Il Lippi furioso, un ct con l`ansia da prestazione

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Il Lippi furioso, un ct con l`ansia da prestazione
Il Lippi furioso, un ct con l’ansia da prestazione
Manuela Bianchi
CALCIO. Il commissario tecnico se l’è presa con i tifosi che hanno fischiato la sua squadra
nell’ultima partita contro Cipro: «Meritiamo più amore e rispetto». Non è la prima volta che
perde le staffe da quando ha ripreso le redini della Nazionale.
La Nazionale si è qualificata, con il 2 a 2 contro l’Irlanda di Giovanni Trapattoni, per i Mondiali
dell’anno prossimo in Sudafrica. Poi è arrivato il rocambolesco 3 a 2 contro Cipro di qualche
sera fa, grazie alla tripletta di Gilardino che ha ribaltato uno 0 a 2. L’esito finale dell’incontro non
ha, però, placato il pubblico di Parma che aveva preso in giro ripetutamente la Nazionale,
malgrado Marcello Lippi avesse avvertito che, essendo la partita con Cipro inutile ai fini del
risultato, avrebbe schierato una squadra forse non competitiva e che il match gli sarebbe servito
solo per provare qualche giocatore. Al termine dell’incontro, lo sfogo di Lippi è stato senza freni:
«Sono incazzato come una bestia. Siamo campioni del mondo, meritiamo più amore e rispetto.
Invece alle prime difficoltà hanno iniziato a urlarmi di chiamare altri giocatori e sono partiti i cori
“Andate a lavorare” a questi ragazzi che hanno un cuore grande come una casa. Ma siamo
fuori di testa? È una cosa vergognosa, ci andassero loro a lavorare».
Non è la prima volta che il sessantunenne ct della Nazionale, da buon toscanaccio di
Viareggio, perde le staffe. Ogni volta che gli chiedono perché non convoca Antonio Cassano lui
fa spallucce e risponde con qualche imprecazione. Di recente non fa altro che prendersela con
pubblico e giornali perché non assicurerebbero attenzione e sostegno alla sua squadra come
merita una Nazionale campione del mondo in carica. Il primo a replicargli è stato Dino Zoff, ex
portiere e ct della Nazionale: «Non ci si può permettere di essere così arroganti Il pubblico ha il
diritto di invocare chi vuole e Lippi può prendere le distanze ma lo deve fare con una certa
educazione». Zoff, di solito taciturno e flemmatico, ha avuto un solo colpo di testa nella sua
lunga carriera, quando alla fine di una sconfitta in Italia-Francia del 2000 si dimise dopo le
critiche di Silvio Berlusconi, anche allora come oggi presidente del Consiglio.
«Si poteva vincere e bisognava vincere. I problemi riguardano la conduzione della squadra:
non si può lasciare la fonte del gioco, Zidane, sempre libero. Era una cosa che non si poteva
non vedere, anche un dilettante l’avrebbe vista», aveva detto il premier. Zoff replicò
dimettendosi, dopo un breve commento: «Dal signor Berlusconi non prendo lezioni di dignità.
Non è giusto denigrare il lavoro degli altri pubblicamente, non è giusto che non si rispetti un
uomo che fa il suo lavoro con dedizione e umiltà». Megalomane come Berlusconi? In attesa,
chissà, che Berlusconi nella sua megalomania bacchetti anche Lippi, quest’ultimo fa di tutto per
rendersi antipatico e non fa marcia indietro per le sue dichiarazioni dopo il match con Cipro:
«Ho avuto uno sfogo forse un po’ forte ma non sono riuscito a stare zitto conoscendo bene i
miei ragazzi e quanto entusiasmo, quanta passione e quanta voglia mettono quando scendono
in campo.
È il mio modo di tutelare la squadra: i fischi e le critiche esistono da sempre, però ritengo che il
dovere di una guida sia quello di far notare certe cose». Il Lippi furioso non è piaciuto a
Giancarlo Abete, presidente della Federcalcio dal 2007, tre legislature in Parlamento con la
Democrazia cristiana (dal 1972 al 1992). Da alcune indiscrezioni traspare la posizione della
Federcalcio: Lippi, come i suoi predecessori, malgrado il magnifico palmares alla Juventus e la
vittoria nei campionati del mondo in Germania del 2006, è solo un dipendente della Nazionale:
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quindi i suoi atteggiamenti non devono danneggiare la popolarità della squadra. Non piacciono
ai dirigenti della Nazionale neppure le notizie che vorrebbero Lippi già in trattativa con un
grande club come approdo dopo i Mondiali. Davanti ai microfoni, Abete ha smussato la
polemica ma ha riconosciuto che anche i fischi fanno parte del gioco: «Ognuno ha il suo ruolo. Il
ct ha difeso il gruppo, la gente ha diritto di esprimersi come crede. È il gioco delle parti ma
bisogna prendere le cose per quelle che sono. Cassano, Totti, Nesta, Del Piero? Abbiamo
tempo davanti, il ct saprà fare bene le sue scelte come quattro anni fa».
Il problema è che Lippi crede di essere un padreterno, quasi come Berlusconi, perché dopo la
vittoria in Germania con la Nazionale lasciò il suo incarico al massimo della gloria per
disintossicarsi dall’overdose di concentrazione e di adrenalina. Ma poi, dopo due anni di
assenza, è tornato a dirigere la Nazionale invocato a furor di popolo e dalla Federcalcio,
all’indomani della figuraccia rimediata dal ct Roberto Donadoni negli Europei del 2006
(Nazionale eliminata nei quarti di finale). Come spesso avviene nella vita di ognuno, quando si
torna a fare quello che si è già fatto - soprattutto se lo si è fatto bene - si chiede carta bianca e
si alza il prezzo per rimanere al proprio posto. Certo il rischio, anche nel caso di Lippi, è alto.
Ripetersi non è facile, meno che mai nel calcio e in un Mondiale. Siccome Lippi lo sa ma è pure
consapevole delle sue qualità, ecco che lui esterna il proprio nervosismo come sa fare un
toscano senza peli sulla lingua.
A sua discolpa c’è solo una considerazione: la Federcalcio avrebbe dovuto immaginare a cosa
andava incontro, quando ha richiamato Lippi. Mediocre calciatore L’attuale ct della Nazionale è
stato un mediocre calciatore (Sampdoria, Atalanta, Napoli), come quel genio di Arrigo Sacchi
che ha giocato addirittura solo tra i dilettanti, ma è di sicuro un allenatore di notevole talento.
Dal primo scudetto vinto alla guida della Juventus nel 1994 fino al 1998 è stata una marcia
trionfale con la squadra degli Agnelli. Poi è passato all’Inter per poco più di un anno, senza
ripetere gli exploit di Torino. Nell’estate del 2001, Lippi è tornato sulla panchina bianconera per
tre stagioni riuscendo a vincere due scudetti e due Supercoppe italiane. Ha raggiunto anche
una finale di Champions League, persa ai rigori contro il Milan: 3-2.
Infine, l’approdo alla Nazionale nel 2004 e il trionfo in Germania. Dev’essere questo ritorno
fortunato alla Juventus, dopo la prova opaca con l’Inter, ad aver convinto Lippi che nel suo caso
la storia si può ripetere con la Nazionale. Il problema, in virtù del calcolo delle probabilità, è che
in Sudafrica non sarà facile eguagliare quanto fatto con la Juventus. Peccato, inoltre, che i
recenti sfoghi stridano con la tradizionale immagine di Lippi come sportivo signorile, dalle buone
letture e dall’ottima parlantina, che aveva rivoluzionato la fisiognomica dell’allenatore che non
sa parlare di nulla oltre al calcio. Da questo punto di vista, è rimasta famosa una sua frase:
«Credo che al mondo esista una sola razza: quella umana. Per questo non escluderei un gay,
come un nero, dalla Nazionale».
Basta ascoltare gli ignobili fischi che accompagnano le entrate in campo, anche quando
indossa la maglia della Nazionale under 21, di Mario Balotelli, fuoriclasse nato a Palermo nel
1990 e in forza all’Inter, il cui difetto, agli occhi di alcune curve degli stadi, è quello di sembrare
un nigeriano a causa del colore della pelle, per capire il valore delle parole di Lippi. Osvaldo
Soriano, grande scrittore argentino ed ex calciatore, ha insegnato ai suoi lettori che il senso
tragico del football è quello che lascia nel cuore la nostalgia e la commozione per i vinti: la
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stupefacente Olanda 1974, il meraviglioso Brasile 1982, l’Ungheria di Puskas del 1954. Tutte
squadre che non hanno vinto nulla ma che restano negli annali calcistici per le loro doti, come
accadde a ItaliaGermania, semifinale dei Mondiali in Messico nel 1970, finita 4-3. L’Italia perse
la finale con il Brasile di Pelé ma il gol di Gianni Rivera nella porta della Germania è restato
immortale. Il migliore augurio a Lippi è perciò di fare bene, se poi vincerà ci faccia il piacere di
non atteggiarsi a padreterno. Non fosse altro per evitare di sembrare una copia del
megalomane nazionale Berlusconi.
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