campanile alto 70 metri. Nonostante i molti sforzi effettuati e i numerosi soldi versati per la costruzione, molte furono le polemiche che precedettero una delle ese iberico. Nonostante ciò, l’Olimpiade di Berlino ebbe inizio e si concluse con il dominio assoluto tedesco, ma soprattutto con la quadruplice vittoria di James Cleveland Owens che tanto sdegnò il Fuhrer da farlo abbandonare precocemente lo stadio. Un altro evento storico che ospitò l’Olympiastadion fu la finale di calcio dei Il Carducciano²- Carducci Sport Mondiali del 2006 tra Italia e Francia. Chi è che non si ricorda di questo indimenticabile avvenimento? Una finale mozzafiato, conclusa dal rigore decisivo di Fabio Grosso e dal successivo sollevamento della Coppa del Mondo. Una festa durata giorni e che ha legato tra loro milioni di italiani urlanti di gioia e fieri di vedere la loro nazionale sul gradino più alto del podio. Questi erano solo due dei più grandi eventi ospitati dall’Olympiastadion, ma in realtà ce ne sarebbero molti altri da descrivere dal momento che molteplici sono gli avvenimenti che ogni anno ospita questo stadio: da concerti a eventi mediatici, passando per manifestazioni sportive e opere; e sebbene questi siano completamente differenti tra loro, una cosa sola li accomuna, l’atmosfera elettrizzante e partecipe di 76.000 persone calorose che rendono la serata magica, un po’ come è successo la notte del 9 luglio 2006! Pagina 18 Le frasi più belle del calcio di Luca Casagrande, II F Da un po’ di tempo su Facebook sta spopolando il gruppo “le frasi più belle del calcio” che racchiude le più celebri frasi del mondo del pallone. Ecco alcune delle tante affermazioni degli sportivi: - Inzaghi è nato in fuorigioco! (Alex Ferguson) mi chiedo è in che modo esultare. (Frank Lampard) - Non ho bisogno di una fascia per sentirmi un leader! (Sebastian Frey) - Un cavaliere non lascia mai la propria signora. (Alessandro del Piero) - Una partita senza gol è come l’amore senza bacio. (José Altafini) - La porta da calcio è come la porta di casa mia, non può entrare nessuno! (Benji Price) - Ci sono giocatori che con i soldi guadagnati si comprano yacht, io con quei soldi mi sono comprato la maglia del Livorno. (Cristiano Lucarelli) - Se stessi con un vestito bianco a un matrimonio e arrivasse un pallone infangato, lo stopperei di petto senza pensarci due volte. (Maradona) - Quando vado sul dischetto la prima cosa che - Come si fa a fischiare Messi? Messi è il calcio! Il Carducciano²- Carducci Sport (Massimo Marianella, telecronista SKY) - A Serginho non piace giocare terzino perché non si diverte? Dopo lo porterò al cinema. (Carlo Ancelotti) - Ho visto un calcio in cui certi liberi tiravano una riga vicino alla loro area e dicevano “se la passi ti spacco”. (Gigi Riva) Tratto da: http://www.facebook.com/ pages/Le-Frasi-piu-Belledel-Calcio/291150293143? ref=mf Pagina 19 Cronaca del Liceo Classico Linguistico Giosuè Carducci E le macchinette? Troppa gente... di Maria Ben Errabeh, IV A Andare a scuola con l’idea di copiare i compiti durante la pausa è normale, ma non semplice come potrebbe sembrare. Dieci minuti bastano a malapena per prendersi un caffè (che sarà finito di bere sotto gli occhi infuriati del professore), per trovare l’amica con cui dovresti parlare oppure, per la stragrande maggioranza dei ragazzi, per prendere un panino o un cornetto, spesso ritrovandosi ancora al primo morso quando la campanella è già suonata da venti minuti. Appena suona la campanella della prima pausa, tutti quanti si fiondano fuori dalla classe precipitandosi giù per le scale e sbattendo contro ragazzi e professori, inciampando, per poi rialzarsi nonostante i numerosi graffi e le enormi botte ed arrivare infine al piccolo pianerottolo dove “il tipo delle merende” ha sistemato con tanta cura quello che noi studenti sbraneremo con avidità durante le lezioni oppure, nel migliore dei casi, lungo i cor- ridoi mentre si ritorna alle sedie troppo calde e alla noia che ci circonda perennemente in classe. La pausa finisce e tutti si guardano intorno, stanchi e sudati, delusi ancora una vol- Il Carducciano²- Via Manci 8 ta perché non sono riusciti a copiare gli esercizi di latino, greco o tedesco che si erano ripromessi di prendere dal vicino di banco. “Vabbè, andrà sicuramente meglio la prossima volta…” pensiamo, ma ogni volta è come la precedente. E i più furbi secondo voi cosa fanno? Si portano la torta di mele fatta dalla nonna? No. Vanno alle macchinette? Nemmeno: c’è troppa gente e poi non danno il resto. Loro ingaggiano qualcuno che sia disposto a mettere a rischio le proprie costole e ad azionare i gomiti per farli affondare nelle viscere altrui per farti un favore e salvarti l’esistenza, almeno per oggi: tanto domani tocca a te! Pagina 20 Io lì c’ero davvero... di Ilaria Casini, III D “Carducci trasloca” è la pura verità, è la realtà, è già successo. Non dico che non me ne fossi accorta, diciamocelo, è stato il nostro argomento di conversazione preferito negli ultimi mesi, ma, in fondo, si è rivelato lo stesso qualcosa di inaspettato. E adesso il meglio che possiamo fare è ricordare, perché “chi non ricorda bene il passato è vecchio già oggi” e allora tutti noi, gli “studenti di qualità dal 1972”, dobbiamo ricordare, esattamente come quei ragazzoni del ’72 hanno fatto per tutto il sabato g i r o va g a n d o immersi in un’altra dimensione per i corridoi del nostro liceo. Un sano “Esercizio di memoria”, ricordate? Eravamo sospesi nel tempo, 1940, inebetiti forse dall’odore delle vernici, 1960, circondati da un mondo coloratissimo, un po’ viaggio in LSD, 1970, frastornati dalla musica e dal ritmo sferzante, 1980, dai ricordi lontani e vicini, 1990, vicinissmi, 2000. La gente parlava, i muri discutevano attraverso le parole di mille illustrissimi intellettuali. Le finestre chiacchieravano allegramente, le scale domanda- vano e le “voci di corridoio” correvano incessantemente. La nostra vecchia catapecchia era vecchia davvero, una scuola tirata su dai ragazzi, e non solo quando fu costruita, ma sempre, una scuola che è sempre stata gestita da milioni di studenti intraprendenti pronti a dare anima e corpo perché essa fosse la migliore, era una “scuola malata”, ma la vuoi forse biasimare? Lei non si è mai abbassata a compromessi, e se lo ha fatto non era sua intenzione. Il suo scopo era quello di creare persone, predicava greco e latino e poi ha capito che “prima bisogna imparare il latino e poi bisogna dimenticarlo” e così ha ingaggiato il tedesco, l’inglese e il francese e “il mondo è (diventato) bello perché Carducci!”. E quell’uomo, quel famigerato Carducci che al Festival viene scagliato a destra e a Il Carducciano²- Via Manci 8 manca da mille urla, che viene elogiato, insultato, ripetuto ad ogni applauso, che è sulle bocche di tutti noi, lui non ha fatto altro che rimboccarsi le maniche, afferrare il suo carrettino e attraversare la strada. E adesso noi siamo qui un po’ confusi, con una vaga crisi d’identità che ci costringe a girovagare ad ogni pausa per questo palazzo che non ci appartiene. Gli infiniti corridoi che si ricurvano in angusti angoli, le scale a tre rampe che ci mozzano il fiato, la sede staccata che incredibilmente è ancora più staccata di prima. Eppure noi imperterriti continuiamo a gridare “Carducci!” a squarciagola, forse anche più degli altri anni per far capire che ci possono anche sbattere fuori dalla nostra vecchia dimora, ma noi rimaniamo sempre i soliti classicisti un po’ egocentrici, con una certa punta di autocompiacimento, ma in fin dei conti è ciò che dobbiamo fare per salvaguardare il nostro eterno fascino. Allora “Grazie Giosuè” per esserti ricordato di caricare sul tuo carretto l’incomprensibile affresco, che forse, se era per noi, lasciavamo anche quello al ricordo. Pagina 21 Rubrica moda a cura di Anastasia La Sala e Ginevra Tarascio, I F Andy Warhol, “una persona profondamente superficiale” di Anastasia La Sala, I F Andy Warhol (vero nome Andrew Warhola) nacque nel 1928 a Pittsburgh, in Pennsylvania, da genitori cecoslovacchi immigrati. Warhol fu uno degli artisti più contestati e aspramente criticati della sua generazione. Questo perché l’artista scelse di puntare le luci sul consumismo americano e di innalzarlo e propagandarlo con le sue opere, proprio quando si cercava di lottare contro di esso. La carriera di Andy cominciò a New York, dove lavorò come grafico pubblicitario per tutti gli anni Cinquanta. Nel 1952 tenne la sua prima mostra alla Hugo Gallery di New York, dove esibì quindici disegni ispirati ai racconti di Truman Capote. Inoltre, sempre in questi anni, Warhol disegnerà scenografie teatrali e illustrerà le opere d’importanti scrittori e poeti. Nel 1957 l’artista fondò la “Andy Warhol Enterprises”, un’azienda che aveva lo scopo di commercializzare le sue opere, già diffuse dai mass media per la ripetizione e l’uniformità seriale delle immagini. I suoi soggetti erano mezzi di consumo industriale. Negli anni Sessanta Warhol diventò un’autentica star. Egli definiva l’artista “qualcuno che produce cose che le persone non hanno bisogno di avere” e accusava ed esaltava allo stesso tempo la società massificante, di cui egli stesso si proponeva come integrato e consumatore. Warhol fu uno dei maggiori esponenti della Pop art americana, una corrente artistica che si sviluppò negli USA proprio in questo periodo e che rivolge la propria attenzione agli oggetti, ai miti e ai linguaggi della società dei consumi. Il nome Pop deriva da “popular”, non in quanto arte del popolo, ma in quanto arte di massa, cioè prodotta in serie. E poiché la massa non ha volto, l’arte che la esprime deve essere il più possibile anonima: solo così potrà essere compresa e ac- Il Carducciano²- Creative Nook cettata dal maggior numero di persone. La Pop art è in contrapposizione alle correnti dell’Impressionismo ed Espressionismo e guarda invece al complesso degli stimoli visivi propri della vita quotidiana dell’uomo contemporaneo: il cosiddetto “folclore urbano”. Sono proprie della Pop art le forme più popolari di comunicazione, come il fumetto, la pubblicità e i quadri in serie. Tra il 1960 e 1961 Warhol scoprì i dipinti di Lichtenstein ispirati ai fumetti, e quasi contemporaneamente iniziò anche la serie delle scatolette di zuppa Campbell, delle bottigliette di Coca Cola e quella dei ritratti di Marilyn Monroe, di Elvis Presley e di altri personaggi dello spettacolo e della politica. La tecnica usata da Warhol fu quella del riporto fotografico, con i violenti colori industriali della stampa in offset che dissacrava il concetto di unicità dell’opera d’arte, creando un procedimento artistico Pagina 22 meccanico. Egli, inoltre, sarà autore di film e cortometraggi sulla stessa tematica che realizzerà insieme ai collaboratori del suo studio, la famosa “Factory”, dove si svolgevano le attività artistiche e mondane del gruppo della Pop Art. Tra i suoi collaboratori ricordiamo Edie Sedwick, carismatica ereditiera e bellissima icona pop degli anni Sessanta, musa di Warhol che fece di lei una star. L’arte di Warhol ebbe un’enorme successo di mercato, e le sue opere furono esposte in tutto il mondo: alla Documenta 4 di Kassel, a Montreal, Osaka, Pasadena, Chicago, Londra, Parigi e New York. I suoi happening multimediali, le sue produzioni di video e progetti televisivi, i suoi ritratti di divi di Hollywood e le sue pubblicazioni continuarono per tutti gli anni Settanta e Ottanta, fino a quando, dopo aver realizzato Last Supper, ispirato all’Ultima cena di Leonardo, che fu esposto a Milano, Warhol morì nel 1987 in un ospedale di New York in seguito a un’operazione chirurgica alla cistifellea. Verrà sepolto a Pittsburgh, dove nel 1990 nasce l’“Andy Warhol Museum”. Il Carducciano²- Creative Nook Oggi la Pop art diventa moda e stilisti come il mio amato Jeremy Scott creano intere collezioni dedicate a questa corrente artistica con un’esplosione di colori, forti contrasti e forme ispirate ai cartoons, ma senza mai cadere nel banale. Oggi indossiamo le icone che Warhol ci proponeva allora, come la sua Marylin, la Coca Cola, James Dean o il suo barattolo Campbell. Andy Warhol disse: “Non è forse la vita una serie d’immagini, che cambiano solo nel modo di ripetersi?”. Non so voi, ma io in questa affermazione ci vedo uno spesso fondo di verità. Pagina 23 Lutto nel mondo della moda, addio Alexander! di Ivan Allegranti, II A Con immenso dolore, i fashion fans e tutto il fashion system hanno appreso la morte di Alexander McQueen, icona della moda internazionale. È stato ritrovato privo di vita nella sua abitazione, nel West End di Londra. Aveva 40 anni. Sulla sua fine sono state fatte varie ipotesi, fra cui il suicidio... Ma che importa? Un altro mito del nostro tempo è scomparso. Il genio di McQueen stava nel mescolare l’alta sartoria e le sue personali ossessioni in abiti inquietanti ma allo stesso tempo favolosi; i quali, spesso, lasciavano dapprima attoniti gli spettatori che assistevano alle sue sfilate, ma che poi finivano per stregare critici e compratori: basti pensare alla sua ultima collezione autunno-inverno, presentata da modelle con visi così trasfigurati che a malapena si potevano riconoscere. Molto bella, a mio parere, è la sua collezione primavera-estate 2010, che Alexander volle chiamare “Plato’s Atlantis Collection”, vestiti coloratissimi e pratici da indossare, dai quali spiccava l’ottima sartorialità; anche se le calzature, con tacchi alti fino a 40 centimetri, hanno messo a dura prova l’equilibrio delle modelle (Snejana Onopka e altre modelle, in- Il Carducciano²- Creative Nook fatti, si sono rifiutate di sfilare). Lo stilista inglese trasferiva in passerella i propri sogni, ma anche i propri incubi. Gay dichiarato, ebbe una vita apparentemente normale e laboriosa, tuttavia devastata spesso dall’ansia e oppressa dall’inquietudine. Fu direttore creativo per Givenchy e per Romeo Gigli, e i suoi capi oggi sono adorati dallo star system, come la famosa Lady Gaga. “C’è sempre stata un’attrazione fra lui e la morte, le sue collezioni erano come disumanizzate” dice Karl Lagerfeld. “Alexander Mc Queen, un vero cattivo genio!” ha detto la cantante Estelle. Pagina 24 Qualche consiglio primaverile di Ginevra Tarascio, I F Finalmente la primavera. Quanto l’abbiamo aspettata, e, incredibile, è arrivata. Ieri era Natale, l’altroieri era Halloween e oggi è Pasqua. Domani sarà il 2 giugno!? Ecco quindi qualche veloce consiglio per affrontare la nuova stagione con un po’ di stile. Premessa: non ho la presunzione di essere migliore di nessuno, ma l’idea di (forse) portare un poco di moda anche nei cuori di chi apparentemente non è interessato, mi entusiasma! I colori della stagione: (purtroppo, per alcune) tonalità neutre e chic, cipria, pelle, perla, beige sabbia. Per le amanti dei colori un po’ più accesi sono tornati verde e blu, ma sempre in toni poco squillanti ed accesi. Ovviamente è ancora in pole position lo stile retrò. Abbiamo le amate camice larghe e capienti, a fantasia (ma evitiamo i quadri, ormai sono out), o monocolore. Quest’anno impera il denim, chiaro o scuro non importa. Le camice di jeans sono il must della collezione primavera-estate. Cercate nei vecchi armadi delle mamme, sicuramente ne troverete un’ampia scelta, giunta direttamente dagli anni ’80-’90. Da evitare accostamenti impropri con pan- taloni neri, o colorati. Ok con panna, beige, cachi. Ancora giacche over-size, di cotone, a spalle rigorosamente larghe; da indossare con sotto vestiti, o magliette effetto sdrucito. Da evitare assolutamente magliette o felpe aderenti. I jeans alla caviglia, o sopra, senza rimborso in fondo. Possibilmente chiari, o comunque scoloriti, al top con i mocassini (colorati e non). A cavallo basso e appena sopra la caviglia sono al top. Cercare di essere fantasiosi, ma senza esagerare ovviamente. Troppi colori sono distruttivi, e assolutamente out. Quest’anno impera lo stile trasandato-chic, fatto di colori che Il Carducciano²- Creative Nook definirete smorti. Francesine stringate ancora alla moda. Foulard colorati, pashmine ampie a fantasia (e qui di nuovo, potete trovare delle vere chicche nei vecchi guardaroba inutilizzati). Cercate, cercate sempre nei vecchi armadi perché non avete idea delle meraviglie che vi si nascondono! Anche se vi sembra che una cosa sia dannatamente fuori moda, ricordate che potete sempre contare sull’aiuto della sarta (o per i fortunati, della nonna o della vecchia zia gattara ed amante del cucito) per sistemare anche i capi più impensabili. Quindi cercate, cercate, cercate. Non spendete mai tanti soldi per un capo di moda, tanto non vi servirà più. Cercate cose in, e low cost. Per i pezzi classici magari permettetevi di spendere qualcosa di più! Ovviamente ciò che ho appena detto è una norma che in qualunque giornale di tendenza è costantemente ripetuta, ma mi auguro che anche chi non provi interesse magari si possa incuriosire e decida di dare una sbirciatina (seppure piccola) a questo mondo meraviglioso ed artistico: la moda. Pagina 25 Rubrica cinema a cura di Ilaria Casini, III D I cult di Ilaria Casini, III D Cosa rende un film un “cult”? Allora, prima di tutto prendiamo in considerazione la parola in sé stessa. Cult viene dall’inglese ovviamente, letteralmente starebbe per culto, ma in arte vuol dire “opera particolarmente apprezzata e ricercata da appassionati di un genere artistico”. Quando un film diventa cult, però, non diventa solo un’opera ricercata e apprezzata, tantissimi film sono apprezzati, ma pochi sono cult. Un’icona, un simbolo, ecco cosa vuol dire un film cult. I film che sono diventati culto della cinematografia ci sono riusciti perché analizzavano un’epoca. Portavano incisi sulla pellicola i problemi, le discussioni, le incertezze di un certo periodo. Sono diventati intramontabili perché grazie ad essi si continua a ripercorrere un certo periodo di storia. Attenzione però, non devono essere necessariamente film storici, come l’infinita serie che è arrivata dall’Olocausto, dalla Gran- de Guerra, e da tutti quei personaggi che hanno scritto la Storia. Un film icona di un’epoca deve dare voce ai tabù del suo tempo, deve guardare al futuro, deve sfidare la censura, apparire scandaloso, eccessivo, anche volgare se necessario... altrimenti come potremmo ricordarlo? Quando l’ombra della Shoa incombeva su tutta l’Europa, nel 1940 Charlie Chaplin ha reso la persona più spietata del tempo un attore comico. Lo ha fatto ballare con un mappamondo, lo ha fatto inciampare, sputacchiare e lo ha fatto litigare con dei microfoni... Il Grande Dittatore, ma vi rendete conto?! Quello stava sterminando mezza Europa e Charlot lo faceva scivolare giù dalle tende e incespicare sul lettino del barbiere! Rimanendo su Charlie “genio” Chaplin, soltanto quattro anni prima di prendere spudoratamente Hitler per il “naso”, si era incastrato in mezzo a enormi ingra- Il Carducciano²- Cinemania naggi di chissà quale macchinario, ipnoticamente ossessionato da un unico gesto, pazzo compulsivo costretto a stringere bulloni ripetitivamente dimenticandosi per così dire di avere un cervello e dei sentimenti, diventando uno stereotipo di perfetto lavoratore, trasformandosi in una macchina lui stesso. Era il 1936. La Macchina avrebbe rivoluzionato i Tempi Moderni, sottomettendo l’uomo, privandolo della sua umanità e del suo pasto, come ci mostra Charlot vittima della sperimentazione dell’automatica da alimentazione, ovviamente mal funzionante. Saltando di una trentina d’anni, perché non posso parlare di tutto il XX secolo, vi propongo un film che è ancora oggi ritenuto “particolarmente colorito, frivolo e scostumato”, ma The Rocky Horror Picture Show, Dio solo sa perché è un film eccezionale! Ok, non è un film, è un musical, è un viaggio, è coPagina 26 me entrare in un altro mondo e uscirci diversi (con calze a rete e chili di rossetto rosso magari!). Anni ’70, rivoluzioni e proteste all’ordine del giorno, ma ancora sani e rigidi modelli da seguire e questo film che irrompe nelle sale, sbaraglia tutto e tutti diventando l’evasione per milioni di persone. Andare al cinema a vedere un protagonista uomo strizzato in un corpetto, in autoreggenti a rete e tacchi vertiginosi, coperto da chili di trucco, con una parlata provocatoria, movimenti sinuosi e con un orientamento sessuale più che libero e aperto a nuove esperienze, proveniente da Transexual, Transilvania, era l’appuntamento perfetto. Questo è un cult. Ragazzi che andavano al cinema cinque, sei, dieci volte di seguito solo per rivederlo, per rivedere la vita senza limiti, sre golata f ino all’immaginabile degli ambigui personaggi. Le sale stracolme di ossessionati diventavano veri e propri palcoscenici dove gli spettatori impersonavano i vari “transessuali”, cantavano simultaneamente e ballavano a tempo di The Time Warp (“It’s just a jump to the left... and then a step to the right… put your hands on your hips... You bring your knees in tight. But it’s the pelvic thrust that really drives you insane. Let’s do the time-warp again”), spesso recandosi già travestiti dai vari protagonisti. Sempre sulla stessa “linea d’onda” è il tarantiniano Pulp Fiction. Non sono più gli anni ’70, ci siamo spostati ancora di 20 anni, ma gli eccessi, la violenza, la volgarità, la totale assenza di regole e finezza fecero di nuovo breccia nel cuore degli spettatori e nel mondo della celluloide etichettandolo come un film evidentemente squilibrato e da Oscar. Eppure quale metodo migliore per mostrare le “pecche” che ormai infliggevano il mondo? Forse non fu proprio questa la ragione per cui Tarantino girò questa pellicola, ma per questo verrà menzionata qui e altrove. E quindi? Il prossimo Il Carducciano²- Cinemania “cult” quale sarà? Quello che dovrà rendere immortale la nostra generazione, il nostro modo di pensare i nostri sogni di evasione? Quello che dovrà denunciare tutti i soprusi e i “mali” della società odierna, qual è? Quale film appena uscito potrebbe tenere testa a questo titolo? L’idolatrato Avatar? La smielata saga dei vampiri? La ormai forse troppo prolungata saga di Harry Potter? Da questo mi rendo conto che i film che ormai ci “piacciono” davvero sono quei lungometraggi che ci trasportano da tutt’altra parte, in un mondo inventato, non perfetto, ma comunque irreale. Siamo arrivati a tal punto da non poter più sopportare la nostra realtà e da crearcene un’altra completamente falsa per poter sognare per almeno 190 minuti? Ma chi sono io per dirlo, che continuo a controllare il calendario per vedere se Alice nel Paese delle Meraviglie firmato Tim Burton si sovrappone alla mia gita di classe? Pagina 27 Un malinconico regista disperato di Ilaria Casini, III D Uno dei nomi più corti e banali al mondo con la personalità più complessa, contorta, macabra, noir, dolente, stupefacente che esista. Tim è davvero un nome corto, ma se ci aggiungo il cognome, allora si innalzerà un “Ahhhn, beh, ma allora sì…”, e allora va bene, ve lo lascio dire... Tim Burton. Non voglio dirvi che scrivo di lui perché “è il migliore regista dei nostri tempi”, perché è troppo soggettivo e nonostante la pensi così, o quasi, sento comunque la voce di altri registi che mi rimbombano in testa dicendomi: “Ah sì, eh? E io!?!”. Non è corretto nei loro confronti. Se proprio lo devo definire in qualche modo, Burton è un regista visionario, è magico, ma non è magia ciò che fa, perché vorrebbe dire che da qualche parte c’è un trucco. Non è nemmeno abilità, perché quella la si può imparare, mentre lui ha un dono speciale che si vede poco in giro. Ai critici piace definire il suo “genio” studiando i suoi film, riprendendone la magia, la malinconia che da essi emerge, altri rispetto ai suoi capelli per sottolineare la completa assenza di ordine logico che deve trovarsi nella sua mente. A me invece piace paragonarlo ai sui alberi, quelli che piazza ovunque: sia in un “cartone animato” in stop-motion di un mondo surreale o in un film con persone in carne ed ossa alle prese con i propri problemi così assurdi e contemporanei allo stesso tempo, lui un albero è sempre riuscito a farlo comparire. È proprio così che io lo vedo, un uomo fatto esattamente come i suoi alberi, ricurvi su sé stessi ad interpretazione del dolore più profondo, dell’oscurità più buia, degli avvenimenti più intricati, degli imprevisti più improbabili, della magia più pura. Parliamone allora di quest’uomo dai riccioli scompigliati e dall’ormai fin troppo apprezzata bravura. Nasce a Burbank nel 1958, ma il suo luogo di nascita lo conosciamo ormai tutti, è l’anonimo quartiere a casette a schiera che fa da sfondo a Edward Mani di forbice. Come primo lavoro in campo cinematografico, Tim s’impegna come animatore alla Disney, ma si rende conto che non sono quelli i tipi di cartoni animati che vuole fare e, tra una cosa e l’altra, sforna Vincent Malloy, il primissimo cortometraggio partorito per descrivere la sua infanzia distruttiva trascorsa tra i film dell’orrore e dedicato a Vincent Price, amico scomparso che gli ha prestato la splendida voce per cinque meravigliosi minuti di poesia in rima. E così è nato questo regista: dopo un altro Il Carducciano²- Cinemania tentativo con la Disney per un Hansel e Gretel da lui rivisitato con personaggi giapponesi e inquietanti omini di marzapane, ci sono tutti i suoi film che ci hanno catapultato in mondi impossibili, che tutti conosciamo almeno uno, che a volte a pensarci mi domando: “Ma come gli vengono certe idee?!”. Non so bene cos’altro scrivervi su di lui, perché se vi parlassi di tutti i suoi film non finirei più, e allora parliamo d’altro. Perché Tim non è soltanto un regista, è un poeta, un disegnatore (ma questo magari lo avevate già capito dal periodo Disney, eh?), un fotografo e uno scrittore. Niente di meno che il MOMA (Museum Of Modern Art) di New York gli ha dedicato una mostra di cinque mesi che durerà fino al 26 aprile e che mostra al pubblico una fila di schizzi, disegni, scarabocchi che hanno dato inizio a molti dei suoi film o che semplicemente sono stati poi scartati, come la teoria che i suoi animali fantastici in caso di pericolo si unissero formando una super palla pelosa a otto zampe con due bocche e innumerevoli occhi (tutto questo ovviamente lo potete comodamente vedere con un biglietto aereo per la Grande Mela o comprando il libro dell’esibizione come ha prontamente fatto la sottoPagina 28 Ma alcuni disegni da lui creati poi sono diventati poesie oppure viceversa, da animatore qual è ha voluto dare forma alle sue storielle di bambini problematici come quello Tossico o quello Mummia, di figure inquietanti come il bambino con i chiodi negli occhi o la bambina Vudù, di trasfigurazioni e storie improbabili come la bambina che si tramutò in letto, l’amore ardente di uno stecco e un fiammifero o il tanto amato bambino ostrica, l’emblema dell’incompreso ed emargi- nato, tema che sta così tanto a cuore al nostro regista. Un altro libretto che contiene venti buffe storielle in rima terribilmente malinconiche. E così alla fine sono riuscita comunque a scrivere una paginetta su una di quelle persone che forse non avrà cambiato il mondo ma che ringrazio, non so bene chi, per averla creata. Perché continuo a trovare i suoi film deliziosamente piacevoli, malinconicamente divertenti, terribilmente attuali nella loro assoluta Il Carducciano²- Cinemania finzione, e nonostante Alice in Wonderland forse non avrà soddisfatto gran parte di voi, ammettete che comunque appena vi dirò qual è il suo prossimo progetto inizierete già a pensare di andare al cinema a vederlo, perché con la Famiglia Addams può succedere di tutto... “Non ho mai visto una persona così palesemente fuori posto trovarsi così perfettamente al posto giusto. A modo suo.” [Johnny Depp] Pagina 29 “Nessun trauma cranico” di Ginevra Tarascio, I F Ah, quale arte sublime, il cinema. Potrei rimanere ore a descriverne le mille sfaccettature, a parlare dei film appena usciti, di quelli che usciranno, di quelli vecchi, di quelli ormai antichi. Dei miei film preferiti, dei film preferiti da voi e da tutti, dei film belli e dei film brutti. Dei film con i più bei protagonisti. Sì, quei personaggi che ti rimangono impressi nella mente, dei quali conosci tutte le battute e le gesta a memoria, dei quali ci siamo tutti e tutte innamorati ed innamorate. Quei personaggi sempre eroici, sempre coraggiosi, anche nei momenti più impensabili! Quei personaggi che... che... potremmo andare avanti all’infinito, ma non è di questo che oggi voglio parlare. Sì, perché quest’oggi vorrei porvi una questione. Prendiamo un film a caso, il primo che tutti dovremmo avere nella videoteca di casa. Un classico della commedia rosa inglese che tutti hanno visto ed apprezzato: Notting Hill. Tutti conoscono la storia d’amore che si svolge tra i due, che già appaiono felici e innamorati ad un primo e inesperto sguardo alla locandina del film. Ma c’è un personaggio che non appare sulla copertina del DVD, un personaggio del quale però tutti serbiamo un ricordo. Sì, sto parlando di lui, proprio di Spike, il coinquilino stralunato di Hugh Grant! Un personaggio secondario, è vero, ma che ha donato al mondo qualcosa, che ha cambiato profondamente e radicalmente le nostre vite. Spike che confondeva lo yogurt con la maionese. Che camminava vestito da subacqueo. Ed è di questo che oggi voglio parlare: della legittimità dei personaggi secondari nei film che si trovano in tutti i film. Talvolta non ne ricordiamo il viso, o il nome, talvolta invece sono proprio loro a rendere la storia tanto speciale. Ma in un modo o nell’altro sono sempre presenti. Anche in film famosi come Twilight troviamo alcuni esemplari di personaggi secondari e/o inutili. A fianco del BELLISSIMO vampiro Edward, si staglia la sua famiglia. Il personaggio a mio avviso più inutile è senza dubbio il capofamiglia Carlisle, il quale in tutto il film si limita a visitare Bella dopo che questa viene quasi magistralmente investita da un camioncino: “Nessun trauma crani- Il Carducciano²- Cinemania co!”. Che esclamazione importante! Un altro film recente. Cosa mi dite di Alice in Wonderland? Il topino di sesso confuso che affianca il Cappellaio Matto in ogni decisione. E Avatar? Già, perché al fianco della Dottoressa Augustine, come aiutante, c’era o non c’era un tristo uomo di cui non è ricordato il nome, la faccia, lo scopo e l’esito? E chi avendo visto almeno una volta nella vita l’epico Ghostbuster (il film!), chi non si ricorda del Mastro di Chiavi, quell’ometto vagamente somigliante a Woody Allen che in tutto il film mantiene un ruolo secondario e poco importante contornato da tristi battute?! Addirittura, pensate, esistono degli attori nati per NON essere i protagonisti; quegli attori che in ogni film riescono a trovare una parte, anche minima (esempio: barista strabico e/o albero sullo sfondo-cespuglio di rododendro), in OGNI film, ma dei quali nessuno ricorda mai il nome, e finiscono trucemente etichettati come: “Ma sì, dai, è quello/ a che ha fatto... e anche... ma il nome?”. Ebbene sì. La nostra vita cinematografica e Pagina 30 non è contornata da queste persone, e io dico: diamo loro un po’ di importanza in più. In fondo anche queste triste ed oscure figure, questi scudieri meritano un poco di attenzione in più; immaginate dove sarebbe il cinema senza di loro: solo eroici, coraggiosi, simpatici, insigni protagonisti. Una noia mortale. Perciò suvvia! Un appello: creiamo su Facebook un gruppo per costoro, diffondiamo il verbo e rendiamo i personaggi secondari parte indispensabile delle nostre vite! passionante, intrigante e malinconica. Tutto il film ruota intorno all’esecuzione de Il Concerto per Violino di Tchaikovsky, dal quale il film prende il nome, interrotta bruscamente vent’anni prima, nella Russia totalitarista e comunista. Anche le vite dei personaggi sembrano condurre a quella terribile sera. Poi la voglia di rimettersi in gioco e di affrontare il passato fa scattare il meccanismo che fa ripartire il tutto e garantisce il lieto fine. Questo film, tra vortici di sentimenti contrastanti, emozioni forti e una certa ironia, mostra la realtà di uno stato, la Russia, che è, come i protagonisti, in bilico tra passato comunista e futuro democratico. Lo consiglio a tutti coloro che vogliono vedere un film che dia degli spunti di riflessione in tutti i campi, da quello sentimentale a quello politico. Il Concerto di Anna Schönsberg, IV A L’idea di andare al cinema con le mie zie non mi appassionava particolarmente... Pensavo ad una serata piuttosto monotona, alle prese con un film noioso. Ma poi quando nell’immensa sala le luci si sono spente, le chiacchiere acquietate e il rumore dei denti sui pop-corn si è fatto più frenetico, mi sono fatta veramente rapire dal film. La vicenda ambientata tra Mosca e Parigi è ap- Il Carducciano²- Cinemania Pagina 31 Rubrica giochi a cura di Edoardo Giuriato, III D Le battute non ridono di Daniel Palese, V E e Martina Angonese, III D Ciao a tutti! Anche in questo numero, Martina ed io abbiamo deciso di deliziarvi con le nostre battute spettacolari… Buona lettura, speriamo siano di vostro gradimento! ● I nani vanno a fare colazione in un bar; Dotto si alza e domanda: “Cosa volete da bere?”. Tutti concordano per del tè. Allora il nano va dal barista e chiede: “Sette tè”. E il barista: “Bubu...”. ● Siciliano in pasticceria: “Vorrei una colomba...”. Commesso: “Motta?”. Siciliano: “E che viva me la vuole dare?”. ● Perché il maschio della pianta è sempre triste? Perché è un pianto! ● “Mi sono perso nei tuoi occhi!” disse la lente a contatto. ● “Non c’ho più il fisico!” disse la mamma di Einstein quando il figlio se ne andò di casa!!! ● “Se russi ti picchio!”. “E se ucraino?”. “Ti merlo!”. ● “Le mie figlie hanno sposato due salumieri. Ho due generi alimentari”. Il Carducciano - Giochi e svago² ● Un quadrato dice a un cerchio che si è ferito: “Te la sei cerchiata!”. ● “Un ubriaco vuole scendere dalla bicicletta ma non ci riesce! È attaccato...”. “Perché?”. “Beh... È colpa dello... scotch!”. ● Un libro di aritmetica a quello di geometria: “Certo che ne abbiamo di problemi...”. ● Un tasso ad un altro tasso: “Ma tu le paghi le tasse?”. E l’altro risponde: “No, lo faccio per amore”. ● Cosa ci fanno un quaderno, una matita e una gomma sul fondo di un lago? Si bagnano. ● Dire “ciao” fa bene: è salutare! ● È morto Bic... ci ha lasciato le penne. Pagina 32 Crucipuzzle di Edoardo Giuriato, III D Cercate, all’interno del crucipuzzle qui sotto, le parole sottostanti; al termine, troverete due parole che… beh, a voi la sorpresa! PAROLE: aereo - alto - andato - aria - atto - bianco - blu - bue - campo - cane - caso - centro - collo conservazione - cuoco - dopo - elettrico - fine - fino - gioia - giro - istante - lento - luce - lui luna - meno - morte - mosca - motore - musica - naso - nome - nota - notte - ogni - olio - ora ordine - oro - otto - ovest - perso - pesci - presto - prima - processo - punta - radio - reale ritrovamento - rullo - rumore - sale - scuro - sega - senso - slittamento - sogno -stampa - stato - sud - suono - temperatura - testa - tiro - tono - totale - tre - uno - usuale - usura - verbo voce Il Carducciano²- Giochi e svago Pagina 33 Illusioni ottiche di Edoardo Giuriato, III D Fissate il puntino e muovete la testa avanti e indietro… Osservate attentamente i cerchi… siete sicuri che si muovano? Non trovate che questa scacchiera abbia qualcosa di insolito? Un volto o un musicista? E quest’immagine? Rappresenta un cavallo o una foca? Cosa succede se girate la pagina rispettivamente di 180° e di 90°? Il Carducciano²- Giochi e svago Pagina 34 Siete sicuri che quest’immagine La lettera “B” o il numero rappresenti dei calici messi in fila? “13”? Quanti cubi riuscite a contare? Sei o sette? Quale dei due segmenti è il più Incredibile ma vero: entrambi i cerchi Quante gambe riuin mezzo sono perfettamente identici! scite a contare? lungo? Nessuno: sono uguali! Stenterete a crederci, ma il cerchio bianco che vedete è assolutamente perfetto! E per finire, un’illusione ottica sorprendente: fissate i quattro puntini neri per 30 secondi e poi guardate su un foglio bianco o su una parete. Chi o che cosa compare? Il Carducciano²- Giochi e svago Pagina 35 Recensione “Tekken 6” di Giada Cardillo, III D La saga di Tekken sembra essere un treno fischiante senza freni. I produttori non danno il minimo accenno di stanchezza, e l’ultimo capolavoro del “picchiaduro” più famoso al mondo ne è la dimostrazione. Una nuova modalità di sblocco personaggio governerà questo capitolo della saga che verrà chiamata “Campagna”; in questa modalità, una volta selezionato il proprio personaggio principale si viaggerà in differenti posti del mondo nei quali si trovano i personaggi da sbloccare. Costruito in stages, l’obiettivo di ogni livello è distruggere tutti i nemici che sbarreranno la strada per infine sconfiggere il boss finale, che corrisponderà ad uno dei personaggi del gioco. L’innovazione di questa modalità è la varietà che essa contiene in sé stessa: infatti la storia, in originale adattata alla storyline dei due nuovi personaggi della Bloodline Rebellion (Alisa Bosconovitch e Lars Alexandersson), risulterà diversa per ogni personaggio utilizzato, poiché i dialoghi saranno adattati al carattere di quest’ultimo. Inoltre, nella Campagna si verrà assistiti da uno dei due nuovi personaggi dell’espansione citata prima. Eh già, l’edizione europea di Tekken sarà già dotata dell’ultima espansione, la Bloodline Rebellion. In ogni caso, questa modalità non è del tutto una novità: come gli intenditori avranno già intuito, essa è stata ripresa da Tek- ken 3 nel quale era sbloccabile. Una modalità invece criticabile è l’Arena, meglio conosciuta come “storyline”. Essa infatti sarà priva di interludes, scarsa di livelli e terminante con un boss che non mette alla prova la bravura del giocatore, bensì la sua pazienza. Azazel, infatti, è un Dio egizio capace di parlare anche quando esegue una mossa. Per gli amanti dei filmini finali, chiamati anche endings, questa saga sarà una vera delusione: corti, prevedibili ed insignificanti. Dal punto di vista, grafico il miglioramento è semplicemente disumano: la realisticità dei personaggi e dei movimenti da essi compiuti è a dir poco impressionante; persino le personalizzazioni, molto variegate, avranno questa spiccata caratteristica. Alcune arene saranno strutturate in due diversi piani, rendendo più accattivanti e realistici i combattimenti. Tutto questo senza contare l’incredibile grafica e fantasia degli scenari: essi, infatti, saranno dotati di una precisione grafica da urlo, come ad esempio la neve che si scosta solamente nel punto esatto in cui il piede del personaggio si appoggia nella “Manji Valley”, oppure il pomodoro che esplode fragorosamente a terra nella “Tomato Fiesta”. In nostro onore è stato persino creata un’arena tirolese, con tanto di pecore e bambini che giocano. Il “bound” sarà invece una nuova tecnica che consiste Il Carducciano²- Giochi e svago nel rimbalzo dell’avversario a terra, molto utile per le “juggles” (combo in aria). I nuovi personaggi che coroneranno questo capitolo saranno: - Leo, una ragazza dall’aspetto maschile che vuole vendicarsi dell’omicidio dei suoi genitori da parte di Kazuya Mishima; - Lars Alexandersson, figlio illegittimo scandinavo di Heihachi Mishima e capo di un’organizzazione ribelle; - Bob, uomo large-size che vuole migliorare ancora di più le sue abilità acrobatiche e di combattimento; - Miguel Caballero Rojo, uomo rozzo e violento che vuole vendicarsi del suo unico membro familiare amato, sua sorella, uccisa in un bombardamento della compagnia Mishima Zaibatsu durante il suo matrimonio; - Zafina, misteriosa e “viscida” guerriera indiana che vuole evitare il risveglio di Azazel, dovuto allo scontro tra Kazuya Mishima e Jin Kazama (che vorrei far notare sono padre e figlio…). Per concludere in bellezza, non potrà mancare Heihachi Mishima, che alla veneranda età di 75-76 anni, anziché andare a pesca e rilassarsi in una bella casetta di campagna come tutti gli anziani di questo mondo, avrà ancora la forza e soprattutto la voglia di riconquistare la sua amata Mishima Zaibatsu, ora nelle mani del suo “adorato” nipotino, Jin Kazama. Pagina 36 Direttori: Ilaria Casini, III D Marta Reczko, III D Vice-direttori: Anna Zangerle, V E Nicolò Faustin, V D Fumetti e vignette: Anastasia La Sala, I F Giada Cardillo, III D Ginevra Tarascio, I F Jonida Kasa, III D Shadi Davoodi, III C Grafica e impaginazione: Edoardo Giuriato, III D Collaboratori: Anastasia La Sala, I F Anna Schönsberg, IV A Andrea Cirimbelli, III A Chiara Degasper, II E Chiara Parisi, II C Daniel Palese, V E Enrico Rizzi, III A Fabio Raffaelli, IV E Francesca Taverna, IV A Giada Cardillo, III D Il Carducciano²- Redazione Ginevra Tarascio, I F Ilaria Casini, III D Ivan Allegranti, II A Lisa Ilaria Maiorca, I F Luca Casagrande, II F Maria Ben Errabeh, IV A Martina Angonese, III D Michael Fanelli, V E Michela Parlavecchio, I F Paolo Cuccurullo, III D Pagina 37