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pagamento esportazione
IVA e imposte indirette
La disciplina doganale e IVA delle
esportazioni dall’Italia alla Svizzera:
profili probatori e sanzionatori
Mattia Piol
Dottore in Giurisprudenza,
Università di Ferrara
Master in diritto tributario “A. Berliri”,
Università di Bologna
Analisi del regime fiscale delle esportazioni di merce
all’estero e conseguenze sull’applicazione dell’IVA:
lo stato dei rapporti fra Italia e Svizzera
1.
Introduzione
La prova dell’avvenuta uscita del bene dal territorio dell’Unione europea (di seguito UE), nell’ambito delle cessioni
all’esportazione dell’imposta sul valore aggiunto (di seguito
IVA) dall’Italia alla Svizzera, ha un’importanza fondamentale ai
fini dell’applicazione del regime di non imponibilità.
Essendo l’IVA un’imposta sui consumi, essa, da un punto di
vista teorico, dovrebbe incidere in maniera definitiva nel luogo
dell’effettivo consumo. Pertanto le cessioni di beni verso la
Svizzera, come verso gli altri Paesi extra-comunitari, sono “non
imponibili”, ossia non assoggettate all’imposta, garantendo
però, al contempo, la possibilità di detrarre l’IVA degli acquisti
effettuati a monte.
Le procedure doganali di esportazione sono state profondamente innovate, a partire dal 2007, in seguito all’introduzione
dell’Export Control System (di seguito ECS) nell’ambito di un
programma comunitario finalizzato all’informatizzazione e
alla semplificazione.
La precedente prova documentale cartacea dell’avvenuta
esportazione è stata sostituita con un visto elettronico di
conferma dell’operazione che viene rilasciato dalla dogana di
uscita. Inoltre, sono state previste una serie di prove alternative in assenza del suddetto visto elettronico.
Nel presente articolo, dopo un’introduzione sulle tipologie
di cessione all’esportazione, disciplinate dall’articolo 8 del
Decreto del Presidente della Repubblica (di seguito D.P.R.)
n. 633/1972, verrà analizzata la disciplina probatoria dell’operazione di esportazione con un riferimento all’ambito
sanzionatorio.
2.
Le cessioni all’esportazione
Le cessioni di beni verso la Svizzera, come verso gli altri Paesi
extra-comunitari, vengono definite, in ambito IVA, “cessioni
all’esportazione”. La nozione di cessione all’esportazione non
coincide esattamente con la definizione di esportazione
della normativa doganale. Mentre per la realizzazione di
quest’ultima è sufficiente la fuoriuscita materiale del bene
dal territorio doganale comunitario, per la cessione all’esportazione è necessario anche un ulteriore requisito, ossia il
trasferimento del diritto di proprietà, o di un altro diritto reale
di godimento, del bene.
In caso di mancata prova dell’effettiva uscita del bene dal
territorio comunitario l’operazione verrà riqualificata come
interna, comportando, di conseguenza, l’applicazione dell’imposta e l’assoggettamento a una sanzione.
Le cessioni all’esportazione rilevano sotto diversi profili ai fini
IVA: innanzitutto esse sono, ai sensi dell’articolo 8 D.P.R. n.
633/1972, non imponibili e permettono al cedente di detrarre
l’imposta pagata sull’acquisto del bene effettuato a monte;
inoltre concorrono alla formazione del plafond e al correlato
status di esportatore abituale.
La disciplina probatoria ai fini IVA è strettamente connessa
alla normativa doganale che regolamenta le procedure di
esportazione.
L’articolo 8 D.P.R. n. 633/1972 prevede differenti modalità di
effettuazione delle cessioni all’esportazione. Esse si distinguono tra cessioni dirette (articolo 8 comma 1, lettera a),
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nelle quali il trasporto del bene avviene a nome o a cura del
cedente, e cessioni improprie (articolo 8 comma 1, lettera b),
nelle quali, invece, esso avviene a cura o per conto del cessionario non residente. Vi è poi una terza tipologia di cessioni
all’esportazione, cosiddette indirette (articolo 8 comma 1, lettera c), nelle quali il bene non esce materialmente dal territorio
nazionale ma viene ceduto ai cosiddetti esportatori abituali,
ossia quegli operatori economici che, nell’anno solare o nei 12
mesi precedenti, hanno effettuato operazioni con l’estero in
misura superiore al 10% del loro volume d’affari.
Tipologia di cessione
Riferimento normativo
Diretta
Articolo 8 comma 1, lettera a
Impropria
Articolo 8 comma 1, lettera b
Indiretta
Articolo 8 comma 1, lettera c
2.1.
La cessione all’esportazione diretta
I tre requisiti caratterizzanti le cessioni dirette sono il trasferimento della proprietà, o di un diritto reale di godimento, del
bene; il trasporto dello stesso fuori dal territorio dell’UE a cura
o a nome del cedente e l’effettiva uscita del bene dal territorio
comunitario. Le prove riguardanti quest’ultimo punto verranno trattate in dettaglio nel prossimo paragrafo.
Il cedente deve essere registrato ai fini IVA in Italia, potrà
quindi essere un soggetto passivo residente in Italia oppure
un soggetto passivo non residente che abbia un rappresentante fiscale o sia identificato direttamente in Italia. È invece
indifferente lo status del cessionario svizzero, sia esso soggetto
passivo o consumatore finale, nazionale o estero, purché il
bene esca dall’UE.
Non incide sul regime di non imponibilità il fatto che il trasporto avvenga a cura o a nome di eventuali commissionari
(ossia degli intermediari) del cedente (commissione di vendita)
o del cessionario (commissione d’acquisto), a condizione che
esso sia stato effettuato per conto del cedente. Saranno quindi
considerate non imponibili sia la prima cessione dal cedente al
commissionario sia la seconda cessione dal commissionario al
cessionario[1].
Un caso particolare di cessione diretta si ha con il consignment
stock[2] , quando il cedente invia il bene in un deposito, del cessionario o di un terzo, situato in territorio extra-comunitario,
come la Svizzera. In questi casi la cessione all’esportazione si
verifica solo nel momento del prelievo del bene dal deposito,
da parte del cessionario, in quanto è in quel momento che si
perfeziona la fattispecie della cessione e non nella precedente
fase di esportazione doganale[3]. Con una sentenza della
Corte di Cassazione (Cass., Sez. V, 20 dicembre 2012, n. 23588)
e con la Risoluzione n. 94/E del 13 dicembre 2013, la disciplina
del consignment stock è stata estesa anche alla fattispecie in
cui il cedente trasferisca il bene in un suo deposito situato in
territorio extra-comunitario e il cessionario effettui successivamente il prelievo, purché “[…] l’operazione, sin dalla sua origine,
e nella relativa rappresentazione documentale, sia stata concepita in
vista del definitivo trasferimento e cessione della merce all’estero”.
L’articolo 8 comma 1, lettera a disciplina anche delle forme di
cessione all’esportazione dirette più complesse ma molto diffuse
nella pratica commerciale, esse sono le operazioni triangolari e le
cessioni all’esportazione congiunte.
2.1.1.
Operazioni triangolari
Si considerano cessioni all’esportazione anche quelle effettuate con “trasporto o spedizione a cura o nome dei cedenti o dei
committenti, anche per incarico dei propri cessionari o committenti di
questi”. In questi casi la circolazione fisica del bene si differenzia
da quella giuridica in quanto il primo cedente, soggetto passivo
IVA italiano, cede i beni ad un primo acquirente (chiamato
promotore), anch’esso soggetto passivo in Italia, il quale li
rivende immediatamente ad un suo cliente stabilito in Svizzera,
incaricando il primo cedente di consegnarli direttamente a
quest’ultimo. Si avranno quindi due passaggi giuridici del bene:
dal primo cedente al promotore e da quest’ultimo all’acquirente
estero, entrambi considerati come cessioni all’esportazione
non imponibili ai sensi dell’articolo 8. La movimentazione fisica
invece sarà solo una: dal primo cedente all’acquirente estero.
Questa disciplina consente al soggetto promotore (molto
spesso si tratta di esportatori abituali) di non dover pagare
l’imposta nella prima operazione di acquisto, non trovandosi
così in una situazione di credito nei confronti dell’Erario.
La norma prevede che, per beneficiare della non imponibilità
anche nella prima cessione, il trasporto debba avvenire a cura
o a nome del primo cedente, onde evitare comportamenti
evasivi, attuabili nel caso in cui il promotore ottenga la disponibilità del bene nel territorio nazionale italiano, in regime di
non imponibilità. L’Amministrazione finanziaria, in un primo
tempo, ha interpretato in maniera restrittiva il requisito del
trasporto a carico del cedente[4]; con la Risoluzione n. 35/E
del 13 maggio 2010, ha successivamente ammesso che il
soggetto promotore possa concludere il contratto di trasporto,
ma solo su mandato e in nome del cedente e, in ogni caso,
senza mai avere la materiale disponibilità dei beni. Tuttavia la
Corte di Cassazione (Cass., Sez. V, 25 giugno 2014, n. 14405)
ha recentemente stabilito che non è necessario che il contratto
di trasporto venga stipulato direttamente dal cedente o in sua
rappresentanza, esso può quindi essere concluso anche dal solo
soggetto promotore, purché “l’operazione, fin dalla sua origine e
nella sua rappresentazione documentale, sia stata voluta, secondo la
comune volontà degli originali contraenti, come cessione nazionale in
vista di trasporto a cessionario residente all’estero”.
2.1.2.
Operazioni all’esportazione congiunte
Nelle operazioni congiunte i beni, prima di essere esportati,
subiscono delle lavorazioni, trasformazioni, montaggi, assiemaggi o adattamenti ad opera del cedente o di terzi, per conto
del cessionario. Si ha quindi una cessione di beni congiunta
a una prestazione di servizi. La Risoluzione n. 470074 del 30
luglio 1990 ha chiarito che, per avere una cessione all’esportazione congiunta, il committente del servizio deve essere estero.
La cessione rimane assoggettata al regime di non imponibilità,
ai sensi dell’articolo 8 comma 1, lettera a, e anche le prestazioni sono non imponibili, ai sensi dell’articolo 9 comma 1, n. 9
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D.P.R. n. 633/1972, in quanto servizi su beni destinati ad essere
esportati. Riguardo quest’ultimo punto, la norma deve essere
coordinata con le regole generali sulla territorialità delle prestazioni di servizi: nel caso in cui il committente estero svizzero sia
un soggetto passivo d’imposta, le prestazioni sono fuori campo
IVA e quindi non rientrano nel computo del plafond, mentre,
se il committente estero svizzero non è un soggetto passivo,
il servizio è non imponibile, ai sensi dell’articolo 9, solo nel caso
in cui venga eseguito in Italia (se fosse eseguito all’estero esso
sarebbe fuori campo IVA)[5].
verrà approfondita nell’apposito paragrafo. L’adempimento degli
obblighi della procedura di esportazione incombe sul cessionario
residente in Svizzera, in quanto è colui che cura il trasporto, il
quale deve poi anche fornire al cedente italiano un esemplare
della fattura, vistato dalla dogana di uscita, entro il termine
predetto. In caso di inadempimento dei suddetti obblighi da
parte del cessionario, la cessione si considera interna fin dalla
sua origine e non più soggetta al regime di non imponibilità, il
cedente sarà quindi tenuto alla regolarizzazione dell’operazione
e al versamento dell’imposta[9].
L’articolo 8 comma 1, lettera b prevede espressamente la non
estensione del regime di non imponibilità alle cessioni di beni
destinati a dotazione o provvista a bordo di imbarcazioni,
aeromobili o qualsiasi altro mezzo di trasporto privato, oltre
alle cessioni di beni da trasportarsi nei bagagli personali fuori
dal territorio comunitario. Quest’ultima ipotesi è disciplinata
dall’articolo 38-quater D.P.R. n. 633/1972: se i beni sono stati
acquistati per un complessivo importo superiore ai 154.94 euro
e sono destinati all’uso personale o familiare da parte di soggetti
non residenti, quest’ultimi hanno diritto a effettuare l’acquisto
senza pagamento dell’imposta, se i beni vengono esportati entro
tre mesi, o ad ottenere il rimborso dell’imposta già pagata restituendo al cedente l’esemplare della fattura, vistato dalla dogana
di uscita, entro quattro mesi.
2.2.
La cessione all’esportazione impropria
Per la realizzazione di una cessione all’esportazione impropria
sono necessari tre requisiti: il trasferimento della proprietà, o di
un diritto reale di godimento, del bene; il trasporto dello stesso
fuori dal territorio dell’UE a cura o per conto del cessionario non
residente in Italia; l’effettiva uscita del bene dal territorio comunitario entro il termine di 90 giorni dalla consegna al cessionario.
Il bene deve, inoltre, essere esportato nello stato originario, senza
aver subìto alcuna forma di lavorazione o manipolazione, non
essendoci una disposizione analoga a quella delle esportazioni
congiunte prevista dall’articolo 8 comma 1, lettera a[6].
Il cedente deve essere registrato ai fini IVA in Italia, potrà quindi
essere un soggetto passivo d’imposta residente in Italia oppure
un soggetto passivo non residente che abbia un rappresentante
fiscale o sia identificato direttamente in Italia. Il cessionario deve
essere un soggetto passivo (quindi non un consumatore finale),
sia esso comunitario o extra-comunitario[7], non residente in
Italia.
Elemento fondante delle cessioni improprie è il trasporto del
bene a cura del cessionario non residente; esso può avvenire
anche tramite terzi (vettori o spedizionieri), purché sia effettuato per suo conto. Nel caso contrario, in cui il trasporto sia a
carico del cedente, si rientrerebbe nella fattispecie dell’articolo 8
comma 1, lettera a ove ne sussistano i presupposti[8].
Il bene deve poi materialmente uscire dal territorio dell’UE entro
il termine di 90 giorni, i quali decorrono dalla data di consegna
al cessionario. Al riguardo si fa riferimento al documento di
consegna o trasporto, o, in mancanza, alla data di emissione
della fattura. Il mancato rispetto del termine comporta una
sanzione in capo al cedente irrogata ai sensi dell’articolo 7 del
Decreto Legislativo (di seguito D.Lgs.) n. 471/1997, la quale
3.
Prova dell’avvenuta esportazione
3.1.
Le prove nel D.P.R. n. 633/1972
Come visto in precedenza, per l’applicazione del regime di non
imponibilità delle cessioni all’esportazione, ai sensi dell’articolo
8 comma 1, lettere a e b, è necessario che il bene esca effettivamente dal territorio dell’UE, altrimenti l’operazione sarà
considerata interna e assoggettata all’IVA. La prova dell’avvenuta esportazione assume quindi una rilevanza fondamentale.
La disciplina IVA al riguardo è strettamente correlata alla
normativa doganale. La stessa Direttiva n. 2006/112/CE prevede che un’operazione si consideri non imponibile[10] , se il
passaggio della frontiera comunitaria viene provato in modo
certo e diretto attraverso la documentazione doganale.
L’articolo 8 comma 1, lettera a elenca i seguenti mezzi di prova
per le esportazioni dirette:
1) un documento doganale;
2) la vidimazione apposta dall’Ufficio Doganale su un’esemplare della fattura;
3) la vidimazione apposta dall’Ufficio Doganale su un’esemplare della bolla di accompagnamento ovvero, nei casi in
cui non è prevista[11] , su un’esemplare del documento di
trasporto[12];
4) nei modi stabiliti con Decreto Ministeriale (di seguito D.M.)
n. 34/1977, nel caso di esportazione tramite servizio postale.
Ai sensi dell’articolo 5 D.M. n. 34/1977, la prova dell’avvenuta
esportazione è data dalla vidimazione, mediante bollo a
calendario, effettuata dall’Ufficio Postale sulla fattura di
acquisto dei beni esportati.
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L’articolo 8 comma 1, lettera b prevede invece come prova
delle esportazioni improprie solo la vidimazione apposta
dall’Ufficio Doganale o dall’Ufficio Postale su un esemplare
della fattura.
3.2.
La procedura doganale di esportazione
La procedura dogale di esportazione è attualmente disciplinata dal Codice Doganale Comunitario (di seguito CDC,
Regolamento n. 1992/2913/CEE) e dalle Disposizioni di attuazione dello stesso (di seguito DAC, Regolamento n. 1993/2454/
CEE). Il 1. maggio 2016 entrerà in vigore il nuovo Codice
Doganale dell’Unione (CDU, Regolamento n. 2013/952/UE),
sostituendo l’attuale.
L’articolo 161 CDC stabilisce che il regime dell’esportazione
permette a un bene di uscire dal territorio doganale comunitario e lo sottopone alle formalità previste all’atto di uscita.
Il successivo articolo 162 CDC aggiunge il requisito che il bene
lasci l’UE nello Stato in cui era al momento dall’accettazione
della dichiarazione di esportazione.
Nella disciplina IVA, come già detto, è inoltre richiesto il passaggio della proprietà, o di un altro diritto reale di godimento.
In riferimento al luogo di esportazione rilevano due Uffici
Doganali: uno cosiddetto “di esportazione o interno” e uno
cosiddetto “di uscita o di confine”. Il primo Ufficio è situato nel
luogo dove il soggetto esportatore è stabilito, ovvero dove
le merci sono caricate e imballate per essere esportate, e si
occupa delle principali formalità doganali. Il secondo è situato
nel luogo in cui le merci escono materialmente dal territorio
comunitario ed effettua il controllo di regolarità sulle stesse,
ossia che corrispondano a quanto dichiarato alla dogana di
esportazione. Questi due Uffici possono coincidere nel caso
in cui la merce esca dall’UE nello stesso luogo dove è situato
l’Ufficio di esportazione.
Costituiscono eccezione a questa regola le cessioni di energia elettrica e di beni trasportati tramite condutture, per le
quali l’Ufficio Doganale d’uscita competente è quello dello
Stato membro in cui l’operatore è stabilito; e i trasporti aerei,
marittimi, ferroviari e postali, effettuati in esecuzione di un
unico contratto di trasporto a destinazione extra-europea,
per i quali si considera dogana d’uscita quella del luogo in cui
le merci sono prese in carico, ai sensi dell’articolo 793 DAC[13].
Ai sensi dell’articolo 788 DAC, soggetto esportatore è colui per
conto del quale è fatta la dichiarazione di esportazione e che nel
momento della sua accettazione è proprietario o vanta un altro
diritto reale di godimento sulle merci. Nel caso in cui il proprietario, o avente un diritto similare, non sia residente nell’UE, si
considera esportatore il contraente comunitario[14].
Ai fini di agevolare l’attività dei soggetti esportatori e velocizzare
le procedure doganali, le DAC prevedono anche una speciale
procedura “di domiciliazione”, la quale permette di vincolare al
regime doganale le merci da esportare nei locali dell’interessato
o in altri luoghi designati o autorizzati dall’autorità doganale.
L’esportatore, quando avvia una spedizione di merci nell’ambito
di questa procedura speciale, deve avvisare la dogana interna
della partenza, fornendo tutti i documenti richiesti, e ha la
possibilità di stampare direttamente il Documento di accompagnamento all’esportazione (DAE[15]).
3.3.
Il visto doganale di uscita
La disciplina del visto doganale di uscita delle merci ha subìto
un profondo mutamento a seguito del progetto comunitario
denominato AES (Automated Export System), finalizzato ad
automatizzare l’intera procedura di esportazione. Nell’ambito
di questo programma il Regolamento n. 2006/1875/CE ha
introdotto la procedura informatizzata ECS, entrata gradualmente in funzione in due fasi successive: la prima a partire dal
1. luglio 2007 e la seconda a partire dal 1. luglio 2009.
3.3.1.
La disciplina ante 1. luglio 2007
Prima dell’introduzione dell’ECS, l’esportatore doveva presentare i documenti previsti dal D.P.R. n. 43/1973 (di seguito
TULD) alla dogana di esportazione, la quale, effettuati gli
opportuni controlli, emetteva in triplice copia il Documento
amministrativo unico (di seguito DAU). La copia n. 3 del DAU
accompagnava la merce fino al luogo di uscita materiale dal
territorio comunitario, dove l’Ufficio Doganale di uscita controllava la corrispondenza della merce con quanto dichiarato e,
in caso di esito positivo, apponeva il visto di uscita (costituito
da un timbro con l’intestazione dell’Ufficio e la data).
La prova dell’effettiva uscita del bene era quindi costituita
dall’esemplare n. 3 del DAU, con il visto della dogana di uscita,
non essendo sufficiente la fattura di vendita presentata alla
dogana d’esportazione, contenente i riferimenti del documento
doganale emesso[16]. Questa modalità di prova documentale
comportava una serie di problematiche: i tempi lunghi di
ricezione dell’esemplare n. 3 da parte del soggetto esportatore (spesso materialmente ricevuto dal vettore incaricato del
trasporto il quale doveva poi consegnarlo all’esportatore), il
rischio di smarrimento dello stesso e la possibilità di operazioni
fraudolente tramite la falsificazione del visto.
3.3.2.
La prima fase ECS
Per ovviare alle problematiche evidenziate, ai supporti cartacei
che provavano l’avvenuta esportazione sono subentrati una
serie di messaggi elettronici scambiati tra gli Uffici Doganali e
gli operatori economici coinvolti nella procedura.
Nella prima fase, l’esemplare n. 3 del DAU è stato sostituito
da un messaggio informatico che la dogana d’uscita invia alla
dogana d’esportazione. Il soggetto esportatore deve inviare,
in via telematica, la dichiarazione richiesta all’Ufficio Doganale
d’esportazione, il quale, effettuati gli opportuni controlli, compie le seguenti operazioni:
◆
◆
◆
registra la richiesta nel sistema AIDA (Sistema Informatico
Doganale Nazionale);
consegna il DAE (che ha sostituito il DAU e accompagna il
bene fino all’uscita dal territorio comunitario);
trasmette elettronicamente gli elementi della dichiarazione doganale all’ufficio di uscita;
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◆
fornisce all’operatore il MRN (Movement Reference
Number). Quest’ultimo è un codice alfanumerico di 18
caratteri, riportato anche sul DAE, che identifica ogni
singola operazione di esportazione riassumendone le
caratteristiche[17] , e permette all’esportatore di seguire
le successive fasi della procedura di uscita del bene dal
territorio comunitario, tramite l’inserimento dello stesso
nell’apposito sistema informatico[18].
Effettuate queste operazioni, la dogana interna svincola le merci
per l’esportazione.
stessa dogana di esportazione. Quest’ultima, se non riceve il
suddetto messaggio entro 90 giorni dalla data dello svincolo
delle merci, può richiedere all’esportatore la data dell’avvenuta esportazione e la dogana di uscita presso la quale essa
si è compiuta.
Il soggetto che ha presentato la dichiarazione di esportazione, nel caso in cui rilevi la mancanza del messaggio
elettronico “risultati di uscita” nonostante la merce sia effettivamente uscita dal territorio doganale comunitario, ha la
facoltà, anche prima dei 90 giorni, di fornire alla dogana di
esportazione le sopraindicate informazioni.
Quando la merce giunge all’Ufficio Doganale di uscita, quest’ultimo deve verificare la corrispondenza con quanto dichiarato
nel DAE, oltre ad accertare la materiale fuoriuscita dal territorio
comunitario, ai sensi dell’articolo 793 DAC. Essa provvederà,
poi, ad inviare un messaggio elettronico “risultati di uscita” alla
dogana d’esportazione ai sensi dell’articolo 796-quinquies DAC,
entro il giorno lavorativo successivo alla data di uscita. In caso
di spedizione frazionata di merci, la dogana di confine invierà il
messaggio “risultati di uscita” solo nel momento in cui è fuoriuscita l’ultima frazione.
L’Agenzia delle Dogane, nella nota n. 3945 del 27 giugno 2007,
ha affermato l’impossibilità di utilizzare un’unica dichiarazione
doganale per merci destinate a differenti uffici doganali d’uscita.
Il messaggio “risultati di uscita” viene registrato nel sistema
AIDA e contiene l’esito positivo o negativo della procedura
di esportazione. In caso di esito positivo, il messaggio “uscita
conclusa”, registrato nel sistema informatico, costituisce la prova
dell’effettiva uscita del bene nel nuovo sistema ECS, sostituendo
il visto sull’esemplare n. 3 del DAU. Esso è consultabile dagli
operatori economici, tramite il MRN, nell’apposita sezione del
sito dell’Agenzia delle Dogane. Il semplice messaggio “notifica
all’esportazione” che la suddetta Agenzia invia all’esportatore, ai
sensi dell’articolo 796-sexies, non ha invece valore di prova[19].
3.3.3.
La seconda fase ECS
Nella seconda fase sono stati introdotti ulteriori elementi
innovativi:
◆
◆
◆
la dichiarazione d’esportazione deve essere inviata all’ufficio doganale d’esportazione esclusivamente in forma
telematica;
nella compilazione del DAE devono essere inseriti anche i dati
obbligatori di sicurezza previsti dall’allegato 30-bis del DAC;
è stata introdotta una nuova procedura ai fini della prova
dell’avvenuta esportazione, nel caso in cui manchi il visto
elettronico di uscita, la quale verrà trattata in dettaglio nel
seguente paragrafo.
3.4.
I mezzi di prova alternativi in mancanza del visto uscire
L’articolo 796-quinquies-bis DAC disciplina la procedura da
seguire, ai fini della prova dell’avvenuta esportazione, nei casi
in cui la dogana di esportazione non riceva il messaggio “risultati di uscita” della dogana di confine. Questa procedura può
essere avviata in alternativa dal soggetto esportatore o dalla
Ottenute quest’ultime, la dogana interna richiederà alla
dogana di uscita la conferma dell’effettiva esportazione, sollecitando l’invio del messaggio “risultati di uscita”. In mancanza
di risposta positiva entro 10 giorni, il soggetto esportatore
avrà la possibilità ulteriore di attestare l’avvenuta operazione
mediante una serie di prove che sono elencate dal terzo
comma del suddetto articolo (cosiddetta procedura di follow
up). A tal fine non è sufficiente produrre copia della fattura
di vendita o fornire prova dell’avvenuto pagamento, ma sono
necessari anche una copia della bolla di consegna, firmata
o autenticata dal destinatario fuori dal territorio doganale
comunitario, oppure una dichiarazione firmata o autenticata
dalla società che ha portato le merci fuori dal suddetto territorio. Può, inoltre, essere utilizzato un documento certificato
dalle autorità doganali di uno Stato membro o di un Paese
terzo. Nel caso specifico di merci fornite alle piattaforme di
perforazione e di produzione di petrolio o gas si possono
utilizzare scritture degli operatori economici.
Il soggetto esportatore fornirà una di queste prove, una volta
ottenute, alla dogana di esportazione che, una volta verificate, comunicherà sia alla dogana di uscita sia al medesimo
soggetto esportatore l’avvenuta chiusura dell’operazione di
esportazione. Nel caso in cui, invece, non le ottenga entro
150 giorni dalla data di svincolo della merce, il suddetto
Ufficio Doganale provvederà ad annullare la dichiarazione
di esportazione, ai sensi dell’articolo 796-sexies DAC, informando contestualmente il soggetto esportatore.
A seguito dell’annullamento della dichiarazione, l’unica possibilità per l’esportatore di dimostrare l’avvenuta uscita del
bene dal territorio comunitario è quella di utilizzare le prove
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elencate dall’articolo 346 TULD, essendo la prova all’esportazione IVA coincidente, nella sostanza, con quella prevista dalla
normativa doganale[20]. Questa conclusione interpretativa è
“[…] in piena sintonia con l’esigenza di rigorosa prevenzione antifrode,
sia con l’esigenza, più volte emersa nella giurisprudenza comunitaria,
secondo cui la reale ricorrenza dei requisiti del sistema IVA non può
essere ingiustificatamente compressa sul piano della prova in forme
tali da conculcare i diritti degli operatori economici nel sistema dei
tributi armonizzati sulla cifra d’affari” [21].
L’articolo 346 TULD prevede che la prova dell’avvenuta esportazione, agli effetti doganali, possa basarsi su:
◆
◆
◆
attestazioni e certificazioni rilasciate da una dogana o da
altre pubbliche amministrazioni dello Stato estero di destinazione della merce;
su idonei documenti di trasporto internazionale;
su attestazioni apposte da autorità estere sui documenti
doganali emessi a scorta di merci introdotte nel territorio
doganale “a condizione di reciprocità” [22].
La Corte di Cassazione ha ulteriormente ribadito che la suddetta prova deve essere fornita “[…] con mezzi, aventi carattere
di certezza ed incontrovertibilità, quali possono essere attestazioni
di pubbliche amministrazioni del Paese di destinazione dell’avvenuta
presentazione delle merci in dogana, mentre documenti di origine
privata, come ad esempio la documentazione bancaria dell’avvenuto
pagamento, non possono costituire prova idonea allo scopo” [23].
Non sarà quindi sufficiente, ad esempio, la semplice allegazione di una polizza di carico (Bill of lading)[24].
Il soggetto esportatore ha inoltre la possibilità di produrre
i documenti comprovanti l’avvenuta esportazione (con i
requisiti sopra esposti), per la prima volta, anche nel corso
dell’eventuale giudizio davanti alle Commissioni tributarie,
purché non vi sia stato un rifiuto doloso di esibirli nel corso
della verifica amministrativa[25].
3.5.
I mezzi di prova nelle esportazioni con intervento di terzi
Nelle cessioni all’esportazione dirette, in cui è il cedente a
curare il trasporto del bene (articolo 8 comma 1, lettera a), si
applica la disciplina sopra esposta e sarà lo stesso cedente a
dover fornire la prova dell’avvenuta esportazione. Invece nei
casi di cessioni tramite commissionario (articolo 8 comma 1,
lettera a), operazioni triangolari (articolo 8 comma 1, lettera a)
e di cessioni con trasporto o spedizione del bene a cura o per
conto del cessionario non residente (articolo 8 comma 1, lettera b) si presenta una situazione più complessa, essendovi più
soggetti interessati ad acquisire la prova del completamento
dell’esportazione.
Nelle cessioni tramite commissionario la prova per quest’ultimo è data dal messaggio elettronico “risultati di uscita” della
dogana di confine, secondo la regola generale. Il committente
dovrà inizialmente richiedere un visto della dogana di esportazione sulla fattura emessa nei confronti del commissionario,
e successivamente, ricevuta la comunicazione telematica
di uscita, ottenere un secondo visto dal medesimo Ufficio
Doganale che attesti l’effettiva uscita del bene o, in alternativa,
allegare alla fattura una copia del messaggio elettronico “risultati di uscita”. Questo perché nella procedura doganale presso
la dogana di confine si utilizza la fattura del commissionario.
Nel caso in cui il committente emetta fattura differita, il visto
sarà apposto sul documento di trasporto integrato con l’indicazione della destinazione estera del bene e della tipologia di
operazione, ossia “esportazione tramite commissionario”.
Una situazione simile si ha nelle operazioni triangolari: al
soggetto promotore sarà sufficiente il messaggio elettronico
della dogana di uscita per provare l’effettiva esportazione. Il
primo cedente dovrà invece ottenere il visto della dogana di
esportazione sulla fattura emessa nei confronti del promotore
e successivamente, ricevuta la comunicazione telematica
di uscita, ottenere un secondo visto dal medesimo Ufficio
Doganale che attesti l’effettiva uscita del bene o, in alternativa,
allegare alla fattura una copia del messaggio elettronico “risultati di uscita”. Nel caso in cui il cedente emetta fattura differita
il visto sarà apposto, come sopra, sul documento di trasporto
integrato con l’indicazione della destinazione estera del bene
e della tipologia di operazione, ossia “esportazione triangolare”.
La CGUE ha stabilito che il primo cedente, se è in buona fede,
non è tenuto al pagamento dell’imposta nel caso in cui il bene
non sia effettivamente uscito dal territorio comunitario per il
comportamento fraudolento del promotore, purché lo stesso,
utilizzando tutta la diligenza di un commerciante avveduto,
non abbia avuto la possibilità di accorgersene (CGUE, sentenza
del 21 febbraio 2008, Causa C-271/06).
Nelle cessioni improprie la prova dell’avvenuta uscita del bene
per il cedente è costituita dal visto apposto dalla dogana di
uscita sulla fattura da lui emessa nei confronti del cessionario
non residente e presentata in dogana all’atto dell’esportazione,
essendo quest’ultimo ad operare con la dogana di confine[26].
L’Agenzia delle Dogane, con la Nota n. 3945 del 27 giugno
2007, ha precisato che l’introduzione del sistema ECS non
comporta alcun cambiamento sull’ulteriore eventuale documentazione richiesta per motivi fiscali (come l’apposizione del
visto doganale sulle fatture commerciali o sui documenti di trasporto), la cui funzione e relativa applicazione restano invariate.
4.
Profilo sanzionatorio
Nel caso in cui, a fronte dell’emissione di una fattura non
imponibile non venga fornita la prova dell’avvenuta fuoriuscita
del bene dal territorio comunitario l’operatore nazionale italiano sarà tenuto al pagamento dell’IVA e sarà assoggettato
alle specifiche sanzioni amministrative contenute nel D.Lgs. n.
471/1997.
Nel caso specifico di violazione della disciplina riguardante
le cessioni dirette (articolo 8 comma 1, lettera a D.P.R. n.
633/1972) si applica la sanzione ordinaria prevista dall’articolo
6 comma 1 D.Lgs. n. 471/1997 per l’inottemperanza degli
obblighi inerenti alla documentazione ed alla registrazione di
operazioni imponibili ai fini IVA, pari ad una somma compresa
tra il 90 e il 180% dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell’esercizio.
Novità fiscali / n.4 / aprile 2016
Rientrano nell’articolo 7 D.Lgs. n. 471/1997, rubricato
“Violazioni relative all’esportazione”, le sanzioni riguardanti le
cessioni improprie (articolo 8 comma 1, lettera b) e le cessioni
indirette (articolo 8 comma 1, lettera c).
Il primo comma dell’articolo 7 prevede la sanzione compresa
tra il 50 e il 100% del tributo, in capo al cedente, nel caso in cui
il trasporto o la spedizione del bene fuori dal territorio comunitario non siano compiuti entro il termine di 90 giorni dalla
consegna al cessionario, come previsto dall’articolo 8 comma 1,
lettera b D.P.R. n. 633/1972 per le cessioni improprie. Il cedente
è inoltre soggetto al pagamento sia dell’imposta che delle
sanzioni nel caso in cui non sia stato in grado di provare, con
tutti i mezzi illustrati sopra, il completamento dell’operazione.
Lo stesso comma prevede tuttavia una sanatoria: la sanzione non si applica se il cedente provvede a regolarizzare la
fattura e a versare l’imposta entro 30 giorni dalla scadenza.
Resta in ogni caso possibile la regolarizzazione spontanea,
con conseguente riduzione della sanzione, attraverso l’istituto del “ravvedimento” disciplinato dall’articolo 13 D.Lgs. n.
472/1997[27].
La Corte di Cassazione (Cass., Sez. V, 6 dicembre 2001, n.
15445) ha affermato che la cessione si considera comunque
non imponibile nel caso in cui avvenga un furto della merce
dopo la consegna al cessionario e prima che essa fuoriesca
dal territorio comunitario, poiché “il furto costituisce evidente
ragione di forza maggiore e dunque in presenza di simile evento non
vi è ragione che il contribuente sia assoggettato ad IVA”.
Riguardo il termine di 90 giorni la giurisprudenza di legittimità riteneva che esso doveva essere considerato perentorio,
costituendo un requisito per l’applicazione di un regime di
non imponibilità; la sanzione doveva quindi essere applicata
anche se la merce era stata effettivamente esportata dopo
il termine[28]. La CGUE, con la sentenza emessa in data 19
dicembre 2013 nel procedimento C-563/12, ha evidenziato
che nella normativa IVA comunitaria non esiste un termine
per il compimento delle cessioni all’esportazione improprie,
tuttavia gli Stati membri hanno la possibilità di stabilirlo ai fini
della corretta applicazione delle esenzioni e della lotta all’evasione e all’elusione fiscale (articolo 131 Direttiva n. 2006/112/
CE). Se però al soggetto cedente non viene consentito di
dimostrare l’effettiva uscita del bene dopo il suddetto termine,
la norma che lo prevede eccede quanto necessario per il conseguimento di detti obiettivi; e ciò costituisce una violazione
del principio comunitario di proporzionalità.
Di conseguenza, l’Agenzia delle Entrate, con la Circolare
n. 98/E del 10 novembre 2014, ha stabilito che la cessione
all’esportazione impropria rimane sottoposta al regime di
non imponibilità anche nei casi in cui il bene esca materialmente dal territorio comunitario dopo il termine di 90 giorni,
ovvero il bene venga esportato nei 90 giorni ma il cedente
riesca a fornire la prova solo dopo lo scadere dei 30 giorni per
la regolarizzazione. È inoltre possibile recuperare l’imposta
nel frattempo versata in applicazione dell’articolo 7 comma
1 D.Lgs. n. 471/1997, attraverso una nota di variazione
emessa ai sensi dell’articolo 26 comma 2 D.P.R. n. 633/1972
o presentando una richiesta di rimborso formulata ai sensi
dell’articolo 21 D.Lgs. n. 546/1992.
La stessa sanzione prevista per le esportazioni improprie si
applica anche a chi effettuata cessioni a consumatori non residenti, ai sensi dell’articolo 38-quater D.P.R. n. 633/1972, se non
provvede a regolarizzare l’operazione nel termine previsto.
L’articolo 7 D.Lgs. n. 471/1997, dopo una serie di sanzioni correlate alle cessioni indirette, nell’ultimo comma tratta, infine,
delle fatture e delle dichiarazioni doganali relative alle cessioni
all’esportazione, se i dati contenuti, riguardanti quantità, qualità o corrispettivi, non corrispondono a quelli reali. Si applica
una sanzione dal 100 al 200% dell’imposta che sarebbe stata
applicata se i beni fossero stati ceduti nel territorio dello Stato,
ad eccezione delle differenze quantitative non superiori al 5%.
5.
Considerazioni conclusive
L’introduzione del sistema ECS ha comportato la semplificazione e la velocizzazione delle procedure doganali di
esportazione dall’Italia alla Svizzera e quindi, di riflesso, anche
della prova ai fini IVA. Tuttavia, anche se sono state risolte
molte delle questioni derivanti, in particolare, dalla natura
cartacea dell’esemplare n. 3 del DAU, sussistono ancora dei
problemi riguardo la prova dell’avvenuta esportazione, come
nel caso in cui il bene sia effettivamente uscito dal territorio
comunitario ma la dogana d’esportazione non abbia ricevuto
il messaggio “risultati di uscita” dalla dogana di confine.
Tali problemi possono derivare da una serie di circostanze
talvolta indipendenti dalla volontà del soggetto esportatore e
dovute a disfunzioni informatiche.
In questi casi l’ordinamento, comunitario e nazionale, permette
comunque di utilizzare un ampio numero di prove alternative
al visto elettronico di uscita, facilitando così l’onere probatorio
dell’esportatore. Innanzitutto, l’articolo 796-quinquies-bis DAC,
disciplinando la cosiddetta procedura di “follow up”, consente
di adempiere al suddetto onere attraverso diverse modalità
probatorie. Inoltre, anche nel caso in cui questa procedura abbia
avuto esito negativo, la giurisprudenza e l’Amministrazione
finanziaria permettono, in via ulteriore e residuale, l’utilizzo delle
prove contenute nell’articolo 346 TULD. Al soggetto esportatore in buona fede viene quindi garantita la possibilità di provare
l’effettiva esportazione, nei casi in cui manchi il visto elettronico
di uscita, attraverso un’ampia scelta di strumenti alternativi.
Nell’ambito delle operazioni più complesse che coinvolgono
più soggetti, come le esportazioni triangolari e le esportazioni
tramite commissionario, o nell’ambito delle cessioni improprie,
è stato esposto come rilevino ulteriori mezzi di prova, diversi
dal messaggio elettronico “risultati di uscita”. Ciò risponde alle
esigenze probatorie del primo cedente nazionale, essendo un
altro soggetto (commissionario, promotore della triangolazione o acquirente non residente) ad operare direttamente
con la dogana di uscita.
Il fatto di garantire una serie di strumenti alternativi di
prova costituisce un’importante agevolazione per le imprese
33
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operanti nelle transazioni commerciali dall’Italia alla Svizzera,
facilitando gli adempimenti doganali. Inoltre, i suddetti strumenti probatori costituiscono un’applicazione del principio di
prevalenza della sostanza sulla forma, più volte ribadito dalla
CGUE come immanente nell’ordinamento comunitario, sul
quale l’IVA si fonda.
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.smartweek.ch/wpsw/wp-content/uploads/2015/03/italiasvizzera-1.jpg [20.04.2016]
http://www.assolombarda.it/servizi/fisco/informazioni/esportazioni-extraue-regime-di-non-imponibilita-iva-anche-oltre-il-termine-di-90-giorni/
image [20.04.2016]
http://w w w.av vocatoleone.com/wp-content/uploads/2015/12/strasburgo_corte_giustizia_web-400x300.jpg [20.04.2016]
[1] Ai sensi dell’articolo 2 comma 2, n. 4 D.P.R.
n. 633/1972 sono cessioni di beni ai fini IVA i passaggi dal committente al commissionario o dal
commissionario al committente di beni venduti o
acquistati in esecuzione di contratti di commissione.
[2] Il consignment stock è un contratto di fornitura
con effetti reali differiti, il quale consiste nel trasferimento di un bene, di proprietà del cedente,
in un deposito del cessionario o di un terzo; in un
momento successivo, il cessionario potrà prelevare il bene, con il correlato passaggio della
proprietà.
[3] Risoluzione n. 58/E del 5 maggio 2005.
[4] Risoluzione del Ministero delle Finanze n. 51
del 4 marzo 1995.
[5] Circolare n. 37/E del 29 luglio 2011.
[6] Circolare n. 26 del 3 agosto 1979.
[7] Circolare n. 50/E del 12 giugno 2002.
[8] Risoluzione n. 411174 del 28 luglio 1979.
[9] Circolare n. 50/E del 12 giugno 2002.
[10] Nella Direttiva la non imponibilità è definita
in termini di “esenzione”.
[11] Il D.P.R. n. 472/1996 ha soppresso l’utilizzo
della bolla di accompagnamento (disciplinata dal
D.P.R. n. 627/1978) per quasi tutte le tipologie di
trasporto di beni, sostituendola con il documento di trasporto. Essa è rimasta in vigore in alcune
ipotesi residuali come la circolazione di tabacchi e
fiammiferi, dei prodotti sottoposti al regime delle
accise, ad imposta di consumo o al regime di vigilanza fiscale ai sensi del D.Lgs. n. 504/1995.
[12] La prova mediante vidimazione della fattura o del documento di trasporto riguarda le
cessioni dirette effettuate tramite commissionario o tramite un’operazione triangolare. Essa verrà
trattata nell’apposito paragrafo dei mezzi di prova
con intervento di terzi.
[13] Circolare n. 18/D del 29 dicembre 2010.
[14] Circolare n. 173 del 2 luglio 1998.
[15] Vedi paragrafo successivo.
[16] Circolare n. 35/E del 13 febbraio 1997.
[17] Il MRN contiene, ad esempio, i dati riguardanti
l’anno di registrazione della dichiarazione; il Paese di
registrazione e il codice dell’Ufficio di registrazione.
[18] In Italia è possibile effettuare il controllo inserendo il MRN nel sito internet dell’Agenzia delle
Dogane e dei Monopoli (http://www.agenziadoganemonopoli.gov.it [20.04.2016]; sezione E-customs).
[19] Nota n. 3945/D del 27 giugno 2007.
[20] Circolare n. 35/E del 13 febbraio 1997; Cass.,
Sez. V, 3 maggio 2002, n. 6351; Cass., Sez. V, 6 settembre 2013, n. 20487; Cass., Sez. V, 15 ottobre
2013, n. 23331; Cass., Sez. V, 2 dicembre 2014, n.
25455.
[21] Cass., Sez. V, 2 dicembre 2014, n. 25455, la
quale fa riferimento alle sentenze della Corte di
Giustizia dell’UE (di seguito CGUE), sentenza del
27 settembre 2007, Procedimento C-146/05 e
sentenza del 27 settembre 2007, Procedimento
C-184/05.
[22] Circolare n. 211 del 23 aprile 1974.
[23] Cass., Sez. V, 2 dicembre 2014, n. 25455 che,
sul punto in questione, richiama anche le precedenti sentenze: Cass., Sez. V, 26 ottobre 2001,
n. 13221; Cass., Sez. V, 3 maggio 2002, n. 6351 e
Cass., Sez. V, 26 maggio 2006, n. 12608.
[24] Cass., Sez. V, 15 ottobre 2013, n. 23331.
[25] Cass., Sez. V, 6 settembre 2013, n. 20487.
[26] Circolare n. 35/E del 13 febbraio 1997.
[27] Circolare n. 23/E del 25 gennaio 1999.
[28] Cass., Sez. V, 27 ottobre 2010, n. 21956.