UPANews42summit - UPA - Utenti Pubblicità associati
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SPECIALE SUMMIT INTERNAZIONALE UPA 2012 PER TEMPI DIFFICILI VOCI FORTI I mercati, i mezzi, i messaggi Milano, 4 - 5 luglio PUBBLICAZIONE PERIODICA RISERVATA AGLI ASSOCIATI UPA NUMERO 42 Lo scenario macroeconomico Francesco Giavazzi - economista Università Bocconi Quali prospettive per le famiglie italiane e i loro consumi? Chiariamo subito che la contrapposizione tra austerità e crescita è un falso problema. Lo facciamo a partire da due esperienze della storia recente. 1) L’Italia non rivede oggi per la prima volta i conti pubblici: è già successo dieci anni fa, tra ’91 e ’92. Subito dopo, nel ’93, i consumi crollano del 3%. Nel ’94 si allineano con il vantaggio ottenuto con la svalutazione dei cambi. In sostanza, l’azione governativa causa un crollo dei consumi e una successiva stagnazione. Oggi, nel 2012, abbiamo un quadro simile, con un intervento più concentrato nel tempo. Siamo a un 80% di tasse e a un 20% di riduzione delle spese. Tutto questo blocca la crescita: l’FMI stima un meno 2% di decremento. I consumi faranno di sicuro peggio. Per il 2012 c’è poco da fare. Ma, dopo, come se ne esce? 2) Ed eccoci alla seconda esperienza recente. È la lezione tedesca. Schröder nel 1998 revoca la riforma pensionistica voluta da Kohl e non indica una soluzione alternativa. Che succede, allora? I risparmi delle famiglie si impennano passando dal 9.8% del reddito al 16% nel 2000. Così la Germania entra in una lunga fase di recessione. Ma c’è un però: nel mercato del lavoro riformato, il costo del lavoro ha una diminuzione di 1.2 punti anno su anno (nel frattempo la Francia riduce il costo del lavoro dello 0.2%, e invece l’Italia, sempre anno su anno, l’aumenta dello 0.3%). Intanto la spesa pubblica complessiva passa dal 49.3% del PIL nel 1996 al 43.5% del 2007: è una diminuzione di ben 6 punti. E…il PIL torna a crescere. La chiave di tutto è questa: il PIL decresce invariabilmente quando si aumentano soprattutto le tasse. Se invece si riduce soprattutto la spesa pubblica, dopo un iniziale decremento il PIL torna a crescere. Se il taglio di spese serve poi a ridurre le tasse, allora si ottiene una crescita combinata. Oggi lo stato italiano versa 35 miliardi all’anno di contributi alle imprese. Molti soldi vanno al servizio pubblico, per esempio le ferrovie. Ma restano 10 miliardi, corrispondenti allo 0.7% del PIL. Ad esclusione dei contributi alla ricerca e allo sviluppo e per la crescita delle PMI, non si capisce a che cos’altro servano tutti questi soldi. Se noi li prendessimo restituendoli alle imprese sotto forma di riduzione fiscale, il possibile positivo effetto sul PIL sarebbe una crescita del più 1.5%. così ricca da poter pagare la gente per non lavorare. E oggi c’è il drammatico problema dell’impiego giovanile. Il quesito è questo: abbiamo oggi una classe politica capace di proporre nuovi modelli, come negli anni ’60 hanno fatto Adenauer, De Gasperi e Schuman? La Germania negli ultimi dieci anni l’ha fatto, e forse invece di demonizzare la signora Merkel bisognerebbe imparare dall’esperienza tedesca. Ricapitolando: se il governo non usa la riduzione di spesa per ridurre le imposte, il rischio è alto. Tutto questo vuol dire che il capitalismo fondato su consumi è finito? È una domanda da ricchi...e la risposta è “no”, se il modello é il pauperismo. Ma è sì, se i consumi continuano a essere finanziati da una spesa pubblica fuori controllo, ed è sì se si tratta di consumi non sostenibili perché incompatibili con la sopravvivenza del pianeta. Il ruolo della politica è indirizzare lo sviluppo verso soluzioni virtuose e sostenibili. Ma si può effettivamente ridurre la spesa delle amministrazioni pubbliche? Tolti gli interessi sul debito, oggi la spesa pubblica italiana corrisponde al 45.2%. In Germania è il 43%. Ci vuole un nuovo modello sociale europeo. Come dice Mario Draghi, sono finiti i tempi in cui l’Europa era PAGINA 1 PUBBLICAZIONE PERIODICA RISERVATA AGLI ASSOCIATI UPA NUMERO 42 Dominique Moïsi - geopolitologo Istituto francese per le relazioni internazionali Moïsi lancia una provocazione: l’occidente sta per tornare? Il riferimento è non solo all’Europa occidentale ma agli Stati Uniti e al Giappone, l’occidente asiatico. E’ ora per le Aziende di reinvestire nell’Occidente. In “Geopolitica delle emozioni” Moïsi aveva definito la cultura dominante nel mondo occidentale una cultura di paura, del futuro e degli altri. Oggi sostiene che, paradossalmente, la speranza può tornare in Europa e in Occidente. Anche se siamo la fonte del virus abbiamo anticorpi per resistere. Può essere più facile per l’Occidente sopportare una non crescita di quanto lo sia per i Paesi emergenti che si trovano a far fronte ad un rallentamento del tasso di crescita (parliamo di un 7% in Cina, un 5% in India e un 3% in Brasile). In assenza di democrazia, come in Cina, o in assenza di regole, come in Cina e India, un‘enorme differenza di reddito fra i ricchissimi e i poverissimi è sostenibile solo se i poveri hanno un elemento di speranza. Cosa può succedere se la speranza viene meno a seguito della caduta del tasso di crescita e se a questa subentrano umiliazione, rassegnazione e disperazione? Dobbiamo prendere atto del cambiamento radicale che stiamo vivendo, di un cambiamento di passo sotto il profilo economico e demografico. Nel XVIII secolo l’Europa rappresentava il 20% della popolazione mondiale. Nel 2050 la popolazione in Occidente arriverà a poco più del 10%, (se consideriamo la sola l’Europa sarà del 5-6%). Non è più l’Occidente che si pone la missione di civilizzare il mondo, l’Occidente arrogante che si sente superiore e che detiene il monopolio dei modelli. Dobbiamo riappropriarci degli elementi che ci hanno reso forti nel passato. In primis, la modestia e il desiderio di imparare dagli altri. C’è stato un momento tra il tardo ‘500 e il primo ‘700 in cui le élite si trattavano con reciproco rispetto. I Gesuiti in Asia e i Domenicani nell’America Latina guardavano le popolazioni locali con la consapevolezza di chi si stava confrontando con un'altra cultura da cui può e deve imparare. ritroviamo oggi nell’industria dei beni di lusso. Dobbiamo anche recuperare l’ambizione. Nei passati decenni abbiamo vissuto ben oltre le nostre possibilità economiche e ben al di sotto delle nostre possibilità intellettuali e spirituali. La crisi che stiamo attraversando non è tanto economica finanziaria o politica ma sostanzialmente etica. E’ la crisi di una società basata esclusivamente sul mercato. Una società in cui un’avidità infettiva e la mancanza di regole e supervisione delle attività finanziarie hanno innescato una spirale negativa che ci ha inghiottito. Abbiamo scordato che a rendere unica l’europa è il binomio ”unità e diversità”. Per sentirsi a proprio agio in un mondo di identità multiple bisogna avere fiducia nella propria identità profonda. Identità che si è persa con la sviluppo dei mercati asiatici e l’aumento del debito in Europa e in Occidente. Ci siamo arresi e ci siamo rassegnati all’idea che l’Occidente possa diventare un museo del nostro passato. L’Europa è il prodotto della sua storia, è ciò che ha ereditato da un passato comune fatto di gloria e di terribili tragedie. Gli “asiatici” non si sentono asiatici, non hanno un background culturale, una religione o un’economia che li accomuna. Sono gli europei a definirli tali ma non è un concetto in cui si riconoscono. L’Europa continua ad essere il sogno di molti. Nessuno al mondo vuole diventare cinese ma milioni di persone vogliono diventare europei. In migliaia rischiano la vita per attraversare il Mediterraneo e raggiungere l’Europa. Ci sentiamo europei e questo ci conferisce una sorta di identità multipla. Per una rinascita dell’Europa dovremmo guardare ai Paesi scandinavi che gli stessi cinesi stanno studiando come benchmark: onesti, modesti, con un livello accettabile di differenze tra molto ricchi e molto poveri, dove le pari opportunità non sono un’utopia e gli immigra ti sono trattati in modo equo. Al tempo stesso vi è diversità. Se attraversi l’Europa in macchina cambiano la lingua, il cibo, il paesaggio e l’architettura. Se vai da Boston a Washington, in 800 km non cambia quasi nulla. Questa diversità è fonte di creatività. Italia, Francia e Inghilterra hanno ereditato una tradizione di eccellenza che La sfida per l’Europa non viene da fuori, dalla Cina, o dalla l’India ma è interna. La chiave è capire, accettare e adattarsi al cambiamento, per coglierne le opportunità. Agli occhi del mondo il valore unico, le peculiarità dell’Europa rispetto al resto del mondo possono essere riassunte in alcune parole chiave: riconciliazione, una forma più umana di capitalismo e di democrazia sociale, rispetto per l’uomo e enfasi sulla centralità dei diritti dell’uomo. PAGINA 2 PUBBLICAZIONE PERIODICA RISERVATA AGLI ASSOCIATI UPA NUMERO 42 Elmar Salmann - teologo, filosofo Ad Elmar Salmann è stato chiesto di collocare l’economia in un paesaggio più ampio. Nel suo intervento parla dell’uomo democratico, dell’uomo economico e dell’uomo pubblicitario, per concludere con alcune note morali e massime teologiche. L’homo democraticus nasce nel primo decennio del Novecento con la sociologia, la psicologia del profondo, la pittura astratta, la musica da Mahler a Schönberg, i movimenti di emancipazione delle donne e la nuova attenzione ai bambini (da Adler a Piaget e alla Montessori). Ma tutto si interrompe con le due guerre e i movimenti totalitari. Ciò che prima era patrimonio delle avanguardie, nel ‘68 diventa patrimonio di tutti: il nuovo uomo democratico è comunicativo, mobile, autonomo, emancipato…nessuno di noi potrebbe ritornare agli anni ’50. È democratico non tanto a livello politico quanto nella psiche e nello sperimentarsi. Contiene e media tanti mondi. È sensibile, sensuale, estetico, erotico, sportivo: l’uomo “della grande salute” secondo Nietzche. Del resto anche il Dio cristiano è trino, pluriprospettico e dialogico. Ma homo democraticus è anche contradditorio. Vuole libertà e sicurezza, lo stato debole e lo stato garantista, la privacy ma anche la trasparenza, la meritocrazia ma le risorse free, vuole viaggiare veloce ma odia il rumore degli aerei, è iperadulto ma infantile, é insieme illuminista e romantico. Per la politica non è facile conciliare tutte queste anime. Oggi per la prima volta l’economia domina sentimento e sensibilità umane, nel bene e nel male. Si è creata una società inventiva e creativa, che ama investire, scommettere e speculare. È un mondo di comunicazione aperta, che la cultura economica ha unito più della politica. È un mondo di welfare e di wellness. Non è casuale che tutto questo si esprima in termini usati anche dalla teologia: debito, credito, fiducia, sacrificio, conversione. Il linguaggio degli analisti finanziari è altrettanto mitologico di quello dei teologi. Ma c’è un prezzo: il linguaggio economico è vorace e fagocita tutto, dimensione politica, res publica, simboli religiosi… l’uomo viene visto come consumatore e la parola “consumo” ci consuma. Vogliamo ridurre l’uomo a questo? La parola valore è sulla bocca di tutti: vescovi, politici, economisti. Ma che cosa significa? Che cosa indica davvero? E chi giudica il valore di che cosa? La rating agency esprime un magistero assoluto, ma a nome di chi parlano gli analisti? Moodys determina il mood…ha un potere che esula da ogni controllo, e influenza umori globali. singola domanda retorica per creare nell’uomo uno sguardo scettico e depressivo sul mondo. Sia l’economia sia la teologia oscillano, tra humour e tragedia. Minima moralia e massime teologiche: nella parola “mercato” è sottinteso l'incontro dell'agorà (la piazza, il luogo d’incontro e di confronto). L’economia è un mondo di mediazione, professionalità, garbo ed efficacia e l’Europa ne è la fucina. Salmann, professore e prete, vorrebbe imparare dal bottegaio del Testaccio e dai modi di Confindustria. Ma l’uomo democratico, pubblicitario, romantico ed economico tende a una crescita sconfinata e ad esigere troppo da sé e dai figli. È quello che chiamiamo stress: l’eccesso di pressione sulla limitatezza. Ci vogliono limiti alle persone, al tempo, alla vita private e professionale. Vorremmo essere ubiqui e immortali: nessuno si ritira al momento La pubblicità è più interessante giusto, anche se questo sarebbe l’arte dell'arte moderna. È la festa del della vita. linguaggio e delle metafore: crea utopie Il limite è un punto delicato: ogni e fiabe, legami tra cielo e terra, tra progresso getta un’ombra, e perfino di prodotti e inconscio, lavora sui troppo fitness si può soffrire. Vedere la meccanismi sociali. È quasi uno morte come sconfitta della tecnica spettacolo escatologico (relativo al produce una schiera innumerevole di destino e alle finalità dell’uomo e dementi. dell’universo). In un mondo in cui tutto Ci vuole una sensibilità al limite, non è relativo, la pubblicità è il regno come restrizione ma come benedizione dell’iperbole: usa parole come “iper”, difficile. E bisogna evitare l’omologazione “super”, “assolutamente” e ri-crea babelica di mondi incompatibili tra loro: mondi salvifici attorno a un prodotto. economia, società, stato, cultura, Ma può mantenere le sue promesse? religione…sono cose diverse, e la Il risultato è una società isterica ed diversità va garantita. Alla religione eccitata, facile preda della depressione, spetta il compito di ricordare la relatività sia economica sia psicologica, e del di tutte le cose. disinganno. I prodotti non danno L’unica cosa assoluta e fragile è la felicità: lo sport nazionale degli europei persona umana, che è più che lavoro, e degli americani è dichiararsi vittime fitness, progresso…la persona umana del sistema e delle false promesse (e emerge anche nella sconfitta. E cosa chiedere risarcimenti). saremmo senza la sconfitta, e Ma questo è il destino anche della l’esperienza del risorgere? teologia: Dio ha voluto comunicarsi tramite la creazione, ma è bastato che Salmann conclude così il suo intervento: il serpente, la prima rating agency, Dio esiste, e non siete voi. Quindi, svalutasse l’intera impresa con una rilassatevi, per un momento. PAGINA 3 PUBBLICAZIONE PERIODICA RISERVATA AGLI ASSOCIATI UPA NUMERO 42 Martin Sorrell - CEO WPP giovani talenti. 3. Sviluppo della rete e del digitale. L’Italia è in ritardo. Investiamo il 19% del nostro budget su Internet, ancora poco per un “luogo” in cui le persone trascorrono ormai ben un terzo del loro tempo. Inverso è il rapporto nella stampa: stiamo sovrainvestendo rispetto al tempo che i consumatori dedicano al mezzo. Rispondendo anche a funzioni di display, video, social e 10 i trend delineati da Martin Sorrell: lavorando sui dispositivi mobili, Google 1. Spostamento ad Est (Asia) e verso il resta l’azienda con le prospettive migliori e con le maggiori potenzialità: Sud del mondo (questo è il decennio nel 2011 abbiamo speso su Google dell’America Latina, ma cresce 1,6 miliardi del budget, mentre è di 2 l’importanza anche dell’Africa e del miliardi la stima nei primi 5 mesi del Medio Oriente). 2012. 2. Sovraproduzione - si continuano a Facebook è uno strumento di branding produrre 18 milioni di automobili (la produzione è diminuita negli USA ma è più che un mezzo di pubblicità. cresciuta in Cina, India e Corea) mentre 4. Accresciuto potere della il mercato è composto da 16 milioni di distribuzione: negli ultimi anni abbiamo assistito ad un’erosione dei margini di consumatori - e decremento demografico in Occidente. Si allunga la profitto delle aziende più che ad un aumento dei prezzi al consumo. A durata della vita ma non arriva a conferma, cresce lo share of voice della compensare il calo nelle nascite. comunicazione della distribuzione. E’ Le aziende dovranno investire e fondamentale capire come riuscire ad competere anche per assicurarsi i Dal 2008 ad oggi il mercato è cambiato, non solo per i consumatori ma anche e soprattutto per le imprese. Viviamo in un mondo che si sta muovendo a velocità nuove e diverse, sia in termini geografici che in termini funzionali: le aziende devono adeguarsi e imparare ad interpretare il cambiamento in un’ottica mondiale. influenzare il consumatore sul punto vendita. 5. Accresciuta importanza della comunicazione interna. 6. Focalizzazione su globalizzazione e localizzazione. Aumenta la dimensione delle multinazionali e la complessità delle strutture e al tempo stesso la necessità di consolidare i rapporti con il territorio, le sue risorse e le istituzioni locali. 7. Aumentato potere della direzione finanziaria, a discapito del marketing, nella definizione delle decisioni strategiche. Enfasi su efficienza, efficacia, liquidità. 8. Crescente importanza del ruolo dei governi nazionali non solo sotto il profilo politico ma anche come investitori e clienti. 9. Importanza strategica della sostenibilità e della responsabilità sociale d’impresa. 10. Ulteriore concentrazione delle imprese nel mondo della comunicazione e dei media e conseguente maggiore difficoltà per le piccole imprese. Il nuovo paesaggio mediatico Carlo D’Asaro Biondo - Presidente Operations SEEMEA Google Nella sua relazione Carlo D’Asaro Biondo analizza come si è modificato il consumo dei mezzi nell’era digitale, l’impatto della web economy e la valenza strategica del web per le PMI. Oggi la nostra attenzione è divisa tra più schermi. Gli smartphone sono utilizzati mentre si svolgono più attività contemporaneamente con altri dispositivi. Il 63% utilizza lo smartphone mentre guarda la tv. E’ importante capire quali media utilizzano, in quale momento della giornata e con quale contemporaneità. E’ difficile coinvolgere. Contano: •La qualità della creatività e la coerenza di quanto proposto con il messaggio •Lo stato d’animo di chi riceve •La capacità di adattare il messaggio al media utilizzato. Il web è fonte di opportunità e crescita per l’economia. L’impatto della web economy è in crescita. Nel 2010 con 31,6 miliardi di euro ha contribuito al 2,0 % del PIL; nel 2015 varrà tra 59 e 77 miliardi di euro (3,3%-4,3% del PIL). Il web consente di crescere più velocemente, acquisire una clientela internazionale, migliorare la produttività, incrementare l’occupazione (per ogni posto di lavoro perso se ne sono creati in media 2,7; in Italia 1,5). Ancora poco utilizzato in Italia, il web è una leva strategica da cui potrebbero trarre vantaggio soprattutto le PMI per creare business model su un bacino mondiale. Fondamentale per lo sviluppo di settori come il turismo, il web aiuta a promuovere le culture locali e a valorizzare le bellezze culturali. Si aprono ora nuove sfide: semplificare la complessità e risolvere i problemi difficili, capire lo stato d’animo di chi riceve i messaggi e creare esperienze piacevoli. Negli anni ‘90 la frontiera tecnologica è stata il telefono portatile, per Google quella futura sarà portare il mondo negli occhiali. PAGINA 4 PUBBLICAZIONE PERIODICA RISERVATA AGLI ASSOCIATI UPA NUMERO 42 Antonio Campo Dall’Orto - vice presidente esecutivo Viacom International Media Networks I Millennials - una definizione coniata nel 1993 da Ad Age - appartengono a una generazione che, un po’ come ha fatto quella dei baby boomers, può cambiare le cose? E in che maniera? I dati che seguono riguardano la generazione dei Millennials (altri la chiamano generazione Y. Comprende i nati tra gli anni ’90 e i primi anni del 2000). Sono frutto di diversi anni di ricerche che hanno coinvolto oltre 20.000 giovani in tutti i paesi del mondo. Riguardano 2.5 miliardi di persone, oltre il 34% della popolazione mondiale, un miliardo delle quali vive in India e Cina. Gli italiani sono 10 milioni. È la prima generazione veramente digitale ed ha valori e modi di pensare convergenti in ogni paese del mondo. Anche se gli stili e le abitudini tendono a distinguersi in un’esplosione di differenze, alcuni elementi di fondo, infatti, sono condivisi: gli appartenenti a questa generazione sono riformatori e non rivoluzionari, colti, curiosi e appassionati, preparati, socialmente responsabili, proiettati al futuro e vocati al successo. They smell out fake: capiscono subito quando una cosa è finta, e ne diffidano. Sono cresciuti in famiglie accudenti, incoraggianti, non autoritarie e positive e padroneggiano le nuove tecnologie. Quando gli si chiede di nominare i propri eroi personali, nei primi tre posti citano mamma e papà (questo non accade assolutamente nelle generazioni precedenti). Sono arguti e brillanti, e usano l’arguzia come strumento di scambio sociale e strumento per affermarsi. Il 61% dichiara che, essendo brillanti, nella vita si può ottenere ciò che si vuole. Il 70% di loro ha la convinzione di appartenere a una generazione che ha il potenziate per migliorare il mondo: per questo vengono anche chiamati superpower generation. Sono molto diversi sia dai baby boomers sia dalla generazione X che li hanno preceduti. Sono in costante connessione e interazione: i social media sono parte integrante dello sviluppo personale e rientrano, senza soluzione di continuità, nella “vita vera”. Il 92% dichiara di avere più potere grazie alla tecnologia e all’interattività, ma non usa la parola “tecnologia”, perché non la percepisce come qualcosa di separato dalla quotidianità. Il 59% fa acquisti sulla base delle opinioni online, il 39% non acquisterà prodotti sconsigliati online, il 46% si fida della community di appartenenza, e solo il 12% si fida degli “esperti”. Eppure sono convinti che conoscenza e talento saranno sempre più importanti: partecipazione non significa misconoscere l’importanza del saper fare e della professionalità. Secondo uno studio dell’Università di Stanford, scrivono molto di più delle generazioni precedenti, ed hanno elaborato un nuovo linguaggio “extrascolastico”, più sintetico ed efficace di quello appreso a scuola dalla generazioni precedenti. Per loro è fondamentale il successo, inteso come modo per realizzarsi: solo per il 13% è necessario protestare contro il sistema (lo è stato per il 59% dei baby boomers), mentre per il 53% bisogna migliorare il sistema da dentro (opinione condivisa solo dal 26% dei baby boomers). Per il 70% di loro non esiste la parola “fallimento”: al massimo ricalibrano gli obiettivi. Una brutta esperienza è solo qualcosa da cui apprendono, un po’ come capita nei videogame, o nei giochi relazionali dei social media. Dunque applicano le regole del gioco nelle situazioni della vita (è la gamification of life), e cercano sempre l’idea più brillante per raggiungere lo scopo, ma non si sentono in difetto quando sono in difficoltà, e sono maestri di negoziazione. Sono impazienti, e abituati a veder soddisfatti i propri bisogni in maniera istantanea. Sono sperimentali e orientati a mettersi in gioco anche nel mondo del lavoro. Credono che le gerarchie possano essere scalate. Il 73% è convinto di poter andare oltre le classiche convenzioni lavorative. Il 76% si sente in grado di insegnare ai suoi superiori. Creatività, innovazione e intraprendenza fanno parte del loro DNA, e il 70% di loro è convinto che la creatività, intesa come capacità di mettere a punto soluzioni originali, salverà il mondo. Insomma: sono convinti di avere una marcia in più, che spetterà a loro cambiare i sistemi di potere e che istituzioni, governi, sanità, scuola siano in decadenza in tutto il mondo. Il 75% dei millennials non è mai disconnesso dalla rete, neppure di notte, e 8 su 10 di loro in multitasking sempre: per questo sono molto più interessati a possedere un iPad che un’auto. Si è registrato, con questa generazione, il passaggio da un mondo costruito attorno al flusso imposto dalla tv a un altro, in cui il flusso mediatico si sviluppa attorno alla persona, ed è guidato da due criteri: soddisfazione e condivisione. La multicanalità fa sì che ciascuno consumi ciò che vuole, quando vuole, nel modo che preferisce e usando lo schermo più opportuno: la tv, intesa come attrezzo domestico, è solo uno dei tanti schermi disponibili, non il generatore unico del flusso mediatico. E questo è un cambiamento irreversibile. La forza della comunicazione video sta rivoluzionando internet. Da una parte, i contenuti tv non sono mai stati così condivisi all’interno della conversazione globale, e continuano a guidarla. Ma, dall’altra, ciò vuol dire che si affermano PAGINA 5 PUBBLICAZIONE PERIODICA RISERVATA AGLI ASSOCIATI UPA NUMERO 42 segue A. Campo Dall’Orto solo quei contenuti televisivi che creano conversazione. Il 60-70% dell’ascolto delle prime puntate dei nuovi programmi di Mtv si verifica nei giorni successivi alla messa in onda e può accadere che l’80% del pubblico di un programma cult non lo abbia mai visto in tv (stiamo passando da “il medium è il messaggio” a “il messaggio è il medium”). Come viene generata la conversazione globale? Possiamo pensare alle nuove reti mediatiche come a un sistema di specchi che rimbalzano di continuo quei contenuti - basati sia sulla realtà (news, sport), sia sulla fiction - che i singoli utenti scelgono come rilevanti, e che usano come “moneta di scambio” nella conversazione. Oggi una quantità di brand è genuinamente orientata a soddisfare i bisogni di intrattenimento e informazione delle persone, e la vera sfida si sposta sul rapporto tra tempo richiesto e qualità della soddisfazione offerta. Si può scommettere sui millennials: bisogna ricordare che la loro identità passa dai valori di fondo. La musica, per esempio, ha molta meno rilevanza unificante che in passato ma, per esempio, il concetto di libertà è condiviso dalla Libia alla Russia. Hanno coscienza della nuova complessità, e la volontà di trovarsi un nuovo spazio. Ma, proprio perché hanno un forte legame affettivo con le generazioni precedenti, non faranno la rivoluzione. Mentre la generazione X perseguiva il benessere individuale, i Millennials vogliono trovare nuove regole, che vadano bene a tutti. La componente “gioco e divertimento” resterà fondamentale. Per questo a vincere è tutto ciò che è intenso dal punto di vista narrativo. Ed è difficile capire ciò che li soddisferà tra dieci anni. Del resto, chi sviluppa il proprio immaginario ha più possibilitá di affrontare le cose. Il restare connessi è fondamentale: il 50% delle persone preferisce non andare in vacanza piuttosto che restare priva di connessione. E non ha senso domandarsi se tutto questo è giusto o sbagliato: meglio sforzarsi di capire come affrontarlo. D’altra parte, i bisogni degli adolescenti sono rimasti gli stessi del passato: amicizia, amore… ma è drammaticamente cambiato il modo di soddisfarli: da sex, drugs, rock&roll a smart and fun. La risposta delle Imprese Bruno Bertelli - direttore creativo esecutivo Publicis L’intervento vuole essere un elogio alla continuità ed alla ripetizione delle idee. In pubblicità, per Bruno Bertelli, la continuità di un’idea è la misura del successo di una campagna. La ripetitività è legata ad un meccanismo mentale che Umberto Eco chiama “piacere della serialità”. Amiamo farci raccontare, con delle varianti, sempre la stessa storia. Ma una vera long idea, quella che dura nel tempo, è strettamente legata al concetto di credibilità. In semiotica si parla di 'aspettative rispettate'. Nei serial tv l’affezione del pubblico è direttamente legata a quello che si chiama “patto con lo spettatore”, ossia la credibilità che lo spettatore concede alla fiction che ha deciso di seguire. Se viene rotto questo patto, se si supera il livello di credibilità, lo spettatore si disaffeziona. In gergo si chiama “Jump the shark”, come è suc- cesso alla serie televisiva Happy Days, proprio con l'episodio in cui Fonzie salta uno squalo facendo sci nautico. E’ da questo punto che è iniziato il declino della famosa serie. Lo stesso è successo con Indiana Jones, nel film in cui Harrison Ford si salva dall'attacco atomico nascondendosi in un frigo. Oppure in Dallas quando Bob, dato per morto, riappare sotto la doccia. Sono tutti esempi di come, stressando troppo l'idea, si finisce col deviare dall’idea originale e si rompe il legame fra il mittente e il suo pubblico. Esiste un Jump the shark anche in pubblicità, perché esiste un patto che lega consumatori e brand. Nella campagna di Budweiser, ad esempio, il cui punto di forza è la parola finale True, e in cui si rappresenta il vero momento del consumo, la continuità viene persa nell'episodio dei marziani, in cui manca qualsiasi riferimento credibile al consumo della birra. Oggi il consuma- tore è in grado di criticare sia in modo costruttivo che distruttivo la pubblicità. Un consumatore che non sente affinità con la comunicazione di un marchio a lui rivolta non si tappa più soltanto le orecchie. Oggi, quella persona è in grado di rispondere al fuoco, ha il potere sufficiente per creare una versione eretica di quella marca. Non esistono ricette, ma molti modi per mantenere questo rapporto credibile. Le campagne social, ad esempio, o le brand experience, le sponsorizzazioni e l’uso dei testimonial sono strumenti che servono per rafforzare credibilità e continuità. Un esempio su tutti: l’evento organizzato per Heineken durante la serata della partita di Champion's League. La credibilità dei messaggi è legata all’impegno vero e non fittizio, delle marche nel terreno che hanno deciso di percorrere. PAGINA 6 PUBBLICAZIONE PERIODICA RISERVATA AGLI ASSOCIATI UPA NUMERO 42 Lorenzo De Rita - direttore The Soon Institute E' un discorso incentrato sull'amore quello di Lorenzo De Rita che, da innamorato in maniera critica della pubblicità, ha voluto mettere in luce gli aspetti di 'non amore' che caratterizzano oggi il mestiere del pubblicitario. Il modo pensare della pubblicità talvolta è cinico, autoindulgente, furbo, guidato da interessi ego-riferiti e facile. E’ una critica appassionata rivolta all'uso di parametri di marketing poco logici (ad esempio, la parola “tall” per indicare il formato più piccolo del bicchiere di caffè da Starbucks), ai principi che sono un insulto all'intelligenza (costi a 0.99 cent sono percepiti come più economici di un 1$?), a pubblicità di cattivo gusto, che fanno qualsiasi cosa pur di attirare l’attenzione o come lo spot di una casa automobilistica in cui un kamikaze si fa esplodere nella macchina, che però non si distrugge. Il creativo (definizione che non ama: sul suo biglietto da visita ha preferito qualificarsi come “essere umano”) fa quello che gli dicono di fare, quello che è più facile, e non è più capace di fiutare idee innovative. Il bombardamento mediatico plasma la nostra vita: ogni anno vengono inviate 107 trilioni di mail, di cui l'89% è spam. Ogni secondo viene uploadata un'ora di video su YouTube (vale a dire ogni minuto 12 ore di video); sul solo sito del governo, in un fine settimana, sono arrivate 95.000 opinioni sulla spending review. Se il mondo è così pieno di creativi e di idee perché molte potenzialità non vengono sfruttate e viviamo in un mondo pieno di problemi? “Scarsa declinazione atomica nella pubblicità” è la diagnosi di De Rita che, nel citare il clinamen degli atomi di Tito Lucrezio Caro, l'inclinazione che fa incontrare gli atomi provocando la formazione delle molecole, rileva come non ci sia più incontro di idee ma la difesa della proprietà dell'idea. Non c'è matrimonio di idee (condivisione), ma solo patrimonio (possesso di ricchezza). Più che di paternità dell'idea, sarebbe corretto parlare di maternità, concetto che favorisce lo scambio e la relazione. Le idee sono frutto di relazioni. Il significato originario della parola comunicazione è proprio 'condividere'. L’aggettivo “comune” da cui deriva significa “unito ad altri con obbligo di partecipare”. Dobbiamo riappropriarci della dimensione dello scambio e rallentare la velocità a cui andiamo che ci impedisce di pensare". Johannes Kastner - fondatore dell’agenzia Kastner&Partners Lanciata sul mercato 25 anni fa, Red Bull grazie a un posizionamento vincente e a una comunicazione particolarmente creativa, è leader in un segmento sempre più affollato, con circa 7 miliardi di lattine vendute all'anno nel mondo. Come si fa a far volare un prodotto? Per avere le ali, un prodotto deve essere innanzitutto unico. Dietrich Mateschitz, il fondatore, traendo ispirazione da alcune bevande toniche popolari in Asia ha inventato da zero un mercato. Deve poi essere un bene non di nicchia, ma di cui tutti hanno bisogno, in certi momenti della vita. Deve insomma rispondere a un desiderio umano: chi non vorrebbe vivere al massimo delle proprie capacità? E’ infine necessario creare un brand intorno al prodotto e un posizionamento che ne rispecchi la personalità. Red Bull è smart, professionale, autoironi- ca, non conformista, premium ma non arrogante. Da qui il pay off “stimola anima e corpo”, presente in tutte le comunicazioni Red Bull, con il toro che simboleggia la forza del corpo e le ali che rimandano all'anima. La comunicazione e il marketing sono sempre stati strumenti importanti nella strategia di affermazione sul mercato di Red Bull, che ad oggi vi investe il 30% delle proprie entrate. Per far conoscere un prodotto che non esisteva ha esordito girando nelle città con delle Mini personalizzate con lo stile Red Bull, dotate di frigo. A queste prime attività si sono poi affiancati gli spot: oltre 1000, usciti nei vari Paesi, tutti caratterizzati da un tono molto autoironico. Negli anni Red Bull ha legato il suo brand al mondo sportivo, cominciando da sport estremi come windsurfing, base jumping, snowboarding, cliff diving e allargandosi poi a sport più tradizionali come il calcio e la Formula 1. Ha inoltre creato tutta una serie di iniziative speciali e di eventi divertenti. Una su tutte: la Flugtag, la competizione rivolta ai costruttori delle macchine volanti più buffe e pazze, che coinvolge minimo 100.000 persone ogni volta. Tutte le sponsorizzazioni, nel mondo della cultura e dello sport e per ribadire il binomio anima e corpo, rimarcano la volontà del marchio di creare nuovi interessi: Red Bull non vuole percorrere terreni già battuti ma fare tendenza e continuare ad essere un passo avanti per attrarre i giovani. Nel prossimo futuro Red Bull svilupperà un canale tv globale e un'iniziativa su Facebook e Twitter e anche in questo caso l’idea sarà innovativa. PAGINA 7 PUBBLICAZIONE PERIODICA RISERVATA AGLI ASSOCIATI UPA NUMERO 42 Philip M. Napoli - docente di media measurement della Fordham University - NY La misurazione parte dai social media. In tempi in cui i social media sono ormai un fenomeno dilagante sono necessarie nuove metriche di misurazione per le nuove audience che si vanno via via affermando. L'evoluzione dell'audience è da ascrivere principalmente a due fattori: da una parte la trasformazione del consumo dei media e la sua frammentazione su molteplici piattaforme, dall’altra l'affermazione di nuovi meccanismi di feedback e di nuovi strumenti di informazione sulle media audience. “black boxes audience”: si conosce l’output, i dati delle audience, ma non è dato sapere con esattezza come si è arrivati a produrlo. Un motore di ricerca, ad esempio, è una black box. Una seconda questione è rappresentata dal determinismo dei dati, vale a dire dall’accettazione acritica del fatto che tutti i dati disponibili sulla audience siano utili e possano migliorare le performance. Si stanno oggi affermando degli strumenti di analisi dei social media, che E’ oggi possibile misurare aspetti diver- possono dare informazioni molto importanti sull'evoluzione dell'audiensi oltre alla semplice esposizione al ce: sulla quantità dei commenti onlimezzo e al messaggio: siamo in un ne, sullo share, sul sentiment e della 'post-exposure marketplace', in cui partecipazione del target. Forniscono l'esposizione sta perdendo valore, affiancata sempre di più da nuovi crite- dati sulla qualità dei contenuti (dei ri che rientrano sotto il grande cappello personaggi e delle trame), una stima della performance dell'advertising e dell'engagement: l’apprezzamento e l’emozione, il ricordo e l’atteggiamento, del product placement e indici di affinità tra marca e programma o tra proil comportamento. grammi e programmi. Danno infine Non esiste a tutt’oggi una definizione condivisa di cosa si intenda per “enga- dati di analisi della audience in termini demografici, di influenza e di gement”. Negli USA il dibattito sulla nuova currency è quanto mai aperto e copertura. I dati provenienti dalle fonti dei social vivace. media (Facebook, Twitter, ecc...) venUna problematica di rilievo riguarda la gono analizzati da algoritmi e sincro- nizzati con un programma ad hoc che consente di stabilire in modo puntuale cosa è stato detto in un preciso momento o punto del programma. I sistemi di misurazione delle società che operano sul mercato sono molto diversi tra loro in termini di fonti dei dati, algoritmi, criteri di ricerca, periodi di misurazione (si va da 3 ore ad alcuni giorni prima e dopo il programma), granularità (grado di dettaglio dei dati rilevati). Ponendo a confronto per alcune trasmissioni televisive, i dati che emergono da questo approccio con quelli rilevati da Nielsen, si nota una differenza sostanziale in termini di attenzione e general sentiment. Quindi, cosa è opportuno fare per evitare il determinismo dei dati? Un confronto rigoroso tra sistemi di misurazione alternativi, una valutazione approfondita dell’effettiva rilevanza delle metriche proposte in funzione delle performance da misurare, oltre ad esigere una maggiore trasparenza con l’apertura delle “scatole nere” da parte dei fornitori di dati. Michael Tchong - fondatore di Social Revolution Michael Tchong parla dei fenomeni che stanno modificando il nostro stile di vita. Una macrotendenza che comprende diverse tendenze. 1) Accelerazione della vita, attuata attraverso la compressione dei tempi. Tutto va più veloce. Ci siamo trovati coinvolti in una rivoluzione cominciata da un venditore tunisino (Mohamed Bouazizi, si dà fuoco il 17 dicembre 2010 per protestare contro la confisca del suo banco di frutta e le percosse della polizia) e resa possibile da Facebook e Twitter. Per celebrare la rivoluzione, un padre egiziano chiama Facebook il suo primogenito neonato. Seguendo le conversazioni in rete si possono ricavare in tempo reale molte informazioni rilevanti: per esempio, i primi dati sulla diffusione di epidemie come il colera ad Haiti si sono ricavati esaminando conversazioni online. 2) Stili di vita digitali Ossigeno online. Oggi si passa più tempo sui social network che spedendo email. Molte persone sono davvero dipendenti e c’è chi arriva a twittare perfino durante le ultime fasi di un parto in casa. E ora, grazie a General Motors e a Chevrolet, si può andare su Facebook anche viaggiando in auto. PAGINA 8 PUBBLICAZIONE PERIODICA RISERVATA AGLI ASSOCIATI UPA NUMERO 42 segue M. Tchong Condivisione. La fotocamera digitale ormai è stata resa obsoleta dalla fotocamera del telefonino, oggi il più diffuso tipo di fotocamera nel mondo. FOMO (Fear Of Missing Out). Paura di perdersi qualcosa. È la cultura dell’essere sempre connessi. Multimedia Tasking: il 69%dei proprietari di iPad guarda la televisione e contemporaneamente naviga sul web. Ma se si fanno più cose nello stesso tempo, si dimenticano anche più cose e si verifica MCI (Mild Cognitive Impairment): un dolce indebolimento cognitivo che è parte del nostro stile di vita digitale. E questo è un megatrend con cui chi lavora coi media e la comunicazione dovrà fare i conti. 3) La società iPadizzata: stiamo modificando il nostro intero modo di usare i media: molte persone preferiscono guardare la tv su iPad invece che sul televisore, anche se potrebbe farlo. Questo fenomeno non coinvolge solo i consumatori, ma anche i professioni- sti: il 26% dei medici europei usa l’iPad per motivi professionali. Ci sono alberghi che prendono ordinazioni per il room service grazie a iPad collocati nelle camere, e si ordina al ristorante via iPad. La distribuzione si sta modificando grazie all’iPad che, per esempio, permette di comprare libri e pagarli strisciando la carta di credito. 4) I media Ipadizzati: ormai i programmi televisivi vengono progettati per essere guardati su iPad. E le persone sono propense a guardare video per il 30% più a lungo sul tablet invece che sul computer. L’industry dei media si sta attrezzando (accordo Disney-ABC/Nielsen) per valutare l’impatto del fenomeno, che sembra significativo. Negli Stati Uniti il numero dei televisori posseduti dalle famiglie sta diminuendo, anche se il numero dei gruppi familiari sta, contemporaneamente aumentando. È un cambiamento drammatico, per una società dipendente dalla tv. Anche il modo di considerare le riviste sta cambiando: due lettori su tre le vorrebbero formattate in modo uniforme, vorrebbero poter comprare beni cliccando sugli annunci, vorrebbero avere annunci personalizzati, e soprattutto preferiscono leggere su tablet e non su carta. Su iPad si può comporre la propria pizza preferita e ordinarla. Ma si può anche tracciare il percorso di una valigia spedita in aereo. Insomma: tutto sta cambiando molto rapidamente e può darsi che i marketing manager non tengano il passo e perdano alcune opportunità. Le presentazioni e gli interventi audio e video dei relatori sono disponibili sul sito dell’Upa www.upa.it Si ringrazia Annamaria Testa per la sintesi delle relazioni di Giavazzi, Salmann, Campo Dall’Orto e Tchong. PAGINA 9