Cliccare qui per scaricare il testo dell`articolo in pdf

Transcript

Cliccare qui per scaricare il testo dell`articolo in pdf
Tregua natalizia: è possibile?
A partire da un episodio accaduto nel Natale 1914, durante la “grande guerra”, siamo invitati a
darci una calmata, ad abbassare i toni dentro e fuori la chiesa, a concederci e a concedere una tregua
davanti a quel Bambino appena nato, a quel segno “indifeso” che Dio ha offerto agli uomini nella grotta di Betlemme. Un volto “mariano” di chiesa.
«Mi domando che cosa accadrebbe se gli eserciti nemici di colpo e simultaneamente scioperassero e dicessero che si deve cercare qualche altro metodo per risolvere il conflitto»: così
scriveva Winston Churchill, e la domanda non era peregrina, perché si trova in una lettera
del 23 novembre 1914, quando la prima guerra mondiale durava da meno di quattro mesi e
le vittime, tra morti e feriti, già si contavano a milioni.
L’interrogativo del tutt’altro che pacifista Churchill sembrò trovare una repentina – e, purtroppo, brevissima – possibilità di realizzazione nella tregua del 25 dicembre dello stesso
anno: una tregua nata “dal basso”, quando decine di migliaia di soldati sul “fronte occidentale”, memori di ciò che significava la celebrazione della nascita di Gesù, semplicemente si ri fiutarono di combattere, per lo più sfidando apertamente gli ufficiali che non ne volevano
sapere, e scelsero invece di celebrare insieme con i “nemici” il Natale di Cristo. Si costruirono cappelle improvvisate per le celebrazioni natalizie, si diede sepoltura ai morti, ci furono
scambi di doni e di cibi da una parte all’altra delle opposte trincee, i soldati delle nazioni in
guerra intonarono insieme i tradizionali canti natalizi…1
Per qualche ora la carneficina si fermò, a opera per lo più di uomini semplici, condotti da
una propaganda insensata, i cui mezzi riuscivano ad anestetizzare ogni capacità di pensiero
autonomo, ogni valutazione critica, verso quella che il papa Benedetto XV avrebbe poi chiamato la «inutile strage».
Si potrebbe guardare con sufficienza una tregua di poche ore che per certi versi rende ancor più incredibile quanto stava accadendo, e che ancora sarebbe accaduto negli anni succes sivi, dentro l’Europa “cristiana” e nel resto del mondo; la si potrebbe giudicare ipocrita, visto
che di lì a poco gli stessi uomini avrebbero ricominciato a massacrasi a vicenda.
Uscire dalle “trincee” ecclesiali
Eppure, l’idea di una tregua non sembra da buttar via. È un’interruzione: breve, fragile,
presto spazzata via dalla ripresa del rombo dei cannoni, sommersa nel fango delle trincee,
soffocata nelle battaglie interminabili e cruente. Ma il fatto stesso che un’interruzione sia
possibile, che il meccanismo inesorabile si fermi almeno per un po’, è già un segno di speranza. Soprattutto se questa interruzione è motiva da un’irruzione insieme fragilissima e forte,
debole come può esserlo quella di un bambino appena nato, segno “indifeso” offerto agli uomini (cf. Lc 2,12), eppure tenace della forza della vita che sempre si afferma, e che porta in sé
la potenza del desiderio di vita e di salvezza di Dio per gli uomini “che egli ama” (Lc 2,14).
Si vorrebbe, certo, che l’irruzione del Figlio di Dio nella storia degli uomini portasse stabilmente la pace annunciata dagli angeli a Natale; che ogni inimicizia fosse superata per sempre, che monti e colli fossero abbassati e le vie spianate definitivamente verso un mondo più
giusto e pacifico. Ci dobbiamo dunque accontentare solo di una tregua, di un breve momento di respiro (che, del resto, non sarà concesso a tutti), in questo nostro mondo che sembra
non venire mai a capo di conflitti e problemi, di tensioni e violenze, di povertà e ingiustizie?
La storia di questa «tregua di Natale» è raccontata in un libro per ragazzi, che usa anche molte immagini
d’epoca, da Murphy J., Truce. The Day the Soldiers Stopped Fighting, Scholastic Press, New York 2009; la citazione
di Churchill è riportata in questo libro, presentato da M. Cusimano Love su America del 13 dic. 2010, p. 24.
1
Tregua natalizia - 2
Il credente sa che il dono di Dio, nell’umanità del suo Figlio, è dato per sempre e senza pen timenti: ma fa i conti pazientemente con la lunghezza dei tempi e con ciò che permane di durezza nel cuore suo e anche di altri: e nella possibilità di una tregua natalizia può rinnovare la
speranza posta nella venuta del Regno. E chissà che anche una semplice tregua, facendo scoprire con meraviglia che il macchinario non gira semplicemente «in automatico», che è possibile fermarlo, che si riesce a sostare per un po’ a contemplare la sorprendente umanità di
Dio, non si apra a sviluppi più durevoli di un nuovo stile di vita cristiana e umana.
Tregua di Natale, dunque. Nelle comunità cristiane, e nella Chiesa nel suo insieme, prima
di tutto. Veniamo da mesi nei quali si è fatta strada l’impressione di una Chiesa in trincea,
presa di mira a motivo di antichi e nuovi rancori: a volte con buone ragioni, altre volte, senza
dubbio, pretestuosamente. A questa “sindrome da assedio” contribuiscono non poco, va detto, gli attacchi violenti che numerosi cristiani subiscono in diverse parti del mondo, spesso in
un contesto di sconcertante indifferenza, quando non di voluto e colpevole laissez-faire. La
persecuzione in senso letterale dei cristiani, troppo facilmente metabolizzata da una distratta
opinione pubblica internazionale, si assomma così alla percezione di un accerchiamento particolarmente evidente in Europa – fino a condurre anche all’esito abnorme per cui le critiche
che si rivolgono, a torto o a ragione, al cristianesimo e in particolare alla Chiesa cattolica
sono a volte equiparate frettolosamente alle persecuzioni cruente che tanti cristiani e tante
comunità patiscono in altre regioni del mondo.
Che si fa davanti al nemico?
Cresce nei cristiani, in ogni caso, la percezione di essere davanti a un “nemico” potente,
forte di audience e di cattedre, influente sul piano politico e ancor più culturale, largamente
appoggiato dai media, dilagante nei blog e negli altri strumenti della comunicazione globale, e
al quale non mancano certo argomenti per dileggiare la Chiesa e attaccare la fede cristiana,
senza neanche più il problema di mantenere almeno un “rispetto” formale per un’istituzione
venerabile qual è (era?) la Chiesa stessa, rispetto che – certo con eccezioni – era ancora normale fino a poco tempo fa.2
Il problema è: che si fa, davanti al nemico? O meglio, che fa il cristiano, davanti al nemico? La prospettiva di una “tregua” qui potrebbe trovare un suo spazio. Certo, mi si dirà che la
tregua, per essere tale, deve venire da entrambi i belligeranti: se dall’altra parte della trincea
continuano a cannoneggiare, tu non puoi star lì a cantare le canzoncine di Natale. Eppure,
da qualche parte bisogna pur incominciare. E chi dovrebbe incominciare, se non il discepolo
di Gesù, ossia appunto di quel bambino che segna il “nuovo inizio” della creazione, e lo se gna nascendo indifeso e fragile, e nel quale la gloria di Dio risplende come piccolezza affidata
alle cure amorevoli degli uomini?
La difesa “muscolosa” dell’identità cristiana oggi è molto apprezzata, dentro e fuori della
cerchia propriamente detta dei credenti: anche perché, come sappiamo, la si associa volentieri alla difesa di valori di civiltà, di cultura, di tradizione, che appaiono minacciati da tante
parti. Chi tenta di uscire dalla trincea e di andare verso l’altro, verso il “nemico”, portando
in mano, invece che una granata teologica o identitaria, una bottiglia di birra e un dolce natalizio, rischia di essere bollato come “disfattista”, uno che svende se stesso e la patria al nemico… Mi piace pensare che come ci furono, nel Natale della “grande guerra”, uomini semplici, credenti in Dio verosimilmente non peggiori di noi, che tentarono se non altro per un
giorno, spinti dal ricordo di Gesù adagiato nella mangiatoia di Betlemme, di uscire dalla logiCf. al riguardo le riflessioni di Franco M., C’era una volta un Vaticano. Perché la chiesa sta perdendo peso in Occidente, Mondadori, Milano 2010.
2
Tregua natalizia - 3
ca del conflitto, di sfidare l’opinione dominante e di accendere almeno un lumicino di pace,
così ci saranno anche oggi, nelle comunità cristiane, tante donne e uomini volutamente incapaci di vedere nell’altro – fosse pure l’altro che ce l’ha con te – il “nemico”, la “minaccia”,
l’avversario, se non da abbattere, almeno da tenere a bada: e che avranno il coraggio di lanciare una tregua, di offrire un dono, di creare una radura di pace e di incontro in questo nostro mondo di infinite conflittualità. Precisamente in nome di colui che continuiamo a salutare come Principe della pace.
Forse non lo si potrà fare tanto facilmente (ma perché no?) nei confronti di chi ama dileggiare la Chiesa e additarne compiacentemente le debolezze e le connivenze con i peccati dei
suoi membri. In ogni caso, mi piacerebbe pensare che ad esempio una famiglia di cristiani,
giustamente gelosa della propria fede nel Signore Gesù e fiera di aver realizzato ancora una
volta in suo onore un bel presepe in un angolo importante della casa, in nome dello stesso
Signore mandi al vicino di casa o al conoscente magrebino, nigeriano, cinese, romeno… (o
anche italiano, ma ritenuto magari poco o niente «religioso» e persino anticlericale) un piccolo regalo natalizio, un dolce, un bottiglia di vino, un invito a condividere così la gioia dei cre denti per la nascita del Salvatore di tutti. E cose di questo genere sicuramente già accadono,
grazie a Dio, nelle nostre quotidiane trincee.
Tregua di Natale anche per delle comunità cristiane che, in altri modi, rischiano di conce pire la propria vita abituale in termini quasi esclusivamente attivistici, se non proprio di “battaglia” pastorale. Non mancano, di sicuro, le ragioni per pensare la condizione e l’impegno
della Chiesa nel nostro contesto in termini di «emergenza»: 3 dove il rischio potrebbe essere di
lasciare che appunto le emergenze diventino il criterio che determina l’azione pastorale: anziché lasciarsi guidare dalla Parola di Dio ascoltata e accolta nella Chiesa, e da una corretta intelligenza della natura e missione della Chiesa stessa – ciò che, senza dubbio, domanda anche
un ascolto accorto, paziente e sapiente, di domande, attese, speranze, illusioni e delusioni
presenti nelle comunità cristiane e nella società.
Un volto “mariano” di chiesa
Tregua di Natale vorrebbe dire, allora, sospensione dell’attivismo, dell’accumulo di programmi, iniziative, cose da fare che invece, per uno strano paradosso, sembrano proprio moltiplicarsi a ridosso delle feste natalizie (salvo magari conoscere una sorta di caduta a picco nei
giorni successivi, complice anche il contesto “vacanziero” di questo tempo liturgico insieme
così ricco, breve e dispersivo). Tregua per favorire l’incontro personale e comunitario con il
Signore; tregua per manifestare, alla comunità stessa e, in quanto possibile, anche al
“mondo”, che la salvezza cristiana non sta anzitutto nell’ordine del “fare”, per quanto ispirato al bene e alla volontà di pace e di giustizia, ma anzitutto nell’ordine del “ricevere”. Appun to perché un bambino «ci è stato donato» (cf. Is 9,5): e questo dono va prima di tutto accolto,
rispettosamente, delicatamente. Non è in primo luogo (né mai, del resto) “oggetto” di un potere, di un dominio, di uno “sfruttamento”, sia pure benintenzionato: è Presenza che chiede
riconoscimento, “segno” (ancora Lc 2,12) che chiede la pazienza della fede per essere decifrato. Difficilmente si presterà a essere il simbolo di un attivismo aggressivo: più facilmente, sarà
capito da chi, come la sua Madre santa, custodirà «tutte queste cose» meditandole nel proSi pensi ad es. alla cosiddetta «emergenza educativa», sulla quale ha attirato l’attenzione anche Benedetto
XVI, tra l’altro nel discorso del 27 maggio 2010 alla 61ª assemblea generale della CEI, discorso riprodotto in appendice ai recenti orientamenti pastorali della stessa CEI, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’episcopato italiano per il decennio 2010-2020, EDB, Bologna 2010 (Documenti Chiese Locali 154): documento nel quale, peraltro, il tono «emergenziale» resta molto contenuto.
3
Tregua natalizia - 4
prio cuore (Lc 2,19). “Tregua pastorale”, dunque, per ritrovarsi almeno un poco in questo
volto “mariano” di Chiesa.
E chissà: una tregua così potrebbe servire anche a ricostruire, all’interno della Chiesa stessa, un clima di più forte stima e accoglienza reciproca tra i credenti; perché è tutt’altro che remoto il rischio che uno spirito di perenne conflittualità, di belligeranza più o meno latente –
e a volte anche esplicita: la navigazione sui blog è, anche in questo caso, istruttiva – entri anche nelle Chiese e ne faccia un campo di battaglia decisamente poco evangelico.
Nello spazio della vita pubblica
Sarà troppo aspettarsi, o addirittura chiedere, una tregua di Natale anche nello spazio della vita pubblica del nostro paese? Le battaglie politiche non disseminano di cadaveri i terreni
di combattimento, come è avvenuto – e ancora avviene, del resto – nei teatri di guerra guerreggiata: ma questo non significa che siano meno prive di violenza e di avversione per l’“altro”. Sconcertante, poi, è il fatto che il molto battagliare al quale abbiamo assistito negli ultimi mesi risulti, agli occhi dell’opinione pubblica, alquanto “eccentrico”, rispetto alle attese e
problemi che affrontano quotidianamente famiglie, lavoratori, studenti, immigrati, pensionati… insomma i “normali cittadini” (categoria che senza alcun dubbio non intende escludere
neppure coloro che stanno “più in alto”: che siano ad esempio magistrati o imprenditori,
professori universitari o amministratori pubblici e, perché no, persino uomini politici…) che
bene o male fanno camminare il nostro paese.
Ciò che agli occhi di un credente (ma, ne siamo sicuri, non solo ai suoi) rende le cose an cora più avvilenti, è la constatazione del fatto che in questo polemos incessante non si è esitato – in un passato ancora recentissimo – a piegare ai propri scopi di parte persino i grandi
simboli cristiani: il crocifisso, il presepe, branditi anch’essi come armi per dare addosso all’avversario, vero o supposto tale. I soldati semplici della tregua di Natale del 1914, incapaci di tirarsi fuori dall’orrore che li avvolgeva da ogni parte, e che sarebbe andato crescendo in misura inimmaginabile, ebbero almeno quello sprazzo di lucidità che permise loro di capire che
nessuna lotta, nessuna violenza, nessuna guerra poteva giustificarsi di fronte alla mangiatoia
di Betlemme. Riuscirono a ricordarsi che, anzi, di fronte ad essa, si poteva persino disobbedire agli ordini, alla propaganda martellante, all’opinione diffusa e osare la sfida di una via di versa per affrontare la conflittualità e i contrasti.
Si trattò di una parentesi breve. Va da sé che la tragedia di allora e lo sconforto che ci
prende adesso non sono senz’altro paragonabili: ma proprio per questo, forse, possiamo sperare che l’eventuale tregua natalizia non sia solo una pausa per ricaricare le batterie e poi ri cominciare, come se niente fosse, lo spettacolo avvilente che ci accompagna da mesi. Possiamo sperare che qualcuno abbia il coraggio di uscire dagli schemi, di cercare modi nuovi e diversi di fare politica, di amministrare la cosa pubblica, di servire il bene del paese.
Buona “tregua natalizia”, dunque: non comodo spazio di evasione, ma sguardo riconoscente e grato sulla novità che la venuta nella carne del Figlio di Dio porta alla nostra storia.
Daniele Gianotti
(pubblicato su Settimana, n. 46 del 19 dic. 2010)