3° numero - WordPress.com

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3° numero - WordPress.com
Giornalino degli
studenti del Liceo Classico
e Linguistico
“G. Carducci” di Bolzano.
Stampato con mezzi propri.
Diffusione gratuita e
interna all’Istituto.
Numero II
I
Aprile
Anno scola
stico 20092010
Sommario:
Editoriale
2
Il nucleare in Italia
3-4
Chi non sporca
compagnia...
in
Afghanistan
5
6
Cosa c’è dietro al prende7
re di mira i bimbi down
Facebook:
per l’uso
istruzioni
7-8
Tele-vision
9
Fuori da me
10
Leggere… per legge11
re
Lettera di un marziano 12
Alice in Chains
13
Non tutte le banane
14
sono uguali
Sanremo 2010
15
“Ballata
per
de
André”
17
Lo sport… specchio
16-17
della società?
L’Olympiastadion, palco18
scenico di grandi eventi
Le frasi più belle del
19
calcio
E
le
macchinette?
20
Troppa gente...
Io lì c’ero davvero...
21
Andy Warhol
22-23
Addio Alexander!
26
24
Consigli primaverili
25
I cult
26-27
Un malinconico regi28-29
sta disperato
“Nessun trauma cra30-31
nico”
Il Concerto
31
Le battute non rido32
no
Crucipuzzle
33
Illusioni ottiche
34-35
Recensione
6”
36
“Tekken
Redazione
Umorismo in classe
37
36
Lo sport ed io
Vignette
39
19-20-21
Redazione
Creative Nook
38
40
Redazione
27-28
EDITORIALE
Ciao a tutti!
Mentre i cori da stadio iniziano già ad echeggiare tra le vie di Bolzano e la tensione del
Festival si fa sempre più pressante. Mentre la frenesia per le serate moderne cresce e i biglietti sono già pressoché esauriti. In tutto questo trambusto noi siamo riusciti a stampare un
nuovo numero del giornalino.
Che periodo è stato questo per la nostra scuola! Carducci ha traslocato e anche “Il Carducciano” è riuscito a dare l’ultimo saluto alla vecchia dimora (per chi non l’avesse notato, sulle
scale del secondo piano si trovavano le parole “Kaos e Carducciano, la voce di questi muri”).
E allora non smettiamo d’esserlo. Facciamo sentire ancora i nostri pensieri immutati, perché un cambio di prospettiva non cambia la nostra vera essenza e, in fin dei conti, siamo
sempre gli stessi. Ringraziamo allora di nuovo tutti i nostri collaboratori per l’aiuto che ci hanno dato, nonostante fossimo tutti impegnati in altre imponenti attività: Lìc’ero, il Festival, Arti
Figurative. Quindi ecco a voi il nuovo numero, sempre pieno di notizie e impregnato di buon
gusto classicista.
Ringraziamo ovviamente tutti i lettori che continuano a rendere possibile la pubblicazione
del nostro giornalino e vi invitiamo ancora una volta a proporci nuove idee, portarci articoli e
unirvi alla nostra redazione per portare le vostre opinioni ad un livello più alto in modo da farle
conoscere a tutti. Ringraziamo sempre e comunque il professor Andrea Pedevilla, la professoressa Carla Macchion e la preside Carmen Siviero per l’appoggio donatoci e naturalmente
anche i custodi e le bidelle per essere sempre così pronti ad darci una mano nei momenti di
difficoltà, sempre riguardanti l’utilizzo di quella famelica macchina chiamata “Ciclostile”.
Ed ora non ci resta che augurarvi buona lettura e ripetere ancora una volta: “Forza Carducci!”
Le direttrici
Ilaria Casini, III D
Marta Reczko, III D
INDIRIZZO E-MAIL: [email protected]
Il Carducciano - Editoriale²
Pagina 2
Il nucleare in Italia
di Chiara Degasper, II E
Utilizzare le centrali nucleari per la produzione di elettricità è sempre stato oggetto di grandi discussioni. In
Italia, l’incidente di Chernobyl e la consapevolezza
delle gravi conseguenze portò il Paese, con il referendum abrogativo del 1987,
ad abbandonare il nucleare
come forma di approvvigionamento energetico e di lì a
poco vennero chiuse tutte le
centrali nucleari.
Allo smantellamento degli
impianti e al trattamento dei
materiali radioattivi ci avrebbe dovuto pensare la Sogin, una società pubblica
nata nel 1999 dall’Enel.
Parallelamente il governo avrebbe dovuto costruire
il Deposito unico nazionale in cui stoccare e mettere
in sicurezza le scorie provenienti non solo dalle vecchie centrali, ma anche dai
reparti di medicina nucleare, di radioterapia e radiologia degli ospedali eccetera. Le cose, però, non sono
andate esattamente così:
LA CENTRALE NUCLEARE DI CAORSO (vicino a
Piacenza), la più grande e
la più nuova d’Italia, è stata
spenta nel 1987, ma nelle
piscine si conservano ancora 700 barre di combustibile, contenenti 1.300 kg di
plutonio. Per dismetterla
completamente ci vorranno
500 milioni e bisognerà aspettare il 2019.
Laboratorio
dell’Opec
alla Casaccia.
A Casaccia (vicino a Roma) c’è il più grande DEPOSITO di rifiuti radioattivi d’Italia: 7000 metri cubi,
chiusi in vecchi depositi arrugginiti al limite della capienza tanto che vengono
stoccati anche nel cortile. In
particolare, c’è del “materiale altamente strategico”: 100 kg di uranio arricchito e 5 kg e mezzo di plutonio, che possono essere
usati per fini militari, oltre a
100 fusti contaminati da plutonio che devono ancora
essere messi in sicurezza.
Questo materiale si trova in
un deposito dove l’impianto
antincendio nel 2006 ha
provocato
un’esplosione.
Ma nonostante questa catastrofe evitata per miracolo,
l’impianto è stato mandato
avanti senza antincendio e
la sicurezza è stata garanti-
Il Carducciano - Scripta manent²
ta da tecnici che dormono in
loco, ma non sanno nemmeno dove si trovano gli
estintori.
Saluggia (provincia di
Vercelli): centro nucleare
dell’Eurex e DEPOSITO di
Avogadro.
A Saluggia, nella provincia di Vercelli, c’è il centro
nucleare dell’Eurex e il vecchio deposito di Avogadro
che contiene circa il 75 %
delle scorie nucleari liquide
d’Italia.
Questi siti sono posti a
ridosso degli argini della Dora Baltea dove le alluvioni
sono frequenti, tanto che a
seguito di una di queste nel
2000 si sono allagate alcune zone del sito dell’Eurex:
anche in questo caso si è
sfiorata la catastrofe!
La Sogin è stata costretta
a svuotare la piscina
dell’impianto Eurex che perdeva liquido radioattivo minacciando le falde acquifere, ma invece di stoccare le
barre di uranio nella piscina
rivestita in acciaio e impermeabilizzata della centrale
di Trino, si è deciso di portarle nel vecchio deposito di
Avogadro, che invece regi-
Pagina 3
stra perdite sistematiche e
dove la Sogin paga circa un
milione di euro di affitto
l’anno. Tutto ciò è avvenuto
per motivi politici: a Torino
c’è l’onorevole Roberto
Rosso di Forza Italia, nuclearista convinto, ma sul terreno degli altri.
LA CENTRALE NUCLEARE DI TRINO VERCELLESE, piccolo borgo situato
sulla riva del Po. Anche qui,
come a Saluggia, le alluvioni sono frequenti e
quindi il rischio catastrofe è altissimo! La
centrale ha cominciato
a produrre energia nel
1964 ed ha funzionato
solo per 13 anni durante
i quali ha prodotto ben
2.800 fusti di rifiuti radioattivi che sarebbero
dovuti già essere nel
sito nazionale.
LA CENTRALE NUCLEARE DEL GARIGLIANO (a Sessa Aurunca, nella campagna
di Caserta), spenta nel
’78 per un guasto, non è
mai più stata riaccesa
perché nell’80 tutta la
zona è stata dichiarata
ad alta pericolosità sismica. Il combustibile
nucleare è stato portato
in Inghilterra: finora abbiamo pagato agli inglesi un
affitto di 1 miliardo e 600
milioni di euro. Ma quello
che sconvolge di più è che
questa è una centrale abusiva, che non esiste sulle
carte perché costruita in zona agricola.
LA CENTALE NUCLEARE DI BORGO SABOTINO
è la prima ad essere stata
accesa nel nostro Paese e
con le sue 24.000 barre di
combustibile è stata anche
la più grande d’Europa.
Funzionava a gas e grafite.
La grafite, che si trova ancora nel reattore, è un vero
problema perché rimane radioattiva per migliaia di anni
ed è impossibile da spostare se prima non si localizza
un sito appropriato.
Nel 2003 Berlusconi di-
chiara lo stato di emergenza: bisogna creare un centro di raccolta che sia sicuro
da terremoti o da altre calamità naturali. Il deposito
verrà costruito a Scanzano
Ionico, in Basilicata, ma la
gente del posto s’infuria:
Scanzano è zona sismica e
si trova vicino a una costa
che viene erosa dal mare,
sarebbe troppo alto il rischio
Il Carducciano - Scripta manent²
di allagamento. Alla fine
l’idea di Scanzano viene
bocciata.
Oggi sul nostro territorio ci
sono oltre 30 mila metri
cubi di rifiuti radioattivi, che
diventeranno 120.000 dopo
lo smantellamento delle
centrali previsto per il 2020
e il Governo non ha ancora individuato il sito dove
stoccarli in sicurezza.
Eppure il 24 febbraio
2009 Italia e Francia
firmano un accordo di
cooperazione sul nucleare che prevede anche
la realizzazione di almeno 4 centrali nucleari
nel nostro Paese e il 9
luglio 2009 il Senato approva il disegno di legge
che capovolge definitivamente il risultato del
referendum popolare
del 1987: IN ITALIA IL
NUCLEARE È LEGGE.
Quattro centrali sono
però troppo poche per
raggiungere l’obiettivo
che il governo si è prefissato: coprire il 25%
del fabbisogno energetico nazionale, quindi bisognerà costruirne almeno 8 o 10. Intanto è
stato affidato il compito
ad una commissione di
esperti di individuare i siti su
cui costruire il Deposito nazionale e le centrali. Già 11
regioni italiane si sono opposte alla realizzazione di
nuovi impianti sul loro territorio, ma è stato presentato
un emendamento il quale
stabilisce che “in caso di
mancato accordo con gli
enti locali, all’interno delle
aree adeguate ed identifiPagina 4
cate dalla commissione
di esperti, il governo imporrà la propria volontà”.
Una scelta in controtendenza, dal momento che
una parte dei paesi europei,
come Austria, Irlanda, Danimarca, Grecia, Norvegia,
Portogallo, ha rinunciato
all’energia nucleare e anche
la Germania ha pianificato
l’uscita dal nucleare entro il
2020, decidendo di investire
sulle energie alternative eoliche e solari.
Il problema energetico
in Italia è sicuramente di
enorme gravità e va affrontato, ma se qualche
volta si pensasse davvero
di più agli interessi collet-
tivi (salute, ambiente, tutela
dei cittadini), piuttosto che
ai soli interessi politicoeconomici, forse il problema sarebbe di più facile
soluzione.
Fonti: “Report” di Milena
Gabanelli; “L’eredità” di Sigfrido Ranucci; QUARK:
“Scorie nucleari”; Internet
Chi non sporca in compagnia...
di Michael Fanelli, V E
Già da molto tempo si sapeva che una certa etica
ambientale non ci appartiene, ma il riversamento di
600 litri di petrolio nel fiume
Lambro e poi, attraverso
questo, nel Po, avvenuto
nelle prime ore del mattino
del 23 febbraio, mi ha colpito piuttosto profondamente
nonostante questa consapevolezza: la fiumana nera
che avanzava, mettendo a
repentaglio la vita di molte
specie animali, continuamente arginata dagli sbarramenti messi a punto dalla
Protezione Civile, mi ha
scosso come mai non mi
era successo, anche perché, forse, conoscevo quei
luoghi, che mi apparivano
vicini, troppo vicini e pressanti.
Dalle indagini sembrerebbe che ignoti inquinatori abbiano aperto deliberatamente i collettori di collegamento di tre cisterne di un’ex
raffineria di Villasanta, in
provincia di Monza, causando lo sciagurato incidente:
un gesto sconsiderato che
avrà ripercussioni gravissime sull’ambiente fluviale e,
inevitabilmente, anche sul
territorio circostante.
Per quanto mi riguarda,
questo episodio rivela che
siamo arrivati al capolinea,
alla provocazione spettacolare che non si cura più
nemmeno delle conseguenze tragiche che comporta,
gli equilibri già fragili tra uomo e natura sono saltati,
affogati sotto il petrolio. Il
fatto stesso che ignoti abbiano potuto causare un tale disastro indisturbati rivela
l’inefficienza dei controlli
ambientali e la sottovalutazione del pericolo.
Una simile barbarie gratuita, che non si può definire
altrimenti, ha avuto un enorme
impatto
mediatico
(sarebbe
stata
un’ambientazione perfetta per un
film apocalittico…) e poi è
stata gettata nel dimenticatoio, come spesso avviene
nel nostro sistema mediatico
dominato dalle mode e dal
populismo di facile presa; ed
è stato forse questo a scioc-
Il Carducciano²- Scripta manent
carmi ulteriormente, la gente
rimuove le verità scomode
perdendo il contatto con la
realtà, preferendo dimenticare piuttosto che affrontare
i problemi veri, che sono
ben diversi dai problemi che
ci vengono spesso propugnati dai mass media. La
catastrofe si riduce ad evento mediatico, catalizzatore di
consensi, poi viene gettata
da parte, una volta assolta
la sua funzione.
Sono queste le cose che
dovrebbero mettere in dubbio la possibilità di fregiarsi
da parte dell’Italia del marchio D.O.C. di “paese civile”: uno stato in cui non ci
sono distinzioni tra catastrofi vere e catastrofi inscenate, in cui l’ambiente non viene rispettato, in cui la gente
ha smarrito la coscienza
dell’importanza di esso, non
è meritevole di un tale appellativo; perché civiltà significa soprattutto rispetto di
ciò che ci circonda, consapevolezza della sua importanza, impegno nella sua
difesa quotidiana.
Pagina 5
Afghanistan
di Francesca Taverna, IV A
Recentemente ho letto un
libro che s’intitola “Mille
splendidi soli” ed è stato
scritto da Kahled Hosseini,
l’autore de “Il Cacciatore di
aquiloni”.
Prima di leggere questo
libro, conoscevo a malapena l’Afghanistan e ancor
meno la guerra che si sta
combattendo in quel luogo
da anni. Così mi sono chiesta se non fossi l’unica ad
ignorarlo. La storia di questa nazione è dolorosa, come tutti i paesi dove regna
la guerra, ma non per questo motivo bisogna fuggire
dalla realtà e non affrontarla.
Verso gli anni ’80, in Afghanistan ci fu un colpo di
stato: un grande esponente
del Partito Democratico
Popolare venne assassinato e si scatenarono rivolte
popolari contro il capo del
governo del tempo, istigate
proprio dallo stesso partito.
Egli venne a sua volta ucciso in una di queste rivolte.
Nonostante questo periodo iniziò con due assassinii,
esso continuò con un nuovo
regime che decretò riforme
importanti, tra le quali venne approvata anche quella
che permetteva alla donna
di non indossare il burqa e
di poter frequentare le scuole.
Anche se adesso sembra
impossibile, questa nazione
conobbe la pace. Ma come
spesso accade, la pace
sembra non essere gradita
a tutti, forse perché porta
benessere generale e non
settoriale, forse perché non
fa comodo all’economia di
armi e proiettili.
Parte della popolazione, i
cosiddetti mujaheddin, era
contraria a questo regime
socialista filo-comunista.
Forse questa rivolta non avrebbe avuto seguito se gli
USA e il Pakistan non avessero finanziato un'’altra
guerra, comprando armi per
i mujaheddin. Il governo
chiese aiuto all’URSS che
cercò di far intervenire
l’ONU e che, non riuscendoci, dovette intervenire militarmente. La guerra contro
la Russia finì nel 1988 con
milioni di morti, profughi e
mutilati.
Questa guerra fu, purtroppo, solo l’inizio delle disgrazie afghane e dei suoi cittadini.
Tornati vincitori in patria, i
capi dei mujaheddin ebbero
la brillante idee di dichiararsi guerra l’un l’altro, così
quella che era iniziata come
una guerra in difesa dello
stato divenne una lotta per il
potere che ebbe come vittima principale la popolazione di Kabul, tutt’ora devastata.
In conclusione, in Afghanistan si stanziarono i talebani che, quando i mujaheddin si eliminarono a vicenda, si appropriarono del-
Il Carducciano - Scripta manent²
la capitale ed imposero nuove leggi restrittive, soprattutto nei confronti delle donne, costrette
a portare il burqa ed a uscire di casa assieme ad un
parente per evitare di essere frustate; gli uomini, invece, furono costretti a portare
la barba lunga e così via.
Oggi la situazione si è
risolta leggermente, ma
la guerra riesce ancora a
soffocare questa nazione.
Dalla storia si possono
capire come si siano svolti
i fatti più importanti, ma
quello che secondo me ci
si dimentica spesso è come abbiano sofferto le persone comuni, in balia di
gente che, alla fine, non ha
fatto altro che curare il proprio tornaconto o che ha
cercato di prendere il potere.
Ciò che il libro di Hosseini
mi ha fatto pensare è se
valga veramente la pena di
distruggere la vita delle persone, costringerle a temere
di uscire di casa o far provare loro la paura costante
di essere colpiti da una
bomba soltanto per il potere, perché in fin dei conti è
questo il motivo principale
di tutte le guerre. Penso che
ogni tanto queste situazioni,
seppur tristi, vadano ricordate, perché evitare di parlarne è uno dei tanti modi di
contribuire ad una nuova
guerra.
Pagina 6
Cosa c’è dietro al prendere di mira i bambini down
di Anna Schönsberg, IV A
La notizia della creazione
di un gruppo su Facebook
che incitava alla violenza
contro i bambini affetti da
sindrome di Down ha provocato giustamente un grande
scandalo. Anch’io, quando
ho sentito la notizia, mi sono sentita offesa. Credo che
queste idee di estrema violenza offendano e debbano
preoccupare non solo coloro che sono affetti da questo handicap, ma chiunque
altro.
Un giorno le persone che
prendono di mira i bambini
down per la loro diversità
potrebbero scegliere noi come bersaglio, solo perché
abbiamo i capelli castani, un
accento e un’origine diversa
dalla loro. Questo gruppo
(vorrei usare degli aggettivi
per descriverlo, ma sarei
offensiva) proponeva di
“usare i bambini down come
bersaglio nei poligoni di tiro,
visto che sono solo un peso
per la nostra società”.
Oltre all’incitamento alla
violenza, c’è un altro fatto
che mi spaventa: il messaggio di questo gruppo, che
contava circa un migliaio
d’iscritti, era che ogni
“diverso” costituisce un peso, un problema da eliminare. Questo ricorda decisamente l’ideologia nazista,
per la quale i diversamente
abili erano “inutili bocche da
sfamare” e per questo venivano uccisi nelle
camere a gas.
Per me è stata molto positiva la reazione dei media e
soprattutto quella dell’opinione pubblica, ma sono
contraria alla demonizzazione di Facebook: senza questo social network, infatti, le
persone non potrebbero
nemmeno venire a conoscenza di queste idee estreme e quindi sarebbe più difficile estirparle.
In conclusione, voglio dire
a tutte le persone che hanno aderito a questo gruppo
che i veri pesi per la nostra
società sono loro e non i
bambini down.
Facebook, istruzioni per l’uso: quando un gruppo merita di sparire...
di Chiara Parisi, II C
Ammettiamolo, ragazzi:
ormai la stragrande maggioranza di noi è dipendente
da Facebook (professori
compresi). Ed è proprio partendo da questo presupposto che ho deciso di non
voler scrivere il solito articolo su Facebook, quello in
cui l’autore porta avanti una
solfa lunga due pagine dove
commenta l’inutile utilità di
Facebook e argomenta sul
fatto che oggigiorno non si
è più capaci di comunicare
se non attraverso i social
network. Sarebbe un para-
dosso da parte mia e una
noia mortale per voi!
Vorrei piuttosto parlare
dello “scandalo” scoppiato
ultimamente riguardo alcuni
gruppi su Facebook. Non è
di certo la prima volta che si
parla di una simile faccenda
(non so se ricordate i gruppi
che ringraziavano la famosa
statuetta e il suo lanciatore,
o quelli che inneggiavano al
nazismo…), fatto sta che
puntualmente la notizia fa
tanto scandalo per due o tre
giorni, dopodiché l’attenzione si focalizza su
Il Carducciano²- Scripta manent
qualcos’altro. E pensare
che basterebbe così poco
per far funzionare le cose
ed evitare tutto questo
stress per quei poveri giornalisti…
Innanzitutto, si dovrebbe
ricordare che Facebook viene anche definito piazza
virtuale, in altre parole un
luogo d’aggregazione, dove
vi è naturalmente libertà
d’espressione, dal momento
che ognuno può scrivere
sulla propria bacheca ciò
che vuole, creare gruppi e
pagine varie.
Pagina 7
La libertà d’espressione è
infatti uno dei vantaggi più
preziosi dei quali si può usufruire navigando in rete.
Vantaggio del quale purtroppo talvolta s’abusa. Anche noi utenti possiamo aiutare a combattere questi
abusi. Ed ecco delle semplici regole per farlo, quando
mai ci capitasse di trovare
un gruppo che consideriamo particolarmente offensivo:
1) un errore comune è
quello iscriversi al gruppo in
questione solo per poter avere la possibilità di esprimere il nostro disprezzo attraverso un post in bacheca: niente di più sbagliato!
Si dà il caso che il gruppo
che questa volta ha creato
tanto scompiglio sia riuscito
proprio anche in questo modo a raccogliere ben 1.300
iscritti nel giro di poche ore.
Ciò non solo è inutile, perché non fa chiudere il grup-
po e non risolve il problema,
ma gli conferisce inoltre più
credibilità. Perciò se trovate
improprio il contenuto di una pagina non iscrivetevi,
fareste solo il loro gioco;
2) segnalate il gruppo: trovate la voce “Segnala la pagina” subito sotto il box contenente il numero dei fan.
Segnalando il gruppo ne
contribuirete alla cancellazione;
3) se siete proprio decisi
a perorare la causa, potete
creare a vostra volta un
gruppo, contro il precedente, nel quale esprimente
tutto il vostro sdegno, ne
fate girare il link e se avete
validi motivi per volere la
chiusura di quel gruppo state certi che in poco tempo
molti altri utenti si uniranno
a voi;
4) ricordate che anche
per i reati su Facebook
(diffamazioni, violazioni della privacy, violazioni del di-
Il Carducciano - Scripta manent²
ritto d’autore, ecc.) sono
previste sanzioni, proprio
come nella vita reale. Infatti
su Facebook, come nel resto della rete, a differenza
di quanto talvolta si crede,
non esiste anonimato. Qualsiasi cosa scriviate è associata al vostro indirizzo IP,
un numero univoco che identifica in una certa ora e
data il collegamento ad
Internet. Sarà perciò facile
per la polizia postale risalire
all’autore (in carne ed ossa)
e poterlo punire con la chiusura del gruppo o, se considerato necessario, con una
sanzione.
Spero di avervi fornito dei
buoni consigli. La libertà
d’espressione è sì essenziale ma altrettanto lo è il
rispetto reciproco.
La mia libertà finisce
dove comincia la vostra
[M. L. King].
Pagina 8
Tele-vision
di Giada Cardillo, III D
La televisione. Il mass
media più diffuso in tutto il
mondo e probabilmente
anche quello più utilizzato.
Negli ultimi tempi sorge però spontanea una domanda: questo mezzo di comunicazione è lo specchio
della realtà oppure un
mondo parallelo dal quale
dipendiamo?
Sempre
più
programmi televisivi puntano verso un
aspetto estremamente erotico per accattivare gli spettatori. Persino
le pubblicità
non si tirano
indietro
da
questa nuova
“moda”.
Le
fasce protette
sembrano
sciogliersi lentamente come
cioccolato al
sole, in modo
che pochi se
ne
possano
accorgere. I
bambini
in
modo particolare
stanno
subendo e imparando da
una realtà finta ed ideale.
Effettivamente, sempre più
bambine affermano che da
adulte vorrebbero fare le
veline.
Ma cosa sono le veline?
Belle ragazze che vengono
pagate salatamente per
ancheggiare e fare un balletto di nemmeno due minuti. In realtà, il lavoro è
sacrificio, studio ed impegno. Certo, anche il loro è
un mestiere, ma vogliamo
paragonare un’impiegata
oppure un insegnante che
dopo anni di studio lavora-
no ogni singolo giorno per
poi ricevere metà della loro
paga?
La società tende a dare
un’immagine errata del
mondo. Anche i reality show
stanno lentamente traviando le nostre menti. I produt-
Il Carducciano²- Scripta manent
tori di questi programmi, infatti, sostengono
che questa sia la vera Italia.
Di conseguenza, è naturale
che i giovani, vedendo tutte
quelle effusioni gratuite accompagnate da frivolezze
amorose, comincino a prendere esempio da quelle persone e crescano senza
principi sani e
forza spirituale. Facendo
ciò,
però,
mandano allo
scatafascio il
futuro dell’Italia.
È ovvio che
gli insegnamenti dei genitori
sono
fondamentali,
ma ad un
certo punto
della loro vita
i giovani cominciano
a
ragionare
con la propria
testa ed a
costruire
il
loro stile di
vita in base
alla
realtà
che
hanno
imparato ad
accettare.
E se la realtà è proprio
quella rispecchiata dai reality show, beh, ringraziamo i Maya che ci hanno
anticipato che nel 2012 il
mondo probabilmente finirà.
Pagina 9
Fuori da me
di Michela Parlavecchio, I F
Eccoti lì. Sei davanti allo
specchio, ti guardi ma non ti
vedi. Non sei tu quello nello
specchio, è il tuo riflesso.
Non sei naturale, la tua
mente, il tuo corpo sono totalmente condizionati dal
sapersi riflessi.
È in questi momenti che
vorrei uscire dal mio corpo,
vedermi da fuori, come se incontrassi uno
sconosciuto per strada e riflettessi sull’impressione che mi dà.
Sarei curiosa di vedere come mi muovo,
come cammino, quale
sarebbe la mia espressione, il mio
sguardo. Ed incontrandomi, ovvero io
incontrando me, abbasserei lo sguardo?
Guarderei
altrove?
Oppure cercherei gli
occhi di quella sconosciuta alias i miei?
Non lo so, ma so che
muoio dalla voglia di
saperlo.
Certo, esistono telecamere,
fotografie,
video, registratori e
chissà quanti altri apparecchi
elettronici
capaci di fornirmi una copia
di come sono, ma solo una
copia. No. A me non interessa la copia. Anche perché, chissà per quale recondita ragione, alla vista di
foto o video non mancano
mai espressioni quali “che
faccia!”, “che orrore!”, “no,
no, non è come sembra,
non sono io!” accompagnate sempre da un senso di
stranezza combinato ad un
secondo senso di delusione.
Poi c’è l’eterno enigma
della voce. Chi non ha mai
provato a registrare la propria voce? Il problema non
sussiste se la si registra e
basta, arriva invece nel momento in cui si decide di ascoltarla.
La nostra faccia si fa via
via sempre più somigliante
a quella di un gufo, cerchiamo le parole giuste per esprimere il nostro disilluso
stupore ma indugiamo
nell’aprir bocca, temendo il
Il Carducciano²- Scripta manent
suono che potrebbe uscirne.
D’altronde, pensiamo poi,
questa voce ci rimarrà per
tutta la vita, dobbiamo imparare ad accettarla ed ecco che quindi esterniamo
sonoramente la nostra incredulità.
Andando
poi
oltre
all’esteriorità, vi siete mai chiesti se vi
stareste simpatici?
Paradossalmente, o
forse neanche tanto, noi siamo incapaci di giudicare noi
stessi. Forse è per
questo che ho sempre odiato descrivermi, al contrario
ho sempre trovato
interessante sentire
come gli altri mi descrivono, perché ho
avuto modo di scoprire un’immensità
di cose sul mio conto che ignoravo
completamente.
Per quanto possa
essere il tempo che
dedichiamo a noi
stessi, per quanto
pensiamo al nostro
modo d’essere, potremmo solo ottenere
un’idea vaga di noi e inevitabilmente di parte. Ci manca la conferma visiva,
l’impressione a pelle. Ed è
proprio questo che avvolge
il tutto a metà tra mistero e
fascino. Noi, siamo noi stessi le persone che meno conosciamo.
Pagina 10
Leggere... per leggere
di Francesca Taverna, IV A
Qualcuno si è mai chiesto
cosa significhi realmente
leggere? Per capirlo esattamente, bisogna riflettere un
attimo sulla lettura, su cosa
sia e sul perché essa sia
stata, secondo me, ultimamente un po’ svalutata e
mal interpretata.
La maggior parte delle
persone la giudica
noiosa, un’attività
per i cosiddetti “topi
di biblioteca”. Nel
tempo si è creato lo
stereotipo che la
lettura sia solo
quella prettamente
correlata alla scuola, cioè che sia solo
un compito, magari
più piacevole, ma
pur sempre un
compito.
Io sono dell’opinione che non
bisogna
leggere
per forza un libro
dalla trama che
non piace, ma credo anche che, solo
perché un libro sia
di grande dimensioni, non vada scartato a
priori ed etichettato come
“pesante”.
C’è chi pensa che dai fumetti non s’impari nulla e
chi che i grandi classici siano noiosi solo perché scritti
in età meno recente. Credo
che questo ragionamento
non sia valido, perché comunque qualsiasi libro si
legga si può imparare sem-
pre qualcosa: parole nuove,
storie appassionanti e si approfondisce la propria cultura generale.
La lettura è una cosa molto personale, perché ad ognuno piacciono argomenti
diversi e perché leggendo,
in fondo, si immagina quello
che si vuole. È paragonabi-
le ad un film: si può immaginare un determinato paesaggio o una determinata
persona, degli effetti speciale, informazioni non scritte o
implicite che ognuno è libero di interpretare come vuole; inoltre, ci sono argomenti
proprio per tutti i gusti, dai
fumetti ai grandi classici, dai
romanzi d’amore ai thriller e
così via.
Il Carducciano²- Scripta manent
Ora ci troviamo
nell’era dell’elettronica, tutti possiedono un computer o un televisore se non
di più e in parte, anche per
questo motivo, i libri sono
stati sostituiti dagli schermi.
La gente siede più spesso
davanti al computer per varie ragioni: alcune molto valide, altre molto futili. La maggior parte
del tempo libero
viene sfruttata così.
Forse le immagini
sono più immediate
rispetto alle parole,
forse leggere è più
faticoso, non so.
Quello di cui sono
sicura, però, è che
molti si negano il
piacere di sfogliare
le pagine, di sognare in questo modo:
cambiamenti, amori, amicizie, dolori...
di vedere un mondo nuovo, pieno di
fantasia, di sogni,
forse irrealizzabili,
ma che danno una
carica in più nel
profondo di noi stessi.
Credo che senza le persone pratiche il mondo non
funzionerebbe, ma senza le
persone piene di speranza
il mondo non progredirebbe.
Un consiglio a chi lo vorrà
ascoltare: concediamoci il
piacere di spulciare un libro,
fa bene alla salute (degli
occhi e dell’anima)!
Pagina 11
Lettera di un marziano
di Ginevra Tarascio, I F
Salve, sono un marziano e
vengo da un pianeta molto
lontano.
Mi piacerebbe tanto provare a discutere con un terrestre qualunque, e capire. Sì,
capire.
Vorrei che qualcuno mi aiutasse a comprendere com’è
fatta la mente di voi terrestri.
Voi che fate la guerra, che
rubate, che imbrogliate, che
vi ammazzate fra voi.
Ma soprattutto che mancate di rispetto ad ogni cosa, a
voi stessi per primi.
Che su un ottuso e futile
sito Internet sprecate del
tempo a disprezzarvi l’un
l’altro. A disprezzare ciò che
vi circonda. Il Governo, i politici di entrambe le fazioni.
Non avete più rispetto
nemmeno per la religione;
già perché ognuno ha il sacrosanto diritto di pensare
ciò che vuole, ma insultare,
insultare una religione... ha
veramente del surreale.
Voi che vi dite aperti a nuove culture, che vi dite colti. E
che per prima cosa disprezzate la vostra cultura. La vostra religione non ha forse
diritto di essere trattata come
tutte le altre?
Cristianesimo, Islamismo,
Ebraismo. In fondo, cosa importa? Perché sprecate il vostro tempo a prendervela
con un Dio che tanto non vi
ascolta!?
Pensate che anche solo
uno dei politici che tanto infangate, un giorno vedrà ciò
che avete scritto, o detto, e si
sentirà menomato? Pensate
che pubblicando idioti post
sul web cambierete qualcosa? Che intasando la bacheca di Facebook di tutti quelli
che chiamate amici, di cui la
metà nemmeno avete mai
visto, otterrete qualcosa? Lo
chiamate sfogo? Lo chiamate scambio di opinioni? In un
mondo dove nessuno ascolta nessuno pensate che esista un confronto dialettico?
In un mondo dove ormai si
ha paura di esprimere la propria opinione, pensate che
Il Carducciano²- Scripta manent
esista una libertà di
parola? In un mondo dove si viene continuamente etichettati, dove si viene definiti ignoranti se non la
si pensa come la massa,
pensate davvero che si possa realmente vivere?
Non riuscite a guardare
lontano. Potete dirvi disponibili quanto volete, ma siete
comunque pieni di pregiudizi.
Che siano contro una razza
diversa, che siano contro gli
omosessuali, che siano contro il Vaticano, Gesù, Berlusconi o Bersani, siete comunque pieni di pregiudizi, e
giudizi. Siete liberi di esprimervi, ma di oltraggiare, ed
insultare... ne siete orgogliosi? Pensate che sia giusto?
Che corrisponda alla sana,
vecchia idea di Dike (δίκη,
amata δίκη)?
Voi, che vi dite persone
corrette, per favore, basta.
Basta giudicare, basta
insultare, basta incitare alla
violenza. Esprimete le vostre
idee civilmente.
Pagina 12
Rubrica musicale
a cura di Andrea Cirimbelli, III A
Alice in Chains
di Andrea Cirimbelli, III A
Tra le cose per cui sono
grato all’America ci sono la
Coca Cola, le serie tv prodotte durante i mandati di
Reagan e gli Alice in
Chains. Parliamo di loro.
Il gruppo di Seattle si distingue dai coetanei e concittadini Pearl Jam, Nirvana
e Soundgarden per la propria
provenienza
dalla
tradizione
glam-metal.
Queste radici determinano
l’intera
produzione
degli
Alice e veicolano un
mal di vivere attraverso toni, non solo
cupi, ma aggressivamente disperati.
Nella loro musica,
la chitarra (Cantrell)
ruggente, cupa e
distorta, spalleggia la potenza del timbro nasale di Staley.
L’abitudine era di registrare la sua voce più volte; si
creavano così dense stratificazioni vocali che ci lasciano oggi il lamento di un uomo afflitto dalla solitudine.
Anche la struttura dei loro
brani ci aiuta a comprende-
re una carriera volta a cantare la propria angoscia, celebrazione che non giustifica le dipendenze, una messa dello sconforto insomma.
Le loro canzoni, specialmente in album come “Dirt”
sono costruite in modo
semplice, lineare e quasi
sempre nello stesso modo.
Nulla cambia mai la propria condizione, senza tornare poi allo stadio iniziale.
Tutto ciò che riesce a decollare per prendere un respiro, ritorna a urlare lo strazio,
l’angoscia di una nauseabonda dipendenza.
E non c’è forse concomitanza tra questi salti dinamici meramente strutturali e il
Il Carducciano²- SOLo MIe conSIderazioni
rapporto
con l’endorfina, che si libera, che non c’è più, che deve tornare?
Così funzionano brani come “God Smack”, inasprito
dal tremore vocale di Staley, e “Hate to Feel”, nel
quale è sempre dato uno
spazio per ossigenare una
strofa che non respira; il superbo assolo
di
chitarra
e
l’incremento dinamico che si accinge a
chiudere il pezzo, si
liberano in un’eiaculazione delirante e
breve; il piacere, loro
lo sanno, dura poco.
Nel loro tentativo acustico del 1994 “Jar
of Flies”, i ruoli affidati ai momenti in un
singolo brano si invertono.
Le chiusure non rammentano l’angoscia ispiratrice, ma
sono carezze.
Alla paranoia ed alla claustrofobia rimane lo spazio di
qualche parentesi. Lo considero un atto di coraggio da
parte dell’antieroe di fine
secolo che non chiede compassione.
Pagina 13
Non tutte le banane sono uguali
di Lisa Ilaria Maiorca, I F
Forse non tutti hanno presente quella “simpatica” banana che fa da copertina al
primo album dei Velvet Underground, ma forse non
tutti conoscono questo
gruppo musicale che si formò a New York durante la
metà degli anni ’60.
La band nacque dall’incontro tra lo studente Lou
Reed e John Cale, un musicista di
musica
d’avanguardia.
L’incontro tra queste
due menti portò
alla formazione di
una band che
proponeva
un
rock diverso, fuori
dagli schemi e
dagli
standard
dell’epoca
che
cercava di alternare e di fondere
melodie soavi e
dolci con ritmi veloci e ossessivi. I
temi dei loro testi
trattavano argomenti come la
morte, la droga e
la solitudine: temi
molto forti che in
quell’epoca erano considerati tabù.
A causa di ciò, il gruppo
non ebbe particolare successo, finché l’artista Andy
Warhol, che li aveva conosciuti e aveva riconosciuto
in loro talento, decise di
produrre il loro primo album.
Warhol apportò qualche
modifica al gruppo: per e-
sempio, affiancò alla band
la voce di una modella tedesca di nome Nico.
Qualcuno potrebbe pensare che tutto quest’inciso
sui Velvet Underground non
cent ri nulla co n la
“simpatica” banana citata
all’inizio, ma non è così,
poiché proprio quella
“simpatica” banana fu la co-
pertina del primo album dei
Velvet uscito nel 1967.
La particolarità della copertina, che fu ideata e disegnata interamente da
Andy Warhol, consisteva
che, nelle prime copie
dell’album, era disegnata
solamente questa banana e
in basso, sull’angolo del vinile, era presente una frec-
Il Carducciano²- SOLo MIe conSIderazioni
cia che indicava di
“sbucciare” la copertina.
“Sbucciata” la copertina,
compariva la polpa della
banana rosa shocking (da
qui l’espressione peel slow
and see, cioè sbuccia lentamente e guarda).
Questa “opera” fu una
chiara provocazione, un segno di trasgressione che Andy
Warhol
aveva
creato per descrivere la band in
quanto alternativa e anche trasgressiva.
Era la prima
volta, infatti, che
un simbolo così
esplicito veniva
pubblicato su una
copertina di un
album. Purtroppo
le stampe furono
interrotte a causa
degli alti costi di
produzione e la
copertina che si
pubblicò in seguito presentava solo la banana gialla. Altri disguidi
tecnici ritardarono l’uscita
dell’album, cosicché il disco
ebbe un successo tardivo
ma comunque molto grande.
Ancora oggi la band viene associata alla banana
della copertina e la banana
viene ritenuta come una
grande opera molto apprezzata.
Pagina 14
Sanremo 2010
di Anna Schönsberg e Maria Ben Errabeh, IV A
In questo periodo, camminando per le strade, sfogliando i giornali, accendendo la radio o chiacchierando con gli amici si
sente parlare solo di Sanremo.
Clerici, Morgan, Filiberto, Pupo o Marco: chi
avrà la prima pagina oggi?
Tra regine della musica
e non, principi senza corona che cercano di diventare i re dello spettacolo alimentando scandali che
passeranno alla storia, abiti esageratamente stretti
e piedi doloranti, qualche
vero artista (o quasi) è riuscito ad affermare la propria arte, mantenendola
incontaminata dal virus
della stupidità che ormai
ha contagiato tutti.
Merita di essere nominata Malika Ayane che, nonostante il razzismo che
aleggia oggi in Italia, è riuscita ad affermarsi contando solo sulle sue capacità
artistiche.
Due parole vanno spese
anche a favore della Clerici, che ha reso queste
quattro serate allegre, mo-
Il Carducciano²- SOLo MIe conSIderazioni
vimentate e
sempre imprevedibili, attirando con i suoi
ospiti milioni di spettatori.
Una nota di merito va al
pubblico e all’orchestra
dell’Ariston che, dimostrando un certo spirito di
critica, ha fischiato (a nostro dire) la vergognosa
classifica finale.
Alla fine dobbiamo ammettere che, sotto sotto, è
stato utile, se non per le
canzoni, almeno per renderci conto di quanto
l’Italia abbia ancora per
progredire.
Pagina 15
Rubrica sportiva
a cura di Luca Casagrande, II F
Lo sport… specchio della società?
di Paolo Cuccurullo, III D
Con il termine sport
s’intende un’attività che
può essere sia di gruppo
sia individuale si basa sul
rispetto del prossimo, sulla
lealtà e su di un clima pacifico in cui dovrebbe essere evitato qualsiasi battibecco.
Infatti, in origine tale fenomeno di pace e lealtà
era presente nella maggior
parte degli sport ma, negli
ultimi decenni, purtroppo,
la situazione è degenerata.
Il clima pacifico iniziò a
guastarsi anche a causa di
famose discussioni secondo le quali, a livello agonistico, alcune squadre erano soggette più di altre a
favoritismi arbitrali. Nacquero così grandissimi
scandali come Calciopoli
che dimostrarono la facile
corruttibilità
di
questo
mondo che sino ad allora
si riteneva indipendente e
a sé stante rispetto alle
situazioni politiche della
società moderna.
Tuttavia si può parago-
nare un dato sport ad uno
specchio che riflette senza
mezzi termini la società in
cui esso opera. Basti guardare il mondo del calcio
che, soprattutto in Italia, si
sta rivelando un mondo
senza disciplina e regolata
da flebili leggi. Tali problemi persistono, infatti, anche nella società italiana
in cui vi sono sempre più
soprusi, e la legge spesso
si rivela inconsistente: in
certe zone della penisola,
essa pare esser debole a
tal punto che ognuno si
sente libero di fare ciò che
gli pare e piace, in barba
alla legge.
Non è un caso infatti che
negli stadi italiani le persone si insultino, corrano e
inneggino cori sfottò di tipo razzista piuttosto che
diffamatori indirizzati a
giocatori e tifoserie avversarie.
Questi avvenimenti, però, non si presentano in
tutt’Europa.
L’Inghilterra infatti, nonostante sia nota per i suoi
Il Carducciano²- Carducci Sport
hooligans,
proprio grazie alla rigidità delle sue leggi, costringe il
pubblico a comportarsi in
un determinato modo tale
da instaurare un rapporto
di rispetto reciproco tra tifosi, calciatori e poliziotti.
Gli stadi infatti furono
rivoluzionati al fine di apportare nuove modifiche
alle strutture: tali modifiche consistevano in un impianto di videosorveglianza, nella numerazione dei
posti e nella creazione di
un pubblico ufficiale che
badasse alla folla e che
controllasse i suoi atteggiamenti con severità.
Non a caso, ciò accade
in Inghilterra, dove la legge viene rispettata molto
di più che in Italia e dove,
se si sgarra, la percentuale di finire nei guai è decisamente alta.
Tengo a precisare che
quest’articolo non è una
critica alla società, bensì
esso vuole sostenere la
tesi secondo la quale, se
succedono scontri negli
Pagina 16
stadi in cui persone innocenti perdono la vita, beh,
la colpa non può essere
sempre e solo scaricata
su queste persone poiché, a parer mio, se queste fossero cresciute con
un buon esempio di sportività e fratellanza, ciò
non sarebbe mai accaduto.
Infatti, l’intento dello
sport era ed è tutt’ora
quello di riunire sotto i colori di un’unica bandiera
persone di diverse estra-
zioni sociali, culturali e politiche.
Sarebbe bello, infatti,
che tutti gli sport prendessero esempio dalla dimostrazione di lealtà e rispetto di quello che secondo me si può definire
lo sport per antonomasia:
il rugby.
Esso è uno degli sport
più violenti in assoluto in
cui il contatto fisico gioca
un ruolo importantissimo
ma, nonostante tutto, a
fine partita, questi giocato-
Il Carducciano²- Carducci Sport
ri sembrano lasciar perdere tutti i disguidi e le discussioni avute in campo
con gli avversari dimostrando un chiaro esempio
di sportività e maturità
mentale.
Questo dovrebbe essere
l’obiettivo di ogni persona
appassionata di sport che,
sono sicuro, darebbe di
tutto per poter assistere
ad una partita di pallone
senza dover vivere nel terrore che succeda qualcosa di spiacevole.
Pagina 17
L’Olympiastadion, un palcoscenico di grandi eventi
di Luca Casagrande, II F
La 2^ liceo prevede, come gita, un soggiornostudio nella capitale europea Berlino; per gli appassionati di sport è
un’ottima occasione per
visitare l’Olympiastadion,
campo di calcio ufficiale
dell’Herta Berlino, squadra meditante nella Bundesliga, nonché ogni anno palcoscenico di importanti avvenimenti.
più coinvolgenti Olimpiadi di
tutti i tempi (più di 4 milioni
di biglietti venduti, NDR), e
il motivo fu la decisione di
scegliere, come città ospitante, quella che aveva come Cancelliere Adolf Hitler.
Epocale fu infatti la rinuncia
da parte della Spagna di
prendervi parte e la sua
conseguente proposta di
introdurre lo stesso anno
dei giochi alternativi nel pa-
Costruito
nel
1936 in occasione
dei giochi olimpici, l’Olympiastadion rappresenta
uno dei cinque
monumenti sportivi più incantevoli
e importanti della
Germania. Il progetto, elaborato
dai fratelli Werner
e Walter March
sotto la visione
del Ministro degli
Interni Hitler, include un grande
complesso: un’arena, uno
stadio, una piscina olimpica,
il Waldbuhne, cioè un popolare teatro costruito per ospitare competizioni olimpiche di ginnastica e spettacoli culturali, e un campanile alto 70 metri.
Nonostante i molti sforzi
effettuati e i numerosi soldi
versati per la costruzione,
molte furono le polemiche
che precedettero una delle
ese iberico. Nonostante ciò,
l’Olimpiade di Berlino ebbe
inizio e si concluse con il
dominio assoluto tedesco,
ma soprattutto con la quadruplice vittoria di James
Cleveland Owens che tanto
sdegnò il Fuhrer da farlo
abbandonare precocemente
lo stadio.
Un altro evento storico
che ospitò l’Olympiastadion
fu la finale di calcio dei
Il Carducciano²- Carducci Sport
Mondiali del 2006
tra Italia e Francia.
Chi è che non si ricorda di
questo indimenticabile avvenimento?
Una finale mozzafiato,
conclusa dal rigore decisivo di Fabio Grosso e dal
successivo sollevamento
della Coppa del Mondo.
Una festa durata giorni e
che ha legato tra loro milioni di italiani urlanti di gioia e fieri di
vedere la loro nazionale sul gradino più alto del
podio.
Questi
erano
solo due dei più
grandi eventi ospitati dall’Olympiastadion, ma in
realtà ce ne sarebbero molti altri
da descrivere dal
momento
che
molteplici sono gli
avvenimenti che
ogni anno ospita
questo stadio: da concerti a
eventi mediatici, passando
per manifestazioni sportive
e opere; e sebbene questi
siano completamente differenti tra loro, una cosa sola
li accomuna, l’atmosfera
elettrizzante e partecipe di
76.000 persone calorose
che rendono la serata magica, un po’ come è successo la notte del 9 luglio
2006!
Pagina 18
Le frasi più belle del calcio
di Luca Casagrande, II F
Da un po’ di tempo su Facebook sta spopolando il
gruppo “le frasi più belle del
calcio” che racchiude le più
celebri frasi del mondo del
pallone. Ecco alcune delle
tante affermazioni degli
sportivi:
- Inzaghi è nato in fuorigioco! (Alex Ferguson)
mi chiedo è in che modo
esultare. (Frank Lampard)
- Non ho bisogno di una
fascia per sentirmi un
leader! (Sebastian Frey)
- Un cavaliere non lascia
mai la propria signora.
(Alessandro del Piero)
- Una partita senza gol è
come l’amore senza bacio.
(José Altafini)
- La porta da calcio è come la porta di casa mia,
non può entrare nessuno!
(Benji Price)
- Ci sono giocatori che
con i soldi guadagnati si
comprano yacht, io con quei
soldi mi sono comprato la
maglia
del
Livorno.
(Cristiano Lucarelli)
- Se stessi con un vestito
bianco a un matrimonio e
arrivasse un pallone infangato, lo stopperei di petto
senza pensarci due volte.
(Maradona)
- Quando vado sul dischetto la prima cosa che
- Come si fa a fischiare
Messi? Messi è il calcio!
Il Carducciano²- Carducci Sport
(Massimo Marianella, telecronista
SKY)
- A Serginho non piace
giocare terzino perché non
si diverte? Dopo lo porterò
al cinema. (Carlo Ancelotti)
- Ho visto un calcio in cui
certi liberi tiravano una riga
vicino alla loro area e dicevano “se la passi ti spacco”.
(Gigi Riva)
Tratto da:
http://www.facebook.com/
pages/Le-Frasi-piu-Belledel-Calcio/291150293143?
ref=mf
Pagina 19
Cronaca del Liceo Classico Linguistico Giosuè Carducci
E le macchinette? Troppa gente...
di Maria Ben Errabeh, IV A
Andare a scuola con l’idea
di copiare i compiti durante la
pausa è normale, ma non
semplice come potrebbe
sembrare. Dieci minuti bastano a malapena per prendersi
un caffè (che sarà finito di
bere sotto gli
occhi infuriati del
professore), per
trovare l’amica
con cui dovresti
parlare oppure,
per la stragrande maggioranza
dei ragazzi, per
prendere un panino o un cornetto,
spesso
ritrovandosi ancora al primo
morso quando
la campanella è
già suonata da
venti minuti.
Appena suona
la campanella
della prima pausa, tutti quanti si fiondano
fuori dalla classe precipitandosi giù per le scale e sbattendo contro ragazzi e professori, inciampando, per poi
rialzarsi nonostante i numerosi graffi e le enormi botte
ed arrivare infine al piccolo
pianerottolo dove “il tipo delle
merende” ha sistemato con
tanta cura quello che noi studenti sbraneremo con avidità
durante le lezioni oppure, nel
migliore dei casi, lungo i cor-
ridoi mentre si ritorna alle sedie troppo calde e alla noia
che ci circonda perennemente in classe.
La pausa finisce e tutti si
guardano intorno, stanchi e
sudati, delusi ancora una vol-
Il Carducciano²- Via Manci 8
ta perché non sono
riusciti a copiare gli esercizi
di latino, greco o tedesco che
si erano ripromessi di prendere dal vicino di banco.
“Vabbè, andrà sicuramente
meglio la prossima volta…”
pensiamo, ma
ogni volta è
come la precedente.
E i più furbi
secondo voi
cosa fanno?
Si portano la
torta di mele
fatta
dalla
nonna? No.
Vanno
alle
macchinette?
Nemmeno:
c’è
troppa
gente e poi
non danno il
resto.
Loro
ingaggiano
qualcuno che
sia disposto a
mettere a rischio le proprie
costole e ad azionare i gomiti
per farli affondare nelle viscere altrui per farti un favore
e salvarti l’esistenza, almeno
per oggi: tanto domani tocca
a te!
Pagina 20
Io lì c’ero davvero...
di Ilaria Casini, III D
“Carducci trasloca” è la pura verità, è la realtà, è già
successo.
Non dico che non me ne
fossi accorta, diciamocelo, è
stato il nostro argomento di
conversazione preferito negli
ultimi mesi, ma, in fondo, si è
rivelato lo stesso qualcosa di
inaspettato.
E adesso il meglio che possiamo fare è ricordare, perché “chi non ricorda bene il
passato è vecchio già oggi” e
allora tutti noi,
gli “studenti di
qualità
dal
1972”, dobbiamo ricordare,
esattamente
come quei ragazzoni del ’72
hanno fatto per
tutto il sabato
g i r o va g a n d o
immersi
in
un’altra dimensione per i corridoi del nostro
liceo.
Un sano “Esercizio di memoria”, ricordate? Eravamo
sospesi nel tempo, 1940, inebetiti forse dall’odore delle
vernici, 1960, circondati da
un mondo coloratissimo, un
po’ viaggio in LSD, 1970, frastornati dalla musica e dal
ritmo sferzante, 1980, dai ricordi lontani e vicini, 1990,
vicinissmi, 2000. La gente
parlava, i muri discutevano
attraverso le parole di mille
illustrissimi intellettuali. Le
finestre chiacchieravano allegramente, le scale domanda-
vano e le “voci di corridoio”
correvano incessantemente.
La nostra vecchia catapecchia era vecchia davvero,
una scuola tirata su dai ragazzi, e non solo quando fu
costruita, ma sempre, una
scuola che è sempre stata
gestita da milioni di studenti
intraprendenti pronti a dare
anima e corpo perché essa
fosse la migliore, era una
“scuola malata”, ma la vuoi
forse biasimare?
Lei non si è mai abbassata
a compromessi, e se lo ha
fatto non era sua intenzione.
Il suo scopo era quello di creare persone, predicava greco
e latino e poi ha capito che
“prima bisogna imparare il
latino e poi bisogna dimenticarlo” e così ha ingaggiato il
tedesco, l’inglese e il francese e “il mondo è (diventato)
bello perché Carducci!”.
E quell’uomo, quel famigerato Carducci che al Festival
viene scagliato a destra e a
Il Carducciano²- Via Manci 8
manca da mille
urla, che viene elogiato, insultato, ripetuto ad ogni applauso, che è sulle bocche di
tutti noi, lui non ha fatto altro
che rimboccarsi le maniche,
afferrare il suo carrettino e
attraversare la strada.
E adesso noi siamo qui un
po’ confusi, con una vaga
crisi d’identità che ci costringe a girovagare ad ogni pausa per questo palazzo che
non ci appartiene. Gli infiniti
corridoi che si
ricurvano in angusti angoli, le
scale a tre rampe che ci mozzano il fiato, la sede staccata che
incredibilmente è
ancora più staccata di prima.
Eppure noi imperterriti continuiamo a gridare
“Carducci!”
a
squarciagola,
forse anche più
degli altri anni
per far capire
che ci possono anche sbattere fuori dalla nostra vecchia
dimora, ma noi rimaniamo
sempre i soliti classicisti un
po’ egocentrici, con una certa
punta di autocompiacimento,
ma in fin dei conti è ciò che
dobbiamo fare per salvaguardare il nostro eterno fascino.
Allora “Grazie Giosuè” per
esserti ricordato di caricare
sul tuo carretto l’incomprensibile affresco, che forse,
se era per noi, lasciavamo
anche quello al ricordo.
Pagina 21
Rubrica moda a cura di
Anastasia La Sala e Ginevra Tarascio, I F
Andy Warhol, “una persona profondamente superficiale”
di Anastasia La Sala, I F
Andy Warhol (vero nome
Andrew Warhola) nacque
nel 1928 a Pittsburgh, in
Pennsylvania, da genitori
cecoslovacchi immigrati.
Warhol fu uno degli artisti
più contestati e aspramente
criticati della sua generazione. Questo perché l’artista
scelse di puntare le luci sul
consumismo americano e di
innalzarlo e propagandarlo
con le sue opere, proprio
quando si cercava di lottare
contro di esso.
La carriera di Andy cominciò a New York, dove lavorò
come grafico pubblicitario
per tutti gli anni Cinquanta.
Nel 1952 tenne la sua prima
mostra alla Hugo Gallery di
New York, dove esibì quindici disegni ispirati ai racconti di Truman Capote. Inoltre, sempre in questi anni, Warhol disegnerà scenografie teatrali e illustrerà le
opere d’importanti scrittori e
poeti.
Nel 1957 l’artista fondò la
“Andy Warhol Enterprises”,
un’azienda che aveva lo
scopo di commercializzare
le sue opere, già diffuse dai
mass media per la ripetizione e l’uniformità seriale delle immagini. I suoi soggetti
erano mezzi di consumo
industriale.
Negli anni Sessanta Warhol diventò un’autentica
star. Egli definiva l’artista
“qualcuno che produce cose che le persone non hanno bisogno di avere” e accusava ed esaltava allo
stesso tempo la società
massificante, di cui egli
stesso si proponeva come
integrato e consumatore.
Warhol fu uno dei maggiori esponenti della Pop art
americana, una corrente
artistica che si sviluppò negli USA proprio in questo
periodo e che rivolge la propria attenzione agli oggetti,
ai miti e ai linguaggi della
società dei consumi. Il nome Pop deriva da “popular”,
non in quanto arte del popolo, ma in quanto arte di
massa, cioè prodotta in serie. E poiché la massa non
ha volto, l’arte che la esprime deve essere il più possibile anonima: solo così potrà essere compresa e ac-
Il Carducciano²- Creative Nook
cettata dal maggior
numero di persone.
La Pop art è in contrapposizione alle correnti dell’Impressionismo ed Espressionismo e guarda invece al
complesso degli stimoli visivi propri della vita quotidiana dell’uomo contemporaneo: il cosiddetto “folclore
urbano”.
Sono proprie della Pop art
le forme più popolari di comunicazione, come il fumetto, la pubblicità e i quadri in
serie. Tra il 1960 e 1961
Warhol scoprì i dipinti di Lichtenstein ispirati ai fumetti,
e quasi contemporaneamente iniziò anche la serie
delle scatolette di zuppa
Campbell, delle bottigliette
di Coca Cola e quella dei
ritratti di Marilyn Monroe, di
Elvis Presley e di altri personaggi dello spettacolo e
della politica. La tecnica usata da Warhol fu quella del
riporto fotografico, con i violenti colori industriali della
stampa in offset che dissacrava il concetto di unicità
dell’opera d’arte, creando
un procedimento artistico
Pagina 22
meccanico.
Egli, inoltre, sarà autore di
film e cortometraggi sulla
stessa tematica che realizzerà insieme ai collaboratori
del suo studio, la famosa
“Factory”, dove si svolgevano le attività artistiche e
mondane del gruppo della
Pop Art. Tra i suoi collaboratori ricordiamo Edie Sedwick, carismatica ereditiera e bellissima icona pop
degli anni Sessanta, musa
di Warhol che fece di lei una star.
L’arte di Warhol ebbe
un’enorme successo di
mercato, e le sue opere furono esposte in tutto il mondo: alla Documenta 4 di
Kassel, a Montreal, Osaka,
Pasadena, Chicago, Londra, Parigi e New York. I
suoi happening multimediali, le sue produzioni di video
e progetti televisivi, i suoi
ritratti di divi di Hollywood e
le sue pubblicazioni continuarono per tutti gli anni
Settanta e Ottanta, fino a
quando, dopo aver realizzato Last Supper, ispirato
all’Ultima cena di Leonardo,
che fu esposto a Milano,
Warhol morì nel 1987 in un
ospedale di New York in
seguito a un’operazione chirurgica alla cistifellea. Verrà
sepolto a Pittsburgh, dove
nel 1990 nasce l’“Andy
Warhol Museum”.
Il Carducciano²- Creative Nook
Oggi la Pop art diventa
moda e stilisti come il mio
amato Jeremy Scott creano
intere collezioni dedicate a
questa corrente artistica
con un’esplosione di colori,
forti contrasti e forme ispirate ai cartoons, ma senza
mai cadere nel banale.
Oggi indossiamo le icone
che Warhol ci proponeva
allora, come la sua Marylin,
la Coca Cola, James Dean
o il suo barattolo Campbell.
Andy Warhol disse: “Non è
forse la vita una serie
d’immagini, che cambiano
solo nel modo di ripetersi?”.
Non so voi, ma io in questa affermazione ci vedo
uno spesso fondo di verità.
Pagina 23
Lutto nel mondo della moda, addio Alexander!
di Ivan Allegranti, II A
Con immenso dolore, i
fashion fans e tutto il
fashion system hanno appreso la morte di Alexander
McQueen, icona della moda internazionale. È stato
ritrovato privo di vita nella
sua abitazione, nel West
End di Londra. Aveva 40
anni. Sulla sua fine sono
state fatte varie ipotesi, fra
cui il suicidio...
Ma che importa? Un altro
mito del nostro tempo è
scomparso.
Il genio di McQueen stava nel mescolare l’alta sartoria e le sue personali ossessioni in abiti inquietanti
ma allo stesso tempo favolosi; i quali, spesso, lasciavano dapprima attoniti gli
spettatori che assistevano
alle sue sfilate, ma che poi
finivano per stregare critici
e compratori: basti pensare alla sua ultima collezione autunno-inverno, presentata da modelle con visi così trasfigurati che a
malapena si potevano riconoscere.
Molto bella, a mio parere, è la sua collezione primavera-estate 2010, che
Alexander volle chiamare
“Plato’s Atlantis Collection”, vestiti coloratissimi
e pratici da indossare, dai
quali spiccava l’ottima sartorialità; anche se le calzature, con tacchi alti fino a
40 centimetri, hanno messo a dura prova l’equilibrio
delle modelle (Snejana Onopka e altre modelle, in-
Il Carducciano²- Creative Nook
fatti, si sono rifiutate di sfilare).
Lo stilista inglese trasferiva in passerella i propri sogni, ma anche i propri incubi. Gay dichiarato, ebbe una
vita apparentemente normale e laboriosa, tuttavia
devastata spesso dall’ansia e oppressa dall’inquietudine. Fu direttore creativo
per Givenchy e per Romeo
Gigli, e i suoi capi oggi sono
adorati dallo star system,
come la famosa Lady Gaga.
“C’è sempre stata un’attrazione fra lui e la morte, le
sue collezioni erano come
disumanizzate” dice Karl
Lagerfeld.
“Alexander Mc Queen, un
vero cattivo genio!” ha detto
la cantante Estelle.
Pagina 24
Qualche consiglio primaverile
di Ginevra Tarascio, I F
Finalmente la primavera.
Quanto l’abbiamo aspettata, e,
incredibile, è arrivata.
Ieri era Natale, l’altroieri era
Halloween e oggi è Pasqua.
Domani sarà il 2 giugno!?
Ecco quindi qualche veloce
consiglio per affrontare la nuova stagione con un po’ di stile.
Premessa: non ho la presunzione di essere migliore di
nessuno, ma l’idea
di (forse) portare un
poco di moda anche
nei cuori di chi apparentemente non è
interessato, mi entusiasma!
I colori della stagione: (purtroppo, per
alcune) tonalità neutre e chic, cipria, pelle, perla, beige sabbia. Per le amanti dei
colori un po’ più accesi sono tornati verde e blu, ma sempre
in toni poco squillanti
ed accesi.
Ovviamente è ancora in pole position
lo stile retrò. Abbiamo le amate camice
larghe e capienti, a
fantasia (ma evitiamo i quadri, ormai
sono out), o monocolore. Quest’anno impera il
denim, chiaro o scuro non importa. Le camice di jeans sono
il must della collezione primavera-estate. Cercate nei vecchi armadi delle mamme, sicuramente ne troverete un’ampia
scelta, giunta direttamente dagli anni ’80-’90. Da evitare accostamenti impropri con pan-
taloni neri, o colorati. Ok con
panna, beige, cachi.
Ancora giacche over-size, di
cotone, a spalle rigorosamente
larghe; da indossare con sotto
vestiti, o magliette effetto sdrucito. Da evitare assolutamente
magliette o felpe aderenti.
I jeans alla caviglia, o sopra,
senza rimborso in fondo. Possibilmente chiari, o comunque
scoloriti, al top con i mocassini
(colorati e non). A cavallo basso e appena sopra la caviglia
sono al top.
Cercare di essere fantasiosi,
ma senza esagerare ovviamente. Troppi colori sono distruttivi, e assolutamente out.
Quest’anno impera lo stile trasandato-chic, fatto di colori che
Il Carducciano²- Creative Nook
definirete
smorti.
Francesine stringate
ancora alla moda.
Foulard colorati, pashmine
ampie a fantasia (e qui di nuovo, potete trovare delle vere
chicche nei vecchi guardaroba
inutilizzati). Cercate, cercate
sempre nei vecchi armadi perché non avete idea delle meraviglie che vi si nascondono!
Anche se vi sembra
che una cosa sia
dannatamente fuori
moda, ricordate che
potete sempre contare sull’aiuto della
sarta (o per i fortunati, della nonna o
della vecchia zia
gattara ed amante
del cucito) per sistemare anche i capi
più impensabili.
Quindi cercate,
cercate,
cercate.
Non spendete mai
tanti soldi per un
capo di moda, tanto
non vi servirà più.
Cercate cose in, e
low cost. Per i pezzi
classici magari permettetevi di spendere qualcosa di
più!
Ovviamente ciò
che ho appena detto è una
norma che in qualunque giornale di tendenza è costantemente ripetuta, ma mi auguro
che anche chi non provi interesse magari si possa incuriosire e decida di dare una sbirciatina (seppure piccola) a
questo mondo meraviglioso
ed artistico: la moda.
Pagina 25
Rubrica cinema
a cura di Ilaria Casini, III D
I cult
di Ilaria Casini, III D
Cosa rende un film un
“cult”? Allora, prima di tutto
prendiamo in considerazione la parola in sé stessa.
Cult viene dall’inglese ovviamente, letteralmente starebbe per culto, ma in arte
vuol dire “opera particolarmente apprezzata e ricercata da appassionati di un genere artistico”. Quando un
film diventa cult, però, non
diventa solo un’opera ricercata e apprezzata, tantissimi film sono apprezzati, ma
pochi sono cult. Un’icona,
un simbolo, ecco cosa vuol
dire un film cult.
I film che sono diventati
culto della cinematografia ci
sono riusciti perché analizzavano un’epoca. Portavano incisi sulla pellicola i problemi, le discussioni, le incertezze di un certo periodo. Sono diventati intramontabili perché grazie ad essi
si continua a ripercorrere un
certo periodo di storia. Attenzione però, non devono
essere necessariamente
film storici, come l’infinita
serie che è arrivata
dall’Olocausto, dalla Gran-
de Guerra, e da tutti quei
personaggi che hanno scritto la Storia.
Un film icona di un’epoca
deve dare voce ai tabù del
suo tempo, deve guardare
al futuro, deve sfidare la
censura, apparire scandaloso, eccessivo, anche volgare se necessario... altrimenti
come potremmo ricordarlo?
Quando l’ombra della
Shoa incombeva su tutta
l’Europa, nel 1940 Charlie
Chaplin ha reso la persona
più spietata del tempo un
attore comico. Lo ha fatto
ballare con un mappamondo, lo ha fatto inciampare,
sputacchiare e lo ha fatto
litigare con dei microfoni... Il
Grande Dittatore, ma vi
rendete conto?! Quello stava sterminando mezza Europa e Charlot lo faceva scivolare giù dalle tende e incespicare sul lettino del barbiere!
Rimanendo su Charlie
“genio” Chaplin, soltanto
quattro anni prima di prendere spudoratamente Hitler
per il “naso”, si era incastrato in mezzo a enormi ingra-
Il Carducciano²- Cinemania
naggi di chissà
quale macchinario, ipnoticamente ossessionato da un
unico gesto, pazzo compulsivo costretto a stringere
bulloni ripetitivamente dimenticandosi per così dire
di avere un cervello e dei
sentimenti, diventando uno
stereotipo di perfetto lavoratore, trasformandosi in una
macchina lui stesso. Era il
1936. La Macchina avrebbe
rivoluzionato i Tempi Moderni, sottomettendo l’uomo, privandolo della sua
umanità e del suo pasto,
come ci mostra Charlot vittima della sperimentazione
dell’automatica da alimentazione, ovviamente mal funzionante.
Saltando di una trentina
d’anni, perché non posso
parlare di tutto il XX secolo,
vi propongo un film che è
ancora oggi ritenuto
“particolarmente colorito,
frivolo e scostumato”, ma
The Rocky Horror Picture
Show, Dio solo sa perché è
un film eccezionale!
Ok, non è un film, è un
musical, è un viaggio, è coPagina 26
me entrare in un altro mondo e uscirci diversi (con calze a rete e chili di rossetto
rosso magari!).
Anni ’70, rivoluzioni e proteste all’ordine del giorno,
ma ancora sani e rigidi modelli da seguire e questo
film che irrompe nelle sale,
sbaraglia tutto e tutti diventando l’evasione per milioni
di persone. Andare al cinema a vedere un protagonista uomo strizzato in un
corpetto, in autoreggenti a
rete e tacchi vertiginosi, coperto da chili di trucco, con
una parlata provocatoria,
movimenti sinuosi e con un
orientamento sessuale più
che libero e aperto a nuove
esperienze, proveniente da
Transexual, Transilvania,
era l’appuntamento perfetto.
Questo è un cult. Ragazzi
che andavano al cinema
cinque, sei, dieci volte di
seguito solo per rivederlo,
per rivedere la vita senza
limiti, sre golata f ino
all’immaginabile degli ambigui personaggi. Le sale
stracolme di ossessionati
diventavano veri e propri
palcoscenici dove gli spettatori impersonavano i vari
“transessuali”, cantavano
simultaneamente e ballavano a tempo di The Time
Warp (“It’s just a jump to the
left... and then a step to the
right… put your hands on
your hips... You bring your
knees in tight. But it’s the
pelvic thrust that really
drives you insane. Let’s do
the time-warp again”),
spesso recandosi già travestiti dai vari protagonisti.
Sempre sulla stessa
“linea d’onda” è il tarantiniano Pulp Fiction. Non sono
più gli anni ’70, ci siamo
spostati ancora di 20 anni,
ma gli eccessi, la violenza,
la volgarità, la totale assenza di regole e finezza fecero
di nuovo breccia nel cuore
degli spettatori e nel mondo
della celluloide etichettandolo come un film evidentemente squilibrato e da Oscar. Eppure quale metodo
migliore per mostrare le
“pecche” che ormai infliggevano il mondo? Forse non
fu proprio questa la ragione
per cui Tarantino girò questa pellicola, ma per questo
verrà menzionata qui e altrove.
E quindi? Il prossimo
Il Carducciano²- Cinemania
“cult” quale sarà? Quello
che dovrà rendere immortale la nostra generazione, il
nostro modo di pensare i
nostri sogni di evasione?
Quello che dovrà denunciare tutti i soprusi e i “mali”
della società odierna, qual
è? Quale film appena uscito
potrebbe tenere testa a
questo titolo? L’idolatrato
Avatar? La smielata saga
dei vampiri? La ormai forse
troppo prolungata saga di
Harry Potter? Da questo mi
rendo conto che i film che
ormai ci “piacciono” davvero
sono quei lungometraggi
che ci trasportano da
tutt’altra parte, in un mondo
inventato, non perfetto, ma
comunque irreale.
Siamo arrivati a tal punto
da non poter più sopportare la nostra realtà e da crearcene un’altra completamente falsa per poter sognare per almeno 190 minuti?
Ma chi sono io per dirlo,
che continuo a controllare il
calendario per vedere se
Alice nel Paese delle Meraviglie firmato Tim Burton si
sovrappone alla mia gita di
classe?
Pagina 27
Un malinconico regista disperato
di Ilaria Casini, III D
Uno dei nomi più corti e
banali al mondo con la personalità più complessa,
contorta, macabra, noir, dolente, stupefacente che esista. Tim è davvero un nome
corto, ma se ci aggiungo il
cognome, allora si innalzerà
un “Ahhhn, beh, ma allora
sì…”, e allora va bene, ve lo
lascio dire... Tim Burton.
Non voglio dirvi che scrivo
di lui perché “è il migliore
regista dei nostri tempi”,
perché è troppo soggettivo
e nonostante la pensi così,
o quasi, sento comunque la
voce di altri registi che mi
rimbombano in testa dicendomi: “Ah sì, eh? E io!?!”.
Non è corretto nei loro confronti. Se proprio lo devo
definire in qualche modo,
Burton è un regista visionario, è magico, ma non è magia ciò che fa, perché vorrebbe dire che da qualche
parte c’è un trucco. Non è
nemmeno abilità, perché
quella la si può imparare,
mentre lui ha un dono speciale che si vede poco in
giro. Ai critici piace definire
il suo “genio” studiando i
suoi film, riprendendone la
magia, la malinconia che da
essi emerge, altri rispetto ai
suoi capelli per sottolineare
la completa assenza di ordine logico che deve trovarsi
nella sua mente. A me invece piace paragonarlo ai sui
alberi, quelli che piazza ovunque: sia in un “cartone
animato” in stop-motion di
un mondo surreale o in un
film con persone in carne
ed ossa alle prese con i
propri problemi così assurdi
e contemporanei allo stesso
tempo, lui un albero è sempre riuscito a farlo comparire. È proprio così che io lo
vedo, un uomo fatto esattamente come i suoi alberi,
ricurvi su sé stessi ad interpretazione del dolore più
profondo, dell’oscurità più
buia, degli avvenimenti più
intricati, degli imprevisti più
improbabili, della magia più
pura.
Parliamone allora di
quest’uomo dai riccioli
scompigliati e dall’ormai fin
troppo apprezzata bravura.
Nasce a Burbank nel 1958,
ma il suo luogo di nascita lo
conosciamo ormai tutti, è
l’anonimo quartiere a casette a schiera che fa da sfondo a Edward Mani di forbice.
Come primo lavoro in
campo cinematografico,
Tim s’impegna come animatore alla Disney, ma si
rende conto che non sono
quelli i tipi di cartoni animati
che vuole fare e, tra una
cosa e l’altra, sforna Vincent Malloy, il primissimo
cortometraggio partorito per
descrivere la sua infanzia
distruttiva trascorsa tra i film
dell’orrore e dedicato a Vincent Price, amico scomparso che gli ha prestato la
splendida voce per cinque
meravigliosi minuti di poesia
in rima. E così è nato questo regista: dopo un altro
Il Carducciano²- Cinemania
tentativo con la
Disney per un Hansel e
Gretel da lui rivisitato con
personaggi giapponesi e
inquietanti omini di marzapane, ci sono tutti i suoi film
che ci hanno catapultato in
mondi impossibili, che tutti
conosciamo almeno uno,
che a volte a pensarci mi
domando: “Ma come gli
vengono certe idee?!”. Non
so bene cos’altro scrivervi
su di lui, perché se vi parlassi di tutti i suoi film non
finirei più, e allora parliamo
d’altro. Perché Tim non è
soltanto un regista, è un poeta, un disegnatore (ma
questo magari lo avevate
già capito dal periodo Disney, eh?), un fotografo e
uno scrittore. Niente di meno che il MOMA (Museum
Of Modern Art) di New York
gli ha dedicato una mostra
di cinque mesi che durerà
fino al 26 aprile e che mostra al pubblico una fila di
schizzi, disegni, scarabocchi che hanno dato inizio a
molti dei suoi film o che
semplicemente sono stati
poi scartati, come la teoria
che i suoi animali fantastici
in caso di pericolo si unissero formando una super palla
pelosa a otto zampe con
due bocche e innumerevoli
occhi (tutto questo ovviamente lo potete comodamente vedere con un biglietto aereo per la Grande
Mela o comprando il libro
dell’esibizione come ha
prontamente fatto la sottoPagina 28
Ma alcuni disegni da lui
creati poi sono diventati poesie oppure viceversa, da
animatore qual è ha voluto
dare forma alle sue storielle di bambini problematici
come quello Tossico o
quello Mummia, di figure
inquietanti come il bambino
con i chiodi negli occhi o la
bambina Vudù, di trasfigurazioni e storie improbabili
come la bambina che si
tramutò in letto, l’amore ardente di uno stecco e un
fiammifero o il tanto amato
bambino ostrica, l’emblema
dell’incompreso ed emargi-
nato, tema che sta così
tanto a cuore al nostro regista. Un altro libretto che
contiene venti buffe storielle in rima terribilmente malinconiche.
E così alla fine sono riuscita comunque a scrivere
una paginetta su una di
quelle persone che forse
non avrà cambiato il mondo
ma che ringrazio, non so
bene chi, per averla creata.
Perché continuo a trovare i
suoi film deliziosamente
piacevoli, malinconicamente divertenti, terribilmente
attuali nella loro assoluta
Il Carducciano²- Cinemania
finzione, e nonostante Alice
in Wonderland forse non
avrà soddisfatto gran parte
di voi, ammettete che comunque appena vi dirò qual
è il suo prossimo progetto
inizierete già a pensare di
andare al cinema a vederlo,
perché con la Famiglia Addams può succedere di tutto...
“Non ho mai visto una
persona così palesemente fuori posto trovarsi così perfettamente al posto
giusto. A modo suo.” [Johnny Depp]
Pagina 29
“Nessun trauma cranico”
di Ginevra Tarascio, I F
Ah, quale arte sublime,
il cinema. Potrei rimanere
ore a descriverne le mille
sfaccettature, a parlare
dei film appena usciti, di
quelli che usciranno, di
quelli vecchi, di quelli ormai antichi. Dei miei film
preferiti, dei film preferiti
da voi e da tutti, dei film
belli e dei film brutti. Dei
film con i più bei protagonisti. Sì, quei personaggi
che ti rimangono impressi
nella mente, dei quali conosci tutte le battute e le
gesta a memoria, dei
quali ci siamo tutti e tutte
innamorati ed innamorate. Quei personaggi sempre eroici, sempre coraggiosi, anche nei momenti
più impensabili! Quei personaggi che... che... potremmo andare avanti
all’infinito, ma non è di
questo che oggi voglio
parlare.
Sì, perché quest’oggi
vorrei porvi una questione.
Prendiamo un film a caso, il primo che tutti dovremmo avere nella videoteca di casa. Un classico della commedia rosa
inglese che tutti hanno
visto ed apprezzato: Notting Hill.
Tutti conoscono la storia d’amore che si svolge
tra i due, che già appaiono felici e innamorati ad
un primo e inesperto
sguardo alla locandina
del film.
Ma c’è un personaggio
che non appare sulla copertina del DVD, un personaggio del quale però
tutti serbiamo un ricordo.
Sì, sto parlando di lui,
proprio di Spike, il coinquilino stralunato di Hugh
Grant! Un personaggio
secondario, è vero, ma
che ha donato al mondo
qualcosa, che ha cambiato profondamente e radicalmente le nostre vite.
Spike che confondeva lo
yogurt con la maionese.
Che camminava vestito
da subacqueo. Ed è di
questo che oggi voglio
parlare: della legittimità
dei personaggi secondari
nei film che si trovano in
tutti i film. Talvolta non
ne ricordiamo il viso, o il
nome, talvolta invece sono proprio loro a rendere
la storia tanto speciale.
Ma in un modo o
nell’altro sono sempre
presenti.
Anche in film famosi
come Twilight troviamo
alcuni esemplari di personaggi secondari e/o inutili. A fianco del BELLISSIMO vampiro Edward, si
staglia la sua famiglia. Il
personaggio a mio avviso
più inutile è senza dubbio
il capofamiglia Carlisle, il
quale in tutto il film si limita a visitare Bella dopo
che questa viene quasi
magistralmente investita
da
un
camioncino:
“Nessun trauma crani-
Il Carducciano²- Cinemania
co!”. Che esclamazione importante!
Un altro film recente.
Cosa mi dite di Alice in
Wonderland? Il topino di
sesso confuso che affianca il Cappellaio Matto in
ogni decisione. E Avatar?
Già, perché al fianco della Dottoressa Augustine,
come aiutante, c’era o
non c’era un tristo uomo
di cui non è ricordato il
nome, la faccia, lo scopo
e l’esito?
E chi avendo visto almeno una volta nella vita
l’epico Ghostbuster (il
film!), chi non si ricorda
del Mastro di Chiavi,
quell’ometto vagamente
somigliante a Woody Allen che in tutto il film
mantiene un ruolo secondario e poco importante
contornato da tristi battute?!
Addirittura, pensate,
esistono degli attori nati
per NON essere i protagonisti; quegli attori che
in ogni film riescono a
trovare una parte, anche
minima (esempio: barista
strabico e/o albero sullo
sfondo-cespuglio di rododendro), in OGNI film, ma
dei quali nessuno ricorda
mai il nome, e finiscono
trucemente etichettati come: “Ma sì, dai, è quello/
a che ha fatto... e anche... ma il nome?”.
Ebbene sì. La nostra
vita cinematografica e
Pagina 30
non è contornata da queste persone, e io dico:
diamo loro un po’ di importanza in più. In fondo
anche queste triste ed
oscure figure, questi scudieri meritano un poco di
attenzione in più; immaginate dove sarebbe il cinema senza di loro: solo
eroici, coraggiosi, simpatici, insigni protagonisti.
Una noia mortale. Perciò
suvvia!
Un appello: creiamo su
Facebook un gruppo per
costoro, diffondiamo il
verbo e rendiamo i personaggi secondari parte indispensabile delle nostre
vite!
passionante, intrigante e
malinconica. Tutto il film
ruota intorno all’esecuzione de Il Concerto per
Violino di Tchaikovsky,
dal quale il film prende il
nome, interrotta bruscamente vent’anni prima,
nella Russia totalitarista
e comunista. Anche le
vite dei personaggi sembrano condurre a quella
terribile sera. Poi la voglia di rimettersi in gioco
e di affrontare il passato
fa scattare il meccanismo
che fa ripartire il tutto e
garantisce il lieto
fine.
Questo film, tra vortici
di sentimenti contrastanti,
emozioni forti e una certa
ironia, mostra la realtà di
uno stato, la Russia, che
è, come i protagonisti, in
bilico tra passato comunista e futuro democratico.
Lo consiglio a tutti coloro che vogliono vedere
un film che dia degli
spunti di riflessione in
tutti i campi, da quello
sentimentale a quello politico.
Il Concerto
di Anna Schönsberg, IV A
L’idea di andare al cinema con le mie zie non
mi appassionava particolarmente...
Pensavo ad una serata
piuttosto monotona, alle
prese con un film noioso.
Ma poi quando nell’immensa sala le luci si sono
spente, le chiacchiere acquietate e il rumore dei
denti sui pop-corn si è
fatto più frenetico, mi sono fatta veramente rapire
dal film.
La vicenda ambientata
tra Mosca e Parigi è ap-
Il Carducciano²- Cinemania
Pagina 31
Rubrica giochi
a cura di Edoardo Giuriato, III D
Le battute non ridono
di Daniel Palese, V E e Martina Angonese, III D
Ciao a tutti! Anche in questo numero, Martina ed io
abbiamo deciso di deliziarvi
con le nostre battute spettacolari… Buona lettura, speriamo siano di vostro
gradimento!
● I nani vanno a fare
colazione in un bar;
Dotto si alza e domanda: “Cosa volete da
bere?”. Tutti concordano per del tè. Allora
il nano va dal barista e
chiede: “Sette tè”. E il
barista: “Bubu...”.
● Siciliano in pasticceria: “Vorrei una colomba...”. Commesso:
“Motta?”. Siciliano: “E
che viva me la vuole
dare?”.
● Perché il maschio
della pianta è sempre triste? Perché è un pianto!
● “Mi sono perso nei tuoi
occhi!” disse la lente a contatto.
● “Non c’ho più il fisico!”
disse la mamma di Einstein
quando il figlio se ne andò
di casa!!!
● “Se russi ti picchio!”.
“E se ucraino?”. “Ti merlo!”.
● “Le mie figlie hanno
sposato due salumieri. Ho
due generi alimentari”.
Il Carducciano - Giochi e svago²
● Un quadrato dice a un
cerchio che si è ferito: “Te
la sei cerchiata!”.
● “Un ubriaco vuole scendere dalla bicicletta ma non
ci riesce! È attaccato...”.
“Perché?”.
“Beh... È colpa dello... scotch!”.
● Un libro di aritmetica a quello di geometria: “Certo che ne
abbiamo di problemi...”.
● Un tasso ad un
altro tasso: “Ma tu le
paghi le tasse?”. E
l’altro risponde: “No,
lo faccio per amore”.
● Cosa ci fanno un
quaderno, una matita
e una gomma sul fondo di un lago? Si bagnano.
● Dire “ciao” fa bene: è
salutare!
● È morto Bic... ci ha lasciato le penne.
Pagina 32
Crucipuzzle
di Edoardo Giuriato, III D
Cercate, all’interno del crucipuzzle qui sotto, le parole sottostanti; al termine, troverete due parole che… beh, a voi la sorpresa!
PAROLE:
aereo - alto - andato - aria - atto - bianco - blu - bue - campo - cane - caso - centro - collo conservazione - cuoco - dopo - elettrico - fine - fino - gioia - giro - istante - lento - luce - lui luna - meno - morte - mosca - motore - musica - naso - nome - nota - notte - ogni - olio - ora ordine - oro - otto - ovest - perso - pesci - presto - prima - processo - punta - radio - reale ritrovamento - rullo - rumore - sale - scuro - sega - senso - slittamento - sogno -stampa - stato
- sud - suono - temperatura - testa - tiro - tono - totale - tre - uno - usuale - usura - verbo voce
Il Carducciano²- Giochi e svago
Pagina 33
Illusioni ottiche
di Edoardo Giuriato, III D
Fissate il puntino e muovete la testa avanti e indietro…
Osservate attentamente i cerchi… siete sicuri che si
muovano?
Non trovate che questa scacchiera abbia qualcosa
di insolito?
Un volto o un musicista?
E quest’immagine? Rappresenta un
cavallo o una foca?
Cosa succede se girate la pagina rispettivamente di 180° e di 90°?
Il Carducciano²- Giochi e svago
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Siete sicuri che quest’immagine La lettera “B” o il numero
rappresenti dei calici messi in fila? “13”?
Quanti cubi riuscite a contare? Sei o sette?
Quale dei due segmenti è il più Incredibile ma vero: entrambi i cerchi Quante gambe riuin mezzo sono perfettamente identici! scite a contare?
lungo? Nessuno: sono uguali!
Stenterete a crederci, ma il cerchio
bianco che vedete è assolutamente
perfetto!
E per finire, un’illusione ottica sorprendente:
fissate i quattro puntini neri per 30 secondi e
poi guardate su un foglio bianco o su una parete. Chi o che cosa compare?
Il Carducciano²- Giochi e svago
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Recensione “Tekken 6”
di Giada Cardillo, III D
La saga di Tekken sembra
essere un treno fischiante senza freni. I produttori non danno
il minimo accenno di stanchezza, e l’ultimo capolavoro del
“picchiaduro” più famoso al
mondo ne è la dimostrazione.
Una nuova modalità di
sblocco personaggio governerà questo capitolo della
saga che verrà chiamata
“Campagna”; in questa modalità, una volta selezionato il
proprio personaggio principale si viaggerà in differenti posti del mondo nei quali si trovano i personaggi da sbloccare. Costruito in stages,
l’obiettivo di ogni livello è distruggere tutti i nemici che
sbarreranno la strada per infine sconfiggere il boss finale,
che corrisponderà ad uno dei
personaggi del gioco.
L’innovazione di questa modalità è la varietà che essa
contiene in sé stessa: infatti la
storia, in originale adattata alla
storyline dei due nuovi personaggi della Bloodline Rebellion (Alisa Bosconovitch e
Lars Alexandersson), risulterà
diversa per ogni personaggio
utilizzato, poiché i dialoghi saranno adattati al carattere di
quest’ultimo. Inoltre, nella
Campagna si verrà assistiti da
uno dei due nuovi personaggi
dell’espansione citata prima.
Eh già, l’edizione europea
di Tekken sarà già dotata
dell’ultima espansione, la
Bloodline Rebellion. In ogni
caso, questa modalità non è
del tutto una novità: come gli
intenditori avranno già intuito,
essa è stata ripresa da Tek-
ken 3 nel quale era sbloccabile. Una modalità invece criticabile è l’Arena, meglio conosciuta come “storyline”.
Essa infatti sarà priva di interludes, scarsa di livelli e terminante con un boss che non
mette alla prova la bravura
del giocatore, bensì la sua
pazienza. Azazel, infatti, è un
Dio egizio capace di parlare
anche quando esegue una
mossa. Per gli amanti dei filmini finali, chiamati anche
endings, questa saga sarà
una vera delusione: corti,
prevedibili ed insignificanti.
Dal punto di vista, grafico il
miglioramento è semplicemente disumano: la realisticità dei personaggi e dei movimenti da essi compiuti è a dir
poco impressionante; persino
le personalizzazioni, molto
variegate, avranno questa
spiccata caratteristica. Alcune arene saranno strutturate
in due diversi piani, rendendo
più accattivanti e realistici i
combattimenti. Tutto questo
senza contare l’incredibile
grafica e fantasia degli scenari: essi, infatti, saranno dotati di una precisione grafica
da urlo, come ad esempio la
neve che si scosta solamente
nel punto esatto in cui il piede
del personaggio si appoggia
nella “Manji Valley”, oppure il
pomodoro che esplode fragorosamente a terra nella
“Tomato Fiesta”. In nostro
onore è stato persino creata
un’arena tirolese, con tanto di
pecore e bambini che giocano.
Il “bound” sarà invece una
nuova tecnica che consiste
Il Carducciano²- Giochi e svago
nel
rimbalzo
dell’avversario a terra, molto
utile per le “juggles” (combo
in aria). I nuovi personaggi
che coroneranno questo capitolo saranno:
- Leo, una ragazza
dall’aspetto maschile che
vuole vendicarsi dell’omicidio dei suoi genitori da parte di Kazuya Mishima;
- Lars Alexandersson, figlio
illegittimo scandinavo di Heihachi Mishima e capo di
un’organizzazione ribelle;
- Bob, uomo large-size che
vuole migliorare ancora di più
le sue abilità acrobatiche e di
combattimento;
- Miguel Caballero Rojo,
uomo rozzo e violento che
vuole vendicarsi del suo unico membro familiare amato,
sua sorella, uccisa in un
bombardamento della compagnia Mishima Zaibatsu durante il suo matrimonio;
- Zafina, misteriosa e
“viscida” guerriera indiana
che vuole evitare il risveglio
di Azazel, dovuto allo scontro
tra Kazuya Mishima e Jin Kazama (che vorrei far notare
sono padre e figlio…).
Per concludere in bellezza,
non potrà mancare Heihachi
Mishima, che alla veneranda
età di 75-76 anni, anziché
andare a pesca e rilassarsi in
una bella casetta di campagna come tutti gli anziani di
questo mondo, avrà ancora
la forza e soprattutto la voglia
di riconquistare la sua amata
Mishima Zaibatsu, ora nelle
mani del suo “adorato” nipotino, Jin Kazama.
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Direttori:
Ilaria Casini, III D
Marta Reczko, III D
Vice-direttori:
Anna Zangerle, V E
Nicolò Faustin, V D
Fumetti e vignette:
Anastasia La Sala, I F
Giada Cardillo, III D
Ginevra Tarascio, I F
Jonida Kasa, III D
Shadi Davoodi, III C
Grafica e impaginazione:
Edoardo Giuriato, III D
Collaboratori:
Anastasia La Sala, I F
Anna Schönsberg, IV A
Andrea Cirimbelli, III A
Chiara Degasper, II E
Chiara Parisi, II C
Daniel Palese, V E
Enrico Rizzi, III A
Fabio Raffaelli, IV E
Francesca Taverna, IV A
Giada Cardillo, III D
Il Carducciano²- Redazione
Ginevra Tarascio, I F
Ilaria Casini, III D
Ivan Allegranti, II A
Lisa Ilaria Maiorca, I F
Luca Casagrande, II F
Maria Ben Errabeh, IV A
Martina Angonese, III D
Michael Fanelli, V E
Michela Parlavecchio, I F
Paolo Cuccurullo, III D
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